Tra classicismi e avanguardie: la ricezione dell’estetica bizantina in Francia e in Russia a...

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175 Ivan Foletti Tra classicismi e avanguardie: la ricezione dell’estetica bizantina in Francia e in Russia tra Otto e Novecento Il presente saggio è dedicato alla questione della ricezione della cosiddetta “estetica bizantina” tra Francia e Russia nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del secolo successivo. Prima di en- trare in merito, due premesse s’impongono. La prima, storica, riguarda il valore che darò qui di seguito all’espressione “estetica bizantina”. Conformemente alla tradizione ottocentesca ma, ahimè, anche ad alcuni studi recenti utilizzerò questo termine passe-partout per designare la percezione di tutta l’arte dell’Oriente cristiano, compresa la Russia. In questo senso va anche la seconda premessa: tra Russia e Occidente il paese degli zar è percepito, nella seconda metà del XIX secolo, come diretto e indiscusso erede del mondo bizantino nel suo insieme 1 ; una situazione che 1 Si tratta di una percezione chiara come dimostrano le osservazioni di SPRINGER Anton, Introduction, in KONDAKOV Nikodim P., Histoire de l’art byzantin: considéré principalement dans les miniatures, Paris 1886-1891, pp. 1-14; p. 7. Per una riflessione più ampia del punto di vista russo cfr. RAKITIN Pavel, Byzantine echoes in the 19th century press and in the writings of Russian intellectuals, in Byzantium, Russia and Europe, Opuscula Historiae Artium (Supplementum), a cura di Ivan Foletti, Brno 2013 (in corso di stampa).

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Ivan Foletti

Tra classicismi e avanguardie: la ricezione dell’estetica bizantina in Francia e in Russia tra Otto e Novecento

Il presente saggio è dedicato alla questione

della ricezione della cosiddetta “estetica bizantina” tra Francia e Russia nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del secolo successivo. Prima di en-trare in merito, due premesse s’impongono. La prima, storica, riguarda il valore che darò qui di seguito all’espressione “estetica bizantina”. Conformemente alla tradizione ottocentesca – ma, ahimè, anche ad alcuni studi recenti – utilizzerò questo termine passe-partout per designare la percezione di tutta l’arte dell’Oriente cristiano, compresa la Russia. In questo senso va anche la seconda premessa: tra Russia e Occidente il paese degli zar è percepito, nella seconda metà del XIX secolo, come diretto e indiscusso erede del mondo bizantino nel suo insieme1; una situazione che

1 Si tratta di una percezione chiara come dimostrano le osservazioni di SPRINGER Anton, Introduction, in KONDAKOV Nikodim P., Histoire de l’art byzantin: considéré principalement dans les miniatures, Paris 1886-1891, pp. 1-14; p. 7. Per una riflessione più ampia del punto di vista russo cfr. RAKITIN Pavel, Byzantine echoes in the 19th century press and in the writings of Russian intellectuals, in Byzantium, Russia and Europe, Opuscula Historiae Artium (Supplementum), a cura di Ivan Foletti, Brno 2013 (in corso di stampa).

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giustifica lo spazio che darò alla Russia in questo saggio.

Nelle pagine che seguiranno cercherò di ripercorrere, in un primo tempo, lo sviluppo della percezione dell’estetica bizantina in Francia e quindi in Russia, dalla metà dell’Ottocento e fino alla fine degli anni ottanta del Novecento. In seconda battuta, rifletterò brevemente intorno a una comune e più largamente diffusa compren-sione dell’arte di Bisanzio a cavallo del Novecento. Infine, presenterò una riflessione sull’impatto fondamentale che ebbero, sulla percezione dell’estetica bizantina, le avanguardie del primo Novecento. Quanto si vorrebbe quindi mettere in luce è la maniera in cui la ricezione dell’estetica orientale cambia in un arco di tempo tutto sommato relativamente limitato, nonché le ragioni storiche e “personali” che determinano tale sviluppo.

Lo sguardo francese

L’interesse per l’impero orientale non è un fenomeno ottocentesco: un’attrazione per Bisan-zio, la splendida erede del mondo romano, attraversa tutto il medioevo e, anche dopo la caduta di Costantinopoli, la memoria dell’impero orientale resta viva nelle menti2. Non è un caso se

2 SPIESER Jean-Michel, Héllénisme et connaissance de l’art byzantin au XIXe siècle, in Hellenismos, quelques jalons pour une histoire de l'identité grecque, atti del convegno (Strasbourg,

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uno dei primi studiosi occidentali che torna a riflettere sulla meravigliosa Bisanzio è Ducange, storico di corte di quel Luigi XIV che pretende d’essere l’erede della dignità imperiale bizantina3. L’interesse di Ducange è, però, esclusivamente storico e la questione di un’estetica bizantina sarà assente nella riflessione fino a quasi la metà dell’Ottocento. Secondo Charles Diehl, che nel 1900 dedica un saggio agli studi bizantini in Francia, la ragione di questa mancanza è da imputare a un’immagine estremamente negativa di Bisanzio creata nel corso del Settecento dagli illuministi e in particolare da Charles de Secondat de Montesquieu (1689- 1755)4. Quest’ultimo si rese celebre con una sua schietta condanna di Bisanzio che considerava – vista la stretta relazione tra stato autocratico e Chiesa – come uno degli stati più decadenti della storia5. Diehl ha certamente ragione quando ritiene l’avversione dei pensatori illuministi una delle ragioni per cui l’Occidente aveva cessato d’interessarsi al mondo orientale. Si tratta di pregiudizi, aggiungerei io, che a volte ancora oggi determinano la percezione

25-27 ottobre 1989), a cura di Susan Said, Leiden – New York – København – Köln 1991, pp. 337-362. 3 SPIESER Jean-Michel, Ducange and Byzantium, in Through the looking-glass. Byzantium through british eyes, a cura di Robin Cormack e Elisabeth Jeffreys, Aldershot 2000, pp. 199-210. 4 DIEHL Charles, Les études byzantines en France, in “Byzantinische Zeitschrift”, IX, 1900, 1, pp. 1–13. 5 DE SECONDAT DE MONTESQUIEU Charles, Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence, Paris 1838 [1734], p. 179.

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della cultura dell’Oriente cristiano. D’altro canto, però – e arriviamo così alla prima tappa di un discorso estetico occidentale su Bisanzio – ancora nei primi decenni dell’Ottocento l’estetica dominante in Francia si trovava veramente agli antipodi rispetto a quella orientale: a una visione dello spazio e della figura mimetici, di matrice romantica, si contrapponeva l’essenzialità e l’austerità dell’immagine bizantina6. Non è pertanto un caso che – nonostante i primi studi occidentali sull’arte bizantina sorgessero in un momento di grande simpatia nei confronti della Grecia e della sua cultura (si era negli anni delle guerra greca per l’indipendenza) – la sua arte non ricevette grande considerazione7. Interessante, per il nostro proposito, è la maniera in cui la superiorità dell’Occidente venne verbalizzata. Nel 1845, Adolf Napoléon Didron (1806-1867) decise di studiare l’arte cristiana dei greci (fig. 1)8. Negli anni quaranta dell’Ottocento egli compì un lungo viaggio attraverso la Grecia “liberata” visitando località quali Atene, Dafnì e l’Athos. Egli fu colpito dall’alto livello teologico delle complesse

6 Cfr. la recente sintesi LEGRAND Gérard, L’art romantique, Paris 2012. 7 Per la guerra d’indipendenza cfr. SKOPELITIS Dimitri e ZUFFEREY Dimitri, Construire la Grèce (1770-1843), Lausanne 2011. L’interesse per l’Oriente viene messo in relazione alla guerra greca già da KONDAKOV Nikodim P., Russkaja ikona [Icona russa], 4 voll., Praga 1928-1933, III, p. 4. 8 Cfr. BRISAC Catherine e LENIAUD Jean-Michel, Adolphe-Napoléon Didron ou les média au service de l'art chrétien, in “Revue de l’art”, LXXVII, 1987, pp. 33-42.

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decorazioni delle chiese, con numerose citazioni tratte dei testi patristici, ma anche dal fatto che tra i vari monumenti vi fossero soltanto pochissime variazioni. Lo studioso fu quindi veramente impressionato dal fatto che fosse completamente scomparsa la memoria degli artisti che li avevano eseguiti9. Sull’Athos, Didron incontrò una bottega ancora attiva e, confrontato al lavoro del maestro della bottega, che senza cartoni o modelli dipingeva le scene della vita del Cristo, rimase veramente confuso.

Nous étions dans l’étonnement, car ces peintures étaient incontestablement supérieures à celles de nos artistes de second ordre qui font des tableaux religieux. Par quelques personnes, et je suis de ce nombre, le peintre du mont Athos pourrait être mis certainement sur la ligne de nos meilleurs artistes vivants, surtout lorsqu’il exécute de la peinture religieuse10.

Dopo l’incontro con questa bottega, Didron studiò per un mese intero tutte le pitture e le iscrizioni del sacro monte. Il risultato di questo attento sopralluogo confermò, a suo parere, quanto visto in precedenza: “Toutes ces peintures, à part des différences à peu près signifiantes, ressemblaient identiquement à celles que nous avons vue ailleurs”. Per lo studioso si delineò quindi un paradosso inspiegabile: un maestro

9 Manuel d’iconographie chrétienne grecque et latine, introduction et notes M. Didron, traduction Paul Durand, Paris 1845, pp. XII-XVII. 10 Ivi, p. XVII.

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eccezionale eseguiva con grande destrezza delle immagini apparentemente prive di qualsiasi inventio, criterio fondamentale in Occidente per valutare la qualità artistica.

È molto difficile oggi immaginare cosa vide Didron: considerata la prassi orientale di ridi-pingere affreschi, dipinti su legno e mosaici per dar loro maggior “freschezza”, non è da escludere che gli si presentasse una produzione molto più omogenea di quanto non sia oggi il caso, dopo le importanti campagne di restauro dell’ultimo secolo. D’altro canto mi sembra probabile che, con un occhio abituato a tutt’altra estetica, Didron non fosse semplicemente in grado di vedere le differenze di maniera presenti nella pittura greca tra Atene, Dafni e l’Athos. Tutto gli sembrava assolutamente identico, come se gli artigiani orientali ripetessero senza variante alcuna i modelli del V secolo: “On ne saurait pousser plus loin l’exactitude traditionnelle, l’esclavage du passé”11. Non a caso Didron associava la pro-duzione seriale – o considerata come tale – degli affreschi orientali con quella del medioevo occidentale12. La questione di un Period Eye, cioè di una capacità diversa di vedere a seconda del momento storico e della cultura – una delle più stimolanti idee concepite da Michael Baxandall,13 è

11 Ivi, p. VII. 12 Ivi, pp. X-XII; XXII-XXIII. 13 BAXANDALL Michael, Painting and experience in fifteenth-century Italy: a primer in the social history of pictorial Style, Oxford 1988 (1a edizione, Oxford 1972), pp. 29-46.

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stata negli ultimi anni ampiamente sviluppata14. Senza entrare qui nel merito di questa spinosa questione, vorrei semplicemente ricordare quanto l’abitudine è fondamentale nelle nostre categorie visive. Ne è certamente prova la nota difficoltà a distinguere i tratti individuali in gruppi razziali differenti. La difficoltà di Didron a percepire le differenze formali tra mosaici e affreschi greci era pertanto certamente determinata dal suo Period o forse Local Eye, di fatto incapace di percepire le differenze tra immagini di una cultura visiva così diversa dalla sua. Nel contempo però, lo sguardo di Didron era guidato anche da interrogativi di natura razionale: egli cercava nelle composizioni soprattutto segni di “originalità” e di inventio. Non trovandoli, egli considerò quindi questa pro-duzione come priva di sviluppo.

Didron ebbe quindi l’impressione di sciogliere il nodo di questo paradosso tra qualità artigianale e composizioni “identiche” scoprendo l’esistenza dei manuali di pittura ai quali i maestri greci attingevano per il loro lavoro e trovandovi tutti gli elementi necessari: dimensioni, procedimenti tecnici, testi delle iscrizioni,…15. La sua percezione di Joasaph il monaco-pittore, capo della bottega ammirata giungendo sull’Athos, mutò allora radicalmente. Il maestro geniale si trasformò, agli

14 Cfr. ad esempio CAMILLE Michael, Before the gaze. Internal senses and late medieval practices of seeing, in Visuality before and beyond the Renaissance. Seeing as others saw, a cura di Robert S. Nelson, Cambridge 2000, pp. 197-223. 15 Manuel d’iconographie chrétienne, pp. XXI-XXII.

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occhi dello studioso, in un artigiano di poco conto che si limitava a ripetere servilmente i modelli di coloro che lo avevano preceduto. Affascinato da questo libro di modelli, lo studioso francese chiese al monaco di venderglielo. Quest’ultimo, però, rifiutò:

(…) il me répondit, réponse naïve et pleine de vérité, que, s’il se dépouillait de ce livre, il ne pourrait plus rien faire. En perdant son guide il perdrait son art; il perdrait ses yeux et ses mains. Il ne pourrait plus peindre ni même voir ce qu’il peignait16.

Sono parole forti che esplicitano la posizione di Didron: privo di inventio, il pittore greco non è un’artista completo: la sua pittura dipende solo dai suoi modelli. In un ambiente come quello francese della metà dell’Ottocento, dove la figura dell’artista creatore è quasi un luogo comune, se ne può dedurre un dato soltanto: la pittura ortodossa non è vera arte17. La sua estetica ripetitiva – identica, per riprendere il termine usato da Didron – non può essere considerata come espressione di una cultura artistica completa. È infatti in questa direzione che si orienta la tesi centrale di Didron:

En Grèce, l’artiste est l’esclave du théologien, son œuvre, que copieront ses successeurs, copie celle des peintres qui l’ont précédé. L’artiste grec est asservi aux traditions comme l’animal à son instinct; il fait une

16 Ivi, p. XXIII. 17 DIAZ José-Luis, L’artiste romantique en perspective, in “Romantisme”, XVI, 1986, 54, pp. 5-23.

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figure comme l’hirondelle son nid ou l’abeille sa ruche. Le peintre grec est maître de son exécution; l’art est à lui, mais l’art seul; car l’invention et l’idée appartiennent aux pères, aux théologiens, à l’église catholique (sic!)18.

In ambiente francese, il punto di vista di Didron sarà radicalmente messo in discussione nei decenni successivi da due grandi figure della critica dell’epoca: Jules Labart (1797-1880) e Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc (1814-1879)19.

Il primo visse, nel 1856, una vera e propria conversione per Bisanzio. Dedicando il suo monumentale studio Histoire des arts industriels au Moyen Âge et à l’époque de la Renaissance a oggetti di arte preziosa – i soli veramente noti in Occidente – Labart non esitò a definire gli artisti bizantini come i veri maestri dell’arte20. La sua lettura dell’arte bizantina era molto chiara: fu Bisanzio a riprendere la tradizione antica e a

18 Ivi, p. IX. 19 Per il primo cfr. TOMASI Michele, Labarte, Jules (23 juillet 1797, Paris - 14 août 1880, Boulogne-sur-Mer [Pas-de-Calais]), in Dictionnaire critique des historiens de l’art actifs en France de la Révolution à la Première Guerre mondiale, a cura di Philippe Sénéchal e Claire Barbillon, Paris 2009, http://www.inha.fr/spip.php?article2382. Per il secondo cfr. BARIDON Laurent, L’imaginaire scientifique de Viollet-le-Duc, Paris 1996 e ID., Viollet-le-Duc, Eugène-Emmanuel (27 janvier 1814, Paris - 17 septembre 1879, Lausanne), in Dictionnaire critique, http://www.inha.fr/spip.php?article2564. 20 LABARTE Jules, Histoire des arts industriels au Moyen Âge et à l’époque de la Renaissance, 3 voll. Paris 1872-1874 (1a edizione, Paris 1864-1866), I, p. 61.

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riportarla dopo la decadenza del basso impero ai massimi splendori nel corso del sesto e quindi del decimo secolo. La ragione di questa situazione va cercata, prima di tutto, nella stessa natura di Costantinopoli dove Costantino conservò un altissimo numero di opere d’arte antiche (fig. 2):

Cette réunion de tant de chefs-d’œuvre avait porté d’heureux fruits. Elle donna une grande émulation aux artistes que Constantin et ses successeurs s’employèrent pour élever de nouvelles statues. L’art se releva peu à peu de la décadence où il était tombé, et déjà une grande amélioration se faisait sentir à l’époque de Théodose le Grand21.

Secondo Labart la ripresa delle arti antiche fu tale da rendere impossibile, all’occhio contem-poraneo, il riconoscere la differenza tra una scultura dell’alto impero e una d’epoca paleo-bizantina 22. Questa estetica costituisce quindi per lo studioso francese un vero e proprio apice: “On rencontre dans ces charmantes sculptures tous les principes du haut style; la pureté du dessin, la justesse des mouvements, la variété des attitudes, l’ampleur et l’élégance des draperies, tout dénote dans son auteur un artiste qui avait dirigé ses

21 LABARTE Jules, Histoire des arts industriels, p. 20. 22 “Il ne paraît pas possible cependant que rien n'ait survécu du nombre immense de statues taillées ou fondues sous les successeurs de Constantin, et l’on serait tenté de croire que quelques-uns de ces ouvrages, sauvés de la destruction passent aujourd’hui pour des œuvres antérieures à la décadence de l’art”, Ibidem.

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études vers les belles œuvres de l’antiquité et qui y avait puisé ses inspirations”23. Il dato fonda-mentale era proprio l’origine antica di Bisanzio: Labart vedeva nell’arte di Costantinopoli – che aveva ripreso dall’antica tradizione quanto vi era di meglio, aggiornandolo – l’unica vera e splendida erede di Roma. Si trattava, secondo lo studioso, di un’impresa tanto più importante, in quanto essa si opponeva alla decadenza occidentale:

Les malheurs qui avaient accablé l’Italie dès le commencement du cinquième siècle y avaient amené à un tel point la décadence de l’art (…) Constantinople a été seule en possession, en Europe, de la fabrication des émaux jusque dans la seconde moitié du onzième siècle. Si quelques émaux ont paru en Italie à la fin du huitième et au commencement du neuvième, il y a lieu de croire qu'ils ont été faits par des artistes grecs émigrés ou par leurs élèves. Postérieurement et jusqu'au temps de Didier, abbé du Mont-Cassin (1068), l’Italie n'a connu que ceux qui étaient importés de Constantinople24.

La tesi forte, che sarà ribadita più volte dallo

studioso, è quindi quella di una supremazia evidente dell’arte di Bisanzio su quella occidentale per tutto il primo millennio e fino alla fine del dodicesimo secolo. Bisanzio avrebbe raggiunto nelle arti “industriali” un apice assoluto nel decimo secolo: “Le peintre enrichissait les manuscrits de miniatures ou fournissait des cartons aux

23 Ivi, p. 32. 24 Ivi, p. 32.

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mosaïstes; le sculpteur s’était fait orfèvre, fondeur en bronze, ciseleur sur métaux, ou s’adonnait à la sculpture de petite proportion sur ivoire. Par suite de cet entraînement que favorisait le goût du luxe, les arts industriels atteignirent à cette époque au plus haut degré de perfection”25. La sua superiorità rispetto all’Occidente si mantenne però stabile anche quando, nel corso dell’undicesimo secolo, cominciò a Bisanzio un lento declino26.

Per Labart, però, il vero disastro fu causato dall’Occidente: prima le crociate e poi la paura dei chierici bizantini, che temevano che le “libertà” delle arti occidentali potessero contaminare l’arte bizantina, portarono a una regolamentazione eccessiva di tutta la produzione artistica:

La crainte que conçurent les évêques de l’Église grecque de voir les artistes de l'école byzantine subir sur ce point l’influence des Latins les engagea sans doute à rendre plus sévères les lois qui leur défendaient de s’écarter des règles prescrites par la discipline ecclésiastique. Il y a mieux, et pour empêcher tout écart, on pensa à rédiger un livre où seraient décrits avec précision les sujets de la symbolique et de l’histoire religieuse que l'art pourrait reproduire, où tout serait indiqué, jusqu’au caractère des figures et au libellé des inscriptions qui devaient les accompagner. Ce code devint dès lors et pour toujours la règle invariable des artistes de l’école orientale27.

25 Ivi, p. 48. 26 Ivi, p. 48; 52. 27 Ivi, p. 59.

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Quanto perciò visto in Grecia da Didron era per Labart la triste realtà prodotta dal Duecento. Corrotta dal violento incontro con l’arte occi-dentale, l’estetica bizantina visse un profondo mutamento che la trasformò da arte in artigianato.

Nella conclusione della sua introduzione teorica, Labart tornò quindi a ribadire la sua tesi centrale: nell’ambito della produzione “indus-triale”, l’arte bizantina mantenne il primato assoluto fino al dodicesimo secolo. Labart si riprometteva quindi di mostrare, nel corso del suo scritto, la superiorità dell’estetica greca, erede di quella antica.

Nous venons de retracer succinctement la marche de l’art dans l’empire d’Orient depuis la fondation de Constantinople jusqu'à la chute de l’empire sous les coups des Turcs, et dans les chapitres qui vont suivre nous allons dire ce qu’ont fait les Byzantins dans les arts industriels. Tout en reconnaissant que ces arts ont été cultivés en Occident par intervalles, durant de courtes périodes, aux époques mérovingienne et carolingienne, nous croyons pouvoir démontrer que les Grecs ont possédé une immense supériorité sur tous les autres peuples de l’Europe jusqu’au onzième siècle, et que c'est à eux qu'on eut recours en Occident lorsqu’on a voulu restaurer le culte de l’art, à la fin du huitième siècle d’abord, et plus tard à la fin du dixième28.

Al contrario di Didron, Labart vedeva pertanto nella produzione orientale l’apice dell’arte medievale. La sua chiave di lettura però era in

28 Ivi, p. 61.

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fondo simile a quella del suo predecessore: quanto c’è di meglio nell’arte corrisponde ai criteri romantici di libertà e di inventio – l’art pour l’art – arricchiti dall’estetica tradizionale ellenistica del mondo antico. Così Labart descrive l’arte al suo apice: “l’art, ce grand art inspiré d’en haut, (…) vit de sa propre vie sans préoccupations vénales, sans arrière-pensée matérielle”29. Detto in altri termini, se Didron, osservando la pittura orientale, parlava di un’estetica decadente senza inventio, concentrandosi sulle arti preziose, Labart cercò dimostrare quanto in realtà l’Oriente bizantino avesse al contrario saputo mantenere i criteri d’arte antichi. Fu quindi soltanto lo scontro con l’Occidente a portare quest’arte meravigliosa alla decadenza. Accettando in fondo le tesi di Didron sull’estetica “decadente” di una certa arte bizantina, Labart attirò l’attenzione della critica sull’esistenza di un secondo gruppo di opere, che dovevano essere percepite in maniera ben diversa a causa della loro matrice antica. Più che riflettere su un’estetica propria all’arte di Bisanzio, però, egli meditò sulla valenza di una tradizione ellenistica aggiornata dal mondo bizantino.

Resta aperta la questione circa il perché di quella sorta di “conversione” per Bisanzio che l’erudito e autodidatta Labart visse negli anni cinquanta. Per dare una risposta convincente a questa domanda sarà necessario compiere un lavoro importante negli archivi, in particolar modo

29 Ivi, p. 48.

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al Département des manuscrits della Bibliothèque Nationale de France dove è conservata la corrispondenza dello studioso30. In questa sede vorrei perciò limitarmi a osservare quanto curiosa appare la coincidenza tra il grande interesse per l’arte dell’impero orientale, il taglio che Labart dà al suo ragionamento e la situazione politica francese che vede a capo del paese un imperatore: Napoleone III. L’arte e la cultura del Second Empire sono chiaramente dominate da un’estetica classicista; nella produzione religiosa, però, sono presenti rimandi a Bisanzio31. Questi erano visibili in particolare della cappella in stile neo-bizantino voluta dello stesso imperatore ed eseguita da Sébastien Cornu, oggi scomparsa32. Restano però alcune parti di una seconda cappella affrescate nello stesso stile da Alexandre Denuelle e Louis Steinheil. Da ultimo, l’estetica neo-bizantina caratterizza il progetto di decorazione di Saint-Germain-dès-Près. Esiste poi una serie di oggetti minuti che rispecchia lo stesso gusto. Inoltre, nei panegirici che lo celebravano, grazie alla comunemente accolta tesi della Translatio

30 Per i riferimenti agli archivi cfr. TOMASI, Labarte, Jules. 31 Per l’arte di quegli anni cfr. The second Empire. Art in France under Napoléon III, catalogo a cura di Arnold Jolles, Frederick J. Cummings, Hubert Landais (Philadelphia, Museum of Art, 1 ottobre – 26 novembre 1978; Detroit, Institute of Arts, 15 gennaio – 18 marzo 1979; Paris, Grand Palais, 24 aprile – 2 luglio 1979), Philadelphia 1978; GRANGER Catherine, L’Empereur et les arts: la liste civile de Napoléon III, Paris 2005. 32 IVI, pp. 70, 230.

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imperii33, Napoleone III era presentato come il successore di un’ininterrotta linea imperiale che da Roma si spostò a Bisanzio e quindi ad Aquisgrana prima di giungere in Francia34. Contrariamente alle tesi del secolo precedente, la tappa bizantina non era più percepita come negativa, bensì come un passo essenziale per mantenere viva l’eredità imperiale. Infine, gli studi sull’architettura medievale di quegli stessi anni sviluppano l’idea di un’origine bizantina per l’architettura in Aquitania35. La tesi centrale di Labart secondo cui la romanità è elemento caratterizzante dell’arte bizantina per tutto il primo millennio, sembra così trovare per lo meno un contesto fertile. Come ha dimostrato Jean-Michel Spieser, non sarebbe la prima volta che da un sovrano francese – nell’altro caso era Luigi XIV

33 Secondo questa tesi, definita fin dall’inizio del IX secolo, Carlo Magno era stato consacrato imperatore come successore dell’impero bizantino, perché L’Oriente aveva perso la legittimità dando il potere imperiale a una donna, l’imperatrice Irene cfr. AUZÉPY Marie-France, Introduction, in Byzance retrouvé. Érudits et voyageurs français [XVIe-XVIIIe siècles], catalogo a cura di Marie-France Auzépy e Jean-Pierre Grélois (Paris, Chapelle de la Sorbonne, 13 agosto-2 settembre 2001), pp. 16-19; p. 16. 34 DUNANT Henry, L’empire de Charlemagne rétabli ou le Saint-Empire romain reconstitué par Sa Majesté l’Empereur Napoléon, Genève 1859, pp. 37-45. 35 THOMINE Alice, L’art d’Orient/Art d’Occident. Les débats sur l’apport oriental dans l’architecture médiévale française au XIXe siècle, in Histoire de l’histoire de l’art en France au XIXe siècle, a cura di Roland Recht, Philippe Sénéchal, Claire Barbillon, François-René Martin, Paris 2008, pp. 323-336.

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– venisse, attraverso il suo interesse per Bisanzio come successore e mediatore della tradizione romana, l’impulso per la nascita degli studi di Du Cange36.

Il primo studioso francese che cercò di riflettere sull’estetica anti-classica presente nell’arte bizantina, fu così Viollet-le-Duc (fig. 3) che con-centrò la sua attenzione – per quanto riguarda le arti figurative – a quello che ci appare oggi come il cuore stesso dell’arte dell’Oriente cristiano: la pittura votiva su legno, detta “icona”37. Nonostante le riflessioni dell’architetto e teorico francese fossero dedicate all’arte russa, esse costituirono una tappa importante nella ricezione di tutta la cultura figurativa bizantina38. Egli cercò, infatti, di interrogarsi sulle ragioni della nascita di

36 SPIESER Jean-Michel, En guise d’introduction: Byzance et l’Europe, in Présence de Byzance, a cura di Jean-Michel Spieser, Gollion 2007, pp. 7-29; pp. 12-13. 37 Per la storiografia dell’icona e la sua ricezione in Occidente cfr. i recenti studi di FOLETTI Ivan, Da Bisanzio alla Santa Russia. Nikodim Kondakov (1844-1925) e la nascita della storia dell'arte in Russia, Roma 2011, pp. 81-91; 99-101; 169-172 e BACCI Michele, Vieux clichés et nouveaux mythes: Constan-tinople, les icônes et la Méditerranée, in “Perspective”, 2012, 2, pp. 347-364. 38 VIOLLET-LE-DUC Eugène Emmanuel, L’art russe, ses origines ses éléments constitutifs, son apogée son avenir, Paris 1877, il volume è stato in particolare studiato da OUZOF Philippe, Controverse autour de ‘l’Art Russe’ de Viollet le Duc, in Les monuments historiques de la France, XI, 1965, pp. 99-102; T.F. SAVARENSKAJA, Le livre de Viollet le Duc ‘L’art Russe’, in Actes du Colloque International. Viollet le Duc (Paris 1980), Paris 1982, pp. 319-323.

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un’estetica “espressiva”, adottata in Russia e a Bisanzio, partendo dal postulato che si trattasse di scelte razionali e non del risultato di limiti artigianali. In questo senso Viollet-le-Duc si interrogò sulla fortuna e sulle ragioni dello sviluppo del culto delle icone in Russia.

Lorsque les moines s’en allaient à travers les forêts et les marais, qui couvraient ces vastes contrées, pour faire pénétrer les lumières du christianisme au milieu des populations rurales demeurées longtemps à l’état sauvage, ils apportaient dans ces nouveaux centres des principes d’art qui demeuraient nécessairement stationnaires. (…) Mais il fallait parler aux yeux de ces populations; aussi l’iconographie sacrée de répandit-elle d’assez bonne heure en Russie. C’était une lecture des textes qu’on offrait à ces esprits grossiers. Et, pour que cette lecture fût toujours compréhensible, il était nécessaire de ne rien changer à la forme des images39.

Nel contesto della grande Russia, dove il cristianesimo doveva illuminare le popolazioni selvagge, l’icona non poteva che essere l’eco dei testi religiosi. La stabilità della sua forma e la sua semplicità si spiegavano proprio in questo modo: per restare comprensibile essa non doveva essere mai modificata. Come Didron, Viollet-le-Duc vedeva le immagini orientali come qualcosa d’immobile, di estremamente semplificato. Tutta-via a suo modo di vedere si trattava di una scelta pedagogica. Il celebre architetto francese si spinse però ancora più lontano: nella situazione

39 VIOLLET-LE-DUC, L’art russe, ses origines, p. 96.

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geografica russa − caratterizzata dalla presenza di comunità sparse e distanti in un immenso territorio − queste immagini semplici ed essenziali avevano una funzione socio-aggregativa, essen-ziale per garantire l’identità “nazionale” russa:

L’image, pour le Russe, c’est le lien qui unit les membres de la nation, c’est quelque chose d’équivalent au drapeau, c’est le langage compris de tous (…) les Icônes se trouvent partout en Russie (…) elle sont le symbole du patriotisme et, par cela même, on ne saurait pas plus les modifier qu’on ne modifie un blason40.

L’icona diventa quindi lo stendardo dell’identità russa. Essa non poteva essere modificata come non può essere cambiata una bandiera. Per Viollet-le-Duc le ragioni dell’estetica iconica si spiegavano infine anche con motivazioni morali. Per evitare di esaltare gli spiriti rozzi della grande Russia era necessario “exclure toute idée de sensualisme et se rapprocher le plus d’un type extrahumain, n’ayant rien des passions et des appétits de l’homme barbare (…) [l’]Art, [est un] moyen de moraliser la foule41.

In sintesi, la Russia scelse l’immagine “espressiva” bizantina perché era quella che meglio si addiceva alla situazione del suo popolo che doveva essere educato, che aveva bisogno di semplici stendardi identitari e che necessitava di

40 Ivi, p. 97. 41 Ivi, p. 98.

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una formazione morale. Nonostante Viollet-le-Duc non parli in dettaglio della situazione bizantina, alla cui cultura la Russia aveva attinto, la sua brevissima descrizione indica, però, una filiazione diretta: “Byzance avait prétendu (…) immobiliser l’art”42.

Non è oggi possibile sapere quali immagini russe Viollet-le-Duc avesse visto, ma con ogni probabilità doveva trattarsi di immagini dipinte tra il Settecento e l’Ottocento, ben diverse quindi dalle icone medievali (figg. 4-5)43. Ciononostante, per un intellettuale occidentale queste immagini, considerate come occidentalizzate (e quindi decadenti) da parte dei vecchi credenti in Russia, erano l’emblema della stabilità di gusti e di forme orientali. Secondo lo studioso francese immagini tanto rozze non possono che essere il frutto di una voluta manipolazione. Il dato importante per noi è, però, che egli riconobbe loro una grande efficacia come mezzo di comunicazione e di educazione. Le immagini orientali restano pertanto “inferiori” a quelle dell’Occidente da un punto di vista estetico. Sul piano concettuale, però, sono frutto di un’abile

42 Ivi, p. 103. 43 Per le icone così come erano visibili nel corso dell’Ottocento, spesso ridipinte cfr. MURATOVA Xenia, La riscoperta delle icone russe e il ‘revival’ bizantino, in Arti e storia del Medioevo. Volume quarto: Il Medioevo al passato e al presente, a cura di Enrico Castelnuovo e Giuseppe Sergi, Torino 2004, pp. 589-606; MEDVEDKOVA Olga, Les icônes en Russie, Paris 2010, pp. 11-16; FOLETTI, Da Bisanzio alla Santa Russia, pp. 55-57 e pp. 117-123.

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scelta retorica che bene esprime l’identità nazionale russa. In questo senso, per Viollet-le-Duc, si trattava delle immagini ideali per rappresentare un popolo e il suo ruolo nella storia:

Après avoir peint ou sculpté des images comprises de tous ; quand une nation, disons-nous, est parvenue, de cet ensemble, à composer un tout harmonieux, elle possède l’art, et certes la Russie réunissait ces conditions aux XV siècle (…) les branches de l’art (…) donnaient l’empreinte exacte de cette civilisation particulière, intermédiaire entre le monde asiatique et le monde occidentale, et dont le rôle devait être et sera probablement le lien entre ces deux mondes.

Il n’y avait donc aucune raison d’abandonner cet art, il y en avait beaucoup de le conserver et de le développer conformément au génie qui l’avait su constituer de tant d’éléments divers44.

Quasi dieci anni dopo lo scritto di Viollet-le-Duc, nel 1886, fu stampato in Francia il primo volume dedicato integralmente all’arte bizantina (fig. 6). Scritto da Charles Bayet (1849-1918), conteneva un’introduzione che chiariva inequivocabilmente la posizione adottata45.

L’art byzantin a été tour à tour attaqué et fort prôné.

Pendant longtemps on ne s’en est guère occupé que pour lui prodiguer des épithètes désobligeantes; le mot

44 VIOLLET-LE-DUC, L’art russe, ses origines, p. 108. 45 Cfr. HEID Stefan, Charles-Marie-Adolphe-Louis Bayet, in Personenlexikon zur christlichen Archäologie, 2 voll., a cura di Stefan Heid e Martin Dennert, Regensburg 2012, I, pp. 142-143.

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même de byzantin, qu’il s’agissait de peinture ou de politique, éveillait aussitôt des idées fâcheuses. Il était établi qu’on désignait par là un art qui n’avait créé que des types laids et disgracieux et qui, condamné à l’immobilité dès sa naissance, n’avait su ni progresser ni se transformer (…)

Un point est digne de remarque: détracteurs et apologistes ont souvent suivi la même méthode; avant de parler des rapports de l’art byzantin avec les autres arts, beaucoup ne se donnent point la peine de l’étudier chez lui et dans ses œuvre. C’est à cette tâche que sera consacré se livre, où les controverses dangereuses tiendront peu de place: on s’y occupera surtout de ce qui s’est passé en Orient46.

A differenza dei fanatici oppositori e dei ciechi partigiani di Bisanzio, Bayet voleva così proporre uno studio “scientifico”, che non entrasse nel merito di pericolosi giudizi di valore. Nonostante questa ambizione non si realizzi a mio parere integralmente, Bayet scrisse comunque un testo di grande qualità. Ripercorrendo le diverse tappe dell’arte dell’Oriente cristiano egli definì con chiarezza le sue relazioni con la cultura ellenistica e con quella romana. Uno dei maggiori meriti del lavoro fu, inoltre, quello di sfaldare il mito di una Bisanzio immobilizzata:

On s’imagine volontiers que l’école byzantine s’est toujours soumise à une monotone uniformité, travail-lant d’après des règles immuables. Rien n’est plus contraire à la vérité pour l’époque dont on s’occupe: si

46 BAYET Charles, L’art byzantin, Paris 1886, pp. 5-6.

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partout un même esprit anime et dirige l’art, il se traduit cependant sous formes diverses qui attestent l’activité ingénieuse des artistes47.

Bayet era certamente cosciente del fatto che, progressivamente, la corrente dominante dell’arte bizantina si orientò verso una simmetria ieratica. Lo studioso spiegava però questa soluzione come il risultato di uno slancio estetico avvenuto presso gli artisti che, innamoratisi dell’equilibrio, crea-rono delle composizioni ideali per la decorazione delle chiese48. Questa dinamica è poi completata da un’iniezione costante di ellenismo: anni prima che Ernst Kitzinger riflettesse sulla nozione di Peren-nial Hellenism49, Bayet osservando la processione delle vergini a Sant’Apollinare Nuovo, scriveva:

Involontairement on se prend à songer à l’antiquité classique et à certaines œuvre d’une incomparable perfection, mais où dominait ce même esprit d’ordre et d’harmonie qu’on retrouve ici. Depuis ces beaux temps de l’art grec, bien des qualités se sont perdues; pourtant, en face de ces mosaïques, on sent par quels liens le présent se rattache au passé50.

47 Ivi, p. 52. 48 Ivi, p. 61. 49 Per l’elaborazione di questa nozione cfr. KITZINGER Ernst, The hellenistic heritage in Byzantine art, in “Dumbarton Oaks papers”, XVII, 1963, pp. 95-116. Per una sua discussione critica NORDHAGEN Jonas, The use of antiquity in early Byzantium: Ernst Kitzinger’s thesis on the ’perennial Hellenism’ of Costantinople, in “Bizantinistica: rivista di studi bizantini e slavi”, IX, 2007 [2008], pp. 61-71. 50 Ivi, p. 66.

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Bayet si mostra quindi singolarmente

perspicace nel guardare a Bisanzio come a un luogo di sopravvivenza della concezione dell’arte ellenistica. Le categorie secondo le quali lo studioso rifletteva sulla qualità erano però ovviamente determinate dal mito dell’arte ellenistica come apice estetico. Di conseguenza quanto c’era di migliore nella produzione bizantina era proprio ciò che traeva le sue origini dalla tradizione antica. Più l’artista bizantino si allontanava da questa tradizione, minore era la qualità della sua produzione:

Les artistes byzantins exagèrent la symétrie de leurs compositions, ils ont moins de souplesse et de délicatesse, une conception moins facile et moins vivante du beau; n’importe, ils ont encore appliqué quelques unes des règles principales de l’esthétique ancienne, et cela suffit pour donner à leurs productions une valeur singulière51.

Lo studioso francese non si limitò però a vedere nell’arte bizantina gli echi di una tradizione antica. Egli considerò fondamentali anche gli apporti di altre culture, come quella della Persia. Bayet si espresse infine anche sulla stabilizzazione dei modelli nella pittura medio bizantina. La spiegazione che diede del fenomeno è singolar-mente simile a quella di Viollet-le-Duc: per “convincere” il popolo, l’arte religiosa doveva

51 Ivi, p. 103.

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essere semplice e stabile nei suoi modelli. Bayet si spinse, però, ancora più lontano:

D’ailleurs, il y a dans cette répétition même une

réelle grandeur: à une religion considérée comme immuable il faut des formes artistiques qui ne changent point à la merci de la mode (…) [là] où il doit dominer l’idée d’éternité, il convient que l’art y porte notre âme par l’éternité appartenant de ses traditions52.

Descrivendo l’impero all’apice del suo

splendore – che si situava a suo parere tra la dinastia macedone e i primi Comneni – Bayet descrisse una capitale meravigliosa, centro di cultura, istruzione e arti. In questo ambiente egli situò naturalmente una nuova ondata di ellenismo che sarebbe stata più tardi chiamata “Rinascimento Macedone” (fig. 7).

Depuis Justinien, l’art s’était développé avec un caractère d’uniformité majestueuse et, pour employer un mot qu’il est plus facile de comprendre que de définir, il était devenu hiératique. Au IXe siècle et dans la première moitié du Xe, si on consulte les miniatures, il semble transformé, et apparaît plus vivant et plus naturel53.

In questo contesto di “rinascimento” Bayet rifletté, con grande raffinatezza, sulla coesistenza di due stili e di due estetiche diverse in seno all’impero: quella ellenistica della capitale e quella

52 Ivi, p. 105. 53 Ivi, p. 152.

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più ieratica e tradizionale dei monasteri. Per esemplificare il suo ragionamento, Bayet indicò due manoscritti conservati alla Bibliothèque Nationale de France, quasi contemporanei, dove la variazione tra gli stili è evidente. Si tratta delle omelie di Gregorio Nazianzeno (Gr. 510) e del Salterio di Parigi (Gr. 139). Entrambi prodotti a Costantinopoli, questi manoscritti sarebbero, secondo lo studioso, emblematici per le due estetiche: la prima determinata dalla percezione religiosa dell’immagine e della sua funzione, la seconda legata al raffinato ambiente di corte54.

Le conclusioni dello studioso francese sono quindi molto chiare: egli presenta l’arte bizantina come un alternarsi di gusti e stili diversi. Nel IX e nel XIII secolo vi furono almeno due importanti ritorni a modelli e sensibilità di stampo ellenistico, mentre tutto il millennio bizantino fu carat-terizzato da una sensibilità per delle immagini simmetriche e ieratiche. Bayet ne spiega l’estetica attraverso le esigenze religiose di un’arte monastica. Egli conclude quindi il suo volume con le seguenti parole:

L’art byzantin n’a donc point connu cette constante uniformité que souvent on lui attribue; comme d’autres il a eu ses jours d’enfance et de jeunesse, de maturité et de décadence. Peut-être même son histoire présente-t-

54 Ivi, pp. 153-164.

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elle une variété remarquable; à plusieurs reprises il s’est relevé alors qu’il paraissait déjà faiblir55.

Nel suo testo Bayet resta, in parte, ancorato alla tradizione classicista dell’Ottocento: quanto c’era di meglio nell’arte bizantina derivava dalla tradizione ellenistica. Il suo studio aprì, però, orizzonti realmente nuovi: egli negò l’idea di un’uniformità nell’arte bizantina e sottolineò le ragioni storiche dell’esistenza di uno stile che definisce come ieratico e simmetrico, espressione della stabilità spirituale dell’ortodossia.

Dato interessante, lo scritto di Bayet non incise sugli studi quanto ci si sarebbe aspettato: probabilmente per ragioni di moda, Bisanzio sarebbe diventata un soggetto di studio attuale soltanto un decennio più tardi56.

In Francia, comunque, da Didron a Bayet, la percezione dell’estetica orientale cambiò: se gli studi di Didron considerano tutta l’arte bizantina un’identica produzione priva di sentimento artistico, i lavori di Labarte e Bayet ruppero con questa visione. Nel mondo bizantino vi erano certamente, per quest’ultimo, momenti di deca-denza, ma anche momenti di gloria assoluta. Fu nell’arte bizantina che sopravvisse, per secoli, la finezza ellenistica e fu sempre a Bisanzio che le arti

55 Ivi, p. 317. 56 GIRARD Paul, Éloge funèbre de M. Charles Bayet, correspondant français de l’Académie, in “Comptes-rendus des séances de l’année 1819 - Académie des inscriptions et belles-lettres”, LXII, 1918, 5, pp. 324-326.

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preziose raggiunsero il loro apice. A questo dibattito si aggiunse l’argomento di Viollet-le-Duc: anche nei momenti di decadenza l’estetica essenziale e anti-classica di Bisanzio aveva un significato, si trattava di educare il popolo e di fornirgli degli elementi di identificazione identitaria chiari e stabili.

Essere Russo, essere bizantino

Per comprendere la posizione dell’intellighen-zia Russa nei confronti dell’estetica bizantina nel corso dell’Ottocento è importante ricordare che, indipendentemente da giudizi legati alla pro-duzione artistica, la Russia si considerava come erede religiosa e culturale della Bisanzio scomparsa. La diretta filiazione della Russia da Bisanzio faceva parte dell’ideologia ufficiale dello stato russo fin dalla metà del XV secolo quando, dopo il concilio fiorentino57 e la caduta di Costantinopoli, era nata la dottrina di Mosca quale terza Roma, erede della seconda58. Quest’ideologia dilagò sotto il regno di Alessio I Romanov (1654-1674), quando si prospettò concretamente l’obiettivo di una crociata contro gli infedeli

57 Il concilio di Firenze e Ferrara ebbe luogo tra il 1431 e il 1439. 58 VODOFF Wladimir, L’idée imperiale et la vision de Rome à Tver’ XIVe-XVe siècles, in Roma, Costantinopoli, Mosca: seminario, 21 aprile 1981, atti del convegno "da Roma alla terza Roma" (Roma, 21-23 aprile 1981), Napoli 1983, pp. 475-493.

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turchi59. Tra l’inizio del XVIII e l’inizio del XIX secolo questa visione divenne però meno diffusa. Le ambizioni russe sulla scena internazionale restavano grandi, ma la relazione con Bisanzio sembrava parzialmente dimenticata60. Quando, però, nel 1836 lo scrittore Piotr Čaadaev dichiarò che la matrice bizantina era all’origine del ritardo accumulato dalla Russia, venne ufficialmente considerato pazzo61. Proprio in quegli anni si assisteva, infatti, a una nuova ondata d’interesse per Bisanzio, la cui eredità tornò d’attualità con le guerre napoleoniche e soprattutto con la guerra d’indipendenza greca62. Verso la metà del XIX secolo, l’interesse politico si andava allargando anche alla sfera culturale. Riflettere in Russia sull’estetica di Bisanzio significava perciò meditare, per certi versi, sull’estetica del proprio passato mitico. In questo modo le riflessioni degli studiosi russi erano determinate dal loro posizionarsi sulla scacchiera politica tra slavofilia e occidentalismo.

59 TAMBORRA Angelo, La teoria politico-religiosa di ‘Mosca – Terza Roma’ nei secoli XVII-XIX: sopravvivenza e linee di svolgimento, in Ivi, pp. 517-539. 60 Ivi, pp. 527-528. 61 TCHADAAEV Piotr J., Lettres Philosophiques adressées à une dame, a cura di François Rouleau, Paris 1870, p. 56. Cfr. ugualmente TAMBORRA, La teoria politico-religiosa, p. 530. 62 Cfr. FOLETTI Ivan, Attrazione reciproca: la riscoperta dell’identità nazionale russa, le icone e le avanguardie, in Artisti russi tra Otto e Novecento. Atti delle conferenze e delle manifestazioni, a cura di Veronica Provenzale, Ascona 2012, pp. 28-41; 29-31.

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In questo senso è importante una delle prime testimonianze critiche a noi nota. Si tratta dello scritto di Ivan Petrovič Sacharov (1807-1863)63 in cui la pittura russa è concepita come il naturale proseguo di quella bizantina. Lo scopo del volume era di “svelare l’antica pittura ortodossa, portare questa grande arte al livello della cultura classica e studiare la sua storia lunga sette secoli”64. Sacharov considerava questo studio tanto più importante e necessario in quanto ai suoi occhi la pittura religiosa – tra Russia e Bisanzio – si opponeva con la sua natura ortodossa al “vuoto occidentale”, dove la pittura aveva perso il suo senso.

La posizione di Sacharov confermava quanto asserito qui sopra: il suo interesse per la pittura ortodossa era infatti dettato prima di tutto da ragioni patriottiche. In questo senso l’appar-tenenza a Bisanzio era altrettanto importante dell’opposizione all’Occidente. Dall’epoca di Pietro I (1672-1725) in poi, l’Occidente era stato percepito come il modello da imitare, un modello

63 Di formazione teologo e medico, Sacharov fu uno dei primi studiosi dilettanti a occuparsi in modo sistematico delle antichità russe. Con un approccio enciclopedico, egli si dedicò all’etnografia, allo studio del folklore, oltre alla paleografia, all’archeologia e, naturalmente, alla storia dell’arte. Cfr. Sakharov, Ivan Petrovitch, in Great Soviet Encyclopedia, 31 voll. a cura di Alexadre M. Prokhorov, New York – London 1979 (1a ed. Moskva 1976), XXIII, p. 233. 64 SACHAROV Ivan P., Issledovanie o russkom ikonopisanii [Studi dedicati alla pittura russa d’icone], 2 voll, St. Petersburg 1841-1849, I, p. 6.

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sia tecnico-scientifico che filosofico e artistico. In contrapposizione a questa percezione la Russia tradizionale era vista come un’entità arretrata e degna al massimo di un interesse folcloristico65. Dopo le guerre napoleoniche, però, le élite russe furono deluse da quell’Occidente tanto ammirato. Una parte dell’intellighenzia costituì allora la propria identità in opposizione alla cultura occidentale. Sacharov si schierava quindi per un’estetica bizantina, opponendola alla decadenza dell’Occidente. In realtà, però, le sue conoscenze di questa estetica erano estremamente limitate: coperte dalla patina di fumo secolare, da ri-vestimenti d’oro e d’argento e da ridipinture, le icone antiche non erano di fatto “leggibili”. Sacharov conosceva quindi, realmente, soprattutto le immagini dipinte nel corso del Settecento, in realtà profondamente occidentalizzate (fig. 4). La sua visione era perciò ideologica: senza una precisa idea dell’estetica bizantina – lo studioso identifica quaranta icone bizantine in Russia, risalendo a una loro datazione fin in epoca apostolica, ma si basa esclusivamente su racconti e scritti66 – l’estetica ortodossa era per Sacharov superiore a quella occidentale in quanto con-

65 Per l’ideologia dei primi occidentalisti cfr. FLOROVSKY Georges, Les voies de la théologie russe, Lausanne 2001 (1a ed. Paris 1937), pp. 249-254; PESKOV Alexei, La naissance du discours philosophique russe et l’esprit d’émulation (années 1820-1840), in “Romantisme”, XCII, 1996, pp. 67-78. 66 SACHAROV, Issledovanie o russkom ikonopisanii.

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fermava la superiorità dell’ortodossia e della sua cultura.

In quegli stessi anni l’estetica orientale fu og-getto dell’interesse di un altro personaggio di primo piano: l’archimandrita Porfirio Uspenskij (1804-1885)67. Quest’ultimo, dopo aver viaggiato molto negli anni Trenta e Quaranta in Grecia, Palestina e Egitto, raccolse una collezione assolutamente impressionante di icone databili dal VI al XVIII secolo, in maggioranza orientali68. Tornato in Russia, negli anni Cinquanta, egli volle costituire, con la sua collezione, una storia generale della pittura d’icone nell’Oriente cristiano69. Se questo obiettivo non fu interamente raggiunto, la sua collezione ebbe, però, il merito di riunire in Russia un insieme di straordinaria importanza, che includeva, tra le altre, quattro preziose icone ad encausto del VI e VII secolo. Come noterà Nikodim Kondakov (1844-1925), che fu nel 1902 incaricato di pubblicare la collezione,

67 Cfr. GERB Lev A., Porfirij Uspenskij: iz epistoljarnogo nasledija [Porfirij Uspenskij: dal lascito espitolare], in Mir Russkoj Vizantinistiki. Materialy archivov Sankt-Peterburga [Il mondo della bizantinistica russa. I materiali degli archivi di San Pietroburgo], a cura di Igor P. Medvedev, St. Peterburg 2004, pp. 8-21. 68 USPENSKIJ Porfirij, Vostok Christianskij: Egipet i Sinaj [L’Oriente Cristiano: l’Egitto e il Sinai], St. Peterburg 1857. 69 KODAKOV Nikodim P., Ikony sinajskoj i afonskoj kollekcij preosb. Porfirija, izdavaemija v lično im izgotovlennych 23 tablicach [Le icone della collezione sinaita e atonita del venerabile Porfirio, pubblicate in 23 riproduzioni da lui stesso eseguite], St. Petersburg 1902.

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la maggior parte delle icone era stata pesantemente ridipinta nel corso dei secoli70. Per Uspenskij e gli studiosi russi del secondo Ottocento, però, essa provava l’esistenza di una successione quasi ininterrotta, di tradizione estetica e iconografica in Oriente dall’epoca paleocristiana alla fine del Medioevo e fino all’epoca contemporanea. Il lettore l’avrà capito, il paradosso sta tutto nello stato di conservazione delle icone. Seguendo la tradizione orientale, esse venivano regolarmente pulite e ridipinte, rese “più fresche”, per riprendere i termini usati dai manuali di restauro71. Se l’icona antica conservava pertanto l’iconografia d’origine, a livello formale essa era tuttavia difficilmente leggibile. Come dimostra il caso dell’icona di Vladimir – restaurata nel 1918 – gli interventi cercavano di rispettare, per quanto

70 “Il fatto che l’icona non sia copia di un originale antico, ma che sia uno strato posteriore a coprire l’antica immagine sulla stessa tavola, è un dato che può essere ricavato dall’osservazione diretta dell’originale (non ve ne sono degli indizi nella fotografia), dove i capi dei santi (…) sono dipinti su un altorilievo. Si tratta di un dato che ci permette di dedurre che l’icona appartiene a quell’antico tipo di pittura bizantina (…) dove le figure e i capi erano resi con un rilievo di cera, poi coperti da colori. Sarebbe molto utile per gli studi dell’arte bizantina sottoporre l’icona a un’analisi particolare e, con l’aiuto di pittori di icone, togliere in alcuni punti la pittura moderna (…) che ha con ogni probabilità ricoperto una bellissima pittura antica”. KODAKOV, Ikony sinajskoj i afonsko, p. 10. 71 Per il tradizionale restauro in Russia cfr. KLOKOVA Galina, Il restauro delle icone in Russia, in L’immagine dello spirito. Icone dalle terre russe, Milano 1996, pp. 47-52.

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possibile, lo strato sottostante (figg. 8-9). Dopo quattro o cinque “aggiornamenti”, però, l’icona esprimeva oramai una maniera completamente diversa e moderna. A mio modo di vedere, il mito della grande continuità estetica tra il mondo tardo antico e quello post-bizantino era in Russia, dove quasi non esistevano composizioni monumentali antiche, determinato dallo stato di conservazione delle immagini medievali. Anche se tale estetica non suscitava l’entusiasmo presso i ceti colti, essa veniva accettata per le ragioni qui sopra elencate: rappresentava un tratto identitario della cultura russa e ortodossa. La linea ufficiale era quindi quella di un’accettazione dell’estetica bizantina come di un canone assoluto. Riguardo alle élites, la questione era più complessa. Nelle sue memorie, scritte nel 1920, Nikodim Kondakov ricorda che ancora all’inizio degli anni Settanta parlare d’arte bizantina era considerato in buona società quasi inopportuno e imbarazzante data la “bruttezza” di tale espressione artistica72. In altri termini l’ideo-logia ufficiale era chiaramente filo-bizantina, come lo dimostrano anche la scelta dello stile neo-bizantino come stile ufficiale dell’Impero73. Le élite, però, impregnate di estetica classicista,

72 KONDAKOV Nikodim P., Vospominanija i dumy [Ricordi e considerazioni], Praha 1927, p. 71. 73 KIRITCHENKO Evgenia, Style russe et néo-russe, 1880–1910, in L’art Russe dans la seconde moitié du XIXe siècle: en quête d’identité, catalogo della mostra (Paris, Musée d’Orsay, 19 settembre 2005–8 gennaio 2006), Paris 2005, pp. 129-151.

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consideravano decadente questo stile semplificato e relativamente rozzo.

Spostandoci ora agli anni sessanta – momento che coincide in Russia con la nascita della storia dell’arte come disciplina moderna – vorrei soffer-marmi rapidamente sulle osservazioni formulate riguardo all’estetica Orientale da Fedor Buslajev (1808-1897), padre degli studi russi sull’arte medievale74. Riflettendo sulla nascita dell’arte russa e sulla sua relazione con Bisanzio, Buslajev osservò che nel corso dei primi quattro secoli, l’arte russa aveva un carattere bizantino. Le prime immagini erano eseguite direttamente dai maestri greci e in seguito dai loro allievi slavi. Il dato fondamentale per noi è però un altro: i modelli usati dai maestri russi erano sì delle immagini bizantine, ma quelle di qualità inferiore perché nel corso del XI secolo l’arte bizantina era già all’inizio della sua decadenza75. Inoltre, gli stessi maestri

74 Per la figura di Buslajev come storico dell’arte cfr. KONDAKOV, Vospominanija i dumy, pp. 27-28; VERNADSKY Grigorij V., Nikodim Pavlovič Kondakov, in Recueil d’études, dédiées à la mémoire de N.P. Kondakov, Praha 1926, pp. I-XXX; p. X e soprattutto KYZLASOVA Irina L., Istorija izučenija vizantijskogo i drevnerusskogo iskusstva v Rossii. F.I.Buslajev, N.P. Kondakov: metody, idei, teorii [La storia dello studio dell’arte bizantina e russa antica in Russia. F.I. Buslajev, N.P. Kondakov: metodi, idee, teorie], Moskva 1985. 75 BUSLAJEV Fedor I., Obšije ponjatia o russkoj ikonopisi [Per una comprensione generale della pittura di icone russa], in Sočinenija po archeologii i istorii iskusstva [Scritti di archeologia e storia dell’arte], 2 voll., St. Peterburg 1908-1910 (1a ed. Moskva 1866), I, pp 4-5.

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russi proseguirono questa tendenza: “Gli imitatori russi dei maestri stranieri (…) limitandosi a un certo numero di modelli bizantini (…) non facevano che rovinare (…) lo stile bizantino da loro seguito”76. Lo stato decadente dell’arte bizantina nel corso del XII secolo si spiegava d’altronde con un movimento più largo: “La rovina degli stili paleocristiano e bizantino da parte dei barbari medievali, nota sotto la denominazione di stile romanico, è stata un movimento generale in tutta l’Europa: in Occidente continua fino al XII secolo; in Russia, più giovane a livello della civilizzazione e priva di monumenti antichi e classici, fino al XV secolo, incluso”77. Per Buslajev, insomma, la qualità della pittura russa era scadente, visto che si trattava del proseguo della decadenza del mondo bizantino, allontanatosi definitivamente dai modelli antichi, ancora vivi nell’arte paleocristiana. Si trattava di un ragionamento molto simile a quello articolato in ambito francese da Charles Bayet e soprattutto da Jules Labart: quanto c’era di buono nell’estetica orientale era la sua eredità ellenistica. Più ci si allontanava da tali criteri e minore era la qualità. Nel suo ragionamento Buslajev era pertanto agli antipodi di quanto scritto da Sacharov. E non a caso la formazione e le posizioni di Buslajev erano opposte a quelle di Sacharov: filologo e storico dell’arte, Buslajev era stato formato con criteri occidentali, studiando

76 Ivi, p. 4. 77 idem.

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l’arte e di letteratura italiane, Sacharov aveva invece una formazione di teologo e medico. Il primo si considerava Occidentalista, il secondo ragionava come uno slavofilo. Certo, queste categorie sono un po’ strette e in parte anche schematiche; mi sembra però che, in linea di massima, le conclusioni alle quali ci portano sono abbastanza fedeli alla realtà78. In Russia, fino agli anni Sessanta, l’arte bizantina era considerata come espressione identitaria per il campo che vedeva nella tradizione ortodossa – teologica, culturale e politica – la vera forza del paese. Nelle cerchie vicine al potere, civile e religioso, l’arte “bizantina” era accettata proprio perché sembrava rappresentare i criteri di stabilità e tradizione cari al discorso autocratico. Tra gli intellettuali, però, i gusti estetici diffusi erano comuni a quelli dei loro colleghi Occidentali: quanto vi era d’interessante nell’arte bizantina era la tradizione antica.

Negli anni settanta queste posizioni persistet-tero ma si fecero più complesse con l’emergere della figura di Nikodim Kondakov, emblematica

78 Per il dibattito tra slavofili e occidentalisti cfr. il riassunto in ambito letterario di NEUHÄUSER Rudolph, La critique russe des années 1830-1840, in Histoire de la littérature russe. Le XIXe siècle. L’époque de Pouchkine et de Gogol, a cura di Efim Etkind, Georges Nivat, Ilya Serman e Vittorio Strada, Paris 1996, pp. 863-920 e CHRISTOFF Peter, La Renaissance culturelle russe des années 1830 e 1840, in Ivi, pp. 921-1004. La situazione politica è riassunta da HELLER Michel, Histoire de la Russie et de son Empire, Paris 1997, pp. 707-726.

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per gli ultimi decenni del secolo (fig. 10)79. Contra-riamente al suo maestro Buslajev, che si dichiarava occidentalista80, le posizioni di Nikodim Kondakov sono molto più difficili da stabilire. Prima di esporre, perciò, le sue riflessioni riguardo all’estetica bizantina, mi sembra importante ricor-dare brevemente i possibili elementi di condizio-namento.

Si tratta, in primo luogo della situazione eco-nomica e sociale di Kondakov: rispetto agli studiosi di una generazione anteriore, fin dall’inizio della sua carriera, egli percepiva un buon salario che ne faceva un professionista a pieno titolo81. Di origini modeste, Kondakov non aveva inoltre un patrimo-

79 Sulla figura di Kondakov cfr. gli studi maggiori di KYZLASOVA, Istorija izučenija vizantijskogo i drevnerusskogo; EAD., Istoria otečestvennoj nauki ob iskusstve Vizantii i drevnej Rusi 1920-1930 gody. Po materialam archivov [La storia degli studi patriottici dedicati all’arte di Bisanzio e della Russia antica 1920-1930. Sulla base dei materiali d’archIvio], Moskva 2000; TUNKINA Irina V., Materiali k biografii N.P. Kondakova [Materiali per la biografia di N.P. Kondakov], in Nikodim Pavlovitch Kondakov, 1844-1925. Ličnost’, naučnoe nasledie, archiv. K 150-letiju so dnja roždenia, [Nikodim Pavlovič Kondakov, 1844-1925. Personalità, eredità accademica, archivio. In occasione dei 150 anni dalla sua nascita], catalogo della mostra (Museo Nazionale Russo), Moskva 2001, pp. 9-23; MURATOVA Xenia, Kondakov ou Kondakoff Nikodim Pavlovitch, in Dictionnaire critique d’iconographie occidentale, Rennes 2003, pp. 487-489; FOLETTI, Da Bisanzio alla Santa Russia. 80 KONDAKOV, Vospominanija i dumy, p. 27. 81 A questo proposito rinvio al mio studio Da Bisanzio alla Santa Russia, pp. 35-36.

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nio proprio82. In questo senso, e per forza di cose, egli era leale allo stato autocratico che non sol-tanto lo retribuiva, ma che gli permise altresì, gra-zie alle riforme promosse da Alessandro II, di rag-giungere gli strati più alti della società83. A questa lealtà nei confronti del potere che, come abbiamo visto, si considerava erede di Bisanzio, si aggiunse la situazione degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta. Le idee panslave riguardo al dovere di liberare i fratelli slavi sottomessi al giogo degli infedeli, furono potenziate dal desiderio di far fede a un obbligo morale secolare. Quali eredi diretti di Costantino-poli, la città degli imperatori – Tsar’grad –, i Russi avevano la sacra missione di strappare l’antica capitale dell’impero, la seconda Roma, agli ottomani84. Secondo Danilevskij: “La Russia ha il dovere di lottare (...) per la libertà e l’indipendenza degli slavi, per la conquista di Tsar’grad. Quello che pare illecito all’Europa (...) rappresenta [per la Russia] un’esigenza assoluta, una missione storica”85. Queste idee trovarono un loro sfogo, ma vennero soprattutto esasperate, nel contesto della guerra russo-turca degli anni 1877-1878, quando diventarono una vera e propria pro-

82 Ivi, pp. 26-32. 83 HELLER, Histoire de la Russie, pp. 829-830, p. 838 84 Ivi, pp. 809-818. 85 DANILEVSKIJ Nicolaj J., Rossia i Evropa, Vzgljad i kul’turnye i političeskie otnošenija slavjanskogo mira k germano-rimskomu [Russia e Europa, Lo sguardo e le relazioni culturali e poliche del mondo slavo nei confronti di quello germanico-latino], St. Peterburg 1889 (1a edizione, Mosca 1869-1871), p. 343.

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paganda. Giovane professore appena nominato, Kondakov si trovò così a compiere la scelta deter-minante per la sua carriera: quella di diventare bizantinista, in un’ondata di entusiasmo per Bisan-zio che, anche a livello culturale, coinvolse tutto il paese86.

In questo contesto è importante osservare quanto, in una sensibilità sempre maggiore per un passato storico, le idee di uno studioso si svilup-pino in anticipo e in consonanza con quelle di una fascia della popolazione sempre più larga. Le mode neo-russe e neo-bizantine diventano così un ter-reno fertile perché chi studia antichità bizantine possa essere compreso e sostenuto dalla sua co-munità di appartenenza. D’altra parte, il ruolo di uno studioso è sempre di più quello di parlare della realtà storica a un pubblico vasto87. Sembra confermare quest’idea uno dei testi apparsi, qual-

86 MURATOVA Xenia, La riscoperta delle icone russe e il ‘revival’ bizantino, in Arti e storia del Medioevo. Volume quarto: Il Medioevo al passato e al presente, a cura di Enrico Castelnuovo e Giuseppe Sergi, Torino 2004, pp. 589-606; pp. 555-600. 87 FOLETTI Ivan, Kondakov a ruská ikona. Kondakovova analýza soudobého ikonopisectví a její vliv na ruskou společnost začátku XX. století [Kondakov e l’icona russa. L’analisi fatta da Kondakov della contemporanea pittura di icone e il suo effetto sulla società russa all’inizio del XX secolo], in 2. ročník konference studentů doktorských programů dějin umění v České republice. Masarykova univerzita [Secondo convegno degli studenti di studi dottorali in storia dell’arte in Repubblica Ceca. Università di Masaryk], a cura di Luba Hédlová, Robert Mečkovský, Jitka Matulková, Brno 2009, pp. 6–13.

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che anno dopo, per celebrare la figura dello stesso Kondakov:

Per lo studio dell’archeologia della nostra patria, la conoscenza seria e dettagliata delle antichità bizantine rappresenta un fatto estremamente importante e asso-lutamente inevitabile (…): Bisanzio rappresenta le ra-dici della nostra vita (…) per questo, ogni lavoro dedi-cato alla presentazione di fonti bizantine merita un to-tale rispetto e riconoscimento88.

L’importante non sembrava essere la qualità dell’opera pubblicata e neppure la personalità dell’autore: conoscere Bisanzio era essenziale per la patria. Sono parole a cui fanno eco, due anni più tardi, quelle di Kondakov che, in conclusione del suo articolo O naučnych zadačach’ istorii drevne-russkogo iskusstva (A proposito dei compiti scienti-fici della storia dell’arte russa antica), scrive:

Il lavoro su questi difficili soggetti (…) darà alla scienza archeologica russa il proprio posto in mezzo alla scienza europea (…) nel contempo indicherà che lo stato

88 REDIN Egor K., Professor Nikodim Pavlovič Kondakov. K tridcatiletnej godovščine ego učeno-pedagogičeskoj dejatel’nosti [Il professore Nikodim Pavlovič Kondakov. In occasione del trentesimo anniversario delle sue attività scientifiche e pedagogiche], in “Zapiski Russkogo Archeologičeskogo Obščestva [Note della Società Archeologica Russa]”, IX, 1897, pp. 1-32, p. 13.

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russo è il successore storico dei grandi imperi orien-tali89.

Per Kondakov, insomma, la storia dell’arte aveva come preciso compito quello di dimostrare l’eredità artistica e quindi politica della Russia rispetto a Bisanzio.

È in questo contesto patriottico che va pertanto letta la riflessione dello studioso sull’estetica del mondo ortodosso. Determinante è in questo senso la sua tesi di Abilitazione, scritta e pubblicata negli anni precedenti la guerra Russo-Turca90. L’ambizione del giovane studioso era quella di scrivere un testo a tutto tondo sulla cultura bizan-tina, la scelta di prendere spunto dai manoscritti era quindi giustificata dal fatto che la loro produ-zione coprisse tutto l’arco del millennio bizantino, anche laddove altri monumenti scarseggiano91. Fin dall’introduzione Kondakov indicò di aderire alla visione vasariana per quanto riguarda l’estetica

89 KONDAKOV Nikodim P., O naučnych zadačach’ istorii drevne-russkogo iskusstva [A proposito degli obiettIvi scientifici della storia dell’arte russa antica], in Pamjatniki drevnej pismennosti i iskusstva [Nonumneti dell’antica scrittura e arte], St. Peterburg 1899, pp. 1-47, p. 46. 90 KONDAKOV Nikodim P., Istoria vizantijskago iskusstva i ikonografii po miniaturakh grečeskich rukopisej [Storia dell’arte e dell’iconografia bizantini, nelle miniature dei manoscritti greci], Odessa 1876. 91 Per le citazioni di quest’opera farò uso della traduzione francese, pubblicata in due volumi negli anni 1886-1891: KONDAKOV Nikodim P., Histoire de l’art byzantin: considéré principalement dans les miniatures, 2 voll., Paris 1886-1891, I, pp. 27-28; 31-32.

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artistica: momenti di grandezza si alternano a pe-riodi di decadenza.

L’art a des époques de grandeur où, réunissant, pour ainsi dire, toutes les facultés sur un point, il se traduit par les statues colossales des dieux d’un Phidias; mais il y a aussi des périodes où l’idéal se désagrège, se mor-celle, où les artistes s’appliquent au modeste façonne-ment des objets usuels ou à la reproduction mécanique de modèle déterminés92.

Come Didron, Kondakov riteneva che ripetere servilmente degli schemi antichi era sinonimo di depressione. Perciò egli scelse di studiare i mano-scritti, che considerava come un canale privilegiato per conoscere la “vera” arte di Bisanzio. In altri termini la sua scelta fu anche estetica: di studiare cioè l’arte mettendo in disparte la produzione infe-riore, artigianale, rappresentata dalla tradizione ieratica della pittura bizantina.

Au milieu de l’art élégant et brillant, mais pauvre d’idée, que cultiva la cour de Byzance, la miniature était peut-être le seul asile pour tout homme libre (…) voyant dans les arts autre chose que les produits manufactu-rés93.

Come Labart, Kondakov considerava quindi l’arte della corte bizantina elegante e brillante; a causa della sua “povertà di idee”, però, non poteva trovarvi posto la “vera arte” – espressione della

92 Ivi, p. 29. 93 Ivi, p. 34.

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libertà dell’uomo. Ne era prova il fatto che l’arte monumentale bizantina era appunto povera, ripe-titiva e noiosa. “Renonçant à ses droits d’artiste, il reproduit [les types et les attitudes] avec servi-lité”94. La miniatura era invece superiore a tutte le arti perché, anche in un momento di decadenza, essa manteneva il suo stile elevato, grazie al suo solido legame con il passato. Secondo Kondakov, infatti, la miniatura era come un albero genealo-gico attraverso il quale si prolungava la tradizione antica. In questa riflessione possiamo certo intrav-vedere gli echi di un metodo determinato dal pen-siero evoluzionista – estremamente popolare in quegli anni – ma anche, ancora una volta, il con-cetto di una qualità artistica misurabile rispetto alla sua relazione con la fonte antica95. Lo studioso russo sottolineava quanto, in questo senso, la si-tuazione a Bisanzio fosse diversa rispetto all’Occidente: a Costantinopoli la tradizione antica era ininterrotta e perciò autentica, mentre nel caso dei manoscritti carolingi la situazione era l’opposto. Per eseguirli erano certamente stati usati modelli antichi o bizantini ma,

Pour qu’une miniature vive, il faut qu’elle ait der-rière une longe tradition de modèles sérieux (…) la splendeur des miniatures [carolingienne] était tout

94 Ibid. 95 Per il metodo si Kondakov, determinato dalle teorie evoluzionistiche cfr. FOLETTI, Da Bisanzio alla Santa Russia, pp. 181-182.

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artificiel (…) [car] elle ne repose sur aucun fondament national96.

Kondakov costruì quindi un singolare sistema intellettuale, che continuò a ribadire in seguito nelle sue più importanti opere: la tradizione antica è conservata e garantita da Bisanzio. È proprio il legame naturale e ininterrotto tra l’arte antica e quella bizantina che costituisce l’elemento di diffe-renza con il mondo Occidentale. Si tratta di una tesi forte che fa di Bisanzio l’erede autentica dell’assoluto apice culturale rappresentato dall’arte antica. Il passo ulteriore è breve: se la Russia è in diretta filiazione con Bisanzio, la quale continua a sviluppare, grazie ai manoscritti, l’estetica ellenistica romana, allora la Russia è l’unica e diretta erede dell’impero. Si tratta di una tesi per certi versi inscritta nella Russia imperiale di quegli anni – lo stesso nome della casata dei Romanov rinvia a Roma; la sua portata sulla riva-lutazione dell’estetica bizantina sarà, quindi, cen-trale nei primi anni del Novecento97.

All’opposto di questa grande cultura si collo-cava per Kondakov il mondo monastico dove – per ragioni pedagogiche e di propaganda – si era svi-luppata un’estetica anti-classica per la quale egli non aveva, stando agli indizi di cui disponiamo, grandi simpatie. Parlando della produzione dei

96 KONDAKOV, Histoire de l’art byzantin, I, p. 34. 97 A questo proposito cfr. FOLETTI, Da Bisanzio alla Santa Russia, pp. 53-56.

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monasteri della capitale bizantina, posteriore al X scolo, egli osservava:

Mais l’art de Constantinople semble fait plutôt pour la vulgarisation; car dès le début, nous trouvons des manuscrits de la manière byzantine (…). Les maîtres de Constantinople s’efforcèrent, non pas de perfectionner, mais de multiplier leurs miniatures, comme ils le feront pour les mosaïques. C’est alors, à mesure que les œuvres se répandent, que nous voyons naître cette art négligé, riche en ornements, mais pauvre d’idées, qui s’étale dans les innombrables Ménologes et Évangiles que nous possédons98.

Si trattava di opporre, in fin dei conti, un’arte di corte, erede di quella antica, meravigliosa nella leggerezza delle sue illustrazioni, a un’arte mona-stica ascetica e pedagogica, priva di eleganza ma efficace come medium di comunicazione99.

L’arte bizantina era quindi il luogo dove splen-dore e decadenza coesistevano, anche se vi erano, ovviamente, oscillazioni in una o nell’altra dire-zione: era il caso degli anni della dinastia Mace-done100, momento di massimo splendore elleni-stico, o quelli dei secoli XII e XIII quando si era invece agli antipodi di questo splendore101. Per Kondakov erano quindi soprattutto gli ultimi due

98 KONDAKOV, Histoire de l’art byzantin, I, pp. 41-42. 99 A questo proposito Cfr. CANTONE Valentina, Ars monastica. Iconografia teofanica e tradizione mistica nel mediterraneo altomedievale (V-XI secolo), Padova 2008, pp. 26-28. 100 KONDAKOV, Histoire de l’art byzantin, II, pp. 28-46. 101 Ivi, 166-177.

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secoli dell’impero, quando, persa la prima volta Costantinopoli, ci si allontanò inevitabilmente dai modelli antichi, a rappresentare il momento di massima decadenza102. Nel concludere la sua rifles-sione su questo declino artistico, lo studioso os-serva:

La miniature byzantine a eu des commencements obscurs: elle finit de même, On ne saurait (…) distinguer ni d’où elle vient ni quand elle se manifeste pour la première fois, ni comment elle disparait. Si tel est le sort des styles qui servent d’intermédiaires – et l’art byzan-tin est un de ces styles, – si cet art, comme on l’affirme, n’a vécu que de tradition, – on n’en est pas moins sur-pris de sa fin prématurée, et c’est en vain que l’on cher-cherait à expliquer cette énigme par des troubles qui ont signalé la chute de l’Empire d’Orient.

D’autre part, comment saurait-il être question de la fin de l’art byzantin du moment ou celui-ci a créé des types pleins de majesté, une iconographie si large et si nette, et qu’il en a légué la tradition aux nations mo-dernes?103.

Anche di fronte al crollo del mondo bizantino e all’estetica oscura che contraddistinse questo mo-mento, Kondakov suggeriva che neppure in un momento di tale crisi la grandezza dell’arte dell’impero orientale aveva potuto sparire intera-mente. Fu l’Occidente a raccogliere l’eredità bizan-tina, forse già dall’XI secolo in poi, ma non soltanto.

102 Ivi, p. 167. 103 Ivi, p. 178.

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La conclusione di tutta l’opera si muove infatti in una direzione diversa:

S’il est vrai que le progrès ne signifie pas autre chose que l’assimilation des conquêtes antérieures et leur développement au moyen des conquêtes nouvelles, l’activité artistique de Byzance, se continuant sans in-terruption un millier d’années, ne pouvait pas s’interrompre brusquement. Il est démontré au-jourd’hui que l’art byzantin a eu cet immense mérite de conserver parmi toutes les civilisations du Moyen-âge la plus large part de l’héritage antique, qu’il a eu cet autre, de contribuer puissamment à la genèse de l’art chrétien, et que soit seul, soit combiné avec d’autres civilisations, il n’a cessé jusqu’à nos jours, au fond de la Grèce et au fond de la Russie, de compter des milliers de représen-tants et des millions de fidèles104.

L’opposizione delineata in precedenza, trova qui una sua conferma: dal punto di vista estetico la maggior virtù dell’arte bizantina fu quella di tra-smettere, malgrado i suoi limiti, la tradizione an-tica. Al di fuori di ciò, l’arte di Bisanzio era deca-dente. Dal punto di vista “morale” il suo valore non poteva, però, essere limitato alla questione este-tica: grazie alla tradizione ortodossa, la vera arte cristiana era nata e, soprattutto, continuava a vi-vere in Grecia e in Russia. Più importante dell’estetica era quindi la cultura ortodossa che, guarda a caso, era uno dei punti fermi dello stato Russo al tempo degli ultimi Romanov, di cui Kon-dakov era un fedele suddito.

104 Ivi, pp. 178-180.

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In sintesi, dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta, in Russia, esisteva una vera e pro-pria dicotomia tra la percezione dell’estetica bizan-tina e il suo significato per gli studi nazionali: da una parte – eccetto per il riaffiorare dell’ellenismo antico – quanto è tipico per l’arte bizantina è deca-dente, dall’altra, con il suo tradizionalismo e il suo significato religioso, quest’arte è uno dei garanti dell’ortodossia russa.

L’incontro

Nel necrologio scritto per Charles Bayet nel 1918, Paul Girard raccontava che, alla fine degli anni Ottanta, Bayet si fosse di fatto arreso all’evidenza di non poter essere esclusivamente bizantinista, abbracciando nei suoi studi l’intero medioevo. In Francia, infatti, l’arte bizantina conti-nuava a essere considerata come decadente e fuori moda ed era al massimo considerata come una sorta di curiosità105. Negli anni Novanta, però, la situazione cambiò con un considerevole incre-mento degli studi dedicati alla civiltà bizantina, nel campo storico-artistico. Tra questi due momenti – gli anni Ottanta e Novanta – si verificarono due avvenimenti determinanti per la nuova e definitiva affermazione degli studi dell’arte bizantina in Francia. Nel 1892 fu conclusa un’alleanza tra la Repubblica francese e l’Impero russo106. Si trattava

105 GIRARD, Éloge funèbre de M. Charles Bayet. 106 BERSTEIN Gisèle e BERSTEIN Serge, Franco-Russe, in Dictionnaire Historique de la France Contemporaine, Tome I:

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di un’alleanza militare, che divenne però l’elemento di base per una strettissima collabora-zione economica e politica tra i due paesi e fu quindi una delle ragioni principali del poderoso boom economico vissuto dalla Russia a cavallo tra Otto e Novecento. Tra il 1886 e il 1891 fu inoltre pubblicata in francese l’Histoire de l’art byzantin: considéré principalement dans les miniatures di Nikodim Kondakov107, che costituiva la prima pub-blicazione in francese di grande ampiezza che ab-bracciasse tutta la storia di Bisanzio108.

La pubblicazione di Kondakov fu accolta dagli specialisti in Francia in maniera molto positiva per il suo contenuto innovativo109. Per chi si era for-mato, come Charles Diehl (1859-1944) e Gabriel Millet (1867-1952), negli anni di tensione della guerra franco-prussiana, gli studi di uno scienziato russo erano probabilmente letti con un favore

1870-1945, Bruxelles 1995, pp. 357-359; HELLER, Histoire de la Russie, pp. 853-855. 107 Nel 1892 seguì anche il testo sugli smalti Zwerinogorodsky (KONDAKOV Nikodim P., Histoire et monuments des émaux byzantins: collection Zwénigorodskoï, Francfort 1892); visto il ridotto numero di esemplari – 200 in francese – e il fatto che non fosse diffuso sul mercato, la sua importanza deve esser stata relativamente marginale. 108 Malgrado la sua importanza il lavori Bayet non avevano certo l’ampiezza, ma soprattutto la ricezione dello studio kondakoviano. 109 BAYET Charles, N. Kondakoff, Histoire de l’art byzantin: considéré principalement dans les miniatures, édit. Française originale publié par l’auteur sur le trad. de M. Trawinski, Paris, Librairie de l’art, t. I 1886, t. II 1891, 202 et 184 p. in 4o, in “Byzantinische Zeitschrift”, V, 1896, pp. 191-195.

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maggiore di quelli di un collega teutonico110. Deter-minante nella percezione del testo kondakoviano, dovette però risultare l’alleanza franco-russa. Dalle note dei loro scritti si ricava difatti l’impressione che gli studiosi della generazione di Diehl, Millet e Reinach avessero delle nozioni di lingua russa e che comunque il loro interesse per la produzione del paese degli zar fosse estremamente consi-stente111. Un dato che non può essere spiegato, mi sembra, soltanto con la qualità del testo tradotto di Kondakov. Per rendersi conto dell’importanza delle relazioni culturali, politiche, economiche ma anche ideologiche tra la Francia e la Russia basta sfogliare il bel volume di François Bournand, ap-

110 Per il primo cfr. SORIA Judit e SPIESER Jean-Michel, Diehl, Charles (4 juillet 1859, Strasbourg – 1er novembre 1944, Paris), in Dictionnaire critique des historiens de l’art, http://www.inha.fr/spip.php?article2285 e STUDER-KAREN Manuela, Charles-Michel Diehl. Alhistoriker, Byzantinist, Kusthistoriker, in Personenlexikon zur christlichen Archäologie, pp. 414-416. Per il secondo cfr. LEPAGE Claude, Gabriel Millet, esprit élégant et moderne, in “Comptes rendus des séances. Académie des Inscriptions & Belles-Lettres”, 149e année, 2005, 3, pp. 1097-1110 e HEID Stefan, Fortuné-Eugène-Gabriel Millet. Byzantinischer Kusthistoriker, in Personenlexikon zur christlichen Archäologie, pp. 913-914. 111 La conoscenza che questi studiosi hanno dei testi di Kondakov è troppo dettagliata per immaginare che ne avessero soltanto un’idea sommaria di chi non conosce una lingua e si limita a decifrare solo l’indice. Considerata la situazione economica degli studiosi negli anni attorno al 1900, non si può escludere che avessero a disposizione un traduttore. Sono, però, personalmente propenso a credere che, almeno sommariamente, fossero in grado di leggere il russo.

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parso a Parigi soltanto un anno dopo la siglatura dell’alleanza, e intitolato L’Empire des Tsars (fig. 11). Dedicato a sua maestà l’Imperatore di tutte le Russie Alessandro III, il volume doveva dare una visione completa del paese, presentando la geo-grafia, la demografia, ma anche l’arte, l’esercito e le tradizioni, ed era introdotto dalle parole seguenti:

L’Empire de Russie occupe à l’heure actuelle une place considérable dans l’histoire de l’Europe et est appelé à jouer un grand rôle.

Depuis plusieurs années une alliance surtout morale s’est faite entre le peuple russe et le peuple français qui semblent bien faits pour se comprendre.

Nous avons voulu dans ces quelques pages, chercher non seulement à faire connaître un peu, mais surtout à faire aimer et admirer ce grand peuple russe si digne de toutes les sympathies françaises. Si nous avons pu réus-sir dans notre tâche, que nous considérons comme pa-triotique, ce sera pour nous à la fois une douce récom-pense et un grand bonheur 112.

Lo scritto era un vero e proprio panegirico che celebrava il fraterno popolo russo e non era che uno dei numerosi esempi di russofilia che travol-sero la Francia dopo il 1892. Fatto importante, la passione per la Russia era accompagnata, per le ragioni enumerate da Diehl, anche da una nuova e più generale riscoperta di Bisanzio. Fu dunque in questo clima che apparve, per una curiosa coinci-denza della storia, il volume dell’Histoire de l’art byzantin. Nella prefazione di Springer, lo studioso

112 BOURNAND François, L’Empire des Tsars, Paris 1893, p. 11.

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russo venne investito di un ruolo “storico”: in quanto cittadino della Russia, erede di Bisanzio, egli possedeva più di chiunque altro gli strumenti per analizzare in modo giusto i monumenti bizan-tini113.

È quindi legittimo immaginare che fu proprio l’armonia tra questi due avvenimenti, una pubbli-cazione importante e un’alleanza politica a incre-mentare l’interesse per Bisanzio e, progressiva-mente, a favorire una ricezione sempre più posi-tiva della sua estetica. Nella sua recensione al vo-lume di Kondakov Histoire et monuments des émaux byzantins,114 Charles Diehl indicava precisa-mente come nel mondo scientifico la percezione di Bisanzio stesse cambiando115. Parlando degli smalti orientali egli osservava:

Ils méritent de prendre place immédiatement à côté du célèbre reliquaire de Limbourg, ce chef-d’œuvre de l’art byzantin, ils ne sont pas moins remarquables par l’extraordinaire finesse de la technique, par la riche harmonie des couleurs, par les curieux et instructifs détails que fournissent sur les procédés de l’émailleur les revers de ces médaillons, où l’artiste a tracé au poin-tillé comme une première esquisse de ses figures; ils valent surtout par la perfection des types iconogra-phiques, par la manière expressive dont sont traités les visages, par les signes caractéristiques dont sont mar-

113 SPRINGER, Introduction, p. 7. 114 KONDAKOV, Histoire et monuments des émaux. 115 DIEHL Charles, Les émaux byzantins de la collection

Zwénigorodskoï, in “Gazette des beaux-arts”, XIII, 1895, pp. 287-298.

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qués les personnages. C’est dire toute l’importance qu’ont de telles œuvres pour l’histoire de l'art byzan-tin116.

Diehl continuò a ripetere alcuni dei luoghi co-muni propri alla storiografia, soprattutto riguardo all’iconografia come criterio maggiore per “valu-tare” l’arte bizantina. Come Labart, egli era sedotto dall’estetica degli smalti orientali che considerava di rara bellezza, e soltanto leggermente inferiori ai maggiori capolavori occidentali. Quando si trovò, infine, a riassumere l’importanza del volume, lo studioso francese non esitò:

Un vieux préjugé difficile à détruire, comme tous les préjugés reproche depuis bien des années à l’art byzan-tin de s’être de bonne heure figé en des attitudes con-ventionnelles et immuables. Le livre de M. Kondakoff montre au contraire quelle liberté cet art a conservé, jusque dans la peinture religieuse même avec quelle souplesse il a su, dans des sujets souvent identiques, découvrir des inspirations nouvelles par quel habile mélange de réalisme et de mysticisme il a su imprimer à ses créations un caractère original et profond. “Sans doute, dit M. Kondakoff, il s’écoulera beaucoup de temps encore avant que l’appréciation par trop légère de l’iconographie byzantine et les opinions préconçues fassent place à une saine critique et à un vrai savoir historique”. Oui, certes mais ce jour viendra, et pour le rendre proche, peu de moyens sont plus efficaces que l'admirable monument élevé en l’honneur de Byzance par la magnifique libéralité de M. de Zwénigorodskoï117.

116 Ivi, p. 292. 117 Ivi, pp. 297-298

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Sarebbe qui inappropriato insistere sui molte-plici esempi che indicano quanto lo sguardo di un numero crescente di studiosi russi e francesi riabi-litò progressivamente l’arte di Bisanzio. D’altro canto, però, la scelta stessa dei soggetti e l’orientamento di questo sguardo tradiva le remi-niscenze degli anni precedenti: sono i manoscritti – i luoghi dove l’ellenismo è più marcato e costante – e i lussuosi oggetti di oreficeria a suscitare i mag-giori apprezzamenti da parte degli studiosi e del pubblico. In altri termini, se Bisanzio torna alla ribalta, in stretta armonia con la sua nuova perce-zione sul piano politico, continuano ad esserne apprezzate la tradizione ellenistica e l’abilità tec-nica. Ancora negli anni Dieci del nuovo secolo, però, quando dovette esprimersi riguardo alla qualità estetica delle pitture su legno, le icone, che stavano vivendo in Russia un vero e proprio boom di popolarità, lo stesso Kondakov scrisse:

L’icona russa è stata il più importante fenomeno ar-tistico del paese (…) a causa della sua origine e del suo sviluppo l’icona è stata la continuazione di un’alta tradi-zione artistica, il suo sviluppo ne ha invece fatto una straordinaria testimonianza di artigianato artistico118.

Malgrado l’importanza indiscussa dell’arte bi-zantina e russa per la storia dell’Europa, e nono-stante il suo ruolo di garante dell’ortodossia e della tradizione iconografica antica, la sua estetica anti-

118 KONDAKOV, Russkaja ikona, III, p. 3.

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classica non poteva essere considerata più del semplice artigianato.

La svolta: l’estetica bizantina e le avanguardie

Per vivere una vera svolta nella percezione dell’estetica bizantina bisogna così aspettare i primi anni del Novecento. Ho cercato di dimo-strare altrove quanto la storiografia abbia mitiz-zato un momento cruciale – quello del restauro della Trinità di Andrej Rublev – come momento della “ri-scoperta” delle icone russe119. A mio av-viso si tratta, sul piano della ricezione della pittura su tavola ortodossa, di un momento effettivamente cruciale ma che rappresenta al contempo soltanto una delle tappe essenziali di un processo durato più di mezzo secolo. Per la questione che ci inte-ressa in questa sede, però, il momento del restauro della Trinità – siamo nel 1904 – può essere consi-derato come perno per definire una nuova perce-zione dell’estetica medievale russa e quindi di quella bizantina. I personaggi più importanti nell’ambito di questa rivalutazione estetica – Ilja Ostrouchov (1858-1929) e Pavel Muratov (1881-1950) – apprezzavano le icone come opere d’arte di primissimo livello120. Il primo, oltre ad essere lui

119 FOLETTI, Da Bisanzio alla Santa Russia, pp. 121-124. 120 Per Ostrouchov cfr. KUDRJAVCEVA Sofia V., Il’ja Semenovič Ostrouchov: 1858-1929, Leningrad 1982. Per Muratov cfr. soprattutto VZDORNOV Gerold I., MURATOVA Xenia M., Vozvrašenie Muratova. Ot ‘Obrazov Italii’ do ‘Istorii kavkazskich vojn’[Il ritorno di Muratov. Dalle ‘Immagini d’Italia’ fino alla ‘Storia delle guerre de Caucaso’]”, catalogo della mostra

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stesso pittore, era anche un appassionato collezio-nista: dopo aver scoperto i tesori della pittura russa conservati nelle collezioni dei Vecchi Cre-denti121, Ostrouchov cominciò a collezionare fin dal 1902 le icone antiche. Membro del consiglio di amministrazione della Galleria Tretjakov, della quale egli sarebbe diventato nel 1905 il conserva-tore, Ostrouchov ebbe un ruolo istituzionale nella promozione di un restauro sistematico delle icone medievali122. Un dato è particolarmente rilevante: nella collezione di Ostrouchov le icone medievali erano esposte accanto a immagini contempora-nee123. Dal canto suo, Pavel Muratov, giovane e brillante studioso di arte italiana si batté per dimo-strare – a livello scientifico – quanto le icone russe fossero in realtà l’espressione più perfetta della pittura medievale. Nei suoi scritti Muratov rove-

(Mosca, Museo Puškin, 3 marzo-20 aprile 2008), Moskva 2008; MURATOVA Xenia, Pavel Muratov historien d’art en Occident, in La Russie et l’Occident. Relations intellectuelles et artistiques au temps des révolutions russes, atti del convegno (Université de Lausanne, 20-21 marzo 2009), a cura di Ivan Foletti, Roma 2010, pp. 65-95. 121 I Vecchi credenti sono una setta dissidente in seno all’ortodossia russa. Nati alla fine del XVII secolo e regolarmente perseguitati dal potere zarista i vecchi credenti si rifiutarono di accettare le immagini religiose “occidentalizzate” prodotte nel corso del Settecento e dell’Ottocento. Nelle loro collezioni essi conservarono quindi gelosamente delle immagini medievali senza “aggiornarle”. Cfr. la sintesi molto ben documentata di ROBSON Roy R., Old believers in modern Russia, Northern Ilinois 1995. 122 KUDRJAVCEVA, Il’ja Semenovič Ostrouchov, p. 45. 123 Ivi, p. 38.

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sciò letteralmente l’ottica tradizionale: egli non negava che i soggetti delle icone – l’iconografia – fossero stabili e standardizzati. Tuttavia, questa era proprio la ragione per cui lo stile raggiunse una tale qualità e un simile sviluppo: “ [la stabilità dei tipi] per così dire eccitava (…) l’energia stilistica. Per il sentimento dello stile la pittura russa occu-pava uno dei primi posti nella serie delle varie arti (…) Il sentimento dello stile nell’antica pittura russa è espresso dalla preponderanza degli ele-menti formali sul contenuto”124. L’arte orientale aveva pertanto tanti artisti ignoti, ma di grandi capacità creative. La loro arte era più difficile da percepire a un primo sguardo ma questo non fa-ceva che aumentarne la qualità. E anzi, era proprio per queste sue caratteristiche che essa era addirit-tura superiore alla produzione occidentale:

L’individualizzazione non è esclusa da questa forma dell’arte ma è espressa con più finezza (…) Questo fatto ha salvato quasi fino ai suoi ultimi giorni la pittura ec-clesiastica russa dell’emozionalismo volgare, che ha portato tanto danno alla pittura europea dopo Raffa-ello.125

Per Muratov non vi erano quindi dubbi sul va-lore della pittura russa:

L’arte russa può essere orgogliosa d’aver creato un’incarnazione del Redentore di una bellezza assoluta,

124 MURATOV Paolo, La Pittura russa antica, Trad. Ettore Lo Gatto, Praga-Roma 1925, p. 16. 125 Ibidem.

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perfetta, e di aver in questo modo compiuto ciò che non ebbe la forza di compiere neppure la pittura italiana e quella del nord dell’Europa nella migliore epoca126.

Non vi è qui lo spazio per presentare gli altri giudizi presentati da Muratov stesso e dai suoi allievi negli anni immediatamente precedenti alla prima guerra mondiale. Il dato certo è, però, che con Muratov venne capovolta la ricezione dell’estetica medievale ortodossa. Il discorso pro-dotto dello studioso era sostenuto anche da argo-menti di tipo nazionalistico, inevitabili nel periodo precedente il primo conflitto mondiale. Questi non sembrano però aver avuto nessun impatto sul cambiamento generale del paradigma127: anche se espresse con minor vigore, le tesi nazionalistiche avevano infatti determinato anche i lavori degli studiosi della fine dell’Ottocento, che pure non apprezzavano l’estetica bizantina anti-ellenistica. Come spiegare dunque il radicale cambiamento di gusto?

Un importante indizio in questo senso va cer-cato in una visita eccezionale avvenuta a Mosca nell’ottobre – secondo il calendario Giuliano – del 1911. In questa data si recò nella capitale l’oramai rinomato pittore francese Henri Matisse128. Giunto

126 Ivi, p. 18. 127 Per le tesi nazionalistiche di Muratov e il loro uso successivo cfr. FOLETTI, Da Bisanzio alla Santa Russia, pp. 132-133; 166-169. 128 RUSAKOV Jury A., Matisse in Russia in the autumn of 1911, in “ Burlington Magazine”, CXVII, 1975, 866, pp. 284-291; KOSTENEVICH Albert, SEMIONOVA Natalya, Matisse et la Russie,

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in Russia per sovrintendere alla disposizione dei suoi quadri, La Danse et La Musique, acquistati dal ricco commerciante moscovita Sergej Ščukin, Ma-tisse vi fece il suo primo e inaspettato incontro con le icone russe. Presentato a Ostrouchov, parente di Ščukin e grande ammiratore dell’opera di Matisse, il pittore francese fu invitato a visitare la sua colle-zione, dove vide, per la prima volta, un’icona me-dievale restaurata. Matisse fu quindi accompa-gnato dallo stesso Ostrouchov in tutti i luoghi im-portanti per la storia delle icone di Mosca: dalle cattedrali del Cremlino fino alle chiese dei Vecchi credenti, situate nei quartieri periferici della città129. Il pittore francese fu letteralmente impres-sionato dalla forza estetica di queste immagini:

Les icônes sont un spécimen des plus intéressants de la peinture primitive. Je n’ai vu nulle part ailleurs une telle richesse et pureté des couleurs, une telle sponta-néité dans la représentation. C’est le meilleur patri-moine de Moscou130.

In un suo recente saggio, Geraldine Leardi ha dimostrato come l’incontro di Matisse con le tavole dipinte russe ebbe un impatto anche sulla sua pit-tura (figg. 12-13)131. Quanto mi sembra però più importante è altro: la semplificazione delle icone, i

Moscou 1993; LEARDI Geraldine, ‘Tout est dans la mesure’. Matisse davanti alle icone russe nel 1911, in La Russie et l’Occident, pp. 11-30. 129 RUSAKOV, Matisse in Russia, pp. 284-291. 130 LEARDI, ‘Tout est dans la mesure’, p. 11. 131 Ivi, pp. 15-20.

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grandi spazi dei loro sfondi, spesso monocromatici, corrispondevano perfettamente al gusto e alle ricerche dello stesso Matisse e dei suoi contempo-ranei in Occidente. Agli occhi di quest’ultimo le icone ortodosse furono quindi una sorta di con-ferma di molte delle sue intuizioni. Con un perfetto anacronismo – trasponendo attraverso il filtro estetico delle idee contemporanee su immagini medievali – Matisse fece delle icone orientali opere artistiche di primo piano. Questa percezione non era, tra le altre cose, esclusiva del solo Matisse: le avanguardie russe del primo Novecento fecero dell’estetica e dell’idea dell’icona uno degli spunti più fertili per le proprie ricerche. Si tratta di un punto, quest’ultimo, largamente studiato (fig. 14-15)132. La questione che però maggiormente mi interessa qui è un’altra: quale fu l’effetto delle avanguardie sulle icone? In altri termini, di quanta attenzione avrebbe goduto l’estetica ortodossa medievale senza quel cambiamento di gusto che accompagnò proprio la nascita delle avanguardie? Non esiste certo una risposta univoca da dare; dai

132 Icona e avanguardie. Percorsi dell’immagine in Russia, a cura di Graziano Lingua, Torino 1999; AVTONOMOVA Natal’ja, Verso un mondo senza oggetti, in Da Giotto a Malevič. La reciproca meravigli,. catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale 2 ottobre 2004-9 gennaio 2005), Roma 2004, pp. 300-307; importantissimo è il saggio, forse il più completo sulla in un contesto teorico, di LABRUSSE Rémi, Byzance et l’art moderne. La référence Byzantine dans les cercles artistiques d’avant-garde au début du XXe siècle, in Présence de Byzance, a cura di Jean-Michel Spieser, Gollion 2007, pp. 55-89 cfr. anche FOLETTI, Attrazione reciproca, pp. 28-41.

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documenti conservati si ha però l’impressione che la “scoperta” delle icone fu percepita dagli artisti d’avanguardia soprattutto come una conferma delle loro ricerche. Cronologicamente, inoltre, i primi restauri importanti delle icone sono chiara-mente posteriori allo sviluppo del fenomeno delle avanguardie. Credo possa inoltre fungere da prova di questa tesi anche il geniale restauro dell’iconostasi della cattedrale della Dormizione di Mosca, che ebbe luogo nel 1852 ad opera di Nikolaj Podključnikov133. Cinquant’anni prima dei restauri di Ostrouchov, Podključnikov decise di non ridi-pingere le icone come era costume, ma di aspor-tare invece le ridipinture antiche raggiungendo la superficie pittorica originale. Per rendersi conto della modernità del restauro di Podključnikov è importante sottolineare che nella descrizione del procedimento egli suggerì di non ridipingere le zone lacunose una volta tolti gli strati posteriori, ma di usare la puntinatura per renderle meno visi-bili. Il risultato di questo restauro rivoluzionario fu naturalmente la scoperta della maggior parte delle icone dell’iconostasi; una scoperta di cui, però, di fatto non si parlò. A metà dell’Ottocento le icone russe antiche interessavano soltanto come oggetti devozionali di tradizione ortodossa, ma nessuno vi vide delle opere d’arte134.

133 KLOKOVA, Il restauro delle icone, pp. 47-49. 134 Rappresentativo è il giudizio di Gagarin che dice, nel 1856, a chiari lettere che, malgrado il loro interesse storico, la pittura bizantina e russa sono decadenti: GAGARIN Grigorij Grigorievič, Kratkaja chronologičeskaja tablica v posobi istorii

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Al contrario, dopo i primi restauri del tempo di Ostrouchov e Muratov, l’icona ebbe un imponente successo: dall’inizio degli anni Dieci essa divenne un vero e proprio fenomeno di moda in Russia, studiata perché capolavoro svelato, espressione di un’estetica di primo piano135. Diverse riviste fu-rono dedicate allo studio dell’icona, ma fondamen-tali sono soprattutto i dibattiti: per i giovani intel-lettuali non vi erano dubbi, l’icona era un’opera d’arte al pari e addirittura superiore, più moderna, della produzione occidentale136. Matisse fu il primo occidentale a incontrare le immagini religiose orientali in Russia. Tornando in Francia egli parlò della sua scoperta ai suoi amici, certamente a Pi-casso e Van Dongen, ma nessuno di loro compì il viaggio in Russia prima dello scoppio della guerra e quindi della rivoluzione137. Si dovette perciò aspettare la fine del primo conflitto mondiale e l’emigrazione russa in Occidente perché anche qui l’estetica ortodossa venisse progressivamente “rivalutata” tra le élites. Fu, tra le altre cose, ancora

vizantijskago iskusstva [Una breve tabella cronologica come sussidio per l’arte bizantina], Tifilis’ 1856. 135 Cfr. FOLETTI, Da Bisanzio alla Santa Russia, pp. 136-143. 136 A capo del primo periodico Sofija. Žurlnal’ iskusstva i literatury, izdavaemij v Moskve K.F. Nekrasovym’, pod redakciej P.P. Muratova [Sofia. Periodico di storia e letteratura pubblicato a Mosca da K.F. Nekrasov, redazione P.P. Muratov], pubblicato a Mosca, si trovava lo stesso Muratov, il secondo Russkaja Ikona [Icona Russa] era diretto da Sergej Makovskij (1877-1962), giornalista e poeta, ed è pubblicato a Pietroburgo. 137 LEARDI, ‘Tout est dans la mesure’, p. 14.

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Pavel Muratov nel frattempo emigrato, uno degli apostoli di questa nuova percezione dell’immagine sacra orientale138. Come dimostrato da François Boespflug, fu necessario aspettare il secondo do-poguerra perché l’estetica bizantina vivesse un successo più ampio, soprattutto in Francia139. Il dato centrale mi sembra però essere un altro: prima in Russia e poi in Occidente, l’estetica orien-tale fu realmente “rivalutata” con l’imporsi del lessico anticlassico delle avanguardie. Fu solo con l’invertirsi dei canoni estetici che il fenomeno dell’immagine orientale, e in particolar modo dell’icona, visse un successo che si prolunga fino ai nostri giorni140.

In questo senso la parabola della percezione dell’estetica bizantina, tra Russia e Francia, appare legata a uno stretto groviglio di aspirazioni roman-tiche, tensioni nazionalistiche, alleanze politiche e soprattutto dallo sviluppo dei canoni estetici a cavallo tra Otto e Novecento. L’immagine orientale fu riscoperta in seguito alla guerra d’indipendenza greca, apprezzata come stendardo d’identità na-zionale, essa divenne “opera d’arte” soltanto in seguito al radicale cambiamento di gusto – che da un’estetica ottocentesca e classicista passò a quella primitivista – promosso dalle ricerche dalle avan-

138 MURATOFF Paul, La peinture byzantine, Paris 1928; ID., Trente Cinq Primitifs Russes, Paris 1931. 139 BOESPFLUG François, La redécouverte de l’icône chez les catholiques. Le cas français, in Présence de Byzance, a cura di Jean-Michel Spieser, Gollion 2007, pp. 31-54. 140 FOLETTI, Attrazione reciproca, pp. 28-41.

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guardie del primo Novecento e di cui siamo noi stessi oggi debitori.

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Repertorio iconografico

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Fig. 1. Manuel d’iconographie chrétienne grecque et latine, par Didron et Durand, Paris 1845, frontespizio

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Fig. 2. Labarte, Histoire des arts industriels au Moyen Âge et à l’époque de la Renaissance, 3 voll., Paris 1872-1874 (1a edizione, Paris 1864-1866), frontespizio

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Fig. 3. Eugène Viollet-le-Duc, 1860 circa

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Fig. 4. Mosca, Galleria Tretjakov, Scuola del Cremlino moscovita, Presentazione della Vergine, inizio del XVIII secolo (da Kondakov, Icônes, New York 2008 [1927])

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Fig. 5. San Pietroburgo, Museo Russo, Scuola di Novgorod, Gio-vanni Battista, fine XIV secolo (da Foletti, 2012)

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Fig. 6. Bayet, L’art byzantin, Paris 1886, copertina

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Fig. 7. Bayet, L’art byzantin, Paris 1886, p. 159

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Fig. 8. L’icona della Madre di Dio di Vladimir (Vladimirskaja), prima del restauro del 1919. (foto: Kyzlasova)

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Fig. 9. L’icona della Madre di Dio di Vladimir (Vladimirskaja), dopo il restauro del 1919 (da Kondakov, Icônes)

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Fig. 10. N.P. Kondakov, Firenze 30.10.1882 (da Kyzlasova, Mir Kondakova)

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Fig. 11. Bournand, L’Empire des Tsars, Paris 1893, copertina

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Fig. 12. Baltimora, Walters Art Galery, Scuola di Novgorod, Icona con il Cristo pantocrator, XVI secolo (da Leardi, 2009)

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Fig. 13. Merion, Barnes Foundation, Henry Matisse, Ritratto di Sarah Stein, 1916 (da Leardi, 2009)

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Fig. 14. Cristo in Maestà, Rostov 1500 circa (da Foletti, 2012)

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Fig. 15. Kliment Redko, Composizione suprematista, Mosca 1921 (da Foletti, 2012)

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