Caravaggio tra copie e rifiuti

52
S O M M A R I O Roma communis patria per Luigi Spezzaferro CHRISTOPH L. FROMMEL: La palazzina di Pio IV -CLAUDIA CONFORTI: Via Pia: Rus in Urbe - MARIA CRISTINA TERZAGHI: Caravaggio tra copie e rifiuti - PATRIZIA CAVAZZINI: O l t re la committenza: commerci d’arte a Roma nel primo Seicento -MICHEL HOCHMANN: Luigi Spezzaferro, l’histoire et l’historiographie du collectionnisme SERVIZISE EDITORIALI PARAGONE Rivista mensile di arte figurativa e letteratura fondata da Roberto Longhi ARTE Anno LIX - Terza serie - Numero 82 (705) Novembre 2008

Transcript of Caravaggio tra copie e rifiuti

S O M M A R I O

Roma communis patriaper Luigi Spezzaferro

CHRISTOPH L. FROMMEL: La palazzina di Pio IV - CLAUDIA CONFORTI:Via Pia: Rus in Urbe - MA R I A CR I S T I N A TE R Z A G H I: Caravaggio tra copie er i f i u t i - PAT R I Z I A CAVA Z Z I N I: O l t re la committenza: commerci d’arte a Roma nel primo Seicento - MICHEL HOCHMANN: Luigi Spezzaferro,

l’histoire et l’historiographie du collectionnisme

SERVIZISEED I T O R I A LI

PARAGONERivista mensile di arte figurativa e letteratura

fondata da Roberto Longhi

ARTE

Anno LIX - Terza serie - Numero 82 (705)Novembre 2008

Redattori

CA R L O BE RT E L L I, MI K L Ó S BO S K O V I T S, EN R I C O CA S T E L N U O V O,

PI E R PA O L O DO N AT I, MI N A GR E G O R I, MI C H E L LA C L O T T E, JO S É MI L I C U A,

ANTONIO PAOLUCCI, ILARIA TOESCA, BRUNO TOSCANO

Direzione

Via Gino Capponi, 26 - 50121 Firenzetel. 055 2479411 - fax 055 245736

E-mail: [email protected]

Amministrazione

SERVIZISEED I T O R I A LI

Via dell’Argingrosso, 131/17 - 50142 FirenzeServizio clienti: tel. 055 784221 - fax 055 7333691

E-mail: [email protected]

Alpi Lito, FirenzeFinito di stampare nel mese di Gennaio 2009

MARIA CRISTINA TERZAGHI

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI

Chiunque abbia accostato anche solo di sfuggita Gigi Spez-zaferro, sa quanto Caravaggio fosse al centro dei suoi studi e deisuoi interessi1. La lucidità con cui ha individuato alcuni pro-blemi e nodi non risolti del percorso e dell’interpretazione delMerisi non può essere elusa da chi affronta oggi lo studio del-l’opera di Caravaggio. Ripercorrere e verificare le ipotesi di la-voro indicate dallo studioso diventa dunque quanto mai ur-gente per chi voglia addentrarsi negli studi sul pittore. Ed èquello che mi propongo di fare in questa sede, a partire daglistudi condotti sulle prime copie di opere di Caravaggio2.

Quando, nel 2002, licenziava uno dei saggi capitali sul te-ma, Spezzaferro affermava con una certa baldanza: “A diffe-renza di quanto avveniva qualche anno fa, credo si possa ormaiaffermare con sufficiente tranquillità che l’interpretazione del-l’opera e dell’attività del Caravaggio non sia più pesantementecaratterizzata dai molti rifiuti delle sue opere pubbliche e inparticolare delle prime che, artatamente attribuitegli da alcuniscrittori seicenteschi, furono poi, su questa base, acriticamenteriferitegli da gran parte della storiografia successiva”3.

A giudicare dalla posteriore, o contemporanea, letteraturacritica, la questione non pare così pacificamente accettata4.

“Per esser opera di Michelagnolo”: il primo ‘San Matteo’

Secondo Spezzaferro, delle sei commissioni pubbliche diCaravaggio a Roma una soltanto fu, non solo accettata senzaproblemi, ma anche universalmente lodata: la ‘Deposizione’della Vallicella; una fu accettata con “estremo schiamazzo” dei“popolani”, cioè la ‘Madonna dei pellegrini’; due furono effet-tivamente rifiutate dai committenti: la ‘Morte della Vergine’ e la

‘Madonna dei Palafrenieri’. I dipinti relativi alle commissionipiù antiche, invece, che la storiografia vuole rifiutati, cioè laprima versione del ‘San Matteo’ Contarelli e le prime due ver-sioni delle tele Cerasi, furono rifatti dall’artista per ragioni di-verse, ma senza alcuna imposizione da parte dei committenti5.

Spezzaferro imputava la fuorviante indicazione alla mali-gnità delle fonti, e in particolare del Baglione (seguito dal Bel-lori, che invece aveva ben altri e più alti motivi critici), dal mo-mento che il Mancini, forse meglio informato, e certamentepiù imparziale, tace della questione6.

In realtà, nelle C o n s i d e r a z i o n i, Giulio Mancini non paregranché interessato alla ricezione delle opere pubbliche delMerisi, in generale. Egli si sbottona infatti soltanto sul rifiutodella ‘Morte della Vergine’, realizzata per conto di Laerte Che-rubini e destinata ad ornare un altare della chiesa dei padricarmelitani scalzi di Santa Maria della Scala, mentre tace ditutto il resto7. Non è da molti anni che conosciamo il vero mo-tivo per il quale il medico senese si è soffermato soltanto su que-sta vicenda. Egli era infatti perfettamente al corrente della que-stione poiché, dopo il rifiuto dell’opera da parte dei carmelita-ni scalzi, tentò in ogni modo di accaparrarsi la ‘Morte dellaVergine’, che intendeva poi spedire a Siena al fratello Deifebo8.

Ora, mi pare che la questione vada presa in seria conside-razione per almeno due motivi. Il primo, più generico, riguardala figura e l’opera dello stesso Mancini. È chiaro che un simileepisodio evidenzia il punto di vista assolutamente personale conil quale furono redatte le Considerazioni sulla pittura. Nel reso-conto manciniano vengono infatti narrate con particolare evi-denza le vicende caravaggesche che l’archiatra senese conoscevadi persona, privilegiando, forse senza troppi problemi storico cri-tici, le notizie di cui aveva informazione diretta. D’altra parte, sa-pere effettivamente il perché e il per come di un rifiuto non do-veva essere cosa semplicissima neppure per i contemporanei.

Il secondo motivo è invece relativo al problema del giudiziopositivo o negativo dell’e s t a b l i s h m e n t ecclesiastico sui dipintipubblici di Caravaggio. Mancini chiede infatti ripetutamenteal fratello Deifebo di assicurarsi che il mercato senese fosse ingrado di accogliere una simile tela. L’acquisto del dipinto daparte di Giulio era infatti vincolato al fatto che il quadro, unavolta posto su un altare di Siena, non avrebbe incontrato gli stes-

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 33

si problemi in cui era incappato a Roma9. La faccenda sembrasuggerire che, lungi dall’essere oggettivo, il giudizio per cuiun’opera veniva accettata o rifiutata dai committenti era di ca-rattere squisitamente personale. Questioni più generiche, qualil’allineamento o il disallineamento dei quadri di Caravaggio alladottrina della Chiesa cattolica in quanto tale, vanno dunquesollevate con estrema cautela. La posizione della Chiesa stessasembra, stando ai documenti in nostro possesso, tutt’altro cheunivoca su tale argomento. Un’opera come la ‘Morte della Ve r-gine’, che i padri della Scala non trovarono consona alla deco-razione di uno dei loro altari, finì infatti nella collezione di Vi n-cenzo I Gonzaga, che certamente non può essere tacciato dieresia, o di atteggiamenti sovversivi nei confronti delle gerarchiedella chiesa cattolica1 0. Per non parlare della ‘Madonna dei Pa-lafrenieri’, sloggiata dall’altare di San Pietro per finire nel pa-lazzo del cardinal nepote Scipione Borghese1 1.

La vicenda della fortuna di ciascuna pala di Caravaggio èdunque una storia a sé, e va letta nel contesto in cui il problemasi pose e venne risolto. Perché, dobbiamo ammetterlo, veri opresunti che siano stati i rifiuti, il pittore ne uscì in ogni casosenza perdere un solo scudo o giorno di lavoro: le tele venneroinfatti sempre prontamente acquistate dai collezionisti al prezzorichiesto dai primi destinatari.

Il problema dei rifiuti opposti ad alcuni dipinti pubblici delMerisi, dunque, non riguarda soltanto questioni di ortodossiadelle novità iconografiche proposte dall’artista, esso evidenziaanche un mutamento profondo nei costumi del mercato roma-no: una pala non accettata dal committente diventava infatti su-bito una ghiotta occasione per mercanti e collezionisti.

La vicenda del ‘San Matteo’ già a Berlino /t a v o l a 4 2 /1 2 r a p-presenta, a mio avviso, un punto di partenza imprescindibileper comprendere la contemporanea ricezione dei dipinti delmaestro lombardo e il loro mercato. In quest’ottica mi pro-pongo dunque di rileggere la complessa vicenda.

Riguardo alla prima versione del ‘San Matteo’ Contarelli,Spezzaferro sosteneva che il dipinto non era destinato all’altaredella cappella in San Luigi dei Francesi, bensì costituiva unaprova eseguita dal Merisi per essere collocata su un altare prov-visorio, per dar modo ai padri di San Luigi dei Francesi di ce-lebrare la messa e ingraziarsi così i Crescenzi, esecutori testa-

34 MARIA CRISTINA TERZAGHI

mentari del Contarelli, assicurandosi il contratto per i lateralidella cappella1 3. La verifica dei risultati cui giungeva lo studioso,cioè il fatto che il ‘San Matteo’ non sia stato rifiutato dai desti-natari, esecutori testamentari o padri di San Luigi dei Francesiche fossero, mi pare in questa fase dei lavori secondaria, quan-tomeno in ordine di tempo, all’analisi documentaria che con-dusse a formulare una simile ipotesi. Riprovando infatti ad alli-neare i dati sicuri che emergono dalle carte antiche, si riesconoad individuare una serie di solidi appigli, storicamente e criti-camente ineludibili, sui quali ragionare della questione.

Va innanzitutto tenuto presente che possiamo identificarenel ‘San Matteo e l’angelo’ già a Berlino1 4 la prima delle due ver-sioni della pala d’altare della cappella Contarelli, grazie allefonti. La pur ampia documentazione relativa ai contratti per ladecorazione dell’ambiente non lascia infatti intendere nessun ri-fiuto o rifacimento del dipinto per volontà dei committenti15.

E, a proposito di fonti, chi insinua per primo la questionedel mancato apprezzamento del ‘San Matteo’ è il Baglione:“Per il Marchese Vincenzo Giustiniani fece un Cupido a sederedal naturale ritratto, ben colorito sì, che egli dell’opere del Ca-ravaggio fuor de’ termini invaghissi; & il quadro d’un certo S.Matteo, che prima havea fatto per l’altare di S. Luigi, e non eraa veruno piaciuto, egli per esser’opera di Michelagnolo, se’lprese; e in questa opinione entrò il Marchese per li gran schia-mazzi, che del Caravaggio, da per tutto, faceva Prosperino del-le Grottesche, turciman(n)o di Michelagnolo e malaffetto co’lCavalier Gioseppe”16. Il Bellori rincara la dose: “Avendo egliterminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo su l’alta-re, fu tolto via da i preti con dire che quella figura non aveva de-coro né aspetto di Santo, stando a sedere con le gambe incaval-late e co’ piedi rozzamente esposti al popolo. Si disperava il Ca-ravaggio per tale affronto nella prima opera da esso pubblicatain chiesa, quando il marchese Vincenzo Giustiniani si mosse afavorirlo e liberollo da questa pena; e interpostosi con quei sa-cerdoti, si prese per sé il quadro e gliene fece fare un altro di-verso, che è quello che si vede ora sull’altare; e per onoraremaggiormente il primo, portatolo a casa; l’accompagnò poi congli altri tre Vangelisti di mano di Guido, Domenichino e del-l’Albano, tra li più celebri pittori che in quel tempo avessero fa-ma”17. Che dunque il ‘San Matteo’ già a Berlino, di certa pro-

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 35

venienza Giustiniani, sia il dipinto destinato all’altare della cap-pella in San Luigi dei Francesi è fuori discussione. Sull’altare sitrova invece la versione definitiva dell’opera, sensibilmente di-versa, sia dal punto di vista iconografico che da quello stilistico,dalla tela Giustiniani.

Tra i molteplici documenti relativi alla cappella Contarelli inSan Luigi dei Francesi restano due contratti relativi alla paladestinata ad ornare l’altare: il primo stipulato con il pittore Ge-rolamo Muziano (1565), il secondo con lo stesso Caravaggio(1602). A riguardo dell’iconografia, il primo contratto sta sullegenerali: “in tabula (…) altaris (…) Sanctus Mattheus scribensevangelium cum angelo”1 8. Il cardinale Matteo Contarelli dove-va aver dato tuttavia disposizioni più precise in materia. Lo ap-prendiamo da una “descriptio” acclusa al contratto del 1591, sti-pulato da Virgilio Crescenzi (esecutore testamentario del Con-tarelli, scomparso nel 1585), con il Cavalier d’Arpino1 9. Il Cesa-ri fu infatti ingaggiato al posto dell’inadempiente Muziano perrealizzare le ‘Storie di San Matteo’ a fresco, ma non la pala d’al-tare, raffigurante ‘San Matteo e l’angelo’, per la cui realizzazionesi era scelto uno scultore, Jacob Cobaert, nel 15872 0. Al contrat-to con il Cavalier d’Arpino è accluso un documento che dettaglial’iconografia delle storie, compresa la pala d’altare. Ora, nonessendo stato richiesto alcun dipinto del genere al Cesari, è evi-dente che le norme erano quelle destinate al Muziano, e chedunque furono concepite dallo stesso Matteo Contarelli.

Il ‘San Matteo’ di Caravaggio già a Berlino e oggi perdutosi adegua precisamente a queste norme iconografiche, che reci-tavano: “All’altare sarà un quadro alto palmi dicesette et largopalmi quattordeci di vano nel quale sia depinta la figura di SanMatteo in sedia con un libro o volume, come meglio gli parerà,nel quale mostri o di scrivere o di voler scrivere il vangelio et acanto di lui l’angelo in piedi maggior del naturale in atto chepaia di ragionare o in altra attitudine a proposito per questo ef-fetto”21, il secondo /tavola 43/, quello che ancor oggi si trovasull’altare, a quelle concordate con lo stesso Merisi: “L’effigie etimagine di San Mattheo in actu scribentis Evangelium con l’ef-figie et imagine ancor d’un angelo a man dritta in actu dictandiEvangelium et l’un et l’altro con li corpi intieri”22.

La prima redazione del ‘San Matteo’, dunque, non rispon-de affatto, se non in minima parte, ad una invenzione di Cara-

36 MARIA CRISTINA TERZAGHI

vaggio, ma si adegua precisamente alla volontà di Matteo Con-tarelli, e non potrebbe essere altrimenti, giacché, evidentemen-te, non esisteva ancora il contratto stipulato nel 1602 da Gia-como Crescenzi: “ad faciendum rem gratam illustri dominoFrancisco Contarello”, cioè per far cosa gradita al nipote ed ere-de di Matteo Contarelli, Francesco, rettore della Congregazionedi San Luigi dei Francesi23.

A fronte di queste considerazioni, il 1602 mi pare dunque,un fermo termine ante quem per la realizzazione del ‘San Mat-teo’ già a Berlino: nel caso fossero già state dettate nuove normeiconografiche in proposito, non avrebbe infatti avuto sensoadeguarsi alle antiche.

Tale datazione, che non mi risulta sia mai stata ribaditacon forza, appare certa, a meno che non si respinga l’idea che idue dipinti rispondano a norme iconografiche diverse, come hafatto, ad esempio, Mia Cinotti, opponendosi alla tesi della cor-rispondenza iconografica dei quadri alle diverse stesure con-trattuali, avanzata per primo da Spezzaferro, con l’osservazioneche le indicazioni iconografiche del 1602 sarebbero soltantouna sorta di “pro-memoria” di quelle più dettagliate del 15652 4.In realtà non pare ci fosse bisogno di alcun promemoria nelladefinizione dell’iconografia dell’intera cappella. Come si è vistonel caso del Cavalier d’Arpino, nei successivi contratti stipulati,si faceva costante riferimento alla normativa espressa da MatteoContarelli. I notai accludevano infatti una copia della “descrip-tio” alla stipula del nuovo contratto, e mi pare utile sottolinearecome, anche nei laterali della cappella Contarelli del 1599, Ca-ravaggio seguì alla lettera il dettato di quel testo.

Ma, soprattutto, la differenza balza agli occhi osservando idue dipinti: essi rispondono pienamente ai due diversi dettatiiconografici. E mi piace a questo proposito citare le lucide os-servazioni di Ferdinando Bologna: “Davvero è impossibile nonavvedersi che il San Matteo desiderato dal Contarelli (e poicommesso al Cavalier d’Arpino ma da lui non eseguito) coinci-de a puntino con quello rifiutato al Caravaggio, e acquistato daVincenzo Giustiniani — a incominciare dal particolare, indivi-duante fuor d’ogni ambiguità, dell’evangelista “in sedia” —;quello saldato al Caravaggio il 22 settembre 1602, e tuttora in s i -tu, non ha proprio nulla che assomigli al quadro Giustiniani, einvece ha il necessario per coincidere, quasi alla lettera, con le

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 37

particolarità prescritte nel documento del febbraio”25.La diversità iconografica suggerisce dunque con forza che si

tratti di due differenti commissioni, quindi, di quadri eseguiti indue momenti diversi e, come spero abbiamo sufficientementedimostrato, in questo caso il ‘San Matteo’ di Berlino venne re-datto in un momento ancora da definire, ma certamente ante-riore al 22 febbraio 1602, mentre quello ora sull’altare dellacappella venne consegnato alla fine di settembre di quello stes-so anno, momento a cui risalgono i pagamenti per il supportodella tela e la cornice per fissarla al vano dell’altare2 6.

Che il primo e il secondo ‘San Matteo’ fossero frutto di duediverse commissioni sembra indicato anche dal fatto che le duepale hanno dimensioni affatto diverse: la prima redazione (cm223 x 183) è infatti più piccola di circa 70 cm rispetto alla se-conda (cm 295 x 195)2 7. Come si è visto, nel programma icono-grafico formulato a suo tempo da Matteo Contarelli, erano in-dicate con precisione le dimensioni del vano dell’altare cui eradestinato il dipinto, che doveva essere: “alto palmi dicesette etlargo palmi quatordeci di vano”28. Non è difficile concordaresul fatto che qualsiasi pittore si fosse cimentato in quella com-missione doveva giocoforza partire da lì. Ora, mi pare difficilecredere che Caravaggio, che, come si è visto, ben conosceva levolontà di Matteo Contarelli, avesse invece equivocato le misu-re, tanto da realizzare una pala d’altare di oltre un metro emezzo (cioè più di un terzo) più piccola del vano cui era desti-nata. Ovviamente, in assenza di precisi documenti, le spiega-zioni possono essere molteplici. Alcune tuttavia vanno di ne-cessità scartate.

È innanzitutto escluso che la pala sia stata decurtata nei va-ri passaggi di proprietà: nel 1638 il dipinto già a Berlino è regi-strato nell’inventario del marchese Vincenzo Giustiniani conle stesse dimensioni con cui figurava nel museo tedesco2 9. I nproposito è stato supposto che, dal momento che il Giustinianisembra avesse destinato l’opera a far parte di un ciclo di Evan-gelisti, accanto a Guido Reni con un ‘San Luca’, Francesco Al-bani con un ‘San Giovanni Evangelista’ e Domenichino conun ‘San Marco’, le dimensioni del ‘San Matteo’ furono ridotteper uniformità30.

Già Spezzaferro confutava l’ipotesi, adducendo il fatto chele misure dei quattro dipinti non corrispondono con precisione

38 MARIA CRISTINA TERZAGHI

a s s o l u t a3 1. Alla luce dell’attuale conoscenza dei fatti artisticiche si svolsero a Roma tra il 1600 e il 1602, mi pare, tuttavia,che l’argomentazione più decisiva sia il fatto che gli artisti coin-volti erano tutti più giovani e meno celebri di Caravaggio. Essigiunsero infatti a Roma tra la fine del 1600 e il 1601, quando ilpittore era ormai noto a tutta la città. Semmai accadde dunqueil contrario: furono questi ad uniformarsi all’opera del Merisi,come del resto affermava Bellori. E, d’altronde, nella stanzainsieme agli Evangelisti di Reni, Albani e Domenichino era col-locato un ‘San Matteo’ di mano di Nicolas Régnier, probabil-mente copia di quello di Caravaggio, mentre l’originale del Me-risi si trovava nella “Stanza grande dei quadri antichi”, accantoalle altre opere dell’artista di proprietà del marchese32.

Oltre alla differenza delle misure e del dettato iconograficoil fatto che il ‘San Matteo’ già a Berlino e quello ora sull’altare diSan Luigi dei Francesi corrispondano a due commissioni di-verse, e, dunque, vennero realizzati in due diversi momenti,sembra provato anche dallo stile delle due opere, di segno ra-dicalmente opposto33.

Il dipinto già in collezione Giustiniani appare infatti di unnaturalismo più crudo e meno filtrato dalla lezione michelan-giolesca, che invece sembra più meditata nell’attuale pala d’al-tare della cappella Contarelli. Il tono di quest’ultima tela è in-fatti assai più colto e pacato, e l’impaginazione della scena ap-pare meno istintiva e più calibrata. Ben altro sembra l’interessedella tela già a Berlino, piuttosto attenta a rileggere la tradizionemanierista nell’ottica di un realismo non privo di arzigogoli.Le pose del santo e soprattutto dell’angelo risultano infatti ca-ricate oltre misura, quasi affastellate, mentre nell’attuale ver-sione della scena l’impostazione è nitida e chiara. È evidente co-me un passaggio pittorico e soprattutto mentale di questo tipovada inquadrato nell’evoluzione che caratterizza la pittura diCaravaggio ben oltre il crinale dell’anno giubilare. La primaversione del ‘San Matteo’ mi pare, invece, da leggere in strettaprossimità di un’opera come l’‘Incredulità di San To m m a s o ’già in collezione Giustiniani ed ora a Postdam (Sanssouci). Inentrambe le tele infatti si riscontra una profonda riflessionesullo stupore suscitato da un concreto, quanto inaspettato gestodi aiuto, al di là della concezione luministica più distesa nell’‘In-credulità di San Tommaso’ (ma ricordiamo che il ‘San Matteo’ è

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 39

noto solo attraverso una fotografia). Molto ragionevolmente,Mina Gregori ha datato il dipinto di Postdam al 1600-1601circa, il ‘San Matteo’ già a Berlino mi pare di poco precedente,suppergiù a cavallo del volgere del secolo34.

L’accademia contro il libero mercato

Tutt’altra questione è se l’esistenza delle due redazioni cor-risponda alle esigenze dettate da un rifiuto, o se il reale motivoper cui l’artista eseguì due volte la pala d’altare della cappellaContarelli resti ancora da acclarare.

D’altro canto il Baglione non afferma propriamente che ilquadro venne rifiutato, ma che “non era a veruno piaciuto”, elo fa in un contesto in cui si è dilungato a confutare le lodi deiquadri in San Luigi dei Francesi, riportando il giudizio negativodi Federico Zuccari: “Che rumore è mai questo? Io non ci vedoaltro che il pensiero di Giorgione”, e a giustificare l’interesse diVincenzo Giustiniani e Ciriaco Mattei, probabilmente del tuttofuorviati dalla smaccata pubblicità di Prospero Orsi3 5. Dal rac-conto del Baglione una questione sembra dunque emergerecon chiarezza ed appare, in realtà, sommamente interessante:già all’epoca della cappella Contarelli un c ô t é di collezionisti pri-vati era dispostissimo ad accaparrarsi le opere del Merisi, no-nostante il giudizio negativo, se non dei destinatari, per lo menodi Federico Zuccari, primo Principe dell’Accademia di San Lu-ca, che, come tale, rappresentava una delle massime autorità intema di pittura36.

Va tenuto infatti presente che tra i compiti specifici del-l’Accademia c’era quello di rilasciare licenza ai pittori di valuta-re e stimare le opere di altri artisti, una sorta di commissione a n -t i - t r u s t che metteva il committente al riparo da ciarlatani e per-metteva, al tempo stesso, agli accademici di esercitare il controllodei prezzi e della qualità di quanto veniva prodotto a Roma.

Proprio Federico Zuccari, nel 1593 lanciò l’idea di tassaredel due per cento chi si rivolgeva ai deputati dell’Accademia perottenere la stima di un oggetto d’arte. I proventi di tale impostaandavano per un terzo al perito, mentre i due terzi venivanoversati nelle casse dell’Accademia. Tale richiesta venne accoltasoltanto due anni più tardi sotto il principato di Tommaso Lau-reti, con decreto del cardinale Gerolamo Rusticucci che “ap-

40 MARIA CRISTINA TERZAGHI

provò e concesse che, occorrendo ad alcuna persona far sti-mare qualsivoglia pittura, miniatura, stuccatura, indoratura e al-tra cosa spettante all’esercizio del Pittore, tanto fatto in muro,quanto in tela etc: non possa niuno fare tale stima né a parole,né in iscritto senza licenza de nostri Deputati, né li Stimatoripossano dare tale stima, se prima da chi la vorrà non sia fatto ildeposito di scudi due per centinaio nelle stime che passanoventicinque di moneta, delle quali due per cento, li Periti ab-biamo ad avere (volendolo) il terzo e gli altri due terzi devonoconsegnarsi al Camerlengo per mantenimento della Chiesa”37.

Per attuare il decreto fu istituita una commissione di dodi-ci “stimatori”, sei dei quali erano pittori, chiunque avesse osatoemettere una perizia al di fuori di tale commissione rischiavauna multa di dieci scudi38. Quando Caravaggio licenziò le teleper la cappella Contarelli, le cose stavano dunque in questomodo. In un simile contesto non è difficile intuire che Giovan-ni Baglione, riportando l’opinione di Federico Zuccari sull’o-pera di Caravaggio, intendeva mettere a parte il lettore nontanto e non solo del giudizio personale del pittore, bensì del pa-rere del garante della qualità della produzione artistica nellacapitale, che, come tale, aveva un altissimo grado di ufficialità.

Il nesso tra le Vite e la pratica accademica di questi anni èstato individuato nel carattere farraginoso della compilazionedel Baglione3 9. In mancanza di un preciso giudizio critico, di ununivoco criterio di stima, il biografo raccontava i fatti metten-doli in fila, uno dopo l’altro, esattamente come negli anni ventidel Seicento, sopite le istanze del dibattito teorico della finedel secolo XVI, gli accademici si incontravano soprattutto perscambiarsi opinioni a livello meramente pragmatico, senza unideale pittorico ed estetico da mettere in comune, e per il qualeeventualmente lottare40.

Vorrei aggiungere qualcosa in proposito. Non mi pare in-fatti da sottovalutare il fatto che, lungi dall’essere un teorico,Giovanni Baglione fu innanzitutto pittore e che, soprattuttonel raccontare le vicende che lo riguardavano da vicino, egli do-vette giocoforza adottare un punto di vista squisitamente per-sonale, non tanto e non solo in quanto detrattore di chi nonsposava un linguaggio artistico affine al suo, ma, soprattutto, inqualità di uomo del mestiere. Le ragioni del successo di un pit-tore che, neanche troppo banalmente, si quantificava in termini

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 41

di elogi, onori e “vil pecunia”, sembrano insomma al centro de-gli interessi del pittore-biografo.

Da questo punto di vista, le opere di Caravaggio dovetterocostituire una sorta di scheggia impazzita nell’ambito del mer-cato artistico del periodo. Il caso del Merisi risulta infatti unadelle rare occasioni in cui un pittore era valutato e stimato benal di là del giudizio dell’accademia, essendosi guadagnata unafetta di mercato, costituita da collezionisti e amatori almenoapparentemente scevri da giudizi istituzionali, che gli consenti-va una certa libertà dai binari consueti sui quali era incanalatal’attività di un artista41.

A riprova di quanto si diceva, mi pare altamente significa-tivo il fatto che nel 1607 Baglione fu tra i firmatari dei nuovi sta-tuti dell’Accademia di San Luca, che ricevettero l’imprimatur inquello stesso anno, ma che furono stampati soltanto due annipiù tardi nel 1609, quando il principe dell’istituzione era Ga-spare Celio42. L’importanza di queste norme nel contesto delmercato artistico romano è stata recentemente indagata e nonmette dunque conto stare sulle generali4 3, quel che mi preme in-vece sottolineare in questa sede è la straordinaria coincidenzaspazio temporale per cui Caravaggio lasciò Roma nel maggiodel 1606, e, a pochi mesi di distanza, l’Accademia approvònuove norme, decisamente restrittive nei confronti del mercatodell’arte, dell’esercizio della professione dei giovani pittori esoprattutto della scalata dei prezzi. In proposito non mi sembraazzardato suggerire che i nuovi statuti dell’Accademia di SanLuca, promossi tra gli altri da Giovanni Baglione, vadano lettianche come una sorta di reazione degli artisti dell’epoca allafronda caravaggesca in espansione44.

E in quest’ottica val la pena tornare al problema dei quadriContarelli. Il nodo della vicenda pare infatti, secondo il reso-conto del Baglione, il seguente: Vincenzo Giustiniani acquistò il‘San Matteo’ non per una particolare qualità artistica del di-pinto, sulla quale i “professori del disegno”, nella persona di Fe-derico Zuccari, avevano in realtà molte riserve, ma “per esseropera di Michelagnolo”, cioè per la gran fama di Caravaggio, in-valsa in tutta Roma a motivo dell’accorta operazione di marke-ting condotta da Prospero Orsi.

Gli statuti del 1607 rappresentano un palese tentativo di ri-durre il ruolo del mercante all’interno del commercio delle

42 MARIA CRISTINA TERZAGHI

opere d’arte. Essi prevedevano che il numero delle botteghe au-torizzate a vendere quadri venisse limitato ad un massimo di seiin tutta Roma. Un accademico poteva vendere i propri dipintiesclusivamente tramite queste botteghe, a patto che il prezzofosse imposto prima della vendita, e la percentuale di guadagnodel mercante fosse ridottissima. Se invece l’artista decideva dipercorrere canali meno ufficiali, doveva chiedere il permesso al-l’Accademia45. L’istituzione si arrogava inoltre il diritto di so-printendere, a titolo puramente gratuito, a tutte le commissionipubbliche, papali o municipali che fossero. Insomma, l’inge-renza degli accademici divenne tentacolare, in ordine ad unosmaccato ostruzionismo nei confronti di tutti quelli che eserci-tavano la professione al di fuori dell’istituzione. E Caravaggio neera sempre stato al di fuori. Non solo, a quanto racconta lostesso Giovanni Baglione, egli era stato lanciato sulla piazzaromana e sponsorizzato da un gruppo di mercanti e mecenatiche ben poco avevano a che fare con l’ufficialità imposta dal-l’Accademia46. È evidente che il fenomeno Merisi aveva desta-bilizzato il mercato e si voleva a tutti costi evitare che capitassein futuro qualcosa di analogo47.

Prospero Orsi imprenditore

Rileggendo gli studi di Spezzaferro, ci si rende conto che,riguardo a Prospero Orsi, forse il più “pericoloso” dei mer-canti in questione, lo studioso ha potuto chiaramente dimo-strare che il pittore svolse realmente un ruolo di capitale im-portanza nei confronti della pittura del Merisi, ponendosi a ca-po di un fiorente mercato di copie, e dunque gli “schiamazzi”citati dal Baglione, erano tutt’altro che un’iperbole48.

Sappiamo che l’Orsi fu intrinseco di Caravaggio fin dalsuo arrivo a Roma. Il primo documento noto in proposito(1594, o 1595?) li registra entrambi presenti al turno delle Qua-rantore celebrate dai Virtuosi al Pantheon, in occasione della fe-sta di San Luca, pochi dati che delineano in modo sommario,ma non troppo impreciso, le coordinate del primo tempo ro-mano del pittore lombardo, che appare così ben inserito nei cir-cuiti artistici capitolini4 9. Sorprendere Caravaggio tra le fila deiVirtuosi, che organizzavano esposizioni di dipinti sotto il porti-co del Pantheon, fa tutt’uno col rammentarsi il celebre passo

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 43

del Malvasia, secondo il quale, al suo arrivo a Roma, le operedel giovane lombardo: “Per non esser mirate d’alto, anzi avvili-te dal bisogno, mendicavano con poca riputazione ogni dispac-cio sulle pubbliche mostre”50.

Ora, non mi pare inutile sottolineare che, giusto tra il 1594e il 1595, Prosperino risulta un p r o t e g é del cardinale AlessandroPeretti Montalto, che gli passava uno stipendio semestrale5 1.La notizia non è priva di risvolti interessanti per gli esordi capi-tolini del Merisi. Innanzitutto contribuisce a collocare nella giu-sta prospettiva il racconto di Giulio Mancini sul primo protet-tore di Caravaggio: Pandolfo Pucci, guadagnatosi il soprannomedi “Monsignor Insalata” per la frugalità del vitto che passava alsuo protetto5 2, maestro di casa di Camilla Peretti, sorella di SistoV, e nonna materna del cardinale Alessandro Peretti Montalto5 3,tra gli ecclesiastici più fedeli alla politica del pontefice. Se sitien conto che Prospero Orsi, intrinseco di Caravaggio, era altempo stesso il pittore di casa Montalto, non mi sembra ci siamotivo di dubitare del fatto che il Pucci sia stato tra i primi adoffrire la propria protezione all’artista, e probabilmente anchegrazie all’interessamento del cardinale di Prosperino5 4.

Ma l’Orsi risulta anche una vecchia conoscenza di un altrotra i primi committenti di Caravaggio: Ottavio Costa. I due do-vevano essere entrati personalmente in rapporto innanzituttoper motivi strettamente finanziari: il pittore riscuoteva infatti ilcompenso corrispostogli dal cardinale presso il banco Herrera& Costa, e per tale operazione doveva obbligatoriamente recarsidi persona presso la sede del banco: ne conosceva dunque cer-tamente i titolari55. In secondo luogo, Ottavio Costa era legatoda intima e profonda amicizia con il segretario personale delcardinal Montalto, Ruggero Tritonio abate di Pinerolo, che fuun vero e proprio estimatore del Merisi5 6. Lo documenta la ce-lebre vicenda della copia del ‘San Francesco in estasi’ ora adHartford (Conn.), eseguito da Caravaggio per Ottavio Costa/tavola 44/, il quale lo fece riprodurre per soddisfare l’amico acui aveva destinato il quadro, dettando il suo primo testamentoin seguito a una grave malattia. Siamo nell’estate del 1606: ri-presosi dal malore, il Costa non donò l’originale del dipinto,bensì una copia all’amico fraterno, il quale la descrisse nel pro-prio testamento destinandola a sua volta al nipote, tra i cui benipassò dopo la morte dello zio, e rimase presso gli eredi fino a

44 MARIA CRISTINA TERZAGHI

quando essi lo donarono al Museo di Udine, dove ancora si tro-va /tavola 45/57.

Come ho dimostrato altrove, la copia va datata tra il 6 ago-sto 1606, epoca del testamento del banchiere, dove viene stabi-lita la donazione della tela del Merisi all’abate, e il 25 ottobre1607, quando Ruggero Tritonio fa a sua volta testamento in fa-vore del nipote, destinandogli espressamente il quadro di Ca-ravaggio, raffigurante ‘San Francesco in estasi’, ricevuto in donodall’amico Ottavio Costa58. I molteplici legami che stringonoProspero Orsi al cardinal Montalto e alla sua cerchia, in parti-colare Ottavio Costa e Ruggero Tritonio, tra i primi acquirentidi opere di Caravaggio, e, soprattutto, tra i primi committenti dicopie, sembrano così potersi inquadrare perfettamente nellacornice della vivace attività mercantile di Prosperino conse-gnataci dai documenti Altemps di cui si diceva59.

D’altro canto facilmente i pittori di grottesche e gli indora-tori, come l’Orsi, portavano avanti una parallela attività di com-pra vendita di dipinti60. La figura di Prosperino trova dunqueuna giusta collocazione nel contesto del mercato dell’arte a Ro-ma tra la fine del Cinque e l’inizio del Seicento. Evidentementeil suo fiuto gli aveva fatto subodorare che quello di Caravaggioera un affare d’oro6 1. In questa direzione mi pare occorra lavo-rare per chiarire i meccanismi che condussero al fenomeno del“caravaggismo”, un movimento di portata internazionale, in-spiegabile senza ipotizzare anche un’accorta operazione di mer-cato.

Il “giovine” Bartolomeo Manfredi

Un ruolo di prim’ordine in tal senso dovette giocare Bar-tolomeo Manfredi. La riflessione su un’altra opera di proprietàCosta e sulla copia, anch’essa commissionata dal banchiere, mipare possa essere utile per chiarire questa prospettiva.

Abbiamo visto che il ‘San Francesco in estasi’ dei Musei Ci-vici di Udine si data tra l’estate del 1606 e l’autunno del 1607.Poco tempo avanti, sempre nel 1606, Ottavio aveva comun-que già ottenuto una copia di un altro dei suoi Caravaggio62, il‘San Giovanni Battista’ di Kansas City /t a v o l a 46/, copia che og-gi si trova presso il Museo Diocesano di Arte Sacra di Albenga

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 45

/t a v o l a 47/, qui pervenuta dall’oratorio di San Giovanni Battistadi Conscente. Ottavio Costa deteneva il giuspatronato dellafondazione, insieme ai fratelli Pier Francesco e Alessandro, egliaveva dunque provveduto ad ornare l’altare maggiore dell’edi-ficio consacrato nel 1606 con un dipinto raffigurante il santopatrono, Giovanni Battista. Ora, come documentano il testa-mento del banchiere e tutta una serie di altri dati, nel palazzoromano del Costa alla sua morte, avvenuta nel 1639, si trovava il‘San Giovanni Battista’ di Caravaggio ora a Kansas City, la cuicopia giunse a Conscente, spedita da Roma certamente entro il1616, e più precisamente, con ogni probabilità, all’epoca dellaconsacrazione dell’edificio nel 1606, tanto più che per l’origi-nale il Merisi ricevette da Ottavio un acconto il 22 maggio160263. Il Costa dunque commissionò un ‘San Giovanni Batti-sta’ a Caravaggio, probabilmente con l’intento di ornare l’altaredell’oratorio di Conscente, ma, al momento buono, anziché in-viare l’originale nello sperduto borgo ligure, trattenne il dipintodi Caravaggio presso di sé e ne fece trarre una copia identica intutto, in modo da soddisfare le esigenze della chiesetta di pro-vincia. Tale copia venne peraltro descritta di lì a pochi annidal figlio di Ottavio, Pier Francesco, divenuto vescovo di Al-benga, come opera del Caravaggio, lui che non poteva non es-sere al corrente del fatto che l’originale si trovava a Roma nelpalazzo paterno64.

Seguendo il caso Costa, emerge, dunque, come la produ-zione di copie da originali del Merisi avvenne inizialmente astretto uso e consumo del proprietario, che se ne serviva perscopi personali: doni o arredo. In quest’ottica va probabilmen-te letta anche l’altra copia del ‘San Giovanni Battista’ Costa, og-gi conservata a Capodimonte /tavola 48/. Anche questa volta,come per la tela di Albenga, l’opera risulta pressoché identicaall’originale, con cui concorda precisamente anche nelle di-m e n s i o n i6 5. Il dipinto fu acquistato a Roma nel 1802 da Dome-nico Venuti per implementare le collezioni di Capodimonte.Nell’elenco stilato in quell’occasione il ‘San Giovanni’ figura co-me di “Bartolomeo Manfredi, scolare del suddetto Caravag-g i o ”6 6. La tela oggi a Napoli si trovava dunque originariamentenell’Urbe, dove fu con tutta probabilità eseguita, stando a quan-to abbiamo visto finora, non senza il beneplacito di OttavioCosta. Osservando il notevole dipinto va innanzitutto rilevata la

46 MARIA CRISTINA TERZAGHI

tenuta stilistica che differenzia la copia napoletana da quella diAlbenga, dai toni più convenzionali e molto meno caratterizza-ta, soprattutto nella resa della testa67.

Per quanto riguarda l’ipotesi di un’esecuzione di Bartolo-meo Manfredi, nome sotto il quale passava il dipinto nel docu-mento ottocentesco di cui sopra, va rilevato che il pittore eramolto probabilmente a conoscenza dell’originale, e dunquedella collezione di Ottavio, come risulta dallo splendido ‘SanGiovanni Battista’ /tavola 49/ già sul mercato antiquario mila-nese con il corretto riferimento all’artista di Ostiano e ora incollezione Koelliker6 8. Nel dipinto infatti è palese il riferimentoal ‘San Giovanni’ Costa per la posa diagonale del santo cheregge la canna, appoggiandosi allo straordinario drappo rosso.Il ‘San Giovanni’ manfrediano è tuttavia caratterizzato da unformato inferiore alla tela di Kansas City, e soprattutto dall’ele-mento della ciotola, presente nel ‘San Giovanni Battista’ Corsi-ni di Caravaggio, ma non in quello già Costa. Pur nell’incertascansione cronologica delle opere del Manfredi, la tela di pro-venienza antiquariale sembra dialogare con la ‘Riunione di be-vitori’ già al County Museum of Art di Los Angeles, — e si ha lasensazione che il ragazzo col berretto piumato sulla sinistra sialo stesso modello utilizzato da Manfredi per il ‘San Giovanni’— e con il ‘Ritratto di Bartolomeo Chenna’ del Museo diKharkov, che reca la data 160969. A queste opere il dipinto siapparenta per l’intenso partito chiaroscurale, con l’ombra cheinghiotte parte del fianco destro del santo, mentre il nudo dellespalle e del busto, così come una parte del volto, appaiono im-mersi nella luce, l’intonazione cromatica giocata sui bruni e suirossi (diversa in questo caso dall’originale, e semmai debitricenei confronti delle opere dell’ultimo Caravaggio), la materiapittorica mossa e vaporosa nella resa degli incarnati e dei ca-pelli. Confrontando ora questo ‘San Giovanni Battista’ con lacopia di Capodimonte, risulta piuttosto difficile riconoscereuna simile condotta pittorica nella restituzione pacata e più ac-cademica del santo partenopeo70.

Non sembrandomi per ora possibile sciogliere il quesito at-tributivo, preferisco lasciare in sospeso la spinosa questionedella paternità della tela napoletana. Tuttavia la sequenza diopere gravitanti in uno strettissimo giro di anni attorno al ‘SanGiovanni Battista’ Costa mi pare piuttosto significativa per

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 47

comprendere il possibile itinerario dal dipinto originale alla li-bera ripresa del modello, passando attraverso la produzione dicopie sempre più personalizzate, che evidentemente divulgava-no l’invenzione7 1. Che Manfredi fosse uso a queste libere ripre-se di dipinti caravaggeschi emerge chiaramente dalla vicendadello “Sdegnio di Marte”, che Caravaggio avrebbe realizzatoper il cardinal Del Monte e che questi non voleva lasciar copia-re al Mancini, incaricato da Agostino Chigi. Siamo nel 1613, ilmedico senese pensò bene di ripiegare commissionando un di-pinto di analogo soggetto a Bartolomeo Manfredi, che realizzòil quadro senza l’ausilio dell’originale, ma, almeno in parte, disua invenzione, dal momento che il Mancini scrive al fratelloDeifebo di avere pagato la tela 35 scudi, compreso il prezzo peri modelli72.

Fa riflettere l’intercambiabilità tra opere di Caravaggio eopere di Manfredi. “Questo giovine”, come lo chiama sempre ilMancini, assicurando che vale come, se non più di Caravaggio,era evidentemente sentito come un novello Merisi, attivo nelsolco di quella tradizione e tuttavia ben distante dall’essere unmero copista del maestro73.

La faccenda della giovinezza appare in realtà un po’ so-spetta. L’atto di battesimo di Bartolomeo Manfredi lo vuole in-fatti nato nel 1582 ad Ostiano, nei pressi di Cremona. Nel 1613,egli doveva dunque avere 31 anni, un’età che, per i parametridel tempo, non sembra troppo giovanile. Nel novembre del1596 egli si trovava ancora a Mantova, mentre il 28 marzo 1607è documentato a Roma74. Anche ipotizzando che non vi fossegiunto molto tempo prima, nel 1613, quando dipinse il quadroper il Mancini, egli si trovava in città ormai da sei anni. Il fattoche Mancini lo nomini costantemente come “giovine” sembracorroborare l’ipotesi che il “Bartolomeo” che nel 1603 Cara-vaggio cita come suo servitore, e che la critica tende oggi a nonidentificare con il Manfredi poiché questi avrebbe avuto all’e-poca 21 anni, troppi per un garzone, sia lo stesso Manfredi75.Dieci anni dopo Mancini ne parla ancora come “un giovine”,con evidente riferimento alla professione, non tanto all’età. Aquesto proposito, rileggendo i documenti che riguardano il pit-tore di Ostiano, ci si avvede che nella sua abitazione in SantaMaria del Popolo nel 1614 è registrato un tal “Francesco Gal-dori Mantovano Garzone di anni 22”7 6. È dunque evidente che

48 MARIA CRISTINA TERZAGHI

anche a quell’età si poteva svolgere tranquillamente l’attivitàdi “ragazzo” di bottega77.

L’identificazione comunque non è cosa certa: gli elementiper ricostruire la vicenda sono ancora troppo pochi, e, d’altrocanto, anche qualora il Manfredi sia passato per la bottega diCaravaggio, egli non vi rimase a lungo. Lo stesso maestro affer-ma infatti che nel 1603 Bartolomeo non abitava più con lui, enei documenti che riguardano il Merisi se ne perde ogni tracciadopo quella data. A complicare la questione, giunge la notiziache, il 30 dicembre 1606, lo stesso Giulio Mancini spedì a Sienaal fratello Deifebo una “Zinghara” che risulta opera dello“Scholaro di Michelangelo”7 8, un artista che il medico senese la-scia nell’anonimato, e con il quale ebbe rapporto per diversotempo. Dalla corrispondenza dei fratelli Mancini si apprendeperaltro che questa “Zinghara” dello “Scholaro” era in realtàcopia della ‘Buona ventura’ di Caravaggio che si trovava nellacollezione Vittrice e oggi è al Louvre /tavola 50/79.

Lo stesso Mancini era intrinseco di Alessandro Vittrice, ilquale era peraltro legato a Prospero Orsi da stretti vincoli di pa-rentela: la madre di Alessandro, Orinzia Orsi, era infatti sorelladi Prosperino, che risulta dunque zio di Alessandro e cognatodi Gerolamo Vittrice, marito di Orinzia8 0. Ora, oltre ad essere ilproprietario della ‘Buona ventura’ di Parigi8 1, Gerolamo Vi t t r i-ce fu anche il probabile committente della ‘Deposizione’ dellaVallicella82. Ecco che il nodo si stringe ulteriormente intorno aProspero Orsi, e ai primissimi sostenitori del Merisi. Stantetutti i dati in nostro possesso è infatti impensabile che Prospe-rino fosse estraneo alla compravendita della ‘Buona Ventura’ daparte del cognato83.

Inoltre quell’opera fu tra le prime (in contemporanea osubito dopo i quadri Costa) a venire copiata dal misterioso“Scholaro di Michelangelo”. Se davvero Prosperino fu a capodell’operazione di marketing dei quadri di Caravaggio, comesembra emergere a lettere sempre più chiare dagli studi recenti,non può stupire che una delle primi tele del Merisi ad essere co-piata fosse proprio un’opera di proprietà della famiglia di Pro-spero Orsi8 4. Mi pare che sia di un certo interesse notare come,sempre nel 1613, lo stesso Prospero Orsi si trovasse a venderequadri di un certo Bartolomeo: “ottimo scholaro del Caravag-gio”. Questi aveva realizzato un “David che ha in mano la testa

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 49

di Golia del naturale con cornice dorata”, che l’Orsi vendeva al-l’Altemps il 15 febbraio 1613 per settanta scudi, compreso ilprezzo di “Uno S. Tomaso che mette il detto nella costa di Cri-sto con altri discepoli largo palmi 6 con cornice intagliata e in-d o r a t a ”8 5. Si tratta ovviamente di copie, o libere interpretazioni,di temi caravaggeschi. Quel che però importa qui sottolineare èla straordinaria coincidenza che vede nello stesso anno e nellostesso luogo due “Bartolomeo” produrre copie o varianti diopere di Caravaggio, e ricorrere in documenti relativi a personeche peraltro si conoscevano benissimo. Tutto sembrerebbe, in-somma, suggerire che si tratti dello stesso copista e, dal mo-mento che quello di cui parla Mancini è certamente il Manfredi,è forte il sospetto che si tratti della stessa persona per la quale sifaceva intermediario Prospero Orsi86.

A questo proposito mi pare importante sottolineare chenell’inventario dei beni del duca Giovan Angelo Altemps, risa-lente al 1620, un non meglio specificato “Bartolomeo” risultaautore di “Un quadro di N.ro Sig.re che appare alli doi disce-poli”87 e che una seconda citazione, sempre relativa al dipinto,ma questa volta contenuta in un più dettagliato inventario deibeni del duca, conservato alla Newbury Library di Chicago epiù o meno contemporaneo al precedente8 8, specifica come“Un Cristo in Emmaus con doi discepoli e un Hoste di palmi10 longo con cornice nera rabescata d’oro”; tale descrizionesembrerebbe corrispondere a una derivazione dalla ‘Cena inEmmaus’ di Caravaggio oggi a Londra, che Gianni Papi ha re-centemente proposto di identificare con la tela di analogo sog-getto di Bartolomeo Cavarozzi conservata al Paul Getty Mu-seum di Los Angeles89.

Un Bartolomeo risulta inoltre autore di un “quadro di frut-ti” che il 2 marzo 1612 Prospero Orsi vende, insieme ad un altrodipinto di analogo soggetto, questa volta attribuito a Caravaggio,al duca Altemps, per il quale sia Spezzaferro che Gianni Papipensano ad una identificazione con lo stesso Cavarozzi9 0.

Essendo queste le uniche informazioni per ora in nostropossesso, l’identità dell’artista che ricorre nelle carte Altempsquale copista di Caravaggio e suo scolaro è per ora destinata arestare in sospeso, tuttavia va tenuto presente che in queglistessi documenti compare anche a più riprese un “Bartolomeopittore”, il cui cognome è letto talora come “Dansetto”9 1, talora

50 MARIA CRISTINA TERZAGHI

come “Cervetto”92. Questo personaggio, oltre che pittore, ri-sulta una sorta di intermediario negli acquisti Altemps, e nonpuò certamente essere identificato né col Cavarozzi, né con ilManfredi. Le opere del Bartolomeo “ottimo scholaro del Cara-vaggio”, infatti, venivano acquistate da Giovan Angelo Altempstramite Prospero Orsi, mentre Bartolomeo Cervetto risulta in-variabilmente mandatario degli esborsi in prima persona, siache si tratti di dipinti da lui eseguiti, sia che si tratti di vendita diopere di altri pittori93. I “Bartolomeo” presenti nelle carte Al-temps sono dunque due, e ben distinti tra loro.

Da quanto si è sinora esposto, possiamo affermare con unacerta tranquillità che nel 1613 il mercato delle copie da Cara-vaggio era fiorente, che probabilmente lo era già da alcuni anni,in particolare dallo stesso momento in cui l’artista aveva lascia-to Roma (è bene ricordare che non si ha notizia di nessuna co-pia precedente il 1606), che Prospero Orsi si trovava al centrodi tale produzione, per lo meno dal punto di vista mercantile,già dal tempo in cui aveva promosso l’acquisto del primo ‘SanMatteo’ Contarelli da parte del marchese Vincenzo Giustiniani,e che Bartolomeo Manfredi era con tutta probabilità uno deicopisti che rientravano in questo giro. Un copista peraltro suigeneris, dal momento che sappiamo che Giulio Mancini, nel-l’impossibilità di fargli copiare un dipinto di Caravaggio cu-stodito nella collezione Del Monte, gli pagò i modelli perché lofacesse di sua invenzione94.

Per una cronologia delle primissime copie da Caravaggiotra Roma e Napoli

Mi pare importante sottolineare a questo proposito, comel’atteggiamento di Ottavio Costa, di Giulio Mancini, e di Gio-van Angelo Altemps nei confronti dei dipinti di Caravaggionon sia affatto un episodio isolato, e non sarà inutile in propo-sito tentare un censimento delle copie di cui si ha certa notizia.

Nel dicembre del 1606, infatti, il Mancini spediva al fratel-lo Deifebo, la replica della “Zingara” (la ‘Buona ventura’ oggi alLouvre) realizzata dallo “Scholaro di Michelangelo”, di cui si di-c e v a9 5. Nel gennaio dell’anno successivo apprendiamo quindiche il senese Savini desiderava far copiare il quadro con l’‘In-credulità di San To m m a s o ’9 6, di proprietà Giustiniani, di cui

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 51

peraltro il 4 agosto 1606 lo stesso Vincenzo Giustiniani videuna copia a Genova in casa di Orazio Dal Negro, e che dunquesi guadagna per ora la palma di più antica copia. Nel 1610, poi,l’ambasciatore di Francia ottiene da Maffeo Barberini il per-messo di far copiare il ‘Sacrificio di Isacco’ in suo possesso e oraagli Uffizi, un’opera di cui conosciamo diverse derivazioni, inparticolare uscite dalla bottega del lombardo Giuseppe Ve r m i-glio, che sembrava detenere una sorta di specializzazione nelsoggetto e che, guarda caso, troviamo citato nelle carte Altempscome autore di “diversi quadri di uomini illustri”9 7. Nel 1613,inoltre, Giulio Mancini da Roma scriveva al fratello Deifebo dinutrire forti dubbi sull’eventualità di poter avere una copia del-lo “Sdegnio che si è messo sotto i piedi amore con tutte le suearmi” di Caravaggio, opera oggi perduta, che stava in casa delcardinal Del Monte e che, come si accennava, di fatto non ot-t e n n e9 8. L’anno dopo, tuttavia, il Mancini trovò modo di entrarein possesso della replica di un “gioco” e una “musica”, i cui ori-ginali di Caravaggio si trovavano nella collezione Del Monte, ac-ciuffando al volo l’occasione della copia in esclusiva che il car-dinale concedeva a un “principe tramontano”, sicché, allungati15 scudi per dipinto al “copiatore”, che risulta una vecchia co-noscenza del senese, e una lauta mancia al guardarobiere, ilmedico riuscì ad assicurarsi i quadri desiderati9 9. In tutti questicasi emerge l’estrema difficoltà di ottenere copie da originali delMerisi, così come attesta il celebre episodio della ‘Morte dellaVergine’ che l’ambasciatore del duca di Mantova, l’acquirentedel dipinto rifiutato dai padri della Scala, espose nel 1607 nelsuo palazzo al Corso a beneficio dell’“università dei pittori”, mache vietò categoricamente di riprodurre1 0 0.

A fronte della rarità delle copie, che venivano richieste finda importanti collezionisti d’oltralpe, non mi pare dunque checi sia troppo da stupirsi del fatto che queste opere passasserosotto il nome di Caravaggio stesso101.

Ma c’è di più: i fatti non andavano in questo modo nella so-la Roma. Analoghe considerazioni si possono avanzare, adesempio, per la collezione napoletana di Lanfranco Massa. Lafigura del Massa appare tutt’altro che marginale nell’ambitodella fortuna di Caravaggio a Napoli, nonché della storia dellecopie caravaggesche e della loro diffusione1 0 2. Nella città parte-nopea egli fu a lungo la longa manus di Marcantonio Doria, per

52 MARIA CRISTINA TERZAGHI

il quale trattava ogni genere di affari, e in particolare il com-mercio di opere d’arte. A questo proposito è di estremo inte-resse notare come nella collezione di Lanfranco figurino in mo-do massiccio e quasi esclusivo opere di artisti ruotanti nell’en-tourage caravaggesco che sappiamo prediletti da Marcantonio:Caravaggio stesso (presente con una ‘Sant’Orsola’, un ‘EcceHomo’, e un “Nostro Signore quando fu tradito da Giuda”),Caracciolo (di cui possedeva sei opere), Azzolino (se ne contanootto dipinti), Ribera e, cosa sinora sfuggita alla critica, lo stessoTanzio da Varallo, presente con un ‘San Giovanni Battista’ euna ‘Natività’, purtroppo per ora perduti1 0 3. I dipinti dei primitre pittori presentano i medesimi soggetti a essi attribuiti nellacollezione Doria104. Difficile che si tratti in tutti i casi di unacoincidenza: evidentemente il Massa, al momento dell’acquistodei quadri per conto di Marcantonio, era solito fare eseguireuna copia anche per la propria collezione.

Per quanto riguarda la ‘Sant’Orsola’ caravaggesca, l’origi-nale restò in casa dell’agente del Doria per un periodo di tempoassai limitato: una quindicina di giorni, dall’11 maggio al 27dello stesso mese, e in quel frangente, tra l’altro, l’opera dovet-te essere restaurata105. È dunque giocoforza che la tela venissecopiata in quel breve lasso di tempo, con il Caravaggio cheprobabilmente, dati i rapporti col Massa, era pure al correntedel fatto.

Questo episodio mi sembra indicare da un lato la praticadiffusa di trarre derivazioni da tele del Merisi a stretto uso econsumo dei committenti, dall’altra il fatto che, una volta usci-te dallo studio del maestro ed entrate nei palazzi dei proprieta-ri, le tele spesso sfuggivano al controllo del pittore. A detenereil copyright, insomma, sembrano essere stati committenti e col-lezionisti, non l’artista.

Per Roberto Longhi, Caravaggio difficilmente avrebbe co-piato se stesso, anzi, il pittore mal tollerava che altri si appro-priassero delle sue invenzioni. Nell’ambito dei contributi più re-centi, mentre alcuni studiosi hanno operato una revisione diqueste posizioni longhiane106, altri mi pare che abbiano riper-corso la via tracciata dallo studioso, mostrando come il Merisifosse circondato da un entourage di amici che ne divulgavano leinvenzioni sul mercato attraverso le copie, come documenta aRoma la vicenda di Prospero Orsi107, e a Napoli la bottega di

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 53

Louis Finson, che metteva in vendita già nel 1607 la ‘Madonnadel Rosario’ e una ‘Giuditta e Oloferne’, forse replicata dallostesso artista fiammingo, verosimilmente da identificare nelquadro della collezione San Paolo Banco di Napoli, ora al Mu-seo Pignatelli, da annoverare tra le precocissime copie da Ca-ravaggio108. Finson risulta tra l’altro socio di Abraham Vinck,con il quale lavorava ancora a Napoli nel 1608, e che fonti diprima mano ricordano “amicissimo del Caravaggio”109. Ma lastessa cosa può dirsi dell’allievo di Annibale Carracci Baldas-sarre Aloisi detto Galanino che, giunto a Napoli da Roma nel1609 per accompagnare il maestro ormai prossimo alla fine,pensò bene di fermarsi nella città partenopea, dove fu impiega-to per eseguire due copie dal Caravaggio per conto del viceré1 1 0.

Tra mercanti spregiudicati e amici desiderosi di far soldinon stupisce che, a poco più di dieci anni dalla scomparsa del-l’artista, a Roma vigesse una discreta confusione su quali fosse-ro gli originali e quali le copie, nonché una radicata coscienzadel fatto che c’era copia e copia, come ben documenta la vi-cenda del pittore pisano Alessandro Bazzicaluva, narrata da al-cuni documenti per la prima volta pubblicati da Antonino Ber-tolotti. Si tratta di un processo per il furto di una copia dei‘Bari’ di Caravaggio, a sua volta tratta da un dipinto di proprietàdel marchese Sannesio, che il Bazzicaluva avrebbe dovuto ese-guire al riparo da occhi indiscreti, ma che venne poi trafugatainsieme al quadro Sannesio per essere rivenduta. Il principaleimputato, Pietro Ancina, per scagionarsi, chiamava a giudice deidue dipinti nientemeno che Giulio Mancini. Dall’esemplareSannesio veniva ricordato che erano state tratte molte copie1 1 1.

Tutta la vicenda, oltre ad essere altamente significativa delfiorente mercato delle copie da Caravaggio presente a Roma an-cora nel 1621, sembra suggerire che, già a date così alte, era vi-va la coscienza che solo alcuni intenditori potevano distinguerel’originale dalla copia, e che chi possedeva una copia “ben fat-ta”, secondo una consuetudine invalsa all’epoca, la trattava co-me fosse un originale, ribadendo la straordinaria valutazionedella novità dell’i n v e n t i o dei dipinti caravaggeschi, e propo-nendo anche, mi pare, qualche utile indicazione metodologica anoi moderni storici dell’arte: ridimensiona gli sforzi di quantipraticano la “ginnastica delle copie”112, e suggerisce la giustacautela a chi invece si diletta della caccia al documento.

54 MARIA CRISTINA TERZAGHI

N O T E

Il primo nucleo di questo contributo è costituito dal lavoro sulle copie pre-coci da Caravaggio, presentato al convegno Caravaggio e l’Europa, curato da LuigiSpezzaferro nel gennaio 2005. Giunto in seconde bozze, in vista della pubblica-zione degli Atti del convegno, quel testo non ha però ancora visto la luce. Esso èparzialmente confluito nel volume Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra lericevute del banco Herrera & Costa, Roma, 2007. Nel frattempo le ricerche sul temasi sono approfondite ed estese al problema scottante delle opere pubbliche di Ca-ravaggio, di cui esistono due versioni indiscutibilmente autografe, avendole il Me-risi dipinte e in un secondo momento rifatte per i medesimi committenti, mentre laredazione più antica fu acquistata da ben disposti mecenati. Sono molto grata a Mi-na Gregori ed Elena Fumagalli per avermi dato l’opportunità di presentare questolavoro alla giornata di studi in ricordo di Gigi Spezzaferro. Ringrazio Elena ancheper l’infinita pazienza con cui ha seguito l’iter redazionale di questo testo e per ipreziosi consigli in materia. A Mina Gregori va inoltre il mio più sentito grazie perle osservazioni rivoltemi su temi a lei tanto noti: la sua straordinaria competenza siè rivelata uno strumento prezioso e insostituibile per rileggere e approfondire la vi-cenda delle copie dei primi quadri di Caravaggio. Già all’epoca della prima stesu-ra del testo pareva evidente quanto le ricerche effettuate dialogassero con gli studidi Gigi Spezzaferro. Mi avvedo ora a posteriori che il presente contributo può es-sere letto a tutti gli effetti come una sorta di estesa recensione ai suoi studi in ma-teria. Alla sua vivacissima e inesausta curiosità di uomo e di ricercatore sono dun-que dedicate queste pagine.

1 Una vera e propria passione che lo accompagnò nel corso degli anni, apartire dalle prime pionieristiche indagini sui committenti di Caravaggio, il cardinalDel Monte e Ottavio Costa: L. Spezzaferro, La cultura del cardinal Del Monte e ilprimo tempo del Caravaggio, in ‘Storia dell’arte’, 9-10, 1971, pp. 57-91 e Detroit’sConversion of the Magdalen (the Alzaga Caravaggio), 4. The documentary findings:Ottavio Costa as a patron of Caravaggio, in ‘The Burlington Magazine’, CXVI,859, 1974, pp. 579-586; sul ‘San Matteo’ della cappella Contarelli: Caravaggio ri -fiutato? Il problema della prima versione del ‘San Matteo’, in ‘Ricerche di Storia del-l’arte’, 10, 1980, pp. 90-99; fino all’individuazione degli “aderenti” al Merisi: Unatestimonianza per le origini del Caravaggismo, in ‘Storia dell’arte’, 23, 1975, pp. 53-60; e più avanti agli interventi sulla ‘Madonna dei Palafrenieri’: Nuove riflessioni sul -la Pala dei Palafre n i e r i, in La Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio nella collezio -ne di Scipione Borghese, a cura di A. Coliva, Venezia, 1998, pp. 51-60; sui lateralidella cappella Cerasi: La Cappella Cerasi e il Caravaggio, in Caravaggio Carracci Ma -derno. La Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma, Cinisello Balsamo,2001, pp. 9-34: sulla ‘Medusa’ degli Uffizi: La Medusa del Caravaggio, in C a r a v a g g i o :la Medusa. Lo splendore degli scudi da parata nel Cinquecento, catalogo della mostra,Milano, 2004, pp. 10-20; e al saggio intorno al ruolo di Prospero Orsi nella pro-duzione delle copie da originali del maestro: Caravaggio accettato. Dal rifiuto al mer -c a t o, in Caravaggio nel IV centenario della cappella Contare l l i, Atti del Convegno In-ternazionale di Studi (Roma, 24-26 maggio 2001, a cura di M. Calvesi e C. Volpi) acura di C. Volpi, Città di Castello, 2002, pp. 23-50. Un interesse, quello del mer-cato, che aveva però preso il via dalle indagini su Giovan Battista Crescenzi: Un im -

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 55

p re n d i t o re del primo Seicento: Giovan Battista Cre s c e n z i, in ‘Ricerche di Storia del-l’arte’, 26, 1985, pp. 50-74. Non è questa la sede per ripercorre l’intera produzionedello studioso, ma, in ordine ai problemi caravaggeschi, vanno senza dubbio citatialtri fondamentali contributi: Il Caravaggio, i collezionisti romani, le nature morte, inLa natura morta al tempo di Caravaggio, catalogo della mostra a cura di A. Cottino(Roma-Milano), Napoli, 1995, pp. 49-58; All’alba del Seicento. Caravaggio e Anni -bale Carracci, in La storia dei giubilei, a cura di A. Zuccari, Firenze, 1999, III, pp.180-195; Caravaggio, in L’idea del bello. Viaggio per Roma nel seicento con GiovanPietro Bellori, catalogo della mostra a cura di E. Borea, C. Gasparri, Roma, 2000, II,pp. 271-274; e soprattutto Caravaggio in una prospettiva storica: proposte e problemi,in Caravaggio e l’Europa. Il movimento internazionale da Caravaggio a Mattia Pre t i,catalogo della mostra, Milano, 2005, pp. 33-44.

2 Ho pubblicato i primi risultati di questi studi in M.C. Terzaghi, C a r a v a g g i o ,Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera & Costa, Roma,2007, pp. 295-312

3 L. Spezzaferro, op. cit., 2002, p. 23.4 E mi riferisco, ad esempio, all’importante saggio Sulla data del primo San

Matteo già a Berlino, che Ferdinando Bologna ha incluso nella nuova edizione diL’incredulità di Caravaggio e l’esperienza delle cose naturali. Nuova edizione accre -s c i u t a, Torino, 2006, pp. 457-463. Lo studioso concorda infatti sulla retrodatazionedel ‘San Matteo’ di Berlino, e su molti dei punti sottolineati da Spezzaferro, ma ri-mane dell’idea che la prima versione dell’opera caravaggesca sia stata rifiutata.

5 Il problema percorre tutta la produzione di Spezzaferro, a partire da L.Spezzaferro, op. cit., 1980, p. 50, fino a L. Spezzaferro, op. cit., 2005, pp. 36-39.

6 L. Spezzaferro, op. cit., 1980, p. 50.7 G. Mancini, Considerazioni sulla pittura e Viaggio per Roma, ca. 1621, ed. a

cura di A. Marucchi e L. Salerno, Roma, 1956-1957, I, 1956, p. 224.8 È stato Michele Maccherini, Caravaggio nel carteggio familiare di Giulio

M a n c i n i, in ‘Prospettiva’, 86, 1997, pp. 76-78, ad illuminare su questa fondamentalevicenda.

9 Ivi, p. 82.10 La bibliografia sulla ‘Morte della Vergine’ è davvero sterminata, e non è

questa la sede per elencarla in modo completo. Mi limito a citare l’accurata schedadi Mia Cinotti, in M. Cinotti, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, in I PittoriBergamaschi. Il Seicento. I, Bergamo, 1983, pp. 482-484, con completa bibliografiaprecedente. Il testo di P. Askew, C a r a v a g g i o ’s Death of the Vi r g i n, Princeton (N.J.),1990 e M. Maccherini, op. cit., pp. 76-78. I documenti relativi al dipinto e al rifiu-to sono stati ripubblicati da B. Furlotti, Le collezioni Gonzaga. Il carteggio tra Romae Mantova (1587-1612), Cinisello Balsamo, 2003, pp. 480 e segg., docc. 714 e segg.e da S. Macioce, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Fonti e documenti 1532-1724,Roma, 2003, pp. 219-221, doc. 332.

11 Sulla tela si veda in particolare La Madonna dei Palafrenieri di Caravaggionella collezione di Scipione Borghese, a cura di A. Coliva, Venezia, 1998; M. Bel-tramme, La pala dei Palafrenieri: precisazioni storiche e ipotesi iconografiche su unodegli ultimi “rifiuti” romani di Caravaggio, in ‘Studi romani’, 49, 2001, pp. 72-100.

12 Oggi perduto in seguito ai bombardamenti che nel 1945 distrussero granparte del patrimonio artistico del Kaiser Friedrich Museum, ma noto grazie ad unafotografia più volte pubblicata, si veda più avanti, nota 14.

13 L. Spezzaferro, op. cit., 1980, in particolare pp. 56-58.

56 MARIA CRISTINA TERZAGHI

1 4 La tela giunse nel museo tedesco (Berlino, Kaiser Friedrich Museum,Gemäldegalerie, inv. 365) in seguito alla dispersione della collezione del marcheseVincenzo Giustiniani, nel cui elenco è puntualmente descritta (sulla presenza del di-pinto nell’inventario della raccolta del banchiere si veda ora S. Danesi Squarzina, L acollezione Giustiniani. Inventari I, Torino, 2003, pp. 388-389, per la vicenda delladispersione della collezione e dell’ingresso dei dipinti al museo di Berlino, si veda inparticolare C.M. Voghter, Le acquisizioni di Federico Guglielmo III per i musei diBerlino e per le collezioni reali, in Caravaggio e i Giustiniani. Toccar con mano unacollezione del Seicento, catalogo della mostra a cura di S. Danesi Squarzina (Roma),Milano, 2001, pp. 139-144). Come si diceva, l’opera andò distrutta insieme a mol-ti altri capolavori in seguito agli eventi bellici che colpirono il museo nel 1945 (C.Norris, The Disaster at Flakturm Friedrichsbain, a Chronicle and list of Paintings, in‘The Burlington Magazine’, XCIV, 597, 1952, p. 339).

1 5 I contratti per la decorazione della cappella Contarelli sono stati scoperti epubblicati a più riprese a partire dalle indagini ottocentesche di A. Bertolotti, Ar -tisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI, XVII. Studi e ricerche negli archivi romani,Milano, 1881, II, pp. 119-120. H. Röttgen, Die Stellung der Contarelli Kapelle in Ca -ravaggios We r k, in ‘Zeitschrift für Kunstgeschichte’, XXVIII, 1965, 1-2, pp. 47-68,ha quindi reperito i contratti stipulati dai Crescenzi con Caravaggio. Tutta la mes-se documentaria è stata integralmente ripubblicata in tempi recenti da S. Macioce,op. cit., pp. 11-12, 28-32, 33-34, 43-44, 49, 52-53, 58, 60-65, 69, 72, 76-79, 84, 85-86, 89, 100, 106-111, 114, 116 docc. 3, 31, 33, 48, 53-54, 56, 61, 64-66, 70, 74, 76-78, 84, 86-88, 90, 103, 118, 120-122, 128-129, 133 e ora F. Simonelli, Le fonti ar -chivistiche per la cappella Contarelli: edizione dei documenti, in La cappella Contare l l iin San Luigi dei Francesi. Arte e committenza nella Roma di Caravaggio, a cura di N.Gozzano e P. Tosini, con introduzione di S. Danesi Squarzina, Roma, 2005, pp.117-153. Si aggiunga inoltre N. Gozzano, Alcuni documenti inediti di epoca mo -derna sulla cappella Contarelli, ivi, pp. 109-115.

1 6 G. Baglione, Le vite de’ pittori scultori et architetti dal pontificato di Gre g o r i oXIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642, p. 137.

1 7 G . P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, Roma, 1672, ed.a cura di E. Borea, con introduzione di G. Previtali, Torino, 1976, pp. 219-220.

18 F. Simonelli, op. cit., p. 117.1 9 La si veda ripubblicata ivi pp. 130-131. Il documento fu scoperto da Denis

Mahon, Addenda to Caravaggio, in ‘The Burlington Magazine’, XCIV, 586, 1952, p. 20.20 Per il contratto si veda ora F. Simonelli, op. cit., pp. 127-129 (con biblio-

grafia del documento).21 Si veda nota 19.22 Ora in F. Simonelli, op. cit., p. 150.2 3 Per il documento si veda ora ivi, p. 150. Sui Crescenzi e la cappella Conta-

relli, si veda in particolare M. Pupillo, “Da’ maligni sommamente lodata”: Caravag -gio, i Crescenzi e la decorazione della cappella Contarelli, in La cappella Contarelli,cit., pp. 35-47.

24 M. Cinotti, op. cit., p. 414.2 5 F. Bologna, Sulla data del primo San Matteo già a Berlino, in F. Bologna, o p .

cit., pp. 460-461.2 6 I documenti furono scoperti e pubblicati da J. Bousquet, Documents inédits

sur Caravage. La date des tableaux de la Chapelle Saint-Matthieu à Saint-Louis-des-Français, in ‘Revue des Arts’, III, 1953, 2, pp. 103-105.

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 57

2 7 Un problema su cui peraltro si interrogava già H. Röttgen, op. cit., pp. 47-68 nell’importante saggio in cui pubblicava i documenti per le tele della cappella.

2 8 Il palmo romano corrisponde a circa cm 22, 34, dunque il vano doveva es-sere di circa cm 380 x 313.

2 9 La tela è registrata nell’inventario post mortem del marchese Giustiniani del1638: “Un quadro grande di S. Mattheo con l’Angelo che gli insegna, figure intie-gre depinto in tela alta palmi dieci e mezzo larga 8 e mezzo incirca”, cfr. ora S. Da-nesi Squarzina, op. cit., p. 388.

3 0 La fonte che li ricorda tutti destinati a un medesimo ciclo, insieme alla tela diCaravaggio, è G.P. Bellori, op. cit., p. 220. Sui quattro dipinti registrati nell’inventa-rio post mortem di Vincenzo Giustiniani, cfr. S. Danesi Squarzina, op. cit., p. 343.

31 L. Spezzaferro, op. cit., 1980, p. 55.32 S. Danesi Squarzina, op. cit., p. 388.3 3 La vicenda mi pare vada tenuta in grande considerazione anche in relazio-

ne al giudizio sulla versione della ‘Conversione di San Paolo’ Odescalchi a con-fronto con quella ora in Santa Maria del Popolo. È davvero possibile che, anche inquel caso, nel giro di pochi mesi Caravaggio abbia cambiato in modo così profon-do non solo lo stile ma anche la concezione dello spazio e dello stesso accadere del-l’evento, in una parola della narrazione? Su questo problema si vedano recente-mente il già ricordato saggio di L. Spezzaferro, op. cit., 2001, pp. 9-34, e R. Vo d r e t ,L’enigma del Caravaggio Odescalchi. Le due versioni della Conversione di san Pao-lo a confronto, in Il Caravaggio Odescalchi. Le due versioni della Conversione di sanPaolo a confronto, catalogo della mostra a cura di R. Vodret (Roma), Milano, 2006,pp. 19-21.

3 4 Per l’‘Incredulità di San Tommaso’ si vedano in sintesi M. Cinotti, op. cit. ,p. 489; M. Gregori, in Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i Capola -v o r i, catalogo della mostra a cura di M. Gregori (Firenze-Roma), Milano, 1991, p.376; S. Danesi Squarzina, in Caravaggio e i Giustiniani, cit., pp. 278-281.

35 G. Baglione, op. cit., p. 137. Come si diceva, è Bellori a parlare esplicita-mente del rifiuto “dei preti”, attribuendolo al fatto che “la figura non aveva né de-coro né aspetto di Santo, stando a sedere con le gambe incavallate e co’ piedi roz-zamente esposti al popolo” (G.P. Bellori, op. cit., pp. 219-220). Ora, mi pare che,dopo il magistrale contributo di Irving Lavin (Divine Inspiration in Caravaggio’s two‘St. Matthew’, in ‘The Art Bulletin’, LVI, 1974, 1, pp. 59-81 e Addenda to ‘DivineI n s p i r a t i o n ’, in ‘The Art Bulletin’, LVI, 1974, 4, pp. 590-591, tradotto e ripubblicatoin I. Lavin, Passato e presente nella storia dell’arte, Torino, 1994, pp. 125-169) siaimpossibile pensare che sia questo sic et simpliciter il motivo di mancato “decoro”del ‘San Matteo’ caravaggesco. La raffigurazione corrisponde infatti perfettamentealla tradizionale tipologia del ‘San Matteo e l’angelo’che popola la storia dell’artedal Medio Evo al tardo Rinascimento, e sulla cui ortodossia non vi è ombra di dub-bio. Semmai Caravaggio ha spinto, da par suo, il pedale dell’acceleratore sul natu-rale, senza tuttavia eliminare il riferimento erudito. Il tipo del San Matteo cara-vaggesco corrisponde infatti perfettamente a quello di Socrate, e vanta un prototi-po illustre, quasi una citazione letterale, nella ‘Scuola di Atene’ di Raffaello (ilprimo a notarlo è stato H. Wa g n e r, Michelangelo da Caravaggio, Bern, 1958, p. 58,nota 258). Un personaggio del calibro del Bellori non poteva certo essere all’oscu-ro della vicenda. Anzi, impresso nella memoria il ben più aggraziato prototiporaffaellesco, il ‘San Matteo’ di Caravaggio doveva sembrare totalmente privo di “de-coro” agli occhi dell’erudito. Se teniamo conto del fatto che Bellori utilizzava Ba-

58 MARIA CRISTINA TERZAGHI

glione come fonte privilegiata, la vicenda del rifiuto assomiglia dunque molto al ten-tativo di dare una spiegazione della notizia del mancato apprezzamento dell’opera,formulando un’ipotesi che, al pensiero dell’erudito, doveva sembrare assoluta-mente ragionevole.

3 6 Questo passo del Baglione è stato, come ben si può immaginare, più voltecommentato. Si veda da ultimo R. de Mambro Santos, L’Honorata fatica. I para -digmi della maniera nelle Vite di Giovanni Baglione, in Giovanni Baglione (1566-1644). Pittore e biografo di artisti, a cura di S. Macioce, Roma, 2002, pp. 63-64. Quisi vuole porre l’accento sul problema del rapporto con l’Accademia di San Luca

37 M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S.Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma, 1823, p. 68. Sulla vicenda si vedaora I. Salvagni, Gli “aderenti al Caravaggio” e la fondazione dell’Accademia di SanLuca. Conflitti e potere (1593-1627), in Intorno a Caravaggio dalla formazione allafortuna, a cura di M. Fratarcangeli, Roma, 2008, p. 45.

3 8 Ibidem. Per quanto riguarda la funzione di “stimatori”, si veda M. Lafran-coni, L’Accademia di San Luca nel primo Seicento. Presenze artistiche e strategie cul -turali dai Borghese ai Barberini, in Bernini dai Borghese ai Barberini. La cultura a Ro -ma intorno agli anni Ve n t i, atti del convegno (Roma, 17-19 febbraio 1999) a cura diO. Bonfait e A. Coliva, Roma, 2004, p. 40, che, tra l’altro, dà notizia di diversi attirelativi alla stima dei dipinti conservati nel fondo notarile dell’Archivio di Stato diRoma.

39 M. Lafranconi, op. cit., pp. 42-43.40 Ibidem.41 A mio avviso, anche la vicenda dell’amarezza e dei dissapori di Annibale

Carracci nei confronti del proprio patrono, il cardinale Odoardo Farnese, nonpuò non essere letta alla luce della straordinaria fortuna commerciale che, da uncerto punto in poi, arrise al Merisi. La difficoltà del rapporto tra Annibale Carrac-ci e Odoardo Farnese durante e subito dopo i lavori per la Galleria, su cui la lette-ratura critica si è a lungo interrogata, è rilevata innanzitutto da G.P. Bellori, op. cit. ,pp. 78, 82-84.

42 Sull’iter che condusse alla redazione di queste norme e in particolare sulruolo di Giovanni Baglione, si veda ora l’importante saggio di I. Salvagni, op. cit.,pp. 47-52. La notizia per cui Baglione sarebbe stato principe dell’Accademia nel1607, quando gli statuti ricevettero l’imprimatur, generalmente accolta dalla critica,è corretta dalla studiosa che ha rinvenuto documenti che attestano il principato diPaolo Guidotti dall’autunno del 1606 eccezionalmente all’autunno del 1608. Va ri-cordato che dal 1606 Baglione era a capo della Compagnia di San Giuseppe di Te r-rasanta (V. Tiberia, Attività ed “eredità” di Giovanni Baglione per la Compagnia diSan Giuseppe di Te r r a s a n t a, in Studi sul Barocco romano. Scritti in onore di MaurizioFagiolo dell’Arco, Milano, 2004, p. 35). La Compagnia di San Giuseppe di Terra-santa, altrimenti detta dei Virtuosi al Pantheon, radunando buona parte degli arti-sti, letterati e musicisti della città, rappresentava un’importantissima istituzione cul-turale, con intenti tuttavia in gran parte diversi dall’Accademia di San Luca: l’isti-tuzione mantenne infatti il carattere squisitamente religioso che ne vide la nascita,mentre non prevedeva l’insegnamento per i giovani artisti e nemmeno le dispute dicarattere teorico (sulla storia dei Virtuosi al Pantheon si veda: V. Tiberia, La Com -pagnia di San Giuseppe di Terrasanta nel XVI secolo, Martina Franca, 2000; idem,La Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta nei pontificati di Clemente VIII, LeoneXI e Paolo V (1595-1621), con contributo di A. Catalano, Martina Franca, 2002;

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 59

idem, La Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta da Gregorio XV a Innocenzo XII,con contributo di A. Catalano, Martina Franca, 2005).

4 3 P. Cavazzini, Painting as Business in Early Seventeenth-Century Rome, Uni-versity Park (Penn.), 2008, pp. 43-48 (sono grata a Patrizia, oltre che per le nume-rose discussioni su temi cari ai nostri studi, per aver messo il volume a mia dispo-sizione prima della distribuzione). Per quanto riguarda il testo degli statuti, il ma-teriale è stato parzialmente pubblicato da M. Missirini, op. cit., pp. 82-83. Una com-pleta trascrizione si trova in Z. Wazbinski, L’Accademia Medicea del disegno a Fi -renze nel Cinquecento. Idea e Istituzione, Firenze, 1987, pp. 511-524. Una copia èconservata nell’Archivio Storico dell’Accademia di San Luca ed è stata recente-mente analizzata e commentata da P. Cavazzini, op. cit., pp. 45-46 e I. Salvagni, o p .c i t., pp. 44-54. Una copia a stampa, conservata presso la Biblioteca del Senato, è se-gnalata in L’Accademia Nazionale di San Luca, Roma, 1974, p. 13, fig. 5.

44 In quest’ottica prende tra l’altro senso il documento del 1606 (L. Spezza-ferro, op. cit., 1975), che vedeva il pittore contrapporsi al gruppo degli “aderenti”al Merisi che avevano aggredito il Baglione, giusto in concomitanza della seduta chedoveva eleggere il nuovo Principe dell’Accademia di San Luca. Esistevano dunquea Roma due partiti distinti e contrapposti. Anche I. Salvagni, op. cit., p. 49, cita l’im-portante documento e la deposizione di Baglione che accusa gli “aderenti” al Me-risi, cioè Orazio Borgianni e Carlo Saraceni, di “fare un capo a modo loro” in re-lazione alle diverse correnti esistenti nell’Accademia di San Luca. Qui ho inteso in-dicare un motivo a mio avviso centrale nella questione delle due fazioni: il liberomercato.

45 D’altro canto ai mercanti non era concesso commissionare dipinti diretta-mente ai pittori, per timore che si svalutasse la produzione artistica: i compensi of-ferti erano infatti talmente bassi che gli artisti producevano opere di una qualità de-cisamente scadente (sul problema P. Cavazzini, op. cit., pp. 43-48).

4 6 Vorrei ricordare, in proposito, un fatto generalmente poco evidenziato. Fuproprio Vincenzo Giustiniani a fare da tramite tra Caravaggio e Laerte Cherubini,che nel 1601 commissionò al pittore la ‘Morte della Vergine’ per Santa Maria dellaScala, un quadro consegnato alcuni anni dopo. Nel contratto si dice esplicitamen-te che fu il Giustiniani, “eorum communem dominum”, a concordare il prezzo (siveda il documento ora riprodotto in S. Macioce, op. cit., p. 105, doc. 114). Il fattodocumenta in modo palese il ruolo di intermediario svolto dal marchese nei con-fronti di Caravaggio.

47 Le norme furono peraltro decisamente criticate e nel 1617 si ricorse a piùmiti consigli promulgando nuovi statuti, si veda M. Missirini, op. cit., pp. 84-87.Sulla redazione dei successivi Statuti, si veda I. Salvagni, op. cit., pp. 54-62.

48 Sui dati pubblicati in quell’occasione, mi pare che occorrerà tornare a ri-flettere, non foss’altro perché mi sono avveduta che, in qualità di estimatore dei di-pinti, compare nientedimeno che Baldassarre Aloisi, meglio noto come Galanino,allievo di Annibale Carracci, e con lui a Napoli nel 1609, che nella città partenopeaeseguì due copie di un ‘David e Golia’ di Caravaggio, probabilmente quello oggi al-la Galleria Borghese: per la vicenda si veda ora M.C. Terzaghi, op. cit., 2007, pp.309-310, ed eadem, Galanino a Napoli tra Annibale e Caravaggio, in Napoli e l’E -milia: relazioni sociali e artistiche, atti del convegno (Santa Maria Capua Vetere, 28-29 maggio 2008) a cura di A. Zezza, in corso di pubblicazione. L’inventario risale al1620 (L. Spezzaferro, op. cit., 2002, p. 37).

4 9 Si veda H. Waga, Vita nota ed ignota dei Virtuosi al Pantheon, Roma, 1992,

60 MARIA CRISTINA TERZAGHI

pp. 220-221. A p. 225 è pubblicata la fotografia del documento. La datazione del-la carta d’archivio è tuttavia assai controversa, dal momento che vi si può giungeresolo per induzione. La Waga (ivi, p. 226) ritiene che la citazione vada riferita al set-tembre-ottobre 1595. Per S. Rossi, Peccato e redenzione negli autoritratti di Cara -vaggio, in Michelangelo Merisi da Caravaggio. La vita e le opere attraverso i docu -m e n t i, Atti del convegno internazionale di studi (Roma, 1995) a cura di S. Macioce,Roma, 1996, p. 318, seguito da S. Corradini, in S. Corradini, M. Marini, The earliestaccount of Caravaggio in Rome, in ‘The Burlington Magazine’, CXL, 1138, 1998, p.25, nota 2 e M. Bona Castellotti, Il paradosso di Caravaggio, Milano, 1998, p. 32, no-ta 4, la menzione è dell’autunno del 1594. Un secondo intervento di S. Corradini,Caravaggio negli archivi romani: novità e rettifiche (testo rielaborato da MaurizioMarini), in Michelangelo Merisi da Caravaggio: un problema aperto, atti del conve-gno (2000), Caravaggio, 2002, p. 58, tuttavia, fa risalire il documento al 18 ottobre1595; lo segue M. Marini, Caravaggio ‘pictor praestantissimus’. L’iter artistico com -pleto di uno dei massimi rivoluzionari di tutti i tempi, Roma, 2001, p. 41. Riassumequeste e simili vicende (ad esempio l’inattendibilità della notizia della presenza diCaravaggio in un documento romano dell’11 agosto 1593, per la quale si veda R.Bassani, F. Bellini, Caravaggio assassino. La carriera di un ‘valenthuomo’ faziosonella Roma della Controriforma, Roma, 1994, p. 8, già smentita da S. Corradini,Nuove e false notizie sulla presenza del Caravaggio in Roma, in Michelangelo Merisi,cit., 1996, pp. 71-76) il minuzioso studio di Giacomo Berra (Il giovane Caravaggioin Lombardia. Ricerche documentarie sui Merisi, gli Aratori e i Marchesi di Cara -vaggio, Firenze, 2005, in particolare p. 246, nota 800). Nei tre volumi relativi allastoria della Compagnia di San Giuseppe di Terrasanta, altrimenti detta dei Vi r t u o s ial Pantheon, che prevedono la pubblicazione dell’archivio della confraternita, cu-rati da Vitaliano Tiberia (op. cit., 2000; idem, op. cit., 2002 e op. cit., 2005) è peral-tro chiaramente attestato che qualsiasi documentazione relativa alla Compagnia ne-gli anni che vanno dal 13 dicembre 1587, data dell’ultimo documento esistente, fi-no all’11 giugno 1595, è scomparsa dall’archivio. Nel 1595 non risulta peraltro nes-sun documento relativo al 18 ottobre (A. Catalano, Diario, in V. Tiberia, op. cit.,2002, pp. 93-94). Al libro delle Congregazioni è annesso un elenco dei confratelli,anch’esso pubblicato, ma non vi compaiono né Caravaggio né Prospero Orsi. Nonresta che ipotizzare che il documento ritrovato dalla Waga sia relativo al 1594.

50 C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi divise in due tomi,Bologna, 1678, ed. a cura di G. Zanotti, Bologna, 1841, II, p. 9. Se si tiene presen-te, che alla mostra indetta per la festa di San Giovanni Decollato, Giovanni Ba-glione espose l’‘Amore vittorioso’ (oggi noto in due versioni, quella del museo diBerlino e quella della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma), in concorrenzacon un ‘San Michele’ di Orazio Gentileschi, dedicando l’opera al cardinale Bene-detto Giustiniani (la letteratura sulla faccenda, nota grazie alla deposizione resa dalGentileschi al processo indetto da Giovanni Baglione ai danni di Caravaggio nel1603, è molto ampia, per un recente consuntivo si vedano le schede di Silvia DanesiSquarzina e Rossella Vodret, in Caravaggio e i Giustiniani, cit., pp. 298-301), è evi-dente come, tutt’altro che di terz’ordine, queste occasioni fossero invece tra lepiù ghiotte per farsi strada nel mercato dell’arte romano.

5 1 Gli esborsi sono stati pubblicati da B. Granata, Appunti e ricerche d’archivioper il cardinal Alessandro Montalto, in Decorazione e collezionismo a Roma nel Sei -c e n t o . Vicende di artisti, committenti e mercanti, a cura di F. Cappelletti, Roma,2003, pp. 46-47. Aggiungo che i pagamenti avvenivano tramite il banco Herrera &

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 61

Costa. Il rapporto tra Prospero Orsi e il cardinal Montalto e, di conseguenza, il ban-co Herrera & Costa, risaliva già al 1591. Tra il 1594 e il 1595 si ha notizia di paga-menti semestrali che continuano nello stesso modo fino a tutto il 1597. La docu-mentazione del banco in questi anni è lacunosa, dunque non è possibile sapere dipiù sulla faccenda (si veda M.C. Terzaghi, op. cit., 2007, pp. 273-282). Per il rapportotra l’Orsi e Caravaggio si veda in particolare M. Calvesi, Prospero Orsi ‘turcimanno’del Caravaggio, in ‘Storia dell’arte’, 85, 1995, pp. 355-358, e più recentemente M.Marini, op. cit., 2001, p. 107; L. Sickel, Caravaggios Rom. Annäherungen an ein dis -sonantes Milieu, Emsdetten, 2003, pp. 53-64. Il pittore Prospero Orsi era coetaneodel Merisi e residente nella parrocchia di San Salvatore al Campo in via dei Giub-bonari, dove gli Stati delle Anime lo menzionano fino al 1633, anno della morte (ivi,nota 48). L’amicizia tra Prosperino e Caravaggio pare di quelle che durano una vita,se nel 1603 il primo compare tra i sodali del secondo al processo indetto dal Ba-glione contro il Merisi, e nel 1605 lo ritroviamo garante per lo scapestrato Miche-langelo in carcere a Tor di Nona a causa delle ingiurie rivolte ad una certa Laura e al-la figlia Isabella (A. Bertolotti, op. cit., II, p. 71 e quindi M. Marini, U n ’ e s t rema re -sidenza e un ignoto aiuto del Caravaggio in Roma, in ‘Antologia di Belle Arti’, 19-20,1981, pp. 182-183, nota 11 e idem, op. cit., 2001, p. 107, nota 50). Per la pratica digrottesche e nature morte da parte dell’artista, si veda F. Cappelletti, Paul Bril in -torno al 1600: la carriera di un pittore del Nord e la nascita a Roma del paesaggio to -p o g r a f i c o, in ‘Annali dell’Università di Ferrara’, Sezione Lettere, 2, 2001, pp. 233-256. Per la partecipazione del pittore accanto al Cavalier d’Arpino nella loggia degliOrsini, si veda H. Röttgen, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Un grande pittorenello splendore della fama e nell’incostanza della fortuna, Roma, 2002, pp. 276-281.Sui problemi connessi al riuso di una tela di Prosperino da parte di Caravaggio perl’esecuzione della ‘Canestra’ alla Pinacoteca Ambrosiana, si veda recentementeM.C. Terzaghi, Per la Canestra e Federico Borromeo a Roma, in ‘Studia Borromaica.Saggi e documenti di storia religiosa e civile della prima età moderna’, 18, 2004, pp.263-293. Su Prospero Orsi si veda anche oltre, in particolare note 54 e 84.

5 2 M. Mancini, op. cit., I, p. 224, secondo il quale il Merisi, appena approdatonell’Urbe: “stette con Pandolfo Pucci da Recanati benefitiato di S. Pietro dove leconveniva andar per la parte, et altri servitii non convenienti all’esser suo e quelch’è peggio se la passava la sera con un insalata quale li serviva per antipasto pastoe postpasto e come dice il Caporale per companatico e per stecco d’onde dopo al-cuni mesi partitosi con poca soddisfatione, chiamò poi questo benifatio suo padronmonsignor Insalata”.

5 3 Egli era infatti figlio di Fabio Damasceni e di Maria Felice Mignucci, a suavolta figlia di Camilla Peretti. Per l’albero genealogico dei Montalto, si veda J.C h a t e r, Musical patronage in Rome at the turn of the seventeenth century: the case ofCardinal Montalto, in ‘Studi Musicali’, XVI, 1987, p. 182.

5 4 Come è stato evidenziato, Prosperino dal 1595 (ma forse anche prima, i do-cumenti tacciono della questione) abitava con la madre nella piazza di San Salvatorein Campo, l’abitazione si trovava porta a porta con il palazzo dove risiedeva mon-signor Fantino Petrignani, un altro dei primi patroni di Caravaggio (F. Bassani, R.Bellini, op. cit., p. 40, nota 23; L. Sickel, op. cit., pp. 53-54), “che gli diede comoditàdi una stanza”, secondo G. Mancini, op. cit., I, p. 224.

55 Per il banco Herrera & Costa, la sua storia, la sede, i clienti, tra cui il car-dinale Alessandro Peretti Montalto occupava un posto d’onore, si veda M.C. Te r-zaghi, op. cit., 2007, pp. 32-66.

62 MARIA CRISTINA TERZAGHI

5 6 Per il rapporto tra il Costa e il Tritonio si veda ora ivi, pp. 39-41, 301-302,317-319.

57 La vicenda è nota da tempo ed è già stata più volte riletta e commentata,per un consuntivo del problema e una completa analisi storico documentaria si ve-da ora ivi, pp. 295-312. Il dipinto di Udine è stato recentemente esposto alla mostraCaravaggio. L’immagine del divino, catalogo a cura di D. Mahon (Trapani), Roma,2008, pp. 198-201, la scheda è stata curata da Maurizio Marini e Federica Gaspar-rini.

58 Per tutta la vicenda si veda ora M.C. Terzaghi, op. cit., 2007, pp. 300-306.Non è questo il solo dipinto di Caravaggio di proprietà Costa ad essere stato pre-cocemente replicato ad uso del proprietario: la stessa cosa accadde anche per il ‘SanGiovanni Battista’ oggi a Kansas City, la cui copia che, documenti alla mano, pos-siamo ritenere redatta nel 1606, si trova oggi conservata nel Museo Diocesano diArte Sacra di Albenga (per tutta la questione e in particolare la datazione della te-la, si veda ivi, pp. 295-300).

5 9 Essi si riferiscono tuttavia al 1611-1613 circa, anni successivi alla scompar-sa del maestro, quando ormai i prezzi dei suoi dipinti e di quelli dei suoi seguacierano alle stelle. Ma la cosa dovette verificarsi anche prima, come avremo modo dichiarire.

6 0 Si veda, a titolo di mero esempio, il caso contemporaneo di Pietro Contini(M.C. Terzaghi, op. cit., 2007, in particolare pp. 60-61).

61 A questo proposito mi pare di grande interesse notare come la più anticaregistrazione dell’Orsi tra coloro che, aderendo all’Accademia di San Luca, versa-vano il tributo della candela alla festa del santo patrono, risalga al 22 ottobre1606, per terminare due anni più tardi nel 1608. Il clima rovente, all’indomani del-la fuga del Merisi, sembra aver suggerito a Prosperino di rientrare nei ranghi delpartito vincente, aspettando che le acque si calmassero. Per il pagamento dei tributidi Prospero Orsi all’Accademia di San Luca, si veda I. Salvagni, op. cit., p. 53. Re-centi studi propongono l’identificazione di Prospero Orsi con il cosiddetto Maestrodella Natura morta di Hartford. Su questi problemi si veda più avanti, nota 84.

6 2 Per i Caravaggio di proprietà di Ottavio Costa, si veda ora M.C. Te r z a g h i ,op. cit., 2007, pp. 144-147, 273-312.

63 Sulla vicenda e il pagamento al Merisi si veda ivi, pp. 295-300.64 Ho narrato dettagliatamente la vicenda ivi, pp. 295-306.6 5 La tela di Capodimonte misura cm 172 x 131. Le dimensioni del dipinto di

Kansas City sono cm 172,7 x 132,1. 66 F. Strazzullo, Domenico Venuti e il recupero delle opere d’arte trafugate dai

francesi a Napoli nel 1799, in ‘Rendiconti della Accademia di Archeologia Lettere eBelle Arti’, LXIII, 1991-1992, p. 52. Sulla tela è inoltre presente un antico cartelli-no che documenta l’acquisto: “Quadro in tela denotante S. Gio Batta, di Bartolo-meo (…) comprato dal Cav. Venuti per S.M. il Re di Napoli, dal Sig. Pietro V(…)liin Roma l’anno 1802 / Marchese Dom(…)”.

6 7 Assai difficile è stabilire con precisione la paternità della tela napoletana,che, dopo l’acquisto come opera del Manfredi, fu tradizionalmente riferita a OrazioRiminaldi (per il problema si veda qui avanti, nota 70), finché Longhi la espose allamostra del 1951, rigettandola nell’anonimato (Mostra del Caravaggio e dei caravag -g e s c h i, catalogo (Milano), Firenze, 1951, p. 41, n. 56; rist. in Studi caravaggeschi. To -mo I, 1943-1968, Firenze (Opere complete, XI/1), 1999, p. 90. Longhi conosceva ildipinto da molti anni. Nel 1927 (P recisioni nelle gallerie italiane. I. Galleria Borghe -

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 63

se. Michelangelo da Caravaggio, in ‘Vita artistica’, II, 2, 1927, p. 31, rist. in R. Longhi,Saggi e ricerche 1925-1928, Firenze, Opere complete, II, 1967, I, pp. 300-306) avevasostenuto addirittura l’autografia dell’opera, opinione abbandonata tuttavia nel1943 (idem, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in ‘Proporzioni’, I, 1943, pp.14-15; rist. in Studi caravaggeschi, cit., p. 10). Il dipinto ha recentemente partecipa-to all’esposizione di Düsseldorf come opera di anonimo caravaggesco (cfr. N. Hartje,in Caravaggio. Originale und Kopien im Spiegel der Forschung, catalogo della mostraa cura di J. Harten e J.-H. Martin, Düsseldorf, 2006, p. 233).

6 8 Olio su tela, cm 135 x 96. Dipinti italiani 1620-1840, catalogo della mostraa cura di E. Testori e M. Voena, Milano, Compagnia di Belle Arti, 1996, pp. 12-13,49-50. Il dipinto è stato attribuito per primo al Manfredi da Carlo Del Bravo (Le ri -sposte di storia dell’arte, Firenze, 1985, p. 195, tav. 22). Sull’opera si veda recente-mente N. Hartje, Bartolomeo Manfredi (1582-1622). Ein Nachfolger Caravaggios undseine europäische Wi r k u n g, We i m a r, 2004, pp. 347-349 (con bibliografia); La “scho -la” del Caravaggio. Dipinti dalla Collezione Koelliker, catalogo della mostra a cura diG. Papi (Ariccia), Milano, 2006, pp. 46-49.

6 9 V. Markova, Quadri di maestri italiani dal XIV al XVIII secolo nei musei del -l’URSS, Mosca, 1986, pp. 78-79, n. 25.

7 0 In questo senso anche il riferimento a Orazio Riminaldi, un pittore peraltrospesso molto vicino al Manfredi, non appare del tutto in sintonia. L’attribuzione alpittore pisano si trova in alcuni cataloghi di Capodimonte che risalgono alla finedell’Ottocento: G. Fiorelli, Del Museo Nazionale di Napoli, Napoli, 1873, p. 28, n.5; A. Migliozzi, D. Monaco, Nuova guida generale del Museo Nazionale di Napoli,Napoli, 1895, p. 88, n. 5. Come Riminaldi compare ancora in A. De Rinaldis,Guida illustrata del Museo Nazionale di Napoli. Catalogo della Pinacoteca, Napoli,1911, p. 347, n. 292. Ma A.O. Quintavalle, Pinacoteca del Museo Nazionale di Na -poli. Catalogo generale dei dipinti, Napoli, 1930, n. 370, considerava il dipinto di un“alunno del Caravaggio”.

7 1 Mi chiedo, a questo punto, se nello stesso circuito rientri anche un’altra co-pia antica, conservata nella chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani di Empoli, checonosco grazie alla cortese segnalazione di Anna Bisceglia, che ringrazio vivamen-te. La tela, di dimensioni pressoché identiche all’originale, si trova sull’altare in ca-po alla navata destra della chiesa, a fianco dell’altare maggiore. Non è tuttaviaquesta la collocazione originaria del dipinto. L’altare della Purificazione, è questal’intitolazione della cappella, venne infatti acquistato nel 1599 da Tommaso Zeffi,che nel 1604 lo ornò con il dipinto di Jacopo Chimenti raffigurante la ‘Presenta-zione al tempio’, distrutto durante i bombardamenti nella seconda guerra mondialema in loco fino al 1909. La tela di ‘San Giovanni Battista’ non è mai descritta nelleguide locali. L’opera è certamente seicentesca, per quanto sembri di qualità infe-riore al dipinto di Capodimonte e certamente realizzata da una mano diversa ri-spetto alle altre due repliche sinora note.

72 M. Maccherini, Novità su Bartolomeo Manfredi nel carteggio familiare diGiulio Mancini: lo “Sdegno di Marte” e i quadri di Cosimo II granduca di To s c a n a, in‘Prospettiva’, 93-94, 1999, pp. 131-133.

7 3 Mi riferisco alle lettere del Mancini al fratello pubblicate da M. Maccheri-ni, op. cit. 1997, p. 82 e idem, op. cit., 1999, pp. 131-133.

7 4 Su questi problemi si veda ora E. Parlato, M a n f redi, Bartolomeo, voce in D i -zionario biografico degli italiani, Roma, LXVIII, 2007, pp. 661-665, che riassumetutta la bibliografia precedente.

64 MARIA CRISTINA TERZAGHI

7 5 I documenti a cui si fa riferimento riguardano la deposizione del Merisi alprocesso intentatogli da Giovanni Baglione nel 1603. Credevano all’identificazionedel “Bartolomeo” citato da Caravaggio con Manfredi: A. Moir, The Italian followersof Caravaggio, Cambridge (Mass.), 1967, I, pp. 40-41; J.P. Cuzin, M a n f redi FortuneTeller and Some Problems of “Manfrediana Methodus”, in ‘Bulletin of the Detroit In-stitute of Arts’, LVIII, 1980, 1, p. 16. Resta in forse M. Gregori, Dal Caravaggio alM a n f re d i, in Dopo Caravaggio. Bartolomeo Manfredi e la “Manfrediana Methodus”,catalogo della mostra a cura di M. Gregori (Cremona), Milano, 1987, pp. 15-16, co-sì come la monografia di Nicole Hartje, op. cit., p a s s i m. A favore dell’ipotesi si è in-vece recentemente espresso Gianni Papi (M a n f redi. La cattura di Cristo. CollezioneKoelliker, Milano, 2004, p. 24).

76 Per la trascrizione del documento si veda da ultima N. Hartje, op. cit., p.393, doc. 4.

7 7 Si veda il documento pubblicato da J. Bousquet, Recherches sur le séjour despeintres français à Rome au XVIIième siècle, Montpellier, 1980, p. 202, quindi N.Hartje, op. cit., p. 50, nota 155.

78 M. Maccherini, op. cit., 1997, pp. 75 e 82, appendice nn. 4 e 5. 79 Ivi, pp. 75-76.8 0 Su questa importante vicenda, si veda L. Sickel, Remarks on the patronage

of Caravaggio’s ‘Entombment of Christ’, in ‘The Burlington Magazine’, CXLIII,1180, 2001, pp. 426-429 e idem, op. cit., 2003, pp. 55-64, che pubblica l’albero ge-nealogico della famiglia Vittrice. Del sodalizio tra Giulio Mancini e Alessandro Vi t-trice parlano chiaro le lettere di Mancini al fratello (M. Maccherini, op. cit., 1997, p.86, lettere 37 e 39).

8 1 Negli inventari dei beni di Gerolamo, redatti nel 1609 e nel 1612, in favoredel figlio Alessandro, il quadro compare una prima volta con la denominazione di“Zinghara” (L. Sickel, op. cit., 2003, p. 223), ed è quindi descritto come: “un qua-dro grande con una zingara che dà la ventura con cornice nera e il suo tafeta rosso”(ivi, p. 228). Per gli inventari dei beni della famiglia Vittrice a metà del Seicento, sivedano L. Sickel, op. cit., 2001, p. 429 e ora M. Fratarcangeli, La diffusione “cara -vaggesca” negli inventari romani del Seicento, in Intorno a Caravaggio, cit., p. 29.

82 Lo ha dimostrato L. Sickel, op. cit., 2001, pp. 426-429.8 3 Dello stesso parere è L. Sickel (ivi, p. 429). G. Mancini, op. cit., I, p. 140 af-

ferma tra l’altro che Caravaggio vendette il dipinto per otto scudi.8 4 M. Calvesi, op. cit., p. 355 ha giustamente richiamato l’attenzione sul fatto

che i Mattei commissionarono a Prospero Orsi un’‘Incredulità di San Tommaso’, lacui descrizione coincide perfettamente con il dipinto di Caravaggio di proprietà diVincenzo Giustiniani, e dunque potrebbe essere una copia della celebre tela delMerisi. Maurizio Marini ha recentemente suggerito che l’Orsi possa essere l’autoredi alcune copie antiche da dipinti di Caravaggio in collaborazione con il maestro, inparticolare dell’‘Incredulità di San Tommaso’, in collezione privata per la quale siveda M. Marini, Caravaggios “Doppelgänger”. Unbekannte Originale, Zweitversionenund Mehrfachnennungen im Werk Michelangelo Merisi, in Caravaggio. Originale undK o p i e n, cit., p. 47 e la relativa scheda n. 43. È molto difficile, a quanto ne sappiamo,dare un nome ai diversi copisti. In particolare, per quanto riguarda i quadri Costa,non ho rinvenuto nessuna indicazione nelle carte d’archivio. Tuttavia, senza alcundubbio, l’autore della copia del ‘San Francesco in estasi’ ora a Udine non può es-sere lo stesso che redasse il dipinto raffigurante ‘San Giovanni Battista’ oggi ad Al-benga. Copie come si diceva entrambe commissionate nello stesso giro di mesi e dal

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 65

medesimo mecenate. Il dubbio che Prospero Orsi fosse l’autore di qualcuna dellecopie antiche oggi in circolazione mi pare, comunque, del tutto legittimo, perquanto per ora i dati certi siano troppo pochi. A proposito di attribuzioni all’artista,ricordo il recente intervento di C. Whitfield, Prospero Orsi interprète du Caravage,in ‘Revue de l’Art’, 155, 2007, pp. 9-19 che propone l’identificazione del pittore conil Maestro della Natura morta di Hartford.

8 5 Questi dati si recuperano collazionando le citazioni inventariali tratte dagliinventari Altemps con i libri di conti della stessa famiglia, pubblicati da L. Spezza-ferro, op. cit., 2002. In particolare si veda p. 29, dove lo studioso riportava anche idati che emergono da un inventario dei beni di Giovan Angelo Altemps del 1620,conservato presso la Newbury Library di Chicago.

8 6 D’altronde, a conti fatti, Bartolomeo Manfredi è citato nelle C o n s i d e r a z i o -n i (G. Mancini, op. cit., I, p. 108) come il primo degli appartenenti alla “schola” delMerisi, e dunque l’appellativo di “scholaro del Caravaggio” sembra funzionareperfettamente. Essendo il Mancini ad esprimersi in questi termini, e cioè a definire“Scholaro di Michelangelo” il copista, ed essendo ben noto il concetto di “schola”nel pensiero critico del medico senese, non sono peraltro così sicura che possiamodare al termine l’esatta accezione che gli verrebbe conferita nel linguaggio moder-no: mi pare infatti più probabile che il medico senese volesse definire il copista co-me un pittore appartenente alla “schola” di Caravaggio, il che non significa neces-sariamente che fosse un diretto allievo nel senso di ragazzo di bottega.

87 L. Spezzaferro, op. cit., 2002, p. 30.88 Sono questi i dati relativi all’inventario forniti ivi, p. 28. 8 9 G. Papi, Il primo ‘Lamento di Aminta’ e altri approfondimenti su Bartolomeo

Cavarozzi, in ‘Paragone’, 77 (695), 2008, pp. 45-47. Il dipinto di Caravaggio con-servato a Londra (la versione della Pinacoteca di Brera ha infatti una figura in piùrispetto alla descrizione dell’inventario) misura cm 141 x 196,2, la tela di Cavaroz-zi è di misure pressoché identiche (cm 139 x 194). Le dimensioni di entrambe le te-le dunque potrebbero adattarsi con i dieci palmi di larghezza del quadro Altemps(cm 220 circa), se si tiene conto che essi erano molto probabilmente comprensividella cornice. Mi pare comunque importante ricordare che il quadro di Cavarozzi,anche tenuto conto dell’identità delle misure, si colloca nella scia delle variazioni sultema iconografico proposto da Caravaggio, da cui dipende strettamente.

90 L. Spezzaferro, op. cit., 2002, p. 30 e G. Papi, op. cit., 2008, pp. 45-47. Inrealtà Gianni Papi ritiene che Bartolomeo Cavarozzi sia anche l’autore del ‘Davidee Golia’ citato dalle carte Altemps di cui si discuteva qui sopra.

91 L. Spezzaferro, op. cit., 2002, p. 48. 92 Ivi, p. 47. Il cognome è stato correttamente riportato a quest’ultima lectio

da F. Nicolai, Collezionismo, committenza pittorica e mercato dell’arte nella Roma delprimo Seicento. Quattro famiglie a confronto: Massimo, Altemps, Naro e Colonna, te-si di dottorato di ricerca, XX ciclo, Università della Tuscia, 2008.

9 3 In particolare, un “Bartolomeo pittore” compare per la prima volta nei librimastri del duca Giovan Angelo Altemps l’11 agosto 1612, quando gli viene saldato“uno quadro della Madonna con N. S. grande con le cornice indorate” per il nonirrilevante prezzo di 70 scudi (L. Spezzaferro, op. cit., 2002, p. 46).Alcuni mesi do-po, il 15 febbraio 1613 lo stesso prezzo viene sborsato a Prospero Orsi per la ven-dita della copia dell’‘Incredulità di San Tommaso’ di Caravaggio e per il ‘Davide eGolia’ di “Bartolomeo ottimo scholaro del Caravaggio” (una copia anche questa diuna delle tante versioni del soggetto caravaggesco o un quadro autonomo di uno

66 MARIA CRISTINA TERZAGHI

dei suoi stretti seguaci?). Alla successiva indicazione di esborso, circa un mesedopo, il 2 marzo 1613, anche questa volta a favore dell’Orsi, vengono registrati un“quadro di frutti” di Caravaggio e un altro analogo del misterioso Bartolomeo ac-quistati per il prezzo totale di 40 scudi. Il 25 luglio dello stesso anno, invece, il du-ca Giovan Angelo Altemps acquista da “Bartolomeo pittore” due quadretti picco-li per il prezzo totale di 25 scudi. Il giorni dopo l’artista vende al duca anche un ‘Ri-tratto del Bembo’ attribuito a Tiziano e un “Ritratto d’Ellena” sempre per il prez-zo complessivo di 25 scudi. Il successivo 15 agosto Bartolomeo, il cui cognome ècorrettamente letto come “Cervetto”, vende al duca sessanta teste di ‘Uomini Illu-stri’ per 54 scudi. Nel 1615 lo stesso personaggio, questa volta indicato però come“Dansetto”, risulta affittuario del duca per due botteghe “nella piazza della Puli-nara”. Da questo momento in poi si perdono le tracce dell’artista nei documenti Al-temps. Per tutte queste indicazioni documentarie, si veda L. Spezzaferro, op. cit.,2002, p. 47.

9 4 Del resto, a giudicare dalle misure del ‘David e Golia’ di proprietà Altem-ps “alto palmi dieci”, esso non può essere considerato propriamente copia di nes-suna delle tele di Caravaggio con questo soggetto, giacché le dimensioni non sem-brano corrispondere.

95 M. Maccherini, op. cit., 1997, pp. 75-76. Per inciso vorrei osservare che lacopia della “Zingara” ottenuta da Mancini era ritenuta la più precoce copia sulmercato romano, mentre, stando alle datazioni qui proposte, troviamo i quadri Co-sta in pole position.

96 Ivi, p. 82, appendice 5. 9 7 L. Spezzaferro, op. cit., 2002, p. 29; M.C. Terzaghi, Giuseppe Ve r m i g l i o, in

I Caravaggeschi, a cura di A. Zuccari, Milano, 2008, in corso di stampa. Sul pro-blema di Vermiglio specialista nel tema del ‘Sacrificio di Isacco’, fu portato moltoacutamente alla ribalta degli studi da M. Gregori, Il Sacrificio di Isacco: un inedito econsiderazioni su una fase savoldesca del Caravaggio, in ‘Artibus et Historiae’, 20,1989, pp. 99-142, pp. 140-141, nota 16. Per la completa disamina degli Isacchi v e r-miglieschi, cfr. da ultimi A. Morandotti, Gli anni romani di Giuseppe Ve r m i g l i o, inGiuseppe Vermiglio. Un pittore caravaggesco tra Roma e la Lombard i a, catalogodella mostra a cura di D. Pescarmona (Campione d’Italia), Milano, 2000, pp. 45-46,51 e figg. 21-23, 31-32, pp. 92-95; e F. Frangi, Giuseppe Vermiglio in Lombardia: in -dicazioni per un percorso, ivi, p. 61, fig. 35. Ma tornando alle copie del ‘Sacrificio diIsacco’, mi pare di grandissimo interesse, ai fini del nostro discorso, rilevare comela famiglia di Prospero Orsi, nella persona del pittore e del letterato Aurelio, fossein rapporti strettissimi con Maffeo Barberini, tanto che è stato suggerito che il tra-mite del ‘Ritratto di Maffeo Barberini’ attribuito a Caravaggio sia stato proprio Pro-sperino (L. Sickel, op. cit., 2001, p. 429). Non mi sembra che ci sia ulteriormente bi-sogno di specificare che l’artista possa essere stato implicato anche nella produzionee nella compravendita della copia per l’ambasciatore francese.

98 La copia era destinata al banchiere senese Agostino Chigi, cfr. M. Mac-cherini, op. cit., 1997, p. 71.

99 Ivi, pp. 79-80. Va rilevato che Mancini propone di vendere il dipinto sulmercato senese per 10 scudi.

1 0 0 La missiva in cui l’ambasciatore espone la questione è stata resa nota da A.Bachet, P i e r re Paul Rubens, deuxième article. Rubens revient d’Espagne à Mant o u e ,son sejour et ses travaux à la cour de Vincent Ier, jusqu’à l’époque de son second voya -ge a Rome (1604-1606), in ‘Gazette des Beaux Arts’, XXI, 1867, 1, p. 317, e ora cfr.

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 67

B. Furlotti, Le collezioni Gonzaga. Il carteggio tra Roma e Mantova (1587-1612), Ci-nisello Balsamo, 2003, p. 484, doc. 721.

1 0 1 Per la documentazione di tale scambio di attribuzioni nella vicenda dei Ca-ravaggio Costa si veda ora M.C. Terzaghi, op. cit., 2007, pp. 302-303

1 0 2 Originario di Ventimiglia, egli morì a Napoli l’8 maggio 1630, cfr. A. Del-fino, Documenti inediti per alcuni pittori napoletani del ’600 e l’inventario dei benilasciati da Lanfranco Massa con una sua breve biografia (tratti dall’Archivio Storicodel Banco di Napoli e dall’Archivio di Stato di Napoli), in ‘Ricerche sul ’600 napo-letano’, 1985, p. 90. È ben nota la vicenda della commissione al Merisi del ‘Marti-rio di Sant’Orsola’ (Napoli, collezione Sanpaolo Banco di Napoli) per MarcantonioDoria di cui fu tramite lo stesso Massa (F. Bologna, V. Pacelli, Caravaggio 1610: “LaSant’Orsola confitta dal tiranno”, in ‘Prospettiva’, 23, 1980, pp. 24-44).

1 0 3 Così mi sembra infatti che vada identificato quell’“Antonio tedesco” di cuiil Massa possiede un ‘San Giovanni Battista’ e una ‘Natività’: data la spiccata pre-ferenza del genovese per artisti caravaggeschi, e la mancanza di altri pittori parte-nopei che abbiano simili nomi (non ne compare, ad esempio, nessuno in B. De Do-minici, Vite de pittori scultori e architetti napoletani, Napoli, 1742-1745). AntonioD’Enrico, detto Tanzio da Varallo, infatti, provenendo dalla Valsesia, è detto “Te-desco” nei documenti noti in Italia Centrale (così è ad esempio ricordato da un ma-noscritto abruzzese del XVII secolo, per il quale cfr. G. Sabatini, Ottavio Colecchi,in ‘Rassegna di Storia e d’Arte d’Abruzzo e Molise’, IV, 1928, p. 87, nota 199 e, perla trascrizione integrale del documento, la datazione delle chiose al testo, eccetera,c f r. M.C. Terzaghi, R e g e s t o, in Tanzio da Varallo. Realismo, fervore e contemplazio -ne in un pittore del Seicento, catalogo della mostra a cura di M. Bona Castellotti,Milano, 2000, pp. 233 e 237, nota 10). Il pittore è attestato a Napoli da opere (sul-la presenza napoletana di Tanzio fa il punto F. Bologna, Tanzio a Roma, sugli Alto -piani Maggiori d’Abruzzo e a Napoli, ivi, pp. 33-40; cfr. inoltre M.I. Catalano, Ta n -zio da Varallo. Pentecoste, ivi, pp. 76-77 e S. Causa, Battistello Caracciolo. L’operacompleta, Napoli, 2000, in particolare pp. 67-72), ma non da documenti, e il suopassaggio in una collezione decisamente orientata in senso caravaggesco, comequella di Lanfranco Massa, mi sembra altamente significativo per stabilire che at-torno al principio del secondo decennio, quando la raccolta del genovese si andavaverosimilmente formando, Tanzio era presente sulla piazza napoletana, molto pro-babilmente con dipinti che risentivano da vicino del linguaggio naturalistico di Ca-ravaggio.

1 0 4 “Un quadro di S. Ursula con cornice, del Caravaggio”, che va certamenteidentificato con un’altra versione (a mio avviso una copia) dell’originale che nel1610 raggiungeva il palazzo di Marcantonio a Genova; “Un quadro di s. Lorenzocon cornice, di Gio. Bernardino siciliano” a fronte del “Martirio di San Lorenzo diGio. Bernardino” inventariato nella raccolta Doria: l’inventario è da ultimo pub-blicato da P. Boccardo, Un committente, un quadro, una collezione: vicende fraNapoli e Genova (e ritorno) della Sant’Orsola dipinta per Marcantonio Doria, in L’ u l -timo Caravaggio. Il Martirio di Sant’Orsola re s t a u r a t o, catalogo della mostra (Roma-Milano-Vicenza), Milano, 2004, p. 264; “Un quadro della Pietà con detta cornice(cornice negra et oro) di Gioseppe Rivieras”, che appare assai significativo al co-spetto della ‘Pietà’ del Ribera che Marcantonio ottenne nel 1623 (E. Nappi, Un re -gesto di documenti editi ed inediti, in ‘Ricerche sul ’600 napoletano’, 1990, p. 181)e che figurava nella sua raccolta; “Un quadro di Nostro Signore con la croce in col-lo” di Battistello, che potrebbe forse essere una copia del ‘Qui vult venire post me’,

68 MARIA CRISTINA TERZAGHI

oggi a Torino, Rettorato dell’Università, inventariato nella collezione del Doria, do-ve Gesù porta una grande croce (ma non è escluso che abbia ragione StefanoCausa, op. cit., p. 347, per il quale il dipinto va invece annoverato tra le opere per-dute del pittore: effettivamente si conoscono altri quadri attribuiti all’artista con ilmedesimo soggetto, come la tela conservata presso la Quadreria dei Girolamini diNapoli).

1 0 5 Le vicende sono narrate da V. Pacelli, in F. Bologna, V. Pacelli, op. cit., pp.24-44.

106 Vale la pena qui riproporre un celebre passo che il Longhi scrisse in rela-zione a una copia dei ‘Bari’ (l’originale, oggi al Kimbell Art Museum di FortWorth, fu ritrovato solo molti anni dopo, cfr. D. Mahon, F resh light on Caravaggio’searliest period: his “Cardsharps” recovered, in ‘The Burlington Magazine’, CXXX,1018, 1988, pp. 10-25): “Fra le opere giovanili del Caravaggio è anche da porre,sebbene taciuto dal Mancini e dal Baglione, ricordato soltanto dal malfido Bellori,e messo in dubbio da qualche moderno, il celebre quadro dei ‘Bari’ che fu primadei Barberini, poi degli Sciarra fino agli ultimi anni del secolo scorso. Sia o no il me-desimo dipinto trafugato al marchese Sannesio nel 1621, certo è che l’opera de-scritta dal Bellori risponde perfettamente al dipinto Sciarra. Il Dott. F. Baumgart haperò avuto torto provandosi, recentemente, a identificarlo con una cattiva tela diuna collezione privata tedesca. Questa è copia evidente dall’originale smarrito il cuipiù antico ricordo grafico (incisioni a parte) non è già la vecchia fotografia del Mo-scioni, palesemente tratta da una copia anche peggiore di quella illustrata dallo stu-dioso tedesco, ma l’accurata tavola della pubblicazione del Vicchi su Dieci quadridella Galleria Sciarra. Ed è vero che il Dott. Baumgart ha cercato di aggirare le pos-sibili obbiezioni parlando, con qualche ambiguità, di ‘ripetizioni’ del Caravaggio;sta di fatto che se v’è un autore a non potersi immaginare nell’atto di replicare leproprie opere questi è il Caravaggio, per il quale la ‘realtà’ di un dipinto non potevaverificarsi che una volta sola. In effetto i casi di presunte repliche, citati dal Dott.Baumgart, sono casi da decidersi fra originale e copia” (R. Longhi, op. cit., 1943, ed.1999, pp. 4-5). Il dissenso tra Roberto Longhi e Denis Mahon su questo tema, po-larizzatosi intorno alla riscoperta della ‘Flagellazione’ di Rouen (R. Longhi, Sui mar -gini caravaggeschi, in ‘Paragone’, 21, 1951, pp. 28-29; D. Mahon, A Late CaravaggioR e d i s c o v e re d, in ‘The Burlington Magazine’, XCVIII, 640, 1956, pp. 225-226, rist.in ‘Paragone’, 77, 1956, pp. 25-34; R. Longhi, Un originale del Caravaggio a Rouene il problema delle copie caravaggesche, in ‘Paragone’, 121, 1960, pp. 23-28) è luci-damente stigmatizzato da D. Mahon, The singing ‘Lute player’ by Caravaggio fromthe Barberini collection, painted for Cardinal Del Monte, in ‘The Burlington Maga-zine’, CXXXII, 1042, 1990, p. 5. Dello stesso parere è K. Christiansen, Some ob -servations on the relation ship, between Caravaggio’s two treatments of the ‘Lute-p l a y e r ’, in ‘The Burlington Magazine’, CXXXII, 1042, 1990, pp. 21-26. L’ipotesi diun Caravaggio copista di se stesso è oggi accolta da M. Marini, op. cit., 2006, pp.44-63 e idem, “Contrasts in Art-historical Methods”: Sir Denis Mahon Approaches toCaravaggio. Questioni di metodo o di “Feeling”?, in Caravaggio. L’immagine del di -v i n o, cit., pp. 19-25. Anche gli studi più recenti di Mina Gregori (Un altro autografodei B a r i di Caravaggio, in Caravaggio. L’immagine del divino, cit., pp. 47-83 e Un al -tro autografo dei B a r i di Caravaggio, in Caravaggio. I Bari della collezione Mahon, ca-talogo della mostra a cura di D. Benati e A. Paolucci, Forlì, 2008, pp. 20-30, non-ché, in senso più generale, M. Gregori, Come dipingeva Caravaggio, in C a r a v a g g i o .L’immagine del divino, cit., pp. 27-34) si collocano nell’ottica di una revisione di al-

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 69

cune posizioni longhiane, per dare spazio a una diversa lettura in particolare dellaproduzione giovanile del Merisi.

107 L. Spezzaferro, op. cit., 2002, pp. 28-33. 1 0 8 P. Leone de Castris, in Il patrimonio artistico del Banco di Napoli. Catalogo

delle opere, Napoli, 1984, pp. 36-38 per primo avanzava l’ipotesi che la tela potes-se essere la copia del perduto originale caravaggesco, attribuendola, a mio avvisocon buona ragione, a Louis Finson. Sul dipinto si veda in particolare la scheda di F.Bologna, in Caravaggio. L’ultimo tempo. 1606-1610, catalogo della mostra, Napoli,2005, pp. 166-167, che, d’accordo con Leone de Castris sull’identificazione del di-pinto con il perduto quadro caravaggesco, appare invece di altra opinione in meritoall’attribuzione.

109 Apprendiamo la vicenda della vendita dei quadri dall’epistolario del pit-tore Frans Pourbous al duca di Mantova, cfr. da ultima S. Macioce, op. cit., pp. 230-231, docc. 354-355, con completa bibliografia dei documenti. Per il Vinck, cfr. in-vece la lettera di Giacomo di Castro, allievo di Battistello Caracciolo, al principeAntonio Ruffo di Messina, del 1673: V. Ruffo, La Galleria Ruffo in Messina nel se -colo XVII (con lettere di pittori ed altri documenti inediti), in ‘Bollettino d’arte’, X,1916, pp. 148-149.

110 Sulla questione si veda qui sopra alla nota 48, ricordo che il Galanino ri-sulta stimatore dei quadri dello stesso duca Giovan Angelo Altemps di cui si è alungo parlato.

111 A. Bertolotti, op. cit., II, pp. 76-77; G. Dell’Acqua, M. Cinotti, Il Cara -vaggio e le sue grandi opere da San Luigi dei Francesi, Milano, 1971, pp. 162-163; D.Mahon, op. cit., 1988, p. 13 e nota 16; M. Gregori, in Michelangelo Merisi da Ca -ravaggio. Come nascono i capolavori, cit., p. 96; M. Marini, op. cit., 2001, pp. 403-404; S. Macioce, op. cit., pp. 286-287, doc. 460. Val la pena rileggere il documentocon attenzione. “Dovete sapere come il signor Antonio Ursino un mese fa me fececonsignare un quadro d’un gioco di mano di Michelangelo da Caravaggio dal Si-gnor Marchese Sannesio acciò io ne facese copiare per il detto signor Antonioche lo voleva per un gentilhuomo suo amico; et acciò che il d(etto) quadro non fus-se strapazato, o per qualch’altro respetto, me fece consegnare il d(etto) s(igno)reMarchese una stantia nel detto Monte di santo Spirito per fare d(ett)a copia et mene diede la chiave”. Comincia così la deposizione del malcapitato pittore pisanoAlessandro Frigoni detto Bazzicaluva, di professione copista, il 5 novembre 1621 alprocesso contro il calzolaio Pietro Ancina, accusato del furto di entrambi i dipintinelle mani del Bazzicaluva (sul pittore e l’entourage pisano, cfr. P. Carofano, F. Pa-liaga, Pittura e collezionismo a Pisa nel Seicento, Pisa, 2001, pp. 48-49). Per paurache la tela si sciupasse, egli consegna addirittura al pittore le chiavi di una stanzadove avrebbe dovuto eseguire la copia. Pietro Ancina, detenuto nelle carceri in Bor-go, per scagionarsi traccia un quadro della vicenda a mio avviso ancora più inte-ressante: “Io me trovo prigione da venerdì a sera in qua, che fui preso in casa miaad un hora di notte in circa et credo sia per causa d’un quadro che ho compro e fat-to comprare da un Milanese”, informandosi il giudice sulla sorte di quel dipinto, dachi lo aveva ricevuto, a che prezzo e a chi fosse destinato, Pietro risponde che loaveva avuto da un giovane, figlio di Michelangelo Torsiano, che glielo aveva lasciatocon un accordo che oggi definiremmo conto vendita: “Me lo feci lasciare et che tor-nasse la mattina seguente che l’haverei fatto vedere a un gentilhuomo che l’averiacomprato”. Secondo la deposizione, Pietro Ancina sborsò 3 scudi e pochi giuli perla tela e la rivendette a un gentiluomo che se la portò a Milano. Il quadro risulta

70 MARIA CRISTINA TERZAGHI

“vecchio assai di telaro et dietro ci era scritto ‘del Caravaggio’ con non so che nu-mero et altro segno non c’era”. Il calzolaio tace tuttavia sul prezzo della vendita al-l’acquirente milanese, ma i precedenti testi affermano che: “ho inteso dire da piùpittori che vaglino duecento scudi”. Il marchese Sannesio era dunque in possesso diuna copia dei ‘Bari’ “ben copiata”, che prestava solo agli amici e con grandissimacautela perché fosse a sua volta replicata, tale e quale a un originale, e così la ritie-ne il copista. Dietro il telaio, per di più, la copia recava la scritta “del Caravaggio”e un numero, forse, chissà, in riferimento all’inventario della collezione, dati chesembrano ribadire l’originalità del dipinto. Se il Bazzicaluva non esprime dubbi sul-la bontà dell’opera di provenienza Sannesio, il presunto ladro del quadro si senteinvece in dovere di chiamare a giudizio alcuni intenditori, dapprima un indoratore,Francesco Modello, che subito afferma che il dipinto è copia e che “di quelle se neerano fatte tante”, per quanto questa fosse “una bella copia et ben copiata” e poiun’autorità nel campo, Giulio Mancini, che afferma senza ombra di dubbio che ildipinto è copia: “La mattina chiamai Francesco Modello indoratore che sta nellapiazza S. Giacomo Scassacavallo et glie lo mostrai. Lui me disse che era copia et chesi erano fatte molte copie di quelle. Io gli replicai che cosa se ce poteva spendere etche ne dimandava quello che lo voleva vendere cinque scudi. Modello me disse chequella era una bella copia et ben copiata, ma che se lo volevo copiare io per riven-derla non era cosa da me. La mostrai al signor Giulio Mancino: me disse che erauna copia”.

Per una diversa lettura del documento si veda ora M. Gregori, op. cit., 2007,pp. 47-83 ed eadem, op. cit., 2008, pp. 20-30. La studiosa sostiene che il giudizioespresso dal Mancini fosse di circostanza, e che in realtà il quadro Sannesio potevaessere un originale del Caravaggio. Sempre sull’interpretazione di questo materia-le documentario si veda anche P. Cavazzini, op. cit., pp. 132-133. A questo propo-sito ricordo che, come testimoniato da Giulio Mancini (si veda supra p. 52 e nota99), l’originale del dipinto si trovava nella collezione del cardinal Del Monte. In col-lezione Sannesio è altresì registrato: “un quadro con tre figure che giocano à carte”,senza alcuna indicazione attributiva (L. Spezzaferro, op. cit., 2001, p. 118. L’in-ventario del duca Francesco Sannesio risale al 1644), probabilmente da identifica-re con il quadro oggetto di furto e poi recuperato. Recenti acquisizioni documen-tarie circa la dispersione della raccolta Del Monte (L. Lorizzo, La collezione del car -dinale Ascanio Filomarino. Pittura, scultura e mercato dell’arte tra Roma e Napoli nelSeicento, con una nota sulla vendita dei beni del cardinal Del Monte, Napoli, 2006,pp. 61 e 106-107) attestano che un membro della famiglia Sannesio, Giovan Paolo,acquistò nel 1628 diciannove quadri appartenenti al Del Monte, tutti chiaramenteindicati, tra di essi non figuravano i ‘Bari’. Il quadro del Caravaggio acquistato daAntonio Barberini restò invece in casa Barberini ed è registrato ancora nel 1818presso don Maffeo Barberini Colonna di Sciarra, nella cui collezione viene descrittocome opera del Caravaggio (Archivio di Stato di Roma, Ufficio delle Ipoteche, vol.2, n. 13, f. 62, cfr. I. Mariotti, La legislazione delle belle arti, Roma, 1892, pp. 132-137). Per l’acquisizione della ‘Santa Caterina’ Thyssen, del ‘Suonatore di liuto’ e dei‘Bari’ da parte del cardinale Antonio Barberini si veda innanzitutto M. AronbergLavin, Seventeenth Century Barberini Documents and Inventories of Art, New Yo r k ,1975, pp. 167, 296.

1 1 2 Decontestualizzo qui un’espressione di S. Causa, Di strade e di stanze. Unalettura di Balthus, Napoli, 2003, p. 73.

CARAVAGGIO TRA COPIE E RIFIUTI 71

T A V O L E

I saggi contenuti in questo numero di Paragone sono stati presentatialla Giornata di studio in ricordo di Luigi Spezzaferro

tenutasi presso la Fondazione di Studi di Storia dell'Arte Roberto Longhiil 26 ottobre 2007 e curata da Elena Fumagalli

42 - Caravaggio: ‘San Matteo e l’angelo’ già Berlino, Kaiser Friedrich Museum

43 - Caravaggio: ‘San Matteo e l’angelo’Roma, San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli

46 - Caravaggio: ‘San Giovanni Battista’ Kansas City (Missouri), Nelson Atkins Museum

47 - da Caravaggio: ‘San Giovanni Battista’ Albenga, Museo Diocesano di Arte Sacra

48 - da Caravaggio: ‘San Giovanni Battista’ Napoli, Capodimonte

49 - Bartolomeo Manfredi: ‘San Giovanni Battista’ Milano, collezione Koelliker