La sacrestia di S. Pietro in Vincoli. Polidoro da Caravaggio e Vincenzo Tamagni in “Storia...

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La parete su cui è addossato il cenotafio di Giulio II nel braccio destro del transetto della basilica di San Pietro in Vincoli, cela un ambiente che è toccato da pochi accenni nella vastissima bibliografia e nei documenti riguar- danti il sacro edificio. Sorto su qualche tipo di preesistenza – forse il campanile di una delle due costruzioni di epo- ca paleocristiana oppure qualche locale che, prima del convento, serviva da sala capitolare o da luogo di incontro dei religiosi – questo ambiente presenta inedite decorazioni. Appena varcata la soglia di una delle due porte ai lati del monumento a Giulio II ci troviamo nella antisacrestia, 1 un grande ambiente (lunghezza del lato monumento funebre di Giulio II m 11,80 ca; lunghezza lato sacrestia m 11,50 ca; altezza m 5,9 ca.) con soffitto lunettato su cui sono posti gli stemmi di Sisto IV e Giuliano della Rovere. Il pavimento originale a intarsi marmorei con dise- gni geometrici risale probabilmente agli interven- ti dei Della Rovere, 2 compiuti entro il 1479. Si accede quindi alla “sacrestia” tramite una bella porta lignea 3 inserita in un portale che reca l’iscri- zione «GAL. CAR. S. PET. AD. VINC.». Que- sta scritta rimanda agli interventi promossi dal Cardinale Galeotto Franciotti della Rovere 4 negli anni del suo titolariato tra il 1503 e il 1508. I lavo- ri interessarono la zona dell’attuale anti-sacrestia con l’ampliamento di una sala lunettata (la nostra “sacrestia”) a cui si accedeva dal chiostro tramite una scala collocata tra questo e l’anti-sacrestia. L’intervento di restauro qui condotto nel corso del 2005 dalla Soprintendenza ai Beni Ambienta- li e Architettonici di Roma ha ristabilito il pas- saggio tra il chiostro e la chiesa, mediante la crea- zione di una porta-finestra. Varcata quindi, questa porta, si entra in un ambiente di media grandezza a pianta quadran- golare (m 5,55x6,30; altezza m 4,80) dal soffitto a lunette, una piccola cappella sulla parete destra con un bel pavimento a quadri di marmo bianco con figure geometriche in marmi policromi. La parete di fondo, e quelle a questa perpendi- colari, sono decorate da pannelli marmorei: tri- partiti sulla parete opposta all’ingresso, e sin- goli in quelle laterali, incorniciati da fasce a mosaico 5 (FIG. 1). Nella trabeazione è inserita un’iscrizione: «QUAE SVNT SACRA/ DEO HIC INTVS/ CONDITA SERVO/ MDXXIII». 6 Essa ricopre un’importanza primaria per la ricostruzione cronologica degli interventi che, come ha bene evidenziato Giuliana Zandri nel volume sulla basilica del 1999, 7 dovevano sot- tolineare il significato di quest’ambiente nel contesto del complesso monumentale di S. Pie- tro in Vincoli. Infatti, quella che oggi viene indicata come “sacrestia” (così come riportato anche nei libri mastri della canonica e della basilica a partire dai primi anni Quaranta del XVI sec.), al momento della sua “fondazione” doveva essere destinata a conservare le catene Rossana Castrovinci 9 La sacrestia di S. Pietro in Vincoli. Polidoro da Caravaggio e Vincenzo Tamagni * * Ringrazio per la preziosa collaborazione Giuseppe Castrovinci che con grande perizia ha realizzato la campagna fotografica nella sacrestia di S. Pietro in Vincoli consentendomi di pubblicare le illustrazioni del presente saggio.

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La parete su cui è addossato il cenotafio diGiulio II nel braccio destro del transetto dellabasilica di San Pietro in Vincoli, cela unambiente che è toccato da pochi accenni nellavastissima bibliografia e nei documenti riguar-danti il sacro edificio.Sorto su qualche tipo di preesistenza – forse ilcampanile di una delle due costruzioni di epo-ca paleocristiana oppure qualche locale che,prima del convento, serviva da sala capitolareo da luogo di incontro dei religiosi – questoambiente presenta inedite decorazioni. Appena varcata la soglia di una delle due porte ailati del monumento a Giulio II ci troviamo nellaantisacrestia,1 un grande ambiente (lunghezza dellato monumento funebre di Giulio II m 11,80 ca;lunghezza lato sacrestia m 11,50 ca; altezza m 5,9ca.) con soffitto lunettato su cui sono posti glistemmi di Sisto IV e Giuliano della Rovere. Ilpavimento originale a intarsi marmorei con dise-gni geometrici risale probabilmente agli interven-ti dei Della Rovere,2 compiuti entro il 1479. Si accede quindi alla “sacrestia” tramite una bellaporta lignea3 inserita in un portale che reca l’iscri-zione «GAL. CAR. S. PET. AD. VINC.». Que-sta scritta rimanda agli interventi promossi dalCardinale Galeotto Franciotti della Rovere4 neglianni del suo titolariato tra il 1503 e il 1508. I lavo-ri interessarono la zona dell’attuale anti-sacrestiacon l’ampliamento di una sala lunettata (la nostra“sacrestia”) a cui si accedeva dal chiostro tramite

una scala collocata tra questo e l’anti-sacrestia.L’intervento di restauro qui condotto nel corsodel 2005 dalla Soprintendenza ai Beni Ambienta-li e Architettonici di Roma ha ristabilito il pas-saggio tra il chiostro e la chiesa, mediante la crea-zione di una porta-finestra. Varcata quindi, questa porta, si entra in unambiente di media grandezza a pianta quadran-golare (m 5,55x6,30; altezza m 4,80) dal soffittoa lunette, una piccola cappella sulla parete destracon un bel pavimento a quadri di marmo biancocon figure geometriche in marmi policromi. La parete di fondo, e quelle a questa perpendi-colari, sono decorate da pannelli marmorei: tri-partiti sulla parete opposta all’ingresso, e sin-goli in quelle laterali, incorniciati da fasce amosaico5 (FIG. 1). Nella trabeazione è inseritaun’iscrizione: «QUAE SVNT SACRA/ DEOHIC INTVS/ CONDITA SERVO/ MDXXIII».6

Essa ricopre un’importanza primaria per laricostruzione cronologica degli interventi che,come ha bene evidenziato Giuliana Zandri nelvolume sulla basilica del 1999,7 dovevano sot-tolineare il significato di quest’ambiente nelcontesto del complesso monumentale di S. Pie-tro in Vincoli. Infatti, quella che oggi vieneindicata come “sacrestia” (così come riportatoanche nei libri mastri della canonica e dellabasilica a partire dai primi anni Quaranta delXVI sec.), al momento della sua “fondazione”doveva essere destinata a conservare le catene

Rossana Castrovinci

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La sacrestia di S. Pietro in Vincoli.Polidoro da Caravaggio e Vincenzo Tamagni*

* Ringrazio per la preziosa collaborazione Giuseppe Castrovinci che con grande perizia ha realizzato la campagnafotografica nella sacrestia di S. Pietro in Vincoli consentendomi di pubblicare le illustrazioni del presente saggio.

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di san Pietro, così come sembra di potersiintuire dalla lettura dell’iscrizione.La committenza dell’opera e la messa a puntodella decorazione dell’ambiente, piuttosto cheai Canonici Regolari di S. Maria in Reno e S.Salvatore, detti anche Renani,8 vanno attribuitea una personalità di spicco come il CardinaleAlberto di Brandeburgo,9 titolare della basilicatra il 1521 e il 1545, che avrà delineato un pri-mo progetto d’insieme. La preziosità dell’ap-parato decorativo così come i temi trattati nel-le pitture lasciano intuire il particolare rilievo acui era destinata questa “stanza delle reliquie”.La decorazione della parete di fondo continuaal di sopra e al di sotto di tre dei quattro pan-nelli marmorei. Sono scene della vita di sanPietro dipinte a monocromo, oggi purtropponon tutte leggibili a causa del cattivo stato diconservazione. Il pannello sulla parete sinistra, è privo di pit-tura. È probabile che si tratti di una perditadovuta all’umidità come potrà confermare omeno il restauro ancora in corso.Le pitture a monocromo al di sopra dei pan-nelli rappresentano scene della vita di san Pie-tro e sono tutte poste nel registro superiore:Pietro ferisce Malco, servo del gran sacerdo-te (FIG. 5); Lavanda dei piedi (FIG. 6); Conse-gna delle chiavi (FIG. 7). I soggetti raffigurati nella parte sottostante deidue pannelli posti nella parete di fondo, risultanodi difficile interpretazione, perché molto rovinati;sono la Vocazione di Pietro, meglio leggibile, e laResurrezione di Tabita ormai quasi totalmenteperduta , anche se si possono scorgere tracce dicolore, come se la pittura fosse stata ripresa in unmomento successivo per sopperire alle lacune.Infine, non è chiara l’identificazione del terzosoggetto che compare nel registro sottostante ilpannello della parete destra, anch’esso ripreso,probabilmente, in epoca più recente.Per le tre storie a monocromo del registro media-no (FIGG. 5-6-7) della parete di fondo, si sugge-risce un’attribuzione a Polidoro da Caravaggio10

(1495/1500-1543) sulla base del confronto con imonocromi della Stanza di Alessandro e Rossa-ne alla Farnesina,11 databili intorno al 1519, dove

Polidoro è attivo insieme a Maturino sotto ladirezione di Baldassarre Peruzzi.I monocromi della sacrestia, databili approssima-tivamente tra il 1525 e il 1527, sono quasi specu-lari e identici a quelli della Stanza di Alessandroe Rossane nonostante si possa ravvisare una piùevoluta impostazione delle figure analoga aimonocromi della Sala di Costantino in Vaticano,importante spartiacque tra i due cicli di affreschi. Infatti fra il 1519 e il tempo cui riferiamo imonocromi della sacrestia, intercorrono alme-no sei anni. L’intervallo è giustificato appuntodalle vicende biografiche del Maestro,12 che neescludono la presenza a Roma tra l’estate del1522 e quella del 1523.I due cicli a monocromo, quello della Farnesinae quello della “sacrestia”, coincidono nella ste-sura pittorica, che potremmo definire “compen-diaria”, suggerendo un’unica mano; nel Giove eAscalafo (FIG. 2) la capigliatura del dio mostrala stesso tratto della figura a destra del San Pie-tro che ferisce Malco, servo del gran sacerdote,nella sacrestia (FIG. 5). Gli stessi connotati sti-listici ritornano poi nella figura di Plutone nelRatto di Proserpina (FIG. 3). Il panneggiodinamico della Cerere (FIG. 4) ripete i tratti sti-listici, plastici e drammatici, delle figure adestra nel ciclo petriano (FIG. 5). Anche gli inserti botanici rimandano alla pittu-ra di Polidoro; la ramificazione sommaria deltronco dell’albero nell’episodio petrino, conmarcati chiaroscuri, è replicata nell’albero chefa da fondale al Ratto di Proserpina della Far-nesina (FIG. 3). La barba di Plutone è specula-re a quella del san Pietro nella Lavanda deipiedi (FIG. 6); il profilo di Plutone rivela unaspiccata parentela con quella del san Pietronella Consegna delle chiavi (FIG. 7). Nel suo insieme, il ciclo della sacrestia mostra unamano più esperta e matura rispetto al ciclo dellaFarnesina: sia nella resa dei panneggi che nel-l’ombreggiare più morbido e nell’impianto a tuttotondo delle figure. I due cicli di affreschi recano

l’impronta dello stile di Polidoro caratterizzata dalarghe masse di luce e di ombra con vibranti e filantiguizzi di chiaro e scuro che rafforzano la dinamica

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delle figure. Ciò – scrive Stefania Macioce – è benvisibile anche nei monocromi della Sala di Costanti-no, specie nel particolare della figura sullo sfondonella scena che raffigura la fondazione di San Pietro.13

Le maggiori dimensioni degli episodi di S. Pie-tro in Vincoli rispetto a quelle delle scene mito-logiche della Stanza di Alessandro e Rossane,hanno giocato un ruolo non secondario; la parti-tura del fregio ha infatti agevolato la strutturacompositiva, elemento questo che conferma l’ipo-tesi di un intervallo di tempo tra l’esecuzione deidue cicli, come dimostra peraltro la notevoleevoluzione dei monocromi della sacrestia.Eleganti candelabre decorano le fasce lateralidei pannelli marmorei, anch’esse a monocromoe da ascrivere al Caldara. Soggetti diversi daquelli suoi usuali (vasi, racemi, figurine, anima-li fantastici che ritroviamo nelle grottesche chedecorano il soffitto) sono le tiare papali, le mitrevescovili e i simboli liturgici. La singolarità del-la decorazione aiuta a confermare che il suppor-to economico così come l’ideazione del proget-to iconografico si debba ascrivere al CardinaleAlberto di Brandeburgo. Questi, che non ha maiabbandonato la terra di Germania se non in rareoccasioni ufficiali, decise di lasciare nella basi-lica romana di S. Pietro in Vincoli (di cui era sta-to nominato titolare nel 1521 da papa Leone X)un segno forte del suo incarico, progettando didedicare un luogo di culto alle reliquie dell’A-postolo Pietro, le più importanti presenti inRoma. Con questa iniziativa il cardinale inten-deva anche esaltare i principi della dottrina cat-tolica in questi stessi anni messi in discussioneda Lutero e contemporaneamente anche daZwingli e Calvino in Svizzera. È questa infatti la ragione della scelta dellecandelabre come di tutti gli altri strumenti edelementi liturgici della Chiesa Cattolica Roma-na nell’ambiente dove dovevano conservarsi lecatene che avevano imprigionato l’Apostolo.Il soffitto (FIG. 18), presenta una vivace deco-razione a grottesche su fondo bianco con esiliedicole, sacri tempietti, putti tra racemi e cor-nucopie, mostri e uccelli (FIGG. 8-15). L’osser-vatore viene condotto in un mondo fantastico

abitato da animali, figure mitologiche, paesag-gi bucolici e nature morte che hanno fatto lafortuna di questo tipo di ornato. Le grottesche incorniciano cinque scene; nell’o-vale al centro è raffigurato San Pietro e l’angelo;ai lati sono collocati i quattro episodi della vita disan Pietro: la Vocazione (FIG. 23), la Guarigionedello storpio (FIG. 24), la Condanna di san Pietro(FIG. 25) e la Morte di Anania e Safira (FIG. 26).Gli affreschi, databili tra il 1525 e il 1527, sono diuna mano diversa da quella del Caldara, e daquella di Maturino, ma piuttosto riconducibili aVincenzo Tamagni14 da San Gimignano (1492-1530), vecchia conoscenza di Polidoro sin dalcantiere Bibbiena in Vaticano (1515-1517). La scena principale15 raffigura san Pietro giàliberato dalla prigione da cui si allontana incompagnia dell’Angelo; san Pietro (FIG. 19)ricalca nella fisionomia del volto, nella resa deicapelli leggermente arricciati e della barba, lafigura di san Giuseppe (FIG. 20) nella chiesa diS. Maria di Arrone16 presso Terni. Questa figu-ra si è ancora incerti se appartenga a VincenzoTamagni o a Giovanni da Spoleto. Il santoappare più stilizzato e arcaizzante nella versio-ne della sacrestia, anche se la sua derivazioneda san Giuseppe di Terni resta indiscutibile.Al Tamagni dunque, autore della figura nell’ova-le al centro, sono ancora da ricondurre il torrionesullo sfondo (FIG. 21), simile a quello dipinto suuna tavoletta con Madonna con Bambino e sanGiovannino17 (FIG. 22) (pubblicata da NicoleDacos in Prospettiva del 1976). Il viso dell’ange-lo che riprende quello della Madonna, è un ele-mento distintivo dell’artista ripetuto in alcuni per-sonaggi dei quattro episodi della vita del santo(FIGG. 27-28). Lo stesso volto si ritrova in altrefigure di opere non romane dello stesso artista,come la Natività di Maria di San Gimignano(FIG. 29). Qui le donne indaffarate intorno asant’Anna presentano la stessa tipologia deipersonaggi negli episodi della vita del santo; ilpanneggio stilizzato inoltre richiama le vestidelle figure nella Consacrazione di Salomone18

(FIG. 30) nella dodicesima volta delle Logge diLeone X, unico episodio attribuito al Tamagni. Gli stessi indizi li ritroviamo negli altri quattro

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episodi dipinti in maniera impressionistica,quasi compendiaria, a cui Vincenzo Tamagniprobabilmente lavorò in collaborazione conMaturino. Collaborazione che si protrae nellegrottesche, la cui ideazione è tuttavia da asse-gnare a Polidoro.19 Ma l’identificazione dellediverse mani risulta complessa perché largheporzioni del tessuto pittorico risultano ridipin-te in periodi successivi. Di certo i tre pittori vilavorarono insieme e nello stesso tempo. Le grottesche, riempiono anche i pennacchi(FIGG. 13-15) tra le lunette; vi sono raffiguratiuna Vergine con il Bambino, illustri esponentidella Congregazione dei Canonici RegolariRenani e santi, entro clipei con festoni di allo-ro e cartigli recanti iscrizioni per l’identifica-zione del soggetto. Coppie di putti (FIG. 9) gio-cano e reggono simboli papali, come croce, tia-ra e chiavi, e i simboli petrini ovvero le catenee la croce rovesciata.La Vergine col Bambino nella lunetta al centrodel registro superiore (FIG. 16) è di mano diPolidoro (sebbene parzialmente ridipinta) epresenta suoi tratti tipici. Il naso e i grandiocchi riconducono al Caldara come nella Mad-dalena (FIG. 17) in S. Silvestro al Quirinale20 dicui la Vergine riproduce la tipologia fisionomi-ca, in particolare nel mento appuntito, nellapronunciata curva labiale, nella struttura pos-sente del collo e nella mascella ben delineata. I personaggi nelle lunette e i putti, mostranouna mano nettamente diversa dal resto delladecorazione. Le fonti documentarie di metàSeicento tramandano il nome di un artista com-patibile con questa impresa, quello di OttavioMazzienti,21 che nel 1661 risulta ricevere tren-ta scudi per un lavoro di pittura nella sacrestia. Una delle lunette con putti, quella posta al centrodella parete d’ingresso è dipinta su tela.22 Dueputti reggono lo stemma della Congregazione deiCanonici Regolari del SS. Salvatore Lateranense,fondata nel 1823. In origine la lunetta presentavaall’incirca lo stesso soggetto dove tuttavia laCongregazione doveva essere quella Renana. Riassumendo: quando nel 1523 il CardinaleAlberto di Brandeburgo e i Canonici RegolariRenani decisero di realizzare la “stanza delle

catene” nella sacrestia, questo ambiente già datempo faceva parte del primo nucleo del con-vento dei Canonici. Il progetto del cardinale prevedeva una riccadecorazione pittorica sulle pareti e sul soffitto, incui dovevano essere incluse storie petrine e rife-rimenti al travagliato periodo della Chiesa diRoma messa in discussione dalla Riforma prote-stante, e del resto il cardinale era stato uno tra ipiù eminenti difensori della Curia romana.Forse saranno stati i Canonici a suggerire alcardinale il nome di Polidoro Caldara per larealizzazione degli affreschi; Polidoro era unavecchia conoscenza dei Canonici, come sap-piamo da Giorgio Vasari; qualche anno primainfatti aveva lavorato con il suo socio Maturi-no alle pitture su quella facciata del PalazzoLateranense e su quella della basilica.23

Tuttavia Polidoro nel 1523 è assente da Roma;rientrerà nell’Urbe soltanto per l’elezione delnuovo papa, Clemente VII, che esigerà dai pit-tori della “bottega” di Raffaello il completa-mento della decorazione della Sala di Costan-tino nei Palazzi Apostolici. Il Caldara dovrà farfronte, inoltre, alle molte commissioni, tra cuianche quella ricevuta dai Canonici di S. Pietroin Vincoli. In questa circostanza gli si affiancaVincenzo Tamagni, suo amico, interessato arientrare a Roma per prender parte a importan-ti lavori. Aveva infatti già fatto parte della bot-tega di Raffaello in Vaticano e, a seguito dellamorte del maestro, era tornato a lavorare inprovincia. Probabilmente Polidoro poteva essere rimastoin contatto con il Tamagni tramite scambi epi-stolari che lo informavano degli incarichiaffrontati dall’amico; non si esclude pertantoche lo stesso Polidoro abbia convinto il Tama-gni a tornare nell’Urbe dove si sarebbe potutogiovare di prestigiose nuove commissioni.Li ritroviamo entrambi insieme a Villa Lante24

e a S. Pietro in Vincoli, affiancati dal fedeleMaturino.Si può ipotizzare che la suddivisione dei lavorisia stata la seguente: a Polidoro, cui si deve ilprogetto d’insieme, vanno assegnati i monocro-mi sulle pareti, mentre al Tamagni è da attribui-

1 Restaurata nel 2005 dalla Soprintendenza per iBeni Ambientali e Architettonici di Roma.2 Francesco della Rovere, futuro papa Sisto IV, rice-ve il titolo di S. Pietro in Vincoli nel 1467, e subito siattiva per iniziare i restauri che occorrono alla chiesa,lavori che saranno finanziati con i lasciti del cardina-le Cusano, titolare di S. Pietro in Vincoli dal 1449 al1464, e con i sussidi concessigli da papa Paolo II.L’interesse del Cardinale Francesco della Rovere perla basilica continuerà anche quando, divenuto papanel 1471, ne assegnerà il titolo al nipote Giuliano, ilfuturo Giulio II. Tra il 1474 e il 1481 il Cardinale Giu-liano commissiona gli interventi nella basilica cheriguardano: il rifacimento del tetto, che rimane a vistanella navata centrale; la copertura con volte a crocie-ra del transetto e delle navate laterali; la realizzazionedi due absidiole nel transetto, che viene rinforzato neimuri perimetrali, e delle portelle bronzee per la custo-dia delle catene; infine, probabilmente, viene appron-tata una nuova pavimentazione in chiesa, di cui rima-ne un esempio nella zona sopraccitata alle spalle delMonumento a Giulio II. Gli interventi sistini e quellidi Giuliano a S. Pietro in Vincoli sono stati oggettodello studio di Fabio Benzi in: Sisto IV RenovatorUrbis. Architettura a Roma 1471-1484, Roma 1990.3 La porta a due ante è divisa in quattro scomparti,due per anta, con i rilievi raffiguranti in alto a sinistraSan Pietro e l’angelo e in alto a destra Sant’Agnese,mentre entrambi i rilievi sottostanti raffigurano lostemma del donatore dell’opera; sopra e sotto i basso-rilievi lignei sono quattro piccoli scomparti rettango-

lari recanti delle lettere incise; queste sono abbrevia-zioni della seguente iscrizione: DIVIS APOSTOLOPETRO CATENATO / AGNETI VIRGINI ET MARTY-RI / CANONICI REGVLARES DICARVNT. Lo studiodi A. Paolucci, Di una porta lignea scolpita nellasagrestia di San Pietro in Vincoli in Roma, Roma, X,1932, pp. 25-32, ha permesso, oltre a sciogliere l’e-nigma di queste lettere ricoperte da un pesante stratodi vernice, soprattutto di identificare lo stemma ripor-tato sulla porta, dando così la possibilità di dare unnome a colui che diede la commessa: e cioè il cardi-nale Alessandro Cesarini senjore.4 Galeotto Franciotti della Rovere, figlio di Lucchi-netta, sorella di Giulio II, e di Giovan Francesco Fran-ciotti, era il nipote prediletto del papa che lo creò car-dinale in giovanissima età. Il Franciotti (o Franciotto)era un personaggio molto apprezzato; fu Vicecancel-liere, nonché legato in Bologna. G. Moroni, Diziona-rio di erudizione storico-ecclesistica, Venezia 1840-1879, vol. XXVII, p. 145; L. Von Pastor, Storia deiPapi, Roma 1960, vol. III, p. 673.5 Riguardo l’ornamentazione musiva posta a cornicedei pannelli marmorei, le fonti ci tramandano il nomedi Bernardino Zacchetti (1472-1525 ca.), assistentereggiano di Michelangelo alla Sistina, come possibileautore di questi mosaici. La notizia è riportata dal-l’Azzari nel Compendio dell’Historie della città diReggio del capitano Fulvio Azzari, raccolta da Otta-vio suo fratello…, Reggio Emilia 1623 e dal Tirabo-schi nel volume, Notizie de’ pittori, scultori, incisori earchitetti nati negli stati del serenissimo Duca di

Note:

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re l’ovale del soffitto e forse, assieme a Maturi-no in collaborazione col Caldara, anche le quat-tro scene con episodi della vita di san Pietro;infine le grottesche furono presumibilmente rea-lizzate dai tre artisti contemporaneamente. Per quanto riguarda le lunette – i cui soggettiprobabilmente non corrispondono agli attuali – itre pittori certamente decisero di dividersi l’in-carico, ma soltanto una, raffigurante la Vergine eil Bambino, venne effettivamente eseguita.Il lavoro non dovette procedere speditamente,poiché gli artisti erano nello stesso tempo atti-vi in altri cantieri più remunerativi, come adesempio la Villa di Baldassarre Turini.All’alba del 6 maggio 1527 le truppe imperialidiedero l’assalto all’Urbe. Polidoro e Tamagnierano già partiti da Roma. La città è devastata e i

Canonici furono costretti a sospendere l’impresa. Ma il progetto non sarà abbandonato; infatti,intorno alla seconda metà del XVII secolo, ilavori ripresero e intanto l’ambiente destinatoalle reliquie aveva già assunto la funzione divera e propria sacrestia. Per ultimare le decora-zioni nella stanza e nell’annessa cappella, iCanonici si affidarono a pittori poco noti. Ilavori proseguiranno molto lentamente finoalla seconda metà del XIX secolo, cioè fino aquando le “catene” del santo, qui collocate nel1662 nel muro di fronte l‘ingresso e protetto daun’inferriata trovarono nuova sistemazione nel1704 in un’apposita teca delle reliquie incorni-ciata con diaspro rosso di Sicilia, attualmentein loco. Da ultimo, le reliquie del santo ritor-narono sull’altare maggiore della chiesa.25

Modena, Modena 1786, p. 357; infatti, dalla biblio-grafia su Bernardino Zacchetti nulla di nuovo emergecirca il suo intervento a S. Pietro in Vincoli; secondoquanto sappiamo lo Zacchettti insieme al concittadinoGiovanni Trignoli (1475-1522), si trovava a Roma nel1510 attivo nel cantiere della cappella Sistina, attivitàdocumentata da una lettera del 28 settembre di quel-l’anno di Giovanni Michi a Michelangelo, che si tro-vava in quel periodo di passaggio a Firenze sulla stradaper Bologna dove avrebbe incontrato papa Giulio II. Aquesto punto, secondo l’Azzari, Bernardino avrebbeeseguito «nella sagrestia di S. Pietro in Vincoli un fre-gio a mosaico […]». A quale fregio si riferisce l’Az-zari? Forse le fascette di mosaico di uno dei pannellimarmorei? O qualche altra opera non più presente inloco? Delle quatto cornici musive, cinque se includia-mo quella del dossale della cappella, soltanto una pre-senta un diverso disegno: mi riferisco alla cornice delpannello della parete di sinistra. Mettendo a confron-to, per esempio, questo con il pannello della pareteopposta, nel primo la cornice di mosaico presenta undisegno completamente diverso dall’altro; inoltre letessere musive, forse perché cadute o perché mancan-ti, sono state sostituite da inserti marmorei policromi.Forse questo pannello è il primo realizzato, primaancora del 1523, e probabilmente ultimato in seguitocon l’aggiunta di tarsie marmoree. Forse BernardinoZacchetti ebbe già all’epoca – cioè tra il 1510 e il1514, data in cui le fonti lo registrano a Reggio Emi-lia, il compito di realizzare le cornici di mosaico per ipannelli da allora già sulle pareti. C’è incertezza circauna seconda permanenza di Bernardino Zacchetti aRoma in occasione della morte del collega e amicoGiovanni Trignoli, morto nell’Urbe nel 1522, giunto-vi per reclamare alcuni beni che l’amico gli avevalasciato in eredità.6 La data riportata (1523) indica la data di inizio deilavori di sistemazione di questo locale della basilica,come rimarcato dal termine «condita», e non, credo,termine ultimo dei lavori.7 G. Bartolozzi Casti, G. Zandri, San Pietro in Vin-coli, Le chiese di Roma Illustrate, Roma 1999, p. 224. 8 Quando nel 1489 Innocenzo VIII decide di allonta-nare dalla basilica Eudossiana i frati di S. Ambrogio adNemus, è per istituirvi il monastero dei CanoniciRegolari del S. Salvatore, unitamente a S. Agnese fuo-ri le mura, intendendo così assicurare una assidua cele-brazione degli uffici religiosi e una cura costante delcomplesso monumentale. All’inizio del Quattrocentodata la fondazione in Italia di due congregazioni diCanonici Regolari: la Congregazione dei CanoniciRegolari di S. Maria di Frigionaia, conosciuti anchecome Canonici Regolari Lateranensi, e quella deiCanonici Regolari di S. Maria in Reno e S. Salvatore,

detti anche Renani. Sull’argomento si veda: G. Moro-ni, Dizionario di erudizione storico-ecclesistica, Vene-zia 1840-1879, vol. VII, voce Canonici Regolari Late-ranensi, pp. 253-257; D. N. Widloecher, La Congre-gazione dei Canonici Regolari Lateranensi. Periodo diformazione (1402-1483), Gubbio 1929; A. D. Tani, Gliordini religiosi a Roma, a cura di A. Lipinsky, Roma1931, pp. 19-20; D. P. Guglielmi, I Canonici RegolariLateranensi. La vita comune nel clero, Vercelli 1992.9 Il potente cardinale Alberto di Brandeburgo (1490-1545), da non confondere con Alberto di Brandebur-go-Ansbach (1490-1568) ovvero colui che introdusseil protestantesimo in Prussia, era uomo di raffinatacultura e protettore di artisti e letterati; tra il 1513 e il1514 possedeva in Germania tre vescovadi: Magde-burgo, Magonza e Halberstadt. Egli fu “complice” delpapa nell’estinzione di un debito che la Santa Sedeaveva nei confronti dei banchieri Fugger, debito chefu riscattato con la vendita delle indulgenze bandite,per un periodo di otto anni, nei territori citati percostruire la nuova basilica di S. Pietro a Roma. Il rica-vato sarebbe andato metà ad Alberto e metà al ponte-fice. Su questo sfondo si inserisce la figura di MartinLutero che il 31 ottobre del 1517 affigge sulle portedella chiesa del castello di Wittenberg le «Novanta-cinque tesi», genesi del movimento protestante. 10 Questa attribuzione è stata resa nota al ProfessorAlessandro Zuccari, relatore della tesi di laurea dallaquale è tratto il seguente articolo. La bibliografia sulpittore di Caravaggio è molto vasta e comprende operemonografiche e studi specializzati; si segnalano in par-ticolare: G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori,scultori e architetti, Firenze ed. 1550 e 1568; A. Mara-bottini, Polidoro da Caravaggio, Roma 1969; PolidoroCaldara da Caravaggio, a cura di L. Ravelli, Bergamo1978; A. Gnann, Polidoro da Caravaggio (1499-1543);die romischen Innendekorationen, Munchen 1997; P.Leone De Castris, Polidoro da Caravaggio, Napoli2001; M. Marini, Polidoro Caldara da Caravaggio.L’invidia e la fortuna, Venezia 2005.11 A. Gnann, cit., 1997, pp. 46-58. Lo studioso attri-buisce al Caldara le pitture sopraccitate, opinione conla quale concordo.12 De Castris, cit., 2001, p. 173. Secondo lo studiosoPolidoro fu attivo a Napoli dall’estate 1522 a quelladel 1523, nonostante la notizia della sua presenza aNapoli nel marzo 1524 così come riporta la letteradell’umanista Pietro Summonte al suo corrispondenteveneziano Marcantonio Michiel. Il nostro tornerà aRoma alla fine del 1523, ossia dopo la morte di papaAdriano VI (14 settembre 1523) e l’elezione di Cle-mente VII Medici (19 novembre 1523). Il rientro incittà di Polidoro è caratterizzato dal suo interventonella Sala di Costantino, la cui decorazione si era

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interrotta al 1521, alle storie monocrome di Costanti-no nel basamento della sala. 13 S. Macioce, In margine all’attività di Polidoro, pitto-re di facciate, in Baldassarre Peruzzi, pittura scena earchitettura nel Cinquecento, Roma 1987, pp. 647-668.14 L’attribuzione al Tamagni del San Pietro e l’angelonell’ovale del soffitto nella sacrestia di S. Pietro in Vin-coli mi è stata indirettamente confermata da AndreinaDraghi, Raffaele Maria Viola e Stefano Tumidei.15 L’abate Filippo Titi nel suo Ammaestramento utilee curioso (1686), riferendosi probabilmente alla pittu-ra citata e alle quattro scene ai lati del perimetro delsoffitto le dice opera di Paris Nogari. A questa attribu-zione danno credito il Panciroli, il Posterla e il Cec-coni nella loro Roma sacra e moderna (1725). IlBaglione, però, trattando del Nogari nelle sue Vite(1642, rist. anast. 1995, pp. 87-89) non riporta notiziadi alcun intervento di questi a S. Pietro in Vincoli.Tiziana Litteri nella sua tesi di laurea su Paris Nogariinclude proprio la pittura sopraccitata nel corpus del-le opere dello stesso, basandosi, erroneamente, sullanotizia riportata dal Titi. Si veda: T. Litteri, ParisNogari, pittore manierista romano, Storia dell’Arte,n. 99, a. XXXII, maggio-agosto 2000, pp. 23-54. 16 Ad Arrone Vincenzo Tamagni lavorò nel 1516 incoppia con Giovanni da Spoleto, da non identificarsicon il Giovanni Brunotti ricordato da U. Gnoli (Pittorie miniatori nell’Umbria, Spoleto 1923, pp. 151-152),mediocre collaboratore dello Spagna, indicazione que-sta che è stata accolta nelle citazioni successive riguar-dante gli affreschi di Arrone, finché la Sapori nel suoarticolo Rinascimento tra centro e periferia: il “pittoredi Francesco Eroli”, Paragone, XXXI, 1980, pp. 3-20,non ha restituito a Giovanni da Spoleto il suo ruolo nelcantiere di Arrone. Ancora difficile risulta l’identifica-zione delle parti realizzate da ciascuno dei due artisti;sicuramente, però, è da appoggiare l’ipotesi di Giovan-na Sapori di un maggior intervento del Tamagni, rispet-to a quanto sostenuto dalla Sricchia Santoro nel suo stu-dio su Giovanni da Spoleto pubblicato su Prospettiva(1988-1989), in cui faceva ricadere la maggior respon-sabilità del lavoro di Arrone sul pittore spoletino. Siveda, dunque: F. Sricchia Santoro, Per Giovanni daSpoleto, Prospettiva, 53-56, 1988-1989, pp. 344-352;G. Sapori, scheda degli affreschi di Vincenzo Tamagnie Giovanni da Spoleto nella chiesa di S. Maria Assuntain Arrone, in M. Romano (a cura di), Arte e territorio.Interventi di restauro, Terni 2003, pp. 45-55.17 La Dacos data questa tavola al periodo di Arrone(1516) o giù di lì, sicuramente non più tardi del 1520.Si veda: N. Dacos, Vincenzo Tamagni a Roma, Pro-spettiva, n. 7, 1976, pp. 46-51.18 Sull’argomento si veda: G. Vasari, Le Vite de’ piùeccellenti pittori, scultori e architetti, con annotazio-

ni e commenti di Gaetano Milanesi, Firenze 1878-1885, vol. IV, pp. 489-492, 501, 503-506; N. Dacos,Le logge di Raffaello. Maestro e bottega di fronteall’antico, Roma II ed. 1986, pp. 30, 85, 86, 88, 89,102, 106-108, 114, n. 113, n. 320-322, 149, 155, 156,186, 187, 199-201, 204, 206.19 Si può altresì notare il forte legame tra le quattrostorie petrine del soffitto della sacrestia e le pitture delregistro mediano della Cappella degli Svizzeri nellachiesa di S. Maria della Pietà al Camposanto Teutoni-co. Problemi di conservazione hanno interessato l’in-tero ciclo della Passione, la cui commissione arrivò aPerino, che vi iniziò a lavorare con Polidoro e Matu-rino non prima del gennaio 1522. Cronologicamente,dunque, il ciclo suddetto è da ascrivere al periodo pre-cedente la prima partenza di Polidoro per Napoli, cioèa prima dell’estate del 1522. Senza entrare troppo inargomento, per questo rimando a quanto esposto in DeCastris, cit., 2001, pp. 78-97 e nella bibliografia pre-cedente ivi riportata, c’è da sottolineare che negliaffreschi meglio preservati, come nel Cristo davanti aPilato e nel Cristo nell’orto, dove risulta evidente lamano del Caldara, si colgono stringenti analogie conle pitture del soffitto della nostra sacrestia. La resameno curata delle storie di S. Pietro in Vincoli nonstridono con le pitture sopracitate, anzi spingono atrovare in esse un precedente importante per le nostre. 20 L. Ravelli, Polidoro a San Silvestro al Quirinale, Ber-gamo 1987, p. 39. L’autore data la decorazione della cap-pella di Frà Mariano a S. Silvestro fra il 1526 e il 1527.21 ASPV, A955, Notae historicae (mss. sec. fine XVI-II sec.- inizio XIX), f. 82v: «Per dati ad Ottavio Maz-zienti ad uno conto di Pittura fatta in Sagrestia[...]S[cudi]. 6,00…».22 Luigi Lotti nel breve saggio del 1972 sulla basilicadi S. Pietro in Vincoli, descrivendo le pitture dellasacrestia cita tra queste «lo stemma (ora scomparso) deiCanonici Regolari»: sicuro riferimento a questa lunetta,in quanto in nessun’altra parte del locale poteva esserecollocato lo stemma della congregazione se non,appunto, in una lunetta. Quello che vediamo oggi è undipinto su una tela di cui un primo esame ha conferma-to l’ipotesi di una realizzazione della pittura in questio-ne al più tardi ai primi anni Ottanta del XX secolo.23 Al Cardinale Leonardo Grosso della Rovere, titola-re dal 1517 al 1521, si deve oltre alla sistemazione delpozzo al centro del chiostro, la costruzione del palaz-zo dei cardinali titolari, lungo il lato nord della basili-ca. Il nuovo palazzo presentava sulla facciata unadecorazione a riquadri dipinti tra il primo e il secondopiano e una fascia continua a festoni tra il secondopiano e la loggia superiore. Giorgio Vasari attribuivaqueste pitture a Polidoro da Caravaggio e MaturinoFiorentino, come anche quelle raffiguranti “Storie di

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san Pietro” e figure di profeti sulla facciata della basi-lica. I due pittori iniziarono a dedicarsi alle facciatedipinte tra il 1519 e il 1520, in un periodo in cui ilpalazzo dei cardinali di S. Pietro in Vincoli stava peressere ultimato. È presumibile pensare che Polidoro eMaturino siano stati chiamati dal cardinale dellaRovere per decorare le due facciate, come la modastava imponendo a partire da questo periodo, appenaterminata la costruzione del palazzo. Si veda a propo-sito: R. Kultzen, Die Malerein Polidoros an der Fas-sade von San Pietro in Vincoli, Festschrift UlrichMiddeldorf, Berlino 1968, vol. I, pp. 263-268. 24 Sull’argomento si veda: N. Dacos, Vincenzo Tama-gni a Roma, Prospettiva, n. 7, 1976, pp. 46-51; L.Henrik, Villa Lante al Gianicolo. L’architettura e ladecorazione pittorica, Institutum Romanum Finlan-diae, Roma 1981, pp. 265, 292, 356, 361; N. Dacos,Ni Polidoro, ni Peruzzi: Maturino, Revue de l’Art, 57,1982, pp. 9-28; C. Conforti, Architettura e culto dellamemoria: la committenza di Baldassarre Turini data-rio di Leone X, in Baldassarre Peruzzi, Roma 1987,pp. 603-628; F. Sricchia Santoro, Villa Lante. Ladecorazione del Salone. Problemi di attribuzione, inIaniculum Granicolo, a cura di E. M. Steinby, Roma1996, pp. 225-236; A. Gnann, Zur beteiligun des Poli-doro da Caravaggio an der Ausmalung des Salone derVilla Lante, in Ianiculum Granicolo, cit., pp. 237-259. 25 Nel 1876 l’Arciconfraternita delle Ss. Catene avevaproposto l’idea di creare un nuovo altare maggiore uni-

to a una Confessione e a un baldacchino per riportarein basilica i sacri vincoli (che erano ancora conservatiin un reliquiario nella sacrestia). Il papa e l’Arcicon-fraternita scelgono il progetto di Virginio Vespignani; ilavori, che si protrassero dal 1876 al 1877, portaronoal rinvenimento di un sarcofago risalente al IV secolo,contenente le reliquie dei Maccabei. Questa scopertafece modificare il progetto, in quanto venne creata unacripta per contenerlo. Le catene prima di essere tras-portate in sacrestia e poi di nuovo in chiesa, però, era-no state conservate per un certo periodo nel nuovoaltare maggiore fatto ricostruire dal padre Paolo Maf-fioli (o Mattioli?) nel 1631, e prima ancora in un alta-re posto nella testata sinistra del transetto. Qui l’Altaredelle Catene, infatti, era stato costruito per volontà delCardinale Nicola Cusano e grazie al lascito che il car-dinale aveva disposto per testamento. Si trovava sottol’organo in una nicchia che, al momento dello smem-bramento dell’altare avvenuto nel 1704, è stata lascia-ta vuota; nel pavimento, davanti l’altare, era la sepol-tura del Cusano, la cui lastra tombale è stata trasferitasulla parete in fondo alla navata sinistra, insieme alpannello, attribuito ad Andrea Bregno, raffigurante S.Pietro tra il Cardinale Cusano e l’Angelo, lo stemmacardinalizio e l’iscrizione che, posta sull’altare, indica-va la sepoltura del cardinale di Cusa. A riguardo siveda il seguente articolo: G. Zandri, Sull’altare delleSacre Catene e sulla tomba di Nicola Cusano, StudiRomani, 2000, 48, nn. 1-2, pp. 118-125

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Compendio

Nella sacrestia di S. Pietro in Vincoli, ambiente decorato da grottesche, fregi ed affreschi, l’autrice propone diindividuare varie mani: Polidoro da Caravaggio (1495-1543) nei bellissimi fregi monocromi su fondo dorato;Polidoro e Vincenzo Tamagni e altri, nella rimanente decorazione della sacrestia. L’autrice consolida l’attribuzio-ne a Polidoro mediante il confronto con gli affreschi dello stesso autore nella Sala di Alessandro e Rossane nellaVilla Farnesina. Il ciclo in questione sarebbe stato eseguito tra il 1525 e il 1527. Il committente dell’impresa è ilCardinale Alberto di Brandeburgo titolare di S. Pietro in Vincoli creato da papa Leone X nel 1521.

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FIG. 1 Roma, Basilica di S. Pietro in Vincoli, sacrestia (part.)

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FIG. 2 Polidoro da Caravaggio, Giove eAscalafo, 1519 ca. (part.). Roma, Villa Far-nesina, Stanza di Alessandro e Rossane

FIG. 3 Polidoro da Caravaggio, Ratto diProserpina, ca. 1519. Roma, Villa Far-nesina, Stanza di Alessandro e Rossane

FIG. 4 Polidoro da Caravaggio, Cerere,ca. 1519. Roma, Villa Farnesina, Stanzadi Alessandro e Rossane

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FIG. 7 Polidoro da Caravaggio (attr.), Consegna delle chiavi, 1525-1527. Sacrestia

FIG. 6 Polidoro da Caravaggio (attr.), Lavanda dei piedi, 1525-1527. Sacrestia

FIG. 5 Polidoro da Caravaggio (attr.), Pietro ferisce Malco, servo del gran sacerdote, 1525-1527. Sacrestia

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FIG. 8 Polidoro da Caravaggio e aiuti, Grottesche (part. del soffitto). Sacrestia

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FIG. 9 Polidoro da Caravaggio e aiuti, Grottesche (part. del soffitto). Sacrestia

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FIGG. 13, 14, 15, Polidoro da Caravaggio (attr.),Grottesche. Sacrestia (part.)

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FIG. 16 Polidoro da Caravaggio (attr.), Vergine con ilBambino (part.). SacrestiaFIG. 17 Polidoro da Caravaggio, Maddalena. Roma,chiesa di S. Silvestro al Quirinale

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FIG. 20 V. Tamagni, Adorazionedei pastori, 1516 (part.). Arrone,chiesa di S. Maria

FIG. 19 V. Tamagni (attr.), SanPietro e l’angelo (part.). Sacrestia

FIG. 21 V. Tamagni (attr.), San Pietro e l’angelo (part.). SacrestiaFIG. 22 V. Tamagni, Madonna con Bambino e san Giovannino.Ubicazione ignota

pag. 26FIG. 18 Vincenzo Tamagni (attr.). Sacrestia (soffitto)

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FIG. 23 V. Tamagni (attr.), Vocazione di Pietro, 1525-1527. Sacrestia (soffitto)

FIG. 24 V. Tamagni (attr.), Guarigione dello storpio, 1525-1527. Sacrestia (soffitto)

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FIG. 26 V. Tamagni (attr.), Morte di Anania e Safira, 1525-1527. Sacrestia (soffitto)

FIG. 25 V. Tamagni (attr.), Condanna di san Pietro, 1525-1527. Sacrestia (soffitto)

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FIG. 27 V. Tamagni (attr.),Morte di Anania e Safira,(part.). Sacrestia (soffitto)FIG. 28 V. Tamagni (attr.),Morte di Anania e Safira,(part.). Sacrestia (soffitto)FIG. 29 V. Tamagni, Nativitàdi Maria, 1523. San Gimi-gnano, chiesa di S. AgostinoFIG. 30 V. Tamagni, Consa-crazione di Salomone, 1517-1519. Città del Vaticano,Loggia di Leone X, palazziVaticani (Archivio Fotogra-fico Musei Vaticani)