Messina nei mille anni del Medioevo (in "Gli occhi dello storico", 2011)

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COLLANA DI TESTI E STUDI STORICI «MARENOSTRUM. POLITICA, ECONOMIA, SOCIETÀ E CULTURA» Diretta da Luciano Catalioto 4 1

Transcript of Messina nei mille anni del Medioevo (in "Gli occhi dello storico", 2011)

COLLANA DI TESTI E STUDI STORICI«MARE NOSTRUM. POLITICA, ECONOMIA, SOCIETÀ E CULTURA»

Diretta da Luciano Catalioto4

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LUCIANO CATALIOTO – ELISA COSTA – FERDINANDO ZAMBLERA

«GLI OCCHI DELLO STORICO»STRUTTURE E TEMI

DEL MEDITERRANEO MEDIEVALE

A cura diLUCIANO CATALIOTO

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In copertina: Veduta di Messina (Min. anon. del XVI sec. dal Rhegina di AngeloCallimaco, Roma, Bibl. Naz.)

Retro di copertina: «Calendario Catalano» (dall’Atlante Catalano di Abrahame Jehuda Cresques, 1375)

Revisione testi, impaginazione e copertinaa cura dello Staff della Leonida Edizioni.

Proprietà letteraria riservata.© Casa Editrice “Leonida”

Reggio Calabria – ItaliaStampato in Italia nel mese di maggio 2011Via S. Nicola Strozzi n. 47 – 89135 Reggio Calabriawww.editrice-leonida.come-mail: [email protected]

ISBN: 978-88-95880-74-7

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PREFAZIONE

Il titolo del presente volume, affatto casuale, evoca evidentementela visione che della storia si ebbe nella convulsa temperie culturale delCinquecento, per l’intuito di grandi pensatori come il cartografoAbrahamOrtelius ed il filosofo-giurista Jean Bodin, secondo la qualel’avvicendamento degli eventi e la loro corretta collocazione nellospazio avrebbero dovuto costituire l’irrinunciabile prospettiva bifocaleper ogni ricerca storiografica, gli occhi dello storico, appunto. La Cro-nologia e la Geografia, fondamentali ausili della Storia per generazionidi storici e genealogisti, risulterebbero tuttavia prive di prospettive sto-riografiche laddove non fossero disciplinate dal metodo, al pari di tuttigli altri settori del sapere che da secoli ormai dialogano, proficuamentee con pari dignità, con la storia istituzionale e politica.

In questo testo sono raccolti, per autore e secondo un criterio cro-nologico, sette studi dedicati ad altrettanti temi, già oggetto di ricercaper chi scrive, che nel recente panorama storiografico hanno alimen-tato vivaci dibattiti e sollecitato nuovi approfondimenti. Un comunereferente può essere agevolmente individuato in quel “lago mediter-raneo” che la nouvelle histoire non ha esitato a definire struttura lon-geva e persistente, in grado di comprendere ed intrecciare fatti politicie flussi economici, fenomeni demici ed espressioni della cultura. Senel Mediterraneo è possibile collocare l’epicentro delle singole tema-tiche affrontate, sempre nel condiviso ossequio alle fonti documentariee cronistiche, più arduo risulta trovare identità nell’approccio criticoe nella scelta stilistica, necessariamente personali e, per certi versi, di-stintivi. Sono dissonanze apparenti, tuttavia, giacché sul piano formalenon snaturano l’essenza del saggio e perché rispondono ad implicitiintenti didattici, proponendo differenti scelte metodologiche perl’analisi delle singole strutture e nella lettura delle testimonianze.

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Nel saggio Messina nei mille anni del Medioevo, con cui si aprela miscellanea, le vicende del centro dello Stretto si snodano lungo isecoli che la tradizionale periodizzazione assegna all’arco medievale,dalla caduta dell’impero romano d’Occidente alla fine del Quattro-cento. Una prospettiva di lunga durata, pertanto, che nelle intenzioniè scevra da preconcette cesure o sintesi improprie, ma che inevitabil-mente tiene conto di tratti peculiari, che i diversi dominatori dell’isolahanno impresso tanto nelle logiche politiche quanto nel sostrato so-ciale e negli schemi mentali. Quell’humus culturale di antica sedimen-tazione, fortemente permeato di forme classiche e sperimentazioni re-ligiose, venne nei secoli rivitalizzato ed arricchito da innesti di culturediverse, che la fluidità demica del territorio peloritano consentì di re-gistrare con particolare continuità, sebbene raramente appaiano suf-ficientemente documentate. Per l’età barbarica (476-535) si può ipo-tizzare un periodo di stasi, con il ristagno delle attività economicheed una forte recessione demica, una fase oscura che la rarefazionedelle testimonianze non aiuta a chiarire. Ma non meno occasionali eframmentarie sono pure le fonti documentarie e gli avanzi che si pos-sono registrare in riferimento al periodo bizantino (535-843) edall’età degli emiri (843-1060), se si escludono alcuni resoconti d’Ol-tremare e vari passi di cronache musulmane, perlopiù trasposti dallanostra appassionata letteratura storica di fine Ottocento. La vicendapropriamente medievale di Messina, in un certo senso, ha inizio conl’arrivo degli Altavilla (1061), giacché solo con il progressivo inqua-dramento entro gli schemi della società feudale e della Chiesa romanala Sicilia sarebbe rientrata nell’alveo politico e culturale dell’Europacattolica. Le vicende si articolano nella successiva età sveva (1194-1266) e durante la breve parentesi angioina (1266-1282), dove com-plesse dinamiche sociali produssero a Messina il consolidamentodel ceto mediano e generarono particolari fenomeni di osmosi cultu-rale. E infine lungo i due secoli del dominio aragonese (1282-1479),quando all’immagine di una città florida sotto il profilo urbanisticoe demico corrispose, ai vertici amministrativi ed economici, il progres-sivo consolidamento del cosiddetto patriziato urbano ed un com-plessivo processo di rafforzamento strutturale della società messinese.

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Tratti distintivi – ovvero costanti “non logorate dal tempo” – dell’ar-ticolata vicenda medievale di Messina appaiono quindi alcune strut-ture di lunga durata, riconducibili ad esempio alla posizione geogra-fica della città ed alla particolare conformazione fisica del suo porto.Ma anche il serrato nesso commerciale e demico con le prospicientiterre calabresi, che avrebbe favorito, nell’area dello Stretto, la crescitadi un’economia integrata e la lenta evoluzione di ceti sociali e com-pagini urbane, si mostra una chiave di lettura feconda per meglio com-prendere la civitas medievale.

L’articolo relativo all’età degli Altavilla (1061-1194) affronta, insenso lato, il tema della religione nell’evoluzione culturale europeae, nello specifico, l’incontro/scontro nel territorio del Valdemone trala cultura greca e quella latina, dove quest’ultima si innesta su un per-sistente sostrato bizantino, rinvigorito dalla rinascita dell’ellenismoe dall’orientamento scientifico che la vita di corte mantenne vivo pertutta l’età normanna. Venne inizialmente attuata, in sostanza, la sal-vaguardia di un importante settore culturale che, peraltro, avrebbecontribuito ad affidare gran parte del patrimonio classico all’Umane-simo, tuttavia l’identità di vedute tra il Granconte ed il papa dellaprima crociata e la sempre più cospicua immissione nell’isola di ele-menti latino-cattolici avrebbero prodotto nel medio termine l’inevi-tabile tracollo della cultura e della stessa etnia greca.

Durante la prima età normanna, e quindi nelle delicate fasi dellaconquista dell’isola condotta da Ruggero I nella Sicilia orientale, sicolloca cronologicamente lo scritto dedicato all’immagine del potereed alla propaganda anti-musulmana che avrebbe condizionato l’im-maginario collettivo ed eretto nuove strutture mentali e culturali. Ladiffusione di clichés letterari attraverso la cronistica di ambiente mo-nastico e la produzione documentaria di diverse sedi episcopali ed ab-baziali, favorì la tradizione di modelli ideologici destinati a condizio-nare la mentalità e la cultura popolare dell’isola, ma anche ad offrirenuovi esiti linguistici nel passaggio dal mediolatino al volgare sici-liano. Acquista in questo senso risalto, soprattutto, la cronaca dal be-nedettino Goffredo Malaterra, dove temi religiosi ed ecclesiologici silegano alla politica con una sorprendente flessibilità di modelli, vei-

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colando la cultura ufficiale nelle forme più esaltanti e recepibili dellanarrazione delle res gestae.

Se le fonti narrative sono state tenute in massimo conto nellastesura degli studi prima citati, quelle documentarie hanno costituitostrumento privilegiato per l’indagine che Elisa Costa dedica alla vi-cenda degli Ordini monastico-cavallereschi nel Regnum Siciliae dallametà del Duecento agli anni del Vespro, un trentennio emblematico perla storia complessiva dei Cavalieri del Tempio. Dopo aver accumulatoun ingente patrimonio fondiario sotto gli Altavilla ed avere, in seguito,subito un drastico ridimensionamento per azione di Federico II, iTemplari, infatti, beneficiarono di un clima di pacificazione che, av-viato negli anni di Manfredi e favorito sotto il dominio di Carlo d’An-giò, venne mantenuto in vita anche dai primi aragonesi. L’analisi nelbreve periodo, soprattutto, ha consentito di tracciare uno spaccato dellasocietà siciliana del XIII secolo, lasciando emergere eventi ed attori dalfitto sfondo di intrecci politici e grandi trasformazioni culturali.

Nell’intervento con cui Elisa Costa tratta la diffusione e le conse-guenze della Peste Nera a Messina, vengono seguite le tappe fonda-mentali del percorso compiuto dalla “malvasia epithimia”, iniziatonella penisola di Crimea nel 1343 circa e diffuso rapidamente in tuttaEuropa, seguendo le rotte commerciali dei mercanti genovesi, che nel-l’autunno del 1347 approdarono a Messina. Incidendo profondamentesu strutture demografiche, politico-sociali, religiose e culturali dellavita cittadina, la peste fu fattore di dissoluzione dei rapporti sociali efamiliari, come rileva la cronaca di Michele da Piazza. Ma allo stessotempo, secondo Stephan Epstein, la destrutturazione delle gerarchieed il ricambio ai vertici del potere avrebbero innescato nell’isola unaproficua fase di specializzazione produttiva e di integrazione commer-ciale e manifatturiera. Infine, non sono trascurati gli esiti dellamortenera sul piano culturale e nell’immaginario collettivo, attraversoun’attenta lettura che introduce il tema iconografico del Trionfo dellamorte e quello, più tardo, della danza macabra.

Ferdinando Zamblera, nell’articolo sulla gelsicoltura siciliana traXII e XVI secolo, attraverso una duplice indagine condotta sulla gel-sicoltura e sulla bachicoltura nel Mezzogiorno d’Italia, documenta le– IV –

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fasi dell’introduzione e della produzione serica nella Sicilia medie-vale, chiarendo un tema per certi versi trascurato dalla storiografia del-l’ultimo trentennio. La coltura del gelso comparve al tempo della do-minazione islamica in Sicilia e alla fine dell’XI secolo si diffuse nelterritorio peloritano, dove la presenza di telai attesta una fiorente in-dustria tessile e l’esistenza di rapporti commerciali che legavano al-l’isola impero bizantino, thema di Calabria e Spagna almoravide.Come segnala l’Autore, l’impulso più consistente alla gelsicolturavenne impresso dai Normanni che, estendendo la pratica all’interoValdemone, posero le basi della successiva espansione registrata in etàmoderna. Infatti, dopo una fase di regresso tra Due e Trecento, che in-teressò soprattutto la Sicilia occidentale, dalla metà del XV secolo efino allo scorcio del Seicento Messina si propose come sede privile-giata della produzione serica, contribuendo a quella sorprendentefase di specializzazione economica rilevata da gran parte della storio-grafia francese ed anglosassone (Aymard, Bresc, Abulafia, Epstein)e riferita al settore tessile, indubbiamente «la più importante industriamedievale» (Von Falkenhausen). Ma l’argomento offre anche spuntoper una ricerca che, dall’indagine sul territorio attenta alla strutturaagraria dell’isola, si sposta verso l’analisi del più ampio quadro po-litico e delle articolate connessioni con l’economia e la società, in ununiverso in cui costosi arazzi decoravano chiese e ricche dimore, men-tre «di sete pregiate vestivano sovrani, dame, ricchi mercanti edesponenti di clero e nobiltà».

Nel suo studio dedicato alla battaglia di Lepanto attraverso la“lettura” del monumento di Don Giovanni d’Austria, Zamblera os-serva che «la riflessione storiografica si è impegnata a riconoscere lacrescente importanza delle testimonianze visive ed a valorizzare la tra-dizione iconica quale documento storico». E proprio lo scontro navaledel 7 ottobre 1571 tra la flotta della Lega Santa e quella musulmanadi Mehmet Alì Pascià, evento militare che secondo Braudel ebbe lamassima risonanza nel Mediterraneo del XVI secolo, fu un evento de-stinato ad essere ampiamente evocato attraverso la raffigurazione pit-torica ed il linguaggio iconografico. A partire dall’opera di IgnazioDanti a quella di Paolo Veronese, dai sei arazzi di Lazzaro Calvi e

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PREFAZIONE

Luca Cambiaso conservati a Genova nel Palazzo del Principe Doria,al monumento di Don Giovanni d’Austria, che il Senato di Messinacommissionò – probabilmente a fini politici – ad Andrea Calamech,arricchito peraltro da quattro pannelli le cui iscrizioni sono attribuitea Francesco Maurolico.

Anche quest’ultimo contributo, come i precedenti studi che com-pongono la miscellanea, tratta un aspetto specifico del millenario per-corso del Mezzogiorno d’Italia nell’Età di mezzo. Singole tematiche,che tuttavia si propongono come efficaci strumenti per indagarestrutture più ampie (il centro dello Stretto nel lungo periodo, l’inci-denza del potere politico nell’economia, le fasi evolutive della societàe della cultura) e realizzare quadri d’insieme meglio articolati, ricor-rendo ad osservatori dotati di prospettive poliedriche che dello storicodevono essere gli occhi.

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1 E. PISPISA, Stratificazione sociale e potere politico a Messina nel Medioevo, in ID.,Medioevo meridionale. Studi e ricerche, Messina 1994, p. 378.

2 C.D. GALLO,Gli Annali della città di Messina. Nuova edizione con correzioni, noteed appendici del Sac. A. Vayola, 2 vol., Messina 1877 (1a ed.: 1758), I, p. 17; P. PIERI,La storia di Messina nello sviluppo della sua vita comunale, Messina 1939, p. 5.

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MESSINANEI MILLEANNI DELMEDIOEVO

Tracciare una parabola omogenea e sufficientemente documentatadella vicenda storica di Messina nei mille anni del Medioevo ha dasempre rappresentato un compito particolarmente impegnativo, nonsolo per la perdita materiale di fondamentali testimonianze, come me-glio si vedrà, ma anche per via della difficile lettura di un’ampia let-teratura storica che, almeno sino agli anni Cinquanta del Novecento,risulta permeata da una fuorviante tendenza celebrativa. Una prospet-tiva storiografica municipalistica, alimentata dal confronto tardome-dievale fra Messina e Palermo per il predominio nell’isola, che ha se-dotto anche annalisti e storici acuti come Caio Domenico Gallo ePiero Pieri, il primo «accecato dal suo smisurato orgoglio cittadino»1,l’altro propenso ad accomunare impropriamente Messina alle più po-tenti città marinare che operavano nel Mediterraneo e in Oriente traXII e XIV secolo2. La questione, peraltro, si complica per l’analisi sto-rica dei secoli altomedievali, dal momento che quasi del tutto inesi-stenti sono le fonti utili alla ricostruzione dei quadri politici, demici,e socioeconomici del centro dello Stretto negli anni cosiddetti “bar-barici”, compresi tra la caduta formale dell’Impero d’Occidente nel476 d.C. e la riconquista giustinianea della Sicilia avviata da Belisario

nel 535, epoca di cui sopravvivono anche tracce rare e assai frammen-tarie dell’attività artistica e monumentale3.

Tuttavia, la realtà medievale di Messina è, nel complesso, carat-terizzata da alcuni tratti distintivi che si possono leggere come strut-ture di lunga durata, cioè come concetti e dinamiche che, per usareun’espressione braudeliana, il tempo stenta a logorare e che, pertanto,esercitarono nei secoli di mezzo un’azione costante e determinantenelle vicende politiche, economiche e sociali. La felice posizione geo-grafica e la particolare conformazione fisica del porto, ad esempio; ilcollegamento serrato e quasi sempre ininterrotto con le piazze com-merciali della Calabria costiera e con le sue terre, che produsse la rea-lizzazione nell’area dello Stretto di una sorta di economia integrata;la genesi, infine, e la lenta affermazione di un’élite urbana dotata ditratti distintivi propri, frutto di una gestazione cui non erano stateestranee sollecitazioni esterne e il condizionamento di dinamichesociali particolari, talvolta caotiche. Sicché, da un certo punto divista, la storia medievale di Messina dovrebbe avere inizio il 10 ot-tobre 1060, quando cioè la conquista normanna avrebbe «reinseritol’isola nelmilieu politico e culturale dell’Europa cristiana»4 e nel mo-mento in cui prendeva avvio la costituzione di una società, presto fortedi 20-25.000 componenti, nel cui ambito sarebbe sorta e si sarebbeespressa un’élite sempre più definita e consapevole. Eppure, per me-glio comprendere la complessiva vicenda di un’area di cui per moltiaspetti, siano stati essi di natura economica come di ordine strategico-militare, è risaltata la centralità, occorre risalire indietro nel tempo, purnella desolante rarefazione delle testimonianze.

L’età barbarica (476-535)Informazioni molto generiche su Messina sotto la dominazione

vandalica e gota (476-535) possiamo trarre dal Bellum Gothicum di

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3 B. PACE, Arte e civiltà della Sicilia antica, vol. IV, Roma 1949, passim.4 E. PISPISA, Aspetti della storia di Messina in età normanna, in ID., Medioevo Fri-

dericiano e altri scritti, Messina 1999, p. 221.

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Procopio di Cesarea5, che tuttavia riferisce solo come la città fosseretta da un comes civitatis, il quale, analogamente a quanto avvenivaa Palermo e a Lilibeo, era posto alle dipendenze del comes Syracu-sanae civitatis, che ricopriva anche la funzione di comes provinciaeSiciliae. La funzione del comes civitatis, evidentemente, era stretta-mente collegata alla difesa, dal momento che sin dai tempi di Teodo-rico l’amministrazione finanziaria era gestita da defensores elettidalla popolazione e da curatores di nomina regia, ai quali erano sot-toposti i curiales, incaricati tra l’altro dell’esazione delle imposte.Dalla stessa fonte ricaviamo che la Sicilia, al tempo di Totila, attra-versò un periodo di rinascita economica e sociale dovuto alla relativasmilitarizzazione del territorio e all’incentivazione di nuovi insedia-menti rurali, cui fu conseguente l’incremento delle attività agrarie. Ac-canto ai patrimonia della Chiesa e ai latifundia imperiali, cresce il nu-mero delle massae, territori concessi a conductores che ne curavanola messa a frutto sotto il controllo di actores delegati dal potere cen-trale. Delle massae, avviate in età imperiale e rinvigorite durantequella gotica e poi bizantina, rimane memoria storica nella topono-mastica del territorio di Messina, che all’epoca fu sede di una consi-stente schiera di burocrati regi e ospitò, accanto ai piccoli commer-cianti e artigiani vincolati alla propria condizione, un gruppocollocabile al grado medio della scala sociale cui si attinse per la com-posizione di curiales, vindices e susceptores6.

La desolante lacuna documentaria sulla vicenda di Messina bar-barica e bizantina e la labile sussistenza di testimonianze archeologi-che relative ai circa quattro secoli che vanno dalla caduta dell’Imperoromano d’Occidente allo sbarco arabo dell’8277, non ha mai consen-tito alcuna ricerca di rilievo, come già lamentato un trentennio fa da

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5 PROCOPIO DI CESAREA, Bellum Gothicum, trad. it.: La Guerra gotica, Milano 2005,ad indicem e gli studi di S. LA ROCCA, Le incursioni vandaliche in Sicilia, Girgenti 1917;F. GIUNTA, Genserico e la Sicilia, Palermo 1958.

6 F. GIUNTA, Sicilia barbarica, Vicenza 1962, pp. 47-81.7 A parte un sarcofago di probabile fattura bizantina, conservato presso il Museo re-gionale di Messina insieme ad alcuni frammenti lapidei e marmorei.

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8 A. GUILLOU, La Sicilia bizantina; un rilancio delle ricerche attuali, in «ArchivioStorico Siracusano», n.s. IV (1975-76), pp. 45 sgg.9 P. ORSI,Messana, la necropoli romana di S.Placido, in «Mal», Roma 1916, pp. 81sgg.10 A. IOLI GIGANTE, Messina, Roma-Bari, 1980, pp. 8 sgg.11 MARCO TULLIO CICERONE, Verrine, II, IV, 1-3.12 PLINIO IL VECCHIO, Naturalis Historia, III, 88.13 PROCOPIO DI CESAREA, Bellum Gothicum, cit., I, 8.14 Ivi, VII, 27.

André Guillou8. Le sue sconfortate parole fanno eco ai pesanti giudiziespressi da Michele Amari e, in età a noi più vicina, da studiosi delterritorio e storici dell’arte quali Biagio Pace, Giuseppe Agnello e, conespresso riferimento al centro dello Stretto e alla colpevole indiffe-renza verso probabili reperti d’età bizantina, da Paolo Orsi9.

Negli anni dei cosiddetti “regni latino-germanici”, in definitiva, lastruttura fisica della Città dello Stretto non pare subisse trasformazionisostanziali rispetto alla urbs romana, quando l’abitato intra moenia siestendeva tra i due torrenti principali, il Portalegni e il Boccetta, e avevacome epicentro la zona dell’attuale Duomo10, probabilmente sede dellavita sociale e di prestigiose residenze forse simili alla ricca casa di EiusMamertinus ricordata da Cicerone11 quando Messina era uno dei 68 op-pida civium romanorum e tra le 8 sedi «libere ed immuni»12.

I Bizantini a Messina (535-843)La posizione strategica di Messina, presidio irrinunciabile e base

ideale di raccolta e smistamento delle truppe destinate alla guerra con-dotta da Belisario in terraferma, decretò la sua scelta come principalepresidio militare sin dalle prime fasi della Guerra greco-gotica, quandoil generale bizantino potenziò la guarnigione presente in città e, vero-similmente, anche le fortificazioni murarie13. Lo stratega bizantino sa-rebbe poi tornato a Messina per riorganizzare l’esercito nel 54714, unanno prima dell’ultimo assedio della città ad opera dei Goti, quello con-dotto da Totila, che alla testa di un esercito disorganico non riuscì ad

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avere ragione della difesa della città, organizzata dal comandante bi-zantino Domnenziolo, e si limitò a saccheggiare il territorio peloritanoprima di essere ricacciato definitivamente oltre lo Stretto dalle nuoveschiere di oplites sopraggiunte da Costantinopoli15.

Sebbene la pacificazione e il ritorno nell’alveo della romanitascomportasse per l’isola la costituzione di una nuova stratificazione so-ciale, una notevole autonomia giuridica e un incremento delle attivitàagricole (soprattutto granarie) e commerciali, Messina era destinataa svolgere un ruolo primario di presidio militare fortificato, per viadella propria posizione cruciale a guardia dei due mari e per la con-genita carenza di un adeguato retroterra terriero che favorisse l’im-pianto di strutture produttive e il consolidamento di gruppi mercantiliall’interno della società urbana. Questa, infatti, ancora per qualche se-colo sarebbe stata fortemente plasmata dalla preponderanza entro lemura di militari e burocrati greci che avevano il controllo del portoe, sebbene sia ancora prematuro parlare di classe, sicuramente com-posero una compagine largamente incidente sull’assetto della societàurbana. L’amministrazione politica della Sicilia venne demandataad un pretore, direttamente dipendente dal questore costantinopoli-tano; la gestione finanziaria fu affidata al comes italicae patrimoniiresidente a Costantinopoli; il comando militare venne esercitato da undux che svolgeva anche le funzioni di giudice; nelle maggiori città,tra cui già Plinio aveva contemplato Messina, amministravano lacosa pubblica in maniera non sempre limpida funzionari imperiali dimedio e piccolo spessore16. In ogni caso, la posizione dello scalo mes-sinese, proiettato insieme a quello aretuseo verso l’Oriente e punto ditransito obbligato nelle rotte commerciali che univano le due parti delMediterraneo, favorì sicuramente la sopravvivenza di un’attivitàcommerciale stabile, che assicurava alla società urbana un certo di-namismo economico, demografico e culturale17.

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15 GIUNTA, Sicilia barbarica, cit., pp. 14 sgg.16 A. HOLM, Storia della Sicilia nell’antichità, Torino 1896 (rist. an.: Bologna 1965),pp. 529 sgg.17 Ancora lo storico di Cesarea suggerisce, indirettamente, tale immagine della vita

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Allo scorcio del VI secolo, l’immigrazione monastica basiliana ac-celerata dalla spinta longobarda e il forte impegno profuso da Grego-rio Magno nel recupero dell’isola al Patrimonium Petri, fecero regi-strare per Messina una ripresa del livello socioeconomico, grazie adun’efficiente organizzazione delle attività umane, eminentementeagricole, inquadrate entro gli schemi della burocrazia gregoriana(actores, actionari e defensores cittadini, dipendenti da un rettore in-sediato a Siracusa), ma anche attraverso l’acquisizione e il consoli-damento di una cultura e una sensibilità artistica e religiosa “orientale”di cui purtroppo sono giunte a noi tracce molto labili. Tale sensibilitàsi espresse, ad esempio, nella presenza a Messina di botteghe artigianedirette da maestranze qualificate, che si specializzarono precocementenella lavorazione di tessuti e manufatti preziosi, come le due palma-tianae che nel 591 il vescovo Felice inviò (forse con navi proprie) aGregorio Magno18. Le relazioni che allora intercorrevano tra la sedepeloritana e la curia papale furono sicuramente improntate ad un rap-porto disteso e cooperativo, se un anno dopo Gregorio si rivolgeva aFelice, in qualità di rettore del monastero di San Teodoro da pocoeretto e consacrato, per chiedere di concedere asilo ai profughi del SudItalia, sia cattolici che ortodossi19. Pertanto, già alla metà del VI se-colo, con il vescovo Eucarpo, e poi nel corso del VII, dopo gli epi-scopati di Felice e Dono (591-595), i presuli messinesi, dotati di au-torità e privilegi da parte del papa e posti a capo di grandi dominiterrieri, affiancarono gli igumeni greci e acquisirono risalto nel pano-rama politico e amministrativo, soppiantando in certa misura i defen-sores, che divennero semplici judices cittadini e furono peraltro esau-torati da competenze fiscali, demandate a funzionari imperiali20.

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civica messinese, attraverso la descrizione del rigoglio umano nel centro di Siracusadopo la conquista bizantina (PROCOPIO DI CESAREA, Bellum Gothicum, cit., pp. 7 sgg.).18 GUILLOU, La Sicilia bizantina, cit., pp. 51 e 72 sgg. e Gregorii I papae Registrum

epistolarum, ed. P. EWALD – L.M. HARTMANN, inMonumenta Germaniae Historica, Epi-stolae, 1887-1891 (libri I-VII) e 1892-1899 (libri VIII-XV), nuova ed.: München 1978,I, p. 64.

19 Ivi, II, 51.20 HOLM, Storia della Sicilia, cit., p. 531 e Gregorii I papae Registrum, cit., ad in-

dicem.

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21 Un quadro chiaro e documentato del fenomeno monastico nel Mezzogiorno bizan-tino è in A. CILENTO, Potere e monachesimo. Ceti dirigenti e mondo monastico nellaCalabria Bizantina (secolo IX-XI), Firenze 2000, corredato da una ricca bibliografia. Siveda, inoltre, L. CATALIOTO, Il Vescovato di Lipari-Patti in età normanna (1088-1194).Politica, economia, società in una sede monastico-episcopale della Sicilia, Messina2007, capp. I e II.

22 È una tesi, d’altra parte, a suo tempo sostenuta da D.G. LANCIA DI BROLO (Storiadella chiesa in Sicilia nei dieci primi secoli del cristianesimo, vol. II, Palermo 1884, p.21) e sostanzialmente confermata da L.T. WHITE JR., Latin Monasticism in Norman Si-cily, Cambridge, Mass., 1938 (trad. it.: Il monachesimo latino nella Sicilia normanna,Catania 1984, da cui si cita), pp. 44 sgg. e da M. SCADUTO, Il monachesimo basilianonella Sicilia medievale: rinascita e decadenza, sec. 11.-14., Roma 1982 (rist. an. dell’ed.del 1947, con aggiunte e correzioni), p. XVIII, che peraltro rileva come l’apporto con-siderevole di questi rifugiati orientali in Sicilia sia provato innanzi tutto dalla tradizionemanoscritta del Nuovo Testamento e si esprimesse pure nel settore giuridico e, natural-mente, nella liturgia e nelle arti.

23 A questo riguardo è significativo il fatto che papa Martino I, nel 653, venisse de-tenuto per un anno a Messina prima di essere inviato a Bisanzio per essere giustiziato(S. BORSARI, Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell’Italia meridionale prenor-manne, Napoli 1963, ad indicem).

In quegli anni, quindi, nel centro messinese come in numerose areedel Valdemone, si realizzò un proficuo clima di convivenza tra clerolatino e monachesimo greco, ma nella seconda metà del VII secolo èdocumentato un deciso processo di ellenizzazione delle comunità mo-nastiche che si innestò sopra il persistente sostrato culturale bizantinorafforzato e alimentato grazie al flusso costante di monaci provenientida Bisanzio21. Il fenomeno è da collegare, senza dubbio, al trasferi-mento nel 663 della corte di Costante II a Siracusa22 e al vasto movi-mento migratorio greco che, dalla prima metà di quel secolo, dalla Si-ria e dall’Egitto si era riversato pure nell’isola, alimentato sia damonaci iconoduli in fuga dalle persecuzioni degli imperatori icono-clasti, sia da profughi melchiti dispersi dopo il 614 dai persiani sas-sanidi di Cosroe II e, in seguito, dallo stesso imperatore bizantino Era-clio. Tra la fine del VII e l’inizio dell’VIII secolo, pertanto, il latinismofavorito da Gregorio Magno a Messina e nel suo territorio si era stem-perato in una progressiva ellenizzazione23, dissolvendosi significati-vamente dopo il pontificato di Gregorio II (715-731), quando laChiesa di Roma prendeva posizione contro l’iconoclastia imposta nel

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726 da Leone III Isaurico (716-741) e si assicurava l’appoggio deiFranchi, accelerando in Sicilia l’affermazione della giurisdizione bi-zantina su quella romana e il passaggio dell’episcopato latino nell’or-bita del patriarca di Costantinopoli24. La scissione della Chiesa sici-liana dalla sede di Roma, avvenuta a quanto pare nel 737 25, laricondusse alle dipendenze del patriarcato di Costantinopoli, cheelevò il presule siracusano al rango di metropolita nominandone suf-fraganeo quello di Messina. Sicché, nella città zanklea e lungo lestrette valli ubicate nelle sue immediate vicinanze, si rafforzarono al-cuni cenobi di rito greco (San Nicandro o Nicario, forse San Nicolòall’Arcivescovado, San Pantaleone, San Tommaso Apostolo, SantaMaria di Bordonaro) la cui attività agricola, sostanzialmente intensiva,garantì alla città un flusso continuo di derrate alimentari e una pur mo-desta circolazione di merci, oltre che di idee e modelli di vita26.

Prima che la rivolta dell’ammiraglio Eufemio, nell’827, aprisse leporte dell’isola ai musulmani, Messina, da sempre interlocutrice pri-vilegiata di Costantinopoli, partecipò attivamente alla vita amministra-tiva e religiosa, opponendosi all’iconoclasmo e intervenendo con ipropri episkopoi (Gaudioso, Gregorio, ecc.) alle dispute dottrinarie chedivisero le due Chiese. Questa indubbia vitalità urbana di Messina, tut-tavia, era destinata a spegnersi rapidamente sotto l’avanzata delletruppe islamiche, che nell’843, varcate le mura della città, comincia-rono a scrivere un nuovo lungo capitolo della sua vicenda.

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24 Sull’avvicinamento della Chiesa di Roma ai Franchi, formalizzato nel 755, e suglieffetti dell’iconoclasmo nell’isola, si vedano WHITE, Il monachesimo latino, cit., p. 48e SCADUTO, Il monachesimo basiliano, cit., pp. XXV e XXVII sg.25 J.S. ASSEMANI, Italicae historiae scriptores, de rebus Neapolitanis et Siculis ab

anno 500 ad annum 1200, vol. III, Romae 1751, III, p. 475.26 BORSARI, Il monachesimo bizantino, cit., pp. 18 sgg.; CATALIOTO, Il Vescovato di

Lipari-Patti, cit., pp. 2 sg; SCADUTO, Il monachesimo basiliano, cit.

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27 Riportati in G. COZZA-LUZI, La cronaca siculo-saracena di Cambridge con doppiotesto greco scoperto in codici contemporanei delle biblioteche vaticana e parigina conaccompagnamento del testo arabico per Bartolomeo Lagumina, Palermo 1890, pp. 24e 99.

28 M. AMARI, Storia dei Musulmani di Sicilia, ed. con note di C.A. NALLINO, 3 voll.,Catania 1986 (rist. an. dell’ediz. del 1933), vol. I, pp. 420 sgg.29 GIOVANNI DIACONO, Chronicon Episcoporum, in Rerum Italicarum scriptores, vol.I, col. 314.30 IBN AL-ATIR, Histoire de l’Afrique et de la Sicile, in M. AMARI, Biblioteca arabo-

sicula, 2 voll., Torino-Roma 1880, vol. II, p. 188.31 Non pare tuttavia che al-Fadl abbia sparso molto sangue (AMARI, Storia dei Mu-

sulmani, cit., vol. I, p. 448).

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Messina musulmana (843-1060)Nelle edizioni ottocentesche di Caruso e Gregorio della Cronica

di Cambridge, in cui si cita erroneamente Messina al posto di Mineo,si racconta della conquista della città ad opera del musulmano Asbage dell’uccisione del comandante bizantino Teodoto sotto le sue muraverso la fine dell’830, quando però gli arabi si trovavano al di là delSalso. La lettura di Amari, confermata dai testi greci della Cronica27,corregge tale svista e ci consegna un corretto inquadramento crono-logico delle fasi belliche28. La conquista del centro peloritano, in ef-fetti, ebbe luogo tra il 10 ottobre 842 e il 29 settembre 843, quando inapoletani, che secondo Giovanni Diacono avevano stretto un pattodi alleanza con gli emiri già nell’83629, sostennero fattivamente i mu-sulmani guidati da al-Fadl Ibn Gafar. Amari, basandosi su quanto af-fermato da Ibn al-Atir30, descrive le fasi dell’assedio e l’eroica resi-stenza dei messinesi, sopraffatti alla fine dalla strategia del condottieroislamico, che attirò le forze assediate lungo le mura prospicienti loStretto con una parte delle proprie truppe, mentre «l’altra schiera ir-rompeva in città dall’alto, feriva alle spalle i difenditori, li scompi-gliava e Messina era presa»31.

Dopo la conquista araba dell’843, il nome di “Messina” e del “Mardel Faro” ricorre nelle cronache musulmane solo verso l’886, quandole forze dell’emirato approfittarono del rientro in patria dello strategaNiceforo Foca, richiamato sul fronte dell’Asia Minore in seguito alla

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32 Il cronista arabo Al-Bayan (in AMARI, Biblioteca, cit., II, p. 362) parla della “tre-menda battaglia” che costò la vita a migliaia di bizantini (forse 5.000 o 7.000) e della pre-cipitosa fuga di cristiani dalle terre vicine, soprattutto da Reggio.33 Cronica di Cambridge, in R. GREGORIO, Rerum Arabicarum, quae ad Historiam

Siculam spectant, ampla collectio, Panormi 1790, p. 43.34 Si veda il ms. di Ibn al-Abbar in M.J. MÜLLER, Beiträge zur Geschichte des we-

stlichen Araber, München 1866-1878, pp. 274 sgg.35 AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. I, pp. 569 sgg.36 Ivi, vol. II, pp. 303-13.37 AMARI, Biblioteca, cit., vol. I, pp. 125 e 216.

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morte di Basilio il Macedone, per organizzare l’armata di conquistacontro la Calabria e, nel settembre 888, sostennero una cruenta batta-glia navale nelle acque di Milazzo contro la flotta bizantina frettolo-samente accorsa da Costantinopoli32. Erchemperto33 colloca lo scontronavale nello Stretto di Messina, mentre Ibn al-Abbar torna a parlaredella battaglia di Milazzo, nelle cui acque la flotta araba sarebbe stataguidata dall’emiro Iakoub, figlio di Ahmed e predecessore di Aarounel Khams nel governo di Messina34. Dopo la battaglia di Milazzo, leforze musulmane, capitanate da Mugbar Ibn Ibrahim Ibn Sufyan, raf-forzarono la propria posizione a Messina, che soprattutto a partiredall’877 assolveva la funzione di base militare, nella campagna controla vicina roccaforte di Rometta, «terra limitata dal sito a mediocre pro-sperità [ma] forte asilo in tempo di guerra»35, e nel contado circostante.

Per tutto il corso del X secolo le vicende del centro peloritano riman-gono avvolte nel più fitto mistero, non se ne fa menzione nelle cronachein lingua araba, dove piuttosto si dà ampio spazio a Rometta e alle vi-cende belliche che la interessarono sino alla sua caduta, nel 96536. Inquesti anni, i cittadini messinesi si trovarono coinvolti attivamente nelconflitto tra le truppe aglabite e l’ultima roccaforte cristiana, che si sup-pone «divenisse l’Acropoli della antica patria», mentre la Città del Faro,spopolata, pare «rimanesse come porto ed emporio», di proporzioni pe-raltro modeste37, oltre che base militare per la difficile conquista del Val-demone e le frequenti scorrerie in territorio calabrese.

Sappiamo comunque che Ibrahim Ibn Ahmad, il quale aveva con-quistato con ferocia Taormina nell’agosto del 902, il mese successivo

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38 Si veda IBN AL-ATIR, Histoire de l’Afrique, cit., pp. 188 e 475.39 Per la descrizione di Yaqut si veda AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. II, p.496.40 Cfr. Cronica di Cambridge, cit., pp. 49 sgg.41 AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. II, pp. 301 sgg.42 Ivi, p. 311.

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alla testa di una nutrita schiera diretta in Calabria marciò su Messina,dove si fermò per due giorni prima di attraversare lo Stretto38. Durantela seconda metà del X secolo la Città del Faro, aspramente contesa tramusulmani e bizantini, accentuava il proprio carattere militare e as-solveva una mera funzione di presidio dal momento in cui, con la ca-duta di Rometta, la linea del fronte si spostava nello Stretto e teatrodi più significativi eventi bellici diventava la Calabria, tenacementecontrollata dalle truppe inviate da Bisanzio. La forte contrazione de-mografica di Messina negli anni dell’emirato è pure registrata dal geo-grafo arabo Yaqut, nei cui scritti la definizione assegnata a Messina,riferita verosimilmente ad un periodo di lunga durata, oscilla tra la di-gnitosamadinah (città) e quella più riduttiva di bulayad (villaggio)39.Alla metà di luglio del 950, ad esempio, il condottiero musulmano al-Hasan, diretto con un poderoso esercito e una nutrita flotta a fronteg-giare in Calabria i bizantini sbarcati all’inizio dell’estate a Otranto eBari, stazionò per breve tempo senza alcuna apprensione nella Cittàdel Faro, dove peraltro avrebbe fatto ritorno in autunno per lasciarela flotta a svernare nel suo porto40.

Nel 964, quando l’imperatore bizantino Niceforo riprendeva l’of-fensiva contro i musulmani dell’isola, sicuro della propria forza offen-siva e sostenuto dalla profezia del vescovo siciliano Ippolito41, l’eser-cito islamico, rinforzato da una flotta e da una folta schiera di berbericondotti dall’Africa da al-Hasan, si accampò tra Rometta e Messina,mentre i bizantini, il 13 ottobre di quell’anno, occupavano la Città delFaro e ne rafforzavano le difese murarie. Manuele Foca e il protospa-tariusNiceta, però, inviando i messinesi contro le truppe di al-Hasan,commisero l’errore di lasciare sguarnita la città, nuovamente assediatadalla flotta di Ahmad, che si attestò nel suo porto «per cavar la vogliad’un novello sbarco ai Bizantini che s’eran messi in salvo a Reggio»42.

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43 Cronica di Cambridge, cit., pp. 46 e 78.44 AMARI, Biblioteca, cit., vol. II, p. 268 e ID., Storia dei Musulmani, cit., vol. II, pp.367 e 369.45 GREGORIO, Rerum arabicarum, cit., p. 19.46 AMATO DI MONTECASSINO, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese –

Ystoire de li Normant –, a cura di V. DE BARTHOLOMAEIS, Fonti per la Storia d’Italia pub-blicate dall’Istituto Storico Italiano, Roma 1935; GOFFREDO MALATERRA,De rebus gestisRogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, a cura di E.PONTIERI, in RIS, I-V, 1, Bologna 1927.

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Ripreso il controllo delle terre circostanti sino alla caduta definitiva diRometta nel 965, «nel mese poi di luglio furono poste in fuga le che-landie dei Cristiani a Reggio»43 e le truppe islamiche fecero quindi diMessina il caposaldo del loro dominio nelle acque dello Stretto e labase logistica delle loro incursioni continue nel territorio di Reggio, cherimase presidiata dai bizantini di Niceforo Foca.

Dopo l’uccisione di Niceforo, avvenuta nel dicembre 969, e l’ascesaal trono d’Oriente di Zimisce, che siglava un accordo di pace con l’im-pero di Ottone e si alleava con i pisani, i bizantini lanciarono una nuovaoffensiva contro i musulmani e occuparono momentaneamente la Cittàdel Faro, che però da lì a poco (maggio 976) venne riconquistata daAbual-Qasim, alla testa di un esercito composto da siciliani e, come sostieneil cronista arabo Ibn al-Atir, da una «gran compagnia di dotti e virtuosicittadini» di Messina44.Aquanto pareAbu al-Qasim, memore dei repen-tini capovolgimenti di fronte presso la Città dello Stretto, avrebbe in que-sta occasione rinforzato preventivamente la rocca di Rometta.45

Messina rimase in mano ai musulmani sino al 1038, quando il ge-nerale Giorgio Maniace e il patrizio Michele Doceano attraversaronolo Stretto alla testa di un esercito bizantino radunato a Reggio e com-posto, peraltro, da una nutrita e agguerrita schiera di mercenari nor-manni condotti da Guglielmo d’Altavilla, detto Bracciodiferro. Comesostengono le cronache di parte normanna, soprattutto quelle mala-terriana e di Amato di Montecassino, per la conquista di Messina fudeterminante l’intervento degli uomini di Guglielmo, i quali «ont com-batu à la cité et ont vainchut lo chastel de li Sarrazin»46, il che

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47 AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. II, pp. 453 sgg.48 AMATO DI MONTECASSINO, Storia de’Normanni, cit., vol. V, cap. XIX.

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peraltro suggerisce come il controllo della Città dello Stretto da partedei musulmani, concentrati piuttosto nella difesa della rocca di Ro-metta, fosse occasionale e molto blando. Ma il dominio di Messinanon pare sia stato più duraturo ed efficace sotto il protospatarioΚεκαυµένος (Catacalone detto Arsiccius), che riuscì ad esercitarlo sinoai primi mesi del 1042, quando il centro dello Stretto rimase l’unicaroccaforte della resistenza bizantina ultra Pharum, caratterizzandosipiù come presidio di retroguardia che come testa di ponte per un’im-probabile riconquista dell’isola.

L’armata preposta al controllo di Messina, costituita da trecento ca-valieri e cinquecento pedoni del tema d’Armenia, aveva in effetti con-sistenza di presidio, a difesa di una società cui le fonti non dedicano al-cuno spazio, ma che era senz’altro fortemente contratta sotto il profilodemografico ed economico. Messina riuscì a respingere l’attacco dell’ar-mata musulmana, a quanto pare condotta sotto le sue mura dal principekalbita as-Samsam, e Catacalone, dopo avere saccheggiato l’accampa-mento nemico nel marzo 1042, rientrò trionfante in città alla testa di unaschiera di bizantini e messinesi, che però non sarebbero stati in grado,meno di un ventennio dopo, di resistere all’avanzata di nuove truppe, co-stituite principalmente da normanni e da cosiddetti “lombardi”47.

L’età normanna (1061-1194)Un’immagine largamente diffusa di Messina nelle fasi immedia-

tamente successive alla conquista normanna è quella tramandata daAmato di Montecassino, secondo cui il Guiscardo, constatato «que lacité estoit vacante des homes liquel i habitoient avant», avrebbedato inizio emblematicamente al suo ripopolamento dotandola «de seschevaliers»48. La tesi del desolante stato di abbandono e immobilismo

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49 AMARI, Storia dei Musulmani, cit., vol. III, pp. 58-63 sgg.50 UGO FALCANDO, La Historia o Liber de Regno Sicilie, a cura di G.B. SIRAGUSA,Fonti per la Storia d’Italia pubblicate dall’Istituto Storico Italiano, Roma 1897, p. 144.51 Sulle vicende di Messina in età normanna si vedano, in particolare: S. TRAMON-

TANA,Messina normanna, in «Nuovi annali della Facoltà di Magistero dell’Università diMessina», 1, 1983, pp. 629-40; PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., pp. 221-38;ID.,Messina medievale. Uno sguardo d’insieme, in ID.,Medioevo Fridericiano, cit., pp.195-220; ID.,Messina medievale, Galatina 1996.52 Ovvero, caposaldo necessario per il controllo dell’isola: GOFFREDO MALATERRA,

De rebus gestis, cit., vol. III, p. 77.53 Ivi, p. 78.

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socioeconomico, che avrebbe denotato Messina già negli ultimi de-cenni dell’emirato, ha suscitato qualche perplessità in studiosi che,evidentemente, non hanno tenuto pienamente conto della tendenza ce-lebrativa insita nella cronaca del monaco cassinese, della propensioneall’esagerazione di Goffredo Malaterra e della conclamata inattendi-bilità della Breve istoria della liberazione di Messina, chiaramentefalsa, che nel celebrare il sentito patriottismo dei tre nobili cittadini(Ansaldo de Pactis, Niccolò Mamulio e Giacomo Saccano) per tra-dizione fautori della congiura antimusulmana, rimanderebbe all’esi-stenza tra le mura di una compagine cristiana numericamente modestama dotata di carisma politico e consapevolezza49.

In effetti non abbiamo nessuna indicazione in grado di suggerireipotesi circa la demografia e la costituzione del tessuto sociale mes-sinese prima della conquista normanna, né è rimasta traccia dell’im-pianto urbano, sicuramente stravolto già dal violento sisma che si ab-batté sulla Sicilia orientale nel 1169, quando «apud Messanam etiammaximus et manifestus terre motus fuit»50, e definitivamente cancellatodai catastrofici eventi del 1783, del 1908 e dell’ultimo conflitto mon-diale51. Certo è che gli Altavilla, stimando Messina «quasi clavem Si-ciliae»52, le assegnarono un ruolo ben più ampio della riduttiva fun-zione di avamposto fortificato o porto-rifugio di frontiera svolto sinoad allora. Sicché il Granconte nel 1081, «undecumque terrarum ar-tificiosis caementariis conductis»53, diede subito avvio ad un organico

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54 UGO FALCANDO, La Historia, cit., pp. 184 sg.; Epistola ad Petrum PanormitaneEcclesie Thesaurarium de calamitate Sicilie, in S. TRAMONTANA, Lettera a un tesorieredi Palermo sulla conquista sveva di Sicilia, Palermo 1988, pp. 122-43.

55 GOFFREDO MALATERRA, De rebus gestis, cit., III, p. 77; PETRUS DE EBULO, Liberad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine Bilderchronik der Stauferzeit aus derBurgerbibliothek Bern, a cura di T. KÖLZER e M. STÄHLI, Sigmaringen 1994, tav. XXVI.

56 Secondo la descrizione di Ibn Giubayr, in AMARI, Biblioteca, cit., vol. I, pp. 144 sgg.57 GOFFREDO MALATERRA, De rebus gestis, cit., vol. III, p. 77.58 G. DI STEFANO, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1979, pp. 56 sgg.Dopo la consacrazione della cattedrale di Santa Maria, l’antico duomo decadde progres-sivamente sino al suo radicale restauro ad opera dell’arcivescovo Pietro Bellorado nel1506, risanato solo in parte nel 1333 grazie alle cento onze testate dall’arcivescovo Gui-dotto de Abbiate pro tecto operiendo de plumbo. Si vedano al riguardo GALLO, Gli an-

nali, cit., vol. II, pp. 10 e 247; I diplomi della Cattedrale di Messina raccolti da AntoninoAmico pubblicati da un codice della Biblioteca Comunale di Palermo ed illustrati, acura di R. STARRABBA, Palermo 1888, p. 256; E. PISPISA, La cattedrale di S. Maria e lacittà di Messina nel Medioevo, in ID., Medioevo fridericiano, cit., p. 267.

59 L.R. MÉNAGER, Les actes latins de S. Maria di Messina: 1103-1250, Palermo 1963,pp. 116 e 135.

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programma edilizio diretto, innanzi tutto, al rafforzamento delle strut-ture difensive della città, a cominciare da quelle murarie, che l’ano-nimo autore della Epistola ad Petrum definiva «ambitum densis tur-ribus circumseptum»54. Ruggero I proseguì, dopo il 1086, con larealizzazione del tarsianatum e del palatium, che sicuramente è il«propugnaculum immensae altitudinis» citato da Malaterra ed esem-plato da Pietro da Eboli55, cioè il palazzo comitale e poi regio che sor-geva, «bianco come un colomba»56, di fronte al porto, anch’esso am-piamente ristrutturato negli anni della contea. Probabilmente nel1096 veniva edificata, «cum turribus et diversis possessionibus»57, laprima cattedrale di Messina, dedicata a San Nicolò e ubicata a pochecentinaia di metri dall’attuale duomo sorto alla metà del XII secolo58,cioè in quel nucleo urbano, delimitato dall’arsenale, dal quartiere dettoAmalfitania e dalla loggia dei genovesi, attorno al quale si andava coa-gulando la vita sociale ed economica della nova urbs Messane59.

Le prime fasi dell’insediamento normanno nella Città del Farosono scandite da una massiccia immigrazione, costituita principal-

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60 PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., pp. 222 sgg.61 G. ROMANO,Messina nel Vespro siciliano e nelle relazioni siculo-angioine de’se-

coli XIII e XIV fino all’anno 1372, in «Atti della Regia Accademia Peloritana», XV,1899-1900, pp. 227 sgg.62 E. PISPISA,Messina nel Trecento, Messina, Intilla, 1980; ID., Il regno di Manfredi.

Proposte di interpretazione, Messina 1991; ID., Coscienza familiare ed egemonia ur-bana. Milites, meliores e populares a Messina fra XII e XIV secolo, in ID., MedioevoFridericiano, cit., pp. 239-50.

63 Significativo il fatto che GOFFREDO MALATERRA (De rebus gestis, cit., vol. V, tomoI, p. 29) sostenesse come il centro peloritano «a messe vocabulum trahens, Messana vo-cata est».

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mente da intellettuali e milites bizantini fuoriusciti negli ultimi annidell’emirato, che avrebbero concorso alla formazione della nuovaclasse dirigente (non a caso avrebbero esercitato per tutto il XIIsecolo un vero e proprio monopolio della carica stratigoziale e di altriincarichi amministrativi), e da una folta schiera di artigiani e contadiniprovenienti anch’essi dalle terre calabresi, cioè i cosiddetti popularesdestinati, insieme alla plebs, a comporre il tessuto connettivo urbano60.E Messina, soprattutto in età normanna, rimase proiettata verso la Ca-labria, i cui mercati entrarono tra le mire degli operatori locali e le cuiterre costituirono, almeno sino al Vespro, il naturale sfogo di possi-denti e piccoli feudatari peloritani, penalizzati dall’assenza di un re-troterra nell’isola in grado di assicurare agiatezza economica e pre-stigio sociale61. Questa particolare condizione impedì che la Città delFaro subisse l’egemonia deimilites, protesi piuttosto, attraverso l’ac-culturazione e l’acquisizione di competenze giuridiche, verso la con-quista di quelle cariche burocratiche che rappresentarono anchel’obiettivo del ceto mercantile e di quei gruppi di burgenses, definitimeliores, con i quali gli stessimilites avrebbero realizzato una duraturacollaborazione pienamente realizzata nell’ultima età sveva62.

Del tutto estranei alla gestione politica locale, ma fortemente in-teressati alle nuove prospettive commerciali (soprattutto quelle offertedal traffico del grano)63, furono i mercanti forestieri, innanzi tuttoamalfitani (ma in seguito anche catalani, genovesi, provenzali, toscanie veneziani), richiamati da agevolazioni fiscali e commerciali entrole mura della città, dove fondarono logge e fondaci e costituirono i

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64 PISPISA, Stratificazione sociale e potere politico, cit., pp. 377-96. Si veda, inoltre,R. SABATINO LOPEZ, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Bologna 1938, pp.163 sgg.65 D. ABULAFIA, Le due Italie: relazioni economiche fra il Regno normanno di Sicilia

e i Comuni settentrionali, Napoli 1991 (1a ed.: Cambridge 1977); PISPISA, Messina nelTrecento, cit., ad indicem; D. CICCARELLI, Il tabulario di S. Maria di Malfinò (1093-1337), 2 voll., Messina 1986-1987, vol. I, passim.

66 S. CUSA, I diplomi greci e arabi di Sicilia pubblicati nel testo originale, tradottied illustrati, vol. I, Palermo 1868, p. 359.

67 PISPISA,Messina nel Trecento, cit., pp. 137 e 295 sgg.; J.L.A. HUILLARD-BRÉHOL-LES, Historia diplomatica Friderici secundi, vol. I, tomo 1, Parigi 1852, pp. 64-7.

68 Annali Genovesi di Caffaro e de’suoi continuatori, dal MXCIX al MCCXCIII, vol.I, a cura di L.T. BELGRANO, Roma 1890, p. 24; Annales Pisani di Bernardo Maragone,in «MGH», XIX, p. 259; G. CASAPOLLO, Insediamenti pisani in Sicilia (ricerche su do-cumenti inediti del sec. XIII), in «Helikon», XI-XII, 1971-72, pp. 524-43.

69 G.B. SIRAGUSA, Il regno di Guglielmo I in Sicilia, Palermo 1929, pp. 377 sgg.; E. PON-TIERI, Ricerche sulla crisi della monarchia siciliana nel secolo XIII, Napoli 1950, p. 255.

70 R. MOROZZO DELLA ROCCA – A. LOMBARDO,Documenti del commercio venezianonei secoli XI-XIII, 2 voll., Torino 1940, ad indicem.

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propri quartieri in prossimità del porto64. Gli amalfitani, presenti nel-l’isola sin dall’813, si insediarono in un quartiere, l’Amalfitania, chesi sviluppò attorno alla ruga Amalfitanorum, ma il loro rilievo decaddealla fine del XII secolo, quando emersero più attivi operatori penin-sulari, cioè genovesi, pisani e veneziani, tutti insediati più o meno sta-bilmente nella Città del Faro con logge e fondaci e fortemente inte-ressati alle rotte orientali65. I genovesi, che a Messina ebbero unconsole già nel 116966 e istituirono un flusso continuo bilaterale conl’isola dalla metà del XII secolo, avrebbero consolidato le proprie po-sizioni commerciali soprattutto in epoca sveva67, come pure gli ope-ratori pisani, i cui rapporti con i liguri furono sempre caratterizzati dauna forte rivalità68. Anche i mercanti veneziani, seppure frequentatorimeno assidui dello scalo peloritano, ebbero un fondaco in tarsianatuveteris civitatis nella seconda metà del XII secolo e fruirono di signi-ficative agevolazioni commerciali, soprattutto sotto il regno di Gu-glielmo II69, quando non a caso è segnalata la presenza di qualche traf-ficante messinese nella repubblica lagunare e Pagano di Messina erail nocchiero di una nave veneziana che nel 1169 salpava alla volta diCostantinopoli70. Di altri operatori forestieri, infine, abbiamo sporadi-

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71 CICCARELLI, Il tabulario, cit., pp. 37-39.72 IDRISI, Il libro di Ruggero, tradotto e annotato da U. RIZZITANO, Palermo 1966,pp. 41 sgg.73 UGO FALCANDO, La Historia, cit., pp. 138, 144, 147 sgg. e 155. Si veda, inoltre,AMARI, Biblioteca, cit., vol. I, pp. 144 sgg.74 PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., p. 227.75 M. ALIBRANDI, Messinesi in Levante nel Medioevo, in «Archivio Storico Sici-liano», III s., XXI-XXII, 1971, pp. 97-110.76 Capitoli e privilegi di Messina, a cura di C. GIARDINA, Palermo 1937, docc. V, IXe XI, pp. 15 sg., 25 sg. e 32-34.

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che indicazioni e della loro presenza entro le mura di Messina pos-siamo ricavare solo qualche notizia indiretta, come nel caso degli in-glesi, la cui incidenza commerciale in età normanna può essere desuntaesclusivamente dalla attestazione in quella sveva della ruga Anglico-rum71, giacché coloro venuti al seguito di Riccardo Cuor di Leone nel1190 erano crociati e pellegrini in transito per la Terrasanta.

La presenza di questi operatori forestieri, pertanto, contribuì ad as-segnare a Messina una fisionomia particolare, la connotò cioè comeuna vera e propria megalopolis «per il continuo andirivieni di viag-giatori» – annota il geografo di Ruggero II –, per la presenza di un ar-senale particolarmente attivo e di un porto oltremodo vivace, «un’au-tentica meraviglia» dove «si raccolgono le grande navi nonché iviaggiatori e i mercanti dei più svariati paesi latini e musulmani»72.E analoga immagine emerge dalle descrizioni di Ibn Giubayr e dellopseudo Ugo Falcaldo, i quali, in riferimento agli ultimi anni della do-minazione normanna, insistono sul cosmopolitismo e sul caratteremercantile di Messina, «meta de’ legni che solcano il mare venendoda tutte le regioni»73, dove «il sudiciume ed il fetore sono la direttaconseguenza di transazioni economiche continue e dell’ammassarsidi commercianti venuti da ogni dove»74.

Per questi decenni, comunque, nel Mediterraneo e negli scali di Le-vante è segnalata una pur modesta attività di mercanti peloritani75, so-stenuti dai favorevoli orientamenti della politica doganale attuata daGuglielmo I e proseguita nei primi anni dell’età sveva76, mentre i rap-porti commerciali con l’entroterra siciliano vennero tenuti in vita dalle

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77 PIERI, La storia di Messina, cit., p. 32; STARRABBA, I diplomi della Cattedrale,cit., docc. I-III, VIII, XIV e XV, pp. 1-4, 11 sgg., 20 sgg. e 21-23; CATALIOTO, Il vescovatodi Lipari-Patti, cit., ad indicem.

78 Si vedano, soprattutto, SCADUTO, Il monachesimo basiliano, cit.; C.A. GARUFI,Per la storia dei monasteri di Sicilia nel tempo normanno, in «Archivio Storico Sici-liano», VI, 1940.

79 WHITE, Il monachesimo latino, cit.80 PISPISA, Aspetti della storia di Messina, cit., p. 237.81 A.R. LEVI, Riccardo Cuor di Leone e la sua dimora in Messina, in «Atti della R.Accademia Peloritana», XV, 1899-1900, pp. 297-311; E. ROTA, Il soggiorno di Riccardo

Cuor di Leone in Messina e la sua alleanza con re Tancredi, in «Archivio Storico per la

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attività intraprese dall’episcopato messinese (ufficialmente sede me-tropolitica sotto il pontificato di Alessandro III), che tra il 1131 e il1166 allargò il proprio distretto sino a comprendere le sedi di Catania,Cefalù e Lipari-Patti77, e dalla capillare penetrazione, soprattutto nelValdemone, delle sedi basiliane, espressione peraltro di una chiaraegemonia culturale di tradizione greca78.

In definitiva, se con i privilegi concessi da Ruggero II e GuglielmoI si affermava a Messina il potere politico di una élite prevalentementegreca composta da milites e maiores civitatis, il saldo dominio di taligruppi venne sostenuto dalla Chiesa locale che assunse un ruolo eco-nomico di spicco nell’entroterra siciliano e esercitò in città un predo-minio commerciale a fianco dei mercanti peninsulari, grazie ai privilegiottenuti da priorie benedettine (Santa Maria Maddalena de Valle Iosa-phat, Santa Maria dei Latini), ma anche sociale e culturale, attraversol’attività del monastero basiliano di San Salvatore in Lingua Phari edi altri centri di rito greco presenti nel territorio peloritano79. Messinapertanto, crocevia di intensi scambi di merci e di idee negli ultimi de-cenni del dominio normanno, conquistò una posizione centrale all’in-terno dello scacchiere politico mediterraneo divenendo «l’arengodove si consumarono esperienze di politica internazionale»80, culmi-nate nelle vicende che portarono alla cacciata dall’isola di Stefano diPerche tra il 1167 e il 1168 e, soprattutto, nei drammatici avvenimentiche, nel 1190, determinarono il drastico abbattimento dell’egemoniagreca nella Città dello Stretto ad opera di Riccardo Cuor di Leone81 eaprirono un nuovo capitolo della vicenda storica messinese.

MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

Sicilia orientale», III, 1906, pp. 276-83. Un quadro complessivo irrinunciabile è tracciatoda S. TRAMONTANA, La monarchia normanna e sveva, Torino 1986.82 Epistola ad Petrum, cit.; TRAMONTANA, La monarchia, cit., pp. 212 sgg.83 PISPISA,Messina in età sveva, in ID.,Medioevo meridionale, cit., pp. 397-411; ID.,

Messina e Catania. Relazioni e rapporti con il mondo mediterraneo e l’Europa conti-nentale nelle età normanna e sveva, in ivi, pp. 323-75.

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La dominazione sveva (1194-1266)Gli anni a cavallo tra XII e XIII secolo sono segnati dal passaggio

della corona del Regnum Siciliae dagliAltavilla agliHohenstaufen, unavvicendamento la cui drammaticità emerge emblematicamente nellaEpistola ad Petrum e che a Messina, teatro in quegli anni di avvenimentitumultuosi, avrebbe avuto esiti molto significativi e duraturi all’internodella struttura demica e avrebbe inciso profondamente sulle trasforma-zioni della società e dei suoi orientamenti politici82. Dopo la radicale de-capitazione della classe dirigente di etnia greca, prodotta dall’azione diRiccardo Cuor di Leone, si generò infatti un processo di “latinizzazionedel potere” che stravolse nell’immediato l’assetto della macchina bu-rocratica e la composizione dei suoi quadri, ma i cui effetti più marcatisi sarebbero mostrati nel rafforzamento di un nuovo ceto dimaiores ci-vium, composto da uomini di cultura e di denaro, dal quale furono tenutilontani gli aristocratici e consistenti gruppi di mercatores.

Tuttavia, come opportunamente rilevato da Enrico Pispisa83, leesperienze maturate dalla Città del Faro durante l’età sveva risentironodella sostanziale differenziazione degli atteggiamenti assunti di voltain volta dagli Hohenstaufen (Enrico VI, Federico II, Corrado IV eManfredi), sebbene non venisse mai meno in seno alla società mes-sinese la volontà di perpetrare orientamenti tracciati nei precedenti de-cenni e consolidare conquiste acquisite sino all’epoca di Guglielmoil Buono, quali la costituzione di un solido ceto amministrativo e laproiezione commerciale del proprio porto nel Mediterraneo e versoLevante. D’altra parte, che Messina, clavis Siciliae della cronacamalaterriana, in età sveva continuasse a gravitare più verso la Calabriae i mercati mediterranei e orientali, piuttosto che nell’entroterra sici-

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84 SABA MALASPINA, Rerum sicularum historia: 1250-1285, in Cronisti e scrittorisincroni napoletani, a cura di G. DEL RE, vol. II, Napoli 1868, p. 341.

85 I Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti da R. FILANGIERI con la collabo-razione degli archivisti napoletani, VIII (1271-1272), Napoli 1957, p. 135 (d’ora innanzi:R.A. seguito dal numero del volume e della pagina).86 PISPISA, Messina in età sveva, cit., p. 399.

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liano, è suggerito dalla reiterata e rafforzata definizione di «clavis etcustodia totius Siciliae»84 espressa da Saba Malaspina allo scorcio del-l’età sveva, quando cioè la sede messinese, «quasi in centro positam»richiamava mercanti e visitatori «a diversis mundi partibus»85.

Come si è accennato, una struttura di lunga durata che caratterizzòMessina nei secoli centrali del Medioevo è senz’altro individuabilenel progressivo consolidamento di un ceto di burocrati e grandi mer-canti immigrati (soprattutto pisani e genovesi), i quali non ebbero po-tere politico, ma le cui attività generarono una diffusa ricchezza inseno a gruppi di artigiani e piccoli mercanti, che si sostenevano prin-cipalmente grazie al mercato calabrese. Le classi produttive e i piccolifeudatari si proiettarono verso la Calabria, mentre nel territorio pelo-ritano la modesta disponibilità di feudi e del connesso prestigio limitòil potere deimilites, che nell’impossibilità di competere con imelioresfinirono per dare corpo con loro ad un’élite alquanto singolare, fruttodi una convergenza che non avrebbe prodotto conquiste autonomisti-che né significativi episodi che possano indicare concreti tentativi discalata al potere politico.

Ma tornando alle delicate fasi dell’affermazione sveva nella Cittàdello Stretto, Enrico VI, che in essa aveva trovato un solido sostegnoalla sua azione politica, mostrò di avere «particolarmente a cuore i cetidirigenti ed i mercanti di Messina, i quali potevano offrire un aiuto de-cisivo»86. Attraverso una serie di provvedimenti normativi, adottati trail 1194 e il 1197, lo Svevo riordinò le competenze dello stratigoto edei giudici, le cui cariche vennero escluse dal meccanismo dell’ap-palto per divenire prerogativa regia, e intraprese un’opera di raziona-lizzazione amministrativa che tendeva a risaltare la centralità del cetoburocratico nella gestione urbana, consentendo ai gruppi amministra-

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87 Capitoli e privilegi di Messina, cit., pp. 21-30; I Privilegi di Messina e di Trapani(1160-1355) con un’appendice sui consolati trapanesi nel sec. XV, a cura di C. TRAS-SELLI, Messina 1992 (1a ed.: Palermo 1949), pp. 28 sgg.

88 Gli effetti dell’azione fridericiana sul nuovo assetto della società messinese sonoestesamente esaminati da TRAMONTANA, La monarchia, cit., pp. 244-57.89 PIERI, La storia di Messina, cit., p. 78.

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tivi della città di assumere consistente autonomia commerciale e diemergere anche sotto il profilo economico87. Questa felice stagione deinuovi emergenti, tuttavia, fu di breve durata, interrotta dagli indirizzinormativi, fortemente restrittivi delle libertatesmercantili e delle au-tonomie urbane, che Federico II aveva assunto con le assise di Capuadel 1220 e avrebbe ribadito con più vigore nelle Constitutiones mel-fitane del 123188. Messina, in definitiva, nel giro di un decennio videframmentato e svuotato di contenuti il proprio apparato burocratico,svilita la capacità d’azione della sua curia stratigoziale sottoposta al ri-gido controllo regio; ma, soprattutto, si ritrovò privata di consistentiprerogative commerciali, che negli anni precedenti avevano garantitoun benessere esteso anche ai gruppi inferiori della cittadinanza.

Nel malcontento che tali misure alimentarono presso ampi stratidella società, soprattutto in seno al ceto mercantile, sono da ricercarele cause della rivolta che nel 1232 esplose a Messina, estendendosipresto in molti centri della Sicilia Orientale, e che fu orchestrata, oltreche dal ceto mercantile, anche dagli ambienti feudali. La rivoltavenne soffocata nel sangue dalla durissima reazione dello Staufer, chefece giustiziare il capo del moto messinese, Martino Mallone (Bel-lone), insieme a molti altri, ma che non si rivolse contro il ceto buro-cratico, per il quale si aprivano nuove prospettive di ascesa grazie aldrastico incremento degli uffici e delle attività ad essi connesse. Co-minciò così ad emergere un ceto dimaiores civium composto da “uo-mini di cultura” e “uomini di denaro”, un gruppo alquanto omogeneodi funzionari-amministratori che comprendeva anche judices, magi-stri, notai, secreti, portolani e, almeno a partire dal 1230, «delegatipreposti alla vigilanza annonaria, stretti da giuramento alla retta ese-cuzione della delicata funzione, e detti perciò giurati»89.

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90 PISPISA, Il regno di Manfredi, cit., p. 402.91 Sull’azione di Pietro Ruffo si veda PONTIERI, Ricerche sulla crisi, cit., pp. 5-128.92 NICCOLÒ DI JAMSILLA, Historia, in Rerum Italicarum scriptores, vol. VIII, col.579; si veda anche E. PISPISA, Nicolò di Jamsilla. Un intellettuale alla corte di Manfredi,Soveria Mannelli 1984.93 S. TRAMONTANA, La Sicilia dall’insediamento normanno al Vespro (1061-1282),in AA.VV., Storia della Sicilia, 10 voll., Napoli 1980, vol. III, p. 279.

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In questo senso, nell’ultimo quindicennio dell’età sveva il ceto bu-rocratico ampliò le proprie competenze e si rafforzò, dal momento chel’assenza di controllo centrale negli anni di Manfredi e la politica lar-gheggiante di Corrado IV in materia mercantile avevano fatto sì chei centri urbani si impadronissero «della sfera amministrativa a loro de-legata dai conti e dai maggiori baroni, i quali dominavano saldamenteogni parte del Regnum, strumentalizzando a proprio vantaggio gli uf-fici regi»90. Il baronaggio, infatti, ebbe agio di emergere solo dopo lascomparsa di Federico II, sotto il cui dominio le forze nobiliari nonerano state messe in condizione di esprimere le proprie velleità ege-moniche, e Messina, per un breve periodo (1251-1255), fu in manoal feudatario calabrese Pietro Ruffo che, in opposizione a Manfredie in ossequio al papato, assunse il vicariato in Sicilia e Calabria91. Ilcontrasto tra il conte di Catanzaro e Manfredi consentì momentanea-mente al ceto dei populares di emergere, sotto la guida del messineseLeonardo Aldigerio, e di tentare una singolare esperienza comunale«more civitatum Lombardiae et Tusciae»92, la costituzione cioè di«una federazione di città subordinata al fascino cupo della Chiesa edalla spirale della sua logica politica, e che Bartolomeo da Neocastro,con felice espressione, chiamò repubblica di vanità»93. Soffocata sulnascere dall’azione di Manfredi e avversata dalle forze feudali legateal sovrano, tale sperimentazione autonomistica si mostrò ambigua edisorganica, in ultima analisi effimera e sostanzialmente diversa dalfenomeno, apparentemente analogo, che all’indomani del Vesproavrebbe portato Messina alla costituzione di una Communitas Sicilie,la quale non fu espressione dei ceti mediani e subalterni, ma venneorchestrata in modo strumentale da un compatto gruppo di milites e

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94 Cfr. E. PISPISA, Il problema storico del Vespro, in «Archivio Storico Messinese»,XXXVIII, 1980, pp. 57-82; E. DUPRÉ THESEIDER, Alcuni aspetti della questione del Vespro,Messina 1954 e L. GENUARDI, Il comune nel Medioevo in Sicilia: contributo alla storia deldiritto amministrativo, Palermo 1921, pp. 120 sgg.

95 Si veda G. LIPARI, Per una storia della cultura letteraria a Messina dagli Svevialla rivolta antispagnola del 1674-78, in «Archivio Storico Messinese», XL, 1982, pp.68-79.

96 PISPISA, Messina in età sveva, cit., pp. 404 e 409 sgg.97 P. SANTUCCI, La produzione figurativa in Sicilia dalla fine del XII secolo alla metà

del XIV, in AA.VV., Storia della Sicilia, cit., vol. V, pp. 143 sgg.

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grandi feudatari, i quali avrebbero aperto le porte della città a PietroIII d’Aragona94.

Nell’età di Manfredi, pertanto, le redini del potere economico fu-rono nelle mani dei ceti burocratici e dei milites, ai quali è possibileaccomunare proprietari terrieri e uomini di denaro impegnati in spre-giudicate transazioni immobiliari, ma soprattutto una folta schiera dicives che al potere politico aggiungevano il prestigio culturale e la cuirinomanza si sarebbe estesa ben oltre l’ambito locale, grazie all’atti-vità del cosiddetto “laboratorio messinese”. Questo si collegò alla“Scuola poetica siciliana” in modo originale, perché espressionedelle esperienze culturali della classe burocratica e non di un vivaiodi corte omologato e impersonale, ma anche perché il ceto dirigentepeloritano, attraverso l’impegno di questi funzionari-poeti, si accostò«ad un patrimonio letterario che si estende alla letteratura in linguad’oïl e ad altri apporti»95. Meritano di essere quantomeno segnalati,in questo milieu di burocrati-scrittori messinesi, Ruggero d’Amici,Guido e Odo delle Colonne, Rosso di Messina, i fratelli Stefano, Bar-tolomeo e Jacopo Mostacci, Stefano di Protonotaro, Mazzeo di Riccio,Bartolomeo e Tommaso de Sasso, il filosofo Teodoro96. E a questoproposito, occorre rilevare come la felice stagione culturale attraver-sata da Messina nel XIII secolo lasciasse un’impronta profonda anchegrazie all’azione della Chiesa, anch’essa espressione dei ceti emer-genti, nei cui scriptoria operarono traduttori dal greco e dall’arabo digrande spessore culturale, come Bartolomeo e Stefano da Messina, ela cui produzione figurativa attinse risultati di rilievo nel panoramaartistico europeo97.

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98 PISPISA, Messina in età sveva, cit., p. 201.99 F. CALASSO, La legislazione statutaria nell’Italia meridionale. Le basi storiche. Le

libertà cittadine dalla fondazione del regno all’epoca degli statuti, Roma 1929 (rist. an.:Roma 1971), pp. 175 sgg.

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In definitiva, possiamo affermare che, nel corso dell’età sveva,Messina maturò una serie di esperienze attraverso i rapporti di voltain volta instaurati con il potere regio, passando dalla breve stagionedi Enrico VI, caratterizzata dal rafforzamento della curia stratigozialee da una maggiore liberalizzazione delle attività mercantili, ai lunghianni della politica fridericiana, che svilì il governo della città con unrigido controllo burocratico degli uffici e un drastico ridimensiona-mento di qualsiasi forma di autonomia amministrativa e commerciale,sia urbana che feudale. Sotto il dominio di Corrado IV e Manfredi, enelle episodiche espressioni di forme di governo alternative, la societàmessinese si evolse attorno a tre poli ben definiti, cioè la Chiesa, i mer-canti stranieri e il ceto burocratico, attorno al quale si muovevano gliinteressi dei milites e di alcuni proprietari terrieri. L’incontro diqueste forze, che produsse nell’immediato l’affermazione di ungruppo rinnovato e ancora alquanto indistinto di maiores civitatis,avrebbe dato frutti più maturi nel lungo termine e, pertanto, in questaprospettiva possiamo affermare che Messina visse in epoca sveva«una serie di decisive esperienze che prepararono quel profilo di cen-tro dominato da amministratori-affaristi, che la città avrebbe piena-mente assunto nel secolo seguente»98.

Messina angioina (1266-1282)Durante il primo decennio del governo angioino, il «passaggio del-

l’amministrazione cittadina dalle mani degli officiali regii a quelle diorgani elettivi»99 segnò un’importante tappa in campo istituzionale elegislativo, comportando profonde trasformazioni in ambito econo-mico e sociale, e fu soprattutto la universitas Messanae ad acquisirecompetenze amministrative e diritti elettivi, privilegi commerciali e

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100 Una visione complessiva della vicenda siciliana in età angioina è in L. CATALIOTO,Terre, baroni e città in Sicilia nell’età di Carlo I d’Angiò, Messina 1995. Si vedano,inoltre, G. FASOLI, Tre secoli di vita cittadina catanese, in «Archivio Storico per la Siciliaorientale», s. 4, VII, 1954, p. 128; S. TRAMONTANA,Gli anni del Vespro. L’immaginario,la cronaca, la storia, Bari 1989, pp. 32 sgg.

101 F. MARTINO, «Messana nobilis Siciliae caput». Istituzioni municipali e gestionedel potere in un emporio del Mediterraneo, in AA.VV.,Messina. Il ritorno della memoria,Palermo 1994, p. 346.

102 G. DEL GIUDICE, Codice Diplomatico del Regno di Carlo I e II d’Angiò (1265-1309), 3 voll., Napoli 1863-1902, vol. I, p. 147 e R. TRIFONE, La Legislazione angioina.Edizione critica, Napoli 1921, p. 60, n. XLVII.

103 L. CADIER, Essai sur l’administration du royaume de Sicile sous Charles Ier etCharles II d’Anjou, Paris 1891 (trad. it.: L’amministrazione della Sicilia angioina, a curadi F. GIUNTA, Palermo 1974), pp. 46 sgg.; C. MINIERI-RICCIO, Saggio di codice diploma-tico formato sulle antiche scritture dell’Archivio di Stato di Napoli, 2 voll., Napoli 1878-1883, I, p. 128.

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vantaggi fiscali di varia natura e insolita rilevanza100. Con il trasferi-mento di una parte della gestione amministrativa alle rappresentanzelocali lo spirito del governo era profondamente mutato e il nuovoorientamento politico della monarchia finiva per agire, soprattutto,sulla coscienza collettiva, sollecitando dinamiche di classe moltoforti e producendo la formazione di nuovi equilibri sociali. Taliistanze, che avevano portato all’aperta ribellione della città all’autoritàdi Federico II nel 1232, suggerendo come «l’intera vicenda possa spie-garsi con il rifiuto, da parte di universitates grandi e piccole, del nuovotesto legislativo, del quale si temevano le forti valenze accentratricie limitatrici di pretese libertà»101, avrebbero anche determinato nel1266 la pronta adesione di Messina agli Angioini, dai quali si era certidi ottenere ampi spazi di autonomia amministrativa.

Carlo I d’Angiò, oltre ad accordare a Messina la facoltà di eleg-gere judices e magistri iurati e ai cittadini quella di intervenire nellanomina dei comites tramite referenze scritte (licterae testimonia-les)102, delegò atti che prevedevano un concorso elettivo della univer-sitas civium, come quelli pertinenti la ripartizione delle collette or-dinarie (subventiones) e la custodia di uno dei registri da parte di unproboviro (fidelis vir) eletto col concorso «communis universitatis ip-sius»103, della distribuzione della nuova moneta (novi denarii) della

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104 R.A. VIII, p. 96; X, p. 60; XIV, p. 60.105 TRAMONTANA, Gli anni del Vespro, cit., p. 17.106 R.A. II, p. 93.107 Ivi, pp. 149 e 163.108 R.A. VI, p. 151; VIII, p. 149.109 R.A. IX, p. 287 e I Privilegi di Messina e di Trapani, cit., p. 36.110 R.A. VI, p. 318.111 R.A. VIII, pp. 136 e 264; X, p. 66.

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gestione di incarichi doganali, servizi di guardia, manutenzione distrutture difensive, e così via104.

Non è un caso che Messina rimanesse sostanzialmente schieratacon gli Angiò durante la rivolta del 1267-1268105, sebbene un atto del1269 informi che nel centro peloritano, nel corso della rivolta, si eranomanifestate aperte ribellioni da parte di baroni, milites e burgenses –dai livelli sociali più alti, quindi, a quelli più bassi –, «nec non et ter-rarum et bonorum suorum»106. In effetti i facinorosi furono perdonatida Carlo107 e per i cittadini messinesi si aprì una felice stagione di pri-vilegi doganali, provisiones relative al possesso di beni immobili e al-tri vantaggi108. Nel febbraio 1272, ad esempio, una norma interdivaa Messina l’importazione di vino, determinando il rincaro del prodottolocale e prospettando un’allettante speculazione per gli operatori delsettore109; con lo stesso atto l’Angioino, reputando i cittadini di Mes-sina sinceramente devoti e fedeli, «liberaliter eis – reddit – ad bene-ficia et ad gratias liberales», concedendo il prestigioso privilegio della“Galea Rossa”110. Infine, il commercio locale venne tutelato pure dallaconcessione regia all’adozione del rotolo comune (33 onze e 1/3),«quod in cunctis Regni partibus observatur», in sostituzione di quellotradizionalmente usato nel territorio messinese (30 onze) e che, in basea quanto esposto dagli ambaxatores, determinava un «preiudiciumdicte civitatis»111. Il prestigio di Messina e il benessere diffuso dei suoihabitatores, come peraltro suggerisce la vicenda delle leggi suntuariedi cui si dirà in seguito, crebbe rapidamente negli anni Settanta e unaspia chiara di tale crescita emerge dalle ripartizioni degli oneri pre-disposti dal vicario dell’isola per l’armamento della flotta, dove Mes-sina, il 16 marzo 1276, venne chiamata a partecipare con un contributo

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112 R.A. XIII, p. 105. Nel luglio 1274 lo stratigoto peloritano era impegnato nell’ar-mamento di tre galeoni e due galee per vigilare la zona del Faro (R.A. XI, p. 236).113 Nel corso del 1271 l’Angioino ordinava ai suoi ufficiali provinciali «ne ambaxia-

tores civitatis Messane molestentur pro homicidiis clandestinis, propter multitudinemadvenarum, qui a diversis mundis partibus in eandem civitatem, quasi in centro positam,confluunt» R.A. VIII, 135.

114 Sulla politica urbana di Carlo d’Angiò e, in particolare, sull’esempio messinese,si veda CATALIOTO, Terre, baroni e città, cit., pp. 179-249.115 A. ROMANO, “Legum doctores” e cultura giuridica nella Sicilia aragonese, Mi-lano 1984, pp. 9, 28 e 46.

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ben più alto rispetto a quello imposto alle altre sedi siciliane (7 galeedi fronte a 4 per Palermo con Termini, 1 sola per Catania con Augusta,e così via)112. L’attività dei cantieri messinesi si intensificò, sia per ga-rantire all’Angioino un serrato collegamento con le coste africane ei centri tirrenici, sia per fornire le imbarcazioni necessarie alla difesadelle rotte nel settore orientale del Mediterraneo, mentre Messina bru-licava di ogni sorta di visitatores non sempre graditi, ma testimoni co-munque di un dinamismo commerciale diffuso presso tutti gli stratidella società113.

Fra il Duecento e il Trecento, quindi, le dinamiche sociali produs-sero a Messina il consolidamento del ceto mediano e la promozionedi una casta di burgenses-giuristi professionalmente legati aimeliorese ad essi vicini culturalmente114. Grazie agli ampi margini di autonomiaconcessi da Carlo d’Angiò alle comunità urbane del Regnum Siciliae,a Messina si andò costituendo una potente e inconsueta élite locale,cioè un’oligarchia urbana guidata da intraprendenti mercanti-burocratilegati a famiglie rapidamente arricchitesi attraverso i commerci e la ge-stione in gabella di molti uffici, che era adesso protesa alla conquistadel cingolo militare perché fosse sanzionato anche il prestigio sociale.Ma, nel lungo termine, la fortuna della compagine mediana sarebbe di-pesa in larga misura dal ruolo esclusivo di detentori della cultura deisuoi esponenti e l’esercizio dell’attività giuridica si mostrò sicura viadi ascesa sociale soprattutto a Messina, in questo senso il centro piùprestigioso del regno dopo Napoli, presso la cui scuola, «l’unica sedefrequentata dai siciliani dal 1224 al 1282»115, si erano sicuramente for-

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116 R.A. I, pp. 55, 58; VI, pp. 4, 119, 330, 331; X, p. 231; XIII, p. 139; GALLO, Gliannali, cit., vol. II, pp. 94, 98, 100, 110, 113. Cfr. anche G. DEL GIUDICE, Bartolomeoda Neocastro, Francesco Longobardo, Rinaldo de Limogiis giudici in Messina, in «Ar-chivio Storico per le Province Napoletane», 12, 1887, p. 273.

117 R.A. XIX, p. 63.118 R.A. II, p. 30; III, p. 62; V, pp. 92, 119 e 120; VI, pp. 171, 193 e 213; VIII, pp.64, 66, 67, 70; X, p. 93; XI, p. 132; XIII, pp. 16, 30, 131 e 193; XIII, p. 72; XV, p. 44;XV, p. 26; XVIII, p. 3.

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mati molti giuristi che operarono a Messina in qualità di judices o diadvocati, quali Natale e Pietro Ansalone, Donadeo Bove, Grifaldo Ca-muglia, Giaimo Capello, Alemanno Cepulla, Nicolò Chicaro, FerrerioCisterna, Guido delle Colonne, Cataldo Grifo, Rinaldo de Limogiis,Francesco Longobardo, Giovanni Maniscalco, Peregrino de Maraldo,Giovanni Rizzari, Giovanni de Rubeo, Santoro de Salvo, Nicolò Sa-porito, Giovanni della Scaletta e molti altri116.

Fra le attività cui si dedicarono i membri del ceto dirigente urbano,iter e strumento della loro promozione sociale, vi furono quindi quelleconnesse all’appalto ad cabellam di uffici pubblici (arsenale, dogana,fondaci, macelli, officium rationum, portolanato, secrezia, zecca), equelle connesse all’esercizio di incarichi giuridici e notarili, per il cuiespletamento era d’obbligo disporre di una consolidata conoscenza deldiritto. Questa dinamica sociale allarmò Carlo d’Angiò, che alla fine de-gli anni Settanta infittì il controllo del potere centrale sull’attività deiporti siciliani e il 22 luglio 1278 sancì che nello scalo di Messina nonvi fossero più di tre portolani, uno dei quali eletto dalla curia e di originetransalpina, i restanti nominati rispettivamente da parte del vicarioregio e deimagistri procuratores117. E come ulteriore contrappeso allapresenza di famiglie egemoni locali, Carlo d’Angiò avrebbe quindi in-coraggiato nel centro peloritano l’attività di un nutrito gruppo di affaristie mercanti stranieri, non solo marsigliesi e nizzardi, ma pure amalfitani,fiorentini, pisani, pugliesi, senesi, sorrentini, veneti e, dopo gli accordidi pace raggiunti con Genova, anche liguri, i quali ottennero beni im-mobili – case, fondaci, logge, franchigie, immunità – e tassi assai con-venienti sui diritti doganali delle merci esportate ( jus exiturae)118.

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119 R.A. II, pp. 136, 226; IV, pp. 99, 111, 153, 173; V, pp. 73, 89, 200, 233; VI, pp.85, 116, 166, 192, 255, 328; VII, pp. 12, 22, 99, 197, 234; X, p. 17; XIII, pp. 59, 72; XIV,pp. 20, 36, 39, 71, 111, 115; XV, p. 20; XVI, p. 146; XIX, pp. 21, 117, 223; XX, pp. 222,249, 265; XXI, pp. 14, 24, 171, 180, 226, 240, 258, 263, 271, 275, 279, 281, 282, 284,291, 292, 294, 295, 296, 299, 303, 313; XXII, pp. 89, 93, 115, 127,157, 158, 164, 169;XXIII, pp. 126, 265, 298, 303; XXIV, pp. 29, 106; XXV, pp. 17, 80, 105, 189.120 R.A. XIV, p. 36; XXII, p. 123. In un atto del 1278, ma che si riferisce a certi benioccupati illecitamente nel corso dei primi anni Settanta da Nicolò e Matteo de Riso, èmenzionato Bartolomeo Rogadeo come ex titolare di un patrimonio feudale (R.A. XXI,p. 260).

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Sarebbe interessante offrire una lettura più approfondita delle vi-cende relative alle famiglie immigrate dal regnum peninsulare nelle fasidel consolidamento monarchico e pienamente integrate nel tessuto so-ciale di Messina, tra le cui maglie si espressero negli anni Settanta bu-rocrati-mercanti e giurisperiti protesi verso la nobilitazione. Ma bastiqui citare, tra i più rappresentativi appaltatori di uffici, alcuni membridi famiglie originarie diAversa, Ravello, Scala, Telese e di molti centridella Puglia, quali Bartolomeo e Leone Acconzagioco; Madio, Orso eStefano d’Afflitto; Pietro e Tancredi d’Alessio;Andrea e Rinaldo de Bo-nito; Bisanzio e Goffredo Bucchinarro; Costanzo Cadirola; Bartolomeo,Bonaventura e Giovanni Cataldo; Aldoino e Tommaso Caziolo; Fede-rico e Riccardo de Falcone (Virgiliis); Giovanni Laconia; Guglielmo eLeone de Pando; Bartolomeo e Giacomo Sasso; Costantino, Francescoe Palio Spina; Matteo e Pescarolo da Trani; Nicolò Trara119. Un discorsoa parte, in effetti, andrebbe fatto per alcuni casati che espressero tra ipropri componenti affaristi, judices, notarii e terrerii, inseriti a tutti i li-velli della struttura burocratica, come le famiglie d’Alessio, de Bello,de Falcone o Virgiliis, de Maraldo, de Riso, Rogadeo e Rufolo120.

Un’attenzione particolare merita la casta dei iurisperiti, la cui pre-senza appariva indispensabile all’economia di un’amministrazionespiccatamente burocratica come quella peloritana, avviata verso unarapida ascesa sociale che, dopo gli stravolgimenti del Vespro,l’avrebbe portata all’identificazione con i milites attraverso una fasedi ricerca antagonistica di supremazia politica. Le figure più rappre-sentative del nuovo ceto di giuristi si formarono tecnicamente pressola sede messinese, dove furono attivi in età angioina diversi judices

Luciano Catalioto

121 CATALIOTO, Terre, baroni e città, cit., pp. 122 sgg.122 R.A. I, p. 58 e VI, p. 330; GALLO, Gli annali, cit., pp. 105, 110 e 191. Nella con-duzione della vita urbana siciliana emersero diversi altri cittadini peloritani, quali Or-lando de Amicis, Natale Ansalone iunior, Pietro, Rinaldo e Ruggero Bonifacio, BernardoCoppola, Pietro Francisci, Costantino de Gramatico, Giovanni Guercio, Bartolomeo ePasquale de Marino, Ruggero Mastrangelo, Baldovino Mussone, Pulcherio Pisano, Fran-cesco e Riccardo de Pulcaro, Giacomo Saladino, Bartolomeo Salimpipi, Giordano deSaraceno, Nicolò Tallavia. Si veda R.A. II, p. 90; III, p. 258; V, p. 89; VI, pp. 42, 192,202, 254, 255; VII, pp. 22, 209, 226; VIII, p. 167; X, pp. 23, 53, 60; XIV, pp. 36, 71; XV,p. 25; XIX, p. 200; XX, pp. 226, 256; XXI, pp. 172, 179, 191, 275, 281, 300, 311, 327;XXII, pp. 123, 127, 169; XXIII, p. 292; XXIV, pp. 29, 155; XXV, pp. 17, 189; GALLO,

Gli annali, cit., vol. II, p. 113. Figlio dell’omonimo messinese, Natale Ansalone fu zec-chiere nella Città dello Stretto fra il 1278 ed il 1279, insieme al concittadino Baldo deRiso, al palermitano Giacomo Sasso ed allo scalense Orso d’Afflitto, succedendo al pa-lermitano Nicolò de Ebdemonia e ai peloritani Rinaldo de Bonito e Matteo de Riso (R.A.XXI, pp. 271, 292, 294, 295 e XXIII, p. 303). Di notevole interesse è un documento checontiene l’ordine di battere novi denarii diretto agli zecchieri di Messina il 23 giugno1279: in esso compaiono dettagliate istruzioni sulla tenuta dei nuovi carlini ed è possibiletrarre un’utile tabella di cambio che ci consenta di rapportarne il valore a quello dei mar-chi veneti emigliaresi, delle sterline d’argento, dei tornesi di Angiò, di Clarenza, di Poi-tiers, provenzali e toscani (R.A. XXI, p. 18 e, in francese, p. 226).123 «Fino a tutto il secolo decimoquarto i notai usavano stipulare all’aperto. In generesi preferiva la piazza maggiore, dove si teneva il mercato e dove si davano abitualmenteconvegno i commercianti» (A. LEONE, Il notaio nella società del Quattrocento meridio-

nale, Salerno 1979, p. 8).

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locali che, formati nell’ultima età sveva, ottennero dal sovrano an-gioino la licentia exercendi advocationis121. Il già noto Guido delleColonne, ad esempio, judex Messanae nel 1266, nel comprensorio pe-loritano avrebbe esercitato l’avvocatura all’inizio del 1270 prima dientrare a far parte della corte stratigoziale nel 1272, e percorsi ana-loghi seguirono le carriere dei giudici Simone de Burgundo, FrancescoLongobardo e Bartolomeo da Neocastro122.

In strettissima relazione con le pratiche commerciali della città sisvolse l’attività dei notarii, i cui atti rivestono un’enorme importanzaper un’obiettiva e attendibile ricostruzione della società, rappresen-tando il termometro dei livelli di sviluppo economico dei ceti produt-tivi e chiarendo i termini del singolare rapporto notaio-mercante in-staurato nella sede messinese. La sua attività si svolgeva talvolta nellapubblica piazza, come stipulatore di transazioni private123, oppure, con

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124 A questo riguardo si veda TRIFONE, La legislazione, cit., p. IL.125 R.A. II, 86; VI, p. 327; VIII, pp. 68, 71, 74; IX, p. 42.126 Bartolomeo de Marino, insediato il 20 febbraio 1270 come notaio regio presso lacorte stratigoziale di Messina, cinque anni dopo avrebbe svolto le stesse mansioni pressoil giustiziere di Terra di Lavoro e Contea di Molise (R.A. III, p. 258; XII, p. 61); Pasqualede Marino nel 1270 era notaio in sicla Messane e nel 1276 avrebbe ottenuto un feudonella Piana di Milazzo (R.A. VI, p. 254 e XIII, p. 38). E poi ancora i cives Messane Gu-glielmo de Assinchio, Costantino di Cumia, Stefano di Messina, Giovanni de Nicoloso,Stefano de Tacca (R.A. I, p. 43; V, p. 255; VI, pp. 169, 170, 327; VII, p. 211; VIII, pp.64, 75, 135; XIII, p. 20; XV, p. 50; XIX, p. 175).

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la qualifica di funzionario regio, all’interno dei fondaci, dei macelli,dei portolanati e delle secrezie, degli uffici doganali e di quelli ratio-num. I rogatori di atti pubblici, che svolgevano mansioni di segreteriao di cancelleria, oltre ad avere l’obbligo di rispondere a precisi requi-siti ed essere sempre idonei all’incarico, incorruptibiles e fideles124,dovevano essere dotati di una solida preparazione in campo giuridicoe legislativo, simile a quella dei judices, per la cui preparazionetecnica il centro dello Stretto si presentava come il più prestigiosodopo quello partenopeo. Non sorprende, pertanto, il fatto che largaparte dei pubblici attuari impegnati in tutte le attività dei centri isolanifosse di origine messinese o, comunque, da lunga data insediata nellaCittà dello Stretto, presso la quale aveva avuto modo di formarsi e poidi ricoprire incarichi regi presso la dogana o il fondaco, come Gu-glielmo Fabro di Radario, il salernitano Matteo Manganario, Gu-glielmo di Piacenza, Guiduccio Tarabotta e altri125.

Fra le figure emergenti della compagine notarile locale, impegnatenella prima metà degli anni Settanta presso le strutture amministra-tive e finanziarie di Messina, alcune avrebbero successivamente ot-tenuto la concessione di beni feudali nello stesso distretto in cui eser-citavano l’ufficio, altre beneficiarono di prestigiosi incarichi in altrigiustizierati, come nel caso dei membri delle famiglie Calvaroso, deMagistro, Marcabei, de Marino, Ruffo126. Di molti altri notai sicilianiabbiamo notizia attraverso gli atti della cancelleria angioina, basti os-servare che nel territorio peloritano, durante il solo biennio 1270-

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127 R.A. V, p. 141.128 ROMANO, “Legum doctores”, cit., p. 45.129 Pellegrino de Maraldo fu iudex Messane, vicesecreto, maestro procuratore e por-tolano (R.A. VIII, p. 73; X, p. 23); della famiglia de Bello, la cui attività venne svoltaquasi esclusivamente nell’ambito della città di Messina, Bellonio fu actorum notarius(R.A. IV, p. 109; VII, pp. 22 e 192; XII, pp. 16, 202), Aliprando e Donadeo notarii campi

Messanae (R.A. IV, p. 164), e, attestando l’esercizio di un vero e proprio monopolio,Giovannino fu notarii buczetti (R.A. VII, p. 211 e VIII, p. 66) e successivamente appal-tava la carica di secretus Siciliae (R.A. IX, p. 42).

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1272, ottennero l’autorizzazione all’esercizio della professione circacinquanta rogatori127.

Su alcuni rappresentativi membri della casta notarile siciliana sa-rebbe necessario soffermarsi con maggiore riguardo, vista l’enormeincidenza che le rispettive famiglie esercitarono sulle dinamiche so-ciali in rapida evoluzione presso la Città del Faro. È a tal riguardoindicativo il fatto che alcune di queste congreghe familiari, sebbenein età aragonese il ruolo esclusivo di detentori della cultura giuridicaentrasse in crisi con l’allargarsi della cultura stessa e il diffondersidei juris doctores, continuarono ad esercitare un concreto potere po-litico sin oltre il tramonto della monarchia angioina, anche quandola funzione dei notai «lentamente viene meno, sino a limitarsi aquella di estensori dell’atto giuridico e garanti della sua forma e au-tenticità»128. La fortuna dei de Riso, de Maraldo e de Bello, dotatiall’origine della loro ascesa sociale di ingenti disponibilità finanzia-rie accantonate attraverso una pratica accorta della mercatura, pog-giò sulla loro presenza diffusa in tutti i centri del potere, tanto ai ver-tici della pubblica amministrazione che in seno all’apparatogiuridico129. In questo senso, quello dei de Riso appare il gruppo fa-miliare più idoneo a rappresentare, con una certa completezza di sfu-mature, la facies sociale e le tendenze del ceto mediano messinesein età angioina, soprattutto attraverso l’azione del milesMatteo, chesi affacciò alla vita amministrativa della città falcata nel settembre1269, con l’incarico di nauclerius (protontino), e scalò rapidamentei vertici della milizia e quelli dell’apparato burocratico, sino alla ca-rica di maestro portolano e procuratore, cavalcando con spregiudi-

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130 R.A. V, pp. 102, 106, 132.131 Si veda PISPISA,Messina medievale. Uno sguardo, cit., p. 204 e ID.,Messina nel

Trecento, cit., passim.132 Ivi, p. 28.

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catezza contingenti necessità belliche e obblighi diplomatico-com-merciali della monarchia130.

Al tragico epilogo della famiglia de Riso, sopravvenuto nel corsodella rivolta del 1282, corrisponde la diversa sorte di molte altre figureemergenti del centro messinese, le quali, adattandosi alla nuova realtàe aderendo agli Aragonesi, continuarono ad esercitare la propriacarica e ad occupare un posto di primo piano in seno alla nuova so-cietà cittadina, accanto a quegli elementi del ceto nobiliare-urbano cheadesso potevano rivendicare un ruolo dirigenziale e consolidare il pro-prio potere. Ma l’esclusione dalla gestione del potere del forte casatomessinese, attuata attraverso l’eliminazione fisica dei suoi componenti(Matteo, Giacomo e Baldo de Riso) o il loro esilio, denuncia innanzitutto la presenza di forti tensioni all’interno della compagine medianadel centro peloritano e l’esistenza di una lotta sotterranea. Questo con-fronto, tuttavia, non avrebbe causato un azzeramento dei ceti dirigenti,né un radicale rovesciamento dei rapporti di potere interni alla uni-versitas, ma avrebbe lasciato emergere, accanto ai gruppi consolidatidi mercanti-burocrati e uomini di legge, un’agguerrita schiera digrandi e piccoli feudatari, dai quali sarebbe emersa una singolare no-biltà che sarebbe più appropriato definire “patriziato urbano”131.

Il gruppo deimilites, infatti, non sarebbe riuscito a conquistare unospazio rilevante ai vertici della società peloritana prima del Vespro,momento che avrebbe siglato la loro concreta rivalsa sui ceti medianidietro la spinta di Alaimo da Lentini, sebbene la casta feudale, cui nonconveniva rinunciare alla cultura tecnico-giuridica propria deimelio-res, mirasse piuttosto ad un’alleanza con l’apparato burocratico e simostrasse pure disposta ad accettare un’osmosi fra le due compa-gini132. Tanto più che i meliores civium, che avevano il diritto dieleggere gli acatapani, potenziarono le proprie attribuzioni a partiredalla metà degli anni Settanta del Duecento, quando si arrogarono gra-

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133 Utile al riguardo GENUARDI, Il comune, cit., pp. 186 e 200 sgg., il quale osservacome in quasi tutte le città siciliane, durante il regno aragonese, fosse attivo l’ufficiodella acatapania, retto dagli acatapani o maestri di piazza che derivavano dai giuratipreposti ai mercati nell’età di Federico II.134 MARTINO, «Messana nobilis Siciliae caput», cit., p. 347. Il testo relativo alle leggisuntuarie emanate per Messina il 16 giugno 1272 è integralmente riportato in R.A. VIII,p. 185 e IX, p. 290; l’applicazione di uno statuto suntuario super moderandis dotibus et

cohercendo mulierum ornata venne confermata, dietro richiesta di alcuni cittadini mes-sinesi presentatisi alla curia in qualità di ambaxatores e syndaci, allo stratigoto del centropeloritano il 30 aprile 1273 (R.A. X, p. 63). Si veda, inoltre, G. DEL GIUDICE,Una leggesuntuaria inedita del 1290, Napoli 1887, p. 162.

135 Cfr. E. PISPISA, Il baronaggio siciliano nel Trecento: uno sguardo d’insieme, inID.,Medioevo meridionale, cit., pp. 243-61; S. TRAMONTANA,Michele da Piazza e il po-tere baronale in Sicilia, Messina-Firenze 1963; E. MAZZARESE FARDELLA, L’aristocraziasiciliana nel secolo XIV e i suoi rapporti con le città demaniali: alla ricerca del potere,in Aristocrazia cittadina e ceti popolari nel tardo Medioevo in Italia e in Germania, acura di R. ELZE – G. FASOLI, Bologna 1984, pp. 177-93.

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dualmente anche il privilegio di nominare i membri della iuratia, lecui funzioni si sarebbero sovrapposte a quelle dei primi, tanto da in-durre Federico III, nel 1311, a vietare ai giurati di assumere, sicut ac-tenus, l’ufficio di acatapano133. D’altra parte, sino a tutto il XIIIsecolo, nel processo formativo della nuova élite e nell’azione politicacondotta dalla universitas Messanae, il ruolo di gruppi cittadini situatinei più bassi gradini della scala sociale, i populares, fu decisamentemarginale, mentre la conferma da parte del sovrano di alcuni statutisuntuari e la loro successiva revoca testimonierebbe l’incontro-scontro fra burgenses e nobili, i quali si sarebbero alternati nella guidadell’amministrazione locale e avrebbero proiettato nei successivi de-cenni precisi «modelli comportamentali a fini politici»134.

L’età aragonese (1282-1479)A partire dal 1282 Messina fu quasi ininterrottamente dominata da

grandi baroni135. Ai vertici si pose dapprima Alaimo da Lentini, chelarga parte aveva avuto nelle vicende del Vespro, poi, fino al 1354, do-minarono i Palizzi, quindi Enrico Rosso controllò il centro peloritano

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136 Si vedano le osservazioni di Federico Martino a proposito della composizionedegli iudices a Messina tra il Vespro ed i primi anni del Trecento, dove risulta che quattrofamiglie attingono la militia tramite l’esercizio di cariche amministrative: MARTINO,«Messana nobilis Siciliae caput», cit., p. 355.

137 CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol. I, n. 106, pp. 232-35; vol. II, n. 180, pp. 152-58; n. 192, pp. 191-93; n. 197, pp. 209-14; n. 221, pp. 292-96; n. 222, pp. 296-300; n.231, pp. 325-30; nn. 254-55, pp. 406-13.138 Ivi, pp. 120 sgg.

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ad intervalli irregolari fino al 1375 e, infine, esercitarono la loro in-fluenza per tutti gli anni Ottanta gli Alagona. I milites, da parte loro,oltre lo sfruttamento di modeste proprietà in città e nel territorio cir-costante, curarono principalmente insieme aimeliores la gestione de-gli uffici e operazioni speculative, come l’appalto di gabelle, attivitàdi cambio e di prestito, vari generi di traffici. Questo gruppo compo-sito, prima di realizzare una piena osmosi, avrebbe raggiunto uncerto equilibrio di potere, giacché, se è vero che i milites, forti dellaloro competenza tecnico-giuridica acquisita già nel periodo angioino,ebbero la preminenza all’interno della curia stratigoziale, è molto pro-babile che, da parte loro, i meliores finissero per esercitare un vero eproprio monopolio nell’ambito della giurazia. Inoltre, occorre osser-vare che anche i milites privi di consistenti beni terrieri acquistaronoprestigio, in virtù della loro cultura giuridica, e la compagine dirigentevide così il prevalere al suo interno dei cavalieri; ma d’altra parte, aiburgenses fu possibile l’accesso al cavalierato, quando adeguatamentesostenuti dalle proprie disponibilità finanziarie e muniti anche lorodella necessaria preparazione culturale136.

Nella vita economica messinese erano presenti altri gruppi socialiche comprendevano magistri, medici ed agricoltori137, ma soprattuttopiccoli trafficanti incalzati dalla vivace espansione degli appetiti dimi-lites emeliores, e artigiani che seppero approfittare della notevole cir-colazione di denaro per assumere importanti commesse138. Tutto ciòcomportò una diversa distribuzione della ricchezza e, di conseguenza,un accentuato dinamismo delle proprietà immobiliari e terriere a Mes-sina e nel suo distretto. Questi cambiamenti danno la misura del-l’evoluzione economica e sociale del centro peloritano, mostrando una

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139 CATALIOTO, Terre, baroni e città, cit., cap. II. e passim.140 CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol. II, nn. 233 e 244, pp. 335-40 e 374-78.141 Ivi, vol. II, nn. 146, 154, 191,193-96, 201, 202, 206-8, 210, 212, 213, 215, 225,227, 228, pp. 43-46, 76-79, 188-91, 194-208, 223-28, 237-51, 254-57, 260-67, 272-75,307-9, 312-19.142 PISPISA, Messina nel Trecento, cit., pp. 5 sgg.143 CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol. I, n. 110, pp. 242-46; vol. II, n. 173, pp. 132-4; n. 176, pp. 140-42; n. 184, pp. 165-68; n. 187, pp. 174-77; n. 204, pp. 231-34; n. 249,pp. 393-96.144 Ivi, n. 145, pp. 40-43.

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società in movimento nella quale, accanto ad influenti benestanti, vi-vevano piccoli proprietari molto attivi nel tenimento peloritano, la cuifisionomia aveva assunto forma durante la breve stagione angioina, ca-ratterizzata dalla messa a coltura di terrae vacuae e da una massicciaridistribuzione di beni confiscati ai proditores regni139.Appaiono signi-ficative, per delineare l’andamento dell’economia e della dialettica so-ciale a Messina nel corso del Trecento, le testimonianze relative allefiumare e alle altre terre del tenimento peloritano, come quelle di Af-tilia, Camaro e Cataratti, San Filippo il Grande, le contrade di Cumia,Mili, Salice, San Giacomo, Santa Maria Annunziata e Santa Maria deScalis140. Interessante osservatorio è costituito, in particolare, dal Ter-ritorio del Faro, dove molti documenti tratti dal tabulario di Santa Ma-ria di Malfinò, oltre ad attestare la presenza del notaio Nicolò de Gre-gorio, del milite Bonfiglio Longobardo, dei Palizzi e di Nicoloso deRiso, rivelano pure la presenza di altri personaggi, come il mercanteRuggero Aceto, sicché si può osservare che l’accaparramento di beniterrieri interessò anche i commercianti, oltre che i nobili e i burocrati141.

In questo senso, la rapida ascesa di milites e burocrati, sostenutidalla politica di Pietro III, Giacomo II e Federico III142, prospettal’impetuoso incremento delle proprietà di nobili, amministratori, finan-zieri e altri personaggi di cui non è possibile definire le attività, ma cheprobabilmente erano in gran parte affaristi e mercanti143. Significativaappare, ad esempio, la presenza del milite Grassotto Grasso insiemeal fratello Bonino in un notevole giro finanziario di 450 fiorini, con-dotto nel 1308 con i Peruzzi e certi mercanti marsigliesi144, comeanche il fatto che gli judices fossero regolarmente coinvolti nelle tran-

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145 È il caso, tra gli altri, di Bartolomeo Peregrino: CICCARELLI, Il tabulario, cit., vol.I, n. 186, pp. 172-74 e n. 219, pp. 287-88.146 Ivi, n. 203, pp. 229-31.147 Ivi, n. 141, pp. 28-32.148 Ivi, vol. I, nn. 116 sgg., 117, 121, 124-126, 128, 132, pp. 260-63, 264-69, 279-81,289-304, 308-11, 324-27; II, nn. 137, 144, 147, 149, 163, 170, 172,188, 217, 247 e 248,pp. 17-20, 37-40, 47-50, 56-61, 105-10, 120-23, 127-31, 178-82, 278-82, 386-93.149 E. PISPISA, Economia e società a Messina nell’età di Federico III, in ID.,Medioevo

fridericiano, cit., pp. 251-64. M.G. MILITI – C.M. RUGOLO, Per una storia del patriziatocittadino in Messina (problemi e ricerche sul secolo XV), in «Archivio Storico Messi-nese», XXIII-XXV, 1972-1974, p. 119.

150 Si veda C. SALVO, Una realtà urbana nella Sicilia medievale. La società messi-nese dal Vespro ai Martini, Roma 1997, passim.

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sazioni145, i meliores, oltre a collaborare con i milites nel commercio,finanziassero altri trafficanti146 e i notarii si dedicassero pure al finan-ziamento degli artigiani147. Tra gli intraprendenti uomini d’affari emer-genti a partire dagli anni di Federico III, figurarono i fratelli Nicolò eFilippo de Adam, Bartolomeo de Arcudio, il milite Nicoloso de Bri-gnali, il notaio Giacomo Marchesano, Simone de Pachi, Perrone Pi-stelli, Bentivegna di San Bartolomeo e altri148. Ma, dopo la successionedi Pietro II, le cose sarebbero cambiate e la lunga guerra tra le parzialitàbaronali avrebbe sottratto a Messina gran parte del suo dominio sulmercato regionale, conducendo ad una grave crisi i medi e piccoli mer-canti. I nobili-burocrati, con l’appoggio del re e dei Palizzi sino al 1354,avrebbero comunque continuato a prosperare grazie alla monocolturagranaria impiantata nei loro feudi ubicati in Val di Noto e all’amplia-mento dei propri beni terrieri presso Messina, che avrebbero consentitoloro di controllare stabilmente il mercato alimentare cittadino149.

In definitiva, dall’età di Federico III fino all’arrivo dei Martini i ver-tici amministrativi della città furono occupati dapprima da un gruppoegemone poco omogeneo, distinto al suo interno in virtù del prestigiosociale determinato dal cingolo militare, che comprendeva milites,ma-iores e meliores. Ma nei decenni successivi la fusione dei vari gruppiposti ai vertici amministrativi ed economici avrebbe dato vita a quelparticolare ceto che, come si è detto, appare corretto definire patriziatourbano150. Questo ceto dirigente si costruì lentamente un patrimonio

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151 S.R. EPSTEIN, An Island for itself. Economic development and social change inlate medieval Sicily, Cambridge 1992, pp. 250 sgg. (trad. it.: Potere e mercati in Sicilia.Secoli XIII-XVI, Torino 1996, da cui si cita).

152 PISPISA, Messina medievale. Uno sguardo, cit. p. 204.153 ID.,Messina nel Trecento, cit., pp. 5-37 e passim; ID., Stratificazione sociale, cit.,pp. 388 sgg.; TRAMONTANA,Michele da Piazza, cit., pp. 256 sgg.; C. TRASSELLI, Note per

la storia dei banchi in Sicilia nel XIV secolo, Palermo 1958, pp. 63 sgg.

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terriero nella Sicilia del grano e si dedicò al commercio, soprattutto –sostiene Stephan Epstein151 – a quello regionale, lungo le sponde ca-labresi sino alla perdita del suo controllo nel 1350, quindi indirizzatoverso la stessa Sicilia. La costituzione del patriziato urbano nella Cittàdello Stretto può essere considerata un fenomeno di lungo termine, dalmomento che, come ha osservato Enrico Pispisa, il patriziato stesso «siformò, dopo l’incubazione di un secolo, tra la fine del Trecento e l’ini-zio del Quattrocento e dominò, con alterne vicende, Messina fino al-l’inizio del Cinquecento, quando i populares entrarono stabilmente nelceto dirigente»152. In effetti un momento fondante è costituito dalla de-cisione di Federico III di escludere dagli uffici civili la nobiltà feudale,offrendo così ai meliores civium il potere di scegliere i funzionari cit-tadini e la possibilità di sottrarre autorità allo stratigoto e alla sua curia.I sei giurati eletti ogni anno daimeliores, in sostanza, finirono per con-trollare tutti gli aspetti amministrativi, relativi alle finanze e ai com-merci, mentre le questioni militari e di amministrazione della giustiziacostituirono le competenze specifiche dello stratigoto.

Tuttavia, l’osmosi tra milites e meliores si realizzò anche grazieall’opera di mediazione dei Palizzi, che durante la loro lunga egemo-nia (esercitata sino al 1354 da Matteo, Nicolò, Damiano senior, Da-miano junior e Vinciguerra), controllarono l’economia locale con l’ap-poggio non sempre limpido di grossi mercanti genovesi, come iDoria e, successivamente, i Lercaro153. Il potere dei Palizzi resistetteai tentativi di ristabilire il controllo centrale effettuati dal duca Gio-vanni di Randazzo, e uscì indenne dalla rivolta messinese del 1342,ma non dalla peste nera che si abbatté pesantemente su Messina. Neglianni successivi, il potere di un altro feudatario emergente, EnricoRosso, venne arginato dall’élite peloritana che operò in accordo con

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154 Un quadro esaustivo delle vicende politiche, economiche e sociali dell’isola frail Trecento e il Quattrocento è offerto, tra gli altri, da F. GIUNTA, La Sicilia angioino-ara-gonese, Vicenza 1961; ID., Aragonesi e catalani nel Mediterraneo, vol. I, Palermo 1953;V. D’ALESSANDRO, Politica e società nella Sicilia aragonese, Palermo 1963; I. PERI, LaSicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne (1282/1376), Roma-Bari 1982; ID., Re-staurazione e pacifico stato in Sicilia (1377-1501), Roma-Bari 1988; H. BRESC, Unmonde méditerranéen. Economie et société en Sicile 1300-1450, Palermo 1986; P. COR-RAO, Governare un regno, Napoli 1991; S. FODALE, Scisma ecclesiastico e potere regioin Sicilia, I, Il duca di Montblanc e l’episcopato tra Roma e Avignone (1392-1396), Pa-lermo 1979; ID., Il clero siciliano tra ribellione e fedeltà ai Martini (1392-1398), Pa-lermo 1983.

155 Sull’età martiniana in Sicilia si vedano: R. MOSCATI, Per una storia della Sicilianell’età dei Martini, Messina 1954; PIERI, La storia di Messina, cit., A. BOSCOLO, La po-litica italiana di Martino il Vecchio re d’Aragona, Padova 1962.

156 V. LA MANTIA, Antiche consuetudini delle città di Sicilia, Prefazione di A. RO-MANO, Messina 1993, pp. 1-55.

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grossi mercanti stranieri, causando così un notevole danno finanziarioagli operatori locali e generando uno stato di tensione in seno ai cetiinferiori della società. Questi attriti, comunque, incisero molto pocosugli assetti del potere cittadino, i cui detentori sfruttarono il debolecontrollo degli Aragonesi, impegnati nella lunga ed estenuante Guerradel Vespro, e approfittarono dei torbidi feudali tra parzialità latina ecatalana, che nel 1377 giunsero al compromesso del vicariato aquattro (Alagona, Chiaramonte, Peralta e Ventimiglia), per rafforzarele proprie prerogative154.

Durante il regno dei due Martini (1391-1410) e la breve reggenzadi Bianca di Navarra (1410-1412), Messina, insieme a Palermo e a Ca-tania, giocò un ruolo fondamentale nella strategia della conquista ara-gonese e nelle delicate fasi del suo assestamento155. La nobiltà civicapeloritana, però, ebbe margini di autonomia maggiori rispetto alle altredue sedi dell’isola, perché più svincolata dalla pressione baronale, epoté quindi sostenere il progresso economico della città, di cui si av-vantaggiarono principalmente i ceti mercantili, e alimentare le ambi-zioni municipalistiche che d’ora innanzi avrebbero fatto da sfondo allevicende urbane dell’isola. Per collocare adeguatamente le istanze deiceti messinesi all’interno del processo sociale della universitas, è ne-cessario esaminare, oltre ai testi delle “antiche consuetudini”156, i con-

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157 Capitoli e privilegi di Messina, cit., p. 147.158 E. PISPISA, Messina e i Martini, in ID., Medioevo meridionale, cit., p. 416; il do-cumento è pubblicato alle pp. 429-35.159 Capitoli e privilegi di Messina, cit., p. 147.160 R. CESSI, Venezia e i regni di Napoli e Sicilia nell’ultimo trentennio del sec. XIV,in «Archivio Storico per la Sicilia orientale», 8, 1911, pp. 321 sgg.

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tenuti dei capitoli presentati dalla cittadinanza ai nuovi sovrani tra il1392 e il 1396 per l’approvazione di privilegi che furono prevalente-mente di natura economica157. E in questo senso assumono rilievo leistanze contenute in un documento del 1396, edito recentemente da En-rico Pispisa, che danno la misura del potere contrattuale esercitato daiceti dirigenti peloritani, ma soprattutto lasciano emergere come i rap-porti dialettici e le intese di collaborazione tra Messina e la Corona fos-sero determinati dallo stato di necessità attraversata da quest’ultima nelcorso del proprio consolidamento e, pertanto, «acquistino più il saporedi un ricatto che di semplici richieste»158.

Le richieste formulate nei paragrafi dei capitoli miravano, soprat-tutto, alla tutela dell’economia urbana e al potenziamento del poteremercantile di un ceto che traeva maggiori benefici dalle transazionicommerciali che dagli investimenti terrieri e immobiliari. Sicché, tragli altri, venne sollevato il problema della pirateria, che appare di ma-trice catalana più che saracena; si perseguì, inoltre, l’ampliamento deldistretto e la possibilità di controllare il territorio con funzionari cit-tadini; altri capitoli, infine, miravano al riconoscimento dell’egemoniadi Messina sulle altre città dell’isola e ad allentare il controllo regiosul governo urbano, come quelli relativi alla conferma dello stratigotoe alla regolamentazione degli uffici di acathapani, iudici, iurati e no-tarij actorum, che si chiedeva fossero «annali et chitadini di Mis-sina»159. La città, in effetti, ebbe buon gioco quando si trattò di richie-ste relative allo sviluppo economico e alla tutela commerciale, anchenei casi in cui, allacciando collegamenti diretti con i mercanti vene-ziani, dovette aggirare le resistenze di Martino, che sosteneva gli ope-ratori catalani pur garantendo una certa continuità nei commerci conla Serenissima160. Però, problemi sostanziali tra l’Università peloritana

MESSINA NEI MILLE ANNI DEL MEDIOEVO

161 Esemplare, al riguardo, il fallimento delle ambascerie condotte dai messinesi Ja-copo Castello e Tutio Umano nel corso del 1399: Capitoli e privilegi di Messina, cit., pp.153 sgg. e MOSCATI, Per una storia, cit., pp. 95 sgg.162 PISPISA, Stratificazione sociale, cit., p. 394. Si veda, per un’indagine più estesa,ID., Messina nel Trecento, cit., pp. 335-40.

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e i Martini si presentarono quando Messina chiese la reintegrazione alproprio demanio delle terre usurpate dai baroni, sia catalani sia latini,del cui sostegno la corona non poteva fare a meno161. Tale circostanzalascia emergere delle questioni di fondo, che potremmo individuarenell’inarrestabile crescita del potere baronale, nella lenta involuzionedel potere esercitato dai ceti cittadini emergenti e, soprattutto, in unapolitica regia incline alle concessioni per necessità: Martino il Vecchio,di fatto, nel momento in cui la corona apparve rafforzata da favorevoliesiti in campo internazionale e da un consenso più diffuso nell’isola,non esitò a ritornare sui propri passi e riprese il controllo della Cittàdel Faro tramite una fitta maglia burocratica e l’avvicinamento alleistanze baronali. Alla morte di Martino II, nel 1410, e dopo il declas-samento della Sicilia al rango di viceregno ad opera del nuovo sovranoFerdinando I, Messina sarebbe stata tagliata fuori dall’agone politicoche infiammò l’isola nei torbidi anni della successione e in quelli del-l’assestamento viceregio. Tuttavia, sebbene la fine del regno indipen-dente vanificasse le aspirazioni politiche del patriziato urbano messi-nese, «si schiudeva per l’isola e per la città del Faro una nuova epocaparticolarmente prodiga nei confronti di Messina, che avrebbe rag-giunto posizioni economiche mai attinte prima»162.

Le testimonianze relative allo sviluppo urbanistico di Messinanell’età aragonese, offrono l’immagine di una città in piena espansionedemica (forse 30.000 abitanti), popolata da famiglie emergenti e nu-merosi artigiani e commercianti che diedero nome a rugae e quartieri(argentieri, bottai, calzolai, orefici, setaioli, ecc.) e sotto i Martini frui-rono della fiera, potenziata e regolamentata nel Quattrocento. Lacittà vecchia, compresa tra i torrenti Boccetta e Portalegni e accessi-bile dalle porte Sant’Antonio e Reale, si era ampliata extra moenia giànell’ultima età sveva con la costruzione della chiesa di San Francesco

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163 M.G. MILITI, Vicende urbane e uso dello spazio a Messina nel secolo XV, in«Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina», I, 1983, p 67.164 E. PISPISA, Ceti sociali professioni e mestieri a Messina nel Quattrocento, in ID.,

Medioevo meridionale, cit., p. 440.165 Si veda a questo proposito C.M. RUGOLO, Ceti sociali e lotta per il potere a Mes-

sina nel secolo XV. Il processo a Giovanni Mallono, Messina 1990 e C. TRASSELLI, La«Questione sociale» in Sicilia e la rivolta di Messina del 1464, Palermo 1955.

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d’Assisi, ma la sua crescita disordinata fra XIV e XV secolo, lungo lamagistra ruga – il Dromo ad essa parallelo, le poche piazze che si mo-stravano piuttosto come spazi non edificati e, soprattutto, il porto –, at-testa un’espansione alquanto caotica, connotata da un’edilizia discarso pregio, che puntava sulla funzionalità dell’aggregazione umanae, al di là di pochi esempi di dimora nobiliare, riproponeva una tipo-logia polinucleata attorno ad uno spazio comune che «per la Siciliaè stata anche di derivazione islamica»163.

Un fenomeno molto importante nel Quattrocento messinese, in ef-fetti, è quello della crescita economica, particolarmente vivace e dif-fusa presso tutti i ceti, sostenuta peraltro dall’esercizio di nuove pra-tiche mercantili, come il commercio della seta e dei cannameli, lequali comportarono il flusso continuo di mercanti stranieri di passag-gio lungo la rotta di Levante o delle Fiandre e, soprattutto, l’aperturadei traffici anche agli operatori locali di estrazione popolare. Tale dif-fuso benessere economico, in sostanza, attenuò i contrasti di classe eprodusse un bipolarismo tra due gruppi dominanti, il patriziato e il po-polo, i cui contrasti sono riconducibili esclusivamente alla spartizionedel potere, senza che ne venisse posto in discussione il sistema. Chela natura dello scontro tra gruppi sociali non debba identificarsi conuna lotta di classe è dimostrato da un recente studio, in cui viene pro-posta come chiave interpretativa delle dinamiche sociali nella Messinadel XV secolo un’indagine sulle professioni e sui mestieri (notai, ma-gistrati, giuristi)164. In questa prospettiva è da inquadrare il lungo con-trasto che oppose nobiles, honorabiles emagistri in un confronto, cul-minato nella rivolta di Giovanni Mallono del 1462, che si sarebbestemperato nel secolo successivo165.

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166 PISPISA, Ceti sociali, cit., pp. 443 sgg.167 S. TRAMONTANA, Antonello e la sua città, Palermo 1991. Preziose indicazionisono contenute in un recente intervento non ancora edito dello storico messinese, dal ti-tolo Antonello da Messina: i luoghi, il lavoro, la mentalità, in occasione di una giornatadi studio su “Antonello da Messina e l’attività di Cesare Brandi in Sicilia” svoltasi aMessina il 26 settembre 2006 nell’ambito del “Progetto Città di Antonello” promossodall’Università degli Studi di Messina. Si veda, inoltre, E. PISPISA, Il messinese Anto-

nello, in ID., Medioevo meridionale, cit., pp. 315-20.168 La crescita di una forte sensibilità religiosa della città nei confronti del culto dellaMadonna ed i serrati rapporti tra il Duomo e tutte le forze politiche e sociali di Messinasono temi documentati da STARRABBA, I diplomi della Cattadrale, cit., passim ed ampia-mente illustrati da PISPISA, La cattedrale di S. Maria, cit., pp. 265-84.169 Per la cortesia con la quale mi ha fornito a questo riguardo suggerimenti ed utiliinformazioni ringrazio Salvatore Tramontana, che nelle pagine seguenti si intende im-plicitamente citato.

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Per capire la dinamica dei ceti urbani a Messina appare esemplare,peraltro, la vicenda della famiglia Mirulla giacché emblematicamentemostra il percorso seguito dagli honorabiles per accedere alle élites166.Ma ancora più densa di significati appare la vicenda di Antonello daMessina, chiarita recentemente da Salvatore Tramontana, il quale hatracciato un incisivo affresco della società peloritana sensibile ai quadrimentali e alla vita materiale, prendendo spunto dall’esperienza di vitae dall’attività artistica del pittore messinese, ma anche attraverso unalettura attenta del suo testamento167. Che Antonello abbia tratto ispira-zione dall’impianto urbano della città, oltre che dall’identità fisica deisuoi abitanti, emerge con evidenza dai suoi dipinti, ma dalle sue ultimevolontà è possibile cogliere informazioni su molteplici aspetti dellaMessina dell’epoca, della sua vita sociale e religiosa168, dei suoi nessieconomici e dei suoi complessi intrecci politici. L’atto di ripartizionedell’eredità diAntonello e la definizione dotaria per la figlia Catarinella,ad esempio, suggeriscono un’agiatezza senz’altro dignitosa, sebbenenon equiparabile ai livelli di benessere evidenziati dagli inventari delmedico Giacomo di Consolo o dell’argentiere Giovanni d’Urso. Ma glispunti più interessanti sono offerti in relazione ad una vicenda moltoimportante e ancora poco approfondita, che vide coinvolte, a partiredalla metà del Quattrocento, le due frange dei conventuali e degli os-servanti sorte dalla scissione dell’Ordine francescano169.

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170 Queste le parole di Alfonso il Magnanimo in un documento del 1440: si vedaTRAMONTANA, Antonello da Messina: i luoghi, cit., ad indicem.171 MARTINO, «Messana nobilis Siciliae caput», cit., p. 363.172 PISPISA, La cattedrale di S.Maria, cit., pp. 265-84.

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Nell’esplicita volontà di Antonello di essere sepolto con l’abito deifrancescani osservanti e di impedire la partecipazione alle esequie delclero della cattedrale e soprattutto dei frati conventuali, si percepiscela pesante atmosfera politica, religiosa e culturale che in città era allabase dello scontro interno all’ordine e delle fratture tra forze eccle-siastiche, ma nello stesso tempo è possibile cogliere la consapevolezzadi un indirizzo sociale di quanti lottavano contro gli intrecci colpotere dei conventuali e affinché i ceti meno elevati acquistassero unanuova dignità. Lo stesso sentimento di risoluta opposizione echeggiaperaltro nelle ultime volontà di Esmeralda Calafato, più nota come S.Eustochia, confermando un atteggiamento di chiusura nei confrontidei conventuali diffuso in larghi strati della società e particolarmentesentito da quanti tentavano di colmare il divario fra le aspirazioni ela realtà. D’altra parte, il monastero di Santa Maria del Gesù, fondatoa Messina dal Beato Matteo d’Agrigento intorno al 1425, non a casofu il primo convento dei Francescani dell’Osservanza sorto in Siciliae costituì per tutto il XV secolo un punto di riferimento spirituale perl’intera cittadinanza, come mostra la larghissima diffusione del cultodell’Annunziata. Ma, soprattutto, rappresentò un concreto referenteper «la comuni genti constituta in grandi paupertati – la quale – cumgrandissima fatica si sustenta, a causa soprattutto di la usura chi esticontra di la Santi Matri Ecclesia»170. La stessa funzione sociale, in so-stanza, che allo scorcio del secolo avrebbe assunto a Messina ilprimo Monte di pietà istituito nell’isola, fondato il 9 marzo 1490 daAndrea da Faenza con il precipuo scopo di provvedere, come silegge nella Prefazione agli Statuti ratificati alla presenza dei giurati,dello stratigoto e del viceré, «ad subventioni di li poviri cittadini»171.Al culto della Vergine, nei cui riguardi la città peloritana fu partico-larmente sensibile a partire dall’età medievale172, sono da collegare

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173 Si veda PISPISA, Messina nel Trecento, cit., passim.174 Suggestivi i versi del cronista fiorentino: «Deh com’egli è gran pietate / Delledonne di Messina / Veggendole scapigliate / Portando pietra e calcina. / Iddio gli deabriga e travaglia / A chi Messina vuol guastare». MATTEO VILLANI, Cronica. Con la con-

tinuazione di Filippo Villani, a cura di G. PORTA, 2 voll., Fondazione “Pietro Bembo”,Parma 1995, II, p. 141.175 BARTOLOMEO DA NEOCASTRO, Historia Sicula (aa. 1250-1293), a cura di G. PA-

LADINO, Bologna 1921-1922, (RIS, XIII, III), pp. 67 sgg. e passim.176 Si vedano: G. PITRÈ, Studi di leggende popolari in Sicilia e Nuova raccolta di leg-

gende siciliane, in «Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane», vol. XXII, Torino1904, ad indicem; B. CROCE, Storie e leggende napoletane, Bari 1976; R.M. RUGGIERI,La Fata Morgana in Italia: un personaggio e un miraggio, in «Cultura neolatina»,XXXI, 1971, pp, 118 sgg.; G. CAVARRA, La leggenda di Colapesce, Messina 1995.

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una serie di leggende di grande impatto nell’immaginario collettivodell’epoca – ma ancora ai giorni nostri radicate nella più genuina tra-dizione popolare del centro peloritano –, testimonianza del forte ri-sveglio devozionale che scosse le coscienze dei messinesi negli annidifficili della guerra del Vespro, nelle fasi più acute delle crisi econo-miche e sociali del Trecento, ma, soprattutto, durante il travagliato per-corso spirituale alle soglie dell’età moderna. Alla venerazione dellaMadonna, che con il “prodigio della Caperrina” assolve la cittadinanzasalvandola dalla peste e dalla carestia nel corso del Trecento173, ide-almente si collega la celebrazione dell’eroismo femminile e il trionfodella pietà muliebre, esemplati dal cronista trecentesco Matteo Villanie dallo storiografo di fine Duecento Bartolomeo da Neocastro, ilprimo con il richiamo al fattivo impegno delle donne messinesi e alsacrificio di Dina e Clarenza durante l’attacco angioino a Messina l’8agosto 1282174, l’altro con la tradizione, carica di forti valenze salvi-fiche, dell’apparizione della “Dama Bianca” sulle mura della città as-sediata175. Ma a tali diffuse credenze si aggiungono pure altri sugge-stivi eventi mitici, diffusi allo scorcio dell’età di mezzo e durante iprimi decenni di quella moderna, riferiti cronologicamente alle fasidella conquista normanna della città (“Mata e Grifone”), allo sbarcodel Granconte presso la Città del Faro (“Fata Morgana”) e agli annifridericiani (“Colapesce”)176.

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177 Si veda G. LA CORTE CAILLER,Orefici e argentieri in Sicilia nel secolo XV (da do-cumenti inediti), in Le arti decorative del Quattrocento in Sicilia, a cura di G. CANTELLA,Roma 1981, pp. 134 sgg.

178 PISPISA, Ceti sociali, cit., pp. 445 sgg.; C. TRASSELLI, I messinesi tra Quattro eCinquecento, in «Annali della Facoltà di Economia e Commercio di Messina», X, 1972,passim; ID.,Messina dal Quattrocento al Seicento, in E. PISPISA – C. TRASSELLI,Messinanei secoli d’oro. Storia di una città dal Trecento al Seicento, Messina 1988, pp. 415-45.

179 Si veda G. FERRAÙ, La vicenda culturale, in La cultura in Sicilia nel Quattrocento,Roma 1982, pp. 17-36.

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Spunti ulteriori di riflessione emergono se si considerano i signi-ficati sociali ed economici dell’attività mercantile e se si osserva cometra gli operatori messinesi attivi all’estero, dagli scali di Fiandra aquelli levantini, vi fossero nobiles, honorabiles e discreti, ma ancheartigiani facoltosi, soprattutto setaioli, orefici e argentieri177. Unaserie significativa di esempi, offerti in questo senso da recenti inda-gini178, mostra che il volume di affari dei nobili era più ampio, ma chespesso anche gli honorabiles si impegnavano in grossi traffici e, in-sieme agli artigiani, concorrevano alla conquista delle magistraturecittadine. I tre gruppi urbani, pertanto, interagirono tra di loro con ac-cordi e rapporti commerciali e finanziari, come avvenne tra BernardoCofino de Calafato (padre di Esmeralda) e i nobili Spatafora, oppurenel caso dell’honorabilisNicola Perrono, che mantenne serrati contatticon nobili, notai e mercanti.

Un altro aspetto fondamentale della vicenda sociale di Messina inetà aragonese, come si è già accennato, è quello relativo all’attività diadvocati, iurisperiti e notarii, per la cui preparazione professionale ope-ravano in città qualificate scuole di diritto, frequentate dai messinesi inalternativa ai centri universitari della penisola. Però, se si esclude lascuola umanistica di Costantino Lascaris, il rilievo culturale di Messinafu nel XV secolo assai modesto179, sebbene si possa attestare una certacircolazione di testi classici e i ceti dirigenti fossero intellettualmenteaperti, abbastanza da concepire e realizzare all’occorrenza la stesura diprivilegi falsi, la redazione di cronache apocrife e la traduzione inlingua volgare della protesta cittadina del 1478, oltre ad una serie di in-

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180 E. PISPISA, “Regnum Siciliae”. La polemica sulla intitolazione, Palermo 1988,passim.

181 A. ROMANO, Società e cultura giuridica nella Sicilia del Quattrocento, in Istitu-zioni, diritto e società in Sicilia, a cura di A. ROMANO, Messina 1988, pp. 7 sgg.

182 M.G. MILITI, Artisti, committenza e aggregazione sociale a Messina alla fine delMedioevo, in «Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina», II,1983, pp. 560 e 559 sgg.; MILITI – RUGOLO, Per una storia, cit., p. 123; C. TRASSELLI,Sulla economia siciliana del Quattrocento, in «Archivio Storico Messinese», s. 3a,XXXIII, 1982, p. 28; TRAMONTANA, Antonello, cit., pp. 59-75; PISPISA,Messina nel Tre-cento, cit., pp. 310 sgg.

183 L. SORRENTI, Il patrimonio fondiario in Sicilia, Milano 1984, p. 153.

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terventi autocelebrativi che attingono alla cultura classica e alla tradi-zione di un Regnum Siciliae ormai perduto180. Sebbene nella secondametà del Quattrocento il numero degli uomini di legge appaia infla-zionato, il prestigio e il potere degli iuris doctores non ne risentì, edessi si mostrarono come un organismo tutto sommato omogeneo, per-ché fu sempre vivo il conflitto per la spartizione del potere ma gliobiettivi da perseguire rimasero comuni181. Non costituiscono unacompagine propriamente compatta neppure i professionisti, che pe-raltro ebbero uno scarso rilievo politico, al contrario della classemercantile e degli emergenti banchieri, i quali raggiunsero il poterepolitico attraverso quello economico.

In seno al gruppo degli artigiani, ad esempio, i pittori occuparonoun posto privilegiato e costituirono un ceto di piccoli benestanti in-sieme a setaioli, orefici, argentieri e cartografi, seguiti da altri artistie operai, mentre dall’altro lato della scala si situarono gli immigratidalla Calabria182. A proposito della dinamica sociale degli artigiani,particolare rilievo assume il loro tentativo di dare vita, nella secondametà del secolo, ad una vera e propria corporazione, dotata di mae-stranze e regolata da statuti. Da queste istanze ha origine un lungo pe-riodo di lotte sociali che avrebbero portato alla rivolta di GiovanniMallono, cui prima si è fatto cenno, e alla lenta ma inarrestabile ascesadei ceti medi e dei popolani verso la conquista del potere politico.D’altra parte, come ha dimostrato Lucia Sorrenti, anche i membri diquesto ceto entrarono in possesso di proprietà fondiarie talvolta di ri-levante spessore183, sebbene tale conquista risultasse in fin dei conti

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184 PISPISA, Ceti sociali, cit., pp. 449 sgg.185 Ivi, p. 451.

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alla portata di molti operatori spregiudicati, sicuramente un itermag-giormente praticabile rispetto all’accidentato cursus che conducevaalla nobilitazione.

Come si è osservato, il percorso seguito dal patriziato urbano versola feudalizzazione si fondò principalmente su tre basi, carica pubblica,commercio e feudo, passando dai traffici e dalle speculazioni finanzia-rie, dal controllo di estesi possedimenti fondiari e beni immobili, finoal controllo degli uffici attraverso l’appalto delle relative gabelle. Maè in fondo lo stesso itinerario seguito dagli honorabiles, che riuscironoad acquisire baronie e relativo prestigio grazie alla propria disponibilitàeconomica e alla loro acculturazione tecnico-giuridica, come avvenneemblematicamente in seno alle famiglieAnsalone, Balsamo, Campolo,Crisafi, La Rocca, Porcu, Romano, Saccano e tante altre184. Anche lepiù importanti cariche ecclesiastiche vennero occupate dai rappresen-tanti di questo gruppo, i quali assunsero così il controllo di chiese e mo-nasteri dotati di estesi patrimoni e collegati ai centri nevralgici del po-tere politico. Queste dinamiche sono l’espressione di «un concettofondamentale: che il potere politico è per i patrizi condizione necessariaalla loro affermazione»185; ma consentono anche di capire alcuni mec-canismi che regolarono l’evoluzione del ceto medio, composto da in-tellettuali di varia caratura,magistri e medici, e di quello degli artigiani,entrambi profondamente diversificati al loro interno.

In definitiva, se volessimo individuare una struttura nella quale in-scrivere la vicenda messinese durante il dominio aragonese, do-vremmo senz’altro fare riferimento alle élites, cioè, nel caso specifico,alla formazione di un ceto dirigente dotato di nuovi caratteri, fruttodi un’evoluzione dei gruppi egemoni dell’età precedente, quandonon era stato possibile realizzare una compagine unitaria perché i mo-delli sociali non erano coincidenti. Nei primi decenni del regno ara-gonese, in effetti, non si sarebbe coagulato un ceto propriamente omo-geneo ai vertici della società messinese, perché l’obiettivo dell’ascesavenne individuato nella conquista dello status feudale da parte di tutti

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186 Come segnalato da PISPISA (Economia e società a Messina, cit., p. 251), il FondoMessina nell’archivio della Casa Ducale Medinaceli di Siviglia e le 952 pergamene checompongono il tabulario di Santa Maria di Malfinò (CICCARELLI, Il tabulario, cit.) co-stituiscono una fonte fondamentale per ricostruire le vicende patrimoniali di molti entiecclesiastici messinesi, ma anche per far luce sulla gestione politica e sugli eventi eco-nomici e culturali della società urbana, dal momento che offre uno spaccato dove risal-tano le azioni e gli orientamenti di molti esponenti dei ceti emergenti messinesi traDuecento e Trecento. Per un disegno della complessiva traiettoria medievale di Messina:PISPISA,Messina medievale, cit. e ID.,Messina nel Trecento, cit. Hanno affrontato tema-tiche economiche e socio-istituzionali EPSTEIN, Potere e mercati in Sicilia, cit. (special-mente pp. 246 sgg.) e MARTINO, «Messana Nobilis Siciliae Caput», cit., passim.

187 PISPISA, Messina medievale. Uno sguardo, cit., p. 210.

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i gruppi emergenti, che comprendevano sia grandi casati nobiliari,come quello dei Palizzi o dei Rosso, sia possidenti di medio spessoree semplicimilites non dotati di prestigiosi beni terrieri, pertanto guar-dati con distacco dai feudatari e con diffidenza dai burgenses (costi-tuiti damaiores emeliores)186. Ma nel corso del secolo successivo sa-rebbero sopraggiunte nuove sostanziali trasformazioni all’internodella società peloritana, dal momento che le forze cittadine emergenti,dotate di una grande mobilità sociale, avrebbero instaurato rapportipiù intensi con gli altri gruppi, riuscendo a partecipare alla gestioneamministrativa della città in virtù della loro ascesa finanziaria. Infondo, già da alcuni decenni l’ingresso dei popolani nelle élites, em-blematicamente sancito dalla loro partecipazione alla giurazia e allealtre magistrature locali, aveva aperto per Messina un’epoca nuova,che l’avrebbe vista proiettata «verso itinerari non più riconducibiliall’unità di svolgimento dei secoli XI-XV»187, sebbene qualche strut-tura, come il “patriziato urbano”, avrebbe costituito per l’Evo mo-derno un’eredità pienamente medievale.

Luciano Catalioto