Messina nei secoli XI e XII: correnti formali romaniche, bizantine e "arabe". Alifbâ, Studi arabo...

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Alifbâ Studi arabo islamici e mediterranei vol. XXI- 2007 Atti del Convegno La città crocevia di incontri in ambito arabo-islamico e mediterraneo. Fonti storiche, letterarie, viaggi, memorie Palermo, 31 Ottobre - 3 Novembre 2007 Accademia Libica in Italia Università degli Studi di Palermo

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AlifbâStudi arabo islamici e mediterranei

vol. XXI- 2007

Atti del ConvegnoLa città crocevia di incontriin ambito arabo-islamico

e mediterraneo.Fonti storiche, letterarie, viaggi, memorie

Palermo, 31 Ottobre - 3 Novembre 2007

Accademia Libica in ItaliaUniversità degli Studi di Palermo

AlifbâSTUDI E RICERCHE SULMONDOARABO-ISLAMICO E MEDITERRANEO

Direttore:Ibrahim Magdud

Comitato Scientifico:Abdunahman Shalgam, Biancamaria Scarcia Amoretti, Antonino Pellitteri, Aghil Barbar, IbrahimMagdud, Franca D'Addelfio

Comitato Consultivo:Mohamed Dweeb (Un. Di el Margheb), Angelica Hartmann (Un. di Giessen), Khairia Kasmiah(Un. di Damasco), Mahmud Makki (Accademia della Lingua Araba, Cairo), Jean Paul Pascual(Un. di Aix-en-Provence), Yordan Peev (Un. di Sofia), Vincenzo Strika (1st. Un. Orientale di Na-poli), Abdul Hadi Al-Tazi (Accademia Reale del Marocco), Afif Turk (Un. Araba di Beirut), Fre-derick De Jong (Un. di Utrecht)

Hanno collaborato:Mohammed Abdellaoui, A.M. Abusbee, Dionisus A. Agius, Ammar Al Soumer, Angelo Arioli,Cristiana Baldazzi, Paolo Barresi, Giulio Basetti-Sani, Alessandro Bausani, Stefano Berrettini,Lucia Bonafede, Giuseppe Bonaffini, Salvatore Bono, Laura Bottini, Daniela Bredi, Anna Bro-solo, Giulio Brunella, Massimo Campanini, Ali Chebbi, Agostino Cilardo, Giovanni Curatola,Wassim Dahmash, Lorenzo Declich, Rita Del Prete, Rita Di Meglio, Elio Di Piazza, Erminia Di-spensa, Mahmoud Edeek, Brahim El Kadiri Boutchich, Samiha El-Kalioubi, Milad A. Elma-grahi, Issam El-Zaim, Maria Grazia Enardu, Mustapha Ennaifer, Ahmed Etman, Alvaro GalmésdeFuentes, Francesco Gabrieli, Michele Giacalone, Jessica Giordano, Maritsa Gregorian, Lau-ra Guazzone, Mahmoud Halawi, Bràhim Harakat, 'Ali S. Husneini, George Jabbur, Fuad Kaba-zi, Wajih Kawtharani, Saad Khalil Kezeiri, Luana Lucidi, Pasquale Macaluso, Sheila Mclntyre,Muhannad Mobiadeen, Giovanni Montaina, Matteo Monteleone, Antonietta Nassi, Maria Chia-ra Nataloni, Martiniano Pellegrino Roncaglia di Villanova di Reggiolo, Bartolomeo Pirone, Lu-cia Rostagno, Abdallah Saaf, Maria Grazia Sciortino, Hassen Slama, Patrizia Spallino, Vincen-zo Strika, Zoltàn Szombathy, Maria Tedesco Zammarano, 'Abderraliman Tlili, A. Magid Turki,Guido Valabrega, Rita Dolce, Biancamaria ScarciaAmoretti, Muhammad Hassan, Khairia Kasmieh,Federico Cresti, Antonino Pellitteri, Axel Havemann, Stefano Pellò, Adriana Chirco, Marco De Mi-chelis, Maria Amalia Mastelloni, Abdul-Karim Rafeq, Gianroberto Scarcia.

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* Soprintendente del Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.1 MASTELLONI 1995, pp. 9-44, a p. 9 : la maggior parte delle analisi privilegiano l’area cefaludense paler-

mitana, ad es. gli studi, peraltro fondamentali, di F. Gandolfo (GANDOLFO 1982, pp.73-89; ID. 1993, pp. 231-53).Paradigmatica è l’attribuzione al mondo palermitano di quasi tutti i materiali esaminati nella splendida raccoltadi studi edita a corredo della mostra Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale diPalermo, (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wien, Alte Geistliche, 30 marzo- 13 giugno 2004), I, Catalogo, II, Saggi, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006.

Maria Amalia Mastelloni*

Messina nei secoli XI e XII:correnti formali romaniche, bizantine e "arabe"

Premessa

Sono ormai oltre dieci anni che si sono iniziati lo studio e l’edizione dei mate-riali di periodo normanno del Museo di Messina1 e di molti altri materiali presenti nel-l’area dello Stretto, legati a vario titolo ai pezzi musealizzati. Ciò nonostantepossiamo ribadire che ancor oggi ne “…gli studi …, che hanno delineato lo sviluppodell'arte di periodo normanno in Sicilia ed hanno esaminato le emergenze legatealla volontà di auto rappresentazione del potere, si è affermata la tendenza a valu-tare i materiali palermitani, in quanto abbondanti e inseriti negli edifici originari”come unici, e, solo raramente, ad esaminare i materiali di altre aree, quali corollaridei palermitani, o di quanto scoperto nella Sicilia occidentale, al massimo inserendoi reperti di altre zone della Sicilia nelle classi di appartenenza. Non solo questa sceltanon sembra metodologicamente corretta, ma si è ritorta contro ed ha giocato a sfa-vore della comprensione degli stessi materiali occidentali. La difficoltà di ricostruirel’insieme originario è aggravata da più fattori: i materiali dello Stretto risultano de-contestualizzati ed isolati, per diverse vicende nei secoli e la divisione amministra-tiva tra aree calabrese e siciliana e tra le aree della Sicilia medesima, rende complessala ricostruzione dei nessi. Ciò ha spesso ostacolato il confronto tra esemplari o gruppidi oggetti, separando ciò che era strettamente connesso, invece, nella realtà antica.Infine alcune produzioni tra cui ad esempio le numismatiche, forse perché in periodonormanno spesso aniconiche, sono state esaminate al di fuori o a margine del conte-

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2 Sulla prima fase della monetazione di Ruggero I si veda ora il saggio nel Catalogo della mostra Capola-vori d’arte della Calabria, cds.

3 Si veda ad es.: CATALIOTO 2007, pp. 63-102, che continua a ripercorrere la via già segnata da TRAMON-TANA 1983, pp. 629-640; PISPISA 1993, pp. 147-194; Per Messina cf. SCIBONA 2001, pp. 105 ss., FIORILLA 2001,pp. 110-118 e pp. 121-140. Per il quadro dei rinvenimenti medievali cf BACCI 2002 nn. 3, 8, 10, 11, 12, 21, 22,23, 26, 29, 30, 32, 33, 43, 46, 48, 79, 84; e ancora SCIBONA 2004, pp. 61-71. Per l’area da Taormina a Tindari eper un bilancio di un ventennio di scavi condotti dalla Soprintendenza BB CC AA cf. Bacci 2004, pp. 13-19; perLipari: VANARIA 2004, per l’area costiera della Calabria che si affaccia sullo Stretto

4 Ciò si è notato ancora recentemente per la Sicilia arabo-normanna in occasione del convegno “La Sicileà l’époque islamique” tenutosi nel novembre del 2002 a Roma presso l’ École Française, all’indomani dell’in-augurazione della mostra di Lipari (nel 2003 riproposta a Reggio) e nel quale i risultati presentati in mostra edediti - sia alla Guida che accompagnava la mostra di Lipari, che nei cataloghi della mostra di Reggio(2003) e diLipari (2004) – con saggi degli stessi relatori, non hanno scalfito il quadro generale, né sono citati. I casi diTaormina, di Messina e di Merì, per i quali sono ricordati solo per i materiali ceramici, senza riferimento alle re-lazioni di scavo di chi quegli scavi ha condotto, appare grave.

5 Per la negazione del concetto di “capitale” nel mondo medievale BRÜHL 1967, pp. 193 ss.; in favore diun policentrismo si pongono varie osservazioni, quali la mobilità della corte attestata dalla varietà dei siti in cuisono rilasciati i diplomi, nonché il fenomeno delle diversi sedi in cui opera la zecca; lo spostamento della capi-tale da Mileto a Messina nel 1112 da CHALANDON 1907 , I, p.360.

6 Sicilia/Sizilien”, Catalogo della Mostra allestita presso il Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesre-publik Deutschland, Bonn, 25/01 - 25/05 2008.

sto artistico o artigianale, che invece costituisce l'humus da cui nascono i tipi2. Sonocosì rimaste escluse dalla ricerca tipologie, che, per la loro matrice ufficiale, assu-mono particolare significato e consentono osservazioni utili ad arricchire il quadrogenerale. Egualmente la ricerca storica3 non si è interessata dei progressi e di quantoedito nell’ultimo decennio, pur avendo molti materiali, oltre che un valore artistico,un evidente valore di documenti della vita sociale e politica e, quindi, “storico”4.

Non si può nascondere che la disomogeneità dei pezzi scultorei, pittorici, mu-sivi, numismatici ed epigrafici, crei a chi li voglia riunire obbiettive difficoltà, perla diversità dei settori d’indagine, ma, d'altro canto, solo un esame globale offre l’opportunità di tentare una ricostruzione delle formule artistiche iniziali sviluppa-tesi nell'area dello Stretto, secondo un logico riflesso delle vicende storiche, dallaconquista della Calabria - già nella alla metà dell'XI sec. - nel 1059-60 di Reggioe nel 1061 di Messina, tra i primi centri siciliani dominato e potenziato dai Nor-manni, centro vitale, se non capitale5, della conquista.

È da premettere, con rammarico, che chi scrive non conosce l’arabo e molto su-perficialmente il mondo orientale, che, invece, ispira profondamente le realizzazioninormanne. Ciò nonostante continuando lo studio6 dei blocchi in marmi bianchi e por-fidi inventariati col n. 268, e continuando il riordino – un vero e proprio “scavo” - deimagazzini, si è raccolta una messe di dati nuovi, che possono essere presentati inquesta sede, in quanto coerenti con i temi del convegno. Rinviando anche a quantogià definito in altri studi, possiamo affrontare nuove riflessioni, nella speranza diaprire un dibattito costruttivo con Studiosi, che, per esperienza diretta, conoscono imateriali spesso chiamati in causa come archetipi, se non prototipi, di quanto prodottoin Sicilia in età normanna, ma di non facile conoscenza per chi lavora in Sicilia.

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7 AMARI 1933, II, pp. 453 ss.8 Al cui sbarco accennaAmato di Montecassino, in Storia de’Normanni volgarizzata in antico francese, l. V, cap. 139 Fornace forse da porre nell’area dell’attuale quartiere “del Ringo”, forse legata alle proprietà che nella

zona aveva il S. Salvatore in lingua Phari, in prossimità della rada S. Francesco, area tuttora usata per l’approdo.10 Forse i Pantani di Ganzirri.11 GOFFREDO MALATERRA, De Rebus Gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi

Ducis fratris eius, Libro II capp. I, IV e V;VIII; X.12 SAMPERI 1644, p. 625, assente in Amari e nelle raccolte di epigrafi arabe. La chiesa di S. Michele è, nel

1580, ceduta ai fiorentini, che la intitolarono al loro patrono, S. Giovanni Battista. Abbattuta a causa dei lavoriper la nuova strada è ricostruita nel 1623 G. D’Austria, LA FARINA 1840 (1985), p. 100.

13 inv. 5101, AMARI 1881 (1971), n. XX, pp. 107 –8; DELOGU 1977, pp. 9, 58; SCERRATO, 1979, pp. 282–3e fig. 179. Il testo dell’iscrizione messinese sembra proponesse la formula tradizionale: Non vi è altro dio che Allahe Maometto è il suo profeta.

14 VENTRONE VASSALLO 1993, p. 184.

Grati agli Organizzatori per l’invito a presentare questa relazione – che, peri limiti di tempo e di spazio e per le ulteriori possibilità di ricerca insite nei mate-riali, certamente non potrà essere esaustiva - si è pensato di prendere in esame leiscrizioni monumentali di Ruggero II e il soffitto ligneo decorato della chiesa Cat-tedrale di Messina, una delle chiese più significative nella parabola ruggeriana.

Ricordando i rari materiali attribuibili a produzioni bizantine, arabe o locali,riconducibili a questo periodo – alcuni dei quali esposti nelle mostre di Lipari eReggio, ai cui cataloghi si rinvia – possiamo notare il silenzio delle fonti storiogra-fiche, che permette solo di considerare Messina nel secolo XI l’ unica roccafortebizantina nella Sicilia musulmana, dal 1038 investita dall’avventura di Maniace.“Presidio di retroguardia” … più che “testa di ponte” bizantina, con trecento cava-lieri e cinquecento fanti, in una realtà di cui le fonti bizantine tacciono7, ma che do-veva avere una sua consistenza, se dopo un ventennio le truppe normanne8 possonoapprodare solo al “clibanum tegularum9” ed ai tre laghetti10 “qui Praroli dicuntur… iuxta Farum” e solo con più attacchi Ruggero riesce nel 1061 ad impossessarsidella città difesa da tutta la popolazione, comprese donne in armi11.

Le iscrizioni in arabo

Sembra possibile attribuire al periodo normanno iniziale una colonna con iscri-zione segnalata da P. Samperi12 nella chiesa di S. Michele (Fig. 1). La colonna appar-tiene ad un gruppo di colonne iscritte, in periodo non definito poi inserite in chiesecristiane, tra cui si ricordano a Trapani un esemplare e a Palermo, una colonna da areaprossima alla chiesa di S. Francesco - oggi a Palazzo Abatellis13- ed altre alla SS. Tri-nità o Magione, a S. Maria dell’Ammiraglio o “Martorana”. Colonne simili sono se-gnalate anche una in Calabria, a Stilo (RC) e Santa Severina. È da sottolineare che, perle siciliane, G. Ventrone Vassallo14 ipotizza una provenienza da moschee. Anche inbase alla topografia il sito di S. Michele a Messina non sembra improbabile corri-

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15 GRASSI 2004, pp. 56- 57, figg. 71- 73, nel 2008 sono stati esposti nella mostra di Bonn cf. MASTELLONI2008, p. 302, n. 165, ivi bibl. prec.:

16 MASTELLONI 1995/1, pp.141-177, ivi bibl. prec.; EAD.2004/3, pp. 78-79; Le iscrizioni appaiono sia sullaconca di Gandolfo, sul bordo e sul corpo, che nel sarcofago di Luca, nel quale tutta una parete è percorsa da unaiscrizione, in lettere greche, disposta in due lunghe e accuratissime colonne. Per materiali della bottega o ad essisimili oggi a Palermo GANDOLFO 2006, pp. 526; 527.

17 MASTELLONI 2008, pp. 302-304, ivi bibl. prec.18 HOUBEN 1990, pp. 9-40. Nipote del Marchese Bonifacio del Vasto, lei stessa è l’esponente più nobile del

flusso che dalla “longobardia” si dirige verso il Sud e la Sicilia. Emblematico forse dell’attenzione di Adelasiaper il mondo romanico è il portale della Cattedrale di Patti, la chiesa scelta come sede della tomba di Adelasiastessa e che - pur con modi forse informati delle espressioni settentrionali e forse riusando le sospensurae delleterme della villa romana – per il decoro scultoreo si pone in linea con le opere di Cefalù e di Maniace.

spondesse al cuore della città musulmana e bizantina, della quale nelle cartografie preterremoto del 1783 sembra si possano leggere la tortuosa pianta a mandorla e gli an-diti. All’esterno di questa “mandorla” si pone la Cattedrale di S. Maria La Nova, men-tre al suo interno si era inserita nel secolo XI S. Nicolò, la prima cattedrale normanna.

Passando ai materiali pervenuti e con iscrizioni in arabo sono da ricordareuna stele prismatica marmorea e frammentaria (inv. 254) (Fig. 2) e due altre steli(inv. 259 e 260) (Fig. 3), rilavorate come piccole semicolonne.

Tutte sono state recentemente riedite da Vincenza Grassi15, che data la prima alsecolo XI e gli altri tra fine XI e inizi XII, e propone una lettura dei testi frammentari.

La rilavorazione e la rimozione dal sito originario dei due segnacoli di tombedi forma prismatica con iscrizione potrebbero essere messe in relazione o conl’annullamento della memoria di un gruppo o con un intervento di notevole por-tata, quale la trasformazione d’uso di una zona: nella II metà del secolo XIl’intervento edilizio più noto è legato alla realizzazione delle mura il cui percorsopotrebbe aver interessato la necropoli islamica segnalata nel “piano della Mosella”,i cui lembi settentrionali potevano essere invasi dalla fortificazione. Ciò natural-mente presuppone l’attribuzione dei due segnacoli alla realtà locale e non ad im-portazione da altra zona, anche in considerazione della stretta somiglianza dei dueelementi che rende poco probabile un’importazione duplice da aree lontane.

La rilavorazione è poi da attribuire alla bottega che nella I metà del XII secolorealizza un certo numero di pezzi con decorazione a nastro e che opera anche per uncentro di potere e di cultura di grande importanza - l’Archimandritato del S.mo Sal-vatore in lingua Phari -creando opere di matrice bizantino-normanna, per lo più ani-coniche, con un gusto venato di iconoclastia. La bottega16 che le produce, strettamentelegata ai committenti ecclesiastici ed a personaggi vicini alla corte, reimpiega mate-riali paleocristiani, secondo il dettato della riforma gregoriana, che apprezza partico-larmente quei materiali e inserisce iscrizioni, sia a fini di storicizzazione, sia per ilvalore decorativo delle iscrizioni stesse. Le rare sculture antropomorfe appaiono inopere di artefici che dimostrano di fondere con le “bizantine” le istanze romanichesettentrionali17, ben comprensibili in una delle sedi preferite da Adelasia18.

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19 La cappella palatina nella quale Adelasia e Ruggero nel 1110 presiedono un’assemblea di baroni evescovi “in cappella Messanae” (= CA 13), cf. HOUBEN 1990, p. 28, nota 99.

20 Che anticipa la scelta ripetuta dopo un decennio per il Palazzo dei Normanni e la sua cappella a Palermo21 AMARI 1881 (1971), pp. 121-136, soprattutto a p. 135.22 Eretta prima del 1087 è menzionata in un diploma di Ruggero Conte: ADM Fondo Messina perg 1049

SPD, in STARABBA 1888, pp. 2-3; G. Buonfiglio-Costanzo la dice ornata da “molti depositi in aria, dove giaccionol’ossa di molti Arcivescovi, de’ quali non si sa la memoria, per essere le lettere rose e guaste dal tempo”. Per ilsarcofago: AGNELLO 1965-6, pp. 197-199 e MASTELLONI 1992, p. 71; EAD. 2004/2 p. 54.

23 Dovuto ad una errata interpretazione di Ãoric di un passo di F. M. Hessemer, il quale in realtà si limita acitare nel 1829 la chiesa di Castellammare col titolo di S. Nicola, titolo che ad essa è trasferito dopo la distruzione dellavecchia S. Nicola, conseguente il terremoto del 1783; Hessemer 1992, p. 60 nota:“ Nella chiesa di S. Nicola, le paretidel portale anteriore sono decorate con fasce di stile moresco, su cui sono incise alcune righe di una iscrizione araba,guarnite di porfido rosso e verde” . La correzione è stata possibile in seguito all’esame diretto dei disegni presso laBiblioteca della Graphische Sammlung dello Städel di Francoforte sul Meno, e non inseriti nelle cartelle degli “Skizzenund Studien auf der Reise nach Italien …” ma – come segnalato da M. T. Morreale - inediti e archiviati con segnatura

Il gruppo di blocchi iscritti in arabo Inv. 268:aggiornamenti della ricerca considerazioni su archetipi e prototipi

Centrale per il tema proposto è lo studio delle iscrizioni in lettere e lingua arabe,che da tempo si cerca di riattribuire agli edifici messinesi per cui furono create e dellequali si è tentato di ricostruire la funzione decorativa ed insieme “politica”.

I blocchi di S. Maria di Castellammare possono essere stati in parte architravi ein parte cornici di porte di collegamento tra la chiesa palatina19 e il Castellammare, erappresentano una scelta20, progettuale complessa, al pari dei blocchi, che decoranola Cattedrale, in quanto appunto inseriti nella chiesa più rappresentativa della città.

“… l’enimma che ci presenta A3…”M. Amari21 ha evidenziato il blocco A3=268/ 19, (Fig. 4), per i problemi di traduzione che pone e per le caratteristiche dellagrafia, ma non ha rilevato la sua assenza nella foto del portone di S. Maria, né hadiscusso dove sia stato rinvenuto. In effetti non sembra da inserire tra i blocchidalla finestra della Cattedrale, né di S. Maria di Castellammare.

Il pezzo rimane quindi isolato, per le difformità di misure (l’altezza è di cm 22invece di 24-25, lo spessore è di 19 invece di 16,5-17,5), di disegno delle decorazionie delle lettere, per la differenza delle dimensioni e del tipo di marmo, per come si pon-gono le decorazioni - non sopra le lettere, ma prima di esse - per essere le lettere tozzee disadorne. In sostanza sembra esprimere un gusto diverso, più legato ad un’epigra-fia di tipo occidentale, meno finalizzata al decorativismo rispetto agli altri blocchi. Sel’autopsia può suggerire una minore raffinatezza, la si può ricondurre o ad una mag-giore antichità, o ad una diversità di produzione, che potrebbe essere legata ad un in-serimento in un terzo edificio, diverso da S. Maria di Castellammare o dalla Cattedrale.

Recentemente si è rivelato vano anche il tentativo di considerarlo rinvenuto nellavecchia cattedrale di S. Nicolò22: si è infatti chiarito che l’attribuzione ad essa di altriframmenti iscritti in arabo, diversi da quelli editi daAmari23, è solo frutto di un equivoco.

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16252 a-d. Tra essi quello segnalato come pertinente S. Nicola raffigura la facciata di S. Maria di Castellammare odei Catalani. Ringrazio per la collaborazione alla ricerca la dott.ssa Dott. ssa S. Schütt dello Städel di Francoforte ele dott.sse K. Chrubasik e L. Salice della Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland di Bonn.Su Hessemer si veda da ultimo BARBERA, ROTOLO 2004, pp. 231-238; ed ancora THIEME – BECKER, XVI, p. 596

24 GREGORIO 1790, p. 189 n. XLIV: Jamvero inscriptionum huiusmodi non paucae extant Messanae, eaequein quibusdam pilis inhaerent ophitae, porphyritae aliorumque id genus lapidum vermiculato opere ornatis. Sedadeo ob temporum injuriam deformatae sunt, ut nullus ex iis sensus erui queat. Il referente messinese di Grego-rio è Gaetano Grano, Prefetto della biblioteca Universitaria messinese.

25 MAZZANTI 1997, p. 127.26 NEF 2006, nn. 13-14.27 Possiamo pensare che la frattura del blocco originario sia stata conseguente alle sollecitazioni subite a

causa dell’inserimento di un cardine e per il distacco dal muro in cui era stato reimpiegati.28 Simile a molti di quelli attestati sui vari blocchi ma più lungo.29 Sulla ipotesi che essi siano cornici di porte concordano sia JOHNS 2006/ 2 p. 499 che Ãoric 2006, p. 40

che anzi stabilisce l’altezza della cornice in circa mt 2,50. A S. Maria di Castellammare, però, dovremmo pen-sare a porte di forma diversa, quali le due laterali, forse originarie. In esse i piedritti sono sovrastati da un archi-trave, da cui si alza un arco: di conseguenza l’ altezza della parte retta delle loro cornici deve essere valutataminore rispetto alla palermitana.

Non rimane quindi per ora che ipotizzare che A3 possa venire da un edificionon definito, ricordando un passo di R. Gregorio24 che dice frequenti questi bloc-chi “in città”, purtroppo senza ulteriori notazioni.

Dei quattro blocchi con tracce di cardini, indicati col n. inv. 268 nn.15, 16, 17e 18 (= M1-M5) scoperti da chi scrive nei magazzini del Museo e attribuiti a S.Maria di Castellammare, due meritano alcune nuove osservazioni. Ignoti ad Amari,editi da Mazzanti25, che ne ha fornito una traduzione sono stati ridiscussi da Nef26.In seguito ad un ulteriore esame i frammenti n. 15 e 18 sono risultati parti di un soloblocco originario, spezzato27, ma le cui fratture ancora combaciano. (Fig. 5), dimo-strando l’originaria unità, attestata anche da un arioso tralcio decorativo, che riu-nendo i due pezzi, si ricostruisce correttamente. Il testo del pezzo ricostruito sembraribadisca, come i fabbricati circostanti “impallidiscano” al confronto con l’edificiocui appartiene. Ribadirebbe quindi l’esaltazione e confermerebbe l’ eccezionalitàdell’edificio.

Il pezzo ricostruito ha poi un valore particolare in quanto mostra un elementodecorativo a doppia foglia28, di circa 28 centimetri, che oltre ad assomigliare aimotivi a foglia che fuoriescono dai grandi vasi raffigurati nel pavimento di S. Mariadell’Ammiraglio a Palermo - a differenza degli altri motivi distribuiti negli altriblocchi - potrebbe essere centrale nella decorazione e indicare il centro di un ele-mento architettonico di oltre mt. 2,20. Troppo stretto per essere un architrave di unportale di S. Maria di Castellammare ( le cui porte laterali hanno architravi di oltre2,30 mt con spessore superiore a cm 30) potrebbe essere una spalletta laterale diuna porta (nella chiesa alte sino al capitello mt. 2,68) , analogamente a quanto ipo-tizzato per gli altri blocchi trovato nel portale centrale e per i blocchi della Pala-tina29 di Palermo.

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30 Per inciso si ricordi che la chiesa è costruita su suolo donato da Galgana moglie di Guglielmo d’Altavilla“Villae Sperlingae Dominatrix”, abitato da “villani” arabi.

31 GREGORIO 1790, p. 189 n. XLIV.

I due blocchi (Fig. 6) di S. Maria La Nova, Cattedrale30 votata da Ruggero econsacrata, il 22 settembre 1197, da Enrico VI di Svevia e Costanza d’Altavilla,hanno particolare importanza in quanto concretizzano l’uso della lingua araba e diun motivo decorativo di gusto arabo nella Cattedrale. Rinviando a quanto già illu-strato nel 2004 e nel 2006 si può ricordare che Gregorio31 li segnala “in quadamfenestra” e già l’ingegnere L. Savoia, scrivendo ad Amari, afferma che “… spor-

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Fig. 2 - MIR ME inv. nn.254 - Stele prismatica mar-morea e frammentaria.

Fig. 1 - SAMPERI 1644, p. 625: iscrizione della co-lonna nella chiesa di S. Michele.

Fig. 3 - MIR ME inv. nn. 259 e 260 - Steli rilavoratecome piccole semicolonne.

Fig. 4 - MIR ME inv. n. 268/ 19, blocco Amari n.3.

Fig. 5 - MIR ME inv. nn. 268/ 15 e 18.

32 Ricche di marmi e pietre sono poi le fasce sulla facciata della Cattedrale, che forse reimpiegano branidi un pavimento in opus sectile imperiale. Il sectile trova evidenti confronti in sectilia di Villa Adrianacf. GUIDOBALDI 1994 , pp. 131-132, tavv. XXXV e LXI. È probabile che si tratti di pezzi del pavimento che ottosecoli sarà trovato anche da P. Orsi negli scavi di un edificio romano nella zona antistante la Cattedrale.

gevano dal vivo della muraglia che li so-steneva potendosi ciò dedurre dal-l’esatta profilazione dei loro spigoli edal preciso lavoro di tre centimetri circadi spessore, che sarebbe stato inutilequando non fosse stato appariscente”.Osservazione riportata da Amari, cheperò non ne tiene conto e – erronea-mente - attribuisce il complesso al nonvicino Palazzo Reale di Ruggero II.

Se invece si valorizza il dato che of-frono si può considerare che iscrizioni de-corative in greco, latino e arabo corresseroattorno alle aperture, sul marcapiano deltransetto, nell’abside e sugli archi trionfalidella chiesa. Di esse rimarrebbe solo unatraccia, l’ iscrizione di XIV sec., oggi postaai lati dell’arco centrale, che potrebbe so-stituire altre preesistenti iscrizioni nor-manno-sveve. In favore di questa letturacome rifacimento si può notare che quantooggi riinserito nel paramento murario sem-bra fermarsi irrazionalmente nella mura-tura, tra l’arcone dell’abside centrale e idue archi delle absidi laterali, mentre sa-rebbe normale continuasse fino ai bordidegli archi laterali. Un sistema di cornici

iscritte - forse richiamato nella facciata da ricorsi di fasce decorative32 e composto daiscrizioni in latino, greco e arabo. Se tale sistema di cornici era basato sulla simmetriapossiamo pensare che almeno le finestre delle altre absidi - se non altre aperture nel tran-setto e nelle navate - fossero sottolineate anche da scritte in arabo.

Ricapitolando per i blocchi iscritti possiamo proporre alcune considerazioni finali.Un’attenzione particolare meritano le decorazioni che le ornano e che pos-

siamo dividere in tre gruppi: 1 - a motivo “aperto; 2 – a motivo chiuso; 3 - a pic-colo motivo vegetale “naturalistico”. Interpretati in altri manufatti di volta in volta

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Fig. 6 - MIR ME inv. nn. 268/ 13+20 e 14.

33 GANDOLFO 2006, pp. 526; 527; per i rapporti di questa col mondo “lombardo” MASTELLONI 2008, cds;per la presenza di motivi decorativi analoghi nel soffitto messinese cf. infra e per il ricorrere nel soffitto di Ce-falù cf. AURIGEMMA 2004, p. 174-175.

34 FAVREAU 1996, pp. 58-59.35 BONFIOLI 1999, pp. 1001 – 1009, ivi bibl prec.36 FAVREAU 1999, pp. 947 ss., ne conta solo a Roma e solo per i tre secoli (XI-XIII) 27, ricorda inoltre le

154 per la Francia (tra VIII e XIII secolo) rinviando all’esame di J. Michaud, (tesi università di Poitiers) e notacome elemti significativi siano la datazione esplicita, dovuta all’esigenza di conservare la memoria per la litur-gia annuale che celebra l’evento. Nota altresì come nelle iscrizioni siano descritte le cerimonie di consacrazione,con l’elenco dei prelati presenti.

37 GUILLOU 1996, pp. 119- 120 n. 111 .38 PACE 2007, pp. 69-90 su entrambi i portali di S. Matteo.39 PACE 2007, pp. 48-67.40 Tra altri GANDOLFO 2002, a p.139 (iscrizione a S. Maria Maggiore) e a pp.140-142 iscrizione a S. Maria

in Trastevere, e inserimento o sostituzione del ritratto da parte di Innocenzo II41 Si pensi all’iscrizione inserita nel pavimento che ne ricorda l’Arcivescovo Romualdo, quale committente.

Tale iscrizione sembra se non l’unica, tra le poche realizzate in lastrine di porfido rosso.42 VALENZIANO 1987, p. 44-45. L’iscrizione in questo caso, molto lunga è posta nell’abside. Allo stato at-

tuale non ne risulta proposta alcuna edizione critica.43 QUINTAVALLE 2006, passim, sottolinea e illustra in più casi la trasposizione del dettato del testi evangelici

(Giovanni, 10, 7 e 9).44 MASTELLONI 2008, pp. 302-303 anche su questi materiali, come si è detto, le iscrizioni hanno un ruolo

importante.45 CALABI LIMENTANI 1991, per le varie classi di iscrizioni: onorarie pp. 221 ss; poste su opere pubbliche

pp. 251 ss. sull’”eredità” di Roma, pp. 25-29.

come bizantini o islamici, i motivi sembrano un elemento diffuso in tutta la sculturaromanica e particolarmente caro proprio alla bottega messinese, che in marmi bian-chi produce manufatti a “nastro vimineo tripartito”, esportati anche a Palermo33.

Se poi si esaminano in quanto iscrizioni si può ricollegarle alla tradizione nor-manna e romanica, che ad iscrizioni dipinte, musive o scolpite riserva zone chiavenei monumenti e nei materiali: nei secoli XI e XII iscrizioni di consacrazione o didedica ricorrono su facciate e portali centrali, da Saint Denis34, a Spoleto35, a Roma36,a Montecassino, a Grottaferrata37, a Salerno38 ed Aversa39. In altri casi iscrizioni condiversi fini si pongono in zone significative, dall’arcone centrale, all’abside, all’al-tare maggiore e spesso esaltano i dedicanti, in sostituzione o accanto ai loro ritratti.A Roma, in tanti casi tra cui S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore e S. Mariain Trastevere40, a Venezia in S. Marco, sino a Salerno41 e Cefalù42.

Altre iscrizioni di carattere religioso concorrono a monumentalizzare i portaliin area “lombarda”, ad esempio a Cremona43, in opere che sono state attribuite abotteghe che col mondo artistico di Messina44 condividono la adesione alla dottrinateologica riformata.

Queste iscrizioni recuperano una tradizione che, non ignota alla Grecia antica,ha grande sviluppo nel mondo romano repubblicano e, soprattutto, imperiale, dovele iscrizioni sono poste su facciate e all’interno di templi, di edifici pubblici, dimonumenti onorari ecc. ed indicano l’autorità, la comunità o l’individuo che li de-dica, la datazione dell’avvenimento che celebrano, la finalità di quanto realizzato45.

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46 Nelle quali le incisioni sono riempite soprattutto di metallo fuso.47 I blocchi sembrano realizzati col riuso di un marmo che potrebbe essere stato in antico una membranatura

architettonica.48 JOHNS 2006/1, pp. 498-501 dove Johns continua a indicare come provenienti dal Palazzo Reale tutte le

iscrizioni messinesi; per i casi di iscrizioni in corsivo o naskhj/tuluth ha richiamato l’iscrizione dalla Madrasa alN™riya di Mosul in Iraq, che però a suo stesso dire sarebbe da datare al 568/1172, mentre in JOHNS 2006/2, p. 61ricorda le iscrizioni degli Almoravidi del Magreb con l’iscrizione/fregio alla base di Qubbat al Bar™diyyn a Mar-rakesh (Marocco).

49 JOHNS 2006/1, pp. 498-501 id 2006/2, pp.61-62.50 MASTELLONI 1997, pp. 456-458, con note 43-48.51 MASTELLONI 2003, pp. 56-58 e fig. 7.52 Per i quali cf. MASTELLONI 1997, pp. 443-471. In quella sede si è chiarito che non esistono confronti per

essi in manufatti locali di età bizantina, né in altri manufatti. Ciò però non può portare a condividere la letturadata per il pavimento palermitano di S. Cataldo da DI LIBERTO 1997, pp. 343 - 364, che ha chiamato in causal’intervento di maestranze islamiche, in quanto non pare vi siano esempi nel mondo arabo (stranamente l’ipotesiche ha trovato eco in JOHNS 2006, pp. 46-67). Sia il pavimento di Reggio che quelli di Salerno e S. Maria dell’Am-miraglio a Palermo rendono molto incerta la lettura del pavimento di S. Cataldo come episodio eccezionale e daattribuire a manodopera altra dalle normanno-romaniche.

Alle romane46 le nostre si possono avvicinare per il supporto che utilizzano47 e perl’intaglio delle lettere nel marmo.

Jeremy Johns48 ha recentemente proposto confronti epigrafici nel mondo isla-mico centrale o con l’area magrebina, ma sembra propendere per il diffondersidella scrittura corsiva collegato alla conoscenza della cancelleria e del diwan fati-mita in Sicilia49.

Ha poi osservato l’originalità dei testi iscritti messinesi – a suo parere “rozzi… ancor più lontani dai canoni epigrafici” rispetto ai palermitani, già eccentrici –ipotizzando una lavorazione locale.

Per Johns sia a Palermo che a Messina “si ha l’impressione che gli artigianiabbiano disperatamente cercato . . . di seguire il proprio modello usando il mezzopoco conosciuto dell’opus sectile”. Premesso che i blocchi messinesi sarebberoanche più antichi dei palermitani ( e forse A3 più antico di tutti) a noi sembra, inverità, ipotizzabile l’esatto contrario: gli artigiani locali erano abituati alla tecnicadell’opus sectile, tanto da riuscire a realizzare con sottili lastre di porfido e ser-pentino – entrambi marmi di non facile lavorazione, di difficile approvvigiona-mento e che dovevano essere usati con parsimonia – i delicati decori o le formearcuate delle lettere, senza spezzare i marmi, o in alcuni casi - forse per carenza dilastre adeguate – impiegando frammenti dai contorni regolarizzati secondo la ne-cessità del disegno. Ma questi artigiani si trovano in difficoltà nel capire il testo enel riprodurlo secondo canoni alfabetici e calligrafici corretti.

L’abilità degli artefici si collega a quella degli artigiani che realizzanol’iscrizione pavimentale di Salerno50, (Fig. 7) e, forse poco dopo, i tralci del pavi-mento di S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo. Probabilmente si tratta degli stessioperatori che nell’area vi hanno realizzato i pavimenti in opus sectile nelle chiesedi Ruggero Conte e Ruggero II, a Mileto51 e a Reggio52, (Fig. 8), esempi antece-

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53 Per la datazione connessa alla figura di Majone di Bari identificato come committente della chiesa cf.DI LIBERTO 1997, pp. 343-364.

54 JOHNS 1986, pp.19 ss.55 Posta al di sopra dell’iscrizione latina: Blasius Venerbilis abbas / hoc totum iussit fieri; ORSI 1929,

rilievo di R. Carta fig. 68 ( il testo arabo non identificato come da Orsi) considerata in pseudo –cufico “foliato”in FONTANA 1993, p. 456.

56 NEF 2004 b, pp. 108 e 109, mentre sulle alte appare il motivo pseudoepigrafico.57 Per Bari FONTANA 1993, p. 458.58 FONTANA 1993, P. 456.59 A prescindere dalla comprensione della massa che non si hanno elementi per considerare inferiore a

quanto avviene in altre regioni del mediterraneo.60 AMARI 1880, p. 434-439 .61 AMARI 1880.

denti di almeno un decennio ai sectilia di Palermo – appunto della Martorana e dellaPalatina - e precedenti di un ventennio rispetto al pavimento di S. Cataldo53. Rica-pitolando possiamo pensare che le iscrizioni si sforzino di fondere la tradizione epi-grafica occidentale con la tradizione calligrafica e decorativa, e anche per i contenutiinnovino entrambe le tradizioni, sostituendo alla finalità di documentazione, di da-tazione e quindi di storicizzazione - finalità primaria dei testi occidentali – un obiet-tivo esornativo di tradizione islamica, che comunque non perde di vista totalmentel’uso occidentale. Ed infatti le iscrizioni, accanto all’alama, ripetono il nome diRuggero, il dedicante e committente, lo ribadiscono, gli avvicinano il titolo di al –malik, il titolo che adotta prima dell’avvallo di Innocenzo II alla sua consacrazioneregale54, il più rispondente a chi non vuole dichiararsi rex, né basileus, ma è signorefeudale, con tanti vassalli, e, a sua volta, vassallo del Papa.

Le iscrizioni amplificano l’uso dell’arabo peraltro presente negli edifici sacridell’Italia Meridionale: in Calabria in una (pseudo) iscrizione molto evidente nelpavimento di S. Maria del Patir a Rossano55 (Fig. 9), a Stilo in una colonna, a Ter-reti56 sul bordo di una lastra, (Fig. 10).

In Puglia evidente a Bari in S. Nicola, nel pavimento57 dell’abside, a Taranto,Brindisi e Otranto58. Le iscrizioni precorrono l’inserimento del titolo arabo nellachiesa palermitana di S. Maria dell’Ammiraglio la chiesa di matrice arabo siriaca,come il suo fondatore: Giorgio d’Antiochia.

Le iscrizioni dimostrano quindi sia un sereno inserimento della lingua e degliusi arabi in sedi ufficiali e religiose 59, forse collegato anche all’uso dell’arabo daparte di gruppi umani di religione cristiana, e d’altro canto, documentano la capa-cità di rielaborare più modelli.

Infine non sembra si sia evidenziato sinora abbastanza come i testi di Messinapossano riflettere un’eco della tradizione letteraria arabo-siciliana, di cui condivi-dono la lingua poetica, la prosodia e il lessico. Basti pensare ai versi di Abd ‘arRaman Ibn Umar ‘al Butiri60 che esaltano “ i palazzi regali in cui la gloria ha presoalbergo… ecco il teatro che risplende su tutte le opere di architettura” o di ‘Ibn Ba-surun61, che canta la trionfante reggia, che splende di incantevole bellezza: la loro

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Fig. 7 - Salerno, S. Matteo, Cattedrale - iscrizione pa-vimentale.

Fig. 8 - Reggio Calabria, Chiese di S. Gregorio e di S.Maria detta degli Ottimati.

Fig. 9 - Rossano - Chiesa dell’Abbazia di S. Maria delPatir.

Fig. 10 - Reggio Calabria, fraz. Terreti – lastra instucco.

Fig. 11 - MIR ME inv. nn. 268/ 1- 12.

62 Ad esempio, ma molti potrebbero essere i casi da esaminare - l’arrivo a Messina nel 1168 di Ibn Qal…qisè riferito incidentalmente da A. De Simone, che pur dichiarando che il testo nulla dice di un suo spostamentotrasferisce il racconto dell’autore a Palermo. DE SIMONE 1995, pp. 100-152; JOHNS 2004, pp 409-449.

automatica attribuzione ad ambiente palermitano potrebbe essere oggi discusso eforse sarebbe possibile pensare ad altri “palazzi reali” in Sicilia62.

Per concludere questa prima parte possiamo ricordare che le iscrizioni messi-nesi, nel loro insieme, possono far ricostruire i seguenti testi, liberamente adattatidalle traduzioni sinora proposte da A. Nef, S.M. Mazzanti, M. Amari: (Fig. 11),

1 – Con la gloria, la nuova fortuna, l’ascesa degli astri, la felice felicità2 – i soli (i raggi) della bellezza si alzano dagli orizzonti di questo edificio3 – sontuoso // O grandi del regno entratevi poiché è il Paradiso…4 – la residenza del più grande dei signori il signore (al malik) Ruggero il

pertinace5 – la sottomissione agli ordini e la beatitudine all’interno e la felicità irradia6 – Ammira le bellezze del creato (tramite =) nelle bellezze della costruzione

…7 – i pensier, un castello… (qa¡r)8 – lo splendore, Ruggero signore (al malik)9 – elevato …10 – il castello dei sultani … (qa¡r)11 – lo splendore, eredi di…12 – la bellezza se non il Khawarnaq15 + 18 – gli (altri) palazzi sono diventati più piccoli in confronto …16 + 17 - ed esso è un Paradiso … regale i grandi13+20 – grazie a me Ruggero raggiunge (rivaleggia con ) le stelle14 - una pietra: nessuna delle chiese del Paradiso63 (Tibâ’i)

Altri materiali in lingua araba o con caratteri formali riconducibili al mondoarabo, inseriti in S. Maria La Nova.

Possiamo ora notare che l’attribuzione dei due blocchi iscritti innestati nella fi-nestra dell’abside alla Cattedrale apre ulteriori possibilità di lettura e spinge a no-tare che nella stessa chiesa non vi sono solo questi materiali con grafemi arabi ocon caratteri formali riconducibili al mondo arabo: ma altre iscrizioni tracciate nelsoffitto ligneo. Ed anzi spinge a verificare l’affermazione che lo stesso soffitto siaun manufatto attribuibile a manodopera specializzata araba o di tradizione islamica.

Di questo soffitto, grazie a poche reliquie riscoperte e all’esame di rilievi edella copia, possiamo tentare una rilettura.

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63 NEF 2006, p. 508 nota che la parola TT.. ibâ’ i “che rinvia ad un albero del Paradiso e per estensione alParadiso” è l’unico elemento che consente di ricondurre le iscrizioni ad ambiente cristiano.

64 Secondo Aurigemma il soffitto di Cefalù sarebbe di cedro (Aurigemma 2004, p. 26), ma l’affermazione èforse da riconsiderare alla luce delle analisi condotte sul soffitto della Palatina, che hanno portato a riconoscervi il legnodell’ abete rosso dei Nebrodi, sicuramente di più facile reperimento anche a Cefalù. Interessanti sono le valutazionisul ruolo della gomma arabica o della resina nella conservazione del manufatto e della pellicola pittorica.

65 Nel giugno del 1943, quando la chiesa volutamente e reiteratamente colpita bruciò per oltre tre giorni66 Relazione di G. Patricolo “Lavori al soffitto del Duomo di Messina, 5 gennaio 1892 in ACS, DGABA,

II vers., II ser., b. 181 cf. OTERI 2002, p. 156 nota 447.67 SALINAS 1911, pp. 89-92.68 Sembra anzi contraddittoria la notazione di Salinas che sembra alludere a pochi frustuli e la notizia di

un “recupero” nel 1929.69 SAVORRA 2004, p. fornisce una tavola dell’opera di Labrouste (BNF Cabinet des Estampes) senza ulte-

riori indicazioni. 70 VIOLLET-LE-DUC 1875, III, pp.32-35, figg. 17 (schizzo assonometrico della struttura del tetto)-18

(schizzo assonometrico del tavolato con motivo a stelle ottagone traforate; per il disegno acquerellato di ViolletLe Duc spesso riprodotto in bibliografia Ãoric rinvia alla scheda n. 72 fig. 72, in Le voyage d’Italie.

71 MOREY 1841-1842, Quest’ultimo ben noto a Messina, grazie alla copia presente nella Biblioteca delMuseo Forse utilizzata e – come vedremo – ulteriormente semplificata da D. Schmiedt.

72 Rilievi inediti conservati presso l’archivio storico della Soprintendenza BB CC AA di Palermo coper-tura del transetto – attuata da Patricolo in occasione della rimozione della cupola.

Il soffitto ligneo – Di esso si conservano pochi frammenti in un legno chesembra sia abete rosso dei Nebrodi64.

La storia recente ne rivela due distruzioni: l’una nel 1908, per il terremoto, el’altra per un incendio conseguente un bombardamento65. Non sono noti i danni in-ferti dal terremoto del 1783, mentre alcune relazioni del Patricolo accennano allecondizioni alla fine del XIX sec. (1886).

Ed è proprio in seguito agli interventi conseguenti eventi “minori” che G. Pa-tricolo studia il soffitto66. In questa occasione certamente il Salinas, di cui Patricoloera assiduo collaboratore, dovette venire a conoscenza del soffitto, di cui, però,sembra si occupi solo dopo il 190867, quando informa come “la ricerca del soffittoarabo” abbia dato “scarsi risultati”. Il soffitto nel 1908 sembra danneggiato moltogravemente dalla caduta e dalla conseguente lunga esposizione alla pioggia e – noipossiamo aggiungere - per i metodi dell’ opera di recupero, attuata “segando lefronti dipinte de ... i correnti giganteschi” (di m. 15 di lunghezza per 0,90 di altezza)” - forse da intendersi come un distacco delle tavole dipinte inchiodate alle travi.In questa occasione sono trasferiti in museo “i resti dei rosoni e delle capriate”.

Non si è per ora trovata una relazione relativa al reinserimento di alcuni diquesti frammenti68 nel tetto creato nel 1929, mentre la musealizzazione voluta dalSalinas salva dall’incendio del 1943 i frammenti oggi conservati.

Per le complesse vicende la lettura di quanto conservato o solo noto del sof-fitto è ardua e rende ancor meno esaustivo l’ esame che si propone.

Partiamo dai rilievi di H. Labrouste69, (Fig. 12), E.-E. Viollet Le Duc70 e diM.-P. Morey71, nonché di G. Patricolo72 (Fig. 13). Tra tutti sono proprio i rilievi del

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73 Sulla cui interessante figura e sui metodi di lavoro si veda DUBBINI 2002, con particolare attenzione altesto di GAIANI 2002, pp. 50-80 in cui però purtroppo nulla è detto circa un soggiorno a Messina.

74 SAVORRA 2004, p.186, fornisce una tavola dell’opera di Labrouste senza ulteriori indicazioni . 75 Ricostruito dal Galletta, realizzata in cemento armato dall’impresa Cocchetti e dipinto da D. Schmiedt

(Palermo 16/01/1888 - Messina 04/12/1954) docente di Disegno alla Scuola Tecnica "Tommaso Aloysio Juvara".Ringrazio per alcune informazioni il prof. G. Romano figlio del prof. A. Romano, che ha collaborato con Schmiedtai lavori di restauro della Cattedrale nell’immediato dopoguerra, per interessamento dell’Arcivescovo A. Pajno.La “copia” moderna, stabilite alcune iconografie le ha riproposte più volte, alternandole “a gruppi”, ma in alcunicasi travisando le iconografie attestate (si veda il caso della zoomachia).

76 si è chiarito che è il frutto di una operazione di recupero delle rare immagini leggibili nei frammenti re-cuperati o comunque visibili tra le rovine, in quanto musealizzato ed edito da Mauceri, meno sulle immagini tra-mandate da Morey e ancor meno su quelle di Viollet Le Duc. A queste immagini però, purtroppo, sembra sianostati aggiunte altre iconografie considerate di età manfrediana e tardo-sveva o angioina, inserite in base al con-vincimento che il tetto fosse di tale periodo. Queste sono state tratte dalle sculture sia di S. Maria Alemanna, chedi altre chiese europee (legate all’ordine teutonico come l’Alemanna).

primo e dell’ ultimo – non ricordati dalla moderna critica, che ha trattato della car-penteria messinese - i più interessanti, dato il carattere tecnico di entrambi73. Edanzi per la decorazione possiamo ottenere un ulteriore dato dal rilievo di H. Labrou-ste74, che offre immagini che non sono mai più riprodotte.

Nessuna attenzione è stata riservata dalla critica alla copia di tutto il tetto75,oggi in situ, perfetta riproduzione della carpenteria, evidentemente derivata dal-l’autopsia di quanto veniva sostituito, ma non fedele riproduzione della decora-zione pittorica76. Anch’essa sembra meritevole di attenzione,essendo, comunqueuna fonte di informazioni da utilizzare con prudenza.

La struttura

I tratti della struttura caratteristici del tetto messinese erano: le dimensioniampie, la presenza, sia nelle campate centrali che nelle navate laterali e nella pas-serella, di stelle ottagone, di diverse dimensioni e forme, (Fig. 14), la decorazione,che copre tutti gli elementi strutturali. Nella nave centrale il tetto a due spioventiera diviso in quattordici spazi e nei due spioventi in due gruppi di quattordici ret-tangoli ( per un totale di ventotto) inquadrati da larghi montanti, ognuno dei qualiè sostenuto da travi minori - o “arcarecci” – e decorato da quattordici linee di stelle.Inoltre aveva al centro un controsoffitto a tavolato doppio, decorato da doppia filadi stelle, raccordato da tavole inclinate agli spioventi. Nel tavolato centrale le zonetra le stelle ottagone a doppia calotta emisferica., erano superfici a croce, piatte, condecorazioni a fiori di quattro petali, con motivi decorativi a fascia pseudo iscritta.Tra la passerella ed i puntoni a soffitto per chiudere lo spazio di risulta erano inse-rite due tavole di diverse dimensioni e decorate da grafemi arabeggianti.

Tutte le travi ed i travetti, di almeno quattro diverse dimensioni, erano co-perte su tre lati di tavole inchiodate e su cui correva il decora pittorico.

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V. Ãoric, basandosi sui disegni di Viollet Le Duc (Dict. III fig 17 e 18) (Fig. 15),nota “… le due falde del tetto suddivise dai puntoni delle capriate in tante campate,striate. . . dagli arcarecci che reggono un doppio tavolato. Lo strato inferiore diquesto era traforato a stelle ottagone e questi rincassi risultavano perciò a fondopiatto (Figg. 262-263). L’orditura principale della carpenteria messinese risultavacosì uguale a quella che attualmente vediamo nella Cattedrale di Cefalù, compresol’interasse tra le incavallature e la larghezza delle tavole dipinte collocate sul bordodi ciascun campo stellato. La differenza essenziale tra le due carpenterie … si vedenella zona centrale della struttura, dove in quella messinese troviamo disposto lon-gitudinalmente sotto il diedro del colmo un continuo controsoffitto orizzontale largocirca 2 metri. L’intradosso di questo soffitto è pure lavorato con motivo di stelle ot-tagone; sono disposte in due file, in mezzo alle quali si incastra una fila di croci in-cassate. Mentre il cavo delle croci risulta a fondo piatto, le stelle appaiono sfondate,prolungate in profondità con delle cavità cupoliformi. …. Essendo il controsoffitto… costruito con questa parte centrale leggermente pensile, a chiusura del vuotoche risultava lateralmente e quale raccordo con la parte coperta della falda erastato posto un tavolato inclinato incastrato leggermente nei fianchi dei puntoni.

La decorazione

Caratteri salienti della decorazione sono: il coprire tutte le parti visibili e il di-sporsi su tre lati delle travi. Essa propone immagini di Gesù, Maria, Arcangeli, An-geli e Santi sia a mezza figura che a figura intera, nonché figure di gruppi sia umaniche di animali, con iconografie nuovotestamentarie, bibliche e romaniche. Sullefacce laterali di tutte le travi sembrano esservi medaglioni ovali, intercalati da mo-tivi decorativi rotondi, sulle facce inferiori, direttamente leggibili da terra, elementidecorativi ovali a volte a contorni trilobati.

Nei travetti o archerecci che dividono in quattordici strisce di stelle il soffittodelle campate e sulle travi che incorniciano ognuno di questi rettangoli le immaginipiù semplici sono entro ovali, circondati e intercalati da motivi geometrico – floreali.

Su tutto il tetto si stende una decorazione a tralci con foglie trilobate oppurea ventaglio che ricordano molto le forme delle decorazioni in porfido delle iscri-zioni in arabo sia della Cattedrale che di S. Maria di Castellammare (inv. 268/1-20).Per il comporsi dei tralci in stelle e motivi circolari possiamo confrontarli ad un pre-cedente che è da considerare espressione di un gusto e non prototipo: il frammentodi legno dipinto di Raqqada, Kairouan, Tunisia, (Museo Inv. BS 105 ( L. 135 cm,l. 27,5 cm;) datato al III E = IX d.-C.

I frammenti conservati sono uno non inventariato e inedito, nonché i fram-menti inventariati: con i nn. 975, 1111 – 1116 (Fig. 16).

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77 Come a Cefalù e diversamente da Palermo, sia Cappella Palatina che Cattedrale per il problema cf. Au-rigemma 2004, pp. 168.

78 AURIGEMMA 2004, p. 31, sottolinea l’assenza di alcune iconografie proprie a suo parere del mondo siciliano. 79 AURIGEMMA 2004, p. 118, figg. 88 e 89.

Sono pertinenti i puntoni i nn. 975, 1111, 1112, 1114, 1116; sono pertinenti iltavolato di raccordo con la passerella i pezzi riuniti nel n. inv. 1115.

I frammenti sono dipinti con una pellicola pittorica a tempera molto magra,su uno strato di preparazione sottile, poco coprente, tanto che lascia trasparire levenature e i grossi nodi del legno, in tavole non molto spesse che evidentementefoderavano le travi e ad esse erano fissate da file di chiodi. I disegni preparatorisono realizzati sullo strato sottile e sostanzialmente direttamente sul legno.77

I colori conservati sono: paglierino, bianco (spesso usato per grossi punti di-stribuiti sulle figure), azzurro petrolio intenso, celeste, oro, rosso e nero. Infinel’oro lumeggia in numerose cornici e in alcuni motivi decorativi.

Partendo dal frammento non sottoposto a restauro, (Fig. 17), possiamo os-servare che nonostante non sia in uno stato di conservazione buono documentaun’immagine realizzata ad ampie partizioni, con grosse linee che racchiudono zonecampite a colore omogeneo e arricchite da grossi punti chiari o scuri, che ne mo-vimentano la superficie e forse ne rendono il manto78.

1 - Il grifo ha grosso becco e un’orecchia felina, la figura è resa con masse ro-buste e emergenti dal fondo, ma piuttosto lineari. Se ricorda gli esempi di Cefalù79,se ne differenzia, però, per una minore plasticità, Non possiamo confrontare il no-stro con le immagini del soffitto della cattedrale di Palermo, ma possiamo rilevareche gli animali in esso letti sembra abbiano manto maculato.

Gli altri frammenti sembrano aver subito più interventi di restauro che pos-sono aver lasciato il segno. Essi sono:

2 - Cavaliere al galoppo, inv. 975– Forse da leggere come il S. Giorgio chenella battaglia di Cerami incita alla vittoria i Normanni, e, come i cavalieri Nor-manni, sostiene uno stendardo con croce e a tre terminazioni, analogo a quello ri-prodotto nella moneta del Gran Conte e ai numerosissimi dell’arazzo di Bayeux.La figura del santo è ben proporzionata, serenamente forte e appare chiusa in sestessa e piuttosto statica, mentre lo slancio dinamico della cavalcatura ricordaquello di numerosi cavalli romanici, non ultimi quelli dell’ arazzo di Bayeux.

L’immagine è inserita entro un medaglione trilobato e il fondo è quasi nero, mala decorazione floreale laterale, che si dispone ai lati sembra parzialmente cancellata.

3 - Santi guerrieri inv. 1111 - I due santi indossano la corazza del cavaliere bi-zantino sopra la corta veste e gli stivaletti morbidi, entrambi si appoggiano ad unoscudo, non rotondo come quello bizantino, ma a punta, forse anch’esso di tipo nor-manno. Le due figure variano solo in ciò lo schema del guerriero stante con scudoe lancia, dell’iconografia bizantina dei santi guerrieri che celebrano le glorie e la

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80 AURIGEMMA 2004, p. 85 n. 52.81 Posta al di sopra dell’iscrizione latina Blasius Venerbilis abbas / hoc totum iussit fieri; Orsi 1929, rilievo

di R. Carta fig. 68 ( il testo arabo non è identificato da Orsi) considerata in pseudo –cufico “foliato” in FONTANA1993, p. 456.

storia dell’Impero. Il confronto più immediato è con i santi guerrieri della paretesettentrionale dell’abside di Cefalù, da cui si differenzia la valenza dell’immagine,mentre il volto non differisce troppo da alcuni visi dell’artista tipo C1 operante nelsettore B, lato ovest del soffitto di Cefalù80, (Fig. 18).

4 - Giona e la balena inv. 1116. La testa fuoriesce dalla grande bocca delgrosso pesce dalle scaglie evidenti ed è caratterizzata solo da un grande occhio. Lafigura si pone entro cornice ovale.

5 – Mostro serpentiforme entro cornice ovale (Fig. 19).6 – Zoomachia inv. 11127 – Grafemi arabi di diverse dimensioni inv. 1115, (Fig. 20).

Motivi epigrafici e pseudoepigrafici – Dai rilievi, dalle fotografie antecedentiil 1908, da quanto conservato e dalla copia attualmente visibile possiamo rilevareche nel soffitto erano tracciate alcune lettere o iscrizioni.

Dalla fotografia della passerella centrale, antecedente il 1908, si nota che ibordi delle stelle ottagone erano decorati con elementi grafici, che potevano es-sere lettere o pseudo lettere. Purtroppo essi non sono chiaramente leggibili e siaViollet le Duc che Morey li riproducono come elementi floreali, seguiti dai copi-sti moderni che rendono grossi punti e tralci. Labrouste non segna decorazione eli rende come zone scure. Il Morey rende come decorati con grafemi pseudo epi-grafici un’ulteriore fascia a fondo rosso e una calotta, forse ad indicare che nellestelle si disponesse un motivo grafico.

I lunghi tavolati di raccordo della passerella alle falde del soffitto erano rea-lizzati con due serie di tavole di diverse dimensioni decorate con motivi epigrafici.Oggi sono conservati nel pezzo inv. 1115 e riconoscibili in tutti i vari rilievi.

Le tavole di dimensioni maggiori erano decorate da alte lettere bianche sufondo azzurro e intervallate da grandi fiori a cinque petali, al cui interno appare ungermoglio a tre petali, (Fig. 20).

Le tavole di dimensioni minori sembrano percorse da un motivo di lam-alifintrecciate, tra le quali si pone un mezzo fiore a tre foglie.

Queste decorazioni grafiche trovano confronti diversi: per i grafemi che cir-condano le stelle ottagone possiamo ricordare le iscrizioni poste anch’esse neibordi delle stelle a otto lati della Palatina.

Ricordando le altre preudo iscrizioni o iscrizioni inserite in chiese e vergatein arabo - già ricordate – osserviamo che le decorazioni di dimensioni maggiori nontrovano nei soffitti siciliani confronti, ma possono essere avvicinate: al motivotracciato nel pavimento di S. Maria del Patir a Rossano81.

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Fig. 12 - SAVORRA 2004, il rilievo di H. Labrouste.

Fig. 13 - G. Patricolo: rilievo disegno a matita.

Fig. 14 - MIR ME - Archivio fotografico, soffittoprima del 1908, parte centrale.

Fig. 15 - Viollet Le Duc (Dict. III fig. 18).

Fig. 16 - MIR ME - Frammenti conservati - inv. nn.975, 1111 – 1116.

Fig. 17 - MIR ME - Frammento non sottoposto a re-stauro.

Fig. 18 - Cefalù – Cattedrale, da AURIGEMMA2004, p. 85 fig. n. 52.

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82 FONTANA 1993 p. 458 e CARRINO 2001.83 NEF 2004 b, pp. 108 e 109.84 I soli che abbiano esaminato i materiali restituiti e riinseriti nel tetto, durante la ricostruzione conclusa

nel 1929 e che nel 1943 sono andati bruciati.85 Nella copia moderna le immagini di Cristo e degli angeli non sono considerate pertinenti la stessa trave,

ma su due travi diverse.86 Il Cristo trova immediati riferimenti per l’atteggiare della mano benedicente nel Pantocreator dell’ab-

side della Palatina e per alcuni aspetti dell’abbigliamento nel Pantocreator dell’abside di Cefalù, nonché nel Cristodell’abside centrale nella stessa Cattedrale di Messina. Anche in questo caso il problema è stabilire quanto nellariproduzione oggi leggibile sia di recupero e quanto di integrazione Anche l’angelo raffigurato da Mauceri perquanto leggibile trova confronti negli angeli riprodotti nella decorazione che circonda l’arcone centrale e nei duearcangeli posti accanto al Cristo nell’ abside centrale messinese.

Le altre lettere tracciate nel tavolato più stretto ricordano il motivo del pavi-mento82 dell’abside di S. Nicola a Bari e, nell’area dello Stretto, le lettere di unalastra di Terreti83, l’unica con grafemi arabi e non con pseudografemi.

Tutti i motivi calligrafici infine hanno le terminazioni che assomiglianomolto alle terminazioni dei motivi decorativi in porfido dei frammenti mar-morei 268, come ad essi assomigliano le terminazioni dei motivi a tralcio vi-mineo di tutto il soffitto che intrecciandosi, formano i cerchi decorativi tra lefigure.

Iconografie non conservate – Il rilievo di Labrouste propone una figura stantetra due inginocchiate ai suoi piedi, immagine che non sembra nota al Mauceri84, cheriproduce a figg. 7-8 un Cristo e un angelo delle travi maggiori e un frammento ditravetto o arcareccio, a fig. 1, persi. Queste due raffigurazioni nel Morey risultanoabbinate85 sulla stessa trave. Al contrario nella copia postbellica l’angelo insiemead altri tre con attributi differenti è abbinato ad un’ immagine della Vergine colbambino, mentre il Cristo è abbinato a figure di santi, peraltro mai riprodotti in ri-lievi ottocenteschi86.

Morey riproduce nelle facce rivolte a terra di travi e puntoni un numero no-tevole di figure, (Fig. 21): nelle travi maggiori sei santi, nei puntoni montanti quat-tro figure alate, intervallate da medaglioni con animali fantastici, nei travetti oarcarecci motivi sia floreali che di medaglioni con animali alternati a motivi flo-reali. I caratteri della sua riproduzione sono fortemente ottocenteschi, tanto da farporre il quesito se la parte riprodotta fosse stata sottoposta a pesante restauro o seil Morey interpreti immagini poco nitide.

I confronti - Tra gli elementi strutturali che differenziano i soffitti siciliani daesempi arabi – peraltro di non semplice identificazione, ma archetipo dei qualisembra quello della grande moschea di Cordova – il più determinante è lo spazioche coprono: nel mondo arabo le membranature architettoniche che li sostengonosi pongono al di sopra di spazi circolari, mentre in Sicilia lo spazio che coprono è

87 ANDALORO 1993, p.6688 Si veda ora GRUBE –JOHNS 2005, DIMAND 1951, pp. 263-266; ed ancora TRONZO 1997DIMAND 1951, pp. 263-266; ed ancora TRONZO 199789 C'UR¤IC 1987, pp. 125-144, che richiama un brano citato da Mango 1972, p.22990 AURIGEMMA 2004, p. 48-991 Pp. 47-49 ivi discussion e bibl. prec.92 CHRUIKSHANK DODD 1999, pp. 823 – 831, ivi bibl prec.93 ÃORIC p. 336 per Cefalù precisa che l’impianto strutturale è : “Articolato in un complesso gioco di densi

e continui rinvii in profondità, per la sua raffinata figuratività , il tetto … carico di reminiscenze basilicali, macon fermenti islamici a suo parere il tetto parente di quello della Palatina; … era già proteso verso le ricerchetecniche del gotico europeo.

lineare e di dimensioni più vaste: quindi, le parti che nei soffitti sono incavate e cir-colari non hanno funzione statica, ma sono frutto di una scelta estetica, che forsericorda archetipi più antichi e di altra area. È la stessa condizione che si rileva peri mosaici dove le maestranze “bizantine” si trovano a lavorare in spazi e su super-fici estranee alle tradizioni orientali87.

Iniziando dal soffitto della Palatina (la cui realizzazione si presume da porretra il 1132 e il 1149) possiamo notare che il messinese ne differisce sostanzialmente,per le dimensioni, per la struttura e per la decorazione, sia in senso della resa for-male, che per le iconografie e la scelta dei soggetti. Anche la parte più simile dellastruttura, il controsoffitto centrale con le stelle ottagone incavate, si diversifica per-ché negli spazi a croce il messinese sostituisce ai maqarnas superfici piatte, prive dialveoli. Senza voler ripercorrere la sterminata bibliografia e limitandoci alle operepiù recenti, per il palatino possiamo ricordare posizioni spesso contrapposte o chepartendo da analoghi elementi raggiungono posizioni diverse. Ad esempio Grube eJohns88 hanno ancora recentemente ribadito che i numerosi motivi propri dell’arteFatimita – arricchiti da recenti scoperte - nel tetto sono attestati e possono essere at-tribuiti all’attività di pittori e carpentieri musulmani giunti dall’Egitto. D’altro cantose l’inquadramento di Monneret de Villard e U Scerrato ribadisce il carattere arabo,si deve al fondamentale apporto di C'ur¤ic89, del 1987, arricchito da varie osserva-zioni di Aurigemma90, se si può oggi rilevare come il soffitto Palatino possa esserericondotto ad un gruppo di soffitti di matrice culturale araba, diffusi sino a Bisan-zio, dove un soffitto è commissionato e realizzato per Giovanni Commeno, datoampiamente discusso da Aurigemma91, con l’ aggiunta di altri documenti e fonti.Da tutto ciò sembra si possa concludere che i Commeni, si rivolgano a manodoperamigrante o stanziale di matrice forse turca (dalla definizione di “… persoes…” for-nita per le maestranze che realizzano il soffitto costantinopolitano).

Tornando alla Palatina altri autori si sono staccati dal coro ed hanno identifi-cato la Siria92 come possibile area di influenza per apporti formali.

Ma come si è detto le letture del tetto palatino possono contribuire scarsa-mente alla comprensione del soffitto messinese. Diverso invece sembra l’apportodel confronto col tetto di Cefalù93: il confronto è molto significativo per quanto

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94 Colpisce che nessuno dei commentatori che si sono soffermati sul soffitto di Cefalù abbia ipotizzatouna semplice sostituzione della passerella centrale con il manufatto ventimigliano. In caso tale sostituzione siaavvenuta potremmo presupporre che l’originale assomigliasse alla passerella messinese. Cefalù offre quindianche un dato sulla “manutenzione” dei soffitti più antichi in XIII secolo.

95 ÃORIC 1989, V. B - Le pitture islamiche sul tetto della navata centrale, pp. 313-319 È interessante co-munque la perplessità espressa da Ãoric circa la provenienza degli artefici, dall’Egitto Fatimite o dallaMesopotamia settentrionale o dalla Siria oppure dall’Ifriqya. Ed è molto interessante il dubbio che alla fine soll-eva, se non siano artisti musulmani di Sicilia.

96 ANDALORO 1993, pp. 55-69 e ANDALORO 1995, pp.487-488 che considera il soffitto uno dei rari doc-umenti della pittura islamica in Sicilia.

97 GRAVINA 1859-1870.98 BELLAFIORE 1976, p. 202, ANDALORO 1993, pp. 62-65.99 BELLAFIORE 1976, p. 202.100 ANDALORO 1993, pp. 55-66, a pp. 62-65.101 CICALA CAMPAGNA 1995, p. 492.

concerne le carpenterie, tanto più se si pensa che la mancanza a Cefalù del contro-soffitto centrale può essere dovuta ad un mero e parziale rifacimento94.

Se però il confronto strutturale è utile e significativo, altrettanto non lo è ilconfronto per la decorazione pittorica, il cui esame è molto agevole grazie allasplendida analisi della decorazione cefaludense, offerta da M. G. Aurigemma, sullascia degli studi di Ãoric95 e Viscuso, di U. Scerrato e M. Andaloro96. Rinviando perbrevità all’esame di Aurigemma possiamo sintetizzare che la decorazione cefalu-dese sembra conservare molti aspetti della palatina, sia formali che ideologic e sidifferenzia totalmente dalla decorazione messinese.

Continuando la ricerca tra i tetti siciliani possiamo notare che vago può essereil confronto col soffitto di Monreale97, dove le stelle nella zona centrale sono su unasola linea, le immagini scompaiono, sostituite da motivi decorativi vegetali, al-meno secondo la riproduzione fatta dopo l’incendio del 1811.

Più interessante è il confronto con la carpenteria della Cattedrale di Palermo,creata per volere dell’arcivescovo Gualtieri e della cui struttura fornisce una sin-tetica descrizione Amato98: “ Dal tetto fuoriescono fiori di legno dorato a guisa dipiramidetta capovolta … il tetto della nave centrale, a forma di carena di nave ro-vesciata è sostenuto da diciannove travi lunghe palmi sessanta e spesse palmi novecoperte tutto intorno da tavole lisce e munite all’estremità di trentotto mensole…”

Tali tavole che coprono le travi sono decorate da pitture, ancora secondoAmato99: “è ornato dai splendidi ed eleganti intagli, da una meravigliosa varietàdi pitture, dal colore di zaffiro e dallo splendore irradiante dell’ oro … nei casset-toni, nelle travi e nelle mensole in campo oro, immagini di santi interi o fino al-l’ombelico … accompagnate dai rispettivi nomi interi o abbreviati in caratterigotici…” . Sul problema è tornata M. Andaloro100 alle cui considerazioni si rinvia.

Ultimo confronto, già istituito da F. Campagna Cicala, è col tetto della catte-drale di Siracusa101.

102 Altri tetti forse dovevano essere stati realizzati, ma non vi sono tracce di notizie dei soffitti: a Reggio nellaCattedrale si parla di tetto con volte a botte, mentre per S. Gregorioil rifacimento di XVII secolo non consenteipotesi; privi di indicazioni siamo sia per il gruppo di chiese legate alla grande abazia di S. Eufemia, tra cui Lipari,fondata dall’abate Ambrogio; Nessun dato abbiamo della chiesa di S. Maria e dei XII Apostoli, chiesa-madre deicanonici agostiniani di Cefalù, che ospiterà Giovanna, vedova di Guglielmo II e sorella di Enrico Cuor di Leone.

103 CALCAGNI 1699: “templum non lapideo fornice, sed tabulis arte mira connexis, pictura ornatis tectumerat” nella stampa è fantasiosamente raffigurato anche un enorme sarcofago attribuito a Ruggero Gran Conte.

104 BURGARELLA 1993, p. 84.105 CHRUIKSHANK DODD 1999, pp. 823 – 831, ivi bibl prec.106 Inutile ricordare come gli scambi tra Calabria e Sicilia siano continui e come la cultura dei basiliani sia

un vettore privilegiato. È stato già notato come alla Sicilia sembrino guardare ad esempio gli affreschi di S.Demetrio Corone tra fine XII e inizi XIII Cf. DI DARIO GUIDA 1999, a pp. 206-7 , anche se non ignari di episodidell’area balcanica. Un quadro delle letture e di quanto rinvenuto nella Calabria centro meridionale in LEONE2003, pp. 143-165.

107 ANDALORO 1995, pp. 442-447 recentemente attribuita al periodo di Guglielmo (1171 ca.).108 Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 1036, f. 36 r in OROFINO - PACE 1994, pp. 263-271, p. 266 (G.O.). 109 Nell’esame naturalmente vanno valutate anche le immagini perse del Cristo benedicente e dell’Arcangelo.

Oltre che in Sicilia soffitti lignei dovevano essere in Calabria102. A Miletoforse ve ne era uno dei più antichi dell’area, nella chiesa abbaziale della SS. Tri-nità: che fosse ligneo e decorato di pitture è detto da un erudito seicentesco103 edocumentato da una stampa del ‘700 in cui si leggono, ormai sconvolte dal terre-moto, grosse travi con tracce di decorazioni. Per altri siti mancano i dati, ma dafonti storiografiche sappiamo della tradizione di lavorazione del legno per le car-penterie calabresi104.

Possiamo istituire alcuni legami e assonanze formali con la tradizione pitto-rica siriaca e specificatamente con le immagini delle pitture del monastero di marMusa al Habashi a Nebek, nei dintorni di Damasco, (Fig. 22), opere che peraltrorecentemente sono state ricordate per legami con immagini del soffitto della Pala-tina105, ribadendo così l’influsso siriaco già colto nei mosaici della Martorana e lìmesso in relazione con l’origine siriaca del committente, Giorgio d’Antiochia.

Ma sono i confronti con materiali da aree più vicine i più produttivi: pos-siamo ricordare opere di fine XI e XII secolo create sia in Calabria106, quali le im-magine pittoriche di Scalea e di Stilo (Cattolica, Fig. 23), che in Sicilia, dal ciclopittorico di S. Marco d’Alunzio, ai notissimi mosaici di Cefalù e di S. Maria del-l’Ammiraglio a Palermo, sino alla più matura Odigitria107 di Santa Maria de Lati-nis di Palermo, i cui modi sembrano richiamati anche in opere della Sicilia arabaquali il Liber de locis stellarum108 di Guglielmo II.

Tante di queste realizzazioni possono essere avvicinate alle pitture lignee mes-sinesi per impianto generale, per resa delle masse e per alcune “chiavi” espressive,quali le lumeggiature, le linee di demarcazione delle diverse parti, la resa delle fi-gure e dei particolari, i lunghi contorni degli occhi, i volti ovali dai tratti evidentie a linee continue, il rendimento plastico delle masse sottolineato e contrappostoa fasci di pieghe109.

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110 SCERRATO 1979, pp. 271-571 a p. 359 e 394.111 Per la rarità di opere pittoriche di XII sec. e la conseguente difficoltà di inquadramento e l’oscillazione

dei giudizi esemplare è il caso esaminato da ANDALORO 1995, pp.442-447.112 AURIGEMMA 2004, p. 49.113 Ãoric pur conoscendo e citando la cronologia di GELFER-JORGENSEN 1978, pp. 107-168 a p. 160; Ead.

1986, propone il decennio 1170-1180.114 MAUCERI 1928, pp. 481-489; BOLOGNA 2002, p. 25, 67; BECK 1975, pp. 115-116.115 Non si è riusciti a trovare, tra quanto edito, il brano del 1905 di LA CORTE CAILLER, nonostante le nu-

merose citazioni da parte di molti studiosi messinesi116 CICALA CAMPAGNA 1995, pp. 488-492: pensa ad un programma decorativo di età normanna conservato

dall’intervento svevo; AURIGEMMA 2004, p. 170 e p. 186.

In questo quadro di scambi e di influenze però manca un importante elementodi raffronto: è necessario infatti ricordare che forse esisteva una produzione messinesespecifica, di cui negli ultimi anni sono riaffiorati rari frustoli negli affreschi delle chiesedi S. Tommaso e di S. Giacomo. A questi episodi poco noti si dovrebbe poi sommarela tradizione artistica legata alla realizzazione della decorazione musiva di XII sec.negli arconi e nei catini delle absidi della stessa cattedrale di Messina, di cui, quantosopravvissuto sino al 1908 e al 1943, sembra fosse solo un’eco, alterata da pesanti ri-maneggiamenti. Il tetto messinese può quindi conservare e trasmettere rare tracce diuna scuola autonoma, identificabile col linguaggio delle maestranze varie, ma chetrovavano una unità nel lavoro comune e creavano la decorazione della Cattedrale.

Concludendo quindi i confronti tra il messinese ed i soffitti siciliani ci hanno of-ferto alcune sorprese: se dal punto strutturale forse si può ricostruire un solo schema perMessina, Cefalù, Palermo Cattedrale e, forse, Monreale, per le decorazioni pittorichesi rilevano diversità notevoli. Mentre la decorazione cefaludense è per temi ( dal con-vivio, alla musica, alla caccia) e per iconografie dichiaratamente collegata al mondoislamico, quella messinese richiama decorazioni di gusto islamico solo nei motivi in-tervallati alle figure, e negli animali entro medaglioni ovali a fondo azzurroverde.

La datazione - Nel caso della Palatina il soffitto è considerato realizzato inetà ruggeriana. Per Cefalù la cronologia proposta da Gelfer-Jorgensen, che attri-buiva la decorazione al decennio tra il 1131 e il 1145, con lievi variazioni sostan-zialmente è accettata da più autori tra cui Scerrato110 nel 1995 e M. Andaloro111 esostanzialmente ribadita da M. G. Aurigemma112, mentre è accantonata l’ipotesidi Ãoric113 di una creazione delle due carpenterie - di Messina e Cefalù - neglianni 1170-1180.

Per Messina il Salinas propende per l’ età normanna, mentre Mauceri114 nel1928 pensa ad una realizzazione in due diversi periodi: il normanno per le analo-gie con Cefalù e il tardo svevo per alcuni elementi formali che gli sembrano rile-vabili e la valutazione di una fonte storica, già menzionata da La Corte Cailler115:l’esistenza e l’ipervalutazione di questa fonte ha influenzato anche altri autori che,pur mettendone in risalto correttamente la matrice siriaco egizia116, senza valutare

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il parallelo strutturale con Cefalù, né i recenti rinvenimenti siriaci si sono espressiper una datazione ad età manfrediana.

Dobbiamo quindi aprire una breve parentesi ed osservare che in effetti Bar-tolomeo di Neocastro117 nella Historia Sicula (c. LIII) ricorda la presenza di “aqui-las et maiestatem” di Manfredi “ quas summis picturis preciosi tecti velaminademonstrabant …” , e che Pietro III d’Aragona osservando questi elementi neivelamina del tetto dipinto della Cattedrale, viene informato che si tratta di aquilepertinenti lo stemma del suocero, Manfredi. Gli astanti anzi gli narrano che essesono state poste dopo un restauro conseguente l’ incendio, che ha distrutto l’edificioe ha “annichilito” la tomba di Corrado IV118, posta “dietro l’altare”.

Subito possiamo obiettare che le aquile in quanto stemmi svevi, potrebberoessere state non necessariamente poste da Manfredi, ma già da Enrico VI, alla cuipresenza a Messina e volontà si deve la prima consacrazione della Cattedrale.

Ma ciò che sembra necessario cogliere nel dettato della fonte è una esaltazionedell’operato manfrediano, che può essere una “captatio benevolentiae” nei confrontidi Pietro III d’Aragona, da parte di una città che sia con lo svevo che con lo stessoPietro ha avuto un rapporto contrastato, e solo alla fine della guerra da lui mossa agliAngiò, si è allineata, tentando comunque sino alla fine di creare una federazione dicomuni autonomi, sottoposta all’autorità papale, per ostilità alla soluzione monar-chica. Ed ancor peggio, che gli astanti ben sanno di essere nella chiesa in cui eranostati arcivescovi Tommaso d’Agni di Lentini e Bartolomeo Pignatelli119: due inve-terati e fortissimi nemici di Manfredi, quanto sostenitori di Carlo d’Angiò, e che latradizione e la critica identificano alternativamente con l’efferato “pastor di Co-senza” dantesco120, artefice del disseppellimento e della distruzione del cadavere diManfredi. La chiesa era stata sede quindi dei peggiori antagonisti del potere svevoe il cui Arcivescovo forse non era estraneo al progetto di federazione filopapale.

Se quindi la fonte sembra poco serena, molto sospetto deve essere conside-rato il dettato che ricostruisce un intervento manfrediano e, di conseguenza, moltoincerta la valenza del brano al fine di stabilire una datazione di concreti lavori di

117 BARTHOLOMAEUS DE NEOCASTRO, Historia sicula [aa. 1250-1293], (ed 1922) p. 42.118 La notizia che la tomba di Corrado IV sia distrutta da un incendio a tal punto da non consentire la min-

ima conservazione della sepoltura è strana e suggerisce altre possibili ricostruzioni: o Manfredi ha deliberatamenterimosso in occasione dei lavori post incendio la tomba di Corrado IV o la stessa è stata eliminata da uno dei suc-citati Arcivescovi, ostili a Corrado, quanto a Manfredi.

119 PIRRI 1733, p.406; AMICI 1996, pp. 483-492.120 Dante Alighieri, Divina Commedia, Purg. c. III, v. 103-145, ai vv. 124-132."Se ‘l pastor di Cosenza, che alla caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia, l’ossa del corpo mio sarieno ancora in co’ del ponte presso a Benevento, sotto la guardia della grave mora. Or le bagna la pioggia e move il vento di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde, dov’ei le trasmutò a lume spento.”

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restauro del tetto. Bartolomeo di Neocastro esalta un presunto intervento manfre-diano, allo scopo di ricordare il ruolo svolto da Manfredi a Messina e non è diffi-cile che in un simile frangente ricordi come radicali, lavori in realtà o mai effettuatio molto meno significativi.

In favore di questo ridimensionamento della portata del dettato si ponel’affermazione contraria contenuta in lettera di Clemente IV, il quale nell’agosto del1266 – essendo arcivescovo il Pignatelli121 - scrive chiedendo contributi per la ri-parazione della chiesa devastata da un incendio122 “… Cum igitur ad reparatio-nem Cathedralis Ecclesiea Messanensis, miserabili, prout nostis, incendiodevastatae, subsidium nostrum et aliorum fidelium sit quamplurimum opportu-num, universitatem vestram rogamus … ad repara(ti)nem ipsius…”. Una similerichiesta non sembra presupponga lavori fondamentali effettuati da poco tempo.

Infine se si ricorda che il Salinas ancora nel 1911 vede sovrapposti all’aquilasveva i fiordalisi angioini, (Fig. 24) si potrà anzi concludere che un restauro suc-cessivo un incendio123 può essere stato realizzato in più momenti sino ad età an-gioina. Da ciò potrebbe derivare una datazione ancora più tarda solo di alcunefigure o – alla luce dei caratteri formali delle immagini - una negazione di sostan-ziali interventi nella decorazione pittorica.

Se ci si libera quindi dal condizionamento della presunta fonte e alla luce deldato tecnico dell’esame della carpenteria, nonché osservando i caratteri formali dellepitture, si può concludere che il soffitto può essere datato come il cefaludense versola metà del XII secolo, molto probabilmente prima della morte di Ruggero II, forseentro il 1140, momento in cui Ruggero II è fortemente interessato a Messina. Ed an-cora - alla luce di quanto suggeriscono le iscrizioni edili in arabo - verso il 1130-1140, quando ancora Ruggero, col titolo di al-malik, fa realizzare la Cattedrale.

Siamo così giunti a poter valutare alla luce delle nuove letture e dei confrontiistituiti la possibilità di un influsso arabo nel soffitto messinese. Ma più che rispo-ste certe possiamo proporre un insieme di considerazioni e spunti: la stretta relazionestrutturale col soffitto di Cefalù potrebbe orientare per maestranze specializzate incarpenterie, attive in chiese sorte tra 1130/40, eredi di altre maestranze attive in Ca-labria e autrici del soffitto perso della cattedrale di Mileto (c.a 1080) e che a lorovolta trasmettono alla generazione successiva le conoscenze tecniche necessarie perrealizzare i soffitto nelle Cattedrali di Palermo e di Monreale.

121 Al quale indirizza nello stesso agosto una bolla cf. STARABBA 1888, I, II, p. 94, n. LXXI.122 STARABBA 1888, I, II, doc. LXX, pp. 93-94 lettera indirizzata ai suffraganei di Messina, all’Archiman-

drita del SS. mo Salvatore e ad altri prelati messinesi.123 La cui datazione al funerale di Corrado IV non convince. Che poi la tomba scompaia per l’incendio è

inverosimile, in quanto per quanto bruciata una tomba può essere ricostruita, se l’intento è di salvaguardarla,mentre in questo caso sia con Manfredi che ancor più con Carlo d’Angiò e i suoi arcivescovi non sembra credi-bile un interesse per la sepoltura. Per Corrado WEINFURTER 2003, pp. 315 ss.

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Diverso invece è il problema della trasmissione della tradizione pittorica, chenel soffitto di Messina è molto differente da quella di Cefalù e, tanto più, da quelladella Palatina di Palermo.

Se la possiamo pensare in alcune parti per schemi iconografici simile a quellache decorava il tetto della Cattedrale palermitana, forse potremmo pensare conMauceri a due fasi, ma porre la prima in età ruggeriana e la seconda in età tardo-normanna o sveva, non lontana dall’anno di consacrazione da parte di Enrico eCostanza d’Altavilla. È ora da ricordare che nel 1169 vi è un rovinosissimo terre-moto che distrugge Messina e quindi non è improbabile danneggi il tetto della Cat-tedrale, la cui decorazione pittorica, romanico-siciliana, già creata e partecipe delleesperienze ruggeriane pervenuteci soprattutto grazie ai mosaici cefaludensi e pa-lermitani, potrebbe essere sottoposta ad un restauro.

Tutto ciò non può orientare inequivocabilmente per manodopera islamica, mapotrebbe far pensare a manodopera specializzata per la carpenteria di soffitti li-gnei, itinerante, che raccoglie esperienze comuni nel mediterraneo. La decorazionepittorica potrebbe essere dovuta a maestranze impegnate nella decorazione di tuttol’edificio, sia dei mosaici che del del soffitto.

Torniamo quindi al punto di partenza della nostra indagine: caratteri arabiusati sono per decorare le finestre (e forse altre zone) ed hanno elementi decora-tivi a palmette e tralci, che ritornano quasi analoghi in tralci del soffitto, dove allelettere in naskhj si sostituiscono lettere in cufico e pseudo cufico. Vedere in essesolo elementi decorativi, come avviene in tante chiese dell’Italia Meridionale, sem-bra riduttivo, proprio per la presenza delle iscrizioni-cornici in marmo, porfido eserpentino, di alto prestigio, con richiami alla tradizione imperiale e allo sfarzo diBisanzio, forse più che dei Fatimiti o degli Ziriti. Ma non sembra cogliere nel veronemmeno una lettura che esalti troppo la loro presenza e con essa sostenga unaparticolare attenzione per i gruppi islamici della zona, nella loro matrice musul-mana. Si può pensare che le iscrizioni attestino un’attenzione rivolta ad arabi egruppi che si esprimono in arabo, ma provenienti dal vicino oriente, sudditi pernascita dell’impero di Bisanzio, gruppi di siciliani eredi del precedente dominio enuovi arrivati dall’Egitto e dal Magreb, attratti, come i poeti, dal benessere e dalclima dell’età ruggeriana.

Ringrazio per l’invito al Convegno il professor Antonino Pillitteri e per le cortesi attenzioni tutti i Suoi Col-laboratori ed in particolare la dottoressa M. G. Sciortino.

L’edizione di questo lavoro è successiva all’assunzione dell’incarico di Soprintendente del MuseoNazionale d’Arte Orientale di Roma (2008), ma il testo si attiene a quanto letto nella relazione originaria, senzaampliamenti relativi ai sorprendenti confronti che si possono istituire tra l’arte normanna con influssi islamicie quella dei reperti medioorientali presenti al MNAOr, confronti colti sin da una ormai lontana visita occasion-ale al Museo. Mi auguro, però, compatibilmente agli impegni istituzionali, di poter tornare in altra sede su un temacosì affascinante, pur se finora sostanzialmente ignorato.

Maria Amalia Mastelloni

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Fig. 19 - MIR ME - Frammenti con figura di mostroserpentiforme (ketos?) entro cornice ovale.

Fig. 23 - DA LEONE 2003: STILO Cattolica, p. 146. Fig. 24 - DA SALINAS 1911.

Fig. 21 - MOREY 1841-1842. Fig. 22 - Nebek, mar Musa al Habashi.

Fig. 20 - MIR ME - Frammenti con grafemi arabi didiverse dimensioni inv. 1115.

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– TRONZO 1997 = W. TRONZO, The Cultures of His Kingdom: Roger II and the Cappella Pa-latina in Palermo, Princeton 1997

– TSIGARIDAS 1986 = E. TSIGARIDAS, Οι τοιχογραφιϖες της µονηϖς ΛατοϖµουΘεσσαλονιϖκης και η βυζαντινηϖ ζωγραφικηϖ του 12ου αιωϖνα, Thessalonike, 1986

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– VENTRONE VASSALLO 1993 = G. VENTRONE VASSALLO, La Sicilia Islamica e postisla-mica. Dal IV/V al VII/XIII secolo, in Eredità dell’Islam. Arte islamica in Italia, Cata-logo della Mostra Venezia 30 10 1993- 30 04 1994, a cura di G. Curatola, Venezia1993, pp.183-193

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– Da *Zancle a Messina II.1 =Da Zancle a Messina. Un percorso archeologico attraversogli scavi, II.1, a cura di G. M. BACCI - G. TIGANO, Messina 2001

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– ŽORIĆ 1989 = V. ŽORIĆ, Considerazioni analitiche sulla costruzione della Cattedrale Nor-manna di Cefalù, V, Una grande carpenteria: tra struttura e decorazione, V D Struttura deltetto della navata centrale nella storia, in La Basilica Cattedrale di Cefalù. Materiali perla conoscenza storica e il restauro, Palermo 1989, pp. 93-340

– ŽORIĆ 2006 = V. ŽORIĆ, Le porte bronzee della Cappella Palatina, Catalogo della Mo-stra: Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, (Pa-lermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wien, Alte Geistliche,30 marzo - 13 giugnio 2004), II Saggi, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006, pp. 33-45

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