Nel segno di Michelangelo. La scultura di Giovan Angelo Montorsoli a Messina

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ALESSANDRA MIGLIORATO NEL SEGNO DI MICHELANGELO La scultura di Giovan Angelo Montorsoli a Messina

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ALESSANDRA MIGLIORATO

NEL SEGNO DI MICHELANGELOLa scultura di Giovan Angelo Montorsoli a Messina

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Il dialogo con Michelangelo

Quando Giovan Angelo Montorsoli si trasferì a Messina nel settembre 1547, vi giunse portando con sé la travolgente potenza immaginifica delle opere di Michelan-gelo Buonarroti e dopo aver visto due fra i più celebri, quanto discussi, capolavori di tutti i tempi: il Giudizio universale e la Tomba di Giulio II.

Si trovava a Roma, appunto, quando fu convocato dai senatori messinesi e la città eterna doveva inevitabilmente rimandare al sommo maestro che lo aveva reclutato come aiuto nelle cappelle medicee a Firenze, incaricandolo di eseguire su suo dise-gno la statua di San Cosma [fig. 1] in contrapposizione al San Damiano di Raffaele da Montelupo, e che aveva suggerito il suo nome al pontefice Clemente VII per il restauro di due statue antiche di fondamentale impor-tanza: il Laocoonte e l’Apollo del Belvedere.

Questa centralità della produzione michelangiole-sca come esempio al quale guardare, assieme alla scul-tura antica, si apprende, del resto, dalla viva voce del frate, che nel giugno del 1547, ossia pochi mesi prima del suo passaggio in Sicilia, così scriveva a Cosimo de’ Medici: «Da poi che io ò dato fine all’opra del Signor principe d’oria in Genova […], mi sono trasferito a Roma per una mia facienda et parte per rivedere le cose antiche et l’opre di Michelangelo»1.

Anche per il suo spostamento nell’Isola, l’influen-za del maestro avrebbe giocato, come vedremo, un ruolo determinante.

L’attenta comparazione fra i dati documentari e le notizie delle Vite di Giorgio Vasari, permette, infatti, di avviare significative riflessioni.

Da un noto documento relativo alla Fontana di Orione pubblicato da Stefano Bottari2, risulta che Gio-van Angelo non fu la prima scelta dei senatori pelo-ritani. Questi si erano dapprima rivolti allo scultore napoletano Giovanni da Nola, che non accettò, e, su-bito dopo, a Raffaele da Montelupo. Precisamente, in

1 Gaye 1840, vol. II, p. 365. 2 Bottari 1928, fasc. V-VI, pp. 4-5.

1 Giovan Angelo Montorsoli, San Cosma, Firenze, San Lorenzo, Sagrestia Nuova.

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data 13 maggio 1547, il capomastro mazonus Domenico Vanello veniva incaricato dai giurati di contattare nel continente «un mastro sculturi valenti homo zoe a joanni di Nola napolitano scultore oy ad raffaili di munti lupu fiorentino... oy ad qualchi altro mastro valenti homo sufficienti ad lavurari la infrascritta fonti de lo modello dato a dicti signuri provvisori per ipso mastro Domenico».

Questo punto è così spiegato da Giorgio Vasari: «Mentre che il frate si andava trattenendo in Roma avendo i messinesi deliberato di fare sopra la piazza del lor Duomo una fonte con un ornamento grandissimo di statue, avevano mandati uomi-ni a Roma a cercare di avere uno eccellente scultore; i quali uomini, se bene avevano

fermo Raffaello da Montelupo, per-ché s’infermò quando apunto volea partire con esso loro per Messina, fe-cero altra resoluzione e condussero il frate, che con ogni instanza e qualche mezzo cercò d’avere qual lavoro»3.

Il riferimento alla malattia del Montelupo è ripreso anche nella vita di quest’ultimo a proposito delle due statue del Profeta e della Sibilla per il monumento di Giulio II [fig. 2], completate dallo stesso tra il 1542 e il 1545: «Andato poi a Roma, dal Buo-narroto gli furono fatte fare due figu-re di marmo, grandi braccia cinque, per la sepoltura di Giulio Secondo a San Pietro in Vincula, murata e finita allora da Michelagnolo.

Ma amalandosi Raffaello mentre faceva questa opera, non poté met-tervi quello studio e diligenza che era solito; onde ne perdé di grado, e so-disfece poco a Michelagnolo»4.

3 Vasari 1568 (ed consultata Barocchi - Bettarini 1966-1987, vol. V, p. 501). D’ora in poi Vasari 1568.4 Ivi, vol. IV, p. 295. La scarsa soddisfazione di Michelangelo rispetto a queste due statue è ripresa,

inoltre, dallo stesso Vasari ne la Vita di Michelagnolo, ivi, vol. VI, p. 68, dove scrive: «un profeta e una si-billa fur fatte da Raffaello da Montelupo, come s’è detto nella vita di baccio suo padre, che fur condotte con poca satisfazione di Michelagnolo».

2 Michelangelo Buonarroti e collaboratori, Tomba di Giulio II, Roma, San Pietro in Vincoli.

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Esprimendo tale giudizio, ripetuto anche nella Vita di Michelagnolo, Vasari si di-mostrò tutt’altro che tenero con il collega, forse condizionato dalla parzialità del proprio punto di vista, o dal crogiolo di invidie e di maldicenze scagliato contro chi aveva avuto la fortuna di ricoprire un ruolo così consistente in un’opera destinata a un’immensa celebrità.

A ogni modo, la convergenza fra i diversi brani va attentamente analizzata. Nella cappella medicea in San Lorenzo, Michelangelo aveva assegnato al Montorsoli e al Montelupo l’esecuzione delle rispettive statue dei santi medici Cosma e Damiano per creare un gioco di contrapposti, valorizzando così le attitudini di entrambi.

Agli occhi del maestro, dunque, i due aiutanti dovevano apparire diversi, ma in un certo senso complementari; quasi una sorta di materializzazione della dialettica degli opposti, di cui si nutriva la cultura dell’epoca e sulla quale si basa anche il tema della cappella.

Ora, nel momento in cui i senatori peloritani nel 1547 si indirizzavano verso il Montelupo, mostravano interesse per l’artista che aveva affiancato l’inarrivabile mae- stro nell’impresa scultorea più celebre e travagliata di quegli anni. Solo in rapporto a Michelangelo si può comprendere perché, una volta caduta l’opzione prescelta, l’interesse dei messinesi si concentrasse su Montorsoli.

Egli, infatti, appariva come l’alternativa più vicina, ma non in termini assoluti, quanto piuttosto in relazione al faro di Michelangelo.

Vasari suggeriva, altresì, che: «il frate […] con ogni instanza e qualche mezzo cercò d’avere quel lavoro»5.

Ci si è chiesti cosa potesse intendere il biografo e, soprattutto, con chi potesse essersi adoperato Montorsoli. Le risposte possono essere molteplici, ma va sottoli-neato che, considerato l’obiettivo dei messinesi durante questa precisa congiuntura, anche una sola parola di Michelangelo avrebbe avuto un peso decisivo.

Il cerchio si chiude se consideriamo che a sottoscrivere il contratto di incarico per conto della città, il 30 agosto 1547, figura il canonico Giovan Francesco Verdu-ra. Proprio tra il 1546 e il 1547 quest’ultimo veniva introdotto a Roma nella cerchia di intellettuali che faceva capo a Vittoria Colonna, mediante un altro messinese, Bartolomeo Spadafora, com’è attestato da una lettera del 1560 inviata dallo stesso Bartolomeo proprio a Michelangelo6.

5 Ivi, vol. V, p. 501. 6 Per il documento di commissione cfr. Puzzolo Sigillo 1951, p. 4. Sulle figure di Giovan Francesco

Verdura e Bartolomeo Spadafora, si veda Caponetto 1987, p. 137 . Entrambi i personaggi, appartenenti alla confraternita di San Basilio degli Azzurri, sarebbero stati più tardi indagati dall’Inquisizione. Su questo vedi anche Giorgianni 1995, p. 143. Successivamente Russo (2001, p. 33) accenna al Verdura.

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All’interno di questo ambiente, dunque, venne caldeggiata la candidatura di Mon-torsoli, benché ciò non escluda un supporto, come ipotizzato da altri studiosi, da parte dell’arcivescovo di Messina, il genovese Innocenzo Cybo, che aveva già procu-rato al Nostro una commissione a Genova7.

L’intervento personale del Nostro per propugnare la propria nomina viene inve-ce messo in dubbio da Nicola Aricò8, che, ravvisando in questo una limitazione alla fama e alle qualità dell’artista, scrive: «Montorsoli giungeva dunque a Messina non perché aveva brigato per ottenere l’incarico, ma perché i suoi titoli e il suo magistero erano stati riconosciuti idonei e affini ai disegni politico culturali dell’Accademia»9.

Tuttavia, il possibile inserimento dello scultore all’interno di una cerchia di in-tellettuali e la sua affinità di vedute con gli stessi, non può cancellare il dato storico narrato dal Vasari, soprattutto se consideriamo che l’affermazione del biografo va rapportata a un contesto in cui la ricerca di una segnalazione coincideva nella sostan-za con quella di un autorevole accreditamento, incardinandosi in una prassi vigente all’interno dei rapporti tra artisti e committenti.

L’interesse verso la nomina da parte del Montorsoli si comprende, così, alla luce della crucialità del ruolo che avrebbe successivamente rivestito in riva allo Stretto10;

ruolo che prevedeva un’ampiezza d’intervento difficilmente raggiungibile in quegli anni per uno scultore, sia pur celeberrimo, come dimostrano, a un livello macrosco-pico, le difficoltà incontrate persino dal Buonarroti nel rapporto con i mecenati, o le lotte intestine fra gli scultori fiorentini per ottenere l’incarico della Fontana del Nettuno in piazza della Signoria.

Proprio Montorsoli, del resto, aveva subito non poche amarezze dai committenti, se pensiamo al deludente soggiorno parigino, o alla distruzione del suo marmo de-stinato alla fontana della villa medicea di Castello, e non deve stupire, quindi, il suo desiderio di inserirsi in un ambiente dove avrebbe operato in regime di monopolio e con una possibilità notevole di spesa.

Infine, se ex post appare indiscutibile la sintonia creatasi tra il maestro e l’élite pe-loritana, non si può dimenticare che in un primo momento questa si era indirizzata verso altri scultori.

Infine, Aricò 2013, pp. 2-3, assegna al canonico il ruolo primario di «selezionatore ideologico a nome dei messinesi».

7 Laschke 1993, p. 91. 8 Aricò 2013, pp. 2-5. 9 Ivi, p. 5. 10 Migliorato 2010b, pp. 136-139.

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Il passaggio dal Montelupo a Montorsoli, invece, si spiega meglio se consideria-mo che anche quest’ultimo aveva partecipato al monumento sepolcrale di San Pietro in Vincoli.

Pur senza addentrarsi nel complesso e affascinante dibattito che anima gli studiosi rispetto alle varie parti di questo monumento, occorre ripercorrerne le fasi salienti: nel 1505 il pontefice Giulio II aveva affidato a Michelangelo il compito di innalzare un grandioso sepolcro destinato alla propria sepoltura nel coro della Basilica di San Pie-tro11. L’iniziale disegno – concepito come una colossale struttura isolata nello spazio con quaranta statue e tre rilievi in bronzo – venne però presto accantonato dal pontefi-ce, che preferì dare la precedenza ad altre imprese artistiche. Solo dopo la scomparsa di Giulio II, il 12 febbraio 1513, il maestro riprese le trattative con gli eredi, dando luogo a cinque diversi progetti, rispettivamente nel 1513, nel 1516, nel 1526, nel 1532 e nel 1542.

Una svolta fondamentale si verificò nel 1532, quando, stabilita la collocazione nella chiesa di San Pietro in Vincoli, si innalzava lo scheletro del monumento con la statua del defunto semigiacente12 e delle Erme del registro inferiore.

Gli impegni presi nel frattempo dall’artista con il pontefice Paolo III per la rea-lizzazione del Giudizio universale segnarono, però, una nuova battuta d’arresto e solo nel 1542 si giunse all’accordo definitivo, secondo il quale tre statue sarebbero state interamente di mano del Buonarroti. In particolare, si trattava del Mosè, di Lia o Vita Attiva, e di Rachele o La Vita Contemplativa. Raffaello da Montelupo doveva invece portare a termine la Sibilla, il Profeta (già sbozzate dallo stesso Michelangelo) e la Madonna col Bambino (iniziata da Alessandro Fancelli da Settignano detto Scherano).

A differenza del Montelupo e degli altri collaboratori, Montorsoli non è contem-plato in relazione a note di pagamento, ma il suo intervento viene ricordato in due fonti: dal Vasari e da un anonimo del 1544 in un’aggiunta al Codice Magliabechiano13.

11 Nell’impossibilità di citare la bibliografia di riferimento si veda almeno: de Tolnay 1954; Echinger- Maurach 1991; A. Forcellino 2002, con appendici a cura di M. Forcellino in cui si esaminano i docu-menti sul monumento e la bibliografia precedente; Echinger Maurach 2003, pp. 336-344; M. Forcellino 2005, pp. 9-40; Agosti 2007; Echinger-Maurach 2009; Acidini Luchinat 2010.

12 Sulla paternità di questa scultura si confrontano pareri diversi. All’attribuzione tradizionale a Tom-maso Boscoli, scaturita dal testo del Vasari, si contrappone l’interpretazione che vede l’autografia di Miche-langelo almeno nel volto del defunto. Cfr. in particolare M. Forcellino 2005, pp. 15-16. Per una posizione di mediazione fra le due istanze, cfr. Acidini Luchinat 2010, pp. 257-258, con bibliografia precedente.

13 Descrizione di un pellegrino contenuta in un Codice Magliabechiano, 30 marzo in Roma: «In San-to Pietro in Vjncholo […] E euj la sepoltura dj Giulio papa; dicesi di Mjchelagniolo: euj la uirgine di marmo dj mano da Scherano. Euj la figura di mano dj Rafaelo da Montelupo. Euj una dona di mano del frate de’ Servi e la figura del papa, che si posa chosi in su lato ritto»: Firenze, Biblioteca nazionale. Pubblicata dapprima da Frey (1969, p. 136) e poi da von Fabricy (1969, p. 282), questa testimonianza è stata poco considerata fino al recente recupero di M. Forcellino, Appendice documentaria, in A. Forcellino

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Mentre il secondo, però, attribuiva al Nostro la statua della Sibilla, opera indi-scutibilmente eseguita dal Montelupo, il Vasari non chiariva in cosa consistesse l’in-tervento del frate. La sua indicazione appare, tuttavia, di primario interesse perché permette di cogliere la cronologia degli eventi.

Il biografo scriveva, infatti, che il frate, dopo aver lavorato alle tombe medicee, si era recato a Roma, dove «fu di grande aiuto a Michelagnolo nell’opera della già detta sepoltura di Giulio Secondo»14.

Il frate avrebbe quindi collaborato alla tomba proprio nello stesso periodo in cui si trovava a Roma per i restauri del Laocoonte e dell’Apollo del Belvedere, tra il 1533-34 ca.

Si tratta, appunto, del momento in cui Michelangelo procedeva alla collocazione della statua del defunto e delle Erme del piano inferiore15.

A tal proposito, appare pienamente calzante quanto affermato da Claudia Echinger-Maurach: «to me it seems doubtful that Michelangelo began to work on clay models for the tomb in September 1532 because first he had to devise the new design of the tomb, and only when that was done could he begin to make models. He also had to add missing ornamentation and make the busts for the terms for the lower storey. I would suggest that Michelangelo first made modelli for the busts of the terms flanking Moses in 1533: the heads are so closely related to the head of Cosmas in the Medici chapels, which Montorsoli, following Michelangelo’s model started to carve in July 1533, that we might guess that they were conceived around the same time»16.

2002, pp. 264-265 e M. Forcellino 2005, pp. 17 e 36. La stessa studiosa ha inoltre preannunciato l’analisi della fonte in relazione all’intervento montorsoliano in una prossima pubblicazione.

14 Vasari 1568, vol. V, p. 494.15 Le quattro Erme erano in passato identificate dalla critica con quelle pagate a Jacopo Del Duca

nell’ottobre 1542, quando Raffaele da Montelupo riceveva «dieci scudi di moneta da Urbino per conto di 4 teste di termini per san Pietro in Vincola, che li à fatti jacomo mio garzone». Cfr. Milanesi 1875, p. 709. Negli ultimi studi, però, il pagamento è stato più correttamente collegato alle quattro teste di Termini del piano superiore del monumento. Cfr. su questo già Von Einem 1959, p. 200, nota 11; Echinger-Maurach 1991, I, pp. 381-382; M. Forcellino 2005, p. 26. Infatti, come sostenuto dagli studio-si, la retribuzione di dieci scudi a Jacopo Del Duca risulta troppo esigua per la realizzazione dei quattro grandi Termini a mezzobusto, anche in relazione al pagamento di trentasei scudi corrisposti a Battista di Donato Benti per eseguire unicamente lo stemma che sormonta il sepolcro; mentre essa appare più adeguata alle quattro piccole teste del piano superiore. Inoltre, il documento fa riferimento alla realizza-zione di quattro teste e non di mezzibusti. E ancora, i tempi del pagamento sarebbero piuttosto lontani rispetto alle date di esecuzione di questa parte del monumento, finita già negli anni Trenta del secolo. Infine, la fisionomia del Del Duca non pare conciliabile con la qualità delle Erme del piano inferiore.

16 Echinger-Maurach 2009, p. 344 («nutro qualche dubbio sul fatto che Michelangelo abbia comin-ciato a lavorare su modelli in argilla per la tomba nel settembre 1532, in quanto solo dopo aver proget-

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Secondo la studiosa, dunque, nel settembre del 1532 Michelangelo intraprendeva il nuovo progetto, procedendo successivamente a eseguire i modelli in creta. Dopo questa fase egli iniziava a innalzare l’opera, realizzando prima, intorno al luglio 1533, le due Erme più vicine alla nicchia del Mosè, molto simili alla testa della statua di San Cosma scolpita da Montorsoli su modello di Michelangelo nelle tombe medicee.

tato il nuovo disegno del sepolcro avrebbe potuto cominciare a realizzare i modelli. Egli doveva anche aggiungere le decorazioni mancanti ed eseguire i busti dei Termini per il piano inferiore. Proporrei, dunque, che Michelangelo abbia realizzato prima i modelli per i busti dei Termini a fianco del Mosè nel 1533: le teste di questi ultimi appaiono così strettamente correlate a quella di San Cosma nelle cappelle Medicee – opera iniziata nel luglio 1533 da Montorsoli su modello di Michelangelo – che potremmo ipotizzare che esse siano state concepite nello stesso periodo»). Inoltre, in Echinger-Maurach 1991, la studiosa poneva la questione di una collaborazione del Montorsoli accanto a Michelangelo nelle tre statue del Profeta, della Sibilla e del pontefice.

3 Michelangelo Buonarroti e Giovan Angelo Montorsoli (qui attribuito), Tomba di Giulio II, Erma, Roma, San Pietro in Vincoli.

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4-7 Giovan Angelo Montorsoli, Fontana di Orione, Tritoni, Messina.

Oltre che logicamente ineccepibile, tale brano risulta illuminante, se letto in re-lazione alla produzione del Montorsoli. Infatti, non si tratta solo di una coincidenza temporale, ma di un vero e proprio rapporto di collaborazione tra il maestro e l’allie-vo, lo stesso che si riproponeva nella realizzazione della statua di San Cosma.

Per poterlo ipotizzare, la statua di San Cosma non basta. Bisogna, invece, immer-gersi nell’osservazione delle opere messinesi scolpite dal frate senza alcun intervento del suo mentore.

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In particolare, l’Erma collocata per l’osservatore alla destra del Mosè [fig. 3] coincide in maniera palmare con le statue dei Tritoni [figg. 4-7] che reggono la pri-ma vasca della Fontana di Orione, mentre la corrispettiva a sinistra [fig. 8] presenta strette analogie con alcune statue dei Fiumi [fig. 9] della medesima fontana.

In entrambi i casi si riscontrano elementi di sovrapponibilità sia per quanto con-cerne la plasticità del modellato, sia nei singoli dettagli fisionomici, come il taglio tondeggiante degli occhi, le pupille segnate da una marcata ammaccatura, la fronte profondamente aggrottata, il naso che si dilata sulla punta, le folte sopracciglia, le ciocche della barba volumetricamente enfatizzate e rilevate ciuffo per ciuffo, la cara-tura espressiva volutamente grottesca e financo triviale.

Tali coincidenze si giustificano solo parzialmente come il frutto dell’influsso michelangiolesco, comunque fondamen-tale. Gli elementi evidenziati permettono, infatti, non solo di differenziare le suddet-te sculture da altre parti del monumento, ma soprattutto le diversificano dalle due gemelle collocate nei lati esterni, con-fermando la presenza di un artista dalla personalità autonoma, ancorché guidato dalla stretta aderenza a un modello.

Non a caso, proprio la Echinger-Maurach distingue fra le prime, assegna-te a Michelangelo e bottega, e le secon-de, riferite alla sola bottega.

L’assenza di notizie circa gli emolu-menti al Montorsoli in questa data po-trebbe giustificarsi, invece, per il fatto che egli lavorava in questi anni a stretto contatto con Michelangelo.

Alle Erme, o Termini, si accenna poi anche in un altro documento del 21 ago-sto 1542 stipulato fra Girolamo Tiranno, oratore di Guidobaldo della Rovere, Raffael-lo da Montelupo e Francesco detto l’Urbino, assistente di Michelangelo, in cui veniva garantito l’intervento di rifinitura da parte del maestro sia sul volto del papa, che nei Termini: «Et più il detto francesco si obbligò e promesse che detto messer Michelan-gelo ritocherà la facia della statua di papa julio che è in su opera e quella de’ termini,

8 Michelangelo Buonarroti e Giovan Angelo Montorsoli (qui attribuito), Tomba di Giulio II, Erma, Roma, San Pietro in Vincoli.

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secondo che ad esso messer Mi-chelangelo parrà stia bene»17.

Tuttavia, quest’ultimo atto non altera nella sostanza la proposta qui avanzata, sia che vada rife-rito alle nostre due Erme, sia che riguardi, in alternativa, le due più esterne, le quali, mantenendo un aspetto poco rifinito, avrebbero richiesto (secondo i committenti) un ulteriore intervento che il mae-stro non ritenne di effettuare.

Dopo i lavori degli anni Tren-ta, Montorsoli dovette comunque tornare a vedere il monumento completo, trovandosi a Roma prima di trasferirsi nell’Isola, tan-to che esso appare uno dei rife-rimenti maggiormente presenti nella sua produzione successiva.

La citazione più ovvia si può indicare nella ripresa letterale del-

la statua di Mosè nell’altare dei Servi a Bologna, ma l’espressione severa e inquieta del capolavoro michelangiolesco influenzò profondamente sia le figure dei Fiumi nella Fontana di Orione, che il volto del Nettuno dell’omonima fontana.

Dalla Madonna col Bambino (scolpita su modello michelangiolesco da Raffaele da Montelupo e Scherano da Settignano) deriva invece la Madonna del Popolo di Tropea (Vibo Valentia) e le successive riprese a opera della bottega.

Nella statua di Rachele rintracciamo il modello dell’Assunta eseguita nella cappella Cicala della chiesa di San Domenico a Messina, prototipo che avrebbe avuto enorme fortuna nel messinese, proliferando in numerose varianti.

Non meno fortunato il prototipo della corrispondente statua della Vita Attiva, che costituì il modello per la Sant’Agata di Castroreale (Messina) e di Taormina (Mes-sina) e per la Santa Caterina di Forza d’Agrò (Messina) eseguita più tardi dall’allievo di Montorsoli, Martino Montanini, ma su disegno del Nostro.

17 Cfr. Milanesi 1875, pp. 717-718.

9 Giovan Angelo Montorsoli, Fontana di Orione, Fiume Ebro, particolare, Messina.

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Dall’osservazione di queste ultime opere scaturisce, peraltro, un’ulteriore riflessione: com’è sta-to recentemente evidenziato18, in-fatti, il significato delle due statue allegoriche sottintendeva, nelle intenzioni di Michelangelo, un riferimento alle due sante Maria Maddalena e Caterina, che nel di-battito fiorito intorno al circolo di Vittoria Colonna e degli «spiritua-li» erano appunto associate alle ri-spettive qualità della vita attiva e della vita contemplativa.

Benché Montorsoli abbia poi adoperato in maniera assoluta-mente libera i temi iconografici delle due allegorie, il loro utiliz-zo come modello per le statue di Sant’Agata e della Vergine Assunta dimostra consapevolezza da par-te dello scultore del loro signifi-cato sotteso, o, quanto meno, del profondo travaglio spirituale che aveva animato il maestro nell’esecuzione di quest’ultima parte del monumento.

Al di là di questo particolare esempio, Montorsoli dovette comunque avere acces-so alla fase di elaborazione delle opere del maestro, attingendo da cartoni e bozzetti.

Nel caso dell’Apostolato, infatti, egli traeva spunto dal progetto di Michelangelo di eseguire una teoria di Apostoli nel duomo di Firenze.

Inoltre, dal cartone michelangiolesco raffigurante Noli me tangere eseguito nel 1531 (e dipinto poi da Pontormo), deriva l’altorilievo per la cappella Borsa nella chiesa di San Domenico; mentre il bozzetto con l’Ercole di casa Buonarroti costituisce il mo-dello per il Giovane con anfora del Museo Regionale Maria Accascina di Messina, opera portata a termine dopo la sua partenza. I bozzetti michelangioleschi per le statue dei fiumi nelle cappelle medicee della Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze ispira-rono, invece, le quattro divinità fluviali della Fontana di Orione.

18 M. Forcellino 2009, pp. 192-212.

10 Giovan Angelo Montorsoli (attribuito), Pan, particolare, Roma, collezione Ludovisi, Casino dell’Aurora, giardino.

Più complessivamente, nella stessa fontana, dovendo gestire un vero e proprio ciclo figurativo, Montorsoli prese spunto dagli affreschi della volta della Cappella Sistina, sia nel modo di articolare le scene su piani sovrapposti e paralleli, sia con l’adozione di alcuni elementi specifici, come il tema dei cartigli sostenuti da nastri, adoperati per inserire scene di corredo rispetto alla narrazione principale, oppure come il leitmotiv del mantello che si gonfia circolarmente alle spalle delle figure, usato (anche in altre opere) allo scopo di conferire movimento e ariosità alle scene.

L’omaggio al maestro si spinge, inoltre, fino a rievocare le sue prove giovanili come l’Angelo ceroforo dell’arca di San Domenico a Bologna, ripreso dal Nostro negli Angeli della chiesa di San Nicola, eseguiti probabilmente dal Montanini.

Un’ulteriore e preziosa testimonianza dei rapporti con il Buonarroti, è il Pan di collezione Ludovisi [fig. 10], acquistato nel XVII secolo come opera di Michelangelo e attribuito al nostro scultore da Francesco Caglioti19. Databile probabilmente agli anni in cui Montorsoli restaurava le celebri sculture antiche e collaborava con il mae-stro, la statua rappresenta un’originale riflessione sulla scultura romana che si affian-ca alla libertà interpretativa adottata nella Fontana del Tritone di Villa Doria a Genova.

19 Per l’attribuzione cfr. Caglioti 1998, p. 86, nota 7. Per la storia critica precedente si legga la scheda di Micheli 1986, pp. 238-240.

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Il soggiorno in Sicilia nella storiografia

La fonte primaria per ricostruire il soggiorno siciliano dello scultore appare senz’altro la Vita di Giorgio Vasari1, che fu in rapporti strettissimi con Montorsoli, assieme al quale avrebbe rifondato l’Accademia del Disegno dopo il suo ritorno a Firenze. L’ottica della biografia vasariana appare, quindi, particolarmente preziosa sia per la vicinanza tra i due artisti, sia perché il testo venne redatto negli anni stessi o immediatamente successivi allo svolgersi degli avvenimenti narrati. Del resto, posta a confronto con i documenti d’archivio esistenti, essa mantiene un grado piuttosto alto di attendibilità.

Ciò non significa, ovviamente, che sia esente da sviste o libere interpretazioni, ma presenta comunque la fragranza di una testimonianza immediata, rispecchiando la mentalità dello stesso frate, il quale non ha difficoltà a includere all’interno della propria produzione anche quelle opere realizzate nell’ambito della sua bottega isola-na dopo il ritorno in patria.

Di fronte all’autorità vasariana, le fonti locali sembrano arretrare, rinviando diretta-mente al profilo tracciato dal biografo aretino. Così Francesco Susinno2, riconoscen-do il grande valore del Nostro, ritiene superfluo affrontare l’argomento perché ciò sarebbe come «aggiungere più faville alla gran lumiera del sole». Egli si occupa, però, della scultura montorsoliana da un’altra ottica, ossia tentando di precisare la figura del suo allievo e collaboratore Martino Montanini, «per non far restare defraudato un tal artefice di quella lode che in verità guadagnossi», giacché, come lo scrittore precisa: «In tutte le opere di fra Giovanni Agnolo lavorovvi lo scolajo, né di esse se ne può dare specifica contezza, a cagion che passano per mano del frate il quale non poté giammai condurre tanti lavori nel corso degli anni predetti. Benché alleviato dalla maggior fatica da molti scarpellini, che con esso lui lavoravano e sgrossavano marmi»3.

Notizie utili, ma scarne, provengono dal compendio storico di Francesco Mau-rolico4, dalla Messina città nobilissima di Buonfiglio Costanzo5 e dagli scritti di Caio Domenico Gallo6.

1 Vasari 1568, vol. V, pp. 491-510.2 Susinno [ms.1724] 1960.3 Ivi, p. 88. 4 Maurolico 1562.5 Buonfiglio Costanzo 1606.6 Gallo 1755; Gallo 1756-1758, vol. I, t. II; Gallo 1804, vol. II, t. III.

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Gioacchino Di Marzo7, benché ineguagliabile nella ricerca documentaria, tende a fraintendere le peculiarità stilistiche dell’artista, apprezzandolo più per gli aspetti di aderenza all’ortodossia classicista, che per le sue specifiche qualità, e, infatti, le opere assegnategli da questo studioso raramente hanno retto a uno studio più approfondito.

Un ribaltamento di prospettiva e la valorizzazione del suo magistero si registrano, invece, nella storiografia siciliana del Novecento con gli studi di Stefano Bottari8, Salvatore Boscarino9, Antonino Bilardo10, Elvira Natoli11 e Simonetta La Barbera12.

Per l’interpretazione delle fontane restano indispensabili i contributi di Karl Möseneder13 e di Sheila Ffolliot14.

A Birgit Laschke va il merito di aver attentamente scandagliato tutto il percorso dello scultore, precisandone molti aspetti nell’ambito di una fondamentale mono-grafia15.

All’interno di trattazioni globali sulla produzione artistica meridionale, vanno poi segnalati, con diverse argomentazioni, i volumi di Francesca Paolino16, Francesco Negri Arnoldi17 e Francesco Abbate18.

Relativamente a singoli aspetti, significative riflessioni sull’intervento nel duomo in rapporto alla piazza antistante e alla Fontana di Orione si possono leggere nel testo di Giuseppe Giorgianni dedicato alla festa dell’Assunta19, mentre ad Attilio Russo si devono nuovi spunti sull’esegesi della Fontana di Orione in rapporto alle accademie e alla filosofia neoplatonica20.

7 Di Marzo 1869, pp. 325-350; Di Marzo 1880-1883, pp. 763-781; Di Marzo 1904, pp. 91-101.8 Bottari 1928, fasc. V-VI, pp. 2-12; Bottari 1956, pp. 15-55 e 233-244.9 Boscarino 1957, 20/21, pp. 1-12; Boscarino 1961, pp. 9-46.10 Bilardo 1967, pp. 35-42.11 Natoli 1981-1982, pp. 5-10.12 La Barbera 1983, pp. 76-113; La Barbera Bellia 1984, pp. 29-54.13 Möseneder 1979.14 Ffolliott 1984.15 Laschke 1993; Laschke 1994, pp. 411-420; Laschke 2003, pp. 99-108.16 Paolino 1996.17 Negri Arnoldi 1997.18 Abbate 2001.19 Giorgianni 1995.20 Russo 1997 e 2001.

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Chi scrive si è occupata a più riprese della produzione scultorea montorsoliana, dimostrando la paternità della fontana con la Dama col Liocorno, assegnata dalla cri-tica al Bonanno e individuando il suo intervento ideativo in quella con il Giovane con anfora; precisando la prassi operativa montorsoliana nell’Apostolato; riconoscendo la testa dell’Assunta della cappella Cicala ritenuta perduta, attribuendo al Nostro nuove sculture come il San Pietro di San Pier Niceto, il Monumento a Bartolo Arnone a Cosenza e il coperchio di sarcofago con guerriero dormiente del Museo Regionale di Messina (inv. A 3344) e, infine, espungendo alcune opere tradizionalmente ricondotte al suo ambito come il monumento Staiti nel museo medesimo21.

Molto importanti per ricostruire la figura di Montorsoli architetto risultano i vo-lumi di Nicola Aricò, e in particolare l’ultimo, che affronta complessivamente l’ana-lisi delle architetture peloritane22.

Sul corpus grafico si vedano rispettivamente i testi di Battisti, Kubler, Petrioli Tofani, Bustamante e Mariás23. Benché non riguardino il periodo isolano, vanno infine citati i recenti contributi di Francesco Caglioti24, Liana De Girolami Cheney25 e Philippe Malgouyres26.

21 Migliorato 2007, pp. 17-33; Migliorato 2010a, pp. 289-313, tavv. XCIII-CXXIV; Migliorato 2010b, pp. 240-252.

22 Cfr. Aricò 1999, 2005 e 2013.23 Cfr. Battisti 1965, pp. 143-148; Kubler 1978, pp. 143-164; Petrioli Tofani 2003, pp. 150-163; Bu-

stamante - Mariás 1991, pp. 211-312. Riguarda invece soprattutto Anton Francesco Doni il contributo di Pepe 1998, pp. 123-132. Per altre questioni critiche si veda anche Gründler - Burzer 2008.

24 Caglioti 1998, p. 86, nota 7.25 De Girolami Cheney 2006, pp. 215-223.26 Malgouyres 2008, pp. 9-25. Sebbene incentrato su Francesco da Sangallo, si veda anche il contri-

buto di Ortenzi (2006, pp. 78-80) che restituisce al suddetto scultore il notevole Satiro Barberini del Saint Louis Art Museum, già riferito al Nostro da una lunga tradizione di studi. Per la questione del restauro del Laocoonte, cfr. Winner 1998, pp. 117-128.