Il multiversum del mondo: segno, grafia, scrittura e architettura

8
~iseg n i e incisioni d'architettura istituto nazionale per la grafi cc GANGEMi j EDITORE

Transcript of Il multiversum del mondo: segno, grafia, scrittura e architettura

~iseg n i e incisioni d'architettura istituto nazionale per la grafi cc

GANGEMi j EDITORE

IN DICE

Presentazione

Maria Antonella Fusco

Architettura Incisa Sandra Suatoni

Ritorno al futuro Alessandro Anse/mi

Una scrittura misteriosa. Brevi note su un laboratorio di incisione Franco Purini

Il multiversum del mondo: segno, grafia, scrittura e architettura Francesco Moschini

Aquaforcis Gianfranco Neri

Dalla cornice alla città Roberto de Rubertis

Incidere l'architettura Livio Sacchi

Dall'Architettura disegnata all'Architettura incisa 1979-2009 Pasquale Ninì Santoro

Architetti incisori Guido Strazza

ARCH IT ETTURA INCISA Tavole

ARC HITETTI INC ISORI Relazioni

Biografie

Bibliografia

7

8

16

18

24

30

34

40

42

45

99

n9

123

FRANCESCO M OSCHINI

Il multiversum del mondo: segno, grafia, scrittura e architettura

Mi piace immaginare che come avvio di questo la­

boratorio grafico, sia agli architetti di chiara fama,

sia ai giovani allievi che si accingevano ad elabora­

re su una lastra di rame, secondo le tecniche, gli stru­

menti e le matrici più tradizionali, un'autonoma ri­

flessione sullo spazio e non solo, sia stato loro mo­

strato il prezioso dittico piranesiano dedicato alla "Ca­

duca di Fetonte", custodito presso lo stesso Iscicuco

Nazionale per la Grafica-Calcografia, nella sua de­

licatezza, preziosità, opulenza di segno e nella sua ra­

rità per essere stato cosl poco "avvicinabile" e "visi­

bile" nel corso degli anni, proprio perché in quel­

l'opera apicale di G . B. Piranesi si insinua e si inscena,

più che in ogni altra, l'idea della magnificenza come

risultato della molteplicità quasi ad indicare la

straordinarietà del "mulciversum" del mondo.

Un'opera quella d i Piranesi che si colloca in un raro

equilibrio, lontana dalla drammaticità delle Carce­

ri e dalla loro irrappresencabilicà, era nostalgia e man­

canza assoluta di speranza, se non vera e propria ma­linconia.

Nmeno a questo sorprendente equilibrio sembra­

no soccoscare gli esiti degli elaboraci di cucci gli au­

tori coinvolti: dal librarsi aereo delle iperboloidi, se

non lamine plastiche di Nessandro Anselmi, alle pre­

cipitazione stratigrafiche di Valerio Palmieri di una

natura che si fa corpo; dalla dimensione geometri­

ca e volumetrica con cui è descritta l'astratta com­

posizione a barre di Franco Purini in cui le archi­

tetture, in una sorca di sciacciaco donacelliano, sono

compresse su una superficie scandita da "emergen­

ze" e "dissonanze", alla scomposizione e deformazione

dei piani di Massimiliano Fuksas condotti verso una

dimensione leggera e aleatoria coerente con una sma-

cerializzazione ideologica, alla totalizzante resa, on­

nicomprensiva anche nel caglio d'immagine, d i quel

naturalismo ficomorfico, stemperato in una vera e

propria "compenetrazione irridescente", memore de­

gli intrecci borrominiani e degli intarsi di Giacomo

Balla, in cui crova rifugio e appaesamento "Il lecco

di Ulisse" di Paolo Portoghesi, fino alla ritrovata ar­

monia del fronte disseminato del teatro di Avellino,

inciso da Carlo Aymonino, che pare ricucire que­

gli elementi disarticolaci nella compostezza fugge­

vole delle figure di Atalanta e Ippomene; cosl come

accade in quelle degli allievi pit1 direttamente lega­

ti a Franco Purini e ad Alessandro Anselmi. Nei pri­

mi si ritrova una coerenza sviluppata attorno ai temi

della composizione spaziale delle figure piane e tri­

dimensionali: insieme a questa forma di analisi si ri­

scontra la capacità di ricercare le valenze luminose

delle forme in grado di riflettere contemporanea­

mente una profondità e superficialità degli elementi.

Nei secondi, sembra, al contrario, evidente il rap­

porto con un carattere p iù impressionistico del se­

gno; la componente geometrica e informale si sin­

tetizza in una ambivalenza spaziale governata da una

costante capacità di esaltazione tecnica del disegno.

In tutte le opere presentate prepotente sembra im­

porsi il senso dell' infinito, una ricercata incertezza

se non ambiguità dimensionale tra misura e dismi­

sura, era eccessivamente ridotto ed esasperatamen­

te ingigantito e in tutte pare aleggiare la censione­

vibrazione degli elementi, delle figure, dei corpi nel­

la rarefatta atmosfera. Anche il frequente ricorso al­

l'isolamento delle varie parei, pur se collocare in for­

zaci tentativi di ricomposizione, alludono ad un loro

disporsi secondo un sistema paratattico, secondo una

ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHI

TETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHJTETIURA

25

poetica dell'elenco e sicuramente attorno a plurimi

sistemi di attrazione gravitazionale. Tra frammen­

tarietà e ricomposizione sembrano riconducibili tut­

ti gli esiti di questo certamen che sembra piranesia­

namente suggerire che solo attraverso un'opera di di­

sintegrazione possa esserci una possibile rigenerazione.

Questa occasione progettuale ed espositiva promossa

dall'Istituto Nazionale per la Grafica sembra quin­

di ricercare una sorta di continuità con quanto si è

andato sperimentando a partire dagli anni Settan­

ta, almeno in Italia, da parte degli architetti più at­

tenti, che nella tecnica dell'incisione si sono cimentati

come momento di riflessione teorica in cui la len­

tezza dei tempi di elaborazione li portava a tramu­

tare quel loro lavoro non tanto in termini di resti­

tuzione di immagini accattivanti, quanto in una sor­

ca di medicazione sulla magia e la bellezza dell' im­

prevedibile dopo le mediazioni delle morsure.

Il decennio 1970-80, infatti, ha visto nel mondo del-

1' architetcura e in particolare era gli architetti italiani

la ripresa di una tecnica come quella dell'incisione

che era andata ormai scomparendo. Ma anziché sul

versante della riproduzione dell'immagine, così

come si era andata caratterizzando l'incisione di ar­

chitettura nell'800, l'assunzione di questa tecnica ha

puntato sulla ricerca di una autonomia di proget­

to, così come il disegno di architettura in questi anni

ha cercato una propria collocazione nella dialettica

era realtà e visionarietà. Il riferimento più diretto

quindi per gli architetti che in questi anni hanno la­

vorato all'incisione è cerco Piranesi: ma anziché al

Piranesi piì.1 visionario delle carceri e dei capricci il riferimento va a quello più di mestiere rintracciabile

nelle vedute o nelle ossessive analisi della "forma ur­

bis" vagheggiata più che reale. La stessa aspirazione

al progetto insita nelle tavole del Campo Marzio pi­

ranesiano, ognuna delle quali è costruita come ve­

rifica e nello stesso tempo messa in crisi di ogni pre­

sunta unità spaziale, diventa nel decennio '70/'80

l'idea di un solo e unico grande frammento come

risultato finale. Questo è paradossalmente l'elemento

unificatore delle tavole incise dagli architetti in que­

sti anni.

Tra i tempi lunghi del progetto architettonico e quel­

li più brevi del disegno si colloca l'esperienza del­

l'incisione che, a partire dall'ultimo scorcio della se­

conda metà del Novecento, ha visco protagonisti ar­

chitetti come: Carlo Aymonino, Alessandro Ansel-

mi (G.R.A.U.), Arduino Cantafora, Costantino Dar­

di, Paola D'Ercole (Studio Labirinto), Vittorio De

Feo, Massimiliano Fuksas, Paolo Martellotti (Stu­

dio Labirinto), Bruno Minardi, Dario Passi, Fran­

co Pierluisi (G.R.A. U.), Attilio Pizzigoni, Paolo Por­

toghesi, Franz Prati, Franco Purini, Ltrca Scacchet­

ti, Massimo Scolari, Ettore Sottsass e Aldo Rossi.

I tempi rallentati della tecnica incisoria, se hanno di­

luito il «valore terapeutico di un'autoanalisi e il sen­

so di una trasgressione salutare dallo specifico» che

si affidava al disegno più immediato, hanno tutta­

via permesso un continuo ritorno alla grafia incisa

su lastra in modo tale che quello «specchiarsi, mi­

surarsi e sdoppiarsi» che si attuava nei disegni più

minuti, in cui si accumulavano classificazioni di ma­

teriali piì.1 diversi, è diventata un'operazione così con­

trollata da risultare un rigoroso progetto mentale che

nulla ha concesso alla memoria più involontaria.

Le incisioni da un lato racchiudono un'intenziona­

lità progettuale attraverso la sperimentazione di spa­

zialità e superfici come assunto più propriamente pro­

gettuale, dall'altro evidenziano gli elementi di un «rac­

conto» e di una «scoria» a cui questi autori sono ri­

corsi rielaborando i materiali dell'architettura, da

quelli più personali della propria biografia a quelli

più consueti e mitologici della tradizione dell'ar­

chitettura antica e moderna. Ma non si tratta di «due

vie» che procedono in modo separato, stabilendo una

cesura tra un fatto privato, di «libero arbitrio» e quel­

lo più vincolante dell'occasione progettuale, ma piut­

tosto si sottopongono ad un paziente lavoro di li­

matura, d i smussatura di ridondanze, sino ad una

sorca di asettica astrazione in cui, immerse con una

evidente ambiguità, non siano più scindibili tra loro.

Così come diventa inscindibile l'ambivalente diffe­

renza tra il luogo che «si spazia e si dissemina» e il

tempo che «si scandisce, s'interrompe» . D ifferenza

teorizzata da Jacques Derrida e definita da Blanchot

come «gioco del tempo e dello spazio», gioco si­

lenzioso dei rapporti: lo «sprigionamento multiplo»

governato dalla scrittura. In questa d iscontinuità, si

attua il confronto tra l'amor vacui d i quella estrema

semplificazione formale, che spesso caratterizza i pro­

getti grafici e l'ingombrante presenza da ready made di vere e proprie fissazioni architettoniche. [al­

lusione al «doppio sogno» di Schniczler e ad i suoi

impossibili ritorni, dove ciò che al massimo si può

evocare è il «cadavere pallido della notte passata, de-

ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHI

TETIURA INCISA ARCHITETTURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETIURA INCISA ARCHITETTURA INCISA ARCHITETIURA

scinaco irrevocabilmente alla decomposizione», for­

nisce la chiave incerprecaciva.

Altre vie si contrappongono legandosi al tema del­

la coincidentia oppositorum. Se alla compattezza si op­

pone la frammentarietà, allo stesso modo allo smi­

suratamente grande si contrappone lo smisurata­

mente piccolo, alla carica ascensionale la precipita­

zione a terra, al la lettura in primo piano quella in

affondo, alla chiarezza dell'immagine, il piacere del­

l'inganno visivo, infine all'integrità del racconto che

sembra procedere con una logica consequenziale, il

gusto di un pensiero più frammentario, di un pen­

siero «vagabondo», errante, che il bricolage degli ele­

menti sospesi era reale collocazione e continuo spiaz­

zamento sembra accentuare. Ma il discontinuo, l'in­

terruzione e la dispersione presentaci contempora­

neamente al continuo, alla pienezza ed all'aggrega­

zione dicano la loro lontananza da quello spezzet­

tamento, da quella spaccatura in cui «il divenire si

scopre in rapporto con il discontinuo e quasi come

suo gioco». E quello che si avverte è allora lo sfor­

zo dell'acro poetico, di portare insieme e di condurre

il tutto all'unità per il timore della parola unica, so­

litaria e frammentata.

Molti disegni si snodano sul filo di un'esibica con­

trapposizione era polarità opposte sia sul piano del­

l'immagine, sia su quella della struttura narrativa. Ed

è proprio qui che si confrontano il crudo realismo

con il livello mitico del racconto, con il suo spiaz­

zamento continuo di luoghi ed oggetti carichi di se­

dimentazioni storiche, ridotte ad una inconsueta fa­

migliarità, anch'esse in bilico era affettuosa quoti­

dianità e irritante banalità. Allo stesso modo, l'ap­

parato visivo, viene esibito nella sua contrapposizione

che non è solo di quei grandi vuoti abbacinaci o di

quelle cupe profondità in cui l'occhio intrigante si

insinua, a cercare chissà quali segreti. Assistiamo così

ad un compiaciuto contrapporsi di spazialità aper­

te con altre pit1 intime e quasi indecenti. La razio­

nalità d'impianto dell' incero sistema viene fatta scon­

trare con distorsioni e stravolgimenti che, esibiti come

enigma, creano un clima di incertezza, di instabili­

tà, nell'impossibilità di suggerire qualsiasi soluzio­

ne. Così come i modi della rappresentazione, nel loro

succedersi pacato facto di vedute frontali e zenitali

subiscono continue sollecitazioni pur nella loro ele­

mentarità, con il ricorso a fughe prospettiche slic­

cace, ad ombre innaturalmente proiettare, con una

sorca infine di slittamento semantico che toglie al­

l'intero ciclo l'apparente e rassicurante ovvietà per

collocarlo in un clima inquietante di riappacifica­

zione solo apparente.

Laddove scompare ogni forma di schematismo, fi­

nalizzata ad una intenzionalità progettuale che

spesso si sofferma in una continua verifica della pro­

pria verità di assunto, l' immagine rende a farsi as­

soluta nella propria perentorietà. In questa viene al­

lora «aiutata» da una bicuminosicà del fondo che nel

suo vellutato rapprendersi si dà come spalancamento

su un vuoto abissale da cui l' immagine fuoriesce qua­

si respinta, quasi come dall'addensarsi di coni

smorzaci, pur densi ma pieni di cangiantism i che trat­

tengono la luce fino a corroderla ed a restituirla, or­

mai rappresa, raggelata, sospesa in un instabile equi­

librio era una luminosità negata ed una illuminazione

improvvisa, craccenuca appena dall'impenetrabilità

dei luoghi descritti.

[osservazione analitica e scientifica mescolata con

le sensazioni di ogni tipo, più immediate, con una

memoria scorica collecciva e pur così intima e pri­

vata, fanno brulicare quel mondo non solo negli at­

timi di ascolto di quella liquidità celata. Una socci­

le malinconia che permea ogni cosa a ridare unità

ai frammenti. Quella stessa malinconia dureriana esi­

bita però attraverso i simboli di un colto esoterismo.

Si possono allora rintracciare cucce le fasi alchemi­

che, in un succedersi lento ma inequivocabile dei di­

versi stadi dell' incisione: ciò che manca però è la tra­

smutazione finale, che suonerebbe però enfaticamente

come spiraglio su un futuro possibile e migliore.

I tempi stessi di elaborazione, in taluni casi sembrano

riassorbici in una contenuta sequenza che accencua

quel senso di compattezza che, la libera grafia, il ri­

corso all'immagine immediata, pur nella sua com­

plessità, rendono ancor pit1 evidente, nonostante la

discontinuità di un lavoro come quello dell'incisione,

fatto di passaggi obbligaci, dalla preparazione della

lastra, all'incisione sulla stessa del segno, alle successive

morsure nell'acido, all'inchioscracura quindi, sino alla

scampa fìnale con il corchio, dove, solo dopo aver

sollevato il feltro, affioreranno gli inevitabili e im­

previsti arricchimenti del segno cracciaco. Ed è pro­

prio la serrata sequenza visiva, nella didatticità del­

l'immagine, a conferire una scruccura narrativa ad un

discorso che sembra reggersi, nella versione più pro­

gettuale destinata a confluire nelle tavole dipinte, sul-

la frantumazione, sullo sconvolgimento di ogni or­

dine apparente, infìne, sulla messa a fuoco di

aspecci particolari.

Il segno si declina in una gamma di variazioni che

vanno da una pastosa corposità, ottenuta come stra­

ti fìcazione recicolare, al naturalistico se non im­

pressionistico sfilacciamento dello stesso segno at­

traverso una mediazione continua. Questa, si arcua

attraverso una vera e propria progressione che va dal . . . .

segno-coscruz1one 111 senso macenco a geomecnco,

al segno-linea; dalla traccia schematica di un'ordi­

tura incisa come base di riferimento, al segno-gra­

fìa, elemento di caratterizzazione e differenziazione

dei diversi partiti architettonici, infìne al scgno­

ombra che, più dell'informe stesura all 'acquatinta,

conferisce una tenebrosa matericità. Ed é ancora il

segno nella sua esilità, in questo caso esasperata, a

inserirsi come elemento di decoro, quasi a ricondurre

ad una dimestichezza, altrimenti difficile a definir­

si, quei luoghi, così segnaci dal rigore dell'elimina­

zione di ogni ridondanza.

Gli architetti hanno puntato su un contrasto per dis­

sonanza era i piani in estensione, occenuci con un la­

voro a strati, per successive morsure ali' acquatinta,

e il chiaro segno strutturan te, costitutivo d'imma­

gine, all'acquaforte. Questa permette di tracciare

un' immagine concisa e pregnante che rivela imme­

diatamente il proprio carattere e la propria qualità.

All'immediatezza del segno, all'acquaforte si con­

trappone cosl il ritmo estenuante dell'acquatinta, di

cui solo alla fìne ci si può rendere conto; esiste quin­

di un largo margine di impreved ibilità, che tuttavia

nulla ha di casuale e dà al paziente lavoro di elabo­

razione uno stato di incertezza per la difficoltà di con­

trollare, momento per momento: la riuscita di un

segno, di un gesto, o per la impossibilità di rivede­

re una scelta. Dalla preparazione bituminosa della

lastra, con la sapiente scelta degli attimi di precipi­

tazione della polvere per far depositare, secondo le diverse esigenze, pulviscolo di dimensioni diverse,

che solo un lavoro di tipo artigianale può permet­

tere, alla copertura delle zone della lastra da man­

tenere meno incise, da preservare cioè dall'acido e

via via ai successivi bagni della lastra nell'acido, alle

rapide asciugature, agli ulteriori interventi dell'ar­

tista per arrestare la corrosione da una parte ed ac­

centuarla in altre zone, l'artista si trova in un con­

tinuo staro di sospensione, di accesa del risultato fì­

nale che si dà come simultanea conclusione di un

lavoro su tutti i fronti. Quando alla fine il torchio

preme sulla carta inumidita, togliere il panno di fel­

tro che protegge la lastra di mecallo ed il foglio dal

rorchio, è come cogliere il velo di Maya: l'incisione

sollevata come una conquista si dà come rivelazio­

ne compiuta, nella sua intoccabile completezza, sen­

za possibilità di ripensamenti, o ulteriori interven­

ti e correzioni: o l'accettazione completa del risul­

tato o il ripudio.

Il filamento allora che pervade il campo visivo, vol­

ta a volta, traccia, legamento, gesto i nterrorto,

spezzato, frantumato, o soltanto mosso, così come

il segno, colpo preciso di bulino, traiettoria, pulvi­

scolo attratto da imperscrutabili campi magnetici,

segno-mandala che si ispessisce, si rarefa, s'aggrovi­

glia sino a farsi brulichio hodleriano, parlano della

loro vocazione alla costimzione d'immagine più che

della loro figuratività. E se il loro violento proiettarsi

oltre pare rovesciare in avanti, con irruenza, la stes­

sa smisurata interiorità, é solo per esplicitare l'arti­

ficialità della loro costruzione, per cogliere il velo a

quella loro suadente ed ambigua naturalità. È pro­

prio lo spazio pittorico scompaginato a denuncia­

re così, con il massimo di finzione pittorica, con l'as­

senza assoluta di ogni intima costruttività, reso cioè

come disossato, l'inganno visivo, ed a ricondurre nel

puro valore di smaliziata costruzione mentale l'ac­

cattivante bellezza di ogni ormai improbabile lavo­

ro proiettato cosl en plein air che non si dia come

intricato percorso era labirinti della ragione e de­

terminazioni emozionali.