Virginia da Vezzo. Un inedito e qualche riflessione

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DIANA 64 D ue fogli pergamenacei conser- vati presso l’Accademia di San Luca a Roma, recanti il titolo I nomi delle SS. Pirici Accade- miche, di cui si ignora la data di compilazione (Lollobrigida 2007), riportano i nomi di alcune donne acca- demiche, tra cui la Sig.ra Virginia da Vello da Velletri, Pirice. Si traa di Virginia da Vezzo, nata nel 1597 a Velletri, e trasferitasi tra il ’10 e l’11 con la famiglia a Roma, dove il padre che esercitava la professione di piore la educò ini- zialmente all’arte della piura, secondo la con- suetudine del tempo. Successivamente, Virgi- nia frequentò la scuola di disegno dal vero che Simon Vouet aveva aperto nel 1621 nei pressi di Strada Ferratina, dove i da Vezzo risiedeva- no come documentato dagli Stati della Anime della parrocchia di San’Andrea delle Frae. Le indubbie capacità artistiche, nonché la prorom- pente bellezza, fecero innamorare Vouet che la sposò nel 1626 nella chiesa di San Lorenzo in Lucina. A quella data Virginia era ormai una pirice nota, tanto da essere stata nominata ac- cademica di San Luca, probabilmente già nel 1624, utilizzando la Giudia (Nantes, Musée des Beaux-Arts; fig. 1) come tableau d’ingres- so nella prestigiosa istituzione romana (Mi- chel, 1992). PITTURA Virginia da Vezzo Un inedito e qualche riflessione Consuelo Lollobrigida Ancora non del tuo chiarite sono le vi- cende biografiche relative alla prima parte della vita della pirice veliterna (Michel 1992; Lol- lobrigida 2007) e problematica risulta essere la ricostruzione della sua opera, che a tu’og- gi è costituita dalla Giudia di Nantes, da un Autoritrao in una collezione privata romana e dall’ Autoritrao o una Musa (Francia, colle- zione privata; fig. 2), recentemente restituitole (Lollobrigida 2011). “Il problema di Virginia da Vezzo è com- plesso” annotava Jacques uillier in occasio- ne di una delle prime mostre dedicate a Simon Vouet (1991, 32). Già i contemporanei aveva- no colto le qualità di questa giovane donna che era “ si bien instruite en l’Art de peindre qu’elle eut souvent l’honneur de travailler en la présence du Roy et de recevoir de sa bouche le louanges dues aux ouvrages de sa belle main” (Bullart, 1682); mentre il Félibien nel suo Entretiens precisava che Virginia “ estoit intelligente dans la peinture, dont elle faisait profession par les soins che Vouet en avait pris” (1685). Un’incisione di Claude Mellan (fig. 3), ese- guita nel 1626, mostra Virginia nell’anno del suo matrimonio, poco prima di lasciare Roma e di seguire il marito nel trasferimento a Parigi,

Transcript of Virginia da Vezzo. Un inedito e qualche riflessione

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D ue fogli pergamenacei conser-vati presso l’Accademia di San Luca a Roma, recanti il titolo I nomi delle SS. Pitt rici Accade-miche, di cui si ignora la data di compilazione (Lollobrigida

2007), riportano i nomi di alcune donne acca-demiche, tra cui la Sig.ra Virginia da Vello da Velletri, Pitt rice. Si tratt a di Virginia da Vezzo, nata nel 1597 a Velletri, e trasferitasi tra il ’10 e l’11 con la famiglia a Roma, dove il padre che esercitava la professione di pitt ore la educò ini-zialmente all’arte della pitt ura, secondo la con-suetudine del tempo. Successivamente, Virgi-nia frequentò la scuola di disegno dal vero che Simon Vouet aveva aperto nel 1621 nei pressi di Strada Ferratina, dove i da Vezzo risiedeva-no come documentato dagli Stati della Anime della parrocchia di San’Andrea delle Fratt e. Le indubbie capacità artistiche, nonché la prorom-pente bellezza, fecero innamorare Vouet che la sposò nel 1626 nella chiesa di San Lorenzo in Lucina. A quella data Virginia era ormai una pitt rice nota, tanto da essere stata nominata ac-cademica di San Luca, probabilmente già nel 1624, utilizzando la Giuditt a (Nantes, Musée des Beaux-Arts; fi g. 1) come tableau d’ingres-so nella prestigiosa istituzione romana (Mi-chel, 1992).

PITTURA

Virginia da VezzoUn inedito e qualche riflessione

Consuelo Lollobrigida

Ancora non del tutt o chiarite sono le vi-cende biografi che relative alla prima parte della vita della pitt rice veliterna (Michel 1992; Lol-lobrigida 2007) e problematica risulta essere la ricostruzione della sua opera, che a tutt ’og-gi è costituita dalla Giuditt a di Nantes, da un Autoritratt o in una collezione privata romana e dall’Autoritratt o o una Musa (Francia, colle-zione privata; fi g. 2), recentemente restituitole (Lollobrigida 2011).

“Il problema di Virginia da Vezzo è com-plesso” annotava Jacques Th uillier in occasio-ne di una delle prime mostre dedicate a Simon Vouet (1991, 32). Già i contemporanei aveva-no colto le qualità di questa giovane donna che era “si bien instruite en l’Art de peindre qu’elle eut souvent l’honneur de travailler en la présence du Roy et de recevoir de sa bouche le louanges dues aux ouvrages de sa belle main” (Bullart, 1682); mentre il Félibien nel suo Entretiens precisava che Virginia “estoit intelligente dans la peinture, dont elle faisait profession par les soins che Vouet en avait pris” (1685).

Un’incisione di Claude Mellan (fi g. 3), ese-guita nel 1626, mostra Virginia nell’anno del suo matrimonio, poco prima di lasciare Roma e di seguire il marito nel trasferimento a Parigi,

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Fig. 1 | Virginia da Vezzo, Giuditta, olio su tela, cm 87 x 74, 1624/1626, Nantes, Musée des Beaux-Arts.

Fig. 2 | Virginia da Vezzo, Autoritratto o una Musa, olio su rame, cm 30 x 24, 1630/1632, Francia, collezione privata.

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Fig. 3 | Claude Mellan, Ritratto di Virginia da Vezzo, bulino, cm 11,3 x 7,8, 1626, Parigi, Bibliothèque nationale, cabinet des estampes.

Fig. 4 | Virginia da Vezzo, Allegoria della Pittura, olio su tela, cm 134 x 92, 1620 ca., Milano, già mercato antiquario.

Fig. 5 | Simon Vouet, Autoritratto, olio su tela, cm 43 x 36,5, 1626, Lione, Musée des Beaux-Arts.

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dove continuando la sua att ività di pitt rice, or-ganizzò una scuola di disegno dal vero desti-nata alle ragazze della corte del Re. Durante il suo soggiorno a Parigi ebbe modo di fare ap-prezzare la sua arte ed il suo talento a Corte e venne particolarmente notata da Maria de’ Me-dici e dal cardinale Richelieu. La fama che Vir-ginia raggiunse come artista si intuisce anche da una testimonianza che riguarda la sua morte precoce e che fu pubblicato dall’Herluison alla fi ne del XIX secolo (1873, p. 455). Il documen-to dichiara che il 18 ott obre del 1638 il convo-glio “de Dame Virginie de Vezo, femme de noble homme Simon Vouet, peintre ordinaire du Roy, prise aux galleries de Louvre et portée à Saint-Jean-en-Grève. Le beau poill, paremens, six chan-delliers blancs, le chœur, les vingt (pretres) de la paroisse, le crieur, Monsr Spens. 13 liv 10 s. – Deux messe à la chapelle des Dames”.

L’unione tra Virginia e Simon non fu soltan-to un sodalizio d’amore e familiare; tra i due vi era un vero e proprio intendimento di vita che ebbe nell’arte la sublimazione ideale. È anche per questo che è ancora problematico distin-guere le opere di Virginia sia da quelle dubita-tivamente att ribuite a Simon che da quelle dei pitt ori del suo entourage. La decisa personalità di Vouet giocò un ruolo fondamentale nella co-stituzione di una sorta di koinè linguistica tra i giovani pitt ori francesi che tra il ’15 e il ’26 po-polavano le strade di Roma. Anche Virginia, allieva prima, moglie poi, non fu esente da tale infl uenza, tale che il vouett ismo delle sue ope-re sembra seguire il percorso sintatt ico del ma-rito-maestro sin dal periodo romano.

Una tela, già passata sul mercato come “scuola romana, 1630 circa” (Sotheby’s, Mila-no 6 ott obre 1999, n. 682, fi g. 4), può a mio av-viso essere att ribuita a Virginia e anticipata di una decina anni. Nel dipinto è rappresentata, di tre quarti, una donna nell’att o di dipingere il ritratt o del giovane Vouet. Più che un’Allegoria della Pitt ura, si tratt erebbe dell’autoritratt o nel-le vesti della Pitt ura, realizzato probabilmen-te durante gli anni di alunnato presso il pitt o-re francese, tra il 1620 e il 1624. Un confronto dell’autoritratt o di Vouet (collezione privata) del 1620 con quello del Musée des Beaux-Arts di Lione (fi g. 5) del 1626/1627 darebbe ragio-ne a tale ipotesi, dimostrando nei primi due casi un ragazzo piutt osto giovane a confronto di un uomo fatt o in quello del ‘26/27. Una datazione alta troverebbe giustifi cazione anche su base stilistica. L’Allegoria della Pitt ura mostra ancora delle incertezze formali, quali una minore inci-sività del disegno e un’impostazione dei volu-mi meno solida, non presenti nella Giuditt a, di qualche anno più tarda.

Gli anni romani sono per Virginia anni di for-mazione, in un ambiente ricco di stimoli e fermen-ti che stava per abbandonare il caravaggismo dei due decenni precedenti a favore del classicismo, da un lato, e del magniloquente barocco, dall’altro.

Nel momento del tr asferimento a Parigi anche Virginia abbandona lentamente, come Simon, l’ultima eco del naturalismo caravag-gesco per volgere verso un classicismo accade-mizzante e raffi nato che farà di Vouet l’artista incontrastato in Francia fi no alla sua morte.

È anche per questo che è ancora problematico distinguere le opere di Virginia sia da quelle

dubitativamente att ribuite a Simon che da quelle dei pitt ori del suo entourage.

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In questa prospett iva deve essere lett o l’Au-toritratt o o Una Musa restituito a Virginia in base a considerazioni stilistiche e confronti fi -siognomici con la Giuditt a di Nantes, l’Autori-tratt o di Roma e l’incisione di Claude Mellan. Quest’ultima raffi gura una giovane ragazza, di bell’aspett o, con i capelli raccolti dietro la nuca e una scriminatura centrale; effi giata entro un ovale, secondo la tipologia del ritratt o encomia-stico, Virginia è accompagnata da un’iscrizio-ne in basso che fornisce il primo giudizio di va-lore sulla pitt rice: “qui saggia mano di Virginia ha accolto. Gli occhi, la fr onte, il crin co’ i trat-ti suoi: ma l’arte, e lo spirto ammirar vuoi. Mira le tele sue, più che il suo volto”. Il probabile di-segno preparatorio è conservato al National-museum di Stoccolma e ritrae la pitt rice nella stessa posa, con i fi ori d’arancio tra i capelli, al-ludenti al matrimonio con il Vouet. Nell’Auto-ritratt o o una Musa emergono alcuni elementi stilistici e formali del Vouet romano, a partire dal giallo della veste, del caravaggismo dei pri-mi anni Venti. Nell’Autoritratt o o una Musa Vir-ginia sembra ereditare da Simon il talento nella rappresentazione di eroine bibliche o del mon-do antico, elegantemente drappeggiate, in for-ma di ritratt i, sempre raffi gurate a mezzo busto o sedute. Qui l’effi giata si ritrae secondo una tipologia compositiva che trova relazione for-male nella serie delle muse di Simon. In parti-colare con La musa dell’eloquenza, del Louvre; Le Muse Urania e Calliope, della Samuel Kress Collection e La Musa Euterpe, in collezione pri-vata francese. Manning (1959) ha supposto che insieme al Parnaso di Budapest, la Polimnia del

Louvre e l’Euterpe della collezione Cailleux di Parigi, i dipinti possano essere stati originaria-mente parte di uno stesso ciclo decorativo, an-che per le dimensioni e per la tecnica utilizzata. La composizione della musa di Virginia deri-va da questi originali vouett iani, dove le fi gure allegoriche sono rappresentate sedute accan-to, o sopra, a delle vestigia antiche e sono sem-pre accompagnate da un paesaggio sullo sfon-do, evocante una bucolica serenità. L’iscrizione di diffi cile lett ura, posta sopra il basamento su cui si appoggia la fi gura, potrebbe essere mes-sa in relazione con quella presente su una lastra di marmo dell’Eloquenza di Vouet, il cui mot-to “suadere”, allude all’arte della persuasione di cui la Musa è simbolo. Virginia forse si ri-trae nelle vesti di Calliope, musa della Poesia, che secondo l’Iconologia di Ripa è rappresenta-ta “graziosa, & vergine”, il cui compito è “istrui-re di onesta & buona disciplina”. Si potrebbe ipotizzare pertanto una sorta di giustapposi-zione tra l’allegoria della musa e Virginia, non discostandosi da un clichè iconografi co tipico della produzione femminile della prima metà del XVII secolo. Virginia, autoritraendosi nella veste della Poesia, celebra le sue doti di donna onesta e virtuosa, secondo i canoni dell’educa-zione femminile del tempo. Il suo ruolo educa-tivo, come madre, moglie e insegnante di pitt u-ra alla corte del re di Francia, viene quindi ad assumere un signifi cato aulico ed idealizzato, raff orzato dal pacato classicismo delle forme, elementi che fanno propendere per una data-zione nei primi anni del terzo decennio.

La morte precoce interruppe una brillante carriera, destinata probabilmente a conseguire

successi non dissimili da quelli raggiunti da Sofonisba, pitt rice per Filippo II in Spagna, o

Artemisia Gentileschi, att iva alla corte inglese.

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I. Bullart, Académie des Science set des Arts, conten-ants les Vie set les Eloges Historiques des Hommes Il-lustres…, Paris 1682, p. 490.

A. Félibien, Entretiens sur les vies et sur les ouvrages des plus excellens peintres anciens et moderns, Pari-gi 1685.

H. Herluison, Actes d’état-civil d’artistes fr ançais: peintrs, graveurs, architects, Orleans 1873.

C. Lollobrigida, Donne artiste nella Roma barocca, Dott orato di Ricerca, Università di Roma “Sapien-za”, Facoltà di Lett ere, a.a. 2007/2008.

C. Lollobrigida (a cura di), Roma al tempo di Cara-vaggio. Quatt ro inediti, Principato di Monaco, Gal-leria Grippaldi, 9 giugno – 9 luglio 2011.

O. Michel, Virginia Vezzi et l’entourage de Simon Vouet à Rome in Actes du colloque Simon Vouet, Col-lection Rencontres de l’Ecole du Louvre, La Do-cumentation Française, Parigi 1992, pp. 127, 129 fi g. 3.

J. Th uillier (a cura di), Vouet, catalogo della mo-stra, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 6 marzo – 28aprile 1991.

BIBLIOGRAFIA

La morte precoce interruppe una brillante carriera, destinata probabilmente a conseguire successi non dissimili da quelli raggiunti da So-fonisba, pitt rice per Filippo II in Spagna, o Ar-temisia Gentileschi, att iva alla corte inglese. Lo studio di alcune opere att ribuite con incertezza a Simon potrebbero riservare delle interessanti sorprese, restituendole a Virginia e aff rancan-dola da una sudditanza spesso sostenuta anche dal mercato.