Turan prima di Afrodite. Breve riflessione sulla statuetta eburnea di Marsiliana d'Albegna

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Hellenica Testi e strumenti di letteratura greca antica, medievale e umanistica Collana diretta da Enrico V. Maltese 55

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HellenicaTesti e strumenti di letteratura greca

antica, medievale e umanistica

Collana diretta da Enrico V. Maltese

55

International Advisory Board

Eugenio Amato, Federica Ciccolella, Cristophe Cusset, Lowell Edmunds,Marie-Rose Guelfucci, Wolfram Hörandner, John Monfasani, Heinz-GüntherNesselrath, Diether R. Reinsch, Robert W. Wallace

I volumi pubblicati in questa collana sono sottoposti a un processo di peer review chene attesta la validità scientifica

Il trono variopintoFigure e forme della Dea dell’Amore

a cura di

Luca Bombardieri, Tommaso Braccini, Silvia Romani

Edizioni dell’OrsoAlessandria

© 2014Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.15121 Alessandria, via Rattazzi 47Tel. 0131.252349 - Fax 0131.257567E-mail: [email protected]: //www.ediorso.it

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ISBN 978-88-6274-563-5

Volume realizzato con il contributo finanziario di PRES Euro-mediterraneo, bando2013, progetto n. P3-1 (“Afrodite dea mediterranea”).

Turan prima di AfroditeBreve riflessione sulla statuetta eburnea di Marsiliana d’Albegna

Da Marsiliana, importante insediamento etrusco nato e fiorito nel corso dell’O-rientalizzante in funzione del controllo esercitato sui traffici tra il Lazio e i distrettiminerari dell’Etruria settentrionale e, precisamente, dal Circolo della Fibula, pro-viene la nota statuetta in avorio raffigurante un personaggio femminile nudo, gene-ricamente interpretata come divinità e datata al secondo quarto del VII sec. a.C.(Minto 1921, pp. 86-87, tav. XVI, 2; Hill Richardson 1962, p. 176, pl. X, figs. 35-37; Benzi 1966, p. 288; Cristofani-Nicosia 1969, p. 352, tav. LXXXIV, a-b; Spren-ger-Bartoloni 1981, p. 88, n. 33; Bartoloni et al. 2000, p. 132, n. 88; Cianferoni2010, p. 161, n. 4.6, a-b).

La statuetta (Figg. 1-2), alta 9,5 cm, era probabilmente rivestita da una laminad’oro, oggi completamente perduta; la tecnica crisoelefantina, ben nota nell’anti-chità, è documentata nella stessa tomba di Marsiliana, nel gruppo con leone e altrianimali forse pertinente ad un coperchio di una pisside o di un cofanetto (Cianfe-roni 2010, p. 161, n. 4.7).

La testa della statuetta è pressoché sferica, leggermente schiacciata sulla calottacranica e nella parte inferiore, dove risalta l’ingrossamento del mento. I passaggi divolume del volto sono segnati dal lungo naso triangolare, affondato tra gli zigomi, ilcui prolungamento è utilizzato dall’intagliatore per segnare le labbra serrate e oriz-zontali. Gli occhi sono leggermente allungati, dall’aspetto ‘a mandorla’, con pesantipalpebre che incorniciano una piccola protuberanza centrale identificabile con ilbulbo. Ai lati della testa sono realizzati due grandi padiglioni auricolari che, dal lo-bo temporale, scendono fin quasi alla mandibola. L’acconciatura non restituisce al-cun volume sulla calotta cranica, dove le ciocche, rese con semplici incisioni, dipar-tono da una scriminatura sagittale per raccogliersi poi in una lunga treccia rilevatache, dalla nuca, si protende fino alle natiche.

Il collo, possente e troncoconico, s’imposta su un busto con spalle voluminose eleggermente scese; sul petto, due leggeri ingrossamenti indicano i seni, mentre l’ad-dome si rastrema sulla vita e la pancia è leggermente avanzata, con ombelico segna-to da un’incisione circolare e profonda. Se sul lato posteriore, gli arti inferiori pro-seguono senza interrompere la morbida superficie dell’intaglio, sul lato frontale siraccordano al bacino grazie a due profonde infossature che rompono la continuitàdei volumi e determinano la triangolarità desinente nel sesso, sottolineato da unapiccola incisione.

Le braccia, sottili e cilindriche, si staccano dal corpo e, piegate simmetricamente,si ricongiungono sull’addome; la sinistra termina con la mano aperta a stringere il

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rispettivo seno, mentre la destra sostiene, appoggiandolo al corpo, un oggetto, pro-babilmente un piccolo vaso.

Il tipo di acconciatura, con capelli tirati indietro e lunga treccia è una moda dif-fusa durante l’Orientalizzante e ha numerosi paralleli. Oltre le figurine in bronzoche costituiscono le cimase di alcuni reggivasi di produzione vetuloniese (Fig. 3), diqualche decennio più tarde (Hill Richardson 1962, pl. VI, figg. 20-21; Camporeale1967, p. 92-96, n. 51, tav. XVIII, d-e; Celuzza-Cianferoni 2010, p. 134, n. 3.33),una lunga treccia o una lunga coda, spesso terminata con un monile, è raffiguratanella piccola plastica (brocchetta gemina da Vetulonia, v. Babbi 2009, tav. 2c; ansaconfigurata di attingitoio, v. Romualdi 2004, figg. 1-4) e su vari bronzetti (cfr. ades. Cristofani 1985, nn. 8, 16) oltre che nella più antica statuaria etrusca, se coglienel vero l’interpretazione di Amann della ‘coda di cavallo’ a rilievo presente sulCippo II di Rubiera, letta come possibile tentativo di antropomorfizzazione delmonumento (Amann 2008). D’altra parte, vicinanze stilistiche sono riscontrabilianche con le più antiche sculture a tutto tondo conosciute in Etruria, ovvero le duestatue provenienti dalla necropoli di Casa Nocera a Casale Marittimo (Fig. 4; Mag-giani 1999, pp. 33-39; Colonna 2000, p. 39 ss.; von Hase 2003, p. 368 ss.; Maggiani2007, pp. 102-105; Maggiani 2010, pp. 123-124); nonostante sui due personaggirappresentati nel momento del compianto funebre permangano dubbi sul genere,la costruzione della figura, la trattazione dei volumi e delle superfici e l’aspetto ge-nerale trovano interessanti paralleli con la statuetta di Marsiliana, portando a rite-nere che le opere procedano da comuni esperienze di matrice orientale (già suppo-ste, per la statuetta di Marsiliana, per cui v. Hill Richardson 1962; Babbi 2009).

La statuetta eburnea di Marsiliana può essere dunque inserita in un gruppo diraffigurazioni femminili nude, per lo più realizzate sulle anse di vasi in bronzo o inimpasto e diffuse in area centro italica nel corso dell’VIII e del VII sec. a.C., per lequali sono stati opportunamente analizzati i confronti in area orientale (Delpino2007; Babbi 2009). Queste figurine, in particolare quelle in impasto, oltre ai tratticomuni già menzionati (nudità, acconciatura), sono spesso caratterizzate dall’enfa-tizzazione del sesso; oltre che negli esempi citati da Babbi (Babbi 2009), il partico-lare è evidente nella statuetta che costituisce il saliente dell’ansa di kyathos prove-niente dalla tomba 456 di Tolle (Fig. 5; Paolucci-Maggiani 2009, pp. 310-311). Co-me i cerchi che circondano spesso queste raffigurazioni richiamano il tipo icono-grafico della “qu-du-shu” orientale (Babbi 2009), allo stesso ambito rimanda anchela «dea nuda» con braccia sollevate.

Senza molti dubbi, la figura di Marsiliana è avvicinabile alle raffigurazioni di Ish-tar, ovvero l’Astarte fenicia, conosciuta sia nella versione con braccia aperte o di-stese lungo i fianchi, sia portate al petto a stringere i seni; in ragione di questo è sta-to ipotizzato che la statuetta rappresenti una corrispondente divinità femminileetrusca (Torelli 1986, p. 184).

La statuetta potrebbe forse rappresentare la ‘divinizzazione’ della defunta assie-me alla quale era stata deposta; tuttavia, al di là della possibile connessione seman-tica con il personaggio a cui apparteneva o per il quale era stata realizzata, la pre-senza di una simile figura all’interno di un corredo femminile principesco, trova un

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parallelo altrettanto noto nella statua polimaterica della Tomba di Iside al BritishMuseum, databile verso la fine del VII sec. a.C. (Haynes 1965, p. 13 ss.; Haynes1977, p. 17 ss.; Haynes 1991, pp. 3-9; Roncalli 1998, p. 15 ss.). Anche in questo ca-so, tralasciando i dubbi se essa possa costituire un simulacro o una rappresentazio-ne della defunta, il carattere ‘divino’ appare evidente (Fig. 6). Il busto in bronzo èprivo di qualsiasi elemento riconducibile ad una veste e presenta due leggere pro-tuberanze in corrispondenza dei seni. La figura sembra dunque vestita solo conuna lunga gonna, stretta in vita dal cinturone decorato a sbalzo e, accettando la ri-costruzione di Roncalli (1998, figg. 1-3), terminata da una balza decorata a quadri(cfr., per l’aspetto, la ‘Dama di Auxerre’, Richter 1968, figg. 76-79). Il resto del cor-po è nudo; il braccio sinistro è piegato con mano poggiata a sostenere il seno de-stro, mentre nella sinistra è un volatile, originariamente rivestito di foglia d’oro.Quest’ultimo presenta, ai lati della testa, due lunghe bacchette di metallo, piegate eaccostate a formare una sorta di ‘diapason’. Più che elementi identificativi del vola-tile (praticamente impossibile una connessione con l’uccello del paradiso del re diSassonia, Pteridophora Alberti, specie endemica della Nuova Guinea e unico volati-le con due lunghe piume in quella posizione) le due ‘antenne’ credo possano esserelette come sostegni di un simbolo (forse un disco solare o un crescente lunare?) chedoveva essere inserito alle estremità.

Al di là delle ovvie differenze stilistiche, la statuetta di Marsiliana e il busto dellaTomba di Iside raffigurano entrambe una figura femminile, nuda o parzialmentenuda, con una mano a stringere un seno e sono entrambe inserite in un contesto fu-nerario. Si può quindi ipotizzare che esse restituiscano l’immagine di una stessa di-vinità: la mano portata a stringere il seno è un chiaro rimando alla sfera della fecon-dità; ma è altrettanto evidente che il contesto funerario e il possibile ruolo ‘protetti-vo’ assunto dai due oggetti, oltre ad avvicinarli, lasciano ipotizzare che la divinitàavesse una qualche relazione con il mondo infero. Nonostante le molte incertezzesui più antichi aspetti della religione etrusca, prodotti da una documentazione ar-cheologica frammentaria e dall’assenza di precisi riferimenti letterari, credo siapossibile qualche considerazione ulteriore.

Fuori d’Etruria, i confronti più diretti per l’avorio di Marsiliana sono senza dub-bio la serie di statuette eburnee, forse leggermente più antiche, provenienti dallatomba 13 del Dipylon (Fig. 7), che riproducono il tipico modello orientale della«dea nuda» (Akurgal 1966, pp. 173 ss., 206; Richter 1968, p. 21 ss., figg.16-24;Bianchi Bandinelli-Paribeni 1976, n. 129; Bartoloni et al. 2000, p. 97; per il cfr., v.anche Torelli 1986, p. 184). Il diretto confronto tra le opere evidenzia varie analo-gie nel trattamento del volto, con superfici arrotondate, occhi a mandorla e mentoprominente; del tutto simile anche l’impostazione del busto e la resa dei seni. Oltrela forte vicinanza stilistica, il parallelo è accentuato dall’utilizzo dell’avorio e dal ri-trovamento in un contesto funerario. Nonostante la maggiore continuità nei pas-saggi di piano osservabile sulla statuetta di Marsiliana, questi lavori possono esseremessi in relazione con quello che nella bronzistica è stato definito OrientalizedGeometric (Hill Richardson 1962), ovvero uno stile geometrico fortemente dipen-dente dalle esperienze orientali.

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La diffusione nell’Egeo, e poi in Grecia, dell’iconografia orientale della «dea nu-da» nel corso del IX e soprattutto dell’VIII sec. a.C. (v. ad es. i frontali da cavallodi produzione nord-siriana recuperati nell’Heraion di Samo, Marinatos 2000, pp.22-25, figg. 1.33-1.35; Bartoloni et al. 2000, pp. 116-118, nn. 52-53) è senza dubbioveicolata da Creta (Marinatos 2000, pp. 27-31) e, soprattutto, da Cipro, come sem-brano dimostrare i più antichi testi greci (Il., V, 330, 422, 458, 760, 883; Od., VIII,361-363). Tra i vari materiali ciprioti, oltre le statuette della Grande Déesse nuda,diffuse a partire dal Cipriota Geometrico e, soprattutto, nel Cipriota Arcaico (Ka-rageorghis 1977, p. 149 ss.), è possibile citare gli elementi di bardatura dalla tomba79 di Salamina, tra cui l’ornamento laterale in bronzo con la divinità nuda, alata,che stringe in ciascuna mano la zampa posteriore di un leone (Karageorghis 1977,p. 161, pl. 25, d; Bartoloni et al. 2000, p. 106, n. 11); ma anche sulle placche si co-nosce l’immagine della divinità nuda con mani portate al seno (Karageorghis 1977,pp. 156-158), atteggiamento ricondotta all’iconografia di Astarte, evidentementeacquisita a Cipro con l’arrivo dei Fenici (su questo v. anche Aupert 1986, p. 373con vari confronti).

Se la connessione iconografica della statuetta eburnea di Marsiliana con l’Astartefenicia appare quindi diretta, qualche difficoltà pone il busto bronzeo vulcente. Ilgesto di stringere il seno è, come detto, una prerogativa della «dea nuda» orientaleed esprime il suo legame con la fecondità. La presenza del volatile ha portato adavvicinare questa statua al bronzetto di una divinità alata conservato al Museo diCortona che reca, sopra la testa, un falco. Tuttavia, se per il bronzetto vale lo strin-gente confronto con l’Artemide (direi meglio Potnia Theron) dell’hydria Grea-chwill, il volatile del busto vulcente appare assai diverso nell’aspetto da un falco-niforme. Se si accetta la lettura delle ‘bacchette’ come sostegno di un attributo oggiperduto, l’uccello, per dimensioni e aspetto, appare assimilabile ad una colomba,animale notoriamente sacro ad Afrodite (Streptopelia turtur, per cui v. Aelian, NA,10, 33; Pfiffig 1975, p. 260; Burkert 20103, p. 304; cfr. anche Karageorghis 1977,pp. 214-215). Senza ricorrere al confronto con la nota kore di Lione o con i nume-rosi balsamari configurati probabilmente rodii (cfr. ad es. Richter 1968, figg. 508-511) il cui rimando con Afrodite è evidente, in Etruria, la ‘dea con la colomba’ te-nuta nella sinistra è riprodotta nelle appliques bronzee del carro di San Mariano(Fig. 8), già riconosciute come immagini di Turan da Pfiffig (Pfiffig 1975, p. 261,abb. 114; Cipollone 2011, p. 36, nn. 243-246).

Le osservazioni fin qui presentate portano quindi a ipotizzare che la statuetta diMarsiliana e il busto della Tomba di Iside raffigurino una stessa divinità etrusca,avvicinabile ad Astarte. È noto che la figura di Ishtar/Astarte abbia costituito un ri-ferimento per l’Afrodite greca (v. anche Hygin., Fab. 197); ed è certa l’identifica-zione di Turan con Afrodite, almeno a partire dall’epoca tardo arcaica, come pro-vano le numerose dediche venute in luce nel santuario di Gravisca, sia da parteetrusca che greca (v. ad es. lo skyphos attico a figure rosse databile tra 470 e 460a.C. con dedica in etrusco a Turan e probabile dedicante greco, Johnston-Pandolfi-ni 2000, p. 21; cratere con dedica a Turan rinvenuto nel santuario di Afrodite a

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Gravisca assieme ad altre offerte con dediche ad Afrodite in greco, Vlassopoulos2013, p. 95; sulla questione, v. anche Demetriu 2012, pp. 97-98).

Viene quindi da chiedersi se, ammettendo un carattere divino di queste anticherappresentazioni, esse possano rappresentare una primitiva Turan (già supposta inTorelli 1986, p. 184); d’altra parte, se l’identificazione di Turan con Afrodite è do-cumentata a partire dal VI sec. a.C., è implicito pensare che tale rapporto valesseanche nel secolo precedente e che molti degli aspetti di questa divinità etrusca fos-sero già definiti in epoca più antica. È inoltre evidente che, nella prima metà del VIsec. a.C., la cosiddetta Potnia Theron (su questa, da ultimo, Gran-Aymerich 2014)e la «dea nuda», almeno nei caratteri della tradizione precedente, tendono lenta-mente a scomparire dalle manifestazioni figurative etrusche, probabilmente a se-guito dell’affermazione di nuovi modelli iconografici.

Forse, qualche elemento utile alla questione potrebbe essere portato dalla con-nessione con il mondo infero che l’antica divinità sembra possedere, e di cui sem-brano esserne prova i due anathemata precedentemente analizzati.

Dal santuario della necropoli della Cannicella di Orvieto proviene la nota statuain marmo greco insulare conosciuta come “Venere della Cannicella”, raffiguranteuna «dea nuda» (Fig. 9). La statua, probabilmente rilavorata in Etruria, rappresen-ta verosimilmente un simulacro al quale era forse dedicato l’edificio minore ricono-sciuto nel santuario della necropoli della Cannicella (Colonna 1987, pp. 11-26; Cri-stofani 1987, pp. 27-39). Riguardo la sua interpretazione, esistono varie ipotesi: sul-la base di una possibile connessione con il culto supposto per l’edificio principaledel santuario (Hercle-Fauno), Colonna identifica l’immagine nuda con Vei-Mlacuch(Colonna 1987, p. 22), sottolineando un ipotetico rapporto con Kore. Tale ipotesi,basata anche su l’unica iscrizione proveniente dal santuario in cui è citata Vei, è ri-presa successivamente anche da Cristofani (Cristofani 1993, p. 10), Simon (Simon2006), Maggiani (Maggiani 2009, p. 77) e, da ultimo, Bellelli (Bellelli 2012). Tutta-via, la statua rappresenta Turan per Bloch (Bloch 1984, p. 170, n. 6) che, come To-relli (1986, pp. 183-184), ne evidenzia il legame con l’Afrodite Epitymbia di Delfi ene ipotizza altri con la Venus Libitina. In questa direzione, il possibile rapporto conla «dea nuda» potrebbe essere avvalorato dall’enfatizzazione del sesso, elemento ri-scontrato da vari studiosi, ma per lo più svincolato dal confronto con le più antichefigure femminili nude citate in precedenza.

La rilettura da parte di Maras dell’iscrizione apposta su un bronzetto da Sarteano,ora al British Museum, sembra far luce su alcuni aspetti ctonii di Turan, permetten-do di inserirla all’interno della cerchia di Thanr (Maras 2001). Quest’ultima, dall’a-spetto materno e matronale, incarna aspetti che, al pari di Fufluns e Calus, diventa-no aggettivi teonimici (epiteti?) per altre divinità, non necessariamente minori, conmodalità non ancora chiare ma secondo una prassi tipica della religione etrusca (ades. Tinia e Pethan definiti “calusna” o a Suri “fuflunio”). L’iscrizione del bronzettosarteanese tramanda dunque una Turan “thanrica”; la dedica sul bronzetto, graziealla quale la divinità è connessa con Selvans, posto notoriamente a tutela dei confini,doveva evidentemente richiamare aspetti di Turan legati ai limiti del ciclo vitale (na-scita/morte), sfera che sembra rientrare tra le caratteristiche di Thanr.

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Senza pretendere di dirimere una questione complessa quale quella dell’attribu-zione dei culti della Cannicella, vale comunque la pena rimarcare come la connota-zione infera di Afrodite/Turan/Venus sia ben conosciuta (v. l’indubbio caratterectonio attribuito a Turan, Torelli 2009, p. 135). Numa appare il fondatore del cultodi Venus Libitina, definita come colei che sovrintendeva i funerali (Plut., Num.,12.1); la divinità, per cui è stato già supposto un trasferimento dalla Turan etrusca(Casquero 1992, p. 180 su Plut., Quaes. Rom. 23), ha un forte parallelo nell’Afrodi-te Epitymbia il cui culto è attestato a Delfi (Plut., Mor. 269b). A ribadire il rapportodella dea con il mondo infero, può intervenire la visione parmenidea di colei chemanda le anime dal visibile all’invisibile; in Platone, all’Afrodite Urania, che muovel’amore celeste, è contrapposta l’Afrodite Pandemos che regola invece l’amore ter-reno, ovvero il principio della vita e, per questo, la dea perpetua le generazioni e lamorte (Plat., Symp., 180). D’altra parte, tale aspetto è comunque conosciuto nell’o-riginaria figura di Inanna/Ishtar, come prova il mito sumerico della discesa delladea agli inferi (v. ad es. Kramer 1937; Sladek 1974; Alster 1996) che rappresentauno dei vari viaggi nei quali la dea orientale compie l’attraversamento di un confinee il passaggio ad un’altra realtà, a riprova del suo carattere liminale (su questoaspetto, v. Verderame 2009, pp. 72-73).

Percorrendo a ritroso la linea che, a mio avviso, è possibile tracciare tra la Veneredella Cannicella e la statuetta eburnea di Marsiliana, si può timidamente ipotizzare,contrariamente a quanto affermava Pfiffig (Pfiffig 1975, p. 263), che Turan derividirettamente dalla primitiva religione etrusca, forse sviluppatasi in quel primo sine-cismo che vede la formazione di grandi comunità etnicamente eterogenee nellequali si realizza un primo sincretismo delle credenze religiose (su questo periodo,in generale, Torelli 1986, p. 165-171; Maggiani 2012, pp. 399-403; Torelli 2009,pp. 139-140). Il mantenimento del teonimo prova che gli aspetti di Afrodite eranogià rappresentati da una divinità indigena; ma il teonimo etrusco potrebbe anchetestimoniare il mancato completamento della sovrapposizione divina, forse per viadi caratteri non compresi nel corrispettivo greco, allo stesso modo di quanto avvie-ne per Zeus/Tinia.

Turan sembra comunque sovrintendere molte sfere: oltre dea della bellezza, dellacosmesi, dell’amore e del matrimonio (inteso come unione uomo/donna e pertantodella fecondità), la dea sembra rivestita di funzioni connesse ai limiti del ciclo vita-le, a cui possono essere facilmente ricollegabili i reperti provenienti o comunqueconnessi al mondo funerario. Prima della sovrapposizione con l’Afrodite greca, esi-steva in Etruria una dea della fecondità che, come nella maggior parte delle culturee al pari del corrispondente maschile, veniva raffigurata con una menzione degliorgani riproduttivi e, pertanto, era nuda; tale principale sfera d’azione implicavanecessariamente una sovrintendenza sul concepimento e, quindi, sull’unione uo-mo/donna. Questa divinità aveva probabilmente competenze anche sul mondo in-fero, determinate dalla lettura della sua forza procreatrice nel senso di ‘rinascita’(umana). In una prima fase, collocabile tra la fine dell’VIII e la metà del VII sec.a.C., l’iconografia di questa divinità viene elaborata sulla base del tipo della «deanuda», probabilmente arrivata in Etruria dal Mediterraneo orientale e veicolata dai

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mercanti fenici. Pertanto essa sembra essere assimilata ad Astarte/Ishtar e tale con-nessione sembra proseguire fino all’Arcaismo.

Il contatto e la conseguente assimilazione dell’iconografia del pantheon greco do-vette tuttavia comportare delle scelte, la cui maturazione avvenne probabilmentedopo un lungo processo iniziato in epoca Orientalizzante e conclusosi solo nel tar-do arcaismo. A Pyrgi è documentata la duplicazione del culto della stessa divinitàUni/Astarte a cui è dedicato il tempio B (sui culti di Pyrgi, da ultimo, Colonna2012). Tuttavia, l’analisi della documentazione archeologica evidenzia il forte lega-me del culto dedicato nel santuario ceretano con quello di Afrodite/Astarte (ad es.la hierodoulia) e, pertanto, con l’Afrodite di Cipro (Verzár 1980). A questo puntovale la pena soffermarsi sulla concezione greca di Afrodite, per la quale vengono asupporto alcune fonti. Oltre Platone, citato in precedenza, anche Pausania (V, 25,1) ricorda l’esistenza di un’Afrodite Urania accanto all’Afrodite Pandemos, raffigu-rata sulla capra e probabilmente connessa al sinecismo. Come Erodoto (I, 105, 2-3), egli sostiene (Paus., I, 14, 6) che l’Afrodite Urania derivava da Ishtar attraversol’Afrodite Pafia (Anacreont., 57), il cui santuario era stato fondato dai Fenici sulmodello di quello di Atargatis, ovvero la variante fenicia di Ishtar (Riflessi del -l’Afrodite Pandemos possono essere forse colti nella Iuno Sospita e Iuno Caprotina,per cui Verzár 1980, pp. 47-48 con bibl. a nota 58). Si può quindi ipotizzare che,nel momento di fondazione del santuario di Pyrgi e della dedica del tempio B daparte del tiranno Thefarie Velianas, il sincretismo operato dai sacerdoti (o dallostesso tiranno) abbia valorizzato gli aspetti terreni di questa divinità, ovvero quellipiù vicini all’Afrodite Pandemos, tanto più che la manipolazione di queste grandidivinità femminili appare frequente anche in Grecia già in epoca antica (Torelli2009, p. 122). Le ragioni potrebbero essere state molteplici, sia in relazione al fattoche si tratta di un santuario emporico, sia per la valenza che dovette assumere l’o-perazione di Velianas nei confronti della città di Cerveteri e della sua nuova orga-nizzazione (vedi, da ultimo, Colonna 2014, p. 94). Quanto ai processi di ‘manipola-zione’, va ricordato come nei grandi santuari di Veio, Pyrgi e Gravisca sia possibileindividuare un’«agglutinazione di divinità femminili attorno ad un culto principalerivolto ad una dea» (Cristofani 1993, p. 18), fatto che sembra testimoniare la neces-sità di accomunare varie sfere legate al mondo femminile, e che potrebbe forse es-sere letto come un retaggio di più antiche tradizioni univoche.

Se è vero che la ricostruzione del pantheon etrusco, verosimilmente prodotto dasuccessive stratificazioni e probabilmente diversificato a seconda delle comunità,non può prescindere dalle categorie del tempo e dello spazio (Cristofani 1993, p.18), è altrettanto vero che il suo nucleo fondamentale era certamente in essere giàin epoca antica, tanto più che è difficile pensare che ciò che si è soliti comprenderenel termine ‘credenza’ in senso antropologico, ovvero l’insieme di aspetti mitico-re-ligiosi, parte di quel pensiero che costituisce l’identità sociale, muti nell’arco dimezzo secolo all’interno di una stessa comunità. Seguendo questa linea di pensiero,le considerazioni qui espresse, a cui si potrebbe senza dubbio aggiungere e contro-battere molto, possono forse bastare per chiudere il cerchio di questa breve rifles-sione.

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È noto come la stessa Afrodite greca sia il prodotto di un processo di derivazioneche risale alla dea nuda orientale. Come in Grecia, così in Etruria, pur con moda-lità e tempistiche differenti, l’assimilazione della dea nuda interviene su una realtàindigena in cui una ‘dea madre’ sovrintende le sfere della fecondità, della rinascitae del controllo del ciclo vitale umano (e forse della natura in genere). Il confrontocon l’iconografia e gli aspetti del pantheon greco, che aveva già risolto le ovvie pro-blematiche determinate da tale sovrapposizione, pone alla mentalità religiosa etru-sca un quadro già elaborato e la necessità di un nuovo sincretismo.

Per tutto l’Orientalizzante (ma si potrebbe forse risalire più indietro), fino allesoglie del periodo arcaico, e cioè ben prima che il processo di antropomorfizzazio-ne divina si sia concluso, la dea nuda è tra le pochissime raffigurazioni che è possi-bile interpretare come divine in un pantheon che, come supposto da vari studiosi,doveva essere comunque costituito nei suoi tratti fondamentali già nel VII e forsenell’VIII sec. a.C. Tale unicità è evidentemente un’anomalia, soprattutto se si tienein considerazione che, meno di un secolo più tardi, le testimonianze archeologichemanifestano una vera e propria epifania iconografica del nutrito pantheon etrusco.

Forse, una possibile spiegazione potrebbe essere trovata tenendo in considerazio-ne la provenienza di queste raffigurazioni. Nei casi in cui è possibile risalire al con-testo, le immagini, per lo più statuette, fanno parte di corredi riferibili a sepolturedi individui femminili; nei casi di Marsiliana e Vulci, questi sono di rango principe-sco o, comunque, elevato e questa connotazione è forse ipotizzabile anche per altricasi. È già stato sottolineato come la presenza della divinità connessa alla fertilità e,quindi, alla perpetuazione della gens, rivestisse un particolare significato per l’ari-stocrazia orientalizzante (Torelli 1986, pp. 182-184); ma, in questa direzione, valeanche la pena ricordare come, in tutte le culture, alcune sfere del mondo muliebresiano nascoste al resto della società e solo le donne possano averne accesso. Pertan-to, non si può escludere che la ‘concessione’ alla rappresentazione di tale divinitàfosse un privilegio riservato a determinate donne, appartenenti a potenti famigliearistocratiche e, forse, ‘amministratrici’, al pari degli uomini, di particolari culti.

Luca Cappuccini(Università di Firenze)

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Figg. 1-2. Statuetta eburnea dal Circolo della Fi-bula di Marsiliana d’Albegna, secondo quarto delVII sec. a.C. (da Cianferoni 2010).

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Turan prima di Afrodite

Fig. 4. Statua B di Casale Marittimo, primi de-cenni del VII sec. a.C. (da Celuzza-Cianferoni2010, p. 124).

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Fig. 3. Cimasa di reggivasi in bronzo di pro-duzione vetuloniese, seconda metà del VIIsec. a.C. (da S. Rafanelli, M. Cygielman(edd.), “Io sono di Rachu Kakanas”. La Tom-ba etrusca del Duce di Vetulonia, Catalogodella mostra, Grosseto, 2004, n. 29, b)

Luca Cappuccini

Fig. 5. Ansa di kyatos di bucchero dalla tomba 456 di Tolle (Chianciano Terme, SI), ter-zo quarto del VII sec. a.C. (da Paolucci-Maggiani 2009, p. 311).

Fig. 6. Ricostruzione della statuapolimaterica dalla Tomba di Isi-de di Vulci, fine del VII sec. a.C.(da Roncalli 1998, tav. V).

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Turan prima di Afrodite

Fig. 8. Rilievo dell’applique in bronzoda Castel San Mariano (Monaco, Staat -liche Antikensammlungen), metà delVI sec. a.C. (da Pfiffig 1975, Abb. 114).

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Fig. 7. Statuetta eburnea dall’area della tomba 13 delDipylon, fine VIII-inizi VII sec. a.C. (da Bianchi Bandi-nelli-Paribeni 1976, n. 129).

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Fig. 9. “Venere” dal santuario della necropoli dellaCannicella ad Orvieto, fine VI sec. a.C.

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