Sulla vita di Anton Domenico Gabbiani di Ignazio Enrico Hugford e la marginalizzazione della scuola...

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121 «…nato in Firenze negli anni 1666 adì 17 novembre, giusto in tempo, che quella fecondissima madre di tutte le facoltà, e di tutte le arti era divenuta sterile nella pit- tura, e raccomandato al Gabbiani da Jacopo suo padre, fino all’età di ventiquattro anni studiò sotto lui. Ma divenuto tuttoché giovane superiore al maestro, veden- do che dal maestro niente più poteva imparare, e non potendo più a lungo soffrire, che la sua patria non aves- se alcuni di quegli uomini che allora avea Roma, deter- minò di partire, e d’andare a trovarli, per ritornarvi uguale a essi se non maggiore 1 Con questo violento attacco alla scuola fiorentina della fine del Seicento Lione Pascoli introduceva la vita di Benedetto Luti, che lasciata la Toscana sarebbe presto divenuto uno dei più apprezzati maestri della Roma di Carlo Maratti (Fig. 1). La reazione dei fiorentini non si sarebbe fatta attendere: Francesco Saverio Baldinucci commentò a caldo la pagina del Pascoli, proprio intor- no al 1730, nella sua vita di Antonio Domenico Gabbiani, dove ammoniva il medico-biografo perugino a non dimenticare «che Firenze non è un borghetto nell’America o qualche casolare mezzo rovinato della campagna di Roma, ma una città che può vantare di avere avuto, in ogni genere e in ogni tempo, uomini grandi al pari di qualunque altra città; che in essa l’Accademia della Pittura ebbe cominciamento prima di qualunque altra Accademia; e che in Firenze non si fa professione di screditare gli altri professori perché non sono fiorentini, ma bensì si fa stima di tutti, e di tutti si pesa il merito senza prevenzione o passione.» Baldinucci junior poche pagine prima aveva già defini- to Pascoli un «ignorante», ed avrebbe discusso punto per punto la formazione di Luti riportata dal biografo 2 : non si trattava solo di difendere la reputazione di Gabbiani, evidentemente, quanto quella di tutti i pitto- ri fiorentini contemporanei. Le parole di Baldinucci, che si richiamava alle glorie passate della sua città, ricordando persino la precedenza della sua Accademia del Disegno su tutte le altre accademie di pittura d’Italia e d’Europa, tradivano però il disagio che i fio- rentini dovevano pur avvertire di fronte all’ormai com- pleta affermazione delle altre scuole, da quella bologne- se a quelle napoletana e veneziana, fino, appunto, alla romana. Alla metà del Settecento Giovanni Targioni Tozzetti stilò una biografia di Vincenzo Dandini, mae- stro di Gabbiani, in cui quest’ultimo era definito: Sulla Vita di Anton Domenico Gabbiani di Ignazio Enrico Hugford e la marginalizzazione della scuola fiorentina tra Sei e Settecento Stefano Pierguidi 1 L. PASCOLI, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni (Roma 1730), Perugia 1992, p. 317. 2 F.S. BALDINUCCI, Vite di artisti dei secoli XVII - XVIII: prima edizione integrale del codice palatino 565, a cura di A. MATTEOLI, Roma 1975, pp. 73-74 e 84-85.

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«…nato in Firenze negli anni 1666 adì 17 novembre,giusto in tempo, che quella fecondissima madre di tuttele facoltà, e di tutte le arti era divenuta sterile nella pit-tura, e raccomandato al Gabbiani da Jacopo suo padre,fino all’età di ventiquattro anni studiò sotto lui. Madivenuto tuttoché giovane superiore al maestro, veden-do che dal maestro niente più poteva imparare, e nonpotendo più a lungo soffrire, che la sua patria non aves-se alcuni di quegli uomini che allora avea Roma, deter-minò di partire, e d’andare a trovarli, per ritornarviuguale a essi se non maggiore1.»Con questo violento attacco alla scuola fiorentina dellafine del Seicento Lione Pascoli introduceva la vita diBenedetto Luti, che lasciata la Toscana sarebbe prestodivenuto uno dei più apprezzati maestri della Roma diCarlo Maratti (Fig. 1). La reazione dei fiorentini non sisarebbe fatta attendere: Francesco Saverio Baldinuccicommentò a caldo la pagina del Pascoli, proprio intor-no al 1730, nella sua vita di Antonio DomenicoGabbiani, dove ammoniva il medico-biografo peruginoa non dimenticare «che Firenze non è un borghettonell’America o qualche casolare mezzo rovinato dellacampagna di Roma, ma una città che può vantare di

avere avuto, in ogni genere e in ogni tempo, uominigrandi al pari di qualunque altra città; che in essal’Accademia della Pittura ebbe cominciamento primadi qualunque altra Accademia; e che in Firenze non sifa professione di screditare gli altri professori perchénon sono fiorentini, ma bensì si fa stima di tutti, e ditutti si pesa il merito senza prevenzione o passione.» Baldinucci junior poche pagine prima aveva già defini-to Pascoli un «ignorante», ed avrebbe discusso puntoper punto la formazione di Luti riportata dal biografo2:non si trattava solo di difendere la reputazione diGabbiani, evidentemente, quanto quella di tutti i pitto-ri fiorentini contemporanei. Le parole di Baldinucci,che si richiamava alle glorie passate della sua città,ricordando persino la precedenza della sua Accademiadel Disegno su tutte le altre accademie di pitturad’Italia e d’Europa, tradivano però il disagio che i fio-rentini dovevano pur avvertire di fronte all’ormai com-pleta affermazione delle altre scuole, da quella bologne-se a quelle napoletana e veneziana, fino, appunto, allaromana. Alla metà del Settecento Giovanni TargioniTozzetti stilò una biografia di Vincenzo Dandini, mae-stro di Gabbiani, in cui quest’ultimo era definito:

Sulla Vita di Anton Domenico Gabbiani di Ignazio Enrico Hugford e la marginalizzazione della scuola fiorentina tra Sei e Settecento

Stefano Pierguidi

1 L. PASCOLI, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni(Roma 1730), Perugia 1992, p. 317.2 F.S. BALDINUCCI, Vite di artisti dei secoli XVII - XVIII: prima

edizione integrale del codice palatino 565, a cura di A. MATTEOLI,Roma 1975, pp. 73-74 e 84-85.

«Pittore Eccellentissimo, il quale dopo d’aver studiato inRoma, in Venezia, e per la Lombardia, ha dato alla Lucetante belle opere, colle quali si acquistò il grido d’uno deiprimi Pittori dell’Europa3.»

Ancora alla fine del secolo Marco Lastri avrebbe scrit-to: «Dica pure il Pascoli, e gli altri fautori dellaRomana Scuola, a depressione della nostra, quanto sivogliono; fu il Luti discepolo del Gabbiani, gli si pro-fessò sempre obbligato de’ suoi progressi nell’arte, e loconsultò finché visse con una deferenza indicibile;come da molte sue Lettere tralle Pittoriche si può chia-ramente vedere4.»Ma colui che davvero passò al contrattacco, in modopiù sottile e intelligente, fu Ignazio Enrico Hugford.Questi, già allievo di Gabbiani, aveva assistito da giova-ne ad una lettura della vita del maestro da parte dellostesso Baldinucci junior, e ritenendo ormai perdutoquel manoscritto, all’inizio degli anni Sessanta decise didare alle stampe un resoconto ancora più ricco dell’at-tività del pittore, morto ormai da oltre trent’anni5.Senza neanche ricordare la pagina infamante di Pascoli,Hugford si limitò a enumerare e lodare tutte le creazio-ni di Gabbiani, sottolineando i pochi, ma assai signifi-cativi, successi internazionali dell’artista: l’invito arecarsi a Genova per eseguire la decorazione della Saladel Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, che il pittore

avrebbe declinato per non dispiacere il suo protettore,il Gran Principe Ferdinando de’ Medici; il ritratto diRinaldo d’Este eseguito a Modena; e soprattutto la teladipinta per il reggente di Francia, il duca Filippo IId’Orléans (1674-1723), a gara con quelle eseguite daiprotagonisti di altre grandi scuole pittoriche d’Italia,Benedetto Luti (Roma), Francesco Solimena (Napoli) eMarcantonio Franceschini (Bologna)6. La critica haprestato fede alla testimonianza di Hugford7, ma adun’attenta riflessione nasce il fondato sospetto che ilbiografo avesse inventato tutti e tre questi episodi conl’obiettivo di sollevare Gabbiani da una gloria che era infondo solo locale, tutta fiorentina, e che non poteva reg-gere al confronto di quella dei celebrati maestri dellealtre scuole pittoriche del tempo, in particolare conquella proprio di Solimena e Franceschini, che real-mente erano stati chiamati a realizzare la decorazionedelle maggiori sale del Palazzo Ducale di Genova. Nel suo Trattato del 1607-15 circa Giovanni BattistaAgucchi, il primo a distinguere chiaramente le diversescuole di pittura italiane, scriveva:

«si può affermare che la Scuola Romana, della quale sonostati li primi Rafaello, e Michelangelo, ha seguitata la bel-lezza delle statue, e si è avvicinata all’artifitio degli antichi.Ma i Pittori Vinitiani, e della Marca Trevigiana, il cui capoè Titiano, hanno più tosto imitata la bellezza della natura,che si ha innanzi a gli occhi. Antonio da Correggio il primo

3 S. BELLESI, Una vita inedita di Vincenzo Dandini e appunti suAnton Domenico Gabbiani, Giovan Battista Marmi, FilippoMaria Galletti e altri, in «Paragone», 39, no. 12, 1988, p. 81.4 M. LASTRI, L’Etruria pittrice ovvero Storia della pittura toscanadedotta dai suoi monumenti che si esibiscono in stampa dal secoloX fino al presente, 2 voll., Firenze 1791-1795, I, p. 57.5 Su tutta questa vicenda cfr. A. MATTEOLI, in BALDINUCCI, Vitedi artisti, cit., p. 10.6 I. E. HUGFORD, Vita di Anton Domenico Gabbiani pittor fioren-tino, Firenze 1762, pp. 21, 38 e 40.

7 La commissione del reggente di Francia è ricordata in E.P.BOWRON, The paintings of Benedetto Luti (1666 - 1724), Ph. D.New York University 1979, Ann Arbor 1980, p. 295; A.BREJON DE LAVERGNÉE, Le Régent, amateur d’art modern, in«Revue de l’art», 62, 1983, pp. 45-48 E.P. BOWRON La‘Madeleine en méditation devant un crucifix’ de Benedetto Luti(1666 - 1724): l’artiste et les mécènes et collectionneurs françaisdans la Rome du XVIIIe siècle, in «Revue du Louvre», 52, no.1, 2002, pp. 45-46.

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1.Benedetto Luti, San Carlo Borromeo amministra l’Estrema Unzione alle vittime della peste, Monaco, Castello di Schleissheim.

de’ Lombardi è stato imitatore della natura quasi maggio-re, perché l’ha seguitata in un modo tenero, facile, et egual-mente mobile, e si è fatta la sua maniera da per se. I Toscanisono stati stati autori di una maniera diversa dalle già dette,perché ha del minuto alquanto, e del diligente, e discuopreassai l’artifitio. Tengono il primo luogo Leonardo da Vinci,et Andrea del Sarto tra’ Fiorentini; perché Michelangeloquanto alla maniera, non si trovò troppo Fiorentino: eMecarino, e Baldassarre tra’ Sanesi8.»

Agucchi non procedeva secondo un ordine cronologi-co, ma piuttosto, implicitamente, secondo l’importanzaassegnata alle scuole: ed i toscani (con i fiorentini cheprecedevano, ma non assimilavano, i senesi) seguivano,già all’inizio del Seicento, i romani, i veneti e i lombar-di. Nel disegno storiografico di Agucchi i Carracci, edin particolar modo Annibale, avevano avuto il merito diunire la «bellezza del colorito Lombardo», studiato nelcorso dei loro viaggi da Bologna a Parma (Correggio) eVenezia (Tiziano), al «disegno finissimo di Roma»(Raffaello e l’antico)9; nel loro linguaggio sovranaziona-le non esisteva, però, una componente squisitamentetoscana. Appena mezzo secolo più tardi, nel suoMicrocosmo della Pittura (1657), Francesco Scannellideclassava ormai la scuola fiorentina a semplice antece-dente di quella romana, riducendo il numero dellescuole di pittura italiane da quattro a tre (romana, vene-ta, lombarda): «La prima delle quali dirassi originatanella Toscana, e nel tempo del Bonarota, come del Vinci

acquistando straordinario augmento, conosceremo colmezo di così eccellenti soggetti restasse non poco fon-damenta, dove poscia succedendo a questi l’immediatoRafaello la rese al supremo segno di compimento inmaniera, che si potrà credere la prima, e ben radicataessersi trovata in riguardo dell’origine, e sodo fonda-mento nella Toscana, e dopo in ordine alla più adequa-ta perfettione di Rafaello nell’alma città di Roma, e con-servasi successivamente in cotanta Città10.» Poco spazio è poi dedicato a Firenze nel viaggio cheGirupeno e il Genio di Raffaello compiono attraversol’Italia ne Le Finezze de’ Pennelli Italiani di LuigiScaramuccia (1674); e quando il Genio di Raffaelloconfessa a Girupeno che la pittura veneziana è «di mag-gior tenerezza, ed impasto che quella delle nostreparti,« quelle «nostre parti« si identificano ormai unica-mente con Roma11. È ben noto, in fondo, come alla finedel secolo lo stesso Filippo Baldinucci, fiorentino,riportasse che un pittore locale, Matteo Rosselli, alloscoprimento degli affreschi di Pietro da Cortona inPalazzo Pitti avrebbe esclamato: «O Curradi, o Curradi[Francesco Curradi], quanto noi altri siamo piccini!12»Tanto alto era il prestigio di Roma, della sua scuola, e diquanto aveva saputo realizzarvi quel toscano, Pietro daCortona appunto, ormai naturalizzato romano, che nel1673 il granduca Cosimo III de’ Medici decise di apri-re in città un’Accademia per l’educazione dei pittorifiorentini, affidandone la direzione al pittore romanoCiro Ferri, ultimo dei grandi allievi del Berrettini, e allo

8 Del Trattato di Agucchi, rimasto manoscritto, ci è giunto un fram-mento inserito in G. A. MASSANI, Diverse Figure…, Roma 1646 (pp.8-9 per la citazione qui riportata) e ripubblicato in epoca moderna,per la prima volta, da D. MAHON, Studies in Seicento art and theory,London 1947 (p. 246 per la citazione qui riportata).9 MAHON, Studies in Seicento, cit., pp. 248-250.10 F. SCANNELLI, Il microcosmo della pittura overo Trattato divisoin due libri, Cesena 1657, p. 90.

11 L. SCARAMUCCIA, Le finezze de pennelli italiani, ammirate, estudiate da Girupeno sotto la scorta, e disciplina del genio diRaffaello d’Urbino, con alcune massime ò siano ricordi nel finedegni di riflessione, Pavia 1674, pp. 46-50, 93 e 110.12 F. BALDINUCCI, Notizie dei professori del disegno da Cimabuein qua (6 voll., Firenze 1681-1728; V, 1702), edizione a cura di F.RANALLI, 5 voll., Firenze 1845-47, IV, 1846, p. 174.

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scultore di origine comasca, ma di educazione primanapoletana e poi soprattutto romana, Ercole Ferrata13. Se nel corso del primo e pieno Seicento Firenze avevacomunque espresso moltissime figure di primo piano,quali Cigoli, Giovanni da San Giovanni, Carlo Dolci eFrancesco Furini, nell’ultimo quarto di secolo nonrimaneva più nessuno che potesse davvero essere messoa confronto con i grandi delle altre scuole, si pensi alromano d’adozione Carlo Maratti, al napoletano LucaGiordano o al bolognese Carlo Cignani14. Gabbiani,dopo i primi anni trascorsi in patria a studiare i capola-vori di Pietro da Cortona in Palazzo Pitti, e a lavoraresotto la direzione di Vincenzo Dandini, era stato man-dato dal granduca a Roma a completare la sua forma-zione accanto a Ciro Ferri proprio in quel 1673 che videla fondazione dell’accademia in Palazzo Madama15, enel corso di tutta la sua carriera il pittore sarebbe rima-sto fedele a quel linguaggio di matrice tardo barocca(Fig. 2): la sua pittura fu, secondo Mina Gregori, «unprodotto un po’ asfittico di corte, e come tale godettedelle preferenze dell’aristocrazia fiorentina16.» Le bio-

13 Fondamentale, nel programma educativo dell’Accademia,rimaneva comunque lo studio dall’antico, cfr. M. VISONÀ,L’Accademia di Cosimo III a Roma (1673 - 1686), in Storia dellearti in Toscana, 5, Il Seicento, a cura di M. GREGORI, Firenze2001, pp. 166 e 170.14 Non a caso, alla pittura della fine del Seicento a Firenze, MinaGregori ha dedicato appena due pagine del suo saggio de La pit-tura in Italia Electa (M. GREGORI, La pittura a Firenze nelSeicento, in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. GREGORI

e E. SCHLEIER, 2 voll., Milano 1988, I, pp. 323-324).15 VISONÀ, L’Accademia di Cosimo, cit., p. 168.16 GREGORI, La pittura a Firenze, cit., p. 324. Sulla carriera diGabbiani cfr. A. SERAFINI, s.v. Gabbiani, Anton Domenico, inDizionario Biografico degli Italiani, 51, Roma 1998, pp. 1-4 e, soprat-tutto, Il Gran Principe Ferdinando de’ Medici e Anton DomenicoGabbiani: mecenatismo e committenza artistica ad un pittore fiorenti-no della fine del Seicento, catalogo della mostra, Poggio a Caiano 18ottobre 2003 – 18 gennaio 2004, a cura di R. SPINELLI, Prato 2003.

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2.Antonio Domenico Gabbiani, Apoteosi della famiglia Corsini,Firenze, Palazzo Corsini.

grafie di Baldinucci junior e di Hugford elencano unaserie notevole di decorazioni realizzate dal pittore neimaggiori palazzi della città a partire dal suo rientro inpatria nel 1676, ed entrambe ricordano quello che erastata un importante episodio della biografia di Gabbiani,ovvero il suo viaggio a Vienna nel 169017. Gabbiani vi erastato mandato dal Gran Principe Ferdinando de’ Medici,suo grande protettore, affinché eseguisse il ritratto del-l’imperatore Leopoldo e del figlio Giuseppe: una tappa,quindi, della sua carriera in qualità di artista di corte diCosimo III, niente cioè che attestasse un suo ipoteticosuccesso internazionale. Altri soggiorni di Gabbiani aVenezia e in ‘Lombardia’, ricordati dalle due fonti18,erano stati intrapresi come viaggi di studio, finanziati inparte dalla corte medicea: a Firenze, insomma, era sem-pre più avvertita la necessità di aggiornarsi sul linguaggiodelle altre maggiori scuole pittoriche italiane, e quindi ilpittore di corte del granduca veniva prima mandato aformarsi a Roma con uno degli artisti di maggiore succes-so del momento, e poi a studiare i grandi testi delCinquecento veneziano e lombardo.Dopo aver ricordato i lavori eseguiti da Gabbiani nelpalazzo del conte Andrea Gerini, nel 1694, e prima didescrivere gli affreschi nella cappella di palazzoSansedoni a Siena, del 1697, Hugford rammenta quelloche sarebbe stato un episodio davvero straordinariodella carriera dell’artista, ovvero il suo invito a recarsi aGenova per realizzare la decorazione della Sala del

Maggior Consiglio. Gabbiani, per non dispiacere il suoprotettore, avrebbe rifiutato, e l’incarico sarebbe poiandato a Marcantonio Franceschini, «Pittore Bologne-se, anch’esso molto eccellente19.» Carlo Giuseppe Rattiaffermava che nel 1693 il genovese Giovanni BattistaGaulli, detto il Baciccio, era tornato in patria per ese-guire l’affresco della volta, per il quale aveva già prepa-rato un bozzetto (perduto), preceduto a sua volta daidisegni preparatori che si conservano a Düsseldorf(Kunstmuseum); le richieste economiche dell’artista,allora al colmo della sua gloria romana, parvero però aigenovesi decisamente esorbitanti, e la commissionesfumò20. Solo alcuni anni più tardi, a cavallo tra il 1699e il 1700, il Senato avrebbe affidato il lavoro aFranceschini (Fig. 3), preferendolo ai pittori localiDomenico Parodi e Paolo e Gerolamo Piola, che pureavevano presentato dei bozzetti per cercare di aggiudi-carsi la commissione (gli affreschi di Franceschini, alpari dei dipinti di Solimena di cui si dirà fra poco, sonoandati perduti nell’incendio che devastò il palazzo nel1777)21. Da un punto di vista strettamente cronologico,quindi, il racconto di Hugford è assolutamente verosi-mile: tra il 1693 e il 1699 i genovesi, che anche in segui-to, come vedremo, preferirono rivolgersi a un pittoreforestiero di grido piuttosto che a una gloria locale,avrebbero potuto sondare il terreno con Gabbiani, aquel tempo il pittore di maggior successo a Firenze22.Ma è lecito domandarsi se, allora come oggi, la fama di

17 BALDINUCCI, Vite di artisti, cit., p. 67; HUGFORD, Vita di AntonDomenico Gabbiani, cit., pp. 14-15.18 BALDINUCCI, Vite di artisti, cit., pp. 66, 71; HUGFORD, Vita diAnton Domenico Gabbiani, cit., pp. 7-8.19 HUGFORD, Vita di Anton Domenico Gabbiani, cit., p. 2120 R. SOPRANI, C.G. RATTI, Vite de’ pittori, scultori ed architettigenovesi, 2 voll, Genova 1768-69, II, p. 83; G- BIAVETTI

FRABETTI, Il «concorso« del 1700 per il Salone del MaggiorConsiglio, in El siglo de los Genoveses e una lunga storia di arte esplendori nel Palazzo dei Dogi, catalogo della mostra, Genova 4

dicembre 1999 – 28 maggio 2000, a cura di P. BOCCARDO e C. DI

FABIO, Milano 1999, pp. 366-367.21 BIAVETTI FRABETTI, Il «concorso« del 1700, cit., pp. 367-369.Franceschini realizzò il lavoro tra il 1702 e il 1704, cfr.Marcantonio Franceschini: i cartoni ritrovati, catalogo dellamostra, Genova 27 luglio – 25 agosto 2002, a cura di G. TESTA

GRAUSO, Cinisello Balsamo (Mi) 2002.22 La testimonianza dello Hugford è infatti riportata in D.C.MILLER, Marcantonio Franceschini, Torino 2001, p. 78.

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Gabbiani fosse anche solo lontanamente paragonabile aquella di Franceschini, impegnato dal 1691 ad un gran-dioso ciclo di dipinti eseguito per la residenza viennesedi uno dei maggiori committenti del tempo, il principetedesco Johann Adam Andreas von Liechtenstein23, o aquella di colui che, nel 1708, dopo un altro tentativoandato a vuoto con il Baciccio, venne chiamato ad ese-guire la decorazione della Sala del Minor Consiglio, il

celebratissimo Francesco Solimena, conteso da tutti iregnanti d’Europa, che ottenne la prestigiosa commis-sione senza neanche assumersi l’impegno di recarsi per-sonalmente a Genova, come era stato costretto a fareFranceschini, per eseguire degli affreschi: Solimena sisarebbe limitato ad inviare da Napoli, con gravi ritardi,i tre dipinti (il primo nel 1713, il secondo nel 1717 ed ilterzo solo nel 1727; Fig. 4)24.

23 D.C. MILLER, Marcantonio Franceschini and the Liechtensteins:Prince Johann Adam Andreas and the decoration of theLiechtenstein garden palace at Rosseau-Vienna, Cambridge 1991.

24 L. GHIO, La decorazione della Sala del Minor Consiglio, in Elsiglo de los Genoveses, cit., pp. 393-399.

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3.Marcantonio Franceschini, Guglielmo Embriaco espugna Gerusalemme con la torre mobile, Genova, Accademia Ligustica.

Dopo aver descritto la maggiore opera pubblica dell’ar-tista, la decorazione della cupola di San Frediano inCestello, terminata nel 1718, Hugford riporta cheGabbiani si sarebbe recato a Modena per eseguire ilritratto del duca25, verosimilmente Rinaldo d’Este(1655-1737), succeduto a Francesco II nel 1695, delquale peraltro non rimane traccia26. Poche paginedopo, quasi al termine della carriera del pittore, il bio-grafo ricorda quello che certamente sarebbe stato il suomaggiore successo internazionale, ovvero la tela esegui-ta per il Filippo II d’Orléans (1674-1723): «Nella famo-sa raccolta di preziose pitture del Duca di Orleans, chefu Reggente di Francia, non essendovi ancora operaalcuna de’ più insigni Pittori d’Italia allora viventi, peròfurono da quel Principe commesse quattro istoriediverse di due braccia in circa pel traverso a’ quattropiù eccellenti che vi fussero, secondo l’universal concet-to. Il primo de’ quali fu il nostro Gabbiani in Firenze, ilsecondo Benedetto Luti suo allievo, che dimorava inRoma; il terzo Marcantonio Franceschini in Bologna, ilquarto Francesco Solimene in Napoli, coll’offerta diScudi trecento per ciascheduno27.»Anche in questo caso, da un punto di vista strettamentecronologico, il racconto di Hugford sembrerebbe inat-taccabile. Da una lettera del 1751 di Francesco Algarottia Pierre-Jean Mariette, infatti, apprendiamo che nel1723, tre anni prima della morte di Gabbiani, il venezia-

no Sebastiano Ricci aveva ricevuto, da parte del reggen-te di Francia, la commissione di due importanti tele, unSacrificio a Vesta e un Sacrificio a Sileno, che non furonoinviate a Parigi poiché il duca d’Orléans morì prima chequeste venissero terminate (i dipinti giunsero poi aDresda, dove si trovano ancora oggi, GemäldegalerieAlte Meister; Fig. 5)28. Allo stesso modo, Antonio Rovi-glione, nella sua Vita di Francesco Solimena pubblicatanel 1733 in testa alla seconda edizione dell’Abecedariopittorico di Pellegrino Antonio Orlandi stampata aNapoli, riportava che dopo la morte di Luigi XIV (1715)il reggente si era rivolto all’ormai celebre maestro «perdipingere una galleria, e, mentre si stavano accomodan-do li prezzi per poter fare li quadri ad oglio per ornare lagalleria, sopravvenne il contagio a Marsiglia ed altre cittàdella Francia, e succedé la morte del Principe, e così nonsi terminò l’opera29.»Era vero, quindi, che il duca di Orléans, proprio pocoprima di morire, aveva cominciato a rivolgere la propriaattenzione ai maggiori pittori viventi, dopo aver ricerca-to soprattutto sul mercato internazionale le opere deigrandi maestri del Cinque e del Seicento30. Tra il 1713e il 1721, in particolare, egli aveva portato avantiun’estenuante trattativa con Livio Odescalchi per l’ac-quisto della sua straordinaria collezione romana, ovve-ro di quella di Cristina di Svezia, giunta nelle sue manidopo essere passata in quelle di Decio Azzolini31: al ter-

25 HUGFORD, Vita di Anton Domenico Gabbiani, cit., p. 38.26 Sulla committenza di Rinaldo d’Este cfr. A. VENTURI, La R.Galleria Estense in Modena, Modena 1882, pp. 296-302; nonrisultano dipinti di Gabbiani nella Galleria Estense, cfr. R.PALLUCCHINI, I dipinti della Galleria Estense di Modena, Roma1945.27 HUGFORD, Vita di Anton Domenico Gabbiani, cit., p. 40.28 F. ALGAROTTI, Opere, 17 voll., 1791-94, VIII, Lettere sopra lapittura, Venezia 1792, pp. 17-18.29 O. MORISANI, La vita del Solimena di Antonio Roviglione nelleaggiunte all’«Abecedario« dell’Orlandi, in «Bollettino di storia

dell’arte», I, 1951, p. 54; F. BOLOGNA, Francesco Solimena,Napoli 1958, p. 191.30 Sul collezionismo del reggente cfr. F. MARDRUS, La galerie duRégent et la peinture du Seicento, in Seicento: la peinture italien-ne du XVIIe siècle et la France, Paris 1990, pp. 293-308 e R.ORESKO, Philippe II, Duc d’Orléans, in Dictionnary of Art, 23,London 1996, pp. 514-516.31 Sulle vicende della collezione prima della vendita al reggentecfr. soprattutto T. MONTANARI, La dispersione delle collezioni diCristina di Svezia: gli Azzolino, gli Ottoboni e gli Odescalchi, in«Storia dell’arte», 90, 1997, pp. 250-300.

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32 L. MAGGIONI, Antonio Maria Zanetti tra Venezia, Parigi eLondra: incontri ed esperienze artistiche, in Collezionismo e ideo-logia: mecenati, artisti e teorici dal classico al neoclassico (Studi sulSettecento romano 7), a cura di E. DEBENEDETTI, Roma 1991, pp.93-94. Su Gabburri cfr. G. PERINI, s.v. Gabburri, FrancescoMaria Niccolò, in Dizionario biografico degli italiani, 51, Roma1998, pp. 8-10. 1675-1742.

33 N. BARBOLANI DI MONTAUTO, N. TURNER, Dalla collezioneGabburri agli Uffizi: i disegni di Anton Domenico Gabbiani, in«Paragone», 58, nn. 75-76, 2007, pp. 27-92.34 MAGGIONI, Antonio Maria Zanetti, cit., p. 94.

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4.Francesco Solimena, L’arrivo a Genova delle ceneri del Battista, Sondrio, collezione Banca Popolare di Sondrio.

mine di tutta la vicenda il duca era entrato in possessodi 123 capolavori, tra i quali erano i Correggio e iTiziano che sarebbero divenuti il vanto della sua raccol-ta. Fin dal 1714 il grande collezionista di disegni PierreCrozat era stato mandato dal reggente a Roma per trat-tare con l’Odescalchi. Nel corso del viaggio di ritornoverso Parigi egli aveva soggiornato a Firenze, dove

aveva conosciuto un altro grande collezionista di dise-gni, Francesco Maria Niccolò Gabburri32, autore di unabiografia di Gabbiani, di cui possedeva un gran nume-ro di schizzi e studi33. Si potrebbe quindi pensare che,una volta rientrato in patria, il banchiere aggiornasse ilduca sulla scena artistica contemporanea italiana(Crozat aveva soggiornato anche a Venezia, dove aveva

conosciuto Antonio Maria Zanetti, con il quale era statoforse messo in contatto proprio da Gabburri)34: attra-verso Crozat, insomma, sarebbe potuto giungereall’orecchio dell’Orléans anche il nome di Gabbiani.Ma ancora una volta non si può non rimanere scettici difronte a questa eventualità. Le fonti riportano che ilduca aveva commissionato tele a Ricci e a Solimena, pit-tori la cui fama aveva da tempo travalicato i confini deiloro stati, la Serenissima da una parte, il Viceregno dal-l’altra (entrambi avevano lavorato ad esempio per lacorte sabauda di Torino)35, laddove non sembra che aGabbiani giungessero mai commissioni da fuori delGranducato di Toscana. Il racconto di Hugford, inol-tre, è chiaramente sospetto: «Il primo de’ quali [dei pit-tori contattati dal reggente] fu il nostro Gabbiani inFirenze, il secondo Benedetto Luti suo allievo, chedimorava in Roma.» Il biografo non solo sottolineavacome «il primo» dei pittori sarebbe stato proprioGabbiani, ma indicava anche in un altro fiorentino, perdi più suo allievo, il prescelto dall’Orléans all’internodella scuola romana. A parere di chi scrive, insomma,non sorprende che né nella Description des tableaux duPalais Royal di Dubois de Saint-Gelais del 172736, nénel monumentale catalogo dei capolavori incisi dellacollezione d’Orléans del 178637, dove pure si ricordano(e nel secondo caso riproducono) anche dipinti ‘moder-ni’ di autori quali Carlo Maratti e Luca Giordano, siapossibile trovare traccia di tele di Gabbiani, Luti,Solimena e Franceschini. Hugford era arrivato anche aindicare il soggetto del dipinto realizzato da Gabbiani(tacendo peraltro quelli degli altri artisti): «Ebbe a fare

il Gabbiani la Regina Ester svenuta, e retta dalle duedamigelle avanti al Re Assuero, che accorre a confortar-la. Opera è questa fatta con estrema diligenza, e conpari gusto, e sapore, la quale poiché fu giunta sotto gliocchi del detto Principe volle distinguerla dall’altre conun nobil regalo di alcuni pezzi d’argento, oltre l’onora-rio suddetto38.»Il biografo riproduceva persino il relativo disegno diGabbiani, fatto incidere insieme a molti altri peraccompagnare la vita dell’artista: Hugford, infatti,aveva ereditato numerosi fogli di quello che era stato ilsuo maestro, altri ne aveva acquistati dal nipote, ed erainfine entrato in possesso di tutti quelli collezionati daGabburri, e tra questi era proprio quell’Ester di frontead Assuero oggi (insieme a tutti gli altri) al Gabinettodei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (Fig. 6)39. Idipinti eseguiti da Ricci, e mai giunti in Francia a causadella morte del reggente, sono oggi a Dresda; Solimena,come riferiva Roviglione, non aveva ancora iniziato adipingere le sue tele per la «galleria« del duca quandoquesti era venuto a mancare; il ciclo ricordato daHugford, invece, sarebbe stato compiuto, ma di essonon rimane traccia né negli inventari né nelle altre fonticontemporanee. E, davvero sintomaticamente, tutti etre gli episodi di questa fantomatica fortuna internazio-nale di Gabbiani (l’invito, declinato, ad affrescare laSala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale diGenova; il ritratto di Rinaldo d’Este eseguito aModena; l’Ester e Assuero dipinto per il reggente) sonotaciuti dalla pur sempre dettagliata e puntuale biografiadel pittore stilata da Francesco Saverio Baldinucci.

35 Cfr. almeno M. DI MACCO, I pittori «napoletani« a Torino, inFilippo Juvarra a Torino: nuovi progetti per la città, a cura di A.GRISERI e G. ROMANO, Chieri 1989, pp. 271 e 278.36 D. DE SAINT-GELAIS, Description des tableaux du Palais Royal,Paris 1727.37 L’ABBÉ DE FONTENAI, Galerie du Palais Royal gravée d’après

les tableaux des différentes écoles qui la composent, avec un abré-gé de la vie des peintres et une description historique de chaquetableau, Paris 1786.38 HUGFORD, Vita di Anton Domenico Gabbiani, cit., p. 40.39 BARBOLANI DI MONTAUTO, TURNER, Dalla collezioneGabburri, cit., pp. 31-33 e 57, n. 117.

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5.Sebastiano Ricci, Sacrificio a Sileno, Dresda, Gemäldegalerie.

Non è neanche difficile indicare quali imprese avesserosuggerito a Hugford la storia della commissione, daparte del duca di Orléans, di quattro tele ad altrettantirappresentanti delle scuole di pittura italiane. Qualcheanno dopo la morte del reggente, infatti, il re di Spagna,Filippo V d’Asburgo, attraverso la mediazione del suoarchitetto di corte, Filippo Juvarra, aveva davvero com-missionato un ciclo di tele con Storie di AlessandroMagno ai maggiori esponenti di quelle che, a quelladata, erano le più note scuole pittoriche (il ciclo, desti-nato in origine alla galleria del Palazzo Reale di LaGranja de San Ildefonso, è oggi disperso in diverse sedidel Patrimonio Nacional)40. Tra l’estate e l’autunno del1735 partirono, da Madrid, le missive che raggiunseroSolimena a Napoli, Francesco Trevisani (Fig. 7), Se-bastiano Conca e Agostino Masucci a Roma, GiovanniBattista Pittoni a Venezia e Donato Creti a Bologna41. Aquella data erano morti sia Luti che Franceschini, chepochi anni prima sarebbero stati effettivamente deipapabili per un incarico di quel tipo. Ma Filippo V eJuvarra probabilmente non pensarono affatto di cerca-re un pittore fiorentino da aggiungere a quella rosa, ecerto non perché Gabbiani fosse scomparso, anche lui,nel 1726. Accanto a quella di Roma (che faceva la partedel leone), di Venezia, di Bologna e di Napoli, in quel-l’impresa antologica orchestrata dallo Juvarra c’eracomunque spazio per un’altra scuola: nel 1735 l’archi-tetto scrisse infatti anche al genovese Domenico Parodi,

che peraltro finì per non eseguire la tela che gli era statarichiesta42. Un’impresa simile sarebbe stata tentatapochi anni dopo da Algarotti, per conto di FedericoAugusto II di Sassonia, re di Polonia, al quale il vene-ziano presentò un «Progetto per ridurre a compimentoil Regio Museo di Dresda il 28 ottobre 1742.» Algarottiprogettava di commissionare una serie di tele, con sog-getti scelti in base alle caratteristiche e alle capacità deipittori chiamati ad eseguirle, ai veneziani GiovanniBattista Piazzetta, Giovanni Battista Tiepolo e Antonio

40 Su questo ciclo cfr. da ultimo J. ÁLVAREZ LOPERA, Philip V ofSpain and Juvarra at La Granja Palace: the difficulty of beingAlexander, in Ho Megas Alexandros sten Europaïke techne,Thessaloníke 1997, pp. 37-46.41 Tutta la documentazione relativa a questo episodio è statapubblicata in E. BATTISTI, Juvarra a Sant’Idelfonso, in«Commentari», 9, 1958, pp. 273-297 e in Filippo Juvarra aMadrid, Madrid 1978, pp. MANCA NOME AUTORE E PP.42 Secondo M. NEWCOME (s.v. Parodi, Domenico, in La pittura in

Italia, cit., II, p. 838) Parodi non avrebbe dipinto la tela perchéil contratto per gli affreschi di Palazzo Rosso specificava che l’ar-tista non poteva assumere altri incarichi prima di aver terminatoil lavoro. Parodi, però, firmò quel contratto nel gennaio del 1736(C. MARCENARO, Gli affreschi del Palazzo Rosso di Genova,Genova 1965, p. 32, nota 36), mentre le lettere inviate in Spagnadal pittore sono datate 21 e 26 settembre, e 31 ottobre 1735, cfr.BATTISTI, Juvarra, cit., pp. 294-297.

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6.Antonio Domenico Gabbiani, Ester di fronte ad Assuero, Firenze,Gabinetto dei Disegni e delle Stampe.

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7.Francesco Trevisani, La famiglia di Dario davanti ad Alessandro, Patrimonio Nacional.

Balestra (quest’ultimo nato, e lungamente attivo, aVerona), al bolognese Ercole Lelli, ai romani FrancescoMancini (nato nelle Marche e formatosi a Bologna) eGiovanni Paolo Painini (nato a Piacenza) e al napoleta-no Francesco de Mura, chiamato a sostituire il celeber-rimo Solimena, suo maestro, a causa dell’età avanzata diquest’ultimo. Nella rosa dei pittori scelti da Algarottiera compreso, in realtà, anche un toscano, FrancescoZuccarelli, che si era formato in patria, a Firenze, mache fin dai primi anni Trenta del Settecento si era tra-sferito a Venezia, e proprio in virtù della sua attività inlaguna egli era stato selezionato: «a cagione d’esempioin Venezia buon pittore di paesi43.» Hugford, scaltrocollezionista e mercante d’arte, che nel 1754 aveva cer-cato di vendere due dipinti proprio di Luti (poi giunti

in Inghilterra, a Kedleston Hall) a Giovanni LudovicoBianconi (che a sua volta agiva, sebbene non in vesteufficiale, come intermediario nell’acquisto di dipintiper la Galleria di Dresda)44, doveva conoscere benequeste imprese dello Juvarra e dell’Algarotti, anche sequest’ultima rimase sulla carta, un po’ come quella fan-tomatica della commissione del reggente di Francia.Tutto, comunque, dimostrava come Firenze stesse dav-vero diventando, sulla scena internazionale, qualcosa disimile a quel «borghetto nell’America» di cui, parados-salmente, parlava Baldinucci, e nella sua vita diGabbiani Hugford tentò, almeno in parte, di riscrivereil passato e di ricollocare la scuola della sua città sullostesso piano di quelle di Roma, Venezia, Bologna eNapoli.

43 ALGAROTTI, Opere, cit., pp. 366-370 (la citazione è tratta da p.369).44 Su questo episodio cfr. G. PERINI, Dresden and the Italian artmarket in the eighteenth century: Ignazio Hugford and Giovanni

Ludovico Bianconi, in «The Burlington Magazine», 135, 1993,pp. 550-559 e G. L. BIANCONI, Scritti tedeschi, a cura di G.PERINI, Bologna 1998, pp. 58-59.

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