Una sconosciuta monografia ottocentesca sulle leges regiae. Il Dritto Papisiano di Domenico Cassini
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Oliviero Diliberto
Una sconosciuta monografia ottocentesca sulle leges regiae. Il Dritto Papisiano di Domenico Cassini
in “Fides Humanitas Ius. Studii in onore di L. Labruna”,
VI, Napoli, 2007, pp. 1466-1491
1. “Essi non facevano opera di scienziati, ma di avvocati e di scienziati insieme”1.
Rievocando la figura di Nicola Coviello, nelle pagine di una rivista periferica quanto
effimera nella durata, lo Stolfi faceva riferimento a quella cerchia di avvocati colti del
foro partenopeo che, nella prima metà dell’ ‘800, aveva preparato il terreno, di lì a
poco, alla nascita di una grande stagione di scienziati del diritto napoletani. Tra quegli
avvocati-scienziati – insieme a Giuseppe Cirillo, i baroni Winspeare e Wargas
Maciucca, Vincenzo Villari, Antonio Starace, Pasquale Stanislao Mancini, Giuseppe
Pisanelli, Roberto Savarese, Nicola Amore, Francesco Correra, Emanuele Gianturco –
figura il nome di Domenico Cassini. A quest’ultimo, dunque, sono rivolte queste brevi
note, dedicate – non casualmente – ad un Maestro e amico carissimo, Luigi Labruna,
degno erede, nella medesima città, di quella grande stagione.
Scopo di queste pagine è, pertanto, quello di portare alla conoscenza della nostra
comunità scientifica un volume ignoto – per quanto mi risulta – alle bibliografie
specializzate2, dedicato, come si vedrà, alle leges regiae. Mi riferisco a: Dritto3
Papisiano, di Domenico Cassini, Presidente della Camera di disciplina degli avvocati,
Napoli, Dalla Tipografia Salita Infrascata n. 344, 18374.
L’opera era stata redatta da un giurista tutt’altro che sprovveduto, quale
Domenico Cassini, ma del quale, ingiustamente (come si evincerà leggendo queste
pagine), si è persa pressoché ogni traccia: il suo nome non compare nei lavori
1 N. STOLFI, Nicola Coviello, in La Basilicata nel mondo III.1 (1926) 44. Ringrazio vivamente l’amico e collega carissimo Ugo Petronio per i preziosi suggerimenti offertimi nel corso dell’elaborazione di questo contributo, che spesso “sconfina” in territori più familiari allo storico del diritto italiano che al gius-romanista (ammesso che tale distinzione abbia ancora un senso); ringrazio altresì il giovane collega, ed anch’egli amico carissimo, Francesco F. D’Ippolito, per le preziose indicazioni bibliografiche fornitemi sulla vita di Cassini. 2 L’ICCU ne conosce, peraltro, solo cinque esemplari nella biblioteche italiane ivi censite. Ne ho rinvenuto inoltre una sola copia, tra le principali biblioteche europee on line, presso la Staatsbibliothek zu Berlin. 3 Sic, come non infrequentemente accadeva nel lessico dei giuristi dell’epoca: cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata delle edizioni a stampa della Legge delle XII Tavole (Roma 2001) 162, 194. 4 L’opera ora menzionata sarà d’ora in avanti citata solo con il nome di Cassini e l’indicazione della relativa pagina.
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concernenti l’avvocatura e l’università di Napoli5, così come non è stato giudicato
meritevole di esser inserito nel pur accurato Dizionario Biografico degli Italiani. Di lui
si ritrovano esigue testimonianze in alcuni repertori ottocenteschi, nonché in
pubblicazioni di storia locale 6.
2. Domenico Cassini nasce a Moliterno, in Lucania, il 18 marzo del 1777, da una
famiglia modesta, ancorché uno zio fosse magistrato a Napoli. Lo soccorre l’ingegno.
Infatti, colpito dall’acuta intelligenza del giovane, il vescovo diocesano, Benedetto
della Torre, fa sì che Cassini trascorra un breve periodo in seminario, senza peraltro
ricevere l’ordinazione: in esso svolgerà i primi studi. Sempre grazie alla protezione
vescovile, si trasferisce quindi a Napoli, per studiare giurisprudenza. La benevolenza
episcopale non tragga in inganno. Cassini, infatti, manifesterà sempre un’acuta
indipendenza di pensiero e una predisposizione per l’attività politica, per quanto
tutt’altro che lineare o priva di contraddizioni. Già a ventidue anni, dopo lo scoppio
della rivoluzione partenopea del ’99, torna da Napoli a Moliterno ove è coinvolto nelle
vicende insurrezionali. Anche nella sua città, infatti, sulla scorta delle notizie che
arrivavano da Napoli, si vive una brevissima esperienza repubblicana (la c.d.
“repubblica di Moliterno”7). Il giovane Cassini figura in un primo momento tra i
protagonisti della (peraltro incruenta) sollevazione anti-borbonica; poi, a seguito del
rovesciamento di campo (anch’esso in verità, contrariamente a ciò che accade altrove
nel regno, pressoché incruento), è eletto, per un periodo brevissimo, addirittura sindaco
della città per conto dei Borboni: il tutto nel volgere di una quarantina di giorni. Questa
esperienza lo segnerà. Nell’ambito di notizie del tutto frammentarie e certo non
completamente affidabili, Cassini, dopo esser riparato in Sicilia, sembra trascorrere (in
volontario, prudenziale esilio?) un periodo tra Livorno e Pisa, ove termina gli studi
giuridici. Sappiamo per certo, inoltre, che dal 1802 è nuovamente a Napoli, ove
5 Il nome di Domenico Cassini non compare né in Napoli e i suoi avvocati, cur. M. PISANI MASSA MORMILE (Napoli 1975; rist. anast. Napoli 1997), né in F. TORRACA, G.M. MONTI, R. FILANGIERI DI CANDIA, N. CORTESE, M. SCHIPA, A. ZAZO, L. RUSSO, Storia della Università di Napoli (Napoli 1924; rist. anast. èdita da Il Mulino per conto dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli 1993). 6 D. ALBINI, s.v. “Cassino (sic) Domenico”, in Dizionario del Risorgimento nazionale, II, Le persone (A – D) (Milano 1930) 588; T. PEDIO, s.v. “Cassini Domenico” in Dizionaro dei patrioti lucani, I, Artefici e oppositori (1700 – 1870) (Trani 1969), e ivi fonti documentali e bibliografia; V. VALINOTI LATORRACA, Monografia storica della città di Moliterno (Modugno 2003), 360 ss. (si tratta di un’opera rimasta inedita per circa un secolo – fu scritta dall’autore a cavallo tra la fine dell’ ‘800 e gli inizi del ‘900 – e solo recentemente pubblicata: non è, peraltro, molto attendibile, si pensi solo al fatto che Cassini è chiamato costantemente Cassino). Cfr. anche supra nt. 1. 7 Traggo le notizie sopra riportate dal sito web della Biblioteca Comunale “G. Racioppi” di Moliterno, cui senz’altro rinvio per ogni approfondimento e qualche (scarsa) indicazione bibliografica.
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incomincia ad esercitare la professione d’avvocato. Ma tra il 1820 e il 1821 riesplode la
passione politica: nei convulsi momenti dei moti carbonari che attraversano il regno
delle Due Sicilie, è eletto deputato del parlamento napoletano per la Lucania Orientale.
I tentativi rivoluzionari, come noto, falliscono rapidamente. A questo punto, dunque,
Cassini decide di ritirarsi definitivamente a vita privata, dedicandosi solo
all’avvocatura, garantendosi, prudenzialmente, la protezione di amicizie potenti: il suo
Dritto Papisiano è, infatti, dedicato a S. E. Giuseppe Ceva Grimaldi, allora della
Consulta Generale del Regno di Napoli, ma personaggio illustre, tanto da diventare, tra
il 1840 e il 1848 (sino cioè ai moti di quell’anno “fatidico”), addirittura presidente del
consiglio dei ministri del re8. Cassini non vedrà, tuttavia, i successi politici del suo
importante protettore: morirà di colera (per quanto una sorta di leggenda lo voglia
avvelenato9) il 12 giugno del 1837, proprio l’anno in cui appare il volume oggetto di
queste pagine10. Era riuscito, nel frattempo, a divenire egli stesso – come detto in
apertura – Presidente della Camera di disciplina degli avvocati partenopei.
Il nostro autore fu senz’altro avvocato illustre. Di lui si conoscono opere di diritto
a stampa, per lo più dedicate alla pratica, allegazioni e memorie di parte11: il medesimo
Cassini, dunque, sembra apparentemente non fare eccezione rispetto a quanto scritto da
Stolfi, in relazione a quella cerchia di avvocati–studiosi del foro partenopeo, dediti più
alla professione che alla meditazione scientifica.
Invece Cassini, proprio nell’anno in cui scompare, pubblica una monografia
anomala rispetto alle opere precedenti, dedicata al diritto romano più antico, opera di
natura scientifica, speculativa, dalle caratteristiche – come si vedrà appresso – quanto
mai singolari: meritevole, insomma, di esser sottratta all’oblio.
8 Nato nel 1777 (e dunque coetaneo di Cassini), il Ceva Grimaldi morirà, ormai ritiratosi a vita privata dopo i moti del ’48, nel 1862. Il Ceva Grimaldi dedicò, peraltro, un necrologio ufficiale a Cassini (apparso nel Giornale Ufficiale delle Due Sicilie il 28 giugno 1837). Notizie biografiche in A. SCIROCCO, “Ceva Grimaldi Pisanelli Giuseppe”, in DBI. XXIV (1980) 329 ss. 9 Cfr. supra nt. 7. 10 Quando Cassini muore, il volume era già “in gran parte messo a stampa” (VALINOTI LATORRACA, Monografia storica cit. 363, che cita il necrologio di Ceva Grimaldi menzionato alla nota 8): ne termina la pubblicazione il nipote Antonio, magistrato, figlio del fratello Giuseppe. 11 Per la Signora Raffaella Pecoraio (Napoli, tip. Porcelli, s.d.); Rapporto su le modifiche degli articoli 18 e 25 dello Statuto Politico (Napoli, s.d. ma probabilmente 1820); Per la duchessa di Casteldisangro, Marianna Loffredo contra gli amministratori del futuro capitolo delle canonichesse di Pozzuoli istituito dal principe di Cardito (s.l., ma Napoli, tip. Porcelli, s. d., ma con ogni probabilità dopo il 1827); Brevi osservazioni in difesa della Signora Marchesa del Ciro per la collocazione di Tarsia (coautore Antonio Degni) (s.l., s.d. ma dopo il 1831); Per Paolo Tonti contro il giudice Gaetano Sessa (coautore Pasquale Arenare) (Napoli, tip. Gentile, 1832); Nullità della Dieta Cassinese tenuta in Parma in aprile del 1833 (coautori anche Domenico Torrusio e David Winspeare) (Napoli, s.d., ma probabilmente dello stesso 1833); le Allegazioni, infine, furono raccolte in ben otto volumi nel 1888 (Sala Consilina, tip. De Marsico e C.). Postumo, è stato recentemente pubblicato, a cura di D. Cosimato, Postiglione tra feudo e demanio in una memoria inedita del 1810 (Postiglione 1993).
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3. Per quanto i molteplici temi connessi alle leges regiae e al ius Papirianum
abbiano appassionato generazioni di studiosi, la monografia di Cassini appare – per ciò
che mi consta – sconosciuta alle bibliografie. La sua disamina, invece, rivela un autore
tutt’altro che sprovveduto o digiuno di letture specialistiche nel campo del diritto
romano arcaico.
E’ tempo dunque di analizzare l’opera più nel dettaglio.
L’autore afferma subito di aver voluto scrivere un’opera “che riguarda la politica
dell’antica e primitiva giurisprudenza di Roma al tempo de’ suoi Re” (IV). La politica,
dunque, grande e mai sopita passione di Cassini, anima l’autore nella redazione del
libro, che si svolge cronologicamente, seguendo, dopo una non breve premessa, le
vicende storiche e legislative dei singoli re di Roma.
A Cassini non interessa ricostruire in modo filologicamente (più o meno) esatto le
singole leges regiae (VII): anzi egli (IX) esplicitamente si augura che altri, meno
impegnati di lui (il riferimento, evidente, è alla sua professione d’avvocato) e “di me
più istruiti” possano occuparsene: per quanto riguarda la ricostruzione filologica delle
leggi regie, afferma di rifarsi agli studi di Antoine Terrasson12 (121) . Lo stesso titolo
(Dritto Papisiano e non Papiriano, come comunemente è definita la raccolta delle leges
regiae) è tratto dal medesimo Terrasson (anche se Cassini, questa circostanza, non la
riconosce esplicitamente): il grande studioso francese, infatti, volendo “arcaizzare” la
terminologia romana classica, definisce la raccolta di leggi di Papirio (chiunque egli
sia) come ious Papeisianos, come si sarebbe correttamente detto – ad avviso di
Terrasson – nella Roma più antica13.
Cassini è viceversa interessato allo spirito delle leggi (e qui si coglie già una
prima eco di Montesquieu, di cui diremo appresso), ai principi ispiratori di esse, alle
conseguenze sulle istituzioni politiche e sulle classi sociali. Il suo scopo, pur in
presenza di notizie – quelle sul diritto arcaico – per sua stessa ammissione scarse e
frammentarie, è quello, a suo dire non impossibile, di ricostruire la “politica
costituzione” (IX), “il Governo” (X s.) della Roma antica. Le leggi, insomma, lo
interessano, “nella relazione che serbano colla politica costituzione del governo,
affinché … si possa conoscere lo spirito” delle leggi medesime (121). Scopo del suo
libro è, quindi, quello di ragionare intorno alla politica delle leggi regie (XV), che
avrebbero peraltro rappresentato la base fondamentale sulla quale furono poi redatte le 12 Cfr. infra § 6. 13 A. TERRASSON, Histoire de la Jurisprudence Romaine (Paris 1750) 70. Cfr. infra nt. 59.
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XII Tavole (XI). Il debito con Montesquieu sembra evidente. La concezione delle forze
che regolano la società, presente nelle Considérations sur les causes de la grandeur des
Romains et de leur décadence (Amsterdam 1734), trova la sua compiuta configurazione
nell’Esprit des Lois (Ginevra 1748), in cui i diversi tipi di governo sono esposti, in una
visione del tutto laica, attraverso l’analisi delle leggi. Cassini, non a caso, cita
esplicitamente queste due opere di Montsquieu nel corso della propria opera14, ma della
seconda scriverà essere “immortale” (124).
D’altra parte, conclude Cassini, senza consapevolezza storica (in questo caso,
storico-giuridica) non si comprende neppure il presente: l’autore insiste ripetutamente
su questo punto: “giurisprudenza senza storia, equivale a scienza di leggi senza
ragione” (VI). Il diritto romano è, dunque, presentato come essenziale per comprendere
la legislazione del tempo in cui l’autore vive (IX).
4. Osserviamo quindi più da vicino le idee di politica legislativa di Cassini.
Le leggi, egli afferma, sono necessarie per “porre in equilibrio i discordanti
desideri degli uomini” che, altrimenti, sarebbero animati dalla sola cupidigia gli uni
contro gli altri (V). Hobbes – peraltro mai menzionato, in un’opera invece, come si
vedrà appresso, ricca di citazioni – non avrebbe potuto dire di meglio.
Romolo, cui dedica gran parte del volume (35 – 238), è il vero fondatore della
città e ne configura l’ordinamento (35). Egli modifica la preesistente forma di governo
aristocratica in quella monarchica e quest’ultima istituzione crea un altrimenti
impossibile “equilibrio tra il popolo e il Senato” (46), garantendo anche protezione ai
più deboli: in questo senso andrebbe letta, secondo Cassini, la lex regia concernente la
sacertà per il patrizio (patrono) che viola la fides rispetto al plebeo (cliente) (45).
Ma anche la religione, nell’ottica dell’autore, è considerata come instrumentum
regni. Gli auspici, cui Cassini dedica una lunga digressione (51 ss.), diventano lo
strumento della “ragion di stato” (58) e la religione romana primitiva, in definitiva, fa
“le veci di un Codice politico-civile” (60). Anche in questo caso, a me pare evidente,
ancorché l’autore non venga in questo caso esplicitamente menzionato, l’influenza di
Montesquieu, che al tema della religione come instrumentum regni aveva dedicato
un’opera forse ignota a Cassini (Dissertation sur la politique des Romains en matière
de religion, 1716), ma che di tale tema tratta ampiamente nei due celebri saggi poco
prima ricordati.
14 Grandeur, cfr. CASSINI, 168 s.; L’Esprit, cfr. CASSINI, 224 ss.
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Per governare, occorrono prudenza e ingegno, perché le armi servono per
conquistare il potere, non per conservarlo (75). Si avverte l’influenza della lettura di
Machiavelli, citato non a caso da Cassini, peraltro in altro luogo dell’opera15, ma a lui
evidentemente noto. Romolo detiene tutti i poteri (monarchia assoluta: potere politico,
giudiziario, religioso) e ciò garantisce “la salute del regno” (79 s. e ivi nt.1). La legge
“non riposa” nel “giudice suddito”, ma nel re (100). Il diritto di punire – in capo al re –
è dunque essenziale: “il timore è il principio della sommissione” (137).
In questo quadro, non esita a definire “imbarazzanti” le prerogative del senato (83
e 89), perché l’equilibrio tra poteri è, di fatto, “un sogno” (83): si distruggono
inevitabilmente a vicenda. Per cui, in un sistema equilibrato come quello romuleo, i
poteri dei magistrati e dei sacerdoti (tutti patrizi) sono poteri delegati dal sovrano. In
questo quadro, per evitare le sedizioni, vanno anche vietate, come Romolo saggiamente
fa, le assemblee notturne, norma questa, per Cassini, “utilissima” politicamente (164
ss.).
Così, egli esplicita anche il suo pensiero rispetto alla democrazia. Al principio,
essa sarebbe “insolenza organizzata”, poi evolverebbe in “vocaboli senza fatti”,
terminerebbe come “ombra de’ fatti e delle voci” (128). Cassini critica a fondo, a
questo proposito, l’ordinamento delle province del Nuovo Mondo, l’America (128), a
lui noto attraverso l’opera di un colto divulgatore molto in voga al tempo in cui egli
scrive16, non riuscendo tuttavia a negare l’importanza dei fondatori della democrazia
americana, asserendo in definitiva che “i Wasington (sic) e i Franklin sono rimasti
senza imitatori” (ibid.).
La concezione politica del nostro autore, dunque, sembra proprio non equivoca.
Egli milita a favore della monarchia assoluta e giustifica le leggi che la tutelano.
Tuttavia – forse non dimentico dei trascorsi giovanili – egli cerca di giustificare sul
piano, per così dire, teorico, la propria scelta di campo. In questo senso, si inquadra
anche la digressione dell’autore sulla schiavitù, tema dibattutissimo – come si sa – nel
15 CASSINI, 302 menziona esplicitamente i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (apparsi, come noto, postumi, a Roma, presso Blado, nel 1531). 16 Mi riferisco a Giulio FERRARIO (1767 – 1847), autore di Il costume antico e moderno o Storia del governo, della milizia, della religione, delle arti, scienze ed usanze di tutti i popoli antichi e moderni, etc. (Milano 1820) e di L’America (Livorno 1832) in due volumi. Cassini cita Ferrario in due luoghi diversi (67 e 197), traendo i riferimenti da un non meglio precisato Discorso preliminare dell’America. Può dunque trattarsi di entrambe le opere menzionate.
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torno di tempo a cavallo tra la Rivoluzione francese e i primi passi della democrazia
americana dopo la promulgazione della Costituzione degli Stati Uniti17.
Cassini – che forse non conosceva tale dibattito nello specifico, ma del quale
immagino non gli sfuggissero i relativi echi, anche e soprattutto sul versante politico e
teorico – afferma dunque che gli uomini, allo stato di natura, sono eguali tra loro (e in
questo caso a me sembra non sia da escludere un’eventuale eco giustinianea): solo gli
“accidenti” creano la disuguaglianza: proprietà, forza, coraggio e così via (177 ss.). All’
“eguaglianza naturale” fa da pendant la “disuguaglianza accidentale” (178): solo così si
spiega la circostanza che un uomo possa essere di proprietà di un altro uomo (180). Ma
“la ragione” (e qui si sentono echi illuministici evidenti) “ha dovuto durare tempo non
breve per dire finalmente che l’uomo non fu mai proprietà dell’uomo” (196).
Anche la condizione della donna e la concezione della famiglia sono piegati, per
Cassini, alla logica del potere e della ragion di stato: le leggi sulla manus (181 ss.) e lo
stesso ius occidendi di padre o marito sulla donna (in caso di adulterio, 185 ss. e nel
caso ella abbia bevuto vino, 189) si spiegano così: la fedeltà coniugale interessa “la
pubblica morale” (187). Il potere pubblico deve garantire l’ordine e la pace anche
nell’ambito delle famiglie, che rappresenterebbero “il maggior bene per lo Stato” (215):
e menziona, a questo proposito, anche la legge che condanna alla sacertà la nuora che
avesse percosso il suocero.
Per quanto riguarda, poi, la patria potestas, Cassini ritiene che il padre
(cinquant’anni prima di Pietro Bonfante) sia “sovrano” entro la propria famiglia (202),
manifestando una purissima concezione politica della familia romana. Egli nega,
dunque, che lo ius vitae et necis (così come lo ius exponendi) sia di derivazione
ateniese, come riteneva una parte della dottrina, ma tipicamente romano.
Le leggi sulla proprietà, infine, preesistono allo Stato. L’uomo fu “prima
proprietario, e poi sociale” (223): ed anche qui, evidentemente, si sentono echi
(ancorché non vengano esplicitati) di un dibattito tra i più rilevanti svoltosi tra i
costituzionalisti del tempo in cui Cassini scrive.
Romolo distribuisce la terra (224), ma il diritto di esserne proprietario era già
esistente: è, per Cassini, diremmo oggi, diritto naturale. In questo quadro si inseriscono
anche le digressioni sul diritto delle successioni (226 ss.). La successione testamentaria,
per il nostro autore, violerebbe in qualche misura l’ordine naturale della successione
(quella dei discendenti diretti) e dunque sarebbe stata necessaria una legge che 17 Per tutti, da ultimo, rinvio alle penetranti pagine di L. CANFORA, La democrazia. Storia di un’ideologia (Roma – Bari 2004) 52 ss.
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stabilisse questa che egli interpreta come ”eccezione” alle regole “della continuità e
della contiguità” (236).
Tutto ciò fa sì, per l’autore, che le leggi romulee rappresentino non già un “codice
privato”, bensì un “codice politico”, “una legge organica costituzionale” (217).
Numa, cui Cassini dedica molte pagine, anche se assai meno che a Romolo (240 –
303), è – come noto – re legislatore per eccellenza. Egli fu più re di pace che non di
guerra (243), nonché re della frugalità, anche nei sacrifici (251 ss., 257 ss.) e nelle
cerimonie funebri (266 ss.). Egli rappresenterebbe il trionfo delle antiche virtù romane,
dell’ordine, della disciplina, della morigeratezza (si pensi alle norme sulla paelex: 280).
Ma è anche il trionfo della tutela della proprietà e del libero esercizio dell’agricoltura
(difesa dei confini: 275).
Non convince il nostro autore, invece, l’idea della (a suo dire) troppo lieve
punizione dell’omicidio involontario prevista, come noto, in una lex regia (288 ss.),
così come egli critica l’idea che il giuramento possa esser utilizzato come mezzo
(“malsicuro” egli afferma: 292) per il raggiungimento della verità processuale. In ogni
caso, mentre Numa consolida la struttura dello Stato creata da Romolo e la difende, già
con Tullo Ostilio (304 ss.) – che manifesterebbe “scarsità del genio … nelle cose
legislative” (310) – inizierebbe il periodo del decadimento.
Giungiamo così, dopo brevi cenni su Anco Marcio (318 ss.), a Tarquinio Prisco
(323 ss.). Cassini giudica molto severamente le riforme costituzionali di quest’ultimo:
egli avrebbe infatti inaugurato la “repubblica aristocratica” (325) con una sorta di
potere misto tra re e classi più abbienti. Il che avrebbe permesso a Servio Tullio (331
ss.) di varare, a sua volta, la riforma censitaria della distribuzione del popolo nelle
diverse classi, giudicata dall’autore quanto mai pericolosa, perché – egli afferma – i
sudditi devono essere tutti eguali dinnanzi al re (337). In sostanza, avendo diviso il
popolo in classi, Tarquinio Prisco avrebbe preparato “la ruina del regio potere” (341).
Prova del decadimento sarebbe per Cassini una norma, che giova analizzare per
comprendere sino in fondo l’atteggiamento del nostro autore. Si fa riferimento alla ben
nota lex regia che prescriveva la sacertà del figlio che avesse percosso il padre (342).
Bene, Cassini ricorda che Romolo aveva previsto analoga punizione per la sola nuora
che avesse battuto il suocero, mentre la circostanza che ora sia prevista l’inaudita
ipotesi della percossa al padre, sarebbe segno del decadimento della società che,
viceversa, al tempo di Romolo, mai avrebbe neppure preso in considerazione teorica
tale possibilità (342). Saremmo di fronte alla “morale deturpata” (344). Da lì, il
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passaggio alla fine della monarchia con la rivolta contro la tirannide di Tarquinio il
Superbo (346 ss.) appare a Cassini pressoché inevitabile.
Fiero custode dell’assolutismo, Cassini evidenzia, peraltro, a mio modo di vedere,
un accentuato eclettismo culturale, intrecciandosi, nelle sue idee, una fedeltà totale alla
monarchia assoluta con non pochi (forse involontari) accenti illuministici. Così come
appare evidente, sin da questa prima disamina, una sorta di dilettantismo (non privo,
peraltro, d’ingegno, come talvolta accade) che lo porta ad affrontare temi di grande
portata, senza tuttavia confrontarsi direttamente con la dottrina a lui coeva, che di quei
medesimi temi era impegnata a discutere con passione in una molteplicità di studi e
polemiche, anche squisitamente politico-ideologiche. Tra gli assenti, basti citare per
tutti un nome che colpisce, quello di Vico18: il che stupiva anche i (modesti) biografi
ottocenteschi di Cassini19. Tornerò tra breve sul punto.
Ciò che, viceversa, mi preme sottolineare è la circostanza che Cassini sembra
conoscere (ed analizza anche con indipendenza di giudizio, come detto) un numero di
leges regiae tutt’altro che disprezzabile: un semplice confronto con il primo volume di
FIRA (Leges regiae, 3 – 18) può agevolmente confermarlo. Al termine di queste
considerazioni, ho ritenuto di riportare in un Allegato finale l’elenco delle leggi
attribuite da Cassini ai singoli re, alcuni dei quali (Anco Marcio e i due Tarquini)
appaiono tuttavia trascurati nell’elenco menzionato: ma la disamina sin qui svolta
dimostra che il nostro autore conosceva anche le disposizioni normative attribuite dalle
fonti antiche (si pensi al riordino “costituzionale” della fase terminale della monarchia)
a singoli re e delle quali non ha ritenuto, tuttavia, di proporre un testo nella sua
(presunta) precisa ricostruzione letterale.
5. La pur sommaria ricostruzione appena svolta dell’opera in esame mostra,
peraltro, anche una dimestichezza non comune con la storia romana più antica ed una
padronanza della materia che è sicuramente superiore a quella dei normali, ancorché
colti, avvocati dediti alla pratica forense. Una disamina attenta delle fonti citate – il più
delle volte, per quanto sembra, di prima mano – conferma tale prima impressione.
18 Sul vivacissimo ed intenso dibattito a cavallo tra ‘700 e ‘800 su tali temi, v. per tutti, ultimamente F. LOMONACO, Tracce di Vico nella polemica sulle origini delle Pandette e delle XII Tavole nel Settecento italiano, in Opuscoli della Fondazione Pietro Piovani per gli Studi Vichiani 4 (2005) passim e ivi letteratura precedente. 19 La “dimenticanza” (forse la non conoscenza) di Vico da parte di Cassini è rimarcata in modo particolare da A. RINALDI (in Gazzetta di Diritto e Giurisprudenza 6.13 [1890] menzionata da VALINOTI LATORRACA, Monografia storica cit. 363), che trattava di Cassini in relazione alla pubblicazione postuma delle sue Allegazioni, già ricordate (cfr. supra nt. 11.
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La più antica storia di Roma appare ricostruita soprattutto sulla base delle opere di
Livio20 e di Dionigi di Alicarnasso21, entrambi largamente citati ed utilizzati, talvolta
anche senza esplicitamente citare la fonte, pur non disdegnando l’autore, ove
necessario, di ricorrere alla menzione di altri storici latini o greci occupatisi di storia
romana: tra gli altri22, in particolare, Plutarco23, Valerio Massimo24 e Floro25.
Le singole leggi regie, invece, come a noi pare evidente, sono tratte da quegli
autori – retori, grammatici ed eruditi – che più degli altri ne conservano, a vario titolo,
traccia: Cicerone26, come ovvio, e poi Varrone27, Aulo Gellio28, Plinio29, Festo30,
Macrobio31, Servio commentatore di Virgilio32. Anche in questo caso, Cassini tuttavia
non ignora – ed anzi fa sfoggio di erudizione al proposito – numerosi altri autori dai
quali possono essere tratte notizie utili ai fini della ricostruzione legislativa della società
romana più antica: dagli scrittori di agricoltura33, agli antichi commediografi34, ai
geografi35, ai poeti e ai letterati a cavallo tra fine della repubblica e principato36.
Non disdegna, inoltre, di far menzione dei grandi autori37 e dei filosofi greci38,
come di quegli esponenti della patristica che offrono, come noto, alcune notizie sulla
Roma antica39, così come, ancora, di altri autori tardi interessatisi, con diversi
intendimenti, della latinità arcaica40.
20 Cfr. CASSINI, 19 ss.; 29 s.; 70; 85 ss.; 88 ss.; 93 ss.; 114; 120; 134; 138 s.; 156; 164; 237; 245; 269 nt. 1; 292; 294; 299 ss. e ivi note; 306 ss.; 312; 318; 324 s.; 341 nt. 1; 347; 350; 351 nt.1. 21 Cfr. CASSINI, 19; 25; 51; 76; 77; 81 ss.; 87; 102;116; 120; 124; 133 s.; 140; 147; 149; 150; 155; 162; 172; 182 s.; 186; 189; 191; 206 s.; 223; 230 ss.; 237; 243; 245; 286; 292; 304; 308; 337; 340 s.; 344; 346 ss.; 348 s.; 351 nt.1. 22 Ammiano, 124; Arriano, 20 s.; Cesare, 201; Diodoro Siculo, 192; Diogene Laerzio, 192; Erodoto, 282; Eusebio, 201; Eutropio, 328; Giustino, 30; Polibio, 58; 150; 201; Sallustio, 31; 201; Senofonte, 173; Tacito, 175; Tucidide, 177; Velleio Patercolo, 32; Zonara, 35. 23 Cfr. CASSINI, 19; 116; 120; 150; 169; 177; 211; 230 ss. 24 Cfr. CASSINI, 73; 103 s.; 190 s.; 246 s. 25 Cfr. CASSINI, 176; 303 nt.1; 308; 351 nt.1. 26 Cfr. CASSINI, 20 s.; 32; 51; 59; 81 ss.; 120; 124; 129 s.; 134; 162; 201 s. in nt.; 206 s.; 208; 259; 274 nt.1; 278. 27 Cfr. CASSINI, 28; 169; 237; 245 s.; 266. 28 Cfr. CASSINI, 91 e 190 (nei quali passi Gellio a sua volta cita Ateio Capitone, come Cassini correttamente annota); 120; 154; 195. 29 Cfr. CASSINI, 77; 120; 123; 167; 191; 260; 262 s.; 266 nt.1. 30 Cfr. CASSINI, 28; 155 s.; 251; 257; 280; 290; 342. 31 Cfr. CASSINI, 68; 120; 156; 167; 362. 32 Cfr. CASSINI, 64; 153. 33 Cfr. CASSINI, 191 (Catone); 260 (Columella). 34 Cfr. CASSINI, 258 (Plauto). 35 Diverse appaiono, ad esempio, le citazioni di Strabone: cfr. CASSINI, 49; 189; 211. 36 CASSINI, 268 in nt. (Catullo); 260 (Marziale); 163; 260 (Orazio); 28; 34; 264 nt.1; 351 nt.1 (Ovidio); 253; 352 nt.1 (Properzio); 27 (Quintiliano); 318 (Seneca); 34 (Tibullo); 163; 273 nt.1 (Virgilio). 37 CASSINI, 201 (Omero). 38 CASSINI, 201; 241; 259 (Platone); 201; 260 (Aristotele). 39 CASSINI, 274 nt.1 (Agostino); 193 (Anobio); 258 (Tertulliano). 40 CASSINI, 266 (Nonio Marcello). Ma il nostro autore conosce anche la Notitia dignitatum (CASSINI, 239), Cassiodoro ( 35 e 176), i panegirici imperiali (33) e il lessico Suida (260).
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Non è dato sapere, ovviamente, in che misura il nostro autore attinga direttamente
ed autonomamente dalle fonti classiche o, viceversa, le menzioni di seconda mano. Ma
dalla lettura dell’opera emerge una dimestichezza con gli autori antichi obbiettivamente
non comune, insieme ad una forte indipendenza di giudizio nell’utilizzarli.
Cassini, peraltro, non dimentica certo di essere un giurista: utilizza, dunque, ed
esamina in modo appropriato, anche le fonti provenienti dal Corpus iuris giustinianeo e
da altri testi giuridici romani41, in particolare – come intuibile – i paragrafi
dell’enchiridion di Pomponio relativi alla più antica storia legislativa di Roma (D.
1.2.2.2 ss.).
6. Cassini deve aver dedicato alla stesura dell’opera molti anni della sua vita. Le
fonti antiche analizzate (o anche semplicemente citate) sono davvero molte, ma
impressionante è soprattutto la mole della letteratura utilizzata: della quale, ancora una
volta, è arduo stabilire se si tratti di citazioni dirette o indirette, ma di cui, certamente,
l’autore dà sfoggio con un qualche compiacimento. Si tratta, come si vedrà (e come in
parte anticipato), di autori dei secoli passati, più che di quelli a lui coevi: dei quali
dimostra tranquillamente di ignorare l’esistenza.
Il primo riferimento è agli autori interessatisi direttamente di leges regiae, dei
quali Cassini offre al lettore una sorta di elenco. ”Molti letterati di gran merito –
afferma l’autore – si sono impegnati nella ricerca di queste leggi: il Balduino42,
l’Agostino43, il Lipsio44, l’Orsino45, il Silvio46, il Rivalio47, il Forstero48, il
41 Cfr. CASSINI, VIII (D. 1.3.17, Cels. 26 dig.); 28 (D. 50.16.239.6, Pomp. l. sing. ench.); 70 (D. 23.2.1, Mod. 1 reg.); 73 (in cui Cassini affronta il tema della collocazione del titolo de ritu nuptiarum in D.23.2); 77 (C. 12.57.11); 78, 97 s., 141, 169, 361 (D.1.2.2, Pomp. l. sing. ench.); 92 (I. 1.2.4); 193 (PS. 2.26); 203 (Gai 2.2); 282 e 362 (D. 50.16.144, Paul. 10 leg. Iul. et Pap.); 285 (D.11.8.2, Marcell. 28 dig.); 295 (D.50.16.234, Gai 2 ad leg. XII tab.). 42 F. BALDUINUS (François Baudouin, 1520 – 1573), Libri due ad leges Romuli, regis Rom., leg. XII Tabularum (Lugduni 1550): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 64 s.; J-L. FERRARY, Saggio di storia della palingenesi delle Dodici Tavole, in Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli umanisti, cur. M. HUMBERT (Pavia 2005) 514 ss. 43 A. AUGUSTINUS (Antonio Agustí i Albanell, 1516 o ’17 – 1586), De Legibus et Sctis liber: adiunctis legum antiquarium & senatusconsultorum fragmentis, cum notis Fulvi Ursini (Romae 1583): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 102 ss.; FERRARY, Saggio cit. 514 ss., 522. 44 I. LIPSIUS (Joost Lips, 1547 – 1606), Leges Regiae et Leges X.Virales (Antverpiae 1577): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 94 ss. e, da ultimo, FERRRARY, Saggio cit. 523 nt. 53. 45 Si tratta di quel Fulvio Orsini (1529 – 1600) che curò le Notae all’opera di A. Augustinus (apparse anche autonomamente rispetto al volume menzionato, sempre a Roma, nel medesimo anno 1583 exc. Fr. Zanettus) di cui alla nota 43. Cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 102 s. 46 A. CLARUS SYLVIUS, Commentarius ad leges tam regias, quam XII. Tabularum mores et Canones, Romani iuris antiqui (Parisiis 1603): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 123. 47 A. RIVALLIUS (Aymar de Rivail, c. 1490 – 1560), Libri de Historia Iuris Civilis et Pontificii (Valentiae 1515): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 47 ss. e, ultimamente, FERRARY, Saggio cit. 505 ss.; O. DILIBERTO, Umanesimo giuridico-antiquario e palingenesi delle XII Tavole. 1. Ham. 254, Par. Lat. 6128 e Ms. Regg. C. 398 in Annali Università di Palermo 50 (2005) 83 ss.; ID., Lex
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Lyndemanno49, il Rahla50, il Kayser51, il Broco52, il Freimonio53, il Libergio54,
l’Hoffman55, lo Struvio56, il Merola57, il Gotefredo58, il Terasson59, lo Scubarzio60, il
Gravina61, il Martini62, il Bachioz63, e fra moderni, molti altri” (119).
de magistratibus. Cicerone, il diritto immaginato e quello reale nella tradizione palingenetica delle XII Tavole in “Tradizione romanistica e Costituzione”, dir. L. LABRUNA, cur. M.P. BACCARI e C. CASCIONE, II (Napoli 2006) 1469 ss. 48 V. FORSTERUS (Valentin W. Forster, 1530 – 1608), De Historia Iuris Civilis Romani libri tres (Basileae 1565): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 86 s.; FERRARY, Saggio cit. 513. 49 Th. LINDEMANN (1575 – 1632), Historia iuris Romani (Rostochii 1627). 50 H. RAHLA, De origine et progressu Iurisprudentiae Romanae (Franeckerae 1541). 51 Immagino si tratti di D. KEYSER e che l’opera citata da Cassini sia la Historia iuris civilis (Coburgi 1683), anche se non può escludersi trattarsi, dello stesso autore, del De rei publicae constitutione (Ienae 1667). 52 Broco, bizzarramente, dovrebbe essere Franciscus BROEUS, Chronologica Historica totius Iuris (Parisiis 1622), autore anche di Analogia iuris ad vestem. Qua iuris naturalis gentium & civilis species illustrantur (Parisiis 1633) e di Parallela legis et nummi. Quibus triplex iuris naturalis gentium, & civilis philologice exponitur (Parisiis 1633). 53 Si tratta evidentemente del ben noto Johann Wolfgang FREYMOND (1546 – 1610), autore, come si sa, del Corpus Iuris Civilis Academicum, ma l’opera da cui attinge Cassini non è tra le sue più note, trattandosi, con ogni probabilità, della Symphonia iuris utriusque chronologica, etc. (Francofurti 1574). 54 M. LIBERGE (1537 – 1599), Universae Iuris Historiae (Pictavii 1567). 55 Ch. G. HOFFMANN, Historiae Juris Romani-Justinianei II, pars prior: Juris Romani fontes antiquissimae (Lipsiae 1726): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 144; FERRARY, Saggio cit. 538. 56 B. G. STRUVIUS, Historia Iuris Romani Iustinianei Graeci Germanici Canonici Feudalis Criminali et Publici ex genuinis monumentis illustrata, etc. Accesserunt Prolegomena de Scriptoribus Historiae Iuris (Ienae 1718): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 140. 57 P. MERULA (Paul van Maarle, 1558 – 1607), De Legibus Romanorum (Lugduni Batavorum 1684): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 135. 58 Immagino Cassini si riferisca alla fondamentale opera di J. GOTHOFREDUS (Jacques Godefroy, 1587 – 1652), Fragmenta XII. Tabularum (Heidelbergae 1616), poi riedita in Fontes quatuor Juris Civilis in unum collecti, etc. (Genevae 1653): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 127 ss.; ultimamente, v. FERRARY, Saggio cit. 534 ss. e M.Th. FÖGEN, Storie di diritto romano. Origine ed evoluzione di un sistema sociale (2002), trad. ital. cur. A. MAZZACANE (Bologna 2005) 64. 59 E’ la fondamentale e già citata opera (cfr. supra § 3) di A. TERRASSON, Histoire de la Jurisprudence Romaine (Paris 1750), che Cassini può aver letto anche in traduzione italiana, Venezia, presso A. Garbo, in tre volumi, 1806 e, sempre Venezia, presso Graziosi, in cinque volumi, 1805 – 1806: cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 152 s. e FERRARY, Saggio cit. 539. 60 G. SCUBARTIUS (Georg Schubart, 1650 – 1701), Iurisprudentiae Romanae exercitationes academicae (Ienae 1696). 61 G. V. GRAVINA, Origines juris civilis (Napoli 1701) (e poi numerosissime successive, come si sa): cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 137 ss.; v. poi La biblioteca di Carlo Cattaneo, cur. C.G. LACAITA, R. GOBBO, A. TURIEL (Bellinzona 2003) 223 nn. 812 – 813; FERRARY, Saggio cit. 538; FÖGEN, Storie cit. 538. 62 Sul Martini citato da Cassini restano alcuni dubbi. Potrebbe trattarsi di Werner Theodor MARTIN (1602 – 1671), autore della Dissertatio juridica de iure civili Romano ante Iustiniani tempora, etc. (Wittembergae 1674), oppure di Carlo Antonio MARTINI (italo-austriaco, Karl Anton von Martini, 1726 – 1799 o 1800), autore di un Ordo historiae iuris civilis (Viennae 1755), più volte ristampato: si tratta di un autore piuttosto rilevante, sul quale v., da ultimo, A. CASSI, Il bravo funzionario asburgico. Tra Absolutismus e Aufklärung. Il pensiero e l’opera di Karl Anton Martini (1726 – 1799) (Milano 2006). Quest’ultima incognita è destinata tuttavia a restare tale, poiché, come si evincerà appresso dalla lettura, la principale fonte di Cassini, in tema di storia della storiografia gius-romanistica, è Struve e quest’ultimo parla solo del primo dei due Martini ricordati; ma, al contempo, il secondo di essi dedica un intero capitolo della propria opera (il secondo: de legibus regiis Romanorum) proprio alle leggi regie. 63 I. A. BACHIUS, Historia Iurisprudentiae Romanae Quatuor Libris comprehensa (Lipsiae 1754), più volte ristampata: cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 155; FERRARY, Saggio cit. 538.
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Gli autori menzionati, ancorché non sempre di agevole identificazione, per via
dell’italianizzazione talvolta assai poco perspicua (o, in qualche caso, palesemente
errata)64, sono effettivamente tutti, a vario titolo e con diversi intendimenti (nonché con
differenti capacità ed approfondimento), giuristi e storici occupatisi di leggi regie, oltre
che, quasi sempre, anche della Legge delle XII Tavole. In linea di massima, da quanto
si comprende, il nostro autore segue, nell’elencazione della precedente dottrina, la
lunga e ricca disamina della storiografia gius-romanistica proposta da Struve nei
Prolegomena de Scriptoribus Historiae Iuris contenuta della sua celebre e già ricordata
Historia Iuris Romani (Ienae, 1718)65.
Ma, al di là delle dichiarazioni (e dell’ostentato sfoggio di erudizione), quali opere
Cassini ha realmente studiato? Come detto, si tratta di una diagnosi quanto mai
complessa. Soccorre, forse, solo un’indicazione, non decisiva, ma, almeno in qualche
misura, indicativa dell’atteggiamento del medesimo Cassini. A fronte, infatti, della
mole di autori menzionati nell’elenco sopra riportato – e che effettivamente
rappresentano una bibliografia abbastanza completa – Cassini in realtà cita
espressamente, con riferimenti diretti, solo alcuni degli “scrittori” da lui menzionati in
premessa, aggiungendone altri non indicati invece in quella sede. Proviamo ad
analizzare, dunque, nel merito, la dottrina che Cassini sembra aver direttamente
analizzato.
Egli afferma, con nettezza (120 s.), di seguire per grandi linee le idee di Gian
Vincenzo Gravina. Ebbene, tale autore è concretamente menzionato, nel corso
dell’opera, solo quattro volte66. Di sicuro, Cassini ha l’opera di Gravina davanti a sé,
perché la cita testualmente: e ben sappiamo quanta influenza quest’ultimo abbia
esercitato sui contemporanei e sugli studiosi a lui successivi67.
Ma al contempo Cassini mostra di ben conoscere – ed anzi di valorizzare più dello
stesso Gravina – l’opera di Alessandro d’Alessandro68, citata espressamente un numero
di volte assai superiore, ma della quale, soprattutto, segue le idee nella ricostruzione di
64 Cfr. le note precedenti 65 Cfr. supra nt. 56. 66 Cfr. CASSINI, 120; 156; 251 s.; 273. 67 Cfr. supra nt. 61. Ultimamente, sul punto, v. soprattutto i recenti accurati lavori di F. LOMONACO, Le “Orationes” di G. Gravina: scienza, sapienza e diritto (Napoli 1997); ID., Introduzione, in G. GRAVINA, Originum juris civilis libri tres (Napoli 2004) XI ss.; ID., Tracce cit. 8 s., 16, 35 e ivi nt. 92 (con ult. lett.). 68 A. D’ALESSANDRO, Dies geniales (Romae 1522) (più volte ristampata: cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 51 s.; ID., Umanesimo giuridico-antiquario cit. 103; FERRARY, Saggio cit. 510 ss.).
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non poche leggi regie69. Cassini lo dichiarerà esplicitamente “eruditissimo” (135 s.). La
bizzarria è che d’Alessandro, così stimato dall’autore, non compare però tra i nomi di
quanti egli menziona in apertura tra i propri riferimenti in tema di antiche leggi.
Con una qualche sicurezza possiamo anche affermare che Cassini ha direttamente
consultato le opere di alcuni altri giuristi e storici del diritto (o di eruditi o di storici tout
court che si sono tuttavia occupati di storia giuridica): balzano agli occhi nomi come
quelli di Cornelius van Bynkershoek, che si era occupato, tra l’altro, a più riprese, delle
più antiche prerogative del pater sui figli nel diritto romano arcaico70 non di rado in
polemica con Noodt71, come Cassini giustamente annota; quelli di Ulisse Aldrovandi72,
Boulanger73, Brisson74; Cavallari75, Cluverio76, Faber77, Giusto Lipsio78, Giraldo79,
Jacques Godefroy80, Gouthière81, Gronovio82, Grozio83, Guarnacci84, Herbert85,
69 Cfr. CASSINI, 52 nt.1; 135 s.; 149 ss.; 167; 208; 213; 268. 70 C. VAN BYNKERSHOEK (1673 – 1743), Opuscula varii argumenti, his inscriptionibus: I. Praetermissa ad 1.2 D. de orig. Juris. II. De rebus mancipi et nec mancipi. III. De jure occidendi, vendendi, et exponendi liberos apud veteres Romanos. IV. De cultu religionis peregrinae apud veteres Romanos. V. De captatoriis institutionibus. VI. De legatis poenae nomine (Lugduni Batavorum 1719); ID., Curae secundae de jure occidendi et exponendi liberos apud veteres Romanos (Lugduni Batavorum 1723); infine, ID., Opera omnia (Coloniae Allobrogum 1761), in due volumi. Cfr. CASSINI, 141; 200; 205; 210. 71 G. NOODT (1647 – 1725), Observationum libri duo (Lugduni Batavorum 1706 ); ID., Julius Paulus, sive De partu expositione et nece apud veteres (Amstelodami 1710) (editio tertia); ID., Opera omnia (Lugduni Batavorum 1760), in due volumi. Cfr. CASSINI, 200; 205; 210. 72 U. ALDROVANDI (naturalista, 1522 -1605 ?), De piscibus libri quinque (Bononiae 1612- 1614). Cfr. CASSINI, 260. 73 N. A. BOULANGER (1700-1759), L’antiquité dévoilée par ses usages (Amsterdam 1766). L’autore scrisse anche le importanti Recherches sur l’origine du dispotisme oriental (apparso postumo nel 1761), che non sembra ignoto a CASSINI, 77 nt. 2; 122; 330. 74 B. BRISSONIUS (1531 – 1591), De formulis, et sollemnibus populi Romani verbis, Libri octo (Lutetiae 1583), più volte ristampata. Cfr. CASSINI, 77 nt. 2. 75 D. CAVALLARI (1724 – 1781), Istituzioni civili (Napoli 1825 – 1826). Cfr. CASSINI, VI. 76 F. CLUVERIUS (1580 – 1623), Italia antiqua (Lugduni Batavorum 1624) (apparso postumo). Cfr. CASSINI, 35. 77 CASSINI (169; 266; 312) menziona un Faber autore di un’opera indicata semplicemente (ed abbreviata) come Semestr., sempre in relazione a precise leges regiae. L’autore non è di semplice individuazione, ma ritengo trattarsi di Petrus FABER (1540 – 1600), autore di un Petri Fabri regii consiliarii libellorum ordinarii magisteri et in senatu Tholosano praesidis Semestrium liber primus: cui accesserunt eiusdem authoris commentarij, De Iustitia et iure, De origine iuris, De magistrat. Rom. (Lugduni 1590), poi seguiti dal liber secundus (Lugduni 1592), tertius (Lugduni 1595), quartus (Parisiis 1647 e Genevae 1660, postumi) . 78 Cfr. supra nt. 44. Cfr. CASSINI, 267 nt. 2. 79 L. G. GIRALDUS (1479 – 1552), Libelli duo, in quorum altero aenigmata pleraque antiquorum, in altero Pythagorae symbola… clarius facilliusque sunt esplicata (Basileae 1551). Cfr. CASSINI, 212. 80 Cfr. supra nt. 58. Cfr. CASSINI, 207 s. 81 J. GOUTHIÈRE (1575 – 1638), De officiis domus Augustae publicae et privatae libri tres (Parisiis 1628), più volte ristampato. Cfr. CASSINI, 239. 82 Di J. GRONOVIUS (1645 – 1716), conosciamo, oltre ad altre opere meno rilevanti per la materia trattata da Cassini, una Oratio de lege regia del 1678 (su cui v. F. LOMONACO, L’ “Oratio de lege regia” di Johannes Fredericus Gronovius: il mito di Roma tra antiquaria e storia nella cultura olandese del secondo Seicento, in Archivio di Storia della cultura (1. 1988), passim; poi ID., Lex regia. Diritto, filologia e “fides historica” nella cultura politico-filosofica dell’Olanda di fine Seicento [Napoli 1990]) e una Dissertatio de origine Romuli del 1684. Non ho invece trovato traccia del de asylis menzionato da CASSINI, 113.
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Hoffmann86, Kirchmann87, il teologo protestante (circostanza forse ignota a Cassini)
Jean Le Clerc88, Paolo Manuzio89, Merula90, Oisel (chiamato peraltro Orselio)
commentatore di Gaio91, Fulvio Orsini e Antonio Agustin92, Panciroli93, Panvino94,
Perizionio95, Ruperto96, Scaligero97, Scipione Ammirato98, Sigonio99, Temporario100,
Terrasson101, Uhlius102, Van der Muellen103.
Tra i nomi citati (più o meno illustri, più o meno noti), appare anche abbastanza
evidente quanti – tra quelli indicati da Cassini quali studiosi occupatisi di leges regiae –
egli abbia effettivamente e direttamente consultato.
Ma Cassini dimostra di conoscere anche alcuni autori, per così dire, classici,
cimentatisi in opere di natura teorica sulla storia: di Montesquieu e di Machiaveli si è
83 CASSINI (247 e 308) dimostra di conoscere bene, del così illustre autore, il De jure belli ac pacis (1625). 84 M. GUARNACCI (1701 – 1785), Origini italiche (Lucca 1767 – 1772). Cfr. CASSINI, 39 ss. e spec. 40. 85 E. HERBERT (1583 – 1648), De religione gentilium, errorumque apud eos causis (Amstelodami 1663) (postuma), riproposta recentemente in traduzione inglese a Ottawa – Binghamton nel 1996. Cfr. CASSINI, 54. 86 Cfr. supra nt. 55. Cfr. CASSINI, 310. 87 J. KIRCHMANN (1575 – 1643), De funeribus Romanorum libri quatuor (Hamburgi 1605). Cfr. CASSINI, 312. 88 J. LE CLERC (1657 – 1736), Ars critica, in qua ad studia linguarum latinae, graecae, et hebraicae, via munitur, etc. (Amstelodami 1712). Cfr. CASSINI, 127. 89 P. MANUTIUS (1512 – 1574), De civitate Romana (Romae 1585). Cfr. CASSINI, 330 e 346 ss. 90 Cfr. supra nt. 57. Cfr. CASSINI, 251. 91 J. OISELIUS (curatore, tra l’altro, di edizioni di Gellio e Minucio Felice, giurista nonché numismatico, 1631 – 1686), Caii e libris quatuor Institutionum quae supersunt (Lugduni Batavorum 1658). Cfr. CASSINI, 203. 92 Cfr. supra nt. 43. CASSINI, 262 93 G. PANCIROLI (1523 – 1599), Notitia utraque dignitatum cum Orientis, tum Orientis ultra Arcadii, Honoriique tempora (Venetiis 1593), più volte ristampata. Cfr. CASSINI, 239. 94 O. PANVINUS (1529 – 1568), Civitas Romana (opera, in questo caso, citata esplicitamente da CASSINI, 330) contenuta in Reipublicae Romanae commentariorum libri tres (Venetiis 1558). 95 J. PERIZONIUS (1651 – 1715), Dissertationes septem, quarum (…) VI & VII. De primis gentium antiquarum regibus & historia Romuli & Romanae urbis origine, agitur (Lugduni Batavorum 1740). Cfr. CASSINI, 36. 96 C. A. RUPERTUS, Ad enchiridion Pomponii de origine juris eiusque interpretibus, animadversionibus libri III (Jenae 1661). Cfr. CASSINI, 141. 97 J. J. SCALIGER (1540 – 1609). E’ difficile individuare quale opera di Scaligero abbia effettivamente consultato Cassini nell’ambito della vastissima produzione dell’insigne studioso, in assenza di altre indicazioni, se non quella del semplice nome del medesimo Scaligero (CASSINI, 251 e 257),. 98 La citazione di Cassini è tratta, con ogni verosimiglianza, dai Discorsi sopra Cornelio Tacito di S. Ammirato (1531 – 1601), apparso nel 1594. Cfr. CASSINI, 301. 99 C. SIGONIUS (1523 – 1584), De antiquo iure civium Romanorum libri duo (Venetiis 1560): DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 79 s. Cfr. CASSINI, 234. 100 G. TEMPORARIUS (Jean Du Temps, dit Joannes, le père), Cronologicarum demonstrationum libri tres (Francofurti 1596). Cfr. CASSINI, 35. 101 Cfr. supra § 3 e nt. 59. Cassini (121) afferma – come si ricorderà – di riportare testualmente la versione di Terrasson in relazione a molte leggi regie. 102 UHLIUS (M. Veyssière de la Croze, 1661 - 1739), Opuscula ad Historiam Juris (Halae 1735). Cfr. CASSINI, 141. 103 G. VAN DER MUELLEN, In Historiam Pomponii, de origine juris (Utrecht 1691), più volta ristampata anch’essa. Cfr. CASSINI, 38 s.
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già sommariamente detto104; Nicolas-Antoine Boulanger, appena ricordato105, fu
seguace dello stesso Montesquieu. Ma, con disinvoltura, il medesimo Cassini utilizza
anche trattati di impostazione pressoché opposta a quella degli autori ora ricordati:
penso alle citazioni tratte dal Discorso sopra la storia universale (1681) del vescovo
Bossuet106, ispirato alla più rigorosa visione provvidenzialistica della storia107; così
come il nostro autore non esita a confrontarsi con il moralismo cui si ispirano Les
Caractères (1688) di Jean La Bruyère108 e, al contempo, con il sostanziale
agnosticismo, in qualche modo materialistico, che permea il Cours d’études (1775,
èdito anche a Napoli tra il 1785 e il 1822 per opera dell’abate Vincenzo de Muro) di
Condillac, che peraltro, esplicitamente, egli critica109.
L’eclettismo, dunque, ancora una volta, appare la caratteristica essenziale
dell’opera di Cassini dal punto di vista del suo debito culturale. Così come sembra
piuttosto evidente che egli si cimenta nella ricostruzione delle antichissime leggi dei re
più attraverso l’utilizzo di una bibliografia quasi sempre assai risalente nel tempo,
piuttosto che confrontandosi con la dottrina a lui coeva. Manca, lo ricordo ancora una
volta, ogni riferimento a Vico, nonché al densissimo dibattito suscitato dalle sue opere.
Colpisce, allo stesso modo, l’assenza di ogni menzione di quegli studiosi che
avevano affrontato lo studio delle antiche leggi romane con il suo stesso intendimento
“politico”, a dimostrazione – tra l’altro – che l’impostazione del Dritto Papisiano non
era isolata, ma anzi in qualche modo favorita dallo spirito dei tempi (ma di Cassini
ricordiamo anche la passione politica diretta, manifestatati a più riprese, come si
ricorderà, nel corso della sua vita110): ancora una volta, mi limiterò ad un nome per
tutti. Lodovico Valeriani pubblica, a cavallo tra ‘700 e prima metà dell’ ‘800 – quindi
in un periodo immediatamente precedente a quello in cui scrive Cassini – una serie di
monografie dedicate allo studio delle leggi delle XII Tavole in rapporto con la politica e
le forme di governo della Roma arcaica111, ma è del tutto sconosciuto a Cassini.
104 Cfr. supra § 3. 105 Cfr. supra nt. 73. 106 Cfr. CASSINI, 308 107 Il Discorso è una sorta di teodicea, ferocemente anti-illuminista, in cui Dio è principio e fine della storia: cfr. G. GOZZINI, Dalla Weltgeschichte alla World History: percorsi storiografici attorno al concetto di globale (Atti convegno SISSCO) (Lecce 2003) 4. 108 CASSINI, 252 s. 109 CASSINI, 24; 76 s. 110 Cfr. supra § 2. 111 L. VALERIANI, Leggi delle XII Tavole esaminate secondo i principj del diritto pubblico, e lo Stato della Repubblica romana (Roma 1796); ID., Leggi delle Dodici Tavole esaminate secondo i fondamenti e le regole della politica (Milano 1802); ID., Leggi delle Dodici Tavole esaminate secondo i principj e le regole della politica (Lucca 1820), poi èdita ancora a Firenze nel 1839 e a Napoli nel 1859. Cfr. DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 165 s.
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Occupato a pieno nell’esercizio dell’avvocatura, Cassini elabora, dunque, il Dritto
Papisiano studiando testi classici e fonti antiche nel chiuso del suo sostanziale
isolamento scientifico, non entrando nel circuito culturale del tempo e lasciando di sé
una traccia – diremmo oggi – del tutto autoreferenziale, ancorché, come credo sia
apparso chiaro, non disprezzabile.
7. In altra occasione112, mi è capitato di affermare che la completezza è mito
inarrivabile di ogni bibliografo. Ci sarà sempre, infatti, scrivevo allora, un qualche
“ignoto autore […] che, nella solitudine dei propri studi o nell’ambito di circoli letterari
di provincia, ha scritto opere concernenti argomenti anche di rilievo, che tuttavia
sfuggono e sfuggiranno ai repertori bibliografici: per l’estraneità dell’autore rispetto ai
circuiti nazionali o per l’assenza delle sue opere nelle pubbliche biblioteche”.
Dedicandomi ormai da non pochi anni a ricerche giuridico-bibliografiche e alla
ricostruzione della tradizione storiografica concernente il diritto romano più antico, mi
è capitato più volte di imbattermi in tali autori sconosciuti alle bibliografie, anche
quelle più accurate: si tratta, quasi sempre, di contributi assai modesti; talvolta, invece,
accade di trovarsi di fronte a lavori di buon impianto, con spunti – se conosciuti – ancor
oggi non trascurabili. Il Dritto Papisiano di Domenico Cassini appartiene, dunque, a
questa seconda categoria di ricerche non banali e, quindi, degne di essere ricordate.
* * *
E’ tempo di concludere. Tuttavia, in relazione a libri anomali e, in qualche
misura, “scomparsi”, ritengo particolarmente suggestivo chiudere questa breve
disamina segnalando un ulteriore volume. Mi riferisco alla monografia di un altro
autore napoletano: Monsignor Antonio Mirabelli113, Il Jus Papirianum e le Leggi delle
12 Tavole, con note filologiche (Napoli, Stabilimento tipografico dell’Unione, 1877),
anch’essa – per ciò che mi consta – pressoché ignota alla dottrina. Mi è capitato a suo
tempo di rinvenire l’opera in antiquariato a Napoli114 e pertanto di inserirla nella mia
112 DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 18. 113 Antonio Mirabelli, prelato, fu latinista (era docente di Lettere Latine preso l’ateneo di Napoli) e poeta, allievo del “purista” Basilio Puoti, dunque non un giurista: il suo volume sul Jus Papirianum e le XII Tavole è tuttavia un elogio senza incertezze – in qualche occasione decisamente eccessivo – al diritto romano e alla sua tradizione. 114 Libreria antiquaria Grimaldi & C., Napoli, cat. novembre 2000, 84 n. 1270.
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Bibliografia qui più volte citata115. Bene, il volume, raro in sé, è tuttavia ulteriormente
impreziosito da una nota di possesso: “proprietà di Domenico Cassini di Domenico”.
L’evidente omonimia suscita, come ovvio, una forte suggestione, tanto più perché
l’argomento trattato nel volume di Mirabelli è in buona parte coincidente con quello
affrontato da Cassini: il ius Papirianum.
Chi fosse il possessore del libro appena menzionato non è dato sapere con
certezza: non può essere il nostro Cassini, scomparso quarant’anni prima della
pubblicazione del volume di Mirabelli. Ma Cassini è anche morto celibe116, dunque non
può neppure essere un libro di suo figlio. L’autore del Dritto Papisiano aveva tuttavia
due nipoti, figli del fratello Giuseppe, di cui uno si chiamava come lo zio, Domenico, il
quale gli doveva essere particolarmente affezionato, tanto da lasciargli un cospicuo
patrimonio immobiliare in eredità117. Ma non può trattarsi neppure di un volume
appartenuto al nipote, poiché l’esemplare del libro di Mirabelli, ora in esame, era di
proprietà di un Domenico Cassini di Domenico.
Dall’Archivio di Stato di Napoli, al momento, nulla è stato possibile ricavare in
merito ai discendenti collaterali della famiglia del nostro autore: l’interrogativo,
dunque, è destinato per ora a rimanere tale. Non riesco, tuttavia, a sfuggire alla
suggestione – poco più di una mera congettura, in assenza di ulteriori riscontri – che il
nipote omonimo del nostro autore, da lui prediletto, possa aver dato al proprio figlio,
ancora una volta, il nome di Domenico, per onorare, dello zio, la memoria.
La congettura è resa verosimile dall’omonimia, come ovvio, dalle date – che
tornerebbero – e dalla stessa materia trattata sia dall’autore del Dritto Papisiano che da
Mirabelli nel volume sul Jus Papirianum: il pronipote del primo potrebbe essere stato
indotto ad acquistare l’opera di Mirabelli proprio dal desiderio (o dalla curiosità
intellettuale) di possedere un libro che trattava un argomento cui un suo prozio, così
celebrato in famiglia, aveva dedicato tanti anni della propria vita.
Se così fosse, rappresenterebbe suggestione ulteriore la circostanza che oggi i due
volumi – quello di Cassini e quello di Mirabelli appartenuto forse ad un discendente del
precedente autore, entrambi dedicati al ius Papirianum – si trovino infine riuniti nella
biblioteca di chi, del primo di essi, è divenuto, quasi per caso, modesto biografo.
115 DILIBERTO, Bibliografia ragionata cit. 207. 116 VALINOTI LATORRACA, Monografia storica cit. 362. 117 VALINOTI LATORRACA, Monografia storica cit. 362.
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APPENDICE
Le leges regiae nel volume di Domenico Cassini Romolo 1. Non s’intraprenderà alcuna cosa, se prima non si sia esplorata la volontà
degli Dei. 2. Il Re presiederà a’ sacrifizii, e deciderà delle cerimonie che vi sono
osservate. 3. Il Re presiederà nelle cause le più gravi. 4. I soli Patrizii potranno essere ammessi alla dignità del sacerdozio;
d’invigilare su i magistrati, e di giudicare delle cause lievi. 5. Se un patrono è convinto di aver tradito il suo cliente, sarà riguardato
come indegno di vivere: si potrà uccidere impunemente come una vittima sacra agli Dei infernali.
6. Si adorino gli dei adorati da’ nostri maggiori, e non si usino nel loro culto le cerimonie favolose, che la superstizione degli altri popoli vi ha introdotte.
7. Sono proibite a tutt’i cittadini le assemblee notturne, sia per fare preghiere, sia per offrire sacrifizii.
8. Le mura della Città saranno riguardate come sacre, ed inviolabili. 9. Alli forestieri, a’ servi, ed a’ libertini è permesso di esercitare le arti
sedentarie, e sordide. 10. Una donna che sarà stata legittimamente unita ad un uomo col sacrifizio
della confarreazione, entra con esso a parte de’ medesimi diritti. 11. Se una donna maritata, si sia renduta colpevole di adulterio, o di qualche
altro delitto di libertinaggio, il marito sarà il suo giudice, egli stesso potrà punirla, dopo di averne deliberato co’ suoi parenti.
12. Un marito potrà uccidere la moglie, quando si accorgerà di aver bevuto vino.
13. Un padre avrà su i figliuoli il diritto della vita, e della morte, e potrà venderli qualora lo voglia.
14. Se nasce un figlio con qualche deformità considerabile, il padre si affretti ad ucciderlo appena venuto alla luce.
15. Le sacerdotesse di Vesta abbiano cura di mantenere il fuoco sacro, che non deve estinguersi giammai.
16. Se la nuora battesse il suocero, e costui se ne dichiarasse offeso, si poteva sacrificare a’ Dei della famiglia.
Numa 1. Chi avrà ucciso di propria mano il generale dell’armata nemica, e lo avrà
spogliato delle sue armi, le offra, e le consacri a Giove Feretrio, immolandogli un bue, e per ricompensa li siano date 300 libbre di rame. Le seconde spoglie siano collocate nel campo di Marte; collocandole si farà un sacrifizio, col quale s’immolerà un toro, o un capretto, o un porco; e colui, che avrà riportate quelle spoglie su gli uffiziali nemici avrà 200 libbre di rame. Le terze spoglie siano consacrate a Giano
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Quirino, a cui s’immolerà nel medesimo tempo un’ (sic) agnello maschio, e colui, che avrà riportate queste terze spoglie su i soldati dell’armata nemica avrà cento libbre di rame per sua ricompensa. Tutti questi sacrifizii si faranno in forma di espiazioni.
2. Ne’ sacrifizii non si offrano pesci senza squame. Tutti quelli che hanno squame potranno essere offerti, eccetto lo Scaro.
3. Il vino che si userà nelle libazioni, dovrà essere di una vite potata. 4. E’ vietato di spargere il vino sul rogo. 5. Nelle suppliche che si faranno agli Dei per allontanare le disgrazie che
minacciano lo stato, si presentino alcune frutta, ed una focaccia condita col sale
6. Se un uomo sarà colpito dal fuoco del cielo, non si soccorrerà per alzarlo; e se il fulmine lo uccide, non gli si faranno i funerali, ma sarà sotterrano subito nello stesso luogo in cui sarà stato ucciso.
7. Colui che lavorando la terra avrà atterrato le statue degli Dei, che servono a fissare i limiti delle possessioni, sarà immolato ai Dei mani, come anche il bue di cui si sarà servito nel lavoro.
8. Ne’ giorni festivi è sospesa la procedura delle cause: li schiavi l’osservino esattamente non facendo alcun lavoro; e perché ognuno sappia in quali giorni cadono le feste, siano descritte in calendari
9. Una concubina, o di un nubile o di un maritato, non potrà contrarre le nozze, né si accosterà all’altare di Giunone. Se si vuole maritare, non si avvicinerà a questo altare prima di tosare i suoi capelli, e prima d’immolare una pecora.
10. Una donna maritata, incinta, non si sotterrerà prima di averle estratto il feto. Se il marito mancherà di avere eseguita la legge, sarà punito come reo di aver impedito la nascita di un cittadino.
11. Se un padre avrà permesso ad un figlio di contrarre le nozze, allora il padre non potrà vendere il figlio.
12. Chiunque avrà ucciso un uomo a tradimento sarà punito di morte, come omicida; ma se l’avrà ucciso a caso sarà assoluto, immolando un capretto in forma di espiazione.
13. Se indicato il giorno pel giudizio di un affare, sopravverrà qualche legittimo impedimento al giudice, o all’arbitro, o al difensore, bisognerà rimettere la decisione ad un altro giorno.
14. Le cause sulla esistenza de’ contratti, non fatti alla presenza de’ testimonii, debbonsi decidere con giuramento.
15. Sarà perduelle colui, che con animo nemico offende lo Stato, facendo alcuna cosa contraria alla Maestà del Re, del magistrato, o del popolo.
Tullo Ostilio 1. Quei padri che avranno tre figliuoli maschi viventi, potranno farli allevare a
spese della repubblica, sino a che non giungono all’età della pubertà. 2. Gli affari che riguardano gli omicidii saranno giudicati da’ duumviri. Se il
condannato appella dalla loro sentenza al tribunale del popolo, quest’appellazione avrà luogo come legittima. Se la sentenza sarà confermata, il reo sarà appiccato ad un albero, dopo di essere stato battuto nella città, o fori della stessa.