LA MEDIAZIONE DI CRISTO NEL LIBRO IV DI "DE TRINITATE" DI SANT'AGOSTINO
Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Ragusa Fondo Europeo per l'integrazione di...
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Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo
di Ragusa
Fondo Europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi Programma Annuale 2012
Progetto Empowerment Azione 7
Codice Progetto F21H13000570001
UNIONE
EUROPEA
progetto cofinanziato da
IL RUOLO DELLA DONNA NEI PAESI ARABI
Cinzia Merletti (PRO.DO.C.S.)
Quando si affrontano tematiche che riguardano altre culture, bisogna conoscere quelle stesse civiltà,
pena il fallimento di qualsiasi approccio corretto. Un atteggiamento di superiorità culturale, vero o
presunto che sia, genera nell’altro antipatia, diffidenza e opposizione.
Questo riguarda, a maggior ragione, i progetti di cooperazione internazionale, che non possono
prescindere da una lunga fase di apprendimento che mira alla conoscenza ed alla comprensione
della cultura e del luogo in cui si svolgerà il progetto.
L’Occidente, spesso, si è imposto sulle altre popolazioni, sentendosi culturalmente ed economicamente
superiore. In realtà, se solo pensassimo di quanto la civiltà europea sia debitrice nei confronti di quella araba,
capiremmo di avere il dovere ed il buon senso di mostrarci un po’ più umili e, spesso, meno spavaldi. Anche
le tematiche che riguardano le donne, spesso partono da presupposti e punti di riferimento tipicamente
occidentali, che non coincidono con quelli delle donne arabe e che vanno, invece, studiati e considerati. Le
problematiche legate alla posizione, non troppo felice, della donna nella complessa e varia società arabo-
islamica, non sono del tutto dovute all’Islam che, nel suo reale significato, vuol dire sottomissione all’unico
Dio creatore, nel segno dell’amore, della pace e della fratellanza. Grazie ad esso la donna è stata elevata al
rango di figlia di Dio, in un rapporto perfettamente equo rispetto all’uomo e, soprattutto, riscattato rispetto a
quelle che erano le consuetudini pre-islamiche, in cui erano praticamente assenti diritti e tutele per le
donne. Purtroppo, vanno presi in considerazione, ancora oggi a distanza di quasi 14 secoli, quelli che erano i
retaggi culturali degli Arabi dell’Età dell’Ignoranza (ossia, antecedente l’Islam), così come delle popolazioni
che vennero in contatto con loro. Basti pensare all’uso del velo, che ha origini antichissime, che si trovano
documentate sia nel Codice di Hammurabi che nella Legge Assira, di poco posteriore. Sicuramente, quella
società di stampo rigidamente patriarcale, nella quale la donna era così sminuita che la nascita di una
bambina, per i suoi familiari, era cosa talmente vergognosa che, spesso, la si copriva con l’atroce uccisione
della neonata, si trovò in forte contrasto con gli insegnamenti predicati da Maometto. I quali miravano,
invece, ad elevare la donna al rango di essere umano, degno di amore e di rispetto, titolare di diritti e di
doveri, tanto quanto l’uomo.
Già i contemporanei del Profeta non riuscivano a capacitarsi della tanta dolcezza che egli dimostrava, non
solo alle sue mogli ma all’universo femminile in generale. Molti uomini gli furono talmente ostili che fecero
di tutto per ripristinare una condizione di dominio maschile.
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E riportarono un’importante vittoria, dopo una tenace “campagna” di ostilità e agguati organizzati, mirati ad
importunare pesantemente le mogli di Maometto e allargandosi, in breve, a tutte le donne che camminavano
per la strada, al punto che esse rischiavano di essere violentate in qualsiasi momento, fuori dalla loro casa. La
conseguenza infausta fu che si fece ricorso al velo per distinguere le donne rispettabili dalla schiave. Le
prime vennero salvate dalle bramosie sessuali ma condannate alla segregazione progressiva; le seconde
furono, semplicemente, lasciate in pasto alle belve. Maometto si era opposto con tutte le sue forze a questa
soluzione, finché la situazione era diventata estremamente tesa ed insostenibile; egli prevedeva, infatti, le
conseguenze che l’uso del velo avrebbero comportato. Non era certo questo che intendeva, quando predicava
un trattamento equo per il genere femminile! Il velo, dunque, di antichissima tradizione e simbologia
semitico-assirobabilonese, tornò in auge ed aumentò sempre più in grandezza, sino ad avvolgere tutto il
corpo della donna, spesso anche il suo sguardo.
Ancora oggi, nei paesi più rigidi e conservatori, lo sguardo femminile è tabù: MAI, una donna dovrebbe
osare alzare il suo sguardo su un uomo. Sarebbe considerata una violazione gravissima dall’uomo che
percepisce lo sguardo femminile su di sé con una potenza quasi tattile, un attacco alla sua fiera identità
maschile. Allo stesso tempo, il velo è diventato, per moltissime donne islamiche, sia un modo per spiare
senza essere notate, sia l'equivalente di un abito: si sentirebbero come nude, esposte e vulnerabili, se
uscissero da casa senza il loro velo! Per le donne che, invece, hanno deciso di non indossare più il velo
(laddove il proprio paese permette di fare tale scelta), questo ha significato la manifestazione evidente della
volontà di emancipazione rispetto ad un modello di vita non conforme alla propria coscienza e alle proprie
aspirazioni.
Se le donne dei paesi arabo-islamici non godono dei favori che aveva accordato loro il Corano, ciò dipende
dalla erronea interpretazione che gli uomini diedero, e continuano a dare, alle indicazioni in esso contenute.
Spesso, il testo sacro parla esplicitamente ma, altrettanto spesso, occorre conoscere e valutare il contesto in
cui taluni versetti furono rivelati, per comprenderne il reale significato.
Stessa cosa dicasi per i detti del Profeta.
E’ facile, perciò, manipolare delle affermazioni per arrivare a conclusioni addirittura opposte, rispetto al loro
significato reale. In molti casi queste manipolazioni sono state accertate con criteri scientifici da veri esperti
in materia, e risalgono già ai primi tempi dell’Islam; furono dovute a motivi politici, economici e per
assecondare giochi di potere.
Il mondo islamico è tuttora diviso in fazioni che considerano la sharia come un “prodotto” divino e, quindi,
immutabile, o che intendono la stessa sharia come frutto dell’interpretazione umana di una fonte di
rivelazione divina, quindi potenzialmente fallibile proprio perché umana.
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Dall’evoluzione di questo dibattito dipenderà, in larga parte, il futuro dello stesso mondo islamico. Se
prevalesse la tesi a favore della natura umana della sharia, infatti, diventerebbe possibile cambiare quelle
leggi a sfavore delle donne, tornando ad una corretta interpretazione della rivelazione coranica e della
Sunna. Il genere femminile riacquisterebbe valore e dignità ma l’intera società ne trarrebbe giovamento, dal
momento che le donne sono proprio quelle che trasmettono norme e valori sociali, attraverso l’educazione
dei propri figli.
Non va dimenticato che le donne sono, allo stesso tempo, vittime e carnefici, quando si mostrano rigide e
tenaci nel dare continuamente vita a modelli comportamentali opprimenti ma, talmente assimilati che, vuoi
per convinzione, vuoi per paura delle temibili ritorsioni, esse stesse perpetuano e trasmettono di generazione
in generazione. In ambienti rurali, soprattutto, dove il livello d’istruzione è, peraltro, bassissimo, ci si trova
davanti a donne e a società molto chiuse e conservatrici. Nelle città la situazione è più varia, anche perché
l’influsso dell’Occidente si è fatto sentire con più vigore, presentando modelli di vita, alle donne, che hanno
sconvolto quelli che erano considerati gli equilibri sociali. Se, da una parte, si è verificato un notevole
aumento della partecipazione femminile nell’ambito dell’istruzione e del lavoro, dall’altra queste donne
vengono guardate, spesso persino all’interno della propria famiglia, come elementi fuorviati e destabilizzanti
rispetto a quello che è considerato il giusto ordine sociale islamico.
Comunque, non si deve mai dimenticare che la umma, in realtà, è un insieme di popolazioni
accomunate sì dalla stessa fede, ma pur sempre legate ciascuna ai propri retaggi culturali di antica
data, che ancora oggi determinano variazioni nel modo di intendere e di vivere la vita stessa.
La situazione della donna in Marocco, ad esempio, è ben diversa da quella esistente in Algeria, in
Tunisia, o in Arabia Saudita.
In breve, vediamo ora cosa dice il Corano, a proposito del ruolo della donna nella società. Premesso che
uomini e donne sono uguali agli occhi di Allah, che hanno gli stessi doveri religiosi e morali così come le
stesse responsabilità e la stessa ricompensa nell’al di là, essi hanno comunque ruoli ben differenziati
all’interno della famiglia, considerata il nucleo fondamentale della società. Il Corano ha riconosciuto alle
donne una lunga serie di diritti, a cominciare da quello alla nascita e alla vita che, come ho accennato prima,
veniva loro spesso negato dalle barbare usanze preislamiche. Ma, nonostante le raccomandazioni del Corano
ad accogliere le bambine come stesse figlie di Allah, a crescerle con amore ed equità rispetto ai loro fratelli,
a riaccoglierle amorevolmente in casa dopo eventuali ripudi o divorzi, ancora nella nostra epoca capita che la
nascita di una figlia femmina, venga considerata una sventura.
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Grazie all’Islam, venne anche sancito il diritto delle donne a godere dell’eredità paterna e ad avere, in
qualunque situazione della vita, le “spalle coperte” dal punto di vista economico, potendo contare
sul possesso personale di beni e denaro. Il marito è quello che ha il dovere di provvedere a sostentamento
della sua famiglia, mentre il ruolo della donna è prioritariamente legato all’essere madre, sposa e “motore
primo”, se così si può dire, della vita affettiva della famiglia stessa. La sua funzione è importantissima, tanto
che spesso Maometto diceva: “Il Paradiso si stende ai piedi delle madri”.
Il modello presentato dall’Occidente e che, purtroppo, viene appreso spesso tramite fonti non sempre
autorevoli come i mass-media, presenta donne estremamente disinibite ed effimere, accanto a lavoratrici in
carriera con le loro nevrosi e la loro difficoltà nel coniugare il lavoro con le esigenze della famiglia. Tutto
questo si trova in stridente contrasto con la concezione femminile nell’ambito del mondo islamico in cui, è
bene ripeterlo, il ruolo della donna è soprattutto legato al suo essere moglie e madre. Ciò non vuol dire, a
priori, che la donna musulmana non possa lavorare ma, la condizione necessaria perché questo possa
avvenire, è che il lavoro non sminuisca la sua più importante funzione di centro vitale della famiglia.
Alcune affermazioni del Corano, spesso fraintese e non solo dagli occidentali, riguardano l’apparente
inferiorità della donna rispetto all’uomo. In realtà, sono frasi che si spiegano se si tiene conto della
differenziazione dei ruoli, legati al genere maschile e femminile.
Quando si dice che “la donna sta sempre un gradino sotto l’uomo”, o che la parte di eredità spettante al
maschio deve essere il doppio di quella riservata alla femmina, ciò si spiega tenendo presente il dovere
dell’uomo di mantenere e sostenere economicamente la donna, in qualunque circostanza.
L’uomo, infatti, deve avere di più perché è colui che spende, mentre la donna può disporre come vuole dei
propri beni e non è tenuta a partecipare alle spese di famiglia. Secondo questa visione, quindi, la donna non è
sottomessa bensì protetta e libera di dedicarsi interamente alla sua famiglia, senza l’assillo di preoccupazioni
di natura economica. Certo, questo senso di protezione ha fatto sì che le donne siano state sempre soggette
alla tutela di un uomo, che sia il padre, un fratello o il marito. Il problema è che, dalla tutela, si passa
facilmente al condizionamento. Per dovere di cronaca, va detto che, recentemente, l’accesso della donna al
lavoro e quindi ad uno stipendio proprio, ha fatto aumentare il numero dei divorzi chiesti dalle donne,
proprio perché in grado di provvedere a se stesse anche in tali situazioni, altrimenti piuttosto problematiche.
Il Corano tutelò ancora la donna opponendosi alla pratica dei matrimoni precoci e combinati.
Il consenso dell’eventuale sposa divenne necessario e determinante per il conseguimento del matrimonio ma
nella prassi, ancora oggi, si riesce ad aggirare queste normative, con tutte le conseguenze che possiamo
immaginare.
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Il matrimonio è stato concepito, all’interno dell’Islam, come un’innovazione sociale dai contenuti profondi e
dalle ripercussioni morali, economiche e giuridiche di enorme portata. La moglie, infatti, è un essere caro a
Dio, in quanto donna, e va trattata con equità e con dolcezza, con tolleranza, premura e persino compassione
verso quelle fasi particolari del suo stato, dovute alle mestruazioni, alla gravidanza e al parto.
Va precisato, a tal proposito, che questi presunti stati di impurità femminile, per via dei quali ancora oggi
vietano l’ingresso alle donne in molte moschee, non devono essere trattati con pregiudizio. Il Corano
insegna, invece, che sono semplicemente periodi in cui è bene astenersi dall’avere rapporti sessuali completi,
dal momento che potrebbero facilmente far insorgere infezioni o causare escoriazioni interne alla donna.
Maometto dimostrò ampiamente che si potevano avere delle intimità con le donne durante la mestruazione e,
addirittura, si faceva aiutare da loro a portare degli oggetti dentro la moschea, proprio a dimostrare
pubblicamente quanto fossero infondati i pregiudizi sull’impurità femminile.
Il Corano, inoltre, aborrisce ogni forma di violenza nei confronti della moglie, a vantaggio del dialogo e della
comprensione reciproca.
La poliginia, tollerata perché retaggio culturale troppo difficile da sradicare, fu ostacolata, però, proprio dal
concetto di trattamento equo delle mogli e dei rispettivi figli, privilegiando così il matrimonio monogamo.
Va anche considerato che, nell’epoca in cui nacque l’Islam, essendo difficilissima la condizione di donne
sole o rimaste vedove per via delle numerose guerre, il matrimonio poligamo dava la possibilità di accogliere
in casa un buon numero di queste donne a rischio, salvandole dalla precarietà della loro condizione. Per la
maggior parte, i matrimoni islamici sono monogami e, per tutelarsi dall’eventualità di dividere il marito con
altre donne, la moglie può, all’atto della stipulazione del contratto di matrimonio, apporre una clausola che
vieta al marito di sposare altre donne. Un’altra clausola, ad esempio, può permettere alla donna di lavorare,
con l’accordo del marito. E’ bene dire che, se la donna non può sposare più uomini, questo è dovuto al
problema della paternità dei figli che nascerebbero da tale forma matrimoniale. Anche il riconoscimento e
l’importanza data alla paternità, fu un concetto nuovo portato dall’Islam, in un mondo in cui vigeva la più
grande promiscuità nei matrimoni, dove i figli potevano essere venduti come schiavi e, anzi, spesso si
favoriva la prostituzione delle proprie donne, al fine di far loro procreare figli da vendere. E’ evidente, alla
luce di questi fatti, come Maometto e l’Islam abbiano “pestato i piedi” a molti uomini, scatenando forti
resistenze di fronte ai modelli di vita proposti dalla nuova religione e dal suo Profeta.
Per consentire, dunque, un migliore dialogo con il mondo arabo-musulmano, bisognerenne instaurare un fitto
e proficuo dialogo fra le due parti, islamica ed occidentale, mirato al superamento di pregiudizi reciproci e di
lunga data, causati spesso da campagne denigratorie e malintesi mai chiariti, e mettendo a nudo i conflitti
interni e le problematiche legate a ciascuno dei due modelli di vita. L’occidente è percepito come un
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invasore e così anche forme di aiuto, fatte in buona fede, vengono sentite come pericolose intrusioni. La
posizione della donna, in diversi paesi, è peggiorata negli ultimi decenni, proprio a causa della chiusura e
dell’opposizione di molti musulmani alla pressione occidentale.
Occorre conoscere e capire, perciò, come un popolo vive la realtà, quanto è forte la sua identità e
quali sono i suoi ideali.
Questo lavoro, lungo e faticoso, deve essere portato avanti con molta pazienza, non solo a livello
istituzionale ma anche in mezzo alla gente comune, mettendo in campo Associazioni e ONG competenti e
promuovendo continuamente momenti di incontro “genuino” fra donne musulmane ed occidentali.
E’ un lavoro che si può portare avanti anche all’interno delle scuole, soprattutto in quelle in cui sono presenti
alunne ed alunni islamici, interpellandoli quali soggetti apportatori di una precisa identità e ricchezza
culturale.
Solo riconoscendo l’identità dell’altro, infatti, si può intraprendere uno scambio e, l’arricchimento,
non potrà che essere reciproco!
A margine di questo intervento si può comprendere quanto spesso le donne, soprattutto quelle provenienti
non solo dai paesi arabi più conservatori, ma anche da quelli più moderni e aperti al dialogo con l’occidente,
siano oggetto di miti e false credenze che abbiamo nei confronti del mondo arabo- musulmano.
La prima questione da affrontare sul mondo arabo femminile è quella relativa al velo. Nel mondo arabo
femminile non esiste il velo inteso come imposizione ad hoc, ma esistono diversi tipi di coperture, ognuna
con un nome un significato diverso, che spesso non hanno anche una funzione protettiva per la donna stessa.
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Hijāb
Il hijāb (arabo: حجاب) è la copertura più conosciuta ed utilizzata nel mondo arabo. Copre la testa, lasciando
contemporaneamente, il viso scoperto. Dai paesi del Maghreb a quelli del Mashreq, questo capo
d’abbigliamento è indossato dalle donne per diversi motivi:
- Il hijāb è innanzitutto un segno non omologazione alla globalizzazione;
- Il hijāb viene indicato nel Corano( Sura XXXIII, versetto 59 “59
O Profeta! Di’ alle tue spose e alle
tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli; questo sarà più atto a
distinguerle dalle altre e a che non vengano offese”) come un modo per proteggersi dagli sguardi di
altri uomini e dai desideri degli stessi;
- Il hijāb, sia dalle ragazze che dalle donne, non viene visto come un imposizione, ma anzi viene visto
come una libera scelta, come un segno per portare avanti le proprie identità culturale
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Shayla
La shayla (arabo: è un capo di vestiario simile all’hijāb utilizzato dalle donne residenti nel ( شيل
Golfo e dalle araba non musulmane residenti in Europa e negli Stati Uniti. Esso non è altro che un
pezzo di stoffa rettangolare, fatto girare attorno al collo e poggiato su una spalla, che lascia scoperto
il viso e, in parte, anche i capelli.
Al-Amira
La al-amira (arabo: ال أمر) è un capo composto da due veli: il velo più grande lascia scoperto il viso e il velo
più piccolo copre i capelli e la fronte.
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Khimar
Il khimār (arabo: كمار) è un capo velo lungo che copre tutto il corpo e lascia scoperto il viso e le mani. Esso è
utilizzato maggiormente nelle società più ortodosse e da tutte le arabe musulmane –indipendentemente dalla
loro provienienza - per il pellegrinaggio alla Mecca.
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Niqab
Il niqāb (arabo: نقاب) è un capo di vestiario composto da due parti ben distinte: sul capo è posto, poco al di
sotto degli occhi, un velo di tessuto leggero che consenta la respirazione della donna e , sopra questo velo
leggero, è posto un velo più pesante e più lungo che copre i capelli, il busto – in parte - , e che è legato ai
fianchi. Questo capo di vestiario si può trovare maggiormente nei paesi più ortodossi e nelle società più
povere.
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Chador e Burqa
A questi capi di vestiario, spesso, si accostano, erroneamente, altri due capi non tipici delle società arabe:
il chador e il burqa.
Il chador (farsi: ادر چ ) è un capo di vestiario tipico della società iraniana. Esso iniziò a venire maggiormente
utilizzato durante la rivoluzione dell’Ayatollah Khomeyni, il quale lo impose a tutte le donne iraniane,
concedendo però alle stesse maggiori libertà rispetto al periodi precedenti ( diritto e libertà di istruzione,
diritto e libertà di uscire senza il permesso paterno, diritto e libertà di lavoro).
Il burqa (urdu: بُرقع ) è un capo di vestiario tipico dell’Afghanistan. Esso può essere di due tipi: il primo tipo
è un velo che copre la testa, le spalle e il busto è ha una finestrella all’altezza degli occhi che permette di
vedere. Il secondo tipo è meglio conosciuto come burqa completo o afghano. Esso, solitamente nero o blu, è
un capo di vestiario che copre tutto il corpo e permette di vedere solo grazie ad una rete posta all’altezza
degli occhi.