MIcrozonazione Sismica di Livello 1 di Andria

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1. Introduzione Pag. 1

2. Analisi della pericolosità sismica (CNR) Pag. 3

2.1 Sismicità storica Pag. 3

2.2 Zonazione sismogenetica Pag. 4

2.3 Dati di pericolosità sismica Pag. 5

3. Assetto geologico, morfologico e idrogeologico Pag. 9

4. Dati geotecnici e geofisici Pag. 23

5. Modello di sottosuolo Pag. 24

6. Elaborati cartografici Pag. 26

6.1 Carta delle indagini Pag. 26

6.2 Carta geologico – tecnica per la microzonazione sismica Pag. 27

6.3 Carta delle microzone Omogenee in prospettiva sismica Pag. 29

6.3.1 Zone stabili suscettibili di amplificazioni locali Pag. 29

6.3.2 Zone instabili e aree con cavità sepolte Pag. 32

6.4 Mappa delle pendenze Pag. 35

7. Individuazione delle aree per le quali sono necessari ulteriori livelli di approfondimenti Pag. 36

8. Bibliografia Pag. 37

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1. Introduzione

Come previsto dagli indirizzi e criteri di microzonazione sismica (Gruppo di lavoro ICMS, 2008 e successive

modifiche ed integrazioni) relativi al I° livello di studio, questo elaborato contribuisce alla valutazione della

risposta sismica locale attraverso l’analisi del modello geologico di sottosuolo di riferimento presentato nei

paragrafi successivi.

I dati relativi alla sismicità storica, alla pericolosità sismica di base e all’instabilità gravitativa sono stati tratti

dalle banche dati indicate nella Tabella 1-1.

Tabella 1-1. Fonti integrative da cui sono stati compilati i dati di base per la stesura del presente studio.

Tema Fonte Web GIS o banca dati

Catalogo storico degli eventi

sismici

Catalogo Parametrico dei

Terremoti Italiani http://emidius.mi.ingv.it/CPTI04

Osservazioni macrosismiche

Database delle osservazioni

macrosismiche del terremoti

italiani

http://emidius.mi.ingv.it/DBMI04

Pericolosità sismica di base INGV - Progetto S1 http://esse1.mi.ingv.it/)

Fenomeni gravitativi e processi

erosivi

Progetto IFFI/PAI-Autorità di

Bacino della Puglia

www.mais.sinanet.apat.it/cartaneti

ffi/;

http://adbpuglia.dyndns.org/gis/ma

p_default.phtml

Accanto ai possibili effetti di sito (si veda il paragrafo 0), la sismicità dell’area investigata viene presentata

nel paragrafo 2 integrando i dati di sismicità storica (paragrafo 0) con l’approccio sismogenetico (Meletti &

Valensise, 2004) e quello che definisce la pericolosità sismica di una data area su base probabilitstica (si

veda Tabella 1-1 per le fonti). Il primo di questi approcci prevede il riconoscimento di faglie e zone

sismogenetiche (settori omogenei interessati da faglie strutturalmente e cinematicamente affini) mentre il

secondo è volto alla definizione della probabilità che, in un certo lasso temporale, un sito sia interessato da

uno scuotimento di un data entità.

Riguardo alla pericolosità sismica di base, con l'Ordinanza PCM 3274/2003 (GU n.108 dell'8 maggio 2003) si

è avviato in Italia un processo per la usa stima secondo metodi ed approcci che rispecchiano standards

internazionali. Dalla suddetta ordinanza è scaturito lo studio dell'Istituto Nazionale di Geofisica e

Vulcanologia (INGV qui di seguito) che ha prodotto nel 2004 una mappa di pericolosità sismica (MPS04 qui

di seguito) per l’intero territorio nazionale che risultava diviso in quattro zone con pericolosità sismica

omogenea. In questa mappa la pericolosità sismica è espressa come valore di accelerazione orizzontale

massima attesa (agMAX, adimensionale, pari al rapporto tra l’accelerazione massima del suolo e

l’accelerazione di gravità g), riferita ad un sito rigido (ovvero ad un substrato avente Vs>800m/s, altrimenti

detto bedrock sismico) con topografia pianeggiante, avente una probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni.

Con l'emanazione dell'Ordinanza PCM 3519/2006 (Gazzetta Ufficiale. n.105 dell'11 maggio 2006) la mappa

MPS04 è diventata ufficialmente l’elaborato di riferimento per il territorio nazionale e alle Regioni e Province

Autonome è stato affidato il compito di provvedere all’eventuale aggiornamento dei valori di accelerazione

massima proposta per ciascun comune e quindi delle soglie che definiscono il limite tra una zona sismica e

un'altra.

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Per le Regione Puglia, l’aggiornamento è stato reso effettivo con la Delibera della Giunta Regionale n. 153

del 2.03.2004.

Successivamente, nell'ambito del progetto INGV-DPC S1 (2005-2007, http://esse1.mi.ingv.it/) e sulla base

dell’ impianto metodologico e dei dati di input della mappa MPS04, sono state realizzate mappe di

pericolosità sismica e dell’ accelerazione spettrali per diverse probabilità di eccedenza in 50 anni utilizzando

una griglia di passo pari a 0,05°(http://zonesismiche.mi.ingv.it/elaborazioni; Meletti et al., 2007). Su i punti

della medesima griglia è stata anche condotta la disaggregazione della pericolosità sismica (McGuire, 1995;

Bazzurro & Cornell, 1999), procedura che consente di valutare i contributi di diverse sorgenti sismiche e

quindi di definire il terremoto tipo, detto terremoto scenario ed inteso come evento di magnitudo M che ha

luogo a distanza R, che maggiormente contribuisce alla pericolosità sismica di un sito specifico (Spallarossa

& Barani, 2007). Questo approccio ha permesso di rendere disponibile (dati consultabili sul sito internet

http://esse1-gis.mi.ingv.it) un valutazione dell’azione sismica di riferimento per la progettazione per tutti i

16852 punti della suddetta griglia superando così la suddivisione del territorio in un numero finito di zone con

pericolosità omogenea.

Infine, con le nuove Norme Tecniche delle Costruzioni (NTC08) emanate dal Consiglio Superiore dei Lavori

Pubblici (D.M. del 14 gennaio 2008 comparso sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 04/02/2008), è prescritto che

la definizione dell'azione sismica di riferimento si basi sui dati diffusi dal Progetto INGV-DPC S1. In

particolare, il valore di agMAX con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni è adottato per la verifica allo

stato limite ultimo di strutture ordinarie e costituisce quindi un parametro di comune utilizzo per caratterizzare

la sismicità di un area.

Qui di seguito sono discusse la sismicità storica (paragrafo 0), le zone sismogenetiche (paragrafo 0), i dati di

pericolosità sismica di base (paragrafo 0) in relazione al sito specifico e descritte le microzone omogenee in

prospettiva sismica (paragrafo 6-0). Verranno inoltre evidenziati gli aspetti del modello geologico di

riferimento che richiedono un ulteriore approfondimento anche attraverso l’acquisizione di nuovi dati

geognostici, volto a meglio definire le microzone stesse.

La sintesi cartografica dei risultati di questo studio è rappresentata dalle mappa delle microzonee omogenee

in prospettiva sismica (MOPS) allegata al presente studio.

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2. Analisi della pericolosità simica

2.1 Sismicità storica

La sismicità storica del Comune di Altamura è stata desunta dal database delle osservazioni macrosismiche

utilizzate per la compilazione del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani

(http://emidius.mi.ingv.it/CPTI04; GdL CPTI, 2004; Stucchi et al., 2007).

Da tale catalogo per Altamura risultano intensità di sito (Is, in gradi secondo la scala Mercalli-Cancani-

Siedberg, MCS) forti, sebbene inferiori a Is=6°, dovuti a terremoti che hanno raggiunto intensità epicentrali

comprese tra il 6° e 11° MCS e magnitudo del momento sismico (Mw) stimate comprese tra 4.90 e 7.06.

Figura 2-1. Grafico delle intensità di sito (Is) risentite nel comune di Altamura

In particolare, tra i terremoti storici con maggior risentimento nell’area di Altamura si segnalano gli eventi

della Basilicata del 1857 (Is=6°) dell’Irpinia del 1930 (Is=6°), quelli del 1910 e 1980 (Is max=5°) con

epicentro tra Irpinia e Basilicata, e del potentino del 1990-1991 (Is=5) (Tabella 2-1e Figura 2-1).

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Tabella 2-1. Storia degli eventi sismici di maggior intensità al sito per il Comune di Altamura. Is= intensità di sito in MCS; Np= numero di osservazioni; Ix intensità massima in MCS; Mw= magnitudo. Dal Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (http://emidius.mi.ingv.it/CPTI04).

Come si vedrà nel paragrafo che segue, i terremoti sopra menzionati sono stati ricondotti nella letteratura

perlopiù alle zone sismogenetiche 927 e 924 della zonazione sismogenetica ZS9 di Meletti & Valensise

(2004)

2.2 Zonazione sismo genetica

Nella zonazione sismogenetica ZS9 (Figura 2-2) proposta da Meletti & Valensise (2004), Altamura è posta

tra le zone 925 e 926 (che corrono attraverso la Puglia centrale e la Basilicata) e a diverse decine di

chilometri dalla zona 924 (che corre attraverso il Gargano) e 927-930 (che attraversano la Campania, la

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Basilicata occidentale e la Calabria), dove le prime tre sono orientate circa E-W e le ultime sono circa

parallele alla catena appenninica ed alla sua prosecuzione nell’arco calabro.

Alle zone 924 e 926 sono riconducibili rispettivamente i sismi del Gargano (1995, Is 3°) e quelli del Potentino

(1990-1991, Is 5°) (Fracassi et al., 2003) mentre alle zone di pertinenza appenninica 927-930 sono stati

attribuiti i sismi del 1905, 1910, 1930 e 1980 con Is massima pari al 5° ed epicentri localizzati tra Irpina e

Basilicata.

Per le zone 924-926 ad orientazione E-W, dati strumentali relativi ai sismi del potentino del 1990-1991 (vedi

Tabella 2-1) suggeriscono sismicità relativamente profonda compresa tra 10 e 20 km (Meletti & Valensise,

2004).

Figura 2-2. La zonazione sismogenetica ZS9 proposta da Meletti & Valensise (2004).

2.3 Dati di pericolosità sismica

Secondo la pericolosità sismica di base proposta nella mappa MPS04, espressa in termini di accelerazione

massima al suolo (agMAX) con probabilità di eccedenza del 10% in 50, il territorio del comune di Altamura

ricade nella Zona 3 (0,05 < agMAX ≤ 0,15), ovvero in una zona in cui possono verificarsi terremoti di

modesta entità. In particolare, per il punto del grid del progetto INGV-DPC S1 più vicino l’abitato di Altamura

(punto 33909), agMAX è pari a 0,1011 (Figura 2-3a).

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Figura 2-3. a) Mappa di pericolosità sismica espressa come valore di agMAX con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni e b) grafico della variabilità di agMAX (valori del 16°, 50° e 84° percentile) per tempi di ritorno tra 30 e 2475 anni espressi come frequenza annuale di superamento (da http://esse1.mi.ingv.it/).

L’andamento di agMAX (50° percentile) in funzione della frequenza annuale di superamento per il territorio

del Comune di Altamura è mostrato nel grafico b) di Figura 2-3 (linea rossa) che evidenzia come

l’accelerazione cresce da un minimo di 0.0346 ad un massimo di 0.1710 passando da un tempo di ritorno

(TR) di 30 anni ad uno di 2475 anni. Come visto prima, in corrispondenza di TR =475 anni (frequenza

annuale di superamento pari a 0.0021, equivalente ad una probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni), si

ha invece a(g) =0. 1011.

Gli spettri di risposta ad hazard uniforme, ovvero le cui ordinate spettrali sono caratterizzate da una stessa

probabilità di superamento, sono invece riportati in Figura 2-4 per differenti valori di TR (30-2475 anni). Al

variare di TR il valore di picco dell’accelerazione spettrale cresce da 0,0909 g (TR = 30 anni) a 0,4918 g (TR

= 2475 anni).

Figura 2-4. Grafico di spettro di riposta a pericolosità uniforme per differenti periodi di ritorno espressi in legenda con la percentuale di superamento in 50 anni (da http://esse1.mi.ingv.it/).

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Secondo quanto prescritto dalle normative sismiche e tecniche nazionali (NTC2008) ed internazionali

(Eurocodice 8) e supportato dalla letteratura scientifica (si veda ad es. Pagliaroli e Lanzo, 2008) gli

accelerogrammi naturali utilizzati come input nelle analisi numeriche della risposta sismica locale e quindi

per la verifica sismica di sistemi geotecnici e strutturali (ovvero per studi di microzonazione di livello III) sono

scelti sulla base della compatibilità del loro spettro con uno spettro probabilistico (indicato dalla normativa)

corrispondente al tempo di ritorno prescelto per la verifica stessa. Questi ultimi derivano da studi che

integrano i contributi delle differenti zone sismogenetiche simultaneamente attive nell’intorno dell’area

considerata (si veda il paragrafo 0).

Dato che gli accelerogrammi naturali rappresentano registrazioni di eventi sismici deterministici caratterizzati

da ben definiti valori di magnitudo e distanza tra la sorgente ed in sito sottoposto a verifica, appurata la

spettro-compatibilità dell’accelerogramma naturale da utilizzare per la simulazione numerica è necessario

associare allo spettro di progetto uno o più scenari di terremoto deterministici.

Al tal fine è utile prendere in considerazione l’ubicazione delle sorgenti sismogenetiche attive discusse

brevemente nel paragrafo 0 e tratti dalla zonazione sismogenetica ZS9 (Meletti & Valensise, 2004) e gli studi

di disaggregazione prodotti dall’INGV nell’ambito del progetto S1 che individuano i valori della coppia

magnitudo-distanza che maggiormente contribuiscono, in senso probabilistico, al valore di agMAX o di una

prefissata accelerazione spettrale (Bazzurro e Cornell, 1999). I contributi percentuali alla pericolosità,

espressa in termini di agMAX, delle diverse coppie magnitudo-distanza (M-d) sono riportati in Figura 2-5 per

quattro valori del tempo di ritorno (TR, 200, 475, 1000 e 2500 anni).

Dai grafici di disaggregazione di Figura 2-5 si può osservare come, a prescindere da TR, il maggior

contributo alla pericolosità è fornito da sismi con magnitudo medio-basse aventi sorgenti poste a distanze

comprese tra i 10 ed i 30 Km e che al crescere di TR aumenti il contributo di sismi di magnitudo maggiore

dovuti a sorgenti sempre più prossime e comprese entro i 20 km. Questi scenari di riferimento, in parziale

accordo con i dati di sismicità storica pocanzi presentati, sarebbero perlopiù da ricondurre alle zone

sismogenetiche più prossime, ovvero alle zone 925-926 e 927-930 di ZS9 (Meletti & Valensise, 2004).

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Figura 2-5. Grafici di disaggregazione della pericolosità sismica, espressa come probabilità di superamento di agMAX, che mostrano il contributo percentuale di coppie Magnitudo-Distanza per tempi di ritorno (TR) di (da sinistra a destra e

dall’alto in basso) 200, 475, 1000, e 2475 anni (da http://esse1.mi.ingv.it/).

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3. Assetto geologico, morfologico e idrogeologico Il territorio comunale di Altamura ricade geograficamente nella zona dell’altopiano murgiano che

geologicamente costituisce una porzione di avampaese del sistema orogenico sudappenninico.

L’Avampaese apulo è caratterizzato in superficie da grandi aree carsiche (Boenzi & Caldara, 1991) per la

presenza in affioramento di rocce calcaree mesozoiche la cui successione, spessa alcuni chilometri, è la

testimonianza dell’evoluzione di un’ampia piattaforma carbonatica tetidea attiva fino alla fine del Cretaceo

(Piattaforma Apula, Ricchetti, 1975). La potente successione di carbonati di piattaforma mostra dalla base al

tetto, per uno spessore affiorante di circa 3000 m (Ricchetti, 1975), caratteri litologici piuttosto uniformi, con

strati e banchi di calcari prevalentemente micritici alternati a calcari dolomitici e a dolomie (Valduga, 1965;

Ricchetti, 1975). La fase di sedimentazione carbonatica si è interrotta alla fine del Cretacico ed è stata

seguita da una prolungata fase di continentalità durante cui si è avuto il modellamento dei principali caratteri

morfologici delle Murge per effetto combinato tra fasi tettoniche legate alla tettogenesi appenninico-dinarica

e processi erosivi (Pieri, 1980; Ricchetti et al., 1988). Le fasi tettoniche che hanno interessato la piattaforma

ne hanno determinano la sua strutturazione in un’ampia antiforme, con asse diretto ONO-ESE (Ricchetti et

al., 1988), ritagliata da una serie di faglie a prevalente orientazione ONO-ESE e O-E (Pieri, 1980). Questa

strutturazione si rispecchia nei principali elementi geografici che caratterizzano l’avampaese e cioè nei tre

alti strutturali a differente elevazione (il Promontorio del Gargano che raggiunge quote di circa 1000 metri,

l’Altopiano delle Murge che raggiunge circa i 700 metri, e le Serre Salentine con elevazioni fino a 200 metri),

ed in alcune depressioni tettoniche interposte fra gli alti (Graben dell’Ofanto e Soglia Messapica-depressione

di Brindisi) e governate principalmente dalle faglie orientate circa O-E (fig.3-1A).

L'alto strutturale delle Murge, allungato in senso NW-SE, immerge a SW verso l'Appennino e a NE verso la

depressione mesoadriatica tramite una serie di blocchi disposti a gradinata (Ricchetti, 1980). Quindi i fianchi

dell'alto strutturale delle Murge hanno la loro naturale prosecuzione sia verso oriente, verso il Mare Adriatico,

sia verso occidente nella zona nota geograficamente come Fossa Premurgiana e geologicamente come

Fossa bradanica (Pieri et al., 1996). La porzione esterna dell'avanfossa, cioè la parte della Fossa bradanica

prossima alle Murge, si sviluppa quindi sui blocchi ribassati delle Murge stesse, ricoperti da depositi prima

carbonatici (Calcarenite di Gravina, localmente poggianti su terre rosse) e successivamente argillosi (Argille

subappennine) e infine sabbioso-ghiaiosi (depositi di chiusura della Fossa bradanica e depositi marini

terrazzati) (Iannone & Pieri, 1982; Ciaranfi et al., 1988) (fig. 3-1B).

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Fig. 3-1 - A) Carta geologica schematica della regione pugliese. L'avampaese apulo corrisponde praticamente alla

regione pugliese, fatta eccezione per la Daunia e il Tavoliere (da Pieri et al., 1997). B) Sezione geologica schematica dell'area delle Murge e del bordo della Fossa bradanica (da Tropeano & Sabato, 2000).

Dal punto di vista morfologico il territorio delle Murge corrisponde ad un altopiano carbonatico terrazzato e

allungato in direzione ONO-ESE, ben delimitato a SO e a NO rispettivamente dalla Fossa Bradanica e dalla

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valle dell’Ofanto. Meno evidente è la delimitazione in direzione NE, per la presenza della linea di costa

adriatica, e SE, in corrispondenza della “Soglia messapica”.

Gli elementi morfologici di maggior rilievo si sviluppano con direttrici ONO-ESE oppure in direzione E-O. I

caratteri strutturali sono il fattore principale che delinea il paesaggio murgiano tant’è che i piccoli rilievi e le

depressioni coincidono con strutture tettoniche di tipo horst e graben (Iannone & Pieri, 1982).

Il motivo morfologico che caratterizza l’intera area murgiana è la presenza di una serie di ripiani allungati

parallelamente alla costa e posti a quote via via più basse procedendo verso il mare, delimitati da modeste

scarpate. I ripiani e le scarpate rappresentano una serie di terrazzi marini dovuti al sollevamento regionale e

alle variazioni glacio-eustatiche del livello del mare avvenute a partire dal Pleistocene medio (Mastronuzzi &

Sansò, 2002). È possibile individuare una struttura a gradinata che parte da circa 400 m e arriva al livello dal

mare. Ogni terrazzo è individuato da una superficie pianeggiante, sul quale possono essere presenti o meno

dei depositi, e da un gradino inciso nei depositi quaternari o nel substrato calcareo. I gradini che delimitano i

terrazzi sono stati interpretati come antiche linee di costa (Ciaranfi et al. 1988).

L’area costiera adriatica è rappresentata per lunghi tratti da una costa rocciosa, frastagliata, con falesie alte

in media 7-8 metri (anche fino a 20 metri, a Polignano). Alla loro base sono spesso presenti ristrette spiagge

sabbiose o ciottolose, derivanti dagli effetti dei crolli e dell’erosione; lo stesso materiale eroso alimenta le

pocket beaches presenti all’interno di piccole insenature della costa. Sulle pareti in costa alta sono visibili,

talvolta, piattaforme a quota superiore, relative ad antichi stazionamenti del livello del mare o create da

semplice erosione selettiva. Le coste basse sono costituite da superfici strutturali che digradano dolcemente

verso mare oppure terminano con pareti subverticali (di altezza inferiore a 1 – 1.5 m), rappresentanti testate

di strato negli assetti a reggipoggio. I versanti sono bordati, nella maggior parte dei casi, da piattaforme

d’abrasione, in continuità morfologica; queste ultime hanno ampiezza variabile (da un paio di metri a più di

10 m) e sono costellate da vaschette di corrosione e marmitte. Una costa bassa con profilo ad arco è

presente nel tratto metropolitano della città di Bari (Pieri et al. 2011) e più a sud, in corrispondenza della

scarpata delle murge sud-orientali.

L’idrografia dell’area murgiana è caratterizzata dall’assenza di corsi d’acqua a carattere perenne e da reticoli

idrografici poco estesi e scarsamente gerarchizzati, ma di contro, vi è una cospicua falda sotterranea,

galleggiante a luoghi sull’acqua di intrusione marina e a luoghi da essa separata, poiché confinata in sistemi

carsici isolati, in pressione al di sotto del livello marino. Le motivazioni di questo assetto idrografico sono da

ricercare non solo nei caratteri climatici dell’area mediterranea, ma anche, in primo luogo, nella natura

carbonatica del substrato roccioso, caratterizzato da impluvi che drenano solo quel surplus d’acqua che il

terreno saturo non riesce ad assorbire e la cui presenza d’acqua in superficie è limitata agli eventi piovosi

cospicui o prolungati. Queste linee di impluvio delineano delle valli, localmente chiamate lame o gravine, che

si ampliano divenendo anche importanti incisioni all’approssimarsi alla costa, nel versante adriatico, o alla

Fossa Bradanica e generalmente si impostano su discontinuità tettoniche come vie preferenziali di deflusso.

Gli aspetti morfologici di alcune lame costiere, unitamente a considerazioni di carattere idrogeologico,

indicano (Mastronuzzi & Sansò, 2002) che la formazione della rete di drenaggio è spesso dovuta a processi

di sapping anche se non in tutti i casi e in particolar modo per le gravine più interne (es. Gravina, Laterza).

Oltre ai fattori tettonici e geodinamici, anche il carsismo ha avuto grande importanza nel modellamento dei

caratteri morfologici dell’altopiano murgiano, agendo in maniera diffusa sui calcari mesozoici affioranti. Il

fenomeno carsico ha agito probabilmente dalla fine del Cretaceo, quando l’area murgiana dell’avampaese

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apulo è emersa, fino all’ingressione marina Plio-quaternaria, con una successiva ripresa a partire dal

Pleistocene medio superiore, quando l’area ha attraversato la nuova fase di emersione. I processi di

carsificazione hanno interessato in particolare le Murge Alte, porzione sommitale dell’altopiano murgiano

dove minori sono le coperture dei depositi residuali e dove non si è fatta risentire l’azione livellatrice del mare

Plio-quaternario né quella di seppellimento da parte dei relativi depositi del ciclo bradanico (ISPRA 2011).

Dal punto di vista idrogeologico le successioni carbonatiche mesozoiche che costituiscono l’Avanpaese

Apulo e affiorano estesamente in Puglia definiscono tre unità geografiche ben distinte: il promontorio del

Gargano, l’Altopiano delle Murge e la Penisola Salentina. Queste unità geografiche costituiscono delle

strutture idrogeologiche molto estese che rappresentano la più cospicua risorsa idrica della regione (Fig. 3-

2).

Risorse idriche sotterranee meno cospicue ma ugualmente importanti nel territorio regionale sono anche

localizzate nei depositi plio-pleistocenici, che in Puglia si rinvengono estesamente nella piana dell’Arco

Ionico, nella “Piana Messapica”, compresa tra Murge e Salento, e nel Tavoliere di Puglia.

Alcuni depositi plio-quaternari di estensione e spessori minori, inoltre, sono distribuiti in lembi sparsi

sull’Altopiano delle Murge e sulla Penisola Salentina ricoprendo localmente la successione calcareo-

dolomitica. Queste limitate coperture su cui in molti casi sorgono dei centri abitati possono essere sede di

piccole falde superficiali o di locali manifestazioni acquifere.

Sulla base dei caratteri litostratigrafici e di permeabilità, le rocce affioranti nel territorio delle Murge possono

raggrupparsi in:

Rocce permeabili per fratturazione e carsismo;

Rocce permeabili per porosità interstiziale e fessurazione;

Rocce permeabili per porosità.

Fig. 3-2 - Schema idrogeologico della Puglia: 1) Rocce calcareo-dolomitiche mesozoiche; 2) Unità alloctone della Catena Appenninica; 3) sedimenti plio-pleistocenici dell’Avanfossa; 4) principali sorgenti costiere; 5) spartiacque idrogeologico;

6) direzione del flusso idrico sotterraneo; 7) traccia delle sezioni (da Maggiore e Pagliarulo, 2003)

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In base a tali caratteristiche generali la serie idrogeologica delle diverse unità affioranti nel territorio delle

Murge può essere schematizzata secondo quanto riportato in figura 3-3.

I Depositi alluvionali d’alveo sono costituiti essenzialmente da limi sabbioso-argillosi, con intercalati sottili

lenti e orizzonti di ciottoli calcarei, che nel complesso rappresentano dei depositi dotati di porosità

interstiziale e permeabilità bassa.

I Depositi Marini Terrazzati, costituiti da biocalcareniti e sabbie, sono da mediamente a poco permeabili. In

zone dove essi poggiano su di un orizzonte di terra rossa o laddove la successione si presenta limo-argillosa

nella parte basale, possono essere sede di piccole falde freatiche.

Le rocce permeabili per porosità interstiziale e fessurazione sono rappresentate dalla Calcarenite di Gravina,

che mostra un grado di permeabilità variabile in funzione della granulometria, dello stato di fratturazione e

del grado di cementazione. Nell’insieme questa unità litologica può assumere localmente i caratteri di unità

acquifera o di un acquitardo, e talora costituise la zona di areazione dell’acquifero carsico di base.

La permeabilità per fratturazione e carsismo è invece tipica dei Calcari delle Murge che ospitano una estesa

falda profonda, il cui grado di permeabilità risulta estremamente variabile anche se nel complesso può

ritenersi poco permeabile (Grassi, 1973).

Figura 3-3 - Serie idrogeologica delle Murge.

L’Acquifero delle Murge

La successione dei calcari mesozoici che costituisce l’altopiano delle Murge è sede di un esteso sistema di

circolazione idrica sotterranea che generalmente si esplica in livelli acquiferi posti a quote diverse, spesso

molto al di sotto del livello del mare.

Le rocce carbonatiche sono caratterizzate quasi esclusivamente da permeabilità secondaria estremamente

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variabile da zona a zona anche su scala locale, in virtù del diverso grado di fratturazione e di dissoluzione

carsica (Grassi et al., 1977).

Considerata la natura carsica dell’acquifero la sua base risulta difficilmente definibile. Il tetto dell’acquifero,

invece, è rilevabile in diverse stratigrafie di archivio e presenta un andamento estremamente irregolare;

tuttavia, pur presentando brusche variazioni di quota anche su brevi distanze, si rileva un generale

approfondimento procedendo dalle zone costiere verso le aree più interne (Fig. 3-4).

Dati di letteratura (Grassi & Tadolini, 1974) mostrano come nel settore settentrionale delle Murge il tetto

dell’acquifero si approfondisce dal livello del mare, in prossimità della costa, fino a oltre 300-400 m sotto il

livello del mare nella zona compresa tra Andria e Corato.

Ne risulta uno schema della circolazione idrica sotterranea piuttosto complesso, determinato dalla presenza

di porzioni di roccia satura particolarmente permeabile separate da livelli di calcare compatto e

assolutamente privo di acqua, con spessori fino ad alcune centinaia di metri. Ciò spiega il confinamento della

falda e il suo frazionamento su più livelli, specialmente nella zona più interna delle Murge. In queste zone la

notevole pressione a cui circola la falda fa registrare risalite considerevoli del livello dell’acqua nei pozzi che

la intercettano, con colonne idriche alte fino a 300 m (Fig. 3-5). In prossimità della costa, invece,

tendenzialmente si riscontra la presenza di livelli idrici più superficiali circolanti in leggera pressione o in

condizioni di falda libera.

Fig. 3-4 - Isobate del tetto dell'acquifero carsico nel settore settentrionale delle Murge (da Grassi & Tadolini, 1974).

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Fig. 3-5 - Mappa dei valori di risalita della falda nei pozzi che si attestano in essa (da Grassi & Tadolini, 1974).

Il diverso grado di sviluppo del carsismo e dello stato di fratturazione condiziona sensibilmente anche le

modalità e l’entità di ricarica della falda, che può svilupparsi sia in modo diffuso che i maniera concentrata a

seconda delle zone (Grassi, 1973).

Nelle aree prossime alla costa e poste a quote topografiche più basse, ad esempio, dove le forme carsiche

superficiali e le fratture sono distribuite e sviluppate in maniera grossomodo uniforme, l’assetto stratigrafico e

morfologico è tale da non generare delle nette linee di impluvio e gli spartiacque sono piuttosto incerti; il

potere di infiltrazione dell’acquifero carbonatico è piuttosto uniforme in queste zone.

Al contrario, nelle parti più elevate delle Murge il maggiore sviluppo del carsismo e della fratturazione in aree

piuttosto limitate costituiscono le condizioni morfo-strutturali favorevoli per un assorbimento rapido e

concentrato delle acque superficiali.

Tali condizioni possono costituire elementi di elevata vulnerabilità per l’acquifero, determinandosi a volte

l’accumulo di contaminanti in prossimità degli inghiottitoi e il loro dilavamento e trasposto direttamente in

falda, senza alcuna possibilità di diluizione o autodepurazione da parte del suolo nella zona vadosa.

La diversa evoluzione del fenomeno carsico, legata all’assetto strutturale e all’evoluzione quaternaria del

rilievo murgiano, inoltre, incide sensibilmente anche nella diversa distribuzione delle caratteristiche

idrogeologiche e dei caratteri della circolazione idrica sotterranea nei diversi settori dell’acquifero (Grassi,

1983; Grassi & Tulipano, 1983). In corrispondenza della Murgia alta, infatti, l’esistenza di importanti condotti

carsici a sviluppo verticale è da mettere in relazione al progressivo sollevamento tettonico e al prolungato

periodo di emersione a cui sono state sottoposte queste aree nel corso dei diversi cicli carsici che si sono

succeduti. Per tali ragioni la zona di prevalente ricarica dell’acquifero è ubicata nella parte centrale

dell’altopiano, articolata in una serie di bacini endoreici di diversa estensione che raccolgono le acque

meteoriche e le convogliano in falda attraverso inghiottitoi carsici (Maggiore & Pagliarulo, 2004).

Al contrario, nel settore nord-occidentale delle Murge e nelle Murge basse interessate dalla trasgressione

pleistocenica, la copertura di depositi quaternari ha obliterato le forme carsiche pre-esistenti e ha limitato lo

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sviluppo di altre forme nei successivi cicli carsici. La parte sud-orientale, invece, pur non essendo stata

soggetta a grandi sollevamenti tettonici, ha subito poco anche gli effetti di cicli trasgressivi e regressivi, per

cui ha potuto sviluppare un grado di carsificazione piuttosto omogeneo.

La sezione idrogeologica generale proposta in Maggiore e Pagliarulo (2004) mostra come la falda sia in

contatto con l’acqua marina di intrusione continentale sul lato adriatico, mentre sul versante bradanico essa

è delimitata da un sistema di potenti faglie che la pongono in contatto con le argille plio-pleistoceniche

dell’avanfossa (Fig.3-6).

Fig. 3-6 - Sezione idrogeologica attraverso le Murge (da Maggiore e Pagliarulo, 2004).

Lo spartiacque idrogeologico tra il settore adriatico e quello bradanico coincide grossomodo con lo

spartiacque superficiale, situato nella zona più interna e più elevata delle Murge. Pertanto, la circolazione

idrica sotterranea si esplica dalla parte più interna dell’altipiano murgiano, dove si rilevano i valori più elevati

del carico idraulico compresi tra 175÷200 m s.l.m., verso le aree periferiche (Fig. 3-7).

Fig. 3-7 – Lineamenti della circolazione idrica sotterranea negli acquiferi delle Murge e del Salento: 1) sorgenti

concentrate con portate superiori a 100 l/s; 2) sorgenti concentrate con portate inferiori a 100 l/s; 3) deflussi diffusi sui fronti sorgivi; 4) aree con sorgenti sottomarine investigate; 5) distanze progressive (km); 6) sorgenti campionate; 7)

andamento delle isofreatiche (m s.l.m.) (da Cotecchia & Tulipano, 1989).

Studi recenti (Tulipano et al., 2008) basati sull’uso di traccianti naturali e chimici hanno confermato questo

schema della circolazione idrica sotterranea fornendo informazioni sulla diversa direzione e velocità di

deflusso (Fig. 3-8).

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Fig. 3-8 - Andamento del flusso idrico sotterraneo nell'acquifero carsico delle Murge con

indicazione delle velocità relative (da Tulipano et al., 2008).

Nel versante adriatico dell’acquifero la falda scorre in direzione grossomodo perpendicolare alla linea di

costa, dove il carico idraulico scende fino al livello del mare con un gradiente mediamente intorno al 0.1-

0.5%.

In prossimità delle aree costiere il contatto tra le acque dolci e le acque marine di intrusione continentale ha

luogo attraverso una fascia di rimescolamento la cui posizione nel sottosuolo può variare sensibilmente,

determinando le condizioni per una contaminazione salina della falda.

L’entità della salinizzazione delle acque sotterranee dipende da numerosi fattori, sia connessi con le

proprietà idrauliche della roccia che con le condizioni di equilibrio idrodinamico dell’acquifero, che possono

dipendere da fattori naturali e/o antropici. Processi di salinizzazione si osservano soprattutto in prossimità

della costa, dove dati recenti evidenziano una evoluzione progressiva del fenomeno, con acque a contenuto

salino superiore a 0.5 g/l più o meno lungo l’intero sviluppo costiero dell’acquifero (Cotecchia et al., 1983;

Chieco et al., 2005).

L’emergenza della falda si manifesta sia in forma diffusa che concentrata, attraverso numerose sorgenti

costiere subaeree e sommerse. Sorgenti di emergenza si impostano lungo i giunti di stratificazione e le

fessure presenti nei calcari, mentre in altri casi la scaturigine della falda può avvenire attraverso condotti che

costituiscono vie preferenziali per il deflusso sotterraneo e che scaturiscono in forma subacquea, formando

sorgenti sottomarine ascendenti (polle).

La principale scaturigine dell’acquifero delle Murge è rappresentata dalla sorgente costiera Fiume Grande, in

località Torre Canne nel territorio di Fasano (BR), con valori di portata mediamente intorno a 700 l/s. Poco

più a sud, inoltre, le scaturigini della falda carsica alimentano il sistema palustre della zona umida di Torre

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Guaceto. Altre sorgenti subaeree sono localizzate nel settore settentrionale dell’acquifero, come la Vasca di

Trani (150 l/s) e la Sorgente Boccadoro (170 l/s), e nel settore centro-meriodionale, come le sorgenti Acqua

di Cristo (7.3 l/s), Grotta del Bue (6.2 l/s) e Morello (1200 l/s).

In corrispondenza del settore bradanico, invece, l’emergenza della falda avviene in sorgenti ben localizzate

situate in prossimità di Taranto, con portate complessive intorno ai 4500 l/s.

La principale delle sorgenti tarantine è sicuramente rappresentata dal sistema sorgivo del Tara, situato ad

ovest di Taranto, dove la falda nei calcari circola prevalentemente a pelo libero e il deflusso viene sbarrato

dalla presenza delle Argille subappennine. Le acque di falda, dunque, emergono per sbarramento e

permeano nei depositi palustri posti più avalle, dove alcune scaturigini ascensionali alimentano il pantano

posto nella zona retro-dunare. Una caratteristica importante di questo complesso sorgivo è rappresentata dal

suo vastissimo bacino di alimentazione (Maggiore e Pagliarulo, 2004), che comprende l’intero versante

bradanico delle Murge e parte dei depositi plio-pleistocenici dell’avanfossa bradanica (Fig. 3-9).

Diversi studi documentano l’esistenza di importanti deflussi idrici sotterranei diretti anche verso le strutture

idrogeologiche adiacenti all’acquifero delle Murge attraverso il margine settentrionale, verso il Tavoliere di

Puglia (Grassi et al., 1986; Grassi & Tulipano, 1983; Fidelibus, 1994), e attraverso il margine meridionale,

verso l’acquifero del Salento (Grassi & Tulipano, 1983; Cotecchia, 1989).

Fig. 3-9 - Bacino di alimentazione della sorgente del Tara (da Maggiore e Pagliarulo, 2004).

Le falde superficiali dei terreni plio-quaternari

I depositi marini terrazzati sull’Altopiano delle Murge affiorano generalmente in lembi sparsi del territorio, in

presenza di superfici di erosione e solitamente in corrispondenza di zone morfologicamente depresse e di

19

origine tettonica (Fig. 3-10).

Questa unità prevalentemente sabbiosa e sabbioso-limosa, contenente livelli limo-argillosi, ghiaiosi e

calcilutitici, presenta caratteri tessiturali e idrogeologici estremamente variabili, frutto dei diversi ambienti di

deposizione che si sono alternati nelle aree di affioramento nel corso del progressivo ritiro del mare

pleistocenico, oltre che ai differenti effetti della diagenesi e della successiva degradazione.

Essi generalmente poggiano sulla Calcarenite di Gravina o sulle Argille subappennine, anche se possono

rinvenirsi direttamente in contatto col substrato carbonatico, talora in presenza di un sottofondo di terra

rossa.

Tale situazione litostratigrafica determina la presenza di una falda freatica superficiale in quasi tutte le aree

di affioramento dei depositi marini terrazzati, localizzata nei livelli maggiormente porosi della successione

(Maggiore et al., 1995). La presenza di acqua nel sottosuolo ha peraltro costituito un fattore determinante

per la nascita degli insediamenti urbani, dove oltre a costituire una risorsa può determinare condizioni di

rischio per i centri abitati.

Fig. 3-10 - Aree di affioramento dei depositi marini terrazzati (da Maggiore et al, 1995).

A seconda delle locali condizioni geologiche queste falde possono essere sostenute alla base o dalle Argille

subappennine, o da livelli di terra rossa oppure da livelli maggiormente argillosi e limosi che in molti casi

caratterizzano la parte basale dei depositi marini terrazzati.

Queste piccole falde sono caratterizzate da un regime idrogeologico molto variabile, strettamente correlabile

20

con il regime pluviometrico, e i bacini di alimentazione corrispondono generalmente ad aree molto

circoscritte agli affioramenti dei depositi merini terrazzati.

Il regime idrogeologico di queste falde può essere in alcuni casi condizionato dalla presenza di punti di

contatto tra i depositi marini terrazzati e i sottostanti calcari, che in presenza di fratture o inghiottitoi possono

determinare punti di trabocco delle falde superficiali nella sottostante falda carsica.

Tali condizioni di trabocco favoriscono oscillazioni relativamente modeste del regime piezometrico, come nel

caso di Acquaviva delle Fonti (Fig. 3-11), mentre oscillazioni piezometriche più pronunciate si riscontrano in

zone dove non esistono punti di trabocco, come accade nel sottosuolo dei comuni di Mesagne e Corato.

Fig. 3-11 - Sezione geolitologica schematica attraverso l’abitato di Acquaviva delle Fonti: 1) sabbie; 2) limi-argillosi; 3)

terre rosse; 4) calcari; 5) superficie piezometrica (da Maggiore et al., 1995).

Nel comune di Corato, ad esempio, le oscillazioni piezometriche sono particolarmente importanti e hanno

determinato negli anni locali fenomeni di allagamento di alcune aree e condizioni di pericolo per le fondazioni

degli edifici che venivano temporaneamente lambite dalle acque di falda. Per far fronte a tali condizioni di

rischio sono state realizzate trincee drenanti e pozzi assorbenti attestati nei calcari del substrato, al fine di

abbattere il livello idrico (Nicotera e Abruzzini, 1964).

Nel territorio di Barletta il locale approfondimento del substrato calcareo in prossimità delle aree costiere ha

determinato un ispessimento della copertura plio-pleistocenica e ha favorito l’esistenza di depositi marini

terrazzati in una più ampia area e con spessori più importanti, localmente sotto i 30 m.

In quest’area si riconoscono i prodotti litologici di diversi episodi eustatici e, in particolare, la presenza di due

unità principali: la prima costituita da un’alternanza di sabbie, sabbie limose e argille con una prevalente

componente di minerali silicei; la seconda costituita essenzialmente da calcareniti e calcilutiti con matrice

fortemente limosa variamente cementate.

Questa copertura è sede di una falda superficiale di non trascurabile estensione e che oltre ad essere sede

di modesti approvvigionamenti idrici costituisce la causa di talune problematiche di stabilità del centro

urbano.

Questa falda, infatti, risente della stagionalità del regime pluviometrico che interagisce con un bacino

idrogeologico per lo più coincidente con gli affioramenti delle rocce serbatoio Le aree di alimentazione si

ritrovano immediatamente a monte dell’abitato, ai margini degli affioramenti dei depositi marini terrazzati.

21

Questa falda superficiale circola quasi sempre in condizioni semi-confinate per la presenza di depositi

palustri o lagunari, relativamente poco permeabili, rappresentati dalle “argille a quadretti”, intercalati alle

unità sabbiose e calcarenitiche dei depositi marini terrazzati (Lattanzio et al., 1994). Tale falda, pertanto, può

rinvenirsi leggermente in pressione o a pelo libero, come avviene per lo più in prossimità della costa.

Il limite inferiore dell’acquifero superficiale è rappresentato dai livelli più profondi delle argille grigio-verdastre

(argille a quadretti), che costituiscono parte dei depositi marini terrazati ivi affioranti e quindi il rinvenimento

della falda può variare entro lo spessore massimo di tali depositi, pari a circa 25÷30 m.

I primi livelli idrici si rilevano a profondità molto modeste, intorno a 4÷6 m dal piano campagna, come peraltro

dimostato dalla presenza di diversi pozzi scavati a mano in vari punti del centro storico. Gli spessori acquiferi

si approfondiscono sensibilmente nelle aree a monte del centro abitato, anche per le maggiori quote

topografiche, mentre si riscontrano a meno di 1 m dal piano di campagna in prossimità della costa.

I carichi piezometrici variano spazialmente dal livello del mare fino a 12÷14 m s.l.m., con un gradiente medio

pari a circa l’1% diretto grossomodo perpendicolarmente alla costa. Le linee di flusso sono generalmente

correlate all’andamento delle linee di drenaggio superficiale e alla morfologia locale e nelle zone meridionali

e sud-occidentali dell’abitato le linee di deflusso sembrano influenzate dal paleo-alveo del Canale Ciappetta-

Camaggio (Lattanzio et al., 1994).

Morfologia e fenomeni di dissesto del territorio analizzato

Altamura si trova a quote altimetriche comprese tra 436 e 477 m circa s.l.m. Dal punto di vista morfologico si

presenta blandamente ondulata con orli di scarpate morfologiche che raggiungono i 10 m di altezza.

Sono state rilevate scarpate morfologiche a sud, a NE e intorno al centro abitato di prima espansione.

Quest’ultima scarpata morfologica originariamente alta circa 10 m, è stata, per via dell’espansione edilizia,

addolcita.

In riferimento ai fenomeni di dissesto, in località Fornaci, a NE del centro storico, è stata accertata la

presenza di una serie di cavità, tra loro talvolta interconnesse. Ciò rende il territorio fortemente vulnerabile in

quanto si ha una elevata probabilità di sinkholes. In data 02.12.2008 è stato registrato un fenomeno di

sprofondamento che ha portato alla sospensione di tutti i lavori privati in corso di esecuzione sino

all’ottenimento della compatibilità idrogeologica da parte dell’AdB Basilicata. Il Comune di Altamura, con il

supporto di un Nucleo Tecnico di Coordinamento, ha dovuto studiare l’area ed elaborare il Catasto Cavità

Sotterranee in modo da avere un quadro completo della situazione caveale nella zona. Alcune cavità

accertate sono state bonificate. A novembre 2008 è stata installata una rete di monitoraggio nell’area

compresa tra Via Bari, Via Mura Megalitiche e Via Cassano Vecchia. Ancora oggi l’area risulta in fase di

studio per evitare altri fenomeni di dissesto che potrebbero causare danni molto gravi a persone e cose.

Acque superficiali e sotterranee del territorio analizzato

Il reticolo idrografico e i solchi erosivi sono stati completamente cancellati dalla totale urbanizzazione

dell’area. Ai margini del centro abitato, ove presente, risulta pressoché inattivo durante tutto l’arco dell’anno.

Ciò è dovuto alla presenza di numerose fratture e cavità delle rocce calcaree che favoriscono l’infiltrazione

22

nel sottosuolo. Le acque di pioggia, dopo un percorso superficiale molto breve, si infiltrano nel sottosuolo,

alimentando così la falda idrica profonda.

Per quanto riguarda la circolazione idrica sotterranea, la falda profonda in pressione staziona ad una

profondità superiore ai 300 metri nei calcari mesozoici. I depositi di copertura sono interessati dalla presenza

di una circolazione idrica stagionale in corrispondenza delle frequenti lenti di sabbia incluse nella formazione

delle Argille subappennine. Le sabbie, nei periodi di ricarica invernale, possono dare luogo a locali risalite

del livello dell’acqua per capillarità fino intercettare la superficie topografica in corrispondenza della quale si

originano temporanee sorgenti. I materiali sabbioso-limosi possano saturarsi tanto da far risalire la falda fino

ad una quota di circa 3-3.5m dall’attuale piano campagna (Pepe, 2006).

23

4. Dati geotecnici e geofisici Le unità litologiche del substrato presentano nel complesso caratteristiche tecniche mediamente buone.

Per il calcare, va specificato che in funzione del diverso grado e stato di fratturazione le caratteristiche

possono variare. I parametri geotecnici sono: peso di volume compreso tra 2,4-2,7 g/cmc, angolo di attrito

(riferito all’ammasso) 35°-45°, coesione (riferita all’ammasso) 300-400 kPa, indice di qualità RQD 25-50%,

resistenza a compressione 250-500 kg/cmq. I valori di vp e vs per i calcari molto fratturati sono compresi

rispettivamente tra 1326-1583 m/s e 690-856 m/s. I valori di vs30 variano tra 849 e 1100 m/s.

I valori di vp e vs per i calcari mediamente fratturati sono compresi rispettivamente tra 3726-2422 m/s e

2180-1398 m/s. I valori di vs30 sono compresi tra 1280-1604 m/s.

Per la calcarenite, il peso di volume è compreso tra 1,4-1,8 g/cmc, l’angolo di attrito riferito all’ammasso è

25°-30°, la coesione riferita all’ammasso è 200-250 kPa, la resistenza a compressione è 4,3-38,26 kg/cmq. I

valori di vp variano intorno a 1065 m/s; i valori di vs variano intorno a 531 m/s. Il valore di vs30 varia tra 526

e 1053 m/s.

Per quanto le Argille subappennine, i parametri geotecnici sono i seguenti: peso di volume compreso tra 1,9-

2 g/cmc, angolo di attrito 24°-26°, coesione 0,5-0,6 kg/cmq.

Per quanto riguarda le argille sabbiose, esse presentano: peso di volume compreso tra 1,8-1,9 g/cmc,

angolo di attrito 22°-24°, coesione 0,14-0,4 kg/cmq. Dal punto di vista della caratterizzazione geofisica, nei

primi metri superiori, tale deposito presenta valori di Vp pari 955-1074 m/s e vs di 319-347 m/s. La parte più

profonda è caratterizzata da valori di vp e vs compresi rispettivamente tra 1689-1765 e 587-656. Il valore di

vs30 è compreso tra 300- 400 m/s.

Le sabbie si caratterizzano come segue: peso di volume compreso tra 1,6-1,8 g/cmc, angolo di attrito 20°-

25°, coesione 0,00-0,05 kg/cmq.

Le caratteristiche geotecniche del deposito di copertura definito come “Limi argilloso-sabbiosi” non sono

state rilevate.

24

5. Modello geologico Rispetto ai tre domini strutturali (catena appenninica, avanfossa appenninica e Avampaese Apulo) relativi al

sistema geodinamico che ha condotto alla formazione della catena appenninica durante il Neogene

(Ricchetti et al., 1988), il territorio comunale di Altamura, posto nel settore centro-occidentale delle Murge, si

colloca al margine dell’Avampaese Apulo e lungo il bordo orientale della Fossa bradanica relativa al dominio

di avanfossa appenninica.

Gli affioramenti caratterizzanti il territorio, pertanto, comprendono sia le formazioni di Avampaese, quali il

gruppo dei Calcari delle Murge e del Salento di età mesozoica (Ciaranfi et al., 1988), sotto, sia le formazioni

della Fossa bradanica, di età plio-pleistocenica (Pieri et al., 1996 e bibliografia citata), sopra.

Vengono di seguito descritte le principali caratteristiche delle unità lito-stratigrafiche rilevate, a partire dalla

più antica. Si sottolinea che in assenza di importanti strutture deformative plicative (es. pieghe e/o

sovrascorrimenti), la successione stratigrafica ringiovanisce verso l’alto nell’intera area.

Substrato

CALCARE - UCC

Si tratta di calcari e calcari dolomitici stratificati e fratturati con spessore affiorante di circa 100 m. Sino a

circa 10 m di profondità, l’ammasso calcareo si presenta molto fratturato e carsificato, con fessure spesso

riempite di terra rossa. Al di sotto dei 10 m, il calcare si presenta mediamente fratturato.

Esso si estende per quasi tutto il centro urbano di Altamura, ad esclusione di una piccola parte confinata a

NE dove risulta coperto da formazioni di età plio-plesitocenica.

In riferimento al Foglio 189 “Altamura” della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 (Azzaroli et al.

1968, Servizio Geologico et al., 1966), questo calcare è ascrivibile alla formazione “Calcare di Altamura” del

Cretaceo superiore, più precisamente del Senoniano.

CALCARENITE - UCR

La calcarenite si presenta ricca di bioclasti, di colore giallastra, variamente cementata, a granulometria

medio-fine. Generalmente il contenuto macrofossilifero è rappresentato da frammenti di molluschi,

foraminiferi, alghe rosse, briozoi, echinidi e gasteropodi; talora sono presenti a luoghi orizzonti di fossili

rappresentati da Ostreidi e Pettinidi.

La calcarenite, in discordanza sul sottostante calcare, affiora nella parte settentrionale e nord-occidentale

dell’area urbana esaminata.

Lo spessore massimo, secondo l’interpolazione di sondaggi diretti, è pari a 60 m.

In riferimento al Foglio 189 “Altamura” della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 (Azzaroli et al.

1968, Servizio Geologico, 1966), questa calcarenite è ascrivibile alla formazione “Tufo di Gravina”. Studi più

recenti condotti da Ciaranfi et al. (1988) e da Pieri et al. (1996) consentono la loro attribuzione alla

“Calcarenite di Gravina” del Pliocene superiore – Pleistocene inferiore.

Va sottolineato che in riferimento al D.G. n. 24 del 09/04/2009, che adotta il I Stralcio del Catasto delle

Cavità Sotterranee, la Calcarenite di Gravina, posta nel settore nord-orientale dell’area indagata, è

caratterizzata da una rete caveale che ha uno sviluppo lineare complessivo di circa 10 km.

Copertura

ARGILLE SUBAPPENNINE – agl

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Si tratta di argille siltose di colore grigio-azzurro, da mediamente a molto consistenti, a luoghi sabbiose o

fossilifere.

Le argille affiorano in maniera più estesa nella parte nord-orientale e in limitata estensione nella zona nord

dell’area urbana esaminata. Dal punto di vista stratigrafico, sono in continuità di sedimentazione con la

Calcarenite di Gravina.

Lo spessore massimo calcolato da indagini dirette è pari a 15 m.

In riferimento al Foglio 189 “Altamura” della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 (Azzaroli et al.

1968, Servizio Geologico et al., 1966), queste argille sono ascrivibili alla formazione delle “Argille di

Gravina”. Studi più recenti (Ciaranfi et al., 1988; Pieri et al., 1996) consentono la loro attribuzione alle “Argille

subappennine” del Pleistocene inferiore.

ARGILLE SABBIOSE - ags

Si tratta di argille di colore giallastro a debole componente sabbiosa piuttosto plastiche nei primi metri

superiori. In profondità, risultano da poco a mediamente consistenti con inclusioni di noduli carbonatici

bianchi e polverulenti. Talvolta si intercalano livelli di sabbia silicea e carbonatica a grana media, di colore

giallo-rossastro, talvolta sede di acquiferi.

Questa unità affiora nella parte NE dell’area esaminata, in località Fornaci. Essa è in continuità di

sedimentazione con le sottostanti Argille subappennine e laddove queste risultano erose, l’unità poggia

direttamente sulla calcarenite.

Lo spessore massimo rilevato da sondaggi geognostici diretti e indiretti si aggira intorno a 20 m.

Tale unità, potrebbe rappresentare la transizione tra le sottostanti “Argille subappennine” e la sovrastante

unità sabbiosa (sbb); per cui, a seguito della sua posizione stratigrafica viene riferita al Pleistocene inferiore.

SABBIE – sbb

Questa unità è costituita da sabbie silicee di colore giallastro, a grana fine, debolmente cementate.

Questa unità si trova in Località Fornaci.

Lo spessore massimo ricavato dalle indagini dirette effettuate è di 5 m.

In riferimento al Foglio 189 “Altamura” della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 (Azzaroli et al.

1968, Servizio Geologico et al., 1966), queste sabbie sono ascrivibili alle “Sabbie di Monte Marano”. Studi

più recenti riferiscono tali sabbie al Pleistocene medio?-inferiore (Ciaranfi et al., 1988; Pieri et al., 1996).

LIMI ARGILLOSO-SABBIOSI -las

Si tratta di limi con componenti argillosi e sabbiosi aventi spessore massimo di circa 3 m; in questo

sedimento sono localmente presenti anche clasti carbonatici. Si tratta di un deposito alluvionale che occupa,

con spessore variabile, il fondo di aree debolmente depresse nel substrato carbonatico.

L’età è Pleistocene superiore? – Olocene.

26

6. Elaborati cartografici

6.1 Carta delle indagini

In merito al progetto di Microzonazione sismica di I livello, al fine di stabilire la natura litologica dei corpi

geologici cartografibili nel territorio comunale di Altamura (BA), con particolare attenzione al centro urbano, è

stata effettuata un’accurata ricerca dei lavori geologici eseguiti in precedenza. Sono state reperite presso gli

Uffici del Genio Civile di Bari e l’Ufficio Tecnico del Comune, tutte le indagini geologiche di tipo dirette e

indirette eseguite dagli Enti locali e dai privati. La società APOGEO si è resa disponibile nell’ambito

dell’acquisizione dei dati di sua proprietà.

Le indagini acquisiste sono n. 405 perforazioni a carotaggio continuo e a distruzione di nucleo e n. 58

prospezioni sismiche e geoelettriche.

La maggior parte delle indagini è stata condotta nella zona a NE dell’abitato, in località Fornaci; si tratta di

un’area ad espansione edilizia classificata dal Piano di Assetto Idrogeologico dell’ Autorità di Bacino della

Basilicata in parte come Area a Rischio idrogeologico Medio (R2) e in parte come Area Soggetta a Verifica

(ASV). A seguito dell’approvazione della delibera “Direttiva per la gestione e messa in sicurezza delle aree

interessate da cavità sotterranee” nel febbraio 2008, l’AdB Basilicata ha obbligato il Comune di Altamura alla

formazione del Catasto delle Cavità Sotterranee nella zona perimetrata mediante il supporto di un Nucleo

Tecnico di Coordinamento. Nel mese di aprile 2009 con D. G. n. 24 del 09.04.2009 è stato approvato ed

adottato il I Stralcio del Catasto delle Cavità Sotterranee.

La rete caveale ad oggi conosciuta nelle direzioni principali ha uno sviluppo lineare complessivo di circa 10

km e riguarda la Calcarenite di Gravina.

La suddetta raccolta dei dati è stata utilizzata per revisionare, ove possibile ed opportuno, la cartografia

geologica esistente dell’area. A tal proposito, si è proceduto con le seguenti fasi e metodologie.

La Carta geologica in originale d’autore, in scala 1:25.000 (F° 189 della Carta d’Italia, III N.O. Altamura)

rilevata a suo tempo per la realizzazione del Foglio 189 “Altamura” della Carta Geologica d’Italia alla scala

1:100.000 (Azzaroli et al., 1968; Servizio Geologico d’Italia, 1966), è stata riportata alla scala 1:5.000, al fine

di uniformarla con la Carta Tecnica Regionale. Successivamente è stato eseguito un accurato lavoro di

sovrapposizione della carta geologica in originale d’autore e della Carta Tecnica Regionale. Si è proceduto,

quindi, col riportare su quest’ultima, con altrettanta accuratezza, tutti gli elementi geologici della carta

geologica in originale d’autore. Su base topografica rappresentata dalla Carta Tecnica Regionale alla scala

1:5.000 (georeferenziata nel sistema di coordinate UTM-WGS84) è stata redatta una prima carta

geolitologica dell’area di Altamura, basata sui dati bibliografici. Questi dati reperiti presso gli Enti pubblici e

privati, sono stati georeferenziati e, quindi, inseriti sulla suddetta carta geolitologica. Una siffatta banca dati

geologici è stata interpretata con l’intento di integrare tutte le informazioni. Questo lavoro di integrazione ha

consentito di raffinare la carta geolitologica e di individuare alcune aree che meritavano l’intervento sul

campo per caratterizzare al meglio, attraverso l’osservazione diretta, la geologia di quei luoghi. Tuttavia,

l’urbanizzazione ha consentito soltanto raramente di fare chiarezza, ad esempio, sulla geometria di alcuni

contatti litostratigrafici o sulla presenza o meno di un determinato litotipo. In definitiva, tutto quanto sopra

riportato, ha consentito di redigere una carta geolitologica, su base cartografica della Carta Tecnica

Regionale alla scala 1:5.000, basata su dati preesistenti. Anche la caratterizzazione litologica dei corpi

geologici riportati in carta è fondata su informazioni bibliografiche derivanti da pubblicazioni di seguito citate.

27

Inoltre, la banca dati geologici è stata implementata con informazioni di carattere geotecnico, geofisico e

idrogeologico, sempre derivanti dal materiale reperito presso gli Enti Pubblici e privati, e di carattere

geomorfologico. Per quanto riguarda le emergenze geomorfologiche, sono stati considerati gli orli di

scarpata, le ripe fluviali, le cavità, le cave riportate nella Carta Idrogeomorfologica della Regione Puglia

redatta dall’Autorità di Bacino della Puglia e pubblicata sul sito della stessa AdB Puglia. Per quanto riguarda

le cavità antropiche, queste sono state reperite presso la Banca dati del CNR-IRPI creata a seguito di una

Convenzione tra Autorità di Bacino della Puglia e CNR-IRPI relativa a ricerche su cavità antropiche nella

Regione Puglia, nel giugno 2009.

In conclusione, come richiesto dal Gruppo di lavoro MS (2008) e dall’AdB Puglia, in riferimento alla

microzonazione sismica di I livello, le suddette informazioni geologiche, originariamente prodotte in scale di

diverso dettaglio, sono state riportate su un supporto cartografico in scala 1:5.000. Resta, quindi, un grado di

incertezza nella rappresentazione cartografica prodotta, quest’ultima da considerare solo come base di

partenza per ulteriori studi di dettaglio che possano validare il prodotto fornito e permettere di ottenere una

rappresentazione cartografica eventualmente utile anche per altre necessità (es. PUG, ecc.).

6.2 Carta geologico-tecnica per la microzonazione sismica

Depositi del substrato

CALCARE - UCC Si tratta di calcari e calcari dolomitici stratificati e fratturati con spessore affiorante di circa 100 m.

Secondo sondaggi indiretti, sino a circa 10 m di profondità, l’ammasso calcareo si presenta molto

fratturato e carsificato, con fessure spesso riempite di terra rossa. Al di sotto dei 10 m, il calcare si

presenta mediamente fratturato. Talvolta il calcare può essere coperto da una coltre di suolo

avente spessore variabile.

Esso si estende per quasi tutto il centro urbano di Altamura, ad esclusione di una piccola parte

confinata a NE dove risulta coperto da formazioni di età plio-plesitocenica.

Affioramenti di calcare sono presenti in corrispondenza di sbancamenti e cave a SW dell’area

esaminata.

CALCARENITE - UCR

Dalla descrizione delle stratigrafie ottenute da indagini dirette, la calcarenite si presenta ricca di

bioclasti, di colore giallastra, variamente cementata, a granulometria medio-fine. Generalmente il

contenuto macrofossilifero è rappresentato da frammenti di molluschi, foraminiferi, alghe rosse,

briozoi, echinidi e gasteropodi; talora sono presenti a luoghi orizzonti di fossili rappresentati da

Ostreidi e Pettinidi.

La calcarenite, in discordanza sul sottostante calcare, si trova nella parte settentrionale e nord-

occidentale dell’area urbana esaminata.

Lo spessore massimo, secondo l’interpolazione di sondaggi diretti, è di circa 60 m.

Depositi di copertura

28

ARGILLE GRIGIO-AZZURRE – agl

Secondo sondaggi diretti, si tratta di argille siltose di colore grigio-azzurro, da mediamente a molto

consistenti, a luoghi sabbiose o fossilifere.

Le argille si trovano in maniera più estesa nella parte nord-orientale e in limitata estensione nella

zona nord dell’area urbana esaminata. Dal punto di vista stratigrafico, sono in continuità di

sedimentazione con la Calcarenite di Gravina.

Lo spessore massimo, calcolato da indagini dirette, è pari a circa 15 m.

ARGILLE SABBIOSE -ags

Secondo indagini dirette, si tratta di argille di colore giallastro a debole componente sabbiosa

piuttosto plastiche nei primi metri superiori. In profondità, risultano da poco a mediamente

consistenti con inclusioni di noduli carbonatici bianchi e polverulenti. Talvolta si intercalano livelli di

sabbia silicea e carbonatica a grana media, di colore giallo-rossastro, talvolta sede di acquiferi.

Questa unità, rinvenuta in Località Fornaci a NE dell’area esaminata, è in continuità di

sedimentazione con le sottostanti argille grigio-azzurre e laddove queste risultano erose, poggia

direttamente sulla calcarenite.

Lo spessore massimo rilevato da sondaggi geognostici diretti e indiretti si aggira intorno a 20 m.

SABBIE – sbb

Da perforazioni a carotaggio continuo e a distruzione di nucleo eseguite in località Fornaci, questa

unità è costituita da sabbie silicee di colore giallastro, a grana fine, debolmente cementate.

Lo spessore massimo ricavato dalle indagini dirette effettuate è di circa 5 m.

LIMI ARGILLOSO-SABBIOSI -las

Da interpolazioni di dati bibliografici e sondaggi, si tratta di limi con componenti argillosi e sabbiosi

aventi spessore massimo di circa 3 m; in questo sedimento sono localmente presenti anche clasti

carbonatici. Si tratta di un deposito alluvionale che occupa, con spessore variabile, il fondo di aree

debolmente depresse nel substrato carbonatico.

Geomorfologia ed eventuali dissesti (Elementi areali, lineari e puntuali)

Gli elementi geomorfologici (scarpate e cave) qui discussi e riportati in carta provengono dalla

Carta Idrogeomorfologica della Regione Puglia. Gli elementi puntuali riportati provengono dal

censimento delle cavità antropiche effettuato dal CNR-IRPI nell’anno 2009. La rete caveale

riprodotta in carta proviene dall’elaborazione dei dati acquisiti dal Comune di Altamura per la

redazione del Catasto delle Cavità Sotterranee.

Sono state rilevate scarpate morfologiche a sud, a NE e intorno al centro abitato di prima

espansione. A seguito di un confronto con i geologi della zona, si rende noto che la scarpata

morfologica intorno al centro abitato di prima espansione, originariamente alta circa 10 m, è stata,

per via dell’espansione edilizia, addolcita.

Le cave si trovano, in maggior misura, nella zona SW e SE dell’area esaminata.

29

Le cavità antropiche, provenienti dal Censimento CNR-IRPI, interessano il substrato calcarenitico

e calcareo. Quella riportata nel centro storico del Comune di Altamura è la Cisterna della

Cattedrale posizionata appunto all’interno della Cattedrale di Altamura. La cavità poco a Nord

rispetto al centro storico, scavata nella calcarenite, era adibita a luogo di culto e denominata “San

Michele delle grotte”. Il punto riportato a NE dell’abitato prende il nome di “Grotte di San

Tommaso”. Si tratta di una rete caveale legata alla coltivazione della roccia calcarenitica, con uno

sviluppo lineare complessivo di circa 10 km.

Questa stessa rete caveale, rende il territorio fortemente vulnerabile in quanto si ha una elevata

probabilità di sinkholes. In data 02.12.2008 è stato registrato un fenomeno di sprofondamento che

ha portato alla sospensione di tutti i lavori privati in corso di esecuzione sino all’ottenimento della

compatibilità idrogeologica da parte dell’AdB Basilicata. Il Comune di Altamura, con il supporto di

un Nucleo Tecnico di Coordinamento, ha dovuto studiare l’area ed elaborare il Catasto Cavità

Sotterranee in modo da avere un quadro completo della situazione caveale nella zona. Alcune

cavità accertate sono state bonificate. A novembre 2008 è stata installata una rete di monitoraggio

nell’area compresa tra Via Bari, Via Mura Megalitiche e Via Cassano Vecchia. Ancora oggi l’area

risulta in fase di studio per evitare altri fenomeni di dissesto che potrebbero causare danni molto

gravi a persone e cose.

Idrogeologia (Elementi areali)

I depositi di copertura sono interessati dalla presenza di una circolazione idrica stagionale in

corrispondenza delle frequenti lenti di sabbia incluse nella formazione delle Argille subappennine.

Le sabbie, nei periodi di ricarica invernale, possono dare luogo a locali risalite del livello dell’acqua

per capillarità fino intercettare la superficie topografica in corrispondenza della quale si originano

temporanee sorgenti. I materiali sabbioso-limosi possano saturarsi tanto da far risalire la falda fino

ad una quota di circa 3-3.5m dall’attuale piano campagna (Pepe, 2006).

6.3 Descrizione delle Microzone Omogenee in Prospettiva Sismica (MOPS)

6.3.1 Zone stabili suscettibili di amplificazioni locali

Zona 1 – Tipo z 1011

Questa zona (si veda la Tabella 6-1 per la sue caratteristiche geotecniche) è caratterizzata da

alternanze di calcari micritici e calcari dolomitici, di colore bianco, molto fratturati e carsificati nei

primi 10 metri dal piano campagna in cui sono presenti anche livelli di terra rossa. La porzione

fratturata e carsificata dell’ammasso è caratterizzata da 690a 856 m/sec, dato che consente di

ritenere questa zona suscettibile di amplificazioni locali.

30

Tabella 6-1. Stratigrafia e caratteristiche geotecniche dei terreni caratterizzanti la Zona 1.

Zona 2 – Tipo z 2002

Questa zona (si veda la Tabella 6-2 per la sua stratigrafia e caratteristiche geotecniche) è

caratterizzata dalla sovrapposizione di un pacco di calcareniti a grana da medio-fine a grossolana

dello spessore massimo di 60m in appoggio sulla successione calcareo-dolomitica di base della

zona 1.

Le calcareniti caratterizzanti questa zona possono ospitare cavità ipogee di natura sia carsica sia

antropica (vedi ad esempio il caso del settore compreso tra Via Bari, Via Cassano e Via

Barcellona, settore NE dell’abitato) che costituiscono elementi di pericolosità in relazione al

verificarsi di collassi e sprofondamenti in superficie.

Tabella 6-2. Stratigrafia e caratteristiche geotecniche dei terreni caratterizzanti la Zona 2.

Zona 3 – Tipo z 2003

Questa zona (si veda la Tabella 6-3 per la sua stratigrafia e caratteristiche geotecniche) è

caratterizzata dalla sovrapposizione di un pacco di argille mediamente consistenti dello spessore

massimo di 15m sui termini stratigrafici della zona 2.

Le calcareniti di UCR presenti nella stratigrafia di questa zona possono ospitare cavità ipogee di

natura sia carsica sia antropica (vedi ad esempio il caso del settore compreso tra Via Bari, Via

Cassano e Via Barcellona, settore NE dell’abitato) che costituiscono elementi di pericolosità in

relazione al verificarsi di collassi e sprofondamenti in superficie.

31

Tabella 6-3. Stratigrafia e caratteristiche geotecniche dei terreni caratterizzanti la Zona 3.

Zona 4 – Tipo z 2004

Questa zona (si veda la Tabella 6-4 per la sua stratigrafia e caratteristiche geotecniche) è

caratterizzata da un pacco nel quale si alternano argille limosa-sabbiose e limi argilloso-sabbiosi

dello spessore massimo di 25 m in appoggio sui termini stratigrafici costituenti la zona 3. La

variabilità di spessore dei sedimenti caratterizzanti questa zona è dovuta al loro appoggio

discordante sui depositi argillosi più antichi (agl).

Le calcareniti di UCR presenti nella stratigrafia di questa zona possono ospitare cavità ipogee di

natura sia carsica sia antropica (vedi ad esempio il caso del settore compreso tra Via Bari, Via

Cassano e Via Barcellona, settore NE dell’abitato) che costituiscono elementi di pericolosità in

relazione al verificarsi di collassi e sprofondamenti in superficie.

Tabella 6-4. Stratigrafia e caratteristiche geotecniche dei terreni caratterizzanti la Zona 4.

Zona 5 – Tipo z 2005

Questa zona (si veda la Tabella 6-5 per la sua stratigrafia e caratteristiche geotecniche) è

caratterizzata dalla sovrapposizione di un pacco dello spessore massimo di 5 m di sabbie

debolmente limose sui termini stratigrafici della zona 4.

Le calcareniti di UCR presenti nella stratigrafia di questa zona possono ospitare cavità ipogee di

natura sia carsica sia antropica (vedi ad esempio il caso del settore compreso tra Via Bari, Via

Cassano e Via Barcellona, settore NE dell’abitato) che costituiscono elementi di pericolosità in

relazione al verificarsi di collassi e sprofondamenti in superficie.

32

Tabella 6-5. Stratigrafia e caratteristiche geotecniche dei terreni caratterizzanti la Zona 4.

Zona 6 – Tipo z 2006

Questa zona (si veda la Tabella 6-6 per la sua stratigrafia e caratteristiche geotecniche) è

caratterizzata dalla sovrapposizione di 1-5m di sabbie debolmente limose in appoggio su un pacco

dello spessore massimo di 25m in cui si alternano argille limosa-sabbiose e limi argilloso-sabbiosi.

Questa successione poggi a sua volta sui termini stratigrafici caratterizzanti la zona 2.

Le calcareniti di UCR presenti nella stratigrafia di questa zona possono ospitare cavità ipogee di

natura sia carsica sia antropica (vedi ad esempio il caso del settore compreso tra Via Bari, Via

Cassano e Via Barcellona, settore NE dell’abitato) che costituiscono elementi di pericolosità in

relazione al verificarsi di collassi e sprofondamenti in superficie.

Tabella 6-6. Stratigrafia e caratteristiche geotecniche dei terreni caratterizzanti la Zona 4.

6.3.2 Zona Instabili e aree con cavità sepolte

I rilievi di terreno e i dati relativi all’instabilità gravitativa tratti dai progetti IFFI-ISPRA e PAI-ADB

Regione Puglia suggeriscono l’assenza di zone instabili come definite negli indirizzi e criteri di

microzonazione sismica (Gruppo di lavoro ICMS, 2008 e successive modifiche ed integrazioni).

33

Tuttavia, come evidenziato nelle carte geologico-tecnica e delle MOPS, nel settore nord-orientale

del territorio microzonato (settore compreso tra Via Bari, Via Cassano e Via Barcellona) è

presente un’area con cavità sepolte all’interno della calcareniti plio-pleistoceniche (UCR in carta

geologico-tecnica) che, essendo recentemente stata bonificata solo in parte, presenta una

pericolosità residua connessa al verificarsi di collassi e sprofondamenti in superficie.

34

Tabella 6-7. Stratigrafia di massima delle microzone descritte nel testo.

35

6.4 Mappa delle pendenze

La mappa delle pendenze di Figura 6-1 mostra come il territorio del comune di Altamura

microzonato sia caratterizzato, ad eccezione dei fianchi della gravina, da una morfologia molto

dolce con pendenze del suolo genericamente inferiori ai 15°. Le aree con pendenze maggiori di

15-25° sono di limitata estensione e connesse all’attività di cava nei calcari (UCC in carta

geologico-tecnica); esse sono presenti al margine orientale dell’abitato, a S di esso e a W della

zona industriale.

La conformazione del paesaggio descritta permette di escludere la possibilità di effetti topografici

di amplificazione del moto sismico.

Figura 6-1. Pendenza del suolo ricavato da DTM con cella di 8m messo a disposizione della Regione Puglia. La linea nera indica il limite della microzone discusse nel testo a cui fanno riferimento le etichette.

36

7. Individuazione delle aree per le quali sono necessari ulteriori livelli di approfondimenti

Ulteriori indagini sono necessarie per meglio definire le proprietà geotecniche nonché gli spessori

dei terreni più superficiali caratterizzanti tutte le zone 3-6 (ed in particolare i termini sbb e ags della

carta geologico-tecnica) e per approfondire la pericolosità connessa al verificarsi di collassi di

cavità e sprofondamenti in superficie che interessano il settore nord-orientale dell’area

microzonata (settore compreso tra Via Bari, Via Cassano e Via Barcellona) ed in particolare le

microzone 2-6. Il censimento di queste ultime necessita la consultazione di fonti storiche e

l’esecuzione di indagini geofisiche volte soprattutto a stabilirne la profondità e l’estensione.

37

8. Bibliografia

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