Il carnevale dei Mesi a Bagnoli del Trigno. Relazione di presentazione del volume di Mauro Gioielli...

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Giovanni Mascia

IL CARNEVALE DEI MESI

A BAGNOLI DEL TRIGNO Relazione di presentazione del volume di Mauro Gioielli

(Bagnoli del Trigno, 23 febbraio 1995)

Ho accettato di buon grado l’invito di Franco Mastrodonato a presentare Il

Carnevale dei Mesi a Bagnoli del Trigno. Per due buoni motivi:

Primo, il sicuro valore della pubblicazione edita dalla Compagnia di Cultura

Popolare La perla del Molise, a firma di Mauro Gioielli. Anche senza confrontarmi

con le bozze del libro, ero certo della bontà dello stesso. Mauro Gioielli, sotto questo

aspetto, rappresenta un’assicurazione di garanzia. Come ribadirò più

circostanziatamente.

Secondo, l’interesse che da qualche tempo suscita nel sottoscritto il patrimonio

popolare di Bagnoli del Trigno.

Nelle parole di Franco Mastrodonato, Presidente della Compagnia di Cultura

Popolare, di Angelo Camele, Sindaco di Bagnoli e di Andrea Vespa, Presidente della

Pro-Loco, ho sentito aleggiare il giusto sentimento di attaccamento e amore per il

paese natio. Facendo leva su questo sentimento, credo di fare cosa gradita ai

presenti, se lascio precedere l’analisi del libro di Mauro Gioielli, da alcune

considerazioni sul rapporto dei bagnolesi con la propria cultura popolare, secondo

quanto mi è stato dato di rilevare.

* * *

Cultura popolare a Bagnoli

Rupe pittoresca

La perla del Molise.

Mi si perdoni l’insistito riferimento personale. Esso non è motivato dal desiderio

insano di porre me stesso al centro del discorso, ma per comunicare a voi bagnolesi,

l’esito di un approccio che si può ritenere tipico, di un forestiero con la vostra terra, il

vostro paese.

Vigilia di Pasqua del 1989. Percorrevo con un amico di Monteroduni la Trignina per

la prima volta, provenienti da Monteroduni, per l’appunto, alla volta di Castiglione

Messer Marino. Il profilo inconfondibile e pittoresco di un paese abbarbicato ai

peschi1 mi colpì. A tal punto che fermai la macchina per ammirarlo con maggior

comodo. L’amico mi disse il nome del paese, Bagnoli del Trigno, e aggiunse l’epiteto

gratificante di Perla del Molise, che davvero non abbisognava di spiegazioni. Come

1 Lat. pesclum, macigno. Il toponimo pesco è largamente diffuso in Molise e nel meridione in genere. A Toro è registrata la voce dialettale peschionata, che vale colpo dato con una grossa pietra.

accade in questi casi. Registrai il nome del paese nell’agenda dei miei pensieri: da

visitare assolutamente.

Diaspora Proseguimmo per la nostra strada. Incrociando, sorpassando e venendo sorpassati da

una lunga teoria di taxi gialli, targati ROMA: il mio Cicerone mi disse del tutto

normale la cosa, accennando all’esodo bagnolese e salcitano verso Roma, le cui

colonie nella capitale si erano andate tradizionalmente aggregando attorno alle

carrozzelle, alle botticelle prima e ai taxi poi. A frotte i bagnolesi di Roma tornavano

alla loro terra, per la festività pasquale, per la scampagnata di pasquetta.

La nostra passeggiata era mirata a una visita a Felice del Vecchio. Non so se questo

nome dica qualcosa ai presenti. Spero di sì. Del Vecchio scrisse e pubblicò nel 1957

presso Einaudi quello che considero il più bel libro sul Molise: La chiesa di Canneto.

Per inciso, libro che meritò all’autore, allora poco più che ventenne il Premio

letterario più prestigioso, il Viareggio Opera Prima. L’ho voluto ricordare, perché‚ La

chiesa di Canneto è libro emblematico. Nella realtà di Roccavivara, può specchiarsi

la realtà di ogni comune molisano, a ridosso della seconda guerra mondiale. Specie i

comuni della valle del Trigno. Penso a Bagnoli, ovviamente. La chiesa di Canneto è

un po’ l’inno, il tributo di affetto a tutta la vallata del Trigno. Ogni molisano

dovrebbe leggerlo. Il trignino più di tutti. E, per questa primavera, opportuna arriverà

la riedizione del testo, divenuto leggendario2.

Bagnolesi e cultura

Bagnolesi e Masciotta

Come si può immaginare, purtroppo l’impegno a visitare Bagnoli è rimasto lettera

morta, nonostante la passeggiata di Pasqua a Castiglione sia da allora divenuta una

tradizione.

Nell’attesa ho pensato almeno a documentarmi su quel paese così pittoresco, e l’ho

fatto su due testi in particolare. Il Molise di Masciotta e I Canti popolari di Cirese.

Rilevando una discrepanza a carico dei bagnolesi. Che nei primi anni del secolo

assicurarono a Masciotta scarsa collaborazione, provocandone il rammarico formale,

dal momento che lo studioso dovette limitarsi a registrare solo il nome delle quattro

chiese di Bagnoli. Nessuna parola spesa dai bagnolesi del tempo, corrispondenti di

Masciotta per illustrare le particolarità dei loro monumenti sacri. E sì che c’erano

aspetti artistici d’indubbio valore. Basta accennare alla chiesa romanica di San

Silvestro con il prezioso portale romanico.

Bagnolesi e Cirese

Discorso completamente diverso per i bagnolesi in rapporto a Cirese. L’invito rivolto

dal poeta di Fossalto ai molisani a ridosso del secondo dopoguerra trovò a Bagnoli

feconda accoglienza. Certamente non a caso l’antologia dei canti raccolti a Bagnoli

costituisce la sezione più consistente del libro, quasi un libro nel libro. E allora c’è da

2 Riedizione in corso di stampa presso Edizioni Enne di Campobasso, anche a cura del sottoscritto.

chiedersi: ma cos’è questo paese, che quarant’anni prima, certamente in un caso

particolare, ha mostrato scarso attaccamento campanilistico e culturale e quarant’anni

dopo ha dato prova del tutto opposta? Va da sé‚ che la voglia di visitarlo ne sia stata

acuita. E finalmente ho avuto l’occasione. E ringrazio ancora una volta gli

organizzatori di questa serata che me ne hanno dato l’opportunità.

I nomi.

Anche per bilanciare Masciotta, che ha stigmatizzato un comportamento negativo, è

doveroso ringraziare qui coloro i quali a suo tempo, collaborando con Cirese, hanno

assicurato la documentazione a Bagnoli di un patrimonio folclorico di prim’ordine.

Certo, tempo ne è passato, alcuni di loro magari non ci saranno più Comunque ci

saranno figli, nipoti, parenti, conoscenti, ai quali sicuramente farà piacere sentirli

ricordare... E leggiamoli allora i loro nomi, nell’ordine in cui li ricordano Cirese

padre e Cirese figlio: Carolina Baiocco, Carolina Battaglia, Assunta Celano,

Giuseppina Ciarniello, ins. Silvio Ciarniello, Luigi De Vita, Francesco D’Onofrio,

Flora Minni, Pasquale Minni, ins. Matilde Pizzirani Pascasio, Carolina Sinistro, ins.

Chiarina Pascasio3. Nonché‚ Anselmo De Blasio e Modestina Lazazzera

4.

I canti: un libro nel libro

Canti bagnolesi dunque, presenti in tutte le sezioni dei due volumi di Cirese. Ripartiti

a piene mani: Ninne nanne, Canzoncine per l’infanzia e per i giochi, Preghiere5,

Scongiuri contro streghe e malocchio, Canzoni di amore e d’altro, Canti augurali per

Capodanno e Sant’Antonio Abate, Zembarelle e canzoni da ballo, Strofette e canti

carnevaleschi6, Satire politiche e amorose, Lamenti funebri (Repuote). Una vera

messe, come si vede.

Per ringraziare ancora una volta, e meglio, chi ce li ha tramandati voglio provare a

recitare, scusandomi della pronuncia, un canto il cui testo è da considerare tra i più

delicati e belli dell’intero patrimonio popolare molisano. E non è da credere questo

giudizio, dettato dalla circostanza, per ingraziarmi l’uditorio. Ho fatto riferimento a

questo canto già in qualche lavoretto edito7:

Bella figliola se te vuò fa’ bella

alzati a la prim’alba la matina,

pigliate la tinella e va’ pe d’acca

3 E. Cirese, I Canti popolari del Molise, vol. I, Rieti, 1953. 4 A.M. Cirese, I Canti popolari del Molise, vol. II, Rieti, 1957. 5 Eugenio Cirese, op. cit., tra l’altro ricorda la figura del “cieco di Bagnoli” seduto su un mucchio di pietre, con il boccale di vino a fianco, che dinnanzi a casa sua, a Fossalto, cantava i verbumcaro per

“rifriscare le anime del purgatorio”. E parla di uso in auge un tempo, quello di far recitare a

pezzenti tali preghiere nenie, mezze italiane, mezze latine, spesso indecifrabili. Del cieco di

Bagnoli, in particolare, è ricordata la voce lamentose e cantilenante, interrotta ogni due strofe dalla

pausa per attingere un sorso di vino dal boccale. 6 Tra cui “La canzone dei Mesi” e “La dichiarazione di Carnevale” (Sanghe de Serinella). 7 Per esempio, Giovanni MASCIA, Fontane del Molise. Calendario ERIM (Ente risorse idriche del Molise), Campobasso 1995.

ch’a la fonte ce sta lu nnammurate;

la fonte sta chiperte a matinelle,

la tina è d’ore e la patrona è bella.

L’acca de chésta fonte è luce luce,

chiù luce la tinella e chi•ia l’adduce;

chiscì te luce ru pette e la canna,

come luce ru sole pe la campagne;

chiscì te luce ru pette e ru vise,

come luce la stelle in paradise.

Per ricollegarmi all’accenno a Felice del Vecchio e alla sua Chiesa di Canneto, come

inno della valle del Trigno, voglio ricordare anche una modesta strofetta, raccolta a

Bagnoli, la quale con leggera variante può leggersi anche nella Chiesa di Canneto,

Sciocca sciocca

a la via de la Rocca

a la via de Castellucce

e ce mettéme re cappucce.

La variante di Roccavivara riportata da Del Vecchio ha invece di via, muntagne e

l’ultimo verso e ce magname pane e cappucce.

Bagnolesi nel mondo

Per chiudere il discorso sulla ricchezza del patrimonio folclorico di Bagnoli, è

doveroso accennare ai bagnolesi nel mondo, alla diaspora bagnolese, che non è

limitata ai botticellari, ai tassisti di Roma, ricordati prima. Si allude alla lodevole

iniziativa dei bagnolesi nel mondo di mettere su negli anni ‘70 un notiziario annuale

di notizie, folklore e cultura bagnolese.

I quali emigrati avevano già data materia per un paio di canti, che ovviamente non

potevano sfuggire alla sagacia dei ricercatori facenti capo a Cirese: canti per la verità

molto famosi, specie quello intitolato a Le muglie de ri merichiane, e perciò presenti

anche altrove8.

8 Ecco i due testi, Cirese vol. I,:

*

Mariteme dalla Merica nem me scrive,

nen r’haie fatte nemméne na mancanze;

na mancanza sola r’haie fatte,

n’avéva une e mo ne trova quattre.

E zitte marite mie ca nun è niente,

re manname a Napule pe farne re studiente.

*

Le muglie de re merichiani

viane a la chiesa che sette suttane,

ze nginocchiane devante Die:

- Manna quatrine chiurnute mie.

Re quattrine che mi è mannate

Il Carnevale dei Mesi a Bagnoli del Trigno

L’autore

Ma per arrivare finalmente al libro in presentazione questo pomeriggio, è doveroso

spendere alcune parole sull’autore, su Mauro Gioielli, che senza dubbio è oggi il

maggior folclorista molisano.

Ricercatore attivo, Gioielli è costantemente impegnato, direi a tempo pieno, in studi

che riguardano feste e rituali, fiabe e leggende, canti e strumenti musicali del

patrimonio molisano e non.

Ha partecipato a convegni nazionali e all’estero; cura una rivista internazionale

monografica sulle cornamuse, che si va sempre più caratterizzando come palestra

editoriale per la conoscenza etnografica in genere.

Apprezzato folk-singer, ha tenuto concerti in Europa e oltreoceano; ha composto

canzoni e inciso dischi.

Esperto di narrativa popolare, ha rintracciato e catalogato pressoch‚ tutto il repertorio

dei racconti tradizionali molisani. Ha collaborato con Mondadori per la Collana di

fiabe regionali.

Direttore artistico di manifestazioni folcloriche, ha riscoperto e dato giusta valenza

antropologica a importanti rituali.

Tra le sue pubblicazioni:

La zampogna molisana (1981), Fiabe isernine (1984), La processione del Cristo

morto (1987), Fiabe molisane (1988), Bagpipes in Greece (1989), Popolare e

popolaresco: la canzone anonima e quella d’autore nel dialetto molisano (1992);

Contributo allo studio del carnevale molisano (1993), Fiabe, leggende e racconti

popolari del Sannio (1993).

Polemica simpatica

Ma perché questa presentazione di Gioielli non assuma i connotati di un panegirico,

eccessivamente laudativo, accennerò a una garbata polemica. Ben sapendo, così

facendo, di riconoscergli meriti anche nel campo creativo, non solo in quello della

ricerca etnografica.

Mi permisi di sollevare la polemica anni addietro a proposito delle citate Fiabe

molisane (1988)9. Gioielli aveva arricchito il volume con una sua personale teoria

circa la nascita della fiaba popolare. Teoria, a dire il vero molto suggestiva, che

intitolò alla scacchiera, articolando dei paralleli tra gli elementi e lo sviluppo creativo

della fiaba e gli elementi e lo sviluppo della partita a scacchi.

Pur dicendomi non eccessivamente convinto della sua creazione teorica, soprattutto

da scacchista praticante, riconobbi e riconosco oggi a Gioielli ogni merito. Basta

pensare alla compagnia di scrittori, scomodati per l’occasione per tenergli testa. Mi

limito a ricordare lo statunitense William Faulkner e il cinese Acheng, quest’ultimo

me r’haie frusciate che re nammurate,

tiretùppete e pane grattate,

cheste so’ le corne ch’aie truvate. 9 Giovanni MASCIA, Il principio magico in «Mondo-Molise», Set.-Ott. 1989.

tra i più letti e tradotti scrittori al mondo in questi ultimissimi anni. Se non il più letto

e tradotto in assoluto.

Il senso delle ricerche Per scendere finalmente al libro di Gioielli, a Il carnevale dei mesi a Bagnoli del

Trigno, bisogna dirsi d’accordo con il principio di fondo che ha animato anche questo

libro. Tra le righe della ricerca di Gioielli, così come dallo stesso annotato, “riappare

un tempo trascorso. Ma senza nostalgie: si vuol documentare la storia-dei-poveri, non

enfatizzarla o, peggio, rimpiangerla”.

Anche per Gioielli è valso il principio che dovrebbe valere per chiunque opera nel

campo: nessuna spinta nostalgica, ma solo l’impulso alla conoscenza del mondo del

nostro passato, un mondo che è stato detto della civiltà contadina, per non dirlo della

fame e della miseria. L’impulso alla conoscenza e il consapevole slancio a vivificare

l’anelito alla solidarietà (oggi tutti ne parlano), alla condivisione, tipico dei contadini,

che oggi rischia di scomparire per sempre con lo sparire del loro mondo.

Il carnevale in genere

Le ambasce legate alla civiltà della fame e della miseria, una volta all’anno, erano

messe da parte. Il grigio di un’esistenza monotona e stentata è mandato all’aria

almeno per un giorno nell’arco dell’anno. Come scriveva Jovine in un articolo

rimasto famoso, citato più volte anche da Gioielli, Rappresentazioni all’aperto: “Le

mascherate [e quindi il carnevale] ritorna come ritornano le stagioni, come ritornano i

lavori dei campi, le feste, i riti per i morti e per i vivi”.

Non è il caso di dilungarsi qui sulla valenza del Carnevale in genere, di questo

periodo dell’anno, in cui come dicevano i latini, licet insanire, è lecito impazzire.

Semel in anno, però, una volta all’anno. Periodo della trasgressione, in cui il mondo

viene messo sottosopra, a capecule, come dico io, o alla rovescia, come dice

Cocchiara già nel titolo di un libro famoso. Trasgressione su cui non è riuscito ad

avere la meglio neppure il formalismo perbenista di una chiesa bimillenaria.

Trasgressione che si formalizza coralmente nella rappresentazione mascherata.

Riguardo al cui tessuto poetico e drammatico, sempre Jovine ebbe a parlare di

“iterazioni ingenue, assonanze, elementare espressione di rozzi sentimenti. Siamo

all’alba del teatro; qui si ripete il miracolo della nascita della rappresentazione per

generazione quasi spontanea. È fatto antichissimo, primordiale [...] che si rifà nuovo

per la freschezza con cui il miracolo si ripete”.

Varrebbe la pena di rileggerla tutta, quella bella pagina di Francesco Jovine. Facendo

i conti con il tempo a disposizione, dobbiamo almeno ricordare la chiusa. “Non so -

scrive lo scrittore molisano - se il lontano ricordo e le posteriori esperienze di cultura

mi portino a caricare di troppi significati queste prime feste della mia infanzia”. Di

certo sarebbe imperdonabile, lasciar perire “l’immagine viva che [gli] è rimasta nella

mente dei canti, dei balli, del tenero sole di febbraio, del sentore delle prime viole e il

gran ridere degli spettatori, i loro frizzi salaci, e il pungente senso dell’umano che era

in tutto lo spettacolo”.

Il libro di Gioielli, in particolare

Introduzione

Consci di ciò, La compagnia di Cultura Popolare “La perla del Molise” di Bagnoli, il

suo presidente, quanti a Bagnoli sentono urgere il bisogno di non lasciare disseccare

le radici, hanno rinverdito da qualche anno l’antico rituale dei Mesi. E hanno affidato

a uno specialista il compito di documentarne la valenza antropologica e culturale.

Proponendo il tutto, rappresentazione del rito carnevalesco e libro, in prima battuta a

un attore, uno spettatore, un lettore ideale che è il bagnolese tipo: sia esso contadino o

studente, casalinga o professionista o pensionato... Ma proponendo altresì

rappresentazione e libro anche all’attenzione della popolazione molisana tutta, e di

quanti avranno la fortuna di imbattersi in essi.

E il libro puntualmente si offre al lettore in uno stile immediato, essenziale e

divulgativo (anche se documentato e “scientifico”).

L’Introduzione di Mauro Gioielli si sofferma sull’afflato poetico, insito nello scorrere

dei mesi, nel giro delle stagioni, che imbeve le culture delle varie epoche, dalle

primitive, alle greco-romane, alle medievali, etc. e, soprattutto, imbeve la cultura

contadina chiamata a confrontarsi momento per momento con lo scorrere del tempo e

con gli sconvolgimenti che il tempo cronologico e il tempo meteorologico portano

con sé.

Il tempo, scandito dal tornare perenne delle stagioni, il tempo che modella l’antica

sapienza della cultura contadina, il tempo non rettilineo, il tempo circolare, che si

ripiega su se stesso e sembra non portare da nessuna parte, per ribadire in eterno un

mondo sempre uguale. Oggi come ieri. Domani come oggi. Un mondo immutabile,

senza futuro, quindi, che aveva bandito il futuro dai propri orizzonti.

Significherà pure qualcosa la circostanza che rileva nei dialetti del nostro mondo

contadino l’assenza del tempo futuro. Io dirò, io farò, io partirò: non esiste un modo

siffatto di proporsi. C’è solo il presente per affrontare l’oggi, ma anche il domani. Il

presente, ed eventualmente, un avverbio di tempo: - Domani dico, il mese che entra

faccio, l’anno che viene parto.

Gioielli crede di fondare il rituale dei Mesi, così come riproposto da qualche anno a

Bagnoli e in altre comunità molisane, su antiche ballate medievali. Tanto per non

rimanere sul generico, ricorda i nomi di Bonvesin de la Riva, che ci ha lasciato un

Tractato dei Mesi, e di Folgore da San Gimignano, con la sua famosa Corona di

sonetti dedicati ai Mesi. Opere entrambe riconducibili al finire del ‘200 e al

principiare del 1300. E in effetti la larga popolarità dei sonetti di Folgore, in

particolare, autorizza l’ipotesi di una loro volgarizzazione. I consigli, che il poeta si

permette di dare a un’allegra, ricca, signorile e giovane brigata per godere nel

migliore dei modi delle opportunità offerte dai diversi mesi dell’anno, assursero a

grande risonanza. Prova indiretta ne è la non meno celebre parodia che di essi fece

Cene de la Chitarra di Arezzo. Come Folgore si industriava a sottolineare e

raccomandare i piaceri e i frutti legati ai diversi mesi, così Cene rimarca i crucci, le

pene, i fastidi, che gli stessi mesi apportano a una malconcia e scalcagnata brigata di

poveracci. C’è da sorprendersi anzi, per completezza di discorso, che, stante la

predisposizione del Carnevale a mettere a testa in giù il mondo di tutti i giorni, i

sonetti parodistici di Cene de la Chitarra non abbiano inciso con maggior forza sul

tessuto poetico delle strofe popolari dei Mesi, a Bagnoli, come in Molise, come

altrove.

I Mesi di Bagnoli

Liquidata la doverosa introduzione, Mauro Gioielli passa a illustrare il rituale dei

Mesi a Bagnoli, precisando come esso si sia ricompattato nel 1992 non più attorno

alla sfilata dei Mesi impersonificati dagli abitanti del luogo, ma attorno alla sfilata dei

carri allegorici, in linea con quelli che oggi sono i Carnevali che vanno per la

maggiore in Italia. Ma in linea anche con qualche antica tradizione carnascialesca

locale (Isernia, per esempio).

I carri assumono così il ruolo di palcoscenici mobili che, al comando ognuno del

rispettivo capo-carro, esibiscono i segni, i simboli, le cerimonie atte a rappresentare i

dodici Mesi. Su di essi, anno per anno, viene allestito un vero e proprio museo della

civiltà contadina, un museo che non dormicchia in penombra in attesa dello sparuto

visitatore, ma che nel chiasso e nell’allegria si fa simpaticamente incontro ai

visitatori. Proponendo loro, in primis, sul tettuccio del trattore, il tabellone con la

quartina relativa al mese illustrato.

Gioielli opportunamente riporta il testo della Canzone dei Mesi, secondo tre versioni,

rimandando il lettore anche a una quarta, raccolta e pubblicata da Cirese a suo tempo,

nell’opera più volte citata.

La prima versione proposta da Gioielli, sulla falsariga del testo ciresiano, si deve

all’ins. Silvio Ciarniello. La seconda è quella trascritta sui tabelloni dei carri. La

terza, infine, è quella raccolta dalla Compagnia di Cultura Popolare “La perla del

Molise”, della quale è presentata anche la musica raccolta a Bagnoli da Gioielli stesso

e trascritta da Pietro Ricci.

Un’analisi sommaria delle varianti proposte porta Gioielli a parlare di evoluzione.

Significativamente l’attacco delle varie strofe, che in Cirese e in Ciarniello (le

versioni più antiche) è Ie singhe (Io sono), si trasforma nelle altre due varianti in

Ecch (Ecco), che sembra meglio indicato a presentare non più il mese-persona, ma il

mese-carro. Con l’eccezione, però, costituita dalla strofa di Maggio, che continua

anche nelle versioni più recenti a valersi della formula introduttiva Ie singhe. E

stando così le cose, davvero non si vede perché non si è lasciato in essere la vecchia

formulazione, con la quale, tra l’altro, si sarebbe evitata la curiosa e brutta

circonlocuzione per introdurre il discorso diretto di Febbraio, “che mi disse” etc.

Ma quello che è più, le versioni semiculte di Cirese e Ciarniello, giocate su una

falsariga costituita da una quartina di endecasillabi, a rima o consonanza o assonanza

alternate, risultano essere, nelle altre due versioni, alquanto annacquate, per dire così.

È evidente lo scadimento formale della Canzone.

Un solo esempio. Agosto, che richiama alla mente le perniciosissime febbri

malariche. Agosto in Cirese e Ciarniello, valorizzando le consonanze alternate e

semiconsonanti tra loro di accuste/cumpuoste - pulluastre/vostre, si presenta così:

Ie singhe auste che lu male accuste

e lu mideche mi ordina lu pulluastre

me lu ordina richina e ben cumpuoste

bon giorno a signuria a le facce vostre.

Nelle versioni ultime (La perla del Molise) la strofa diventa:

Ecch Agusct e ch la malatia

l midc ordena la gallina

la ordena ben fatta e ben chemposta

bongiorn a signeria, a la faccia vostra.

Anch’essa a dire il vero introduce un’assonanza, gallina/malatia, che però non lega

con gli altri due versi. E, poi, adagiandosi su un doppio distico baciato, riesce

sicuramente meno elegante.

In conclusione, e facendola breve, più che di evoluzione sarebbe meglio parlare di

involuzione. C’è, quindi, da essere ancora più grati a Ciarniello e a Cirese.

Francische, il Pulcinella bagnolese

Molto interessante è il capitolo intitolato e dedicato a Francische ru giulliere.

Di questa emblematica figura carnevalesca sembravano sussistere a Bagnoli, con

qualche sentito dire, solo vaghi ricordi. Per fortuna, il ricercatore Gioielli ha potuto

contare su una precisa base di partenza, che si è rivelata gravida di sviluppi. Manco a

dirlo, la base di partenza era ed è data da Cirese, con il canto di Francische,

conosciuto con il titolo ripreso dal verso iniziale Sanghe de serinella e corredato da

annotazioni riferite al canto e ai personaggi dal canto evocati. E quant’anche fosse

per questo unico caso particolare, sarebbe ancora una volta da benedire l’opera di

Cirese e dei suoi attivi collaboratori bagnolesi. E da benedire con essa ogni altra

opera di seria raccolta di documenti della cultura popolare.

L’analisi delle indicazioni sparse nel canto, il far leva su di esse per stimolare e

risvegliare ricordi negli anziani del paese, hanno compiuto il miracolo. Una figura

evanescente si è andata a poco a poco concretizzando in movenze, abbigliamento,

accessori. Quello che era diventato un puro nome, Francische ru giulliere, è finito

per incarnarsi nel “Re del Carnevale”, in colui che in groppa a un somaro apre la

sfilata dei carri del Mesi a Bagnoli del Trigno. Re del Carnevale, ma anche

incarnazione del Carnevale stesso, secondo il costume popolare d’incarnare in uomini

(e donne) concetti e miti (i Mesi a loro volta hanno offerto e offrono lo spunto per

l’incarnazione in mesi-persona).

Di Francische ru giulliere è stato riscoperto il vestito bianco, il cappello anch’esso

bianco, un cono alto circa mezzo metro, il bastone con la patata alla sommità, a mo’

di pomello, e tanti altri accessori particolari. Sul conto dei quali s’intrattiene Gioielli

per offrire al lettore i riferimenti più dettagliati, sia sotto il profilo storico, sia sotto il

profilo etnografico, sia, infine, sotto il profilo dell’esatta interpretazione della

simbologia popolare.

Francische ru giulliere è stato ricondotto da Gioielli, sulla scorta di una valutazione

accurata delle componenti iconografiche e comportamentali, nella tipologia del

Pulcinella: buffone, annunciatore, uomo d’ordine ed emblema per eccellenza del

Carnevale in Molise. Il capitolo è arricchito dalla comparazione di alcuni tipici

Pulcinella molisani: tra i quali, degni di ben figurare accanto al bagnolese

Francische, il Pulcinella di Scapoli (che fissa il Carnevale quale momento di

esaltazione del mondo a capecule, arraffando spaghetti dal pitale: dal vaso, cioè, cui

di norma altro orifizio, non la bocca, affida, non prende, cibo), e Martino (anch’egli

uomo di bianco vestito, con il tradizionale, bianco cappello conico, che nella

rappresentazione carnevalesca del Cervo a Castelnuovo al Volturno allarga la

tipologia dei Pulcinella: non già buffone, con le implicazioni più o meno facete e

scurrili di uomo d’ordine e annunciatore, Martino, il Pulcinella di Castelnuovo, è

l’eroe, il mediatore tra gli uomini e il cervo, tra l’umanità e la natura). Gioielli

profitta dell’occasione e seppure in punta di penna polemizza con chi, senza fortuna

in verità, ha cercato di recente di contaminare l’abbigliamento candido di Martino

con l’ombra di un mantello. Motivata non da sterile formalismo, la presa di posizione

di Gioielli è giustificata dalla necessità di preservare a Martino i tratti tipici del

Pulcinella.

Per tornare a Bagnoli e chiudere il discorso su Francische ru giulliere, merita di

essere ricordata una scenetta che lo vede protagonista. Nei panni del seduttore,

Francische è ingravidato dalla villanella da lui concupita, che in realtà è un

giovanotto in gonnella. “So’ iute pe fotte e so’ remaste futtute!” commenta lo

sconsolato Francische, che muore nel dare alla luce una figlia: un fantoccio rivestito

di nero, che ha nome Quaresima.

Tradizioni gastronomiche e musicali a Bagnoli

Gastronomia indissolubilmente legata al carnevale, al punto di battezzare alcuni

giorni importanti di esso, il mercoledì e il giovedì grasso con i nomi di alcune

pietanze tipiche di quel giorno.

Abbiamo così il Mercoledì casciaruole, perché in questo giorno le foglie (verze

bollite con le parti povere del maiale del maiale - ossa, cotiche e zampe) sono

abbondantemente condite con cacio.

E abbiamo così, proprio oggi, il Giovedì scherpellure, da scherpelle, le chiacchiere,

giovedì• grasso che altrove in Molise è anche detto gevedì lardielle.

Gioielli ha raccolto e annotato le ricette di alcune tradizionali pietanze bagnolesi.

Ovviamente esse non sempre possono vantare pretese di tipicità. Variano i nomi da

paese a paese, ma la coltura contadina aveva messo su cibi e pietanze di uso almeno

regionale.

Regionali sono infatti, per esempio, i calzencille, pasta sfoglia ripiegata a mezzaluna

con impasto dolce a base di ceci, calzoni, che in molte località molisane, a Toro per

esempio, costituiscono il dolce tipico del convito di San Giuseppe.

E ovunque in Molise, ma sicuramente anche oltre i confini delle stoppie molisane, era

conosciuto il panunto o la panonta, com’è registrata da Gioielli: spicchi di pizza di

granone condita con sfritto di maiale.

Vale la pena di ricordare il panunto, perché‚ ad esso è legata una filastrocca

carnascialesca ricordata dalla signora Lazazzera

Carnevale musse unte

z’è magnate la panonta

la panonta n’è bastate

Carnevale ze n’è scappate

Una variante della quale era già stata registrata da Cirese

Carnevale musse unte

z’è magnate ru panunte

e la moglie pe despiette

z’ha vennute le sese ‘n piette.

La versione di Cirese è di certo più pregnante, perché tra le righe dipinge Carnevale

per il mangione impenitente che è, il quale tiene a stecchetto la povera moglie

Quaresima, lunga e secca, tanto secca da autorizzare i sospetto di aver venduto il

seno: z’ha vennute le sèse ‘n piette.

Tradizione musicali a Bagnoli

Gioielli presenta uno strumento tipico di Bagnoli: la coppa de ru fuoche, che sarebbe

quell’ attrezzo chiamato altrove anche fressora, testo, coperchio.

Strumento paramusicale originalissimo, il cui uso non risulta essere attestato da

nessuna parte: la coppa va percossa con ditali metallici e con la parte inferiore del

palmo della mano.

“Coppa e bufù” - racconta di Felice Tosto informatore di Gioielli - “erano suonati

sempre”.

Occasionalmente a essi si univano chitarre, fisarmoniche e l’organetto, detto ru

secutasurge, lo scacciatopi, a Bagnoli, forse alludendo alla imperizia dei suonatori.

Gioielli approfitta della circostanza per una dissertazione, interessante come le altre,

sugli strumenti paramusicali e sul loro uso. Per esempio nello charivari.

Altri canti dei Mesi nel Molise

A titolo di esempio sono riportate due varianti molisane, con le relative musiche,

come le altre raccolte da Mauro Gioielli e trascritte da Pietro Ricci.

La variante di Isernia, dove oltre alle persone si addobbavano anche i carri, e uno in

particolare era riservato a Bacco, Re del Carnevale.

La variante della canzone dei mesi a Frosolone si caratterizza invece per il testo che è

del tutto in italiano. Circostanza questa che è abbastanza comune in Molise.

Documenti fotografici

Riguardano le edizioni moderne del Carnevale dei Mesi a Bagnoli del Trigno.

Specificatamente le edizioni 1994, 1993, 1992. Le referenze fotografiche sono di

Nino Di Paolo, Franco Mastrodonato, Nunzio Pallotta, Luigi Proietti.

Uno speciale ringraziamento a loro. Senza le loro foto il libro non sarebbe quello che

è: uno strumento serio, scientifico, ma anche divulgativo e, se è possibile, turistico.

APPENDICE:

I proverbi del Calendario

Siamo in presenza di un piccolo saggio dei numerosissimi proverbi molisani che

fanno riferimento al calendario, parlando del tempo, delle stagione e soprattutto dei

mesi. Il capitolo è introdotto da una formula comportamentale che può benissimo

essere riferita alle feste in genere e al carnevale in particolare.

Na vote all’anne

Die u cummanne;

na vote u mese

porta sp‚se;

Tutte i iurne

è nu taluorne

che si trova spesso registrato capovolto, a cominciare dai giorni e finire all’anno.

Siamo in presenza, come si vede, di una perifrasi del già citato Semel in anno licet

insanire degli antichi latini. Una volta all’anno ci si può persino permettere il lusso

d’impazzire (di gioia, ovviamente).

E giacché ci siamo voglio ricordare un altro proverbio latino, che fa riferimento

anche alla cadenza mensile da assegnare a una pratica, diciamo così igienica, per non

meglio specificarla, essendo del tutto inutile farlo, dal momento che si capisce

benissimo a cosa si alluda:

In die perniciosum;

in hebdomada utile;

in mense necessarium.

(Dannoso tutto i giorni, utile settimanalmente, necessaria almeno una volta al mese).

Per chiudere il discorso sul capitolo, voglio ricordare due proverbi molisani, non

citati. Il primo di impronta carnevalesca è riferito proprio alla giornata di oggi, il

giovedì grasso, il gevedì lardielle che secondo l’adagio va onorato senz’altro:

Gevedì lardielle

chi n’tè carne z’ampégne u cappielle

Che non credo abbia bisogno di traduzione.

Il secondo proverbio è invece riferito a Maggio e suona molto simpatico, sfatando un

po’ l’immagine del mese tutto rose e fiori che ci è data dal Canto dei Mesi:

È maie

e ancore fridde haie

se nen vè luglie meture

nen m’arescalle u cule

È maggio, ed ho ancora freddo; se non viene Luglio maturo (pieno) non mi riscaldo.

La fiaba dei Mesi

Bella l’idea di corredare il libro sul Carnevale dei Mesi a Bagnoli con la “Fiaba dei

Mesi” tratta dal Pentamerone, ovvero Lo cunto de li cunti, di Giambattista Basile.

Bella l’idea perché la fiaba risulta del tutto in linea con il tema: i dodici Mesi visti

come dodici giovani fratelli ripagano di moneta buona o cattiva rispettivamente i due

protagonisti, tanto gentile l’uno quanto scostumato il secondo.

Ma bella soprattutto l’idea perché Lo cunto de li cunti di Basile è libro che ha con

forza inciso sul nostro patrimonio favolistico e folclorico in genere. Di molte delle

cinquanta fiabe in esso raccolte, sono conosciute varianti molisane.

Bella l’idea di Gioielli perché Basile è autore interessantissimo che andrebbe

conosciuto e studiato con ogni accortezza da parte di ricercatori e appassionati del

patrimonio culturale popolare.

Basile è una miniera per lo studio della lingua, del dialetto, degli usi, dei costumi, dei

giochi, delle canzoni, dei balli, delle musiche nell’Italia meridionale in genere e nel

napoletano in particolare. Uno scrigno dove cercare mille e mille informazioni sul

Seicento dalle nostre parti.

Un solo esempio: la “Fiaba dei due fratelli” è un formidabile repertorio di proverbi

del tempo, che il padre morente lascia come bussola per il comportamento dei figli.

Si tratta di proverbi, non occorre dirlo, anch’essi largamente diffusi nel nostro

territorio.

Tutto ciò per non parlare della sapienza stilistica di Basile. Basta citare i nomi di due

dei suoi innamorati: Benedetto Croce, cui si deve una traduzione bellissima ma ormai

datata (1924) e Italo Calvino.

Giova aggiungere che proprio in questi giorni è comparsa una nuova aggiornata

traduzione della raccolta di Basile con il titolo Racconto dei racconti, è curata da

Ruggero Guarino ed edita da Adelphi. Sta avendo un’accoglienza davvero entusiasta.

Valga per tutte la recensione fiume di Pietro Citati, grande critico, sul paginone

centrale della “Repubblica” di pochi giorni fa.

Bibliografia del Carnevale dei Mesi nel Molise e Bibliografia generale.

Un vero punto di forza nel libro di Gioielli, a parere di chi vi parla, è costituito

dall’apparato bibliografico, ponderoso e accurato. La bibliografia specifica del

Carnevale dei Mesi nel Molise conta ben 80 titoli, nonostante la prudente avvertenza

dell’autore, che senza alcuna pretesa di esaustività si è rifatto solo alla propria

biblioteca personale: biblioteca ben fornita, bisogna dire.

La bibliografia generale allinea, invece - se abbiamo contato bene, 136 titoli. Una

manna anch’essa per chi voglia approfondire lo studio di tematiche carnevalesche in

genere.

E qui vale la pena di sgombrare il campo da ogni equivoco. Spesso i repertori

bibliografici sono un’arida elencazione di luoghi comuni: si riprendono e si

rimandano da libro a libro, acriticamente. Del tutto meritato, in questi casi, lo

sberleffo che Miguel de Cervantes, nella Prefazione del Don Chisciotte, indirizza agli

scrittori che ostentano titoli e nomi di autori, in realtà mai letti. Miguel de Cervantes

si finge scoraggiato per la povertà del paratesto (sonetti introduttivi, dediche

magniloquenti, risposte altrettante magniloquenti di mecenati illustri, bibliografia,

etc.) del suo capolavoro. Scoraggiato a tal punto, che non vorrebbe più pubblicare.

Per fortuna della letteratura mondiale, ci pensa un amico a tirarlo fuori d’impaccio

con consigli che smascherano il comportamento scorretto di certi autori. In

particolare, facendo riferimento alla lista degli autori da citare, l’amico suggerisce:

Veniamo ora alla citazione degli autori che si trovano negli altri libri, mentre

mancano nel vostro. A questo si può trovar rimedio assai facilmente, perché non

avete altro da fare se non cercare un libro che li citi tutti, dall’A alla Z, come voi

dite. Ebbene, riportate questo stesso indice alfabetico nel vostro libro: anche se la

bugia è evidente, data la scarsa necessità che avevate di servirvi di essi, non

importa nulla, e forse ci sarà qualcuno così ingenuo da credere che li avete

consultati tutti nella vostra storia semplice e schietta. E qualora quel lungo elenco

di autori non servisse ad altro, per lo meno servirà a dar subito autorità al libro.

Inoltre, non ci sarà nessuno che si metta a controllare se ve ne siete servito o no,

non venendogliene alcun guadagno.

La Prefazione al Chisciotte, una pagina magistrale di satira pungente e scoppiettante.

Mi sono divertito a rileggerla e a proporla, con l’avviso che non si attaglia affatto al

caso di Gioielli. La sua Bibliografia del Carnevale dei Mesi nel Molise è bibliografia

ragionata. I testi indicati sono vagliati uno per uno con chiose utili al lettore. Spesso

le indicazioni di Gioielli si condensano in analisi critiche vere e proprie. Si vedano,

per tutte, le annotazioni a margine del II e del III volume di dattiloscritti di Silvio

Ciarniello, I canti del mio paese.

Insomma, e non c’era da dubitarne, Gioielli le sue fonti, i suoi autori, se li è studiati

accuratamente, uno per uno. E ne ha reso conto al lettore, che in tal modo prende atto

del percorso cognitivo ed elaborativo che sottende alla stesura del libro.

Conclusione

Al quale libro auguriamo la migliore fortuna. La merita. È superfluo aggiungere

parola a quanto fin qui siamo venuti esponendo. E pure è doveroso riepilogare il

giudizio largamente positivo. Il Carnevale dei Mesi a Bagnoli del Trigno di Mauro

Gioielli è un bel libro. Auguri e complimenti all’autore.

Auguri e complimenti alla Compagnia di Cultura Popolare “La perla del Molise” e al

suo presidente, Franco Mastrodonato, che con questa edizione hanno voluto dare

ancora più spessore culturale all’azione meritoria di riscoperta e valorizzazione del

patrimonio culturale popolare di Bagnoli.

I migliori auguri e ogni fortuna per il Carnevale dei Mesi a Bagnoli, e per la

popolazione bagnolese tutta, il cui entusiastico coinvolgimento ha reso e rende

possibile una manifestazione che si va accreditando tra le più serie e meglio innestate

alle radici della tradizione. E, sciogliendo il dubbio dal quale sono partito, riesce

chiaro come i bagnolesi siano fortemente attaccati al loro paese e alla loro cultura.

Masciotta, poveretto, dové incappare a suo tempo nella tipica eccezione. Magari suo

corrispondente da Bagnoli fu un parroco non nato in paese.

Ai presenti, con gli auguri, vanno i ringraziamenti più sentiti per l’attenzione e la

disponibilità nei confronti di chi modestamente ha voluto testimoniare della bontà del

libro e della manifestazione carnevalesca.