Cristianizzazione e scelte politiche : il caso della Caria (Lecture)

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Cristianizzazione e scelte politiche: il caso della Caria Ebbi modo lo scorso anno di parlare su "Possanza ed ambiguità a Bisanzio: la legge, la chiesa"; non ripeterò quanto detto in quella occasione. Eviterò, inoltre, un orizzonte molto ampio - impero bizantino - per non cadere in facili generalizzazioni; mi fermerò ad un vasto territorio, la Caria, che da parte sua documenta processi e sintomi riscontrabili in gran parte dei territori dell'Asia Minore. Escludo, per ovvie ragioni, tutti і dati relativi all'evangelizzazione in Asia Minore, iniziando da S. Paolo per terminare coi martirologi e synassario. Nell'editto di Tessalonica (Cunctos populos: C.Thoed. XVI,1,2 del 380) il legislatore pone la religio (termine giuridico) che l'apostolo Pietro ha trasmesso ai Romani (termine giuridico) come lex per tutto il popolo a lui sottomesso. La istituzionalizzazione della Christiana religio esige una separazione fra la "buona novella" (εναγγέλιον), intesa come annunzio gratuito, e la lex, che, per sua natura, obbliga; e questo sia detto pur se nell'editto, per esplicare il nuovo Dio, trino ed unico, il legislatore fa appello alla apostolica disciplina et euangelica doctrina, cioè all'enunciato dogmatico di Nicea I. Da aggiungere a proposito che Teodosio nel suo editto prende vescovi isolati come referenti per la Christiana religio; bisogna aspettare Marciano e poi Giustiniano per avere il concilio ecumenico come punto di riferimento. Si tratta allora di scelte politiche - legislative - che hanno causato la cristianizzazione, e non viceversa. Status quaestionis in Caria V'è qualche chiarimento da illustrare prima di inoltrarci nel territorio. La presenza di vescovi carii nei due concili ecumenici di Nicea (325) e Costantinopoli (381), se testimonia da una parte la presenza ufficiale della chiesa, non forza un processo di cristianizzazione che è a venire. Ancora, l'attenta analisi fatta tempo addietro sul ruolo che il vescovo ebbe vis-à-vis con il tempio pagano resta di grande pregio, pur se è doveroso ricordare che і decreti citati da vari studiosi, spesso ignari del jus imperiale, diventano diritto vigente (І leges generales) per tutto l'impero solo dopo la pubblicazione del Theodosianus all'inizio del 439. Da quanto sappiamo sulla Caria, come si dirà, riterrei che la "cristianizzazione" di aree già sacre, e creazioni 1

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Cristianizzazione e scelte politiche: il caso della Caria

Ebbi modo lo scorso anno di parlare su "Possanza ed ambiguità a Bisanzio: la legge, la chiesa";

non ripeterò quanto detto in quella occasione. Eviterò, inoltre, un orizzonte molto ampio - impero bizantino

- per non cadere in facili generalizzazioni; mi fermerò ad un vasto territorio, la Caria, che da parte sua

documenta processi e sintomi riscontrabili in gran parte dei territori dell'Asia Minore. Escludo, per ovvie

ragioni, tutti і dati relativi all'evangelizzazione in Asia Minore, iniziando da S. Paolo per terminare coi

martirologi e synassario.

Nell'editto di Tessalonica (Cunctos populos: C.Thoed. XVI,1,2 del 380) il legislatore pone la

religio (termine giuridico) che l'apostolo Pietro ha trasmesso ai Romani (termine giuridico) come lex per

tutto il popolo a lui sottomesso. La istituzionalizzazione della Christiana religio esige una separazione fra la

"buona novella" (εναγγέλιον), intesa come annunzio gratuito, e la lex, che, per sua natura, obbliga; e questo

sia detto pur se nell'editto, per esplicare il nuovo Dio, trino ed unico, il legislatore fa appello alla apostolica

disciplina et euangelica doctrina, cioè all'enunciato dogmatico di Nicea I. Da aggiungere a proposito che

Teodosio nel suo editto prende vescovi isolati come referenti per la Christiana religio; bisogna aspettare

Marciano e poi Giustiniano per avere il concilio ecumenico come punto di riferimento. Si tratta allora di

scelte politiche - legislative - che hanno causato la cristianizzazione, e non viceversa.

Status quaestionis in Caria

V'è qualche chiarimento da illustrare prima di inoltrarci nel territorio. La presenza di vescovi

carii nei due concili ecumenici di Nicea (325) e Costantinopoli (381), se testimonia da una parte la presenza

ufficiale della chiesa, non forza un processo di cristianizzazione che è a venire. Ancora, l'attenta analisi fatta

tempo addietro sul ruolo che il vescovo ebbe vis-à-vis con il tempio pagano resta di grande pregio, pur se è

doveroso ricordare che і decreti citati da vari studiosi, spesso ignari del jus imperiale, diventano diritto

vigente (Іleges generales) per tutto l'impero solo dopo la pubblicazione del Theodosianus all'inizio del 439.

Da quanto sappiamo sulla Caria, come si dirà, riterrei che la "cristianizzazione" di aree già sacre, e creazioni

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di nuove - cioè una nuova urbanistica - vede la luce generalmente dopo il 435. E tuttavia non ci è lecito

ritenere che questo processo di conversione, il cambio di status, sia stato veloce, né tanto meno generale e

capillare.

Il C.Iust. I, XI, rubricato De paganis sacrificiìs et templis (rievocando il C.Theod.), riporta una

costituzione di Valentiniano e Marciano (C.Iust. I, XI, 7 del 451) che vieta non solo di recarsi nei templi che

sono stati una volta chiusi, ma anche di accendere fuochi sugli altari profani, bruciare incenso, ammazzare

le vittime (libagioni), appendere ghirlande; il fenomeno persiste, come si vede e non si ferma. Nello stesso

titolo vi sono altre due costituzioni giustinianee, non datate, che toccano elementi nuovi e d'una certa

importanza (C.Iust. I, XI, 9 e 11). Nella prima l'imperatore, oltre a confermare la legislazione passata

relativa al paganesimo, interdice qualsiasi forma di liberalità che tocchi "l'empietà dell'ellenismo". La

seconda costituzione (I, XI, 11) si potrebbe tentativamente datare al 529 e riconosce la persistenza dei

pagani (Elleni) nell'impero. V'è un enunciato in questa costituzione di un certo interesse per quanto qui si

dice. Giustiniano proibisce qualsiasi insegnamento condotto da malati del sacrilego ellenismo (par. 2). Una

misura analoga è intravista anche nella costituzione I, V, 18, 4 che, come la precedente, nega l'annona al

retore pagano (anno 529). In questo anno, al dire di Malaias, vi fu una considerevole "persecuzione" dei

pagani da parte di Giustiniano, che inoltre emanò un decreto inviato ad Atene col quale si annullava anche

l'insegnamento della retorica e della legge.

- La Caria: і centri urbani

Il territorio interno montagnoso e la costa frastagliata e spesso montagnosa evidenziano la

"lontananza" - mi riferisco ovviamente al periodo cristiano - dai plessi urbani; і lunghi promontori,

montagnosi, di Halicarnassus e soprattutto quello di Loryma sono ardui nell'attraversamento e difficili da

controllare. Considerando che il Golfo Ceramico e quello di Simi erano intensamente puntellati da

insediamenti e villaggi (molti di origine ellenistica) avvicinabili soprattutto via mare, il significato di

"lontananza" implica una indeterminazione di tempo ed anche di modalità nello sviluppo della

cristianizzazione. Ben si sa come inizialmente la Caria fosse legata alla Frigia; Aphrodisias divenne la

capitale della Caria (fra il 301-305) quando vi fu il distacco dalla Frigia. Mi sembra doveroso infine

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sottolineare, in un contesto geografico come il nostro, la distanza della metropoli dalla fascia urbana

mediterranea considerando la modalità esecutiva d'una legge (la sua effettiva messa in opera), sia essa a

carattere civile о ecclesiastico, all'interno dei territori appartenenti all'estreme città sud-occidentali.

Giustamente si disse che la cristianizzazione era formalmente un processo mentale. I Cari erano

inizialmente abitanti delle alture, e la natura aspra e montagnosa della regione ha evidenziato

archeologicamente questa caratteristica. Questa linea interpretativa ha trovato riscontro nella permanenza di

abitanti in piccole borgate e la continuità dei culti indigeni; questi ultimi creavano una dinamica di influenze

e sincretismi molto originali. Il lavoro archeologico di queste ultime decadi ha obiettivamente trasmesso una

miriade di insediamenti, molti ellenistici, di gran lunga superiore in numero a quanto di bizantino si può

rinvenire nello stesso ristretto territorio. A questa considerazione se ne aggiunga un'altra: il periodo

cristiano vede in genere scendere gli insediamenti a valle о presso le città - si abbandonano le alture - a

meno che eccezionalmente si vada a rivisitare un luogo sacralizzato da un santuario.

Ritengo che vi sia poco da aggiungere all'analisi fatta sulle iscrizioni relative ad Asclepiodotus

di Aphrodisias. Coadiuvate dalla Vita di Isidoro e da quella di Severo, patriarca di Antiochia,

rispettivamente scritte da Damaselo e Zaccharia Scolastico, le iscrizioni, individuano, contestualizzandolo,

Asclepiodotus, cittadino di Aphrodisias. V'era, così, una fucina di filosofia pagana sostenuta anche da un

certo Asclepiodotus di Alessandria. Se, dunque, si accerta la persistenza d'un pensiero filosofico di matrice

pagana in questa città verso la fine del V secolo (Palmatus 2), mi sembra prematuro, al momento

certamente imprudente, estendere una tale situazione a tutte le altre città carie. Che Asclepiodotus di

Aphrodisias abbia avuto una propensione filosofica è desumibile dalle iscrizioni e indirizza in questo modo,

con l'ausilio dell'omonimo alessandrino, a pensare ad una scuola in città. Un frammento di Damaselo

illustra la città come sede centrifuga di pratiche religiose, il che sta a dire che studenti di altre città si

volgevano ad Aphrodisias per attingere un'antica saggezza. Le informazioni desunte dalle due fonti ed

incrociate con l'evidenza epigrafica in loco hanno allargato il milieu culturale della città; l'epigrafia

racconta la cura e і benefici che Asclepiodotus ha versato sulla città. Se è da pensare ovviamente ad una

coesistenza di pagani e cristiani, e questo va ben oltre la fine del V sec., quanto mi preme sottolineare è

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l'attitudine ancora viva di benefattori della città in questo periodo pregiustinianeo. A parte Asclepiodotus,

un buon numero di altri cittadini, tra cui il vir illustrìs Pytheas, quasi certamente pagano, sono intervenuti

per l'abbellimento monumentale della città (nuovi interventi e/o restauri).

Non simile certo ad Aphrodisias, ma un analogo milieu culturale rinvenuto a Keramos,

Stratonikeia e Mylasa lascia vedere uno sviluppo nel processo di cristianizzazione che naturalmente anche al

tempo di Asclepiodotus si concretizzava nella metropoli. Due interessanti e colte iscrizioni sono state

rinvenute a Keramos e relative ad un solo personaggio Philagrios [DIA 3]; cinque, invece, sono le eleganti e

auliche iscrizioni rinvenute a Stratonikeia, relative a Máximos (DIA 4) e Apollinarios (una). Tutte queste

iscrizioni hanno varie caratteristiche in comune. La cronologia le pone nella seconda metà-fine V secolo.

Tutte le iscrizioni sono celebrative usando un linguaggio elegante, aulico (Máximos è indicato come

πενταρχήσαντα [n. 1357], Apollinarios è un pater civitatis) e le scritte sono pubblicamente esposte. Tutte si

riferiscono ad una forma di filantropia sociale (condutture idriche per Apollinarios), ad un impegno per

coprire le tasse per і poveri (χρυσάργυρον, auri lustralis collatio, abolita poi da Anastasio) per Máximos,

alla costruzione di una αϊθονσσα (struttura porticata per Philagrios) per stranieri e locali in tempo invernale

- il che ci dice che questo mecenatismo è volto alla città e ai suoi abitanti, piuttosto che alla chiesa. Ancora,

tutte le iscrizioni sono relative ad aree urbane periferiche (presso la porta nord a Stratonikeia

accompagnando le relative statue, presso la porta a sud a Keramos), là ove, se non vado errato, si pone il

complesso cattedrale. A Stratonikeia un'iscrizione pone le statue "davanti alla casa del divino Cristo"[DIA

5]; Philagrios accosta da nord il complesso cattedrale che s'addossava alla porta sud. Queste considerazioni

portano a riconoscere come l'intervanto monumentale о meno di questa élite non interferisce con l'antica

parcellizzazione urbana; l'area centrale delle città conserva ancora una tessitura antica pur se le chiese

esistevano, in un'area ancora non centrale e senza insistere su una precedente area templare. Anche

l'episcopato agisce con gli stessi moduli epigrafici, esposti ma decentrati, pur se relativi a fondazioni

ecclesiastiche (casi a Keramos e Bargylia DIA 6 e 7].

È opportuno citare il caso di Mylasa. L'editto del 480 del prefetto Dionysios era affisso al podio

del tempio di Augusto e Roma a Mylasa [DIA 8]; non sappiamo dove fosse il luogo dell'affissione a

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Keramos e a Stratonikeia. Nella seconda metà di V sec. si snoda la Vita Xenae seu Eusebiae, scritta nei

primi decenni del VI sec.; il luogo è Myl asa. Sappiamo dalla Vita che il tempio (ιερόν) - identificato come

quello di Augusto e Roma, era ancora lì, certo non in uso, ma non distrutto, visto l'affissione dell'editto.

Inoltre Xena compra una casa in un'area privata, vicina al complesso cattedrale e allo hier on, il che lascia

pensare che, benché il tempio non fosse ancora stato distrutto, si cominciava a creare una nuova

parcellizzazione a carattere ecclesiastico. Sul tempio, tuttavia si venne a costruire una chiesa, di S. Nicola,

stando all'informazione desumibile da Ciriaco di Ancona dell'inverno del 1446. Credo che la

trasformazione effettiva del tempio in chiesa possa essere accaduta in periodo giustinianeo considerando il

tono teologico della Vita Xenae di manifattura monofisita. Sappiamo che anche il tempio extraurbano di

Keramos, a Kurşunluyapı venne trasformato in chiesa in periodo giustinianeo; a Bargylia si è ipoteticamente

pensato che una chiesa sia stata costruita su una struttura templare d'epoca ellenistica; una possibile

identificazione è stata proposta anche per la basilica sull'acropolis di lasos; un'impresa analoga venne

intrapresa anche a Didyma.

Si sa della presenza di una chiesa nel grande adyton del tempio [DIA 9], a sua volta rimpiazzata

da un'altra più tarda. Dalle iscrizioni reperite si ebbe l'inizio d'un editto giustinianeo, purtroppo mutilo e la

ricostruzione della chiesa in epoca medievale. Per Mileto ν'è poco da aggiungere a quanto in genere può

dirsi di Aphrodisias. La città, anche nel VI sec. conservò la sua monumentalità consistente non solo nella

conservazione di antichi monumenti (il propylon della Grande Chiesa, l'Heroon III presso la chiesa di S.

Michele, il ninfeo e le terme di Faustina), ma anche nella nuova politica di costruzioni ecclesiastiche che

ben si intonarono al sistema viario precedente. V'era la personalità di Hesychius Illustrius, nella Mileto di

VI sec. che conservava fra l'altro le antiche credenze elleniche ed usi; v'era ancora l'area della Grande

Chiesa che nella seconda metà di VI sec. va ad occupare l'area lasciata vuota d'un monumento dedicato al

culto imperiale, come la primitiva chiesa di S. Michele costruita nella cella del tempio di Dionysios.

L'epigrafia e l'archeologia dei centri urbani, dove scavati, offrono un quadro culturale delle città

che s'incrementa ancora dell'apporto dell'elite pagana e di quella cristiana. Ambedue le correnti sono

presenti nell'ultimo scorcio del V secolo e buona parte della metà del VI a rendere ancora dinamica l'antica

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polis che, da parte sua, non presenta in genere una conflittualità che nuoce al tessuto sociale. Pur vero che le

testimonianze epigrafiche e monumentali di Aphrodisias e di Mileto non trovano un ragguaglio similare

nelle altre città, ma se di conflitto si deve parlare, nelle città carie anche nella prima metà di VI secolo, ciò

non riguarda quello fra pagani e cristiani, quanto piuttosto d'una polemica intestina alla stessa chiesa

(ortodossia calcedoniense e monofisismo).

A scrutinare le varie costituzioni imperiali del C.Theod. XVI, 10 che riguardano la politica

religiosa, sacrale e monumentale dei templi, fino alla Novella 4 di Maiorano (458), si nota un sinuoso

andamento della politica imperiale, un elastico e ad quid pronunciamento (penso alla forma di rescritto) che

ben s'allinea alla coesistenza delle due diverse élites urbane. La cristianizzazione in ambito urbano in Caria

non ha avuto sconvolgimenti traumatici quali tramandati a proposito di alcune città meridionali; le fonti

scritte non hanno riportato eventi drammatici in Caria e l'archeologia ha iniziato a constatare le mutazioni

del parcellario urbano e monumentale ma molto lento e prodottesi a cavallo del V - inizio VI secolo.

Gli insediamenti periferici

La periferia resta per il nostro soggetto un orizzonte difficilmente districabile. Se l'epigrafia

classica ha individuato vari siti in seguito abitati dai bizantini, l'archeologia ha testimoniato certamente la

stabilitas loci del sacro, ma come essa si sia evoluta, e quando, per gran parte resta ancora da investigare.

Inoltre, il dato archeologico non sempre è lineare nella sua lettura, di quale monumento о area sacra si

trattasse. Accanto al fenomeno della "permanenza dell'area sacra" - costituito nei casi che seguiranno dalla

erezione di una chiesa - si deve porre un insieme di altri fattori che hanno influito in questa continuità

abitativa divenuta cristiana. All'interno della geografia montagnosa e aspra dei grandi promontori mi

sembra altamente significativo il fatto che la continuità abitativa si è avvalsa della presenza di terra

produttiva, di campi sparsi nelle vallate, di approdi riparati posti su rotte commerciali (si pensi al caso di

Loryma), pur se spesso v'era carenza d'acqua (dunque, ricorso a cisterne) in molti siti. La totalità dei siti

bizantini, usualmente ellenistici in origine e con iscrizioni dedicatorie, resta muta circa la dedicazione

cristiana; non è possibile trarre nessuna comparazione fra l'antico e il nuovo culto. Il processo di

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cristianizzazione del sito, ancora, resta monco sul soggetto che l'ha intrapreso; non sappiamo se sia opera

monastica о episcopale, considerando che spessissimo la chiesa sul tempio о sull'altare restava solitaria

nell'area, di rado accompagnata da qualche cisterna, approdo о strutture di piccole dimensioni. Se si può

pensare all'influenza episcopale per і casi di Lagina, Panamara, Sinuri, Labranda, Koraza, Kindya, gli altri

restano insoluti о è da pensare a piccole comunità monastiche. La cronologia di questa conversione

monumentale e religiosa si aggira fondamentalmente durante il VI sec., forse qualche caso attorno all'anno

500, ma tutti і siti investigati in Caria, a carattere rurale о marittimo, mostrano una stessa muratura e una

lineare semplice planimetria. Insistere sull'area templare о leggermente discostato da essa è un segno a mio

avviso che il monumento antico non ha subito una violenza distruttrice da parte dei cristiani. Credo che la

patina del tempo aveva già attaccato l'edificio antico prima di questa "conversione di religiosità", e questa

testimonianza archeologica dà luce a quanto prima si diceva della sinuosa, elastica politica a questo riguardo

nel C.Theod. XVI, 10.

Emblematico per la sua ricchezza archeologica è il tricorno montagnoso dei promontori, di cui

due (quello di Myndos, con due città bizantine, e quello di Cnidos) aventi città, mentre quello di Loryma è

carente di centri urbani. Da questo non si evince solamente la lontananza dai centri municipali, ma la

effettiva difficoltà di attraversamento del territorio. La Perea Rodia, inoltre, mi sembra costituisca un

unicum circa la sopravvivenza di chiese su strutture antiche, un'area ricca di religiosità antica e poi cristiana.

In questo contesto, più che altrove, probabilmente trova senso affrontare qualche principio metodologico

che può aiutare a comprendere il fenomeno del cambio di status e la giustificazione di tanti casi. Gli

orizzonti che si pongono innanzi sono: la veneratio-stabilìtas loci, l'inquadramento legale del sacrum,

l'entrata cristiana. In breve, il primo orizzonte ermeneutico si basa sulla continuazione (stabìlìtas) d'un sito

che è stato da tempo ritenuto sacro (venerado). Questo binomio ha creato la frequentazione, particolarmente

in una società rurale, d'un fanum conosciuto da tutti componenti della contrada e da essi ritenuto un punto

focale della loro esistenza. Questa stabìlìtas del luogo venerato, e questo è il secondo orizzonte

interpretativo, è ancorato all'antico diritto romano che mai ha diviso jus e religio. Giustiniano definisce

nelle Instìtutìones (II, 1, 7-8) in modo chiaro ed apodittico un materiale giuridico di lunga storia: le res

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sacrae et religiösae et sanctae sono di diritto divino. Per quanto concerne le cose sacre (res sacrae) esse

diventano tali quando ritualmente e per mezzo dei vescovi sono consacrate a Dio, come gli edifici sacri e і

doni che ancora ritualmente sono dedicati al ministero divino; tutto questo non è alienabile, fatta eccezione

per il riscatto di prigionieri. La inalienabilità e la immutabilità dell'area, che resta sacra anche se l'edificio

dovesse crollare, sono categorie che appartengono al diritto divino e che la chiesa gestisce per il culto

divino. In effetti quando il testo legislativo giustinianeo ritorna su rite (ritualmente), quasi certamente si

riferisce all'ormai stabilito rito di consacrazione e dedicazione per una chiesa che nella formulazione

ufficiale trasmessa richiama l'epoca giustinianea, a dire che il processo di creazione di questa cerimonia si

colloca nel V secolo.

Andando a ritroso, l'ultima costituzione del titolo XVI, 10 è relativa alla "distruzione e

riabilitazione" dei "fana templa delubra, si qua etiam nunc restant integra, praecepto magistratum destrui

(la mano militare all'opera) collocationeque uenerandae christianae religionis signi expiari (la mano

episcopale in azione con l'erezione della croce)". A me sembra che quanto la legge ha fatto passare sotto

silenzio è la conservazione della natura della res sacra, in questo contesto il topos templare: esso

apparteneva al dio in quanto propriamente consacrato. Quanto dunque Cod.Theod. XVI, 10, 25 prevede è la

demolizione dell'edificio - e l'archeologia mostra che non tutto l'edificio viene distrutto. In modo

particolare è la cella che viene demolita, e si ripropone la riattivazione cultuale dell'edificio in veste

cristiana attuata certamente dal vescovo poiché al magistrato spettava solo il compito della distruzione. In

altre parole si potrebbe vedere qui un "impasse legislativo" in quanto il luogo non cessa mai di restare sacro;

il passaggio da un culto ad un altro non ha richiesto una normativa per la desacralizzazione - normativa

contraria al ius divinum - quanto una riformulazione consacratoria per mano episcopale. Questa

circumventio legale credo abbia trovato origine in una prassi già da tempo stabilita per salvaguardare la

sacratio del luogo. Lasciate che vi citi l'incertezza di Teodosio II e della sua cancelleria a questo proposito.

La costituzione CTh IX, 45, 4 emessa a Costantinopoli il 23 III 431 legifera sul diritto di asilo, iniziando con

"Che і templi (=le chiese) di Dio Altissimo siano aperti a tutti coloro che lo temono." Fra gli atti del concilio

di Efeso si rinviene un editto, pubblicato ad Alessandria il 7 IV 431, sul quale, mi sembra, si basa la

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formazione codificata nel Theodosianus . Ebbene, in questa versione alessandrina l'editto presenta un lungo

preambolo che ben conosce il jus sacrum del tempio, delle statue imperiali {ad statuas confugere),

completamente eraso nella versione costantinopolitana.

V'è, infine, un ultimo parametro ermeneutico, quello ludico, che ritengo sia intervenuto in questo

processo culturale della tarda antichità, e particolarmente nelle campagne. C.Theod. XVI, 10, 17 del 399

viene ripresa da C.Iust. I, 11, 4: riaffermando la proibizione dei "riti profani", il legislatore acconsente che

vi siano le riunioni festive dei cittadini e una comune letizia per tutti. Si acconsente così che siano offerti

divertimenti (voluptates) secondo l'antico costume e che si tengano feste conviviali allorquando і voti

pubblici {publica vota) lo esigano.

Volgendo brevemente l'attenzione al culto celebrato nel santuario di Zeus Panamaros presso

Startonikeia - siamo edotti dalle iscrizioni sui misteri celebrativi e sulla permanenza della funzione sacrale

del sito, certamente fino agli inizi del IV sec. Le lettere invitatorie dei sacerdoti in carica per le celebrazioni

fanno menzione della "tavola del dio" e di εύωχία e εύφροσύνη; la gente accorsa in effetti, non solo

partecipava alla processione, ma aveva in seguito un tempo di diletto conviviale e letizia. L'area dove si

svolgeva il banchetto è sempre all'interno del períbolo del santuario; ad Amyzon, L. Robert l'individuò su

una terrazza parallela a quella del tempio. Su quest'area, inoltre, si ergevano tende di fogliame (σκηναί) per

un miglior conforto. Qualcosa di molto simile è stato riscontrato nella zona montagnosa di Myra, in Licia. È

il ben noto tour sacrificale e conviviale capeggiato da Nicola di Sion, dove il testo usa θύω (per l'uccisione

dei buoi) e per la gioia del popolo si ha εύωχία e εύφρανθέντες; ancora sintomatico è l'uso di στιβάδια

(stuoia di giunchi о di fogliame da stendere a terra per sedersi durante il pranzo) e la costante di "invito a

tutto il popolo" del villaggio a partecipare.

Siffatte costumi sociali e religiosi sono stati credo in Caria, come altrove in Asia Minore,

soprattutto in ambiti rurali, il medium culturale per un passaggio "senza colpo ferire" verso la

cristianizzazione. Va da sé che resta da chiedersi "che tipo di cristianizzazione" qui si tratti. Il sottofondo a

tutte le preghiere "rurali" presenti negli antichi eucologi lasciano chiaramente trasparire il tono esoreistico

nella petizione. Se si considera che le prime formulazioni orazionali, presenti sia nei testi eucologici e

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agiografici, vanno a porsi dall'inizio del VI sec., si evince come il quadro culturale e religioso vada

lentamente cambiando con l'includere una evidente percentuale di sincretismo. E questa ricerca

interdisciplinare è ancora del tutto sconosciuta in questo Istituto.

E d'uopo citare la ben nota missione di Giovanni d'Efeso, commissionata da Giustiniano,

relativa alle zone rurali, autentiche sacche di prassi religiose antiche (adorazione degli idoli, sacrifici,

rovesciare і templi, gli altari, distruggere gli alberi). Stando al racconto si piantarono allora le croci,

s'eressero chiese, soprattutto, e monasteri. Ebbi modo, anni addietro, di imbattermi in due chiese che ritenni

appartenenti a questa missione

Linee conclusive.

La religio, che nella cultura classica innervava la sfera socio-politica della città creando nel

cittadino quello stile chiamato pietas, diventa nel mondo cristiano materia cogente nell'esercizio del jus

principale. Nel tit. I del libro XVI del C.Theod, il de fide catholica asserisce quale sia la religio del popolo

romano e questa sola è la religione di stato. Come inciso, mi vien da chiedere - a proposito della

cristianizzazione e scelte politiche della Georgia e dell'Armenia cosi magistralmente schizzate nei mesi

scorsi - quale sia stata la legge vigente in quelle contrade esattamente nella seconda metà del V secolo.

Riterrei che una siffatta domanda possa arrecare nuova intelligenza al fenomeno della cristianizzazione del

Caucaso. Senza aggiungere ulteriori parole su questa fondamentale variazione di rotta nell'esercizio del

potere imperiale nell'impero, come nella sua recezione all'interno dell'accostumata vita sociale, vorrei

indicare altri due fattori che, pur se non citati precedentemente, e certamente in bisogno d'essere

ulteriormente scrutinati, hanno interagito con gli eventi e mutamenti accennati precedentemente e databili

dopo la pubblicazione del Theodosianus. Nella sfera di competenza del principe l'unità della chiesa era un

dovere e un obiettivo da perseguire costantemente sì da consolidare l'unità e stabilità dell'ecumene; molte

leggi del codice esplicitamente fanno menzione di ciò. Quanto però accadde inizialmente ad Efeso ed

esploso a Calcedonia - parlo della lotta intestina alla chiesa relativa al monofisismo - sconquassò la fragile

unità creando lacerazioni che interessarono le provincie, e la stessa Caria denunziò questa scissione.

Aphrodisias e altre città carie vissero l'esperienza dell'episcopato monofisita e la polemica ecclesiastica

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indebolì, credo, la forza politica e l'intervento pastorale dell'episcopato sul territorio. L'altro fattore che può

aver pesato nella storia politica e religiosa dell'impero e della Caria fu l'ascesa al trono di Anastasio nel

491. Se il patriarca Eufemio ha creato il precedente per una confessione scritta di ortodossia per

l'incoronazione, l'imperatore non cambiò tuttavia la sua politica religiosa. Se le fonti attestano una buona

percentuale di vescovi monofisiti in Caria nel 518 (due decadi più tardi circa parte la missione di Giovanni

d'Efeso), d'altra parte il mecenatismo civico è stato documentato dalle iscrizioni sulla fine di V sec. Non

vedrei male l'erezione della chiesa sul tempio ad Aphrodisias in questo periodo anastasiano, così come

decoroso restano le città in questo periodo. Il cambio di status, questo travaso dall'antica alla nuova religio

non è stato traumatico nelle contrade carie e in Anatolia; vi fu quanto vorrei chiamare un cambio, una

progressiva metamorfosi generazionale, come indiziata a Roma nella famiglia dei Ceionii a cavallo fra il IV

e V sec. Il mondo rurale, da parte sua, segue di li a poco, soprattutto in tempo giustinianeo, il cambiamento

che non comportò, anche in quelle remote aree, una schizofrenia sociale. Se nell'emergente mondo culturale

cristiano la retorica, l'omiletica, l'innografia, la storiografia risentono e rispondono ai requisiti ecclesiastici

con gli stessi dettami letterari, fenomeno soprattutto metropolitano, bisogna assolutamente volgersi ad una

differente e popolare letteratura, cioè all'agiografia, al genere erotakriseìs, ali'eucologio per ritrovare sotto

mentite spoglie quanto s'era pensato d'essersi lasciato alle spalle e che la legislazione imperiale riteneva

d'aver eradicato. Un'analisi strutturale di questi testi lascerà trasparire come sotto diversa foggia sia

sopravvissuta l'antica cultura.

V. Ruggieri

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