L’orientamento tra competenze e politiche della formazione

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FORMAZIONE&CAMBIAMENTO Webmagazine sulla formazione Anno III – Numero 18 aprile 2003 1 L’orientamento tra competenze e politiche della formazione di Stefania Capogna 1. L’Orientamento può favorire i processi di occupabilità dei giovani? Parimenti alle modificazioni che ha conosciuto il mondo giovanile e le rappresentazioni che questi hanno della vita, lo stesso concetto di orientamento ha assunto nuove sfumature. In virtù di questa evoluzione concettuale si assiste ad uno spostamento che conduce da una visione dell’azione orientativa come semplice attività di intervento mirata a fasce deboli, ad azione di promozione capace di veicolare nuovi significati al progetto di vita personale e professionale. Nel corso dell’ultimo decennio, la transizione dalla scuola al lavoro è divenuta sempre più difficile, lunga ed incerta, tanto da spingere il legislatore a considerare nuovi strumenti di accesso per favorire l’ingresso dei giovani nella vita attiva. Il passaggio dalla formazione al lavoro implica l’incontro di differenti soggetti: giovani, mondo del lavoro e scuola (Viteritti, 2001). Passaggio quanto mai delicato poiché non sono ancora del tutto chiari i nessi e le correlazioni tra sviluppo economico, sostegno all’occupazione e formazione (Zucchetti, 2000). I titoli di studio, del resto, sono solo in parte predittori del successo lavorativo dei soggetti, in special modo, in contesti ove tali titoli sono molto inflazionati. Inoltre, è possibile rilevare una certa incoerenza tra inserimento professionale e formazione ricevuta (Benadusi, 2001), o situazioni di intrappolamento che nel breve-medio periodo rischiano di tradursi in bad jobs dai quali è difficile uscire (Consoli, Follis, 2001). Tutte queste problematiche si aggravano in vista di un mercato del lavoro sempre più flessibile, sia in entrata che in uscita, caratterizzato da altissime punte di disoccupazione, in particolare giovanile. Lo sviluppo tecnologico e il processo di globalizzazione hanno favorito, infatti, l’affermarsi di un modello organizzativo fondato sulla logica della versatilità: “l’impresa rete” 1 , snella, flessibile, capace di rapidi adattamenti. L’allentamento dei vincoli normativi e di stabilità, che fino agli anni ’80 hanno caratterizzato i rapporti di lavoro, ha introdotto elementi di differenziazione e disomogeneità fra i soggetti, rendendo sempre più incerti i percorsi biografici delle persone che sono spinte, in questo modo, a modificare la loro posizione lavorativa più volte nel corso della vita attiva. In virtù di ciò, la forza lavoro oggi si presenta, nel suo complesso, più debole e contraddistinta da una percentuale crescente di lavoratori atipici nelle più diverse forme. Tali lavoratori se, da una parte, possono contare su professionalità elevate che garantiscono al soggetto una certa forza contrattuale, dall’altra, nella maggioranza dei casi, presentano competenze medio-basse che li espongono all’incertezza lavorativa. 1 La crisi del modello taylor-fordista è una delle caratteristiche fondamentali della società post-industriale ove la crescente complessità e sofisticazione dei mercati e il relativo aumento dei costi di gestione hanno reso necessario il passaggio a modelli organizzativi più flessibili, l’esternalizzazione delle funzioni, la ricerca di nuove strategie di coordinamento ecc..

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FORMAZIONE&CAMBIAMENTO Webmagazine sulla formazione Anno III – Numero 18 aprile 2003

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L’orientamento tra competenze e politiche della formazione

di Stefania Capogna

1. L’Orientamento può favorire i processi di occupabilità dei giovani?

Parimenti alle modificazioni che ha conosciuto il mondo giovanile e le rappresentazioni che questi hanno

della vita, lo stesso concetto di orientamento ha assunto nuove sfumature. In virtù di questa evoluzione

concettuale si assiste ad uno spostamento che conduce da una visione dell’azione orientativa come

semplice attività di intervento mirata a fasce deboli, ad azione di promozione capace di veicolare nuovi

significati al progetto di vita personale e professionale.

Nel corso dell’ultimo decennio, la transizione dalla scuola al lavoro è divenuta sempre più difficile, lunga ed

incerta, tanto da spingere il legislatore a considerare nuovi strumenti di accesso per favorire l’ingresso dei

giovani nella vita attiva. Il passaggio dalla formazione al lavoro implica l’incontro di differenti soggetti:

giovani, mondo del lavoro e scuola (Viteritti, 2001). Passaggio quanto mai delicato poiché non sono ancora

del tutto chiari i nessi e le correlazioni tra sviluppo economico, sostegno all’occupazione e formazione

(Zucchetti, 2000). I titoli di studio, del resto, sono solo in parte predittori del successo lavorativo dei

soggetti, in special modo, in contesti ove tali titoli sono molto inflazionati. Inoltre, è possibile rilevare una

certa incoerenza tra inserimento professionale e formazione ricevuta (Benadusi, 2001), o situazioni di

intrappolamento che nel breve-medio periodo rischiano di tradursi in bad jobs dai quali è difficile uscire

(Consoli, Follis, 2001).

Tutte queste problematiche si aggravano in vista di un mercato del lavoro sempre più flessibile, sia in

entrata che in uscita, caratterizzato da altissime punte di disoccupazione, in particolare giovanile. Lo

sviluppo tecnologico e il processo di globalizzazione hanno favorito, infatti, l’affermarsi di un modello

organizzativo fondato sulla logica della versatilità: “l’impresa rete”1, snella, flessibile, capace di rapidi

adattamenti.

L’allentamento dei vincoli normativi e di stabilità, che fino agli anni ’80 hanno caratterizzato i rapporti di

lavoro, ha introdotto elementi di differenziazione e disomogeneità fra i soggetti, rendendo sempre più incerti

i percorsi biografici delle persone che sono spinte, in questo modo, a modificare la loro posizione lavorativa

più volte nel corso della vita attiva. In virtù di ciò, la forza lavoro oggi si presenta, nel suo complesso, più

debole e contraddistinta da una percentuale crescente di lavoratori atipici nelle più diverse forme. Tali

lavoratori se, da una parte, possono contare su professionalità elevate che garantiscono al soggetto una

certa forza contrattuale, dall’altra, nella maggioranza dei casi, presentano competenze medio-basse che li

espongono all’incertezza lavorativa.

1 La crisi del modello taylor-fordista è una delle caratteristiche fondamentali della società post-industriale ove la crescente complessità e sofisticazione dei mercati e il relativo aumento dei costi di gestione hanno reso necessario il passaggio a modelli organizzativi più flessibili, l’esternalizzazione delle funzioni, la ricerca di nuove strategie di coordinamento ecc..

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Lo scenario tratteggiato, ha portato da qualche anno il dibattito nel mondo politico e scientifico ad affrontare

il problema dell’occupabilità, intesa nella sua accezione più ampia, e cioè capacità di accedere e restare nel

mercato del lavoro migliorando la propria occupabilità (Gazier, 2001).

Il concetto di occupabilità rimanda immediatamente a quello di competenza. La competenza “…è costituita

da un sapere legato a processi di elaborazione, di confronto, di attuazione di strategie. Si sviluppa attraverso

un complesso di attività pianificate, sulla base di obiettivi generali e progettate nelle realizzazioni particolari.”

(Ajello, 2000, p. 11) Esse sono contestuali e situate.

In virtù delle considerazioni finora svolte diventa importante comprendere alcuni aspetti delle competenze, in

particolar modo di quelle relative alla capacità di analisi, alla capacità di valutazione ed autovalutazione, alla

capacità di orientarsi ed autorientarsi. Per questo motivo diventa essenziale favorire una riflessione sul ruolo

che può svolgere la funzione orientativa nella maturazione di tali competenze, al fine di sostenere le persone

(giovani e adulti) nei ripetuti momenti di scelta (o transizione) sia volontaria che forzata che si trovano ad

affrontare.

La transizione introduce nella vita del soggetto un aumento di complessità rispetto alla situazione

precedentemente sperimentata, cui segue un processo di cambiamento che può indurre nel soggetto una

certa difficoltà.

Le fasi di transizione sono moltissime e ricorrenti nel corso della vita. In questi casi è importante il possesso

di quelle che sono definite life skills, cioè capacità trasversali (buona capacità comunicativa, flessibilità e

capacità di adattamento a contesti diversi, capacità di imparare cose nuove e diverse, capacità di “guardarsi

dentro” e riconoscere le proprie risorse) (Di Marco, 1999), le quali sono ritenute determinanti rispetto alla

qualità complessiva della carriera lavorativa (Cfr, Sangiorgi, 1997) .

La funzione orientativa sembra essere lo strumento adatto a favorire la maturazione di alcune di queste

abilità.

1.1 Le funzioni dell’orientamento tra tradizione e innovazione

Il concetto di orientamento si è evoluto in questi anni passando da una visione “assistenziale” ad una

“promozionale”. La funzione orientativa si configura come una relazione di aiuto, fondata sul riconoscimento

della centralità del soggetto, che si esplica attraverso la consulenza. L’insieme delle azioni orientative può

essere sinteticamente riassunto (Zagardo, 2000) in quattro principali momenti:

1. Accoglienza.

2. Analisi delle competenze.

3. Consolidamento delle scelte di orientamento.

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4. Informazione.2

L’accoglienza consiste nella raccolta di informazioni sul soggetto (esperienze formative e professionali,

estrazione socio-culturale, vissuto personale e familiare ecc.). Di fronte ad utenti molto giovani può

essere utile “accogliere” parallelamente anche i genitori.

L’analisi delle competenze consiste nell’elaborazione di un bilancio personale e professionale. In questa

fase, è opportuno analizzare le caratteristiche cognitive, motivazionali e gli ambiti di interesse del

soggetto, in modo da portare alla luce punti di forza e punti di debolezza in vista di un progetto futuro.

La fase di consolidamento è “…finalizzata metacognitivamente all’autovalutazione, all’autoregolazione e

alla costruzione di un progetto di studio curvato sull’individuazione delle risorse e delle piste di sviluppo

personale.” (Zagardo, op. cit., p. 87). Il soggetto deve essere aiutato a trovare le motivazioni della scelta,

consolidare la stima di sé, acquisire consapevolezza delle proprie attitudini, considerare positivamente i

propri limiti e i propri punti di forza, costruire delle aspettative coerenti sia rispetto alle opportunità offerte

dal mercato del lavoro che ai propri “talenti”. ecc.. In questa accezione, l’orientamento assume una

valenza emancipatoria, volta a sollecitare nel soggetto la conoscenza e lo sviluppo delle proprie

potenzialità, in funzione di un progetto di vita consapevole. (Cfr., Amatucci, 1998).

La funzione informativa, infine, deve mirare alla corretta acquisizione di conoscenze riguardo sia al

possibile percorso formativo che agli scenari occupazionali.

L’orientamento è un concetto complesso che può essere usato in ambiti tra loro molto diversi e in riferimento

a età e soggetti differenti. Si può parlare di orientamento negli snodi del sistema scolastico e universitario

sottolineando, allo stesso tempo, la funzione orientante sia della scuola che dell’università. Si parla di

orientamento per le scelte professionali e per l’inserimento in contesti organizzativi, e di orientamento o ri-

orientamento per le situazioni in cui i soggetti devono affrontare inserimenti lavorativi ulteriori. Ciò che

connota in modo positivo l’orientamento è la “…costruzione dell’intervento per la messa in atto di abilità che

consentano all’individuo di porsi in modo consapevole ed efficace rispetto alle situazioni che richiedono una

scelta e una messa a fuoco migliore da parte sua.” (Ajello, 2000, p. 15).

Il concetto di orientamento oggi diviene centrale per comprendere l’occupabilità dei soggetti, inoltre, esso si

presenta come un utile passepartout concettuale per guardare tale questione nella sua dimensione

soggettiva (capacità dell’attore sociale di assumere un atteggiamento attivo) e in quella oggettiva

2 L’orientamento nella dimensione informativa intende promuovere la conoscenza dei percorsi scolastici e universitari e delle opportunità lavorative. Si è avuto modo di rilevare che la semplice azione informativa (come ad esempio si può ricavare dalle pagine gialle per l’orientamento) non è produttiva. Il momento informativo si qualifica nel momento in cui è in grado di unire alla mera elencazione dei percorsi e degli sbocchi professionali, l’illustrazione delle capacità necessarie, delle caratteristiche distintive delle diverse figure professionali e degli aspetti che contraddistinguono gli ambienti di lavoro. Cfr., Amatucci., 1998, pp. 147-157.

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(stratificazione sociale). Nel primo caso, è importante analizzare la capacità del soggetto di auto-orientarsi

(sia all’interno che all’esterno); mentre, nel secondo caso, bisogna guardare il modo in cui la funzione

orientativa viene svolta dalle istituzioni deputate a tale compito, per favorire l’occupabilità dei soggetti.

1.2. Il dibattito sull’orientamento: le concezioni a confronto

L’orientamento può essere considerato come: fenomeno processuale cha ha come protagonista il soggetto

in formazione; processo continuo che non è circoscritto a precisi momenti di transizione anche se è

principalmente funzionale ad essi; processo multidimensionale, poiché afferisce a diversi aspetti della storia

personale del soggetto e della sua esperienza formativa, lavorativa, sociale ecc; processo finalizzato

all’autorientamento. (Cfr., Cisem 1996).

Nell’accezione più matura ed attuale l’orientamento è concepito come un processo continuo, strettamente

collegato sia ai percorsi di formazione continua e all’evoluzione delle professioni che all’organizzazione del

lavoro.

Questa ampia accezione, da una parte, accoglie la sfida del cambiamento sociale, organizzativo ed

economico sollecitato dai libri bianchi di Delors e della Cresson (1993, 1995); dall’altra, offre uno strumento

di sostegno alle persone nelle diverse fasi di transizione (studio-lavoro, lavoro-studio, lavoro-lavoro).

Molte sono state le definizioni date al concetto di orientamento ma quella proposta dall’Unesco al convegno

di Bratislava del 1970 sembra essere la più attuale e completa: orientare significa porre l’individuo in grado

di effettuare scelte consapevoli e responsabili.

Il concetto di orientamento si è modificato nel tempo in stretta concomitanza con le trasformazioni delle

strutture e dei rapporti sociali e con la modificazione dei processi economici e produttivi.

In passato erano gli anziani, all’interno della famiglia allargata, a trasmettere valori e modelli di

comportamento socialmente condivisi, compresi quelli lavorativi. Fino al XIX secolo è stata la famiglia a

svolgere la funzione orientativa. Con il processo di industrializzazione questo modello è saltato. Nel

momento in cui si moltiplicano le possibilità di scelta l’orientamento comincia ad emergere e a definirsi con

funzioni ben precise. Da evento privato, relegato nell’ambito dell’economia familiare, si trasforma in un

problema di interesse sociale che riguarda l’intera collettività.

E’ possibile individuare quattro distinte fasi storiche all’interno delle quali si è evoluto il concetto di

orientamento (Castelli, Venini, 1996) e che si fondano su due visioni contrapposte.

Le prime tre fasi si sviluppano all’interno di una visione statica del mercato del lavoro e delle strutture

educativo-formative, che concepisce il soggetto come sovradeterminato, “agito da forze esterne”.

L’ultima fase, invece, si fonda su una concezione dinamica e sull’idea di un individuo “attivo”, “libero” e

“autodeterminato”.

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a) Visione statica

• Fase diagnostico-attitudinale. Modello teorico fondato sulla ricerca psicofisiologica. Obiettivo:

conoscere le attitudini del singolo per metterlo in relazione con le esigenze delle professioni. In questo

periodo il concetto chiave su cui si fonda l’attività orientativa è quello di attitudine lo scopo è quello di

mettere l’uomo giusto al posto giusto.

• Fase caratterologico-affettiva, fondata sull’interesse professionale. Ancora dominante la tendenza

psicometrica (ricorso a test per individuare le caratteristiche della persona ed il suo tipo-psichico),

sebbene si registri una crescente attenzione alle dinamiche psichiche, al fine di individuare:

disponibilità interiore verso il lavoro e relativo investimento affettivo-emotivo, livello di attenzione e

curiosità suscitata dall’attività lavorativa .

• Fase clinico-diagnostica. Il lavoro è visto come fonte di soddisfazione per l’individuo e momento di

realizzazione. L’attenzione si sposta sulle motivazioni profonde e sulle preferenze, diventa importante

indagare sui bisogni, i conflitti e le ansie.

b) Visione dinamica

• Fase maturativo-personale. Riconosce e valorizza l’autodeterminazione umana. In

quest’ottica “l’orientamento viene inteso come auto-orientamento del soggetto, considerato come

agente primario del processo di scelta alla luce di concetti quali maturazione e autonomizzazione

personale” (Castelli, Venini, 1996, p. 23). Dunque, questo modello vede il soggetto in posizione

attiva.3

In questa nuova visione, l’orientamento si colloca nel processo educativo “…come un modo specifico di

realizzare la persona nelle sue potenzialità preparando a motivare scelte professionali nei vari stadi del suo

sviluppo, sia nella sua giovinezza che nell’età adulta”. (Frabboni, Guerra, Scurati, 1996, p 25).

La consulenza orientativa si configura come un intervento di supporto alla persona nel fronteggiamento delle

difficoltà connesse ai compiti di sviluppo, tipici dei momenti di transizione4 dell’esperienza formativa e

lavorativa, e come strategia di prevenzione nei confronti di esperienze individuali di insuccesso o di disagio.

Oggi si tende a stabilire una connessione sempre più stretta fra l’idea di orientamento e l’idea di educazione

“come sviluppo continuo, integrale, integrato, armonico e unitario della personalità” (Frabboni, Guerra,

Scurati, 1996, p. 24); al contempo, prevale la considerazione dell’orientamento stesso non più come

“risultato della messa in opera di particolari e specifiche forme di intervento ma, piuttosto, come una delle

terminazioni naturalmente inglobate nel progressivo attuarsi di processi formativi adeguati.” (ivi, p. 24). In

altri termini, si viene affermando l’idea di orientamento continuo, analogamente alla concezione di

educazione continua, al fine di aiutare le persone a formarsi e ad essere autosufficienti, e capaci di prendere

decisioni. 3 L’antesignano dell’orientamento nel nostro paese è considerato da molti padre A. Gemelli, che ha fondato e diretto il primo laboratorio di psicofisiologia per la selezione dell’esercito. Uno dei principi fondamentali sostenuti da Gemelli, e ancor oggi di grande attualità, è rintracciabile nel titolo di un suo articolo: “L’orientamento professionale è azione integrativa dell’educazione e ha quindi carattere continuativo.”, in Homo Faber, 1953, IV, p. 21. 4 Possibili tappe transitorie: scelta, (della scuola post-obbligo o del lavoro), impatto con nuovi contesti organizzativi (transizione fra cicli di studio o cambiamento del contesto lavorativo), perdita di un ruolo formativo o lavorativo (abbandono scolastico o disoccupazione). (Pombeni, 1998)

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2. La cornice delle policy per l’orientamento

2.1 la situazione italiana

Nonostante l’accresciuta attenzione registratasi nel nostro paese verso l’orientamento, stenta a delinearsi un

modello capace di promuovere e valorizzare, su una base conoscitiva comune, interessi e attitudini,

trasformando le iniziali differenze interindividuali e intraindividuali da fattori di discriminazione in elementi di

ricchezza individuale e sociale.

Sul piano concettuale, e su quello pratico-operativo, un modello di orientamento condivisibile dovrebbe

prevedere una serie di interventi progressivi lungo un certo asse di tempo (diacronici-longitudinali),

contrariamente alla pratica diffusa nel nostro paese che riduce l’intervento orientativo in un ristretto arco

temporale (sincronico-finale). (Domenici, 1998).

L’Italia è l’unico paese ove manca una legge quadro nazionale che definisca compiti, ruoli e competenze.

Non esiste il riconoscimento di un diploma ufficiale, né una formazione specifica per l’orientatore di

professione5. Il risultato di tutto ciò è che l’orientamento viene fatto da tutti pur in assenza di una formazione

specifica, svilendo il significato e il senso di questa funzione.

In Italia non esiste una solida tradizione di studio o di ricerca sulle problematiche della consulenza a

persone impegnate ad affrontare eventi critici legati alla propria esperienza formativa e lavorativa. (Pombeni,

op. cit.,)

Un’altra considerazione da fare riguarda il fatto che attualmente l’orientamento degli adulti viene realizzato

solo su “giovani adulti” cioè su persone che pur essendo adulte, da un punto di vista giuridico, non hanno

ancora completato il loro percorso formativo. (Saita, 1996). Al contrario, tutti i dati sul mercato del lavoro ci

dicono che esiste una percentuale molto forte di soggetti, espulsi dal lavoro a 40 anni, che stentano a

ricollocarsi. Tale difficoltà dipende, in parte, da una sorta di inadeguatezza rispetto alle nuove tecnologie;

dall’altra, dalla “concorrenza” ìmpari dei più giovani per i quali sono previste alcune convenienze

nell’inserimento e che, spesso, garantiscono una maggiore produttività.

L’attività di orientamento, dunque, diventa un importante momento di career guidence o career

development, al fine di governare difficili momenti di transizione (sia formativi che lavorativi) e potenziare o

riconsiderare la propria occupabilità.

Nel 1981, in assenza di una normativa nazionale e di indicazioni precise, tutte le Regioni hanno individuato e

definito i principi base, gli obiettivi e le azioni per l’orientamento professionale. Il documento comune si

inspira ad una concezione di orientamento globale, unitaria e sottolinea la necessità di intervenire sia sui

giovani che sugli adulti. In questo modo l’orientamento per le Regioni diventa uno strumento di politica attiva

5 E’ possibile trovare un approfondimento circa le differenze che esistono a livello europeo sulla natura dei servizi di orientamento e la relativa formazione professionale di chi vi si occupa su : “Orientation scolaire et professionnelle dans la Communauté européenne, Rapport del la Commission europèenne”, Education, formation, jeunesse, luglio 1993

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del lavoro ed assume un carattere di trasversalità e di integrazione con altri settori di intervento pubblico

quali la formazione professionale, le politiche sociali, gli interventi di sostegno all’occupazione, la

promozione dell’imprenditoria ecc..

Alla fine degli anni ’80, la normativa nazionale prevedeva solo due tipologie di orientamento: quello

scolastico, di competenza dei distretti scolastici e quello professionale, di competenza delle Regioni. Ma la

richiesta di orientamento ha fatto si che enti locali e organismi del privato sociale si siano attrezzati per

rispondere, anche se in modo confuso e scoordinato, a questo diffuso bisogno.

Solo di recente l’attenzione nel nostro paese si è fatta più forte in concomitanza al maggiore

interesse sviluppatosi attorno ai temi della transizione scuola-lavoro e con l’imporsi del concetto di

educazione permanente.

Conseguentemente, si riscontra un certo dinamismo normativo di cui cercheremo di dar conto:

• L. 56/87: attribuisce compiti di orientamento, non meglio specificati, alle Agenzie Regionali

per l’impiego e alle strutture di collocamento.

• Protocollo di intesa tra Ministero del Lavoro, regioni, U.P.I., A.N.C.I., e U.N.C.E.M del

4.4.1989: volto a definire competenze e compiti delle diverse istituzioni e creare virtuose reti di

collegamento e scambio tra tutti i servizi del territorio evitando la sovrapposizione di attività.

• L. 390/91: distingue tra orientamento universitario, di competenza delle Università, e

orientamento al lavoro, di competenza delle Regioni.6

• Documento, del gruppo consultivo informale MURST-MPI sull’orientamento, del 29/4/1997:

volto ad imporre un’azione congiunta tra MPI e MURST, al fine di ridurre gli abbandoni ed il

prolungamento eccessivo degli studi e qualificare la partecipazione attiva degli studenti

nell’ambiente scolastico e nelle facoltà.

• Direttiva n. 487 del 6/8/1997: riconosce l’orientamento come attività istituzionale delle

scuole di ogni ordine e grado specificando che costituisce parte integrante dei curricoli di studio e

del processo educativo e formativo fin dalla scuola dell’infanzia (art. 1).

• Protocollo di intesa del 16/3/1998 tra il MPI e la Confindustria: volto a migliorare il raccordo

tra sistema scolastico e sistema produttivo

6 I principi che possono essere rintracciati in questo documento possono brevemente essere riassunti in questo modo: a) l'orientamento è un lungo processo prevalentemente formativo attraverso il quale i giovani maturano le capacità per scegliere il loro futuro e partecipare attivamente, con gratificazione e con maggiore efficacia, agli ambienti di studio e di lavoro; in conseguenza di ciò, l'orientamento diventa una componente strutturale dei processi educativi; b) la diffusione di corrette informazioni su percorsi di studio, sulle caratteristiche dell'università, sul mercato del lavoro e sulle figure professionali è una attività essenziale in una situazione generale in forte mutamento. Le informazioni e le conoscenze delle caratteristiche degli studenti o delle attività didattiche hanno un ruolo molto importante nei processi di orientamento; c) è necessaria una forte integrazione fra le istituzioni educative (scuole ed università) e gli enti locali o altri soggetti collettivi pubblici, che hanno fra le loro competenze l'acquisizione e la diffusione di conoscenze sulla società e sulle attività economiche. Deve essere costituita una "rete" di relazioni e devono essere realizzate iniziative comuni sulla base del principio della corresponsabilità di tutti. Due sono le dimensioni che contraddistinguono l’attività di orientamento secondo questa concezione. Da un lato, il recupero delle situazioni negative (abbandoni e prolungamento eccessivo degli studi); dall'altro, la dimensione positiva di promozione e innovazione. Per un approfondimento si veda: Documento orientamento della Commissione “MURST-MPI” art 4 L. 168/1989” nelle sedute del 22-23/5/1997. Il testo integrale si può scaricare alla pagina:www.miur.it/progprop/orientam/orientam.htm

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• Decreto ministeriale del 9/8/1999, n. 323 (disposizioni per l’elevamento dell’obbligo): gli

articoli 3 e 4 sono dedicati rispettivamente alle iniziative di orientamento nell’ambito della scuola

media inferiore e alla formazione e all’orientamento nella scuola secondaria superiore.

Nonostante la rinnovata attenzione da parte di politici e studiosi attorno a questo tema, anche nell’intento di

recuperare il gap rispetto agli altri paesi europei, non possiamo dire che siano stati raggiunti risultati

ragguardevoli. Anzi, è possibile ipotizzare, a livello territoriale, numerose disparità in termini di efficienza e

qualità del servizio svolto. Resta ancora molto da fare tanto per mettere a punto una legge quadro

nazionale che indichi ruoli, compiti e competenze, quanto per delineare una chiara figura professionale con

relativo profilo di formazione, adeguata ad incarnare questo importante ruolo di raccordo tra i diversi soggetti

che si incontrano nella delicata fase di transizione alla vita attiva.

2.2 Cenni sull’orientamento nella Ue e in alcuni paesi stranieri: Inghilterra e Francia

Può essere utile, a questo punto, volgere uno sguardo al modo in cui si concepisce l’orientamento nella

Comunità europea e alle esperienze inglese e francese (facenti parte del nostro campo di studio). Il

confronto con le esperienze di questi due paesi permette di mettere in luce, pur nella diversità delle rispettive

attuazioni, l’importanza attribuita a questo strumento e il tentativo di renderlo, in particolare nella versione

francese del bilancio di competenze, uno strumento di gestione delle risorse umane.

Già nel 1974 il consiglio d’Europa sottolineava la necessità di una formazione universitaria specifica per i

consiglieri di orientamento e la necessità che ogni paese avesse un osservatorio centrale su queste

problematiche. Negli ormai famosi libri bianchi (op. cit.) la consapevolezza di tale necessità viene rafforzata

in funzione del ruolo positivo che l’orientamento può svolgere rispetto al problema della disoccupazione

giovanile, della mobilità studentesca e dei lavoratori, degli immigrati e delle fasce deboli in genere.

Nella Ue l’orientamento è visto come un intervento politico-sociale volto ad affrontare il problema del lavoro e

della mobilità lavorativa.

Anche nelle conclusioni del Consiglio di Lisbona viene posta enfasi sul ruolo che l’azione orientativa può

svolgere nell’attuale contesto economico-sociale. Tra le sei priorità indicate in questo documento si legge

che gli stati membri devono garantire a tutti un facile accesso ad informazioni e orientamento di qualità circa

le opportunità di istruzione e formazione in tutta l’Europa e durante tutta la vita.7

Per quanto riguarda l’Inghilterra l’offerta orientativa è molto variegata sia per l’organizzazione pubblico-

privata, che per l’utenza a cui si rivolge. Per quanto attiene alla popolazione scolastica l’orientamento è stato

7 Per un approfondimento sulle indicazioni fornite nelle conclusioni del consiglio di Lisbona si veda: COMMISSIONE DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Memorandum di lavoro dei servizi della Commissione, Bruxelles, 30.10.2000, DOC 0015120003.

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oggetto di ripetuti interventi legislativi che dimostrano l’importanza che a tale strumento è stata affidata per

combattere l’abbandono scolastico e per valorizzare le capacità degli allievi. Nonostante tali sforzi, però, non

sembra che il sistema di orientamento inglese sia riuscito a risolvere il problema degli abbandoni.

Con la Education Reform Act del 1997 si stabilisce una definizione univoca di orientamento che corrisponde

a: “ career education”. Il termine career implica la conoscenza e la comprensione di qualsiasi opportunità di

formazione, impiego, occupazione e corso di studio (sez. 44). Dunque, con career education si intende

un’educazione finalizzata a preparare le persone a prendere decisioni riguardo il proprio futuro aiutandole a

rafforzare e conseguire tali decisioni. Tale riforma stabilisce che: tutte le scuole devono fornire un servizio di

orientamento per i giovani dai 14 ai 16 anni (sez. 43); tutte le scuole e i college di istruzione secondaria

superiore debbono collaborare con i consiglieri di orientamento fornendo loro tutte le informazioni utili sui

singoli allievi e facilitando gli incontri tra questi e i consiglieri (sez. 44/45); il ministro si impegna ad estendere

il servizio di orientamene fino alla scuola primaria (sez. 46). (Education Reform Act, 1997).

Il sistema di orientamento inglese, secondo queste descrizioni, sembra molto centrato sulla funzione

informativa e su un target giovane, prevalentemente, scolastico.

Contrariamente in Francia esiste una spiccata attenzione al mondo adulto attraverso il bilancio di

competenze.Il bilancio di competenze8 costituisce una risposta al problema della gestione delle risorse

umane e alla domanda sociale di inserimento o reinserimento professionale. La finalità del bilancio è quella

di mettere l’individuo nelle condizioni di prendere coscienza dei propri saperi e del proprio saper fare per

renderli manifesti agli altri. Non sempre il soggetto è in grado di identificare in modo autonomo le proprie

risorse e le proprie abilità-competenze e capire, come trasferirle da un contesto organizzativo ad un altro.

Per questo motivo il bilancio personale e professionale si situa nella logica di sviluppo della formazione

permanente.

Tale bilancio è centrato sull’individuo, principale testimone della propria storia e artefice del proprio

adattamento all’ambiente di vita. (Aubret J., Aubret F., Damiani C., 1993)

I supporti teorici e metodologici del bilancio personale e professionale possono essere rintracciati nel

modello ADVP (Activation du Dévelopment Vocationnel et Personnel), secondo il quale lo sviluppo

vocazionale è un processo permanente e continuo. Non si può fissare una persona dentro motivazioni o

interessi che la condizioneranno per tutta la vita, poiché l’individuo cresce, matura e l’esperienza lo informa e

lo trasforma. (Yatchinovsky, Michard, 1994). Attraverso il bilancio è possibile attivare, educare e/o accelerare

questo processo, aiutando il soggetto ad acquisire consapevolezza della sua maturazione. “Le azioni che

permettono di realizzare un bilancio di competenze hanno l’obiettivo di consentire ai lavoratori di analizzare

le proprie competenze professionali e personali, così come le proprie attitudini e motivazioni, allo scopo di

definire un progetto professionale e, ove necessario, un progetto di formazione …” 9.

8 Il bilancio di competenze “…si configura come diritto del lavoratore a perseguire il proprio sviluppo professionale, a migliorare la propria condizione lavorativa o modificarla: il bilancio è proprietà e patrimonio del singolo, che può utilizzarlo per negoziare con il datore di lavoro nuove collocazioni, ma non ne è obbligato.” (Selvatici A., D’angelo M. G., op. cit., p. 23).

9 Per un approfondimento del bilancio di competenze francese si possono consultare: Joras M., Le bilan de compétences, Presses Universitaires de France, Paris, 1995; Levy-Leboyer C., Le bilan de compétences, Les Editions

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L’orientamento scolastico e professionale ha un’antica tradizione. Nel 1928 è stato fondato l’istituto

nazionale per l’orientamento professionale sia per la formazione dei consiglieri di orientamento che allo

scopo di promuovere la ricerca. Nel 1959 una riforma scolastica ha recepito la necessità di trasformare il

sistema scolastico in un sistema di orientamento, mentre nel 1971 sono stati istituiti i CIO (Centri di

informazione e orientamento). Nel 1989 la legge generale sulla scuola ha riconosciuto il diritto

all’orientamento per tutti gli studenti, Nonostante ciò, ancora oggi in Francia l’orientamento è determinato in

special modo da risultati scolastici. 10

3. Quale Orientamento per favorire le competenze per occupabilità

3.1 Le competenze degli orientatori

Le rapide trasformazioni culturali e tecnologiche degli ultimi anni hanno reso lo sviluppo e la formazione

delle persone più difficili, poiché vengono a mancare punti di riferimento stabili. In questo nuovo clima, la

figura dell’orientatore si propone di “…aiutare il giovane ad assumere le responsabilità dei propri problemi,

ad accettare l’incertezza, ad essere disponibile al cambiamento e ad intraprendere una determinata

carriera.” (Castelli, 1996, p. 93)11 Tuttavia, questi cambiamenti non solo rendono difficile ai giovani effettuare

una scelta precisa ma fanno si che anche tale compito sia più complesso rispetto al passato.

Già nel 1971 si asseriva che per aiutare una persona in difficoltà è importante favorire la sua partecipazione

attiva avviando un processo di autoconoscenza e di autodeterminazione (Rogers, 1971)

L’attività di counseling viene considerata un processo di interazione volto a favorire nell’utente-cliente il

maturare di una decisione rispetto a delle scelte o a delle situazioni critiche. (Folgheraiter F., 1994)

Tale attività rappresenta una complessa modalità di aiuto che implica l’attivazione di un processo lento e

graduale di autoemancipazione. (Hopson, 1982) In altri termini, la soluzione deve venire dalla persona

stessa e, per poter essere portatrice di un cambiamento profondo, deve innestarsi sui suoi schemi cognitivi

di riferimento e sul suo vissuto psicologico. L’aiuto fornito dall’orientatore consiste “nel rendere possibile una

riattivazione o riorganizzazione delle energie cognitive, emotive, strategiche del soggetto, partendo dal

presupposto che in ogni persona ci sono delle potenzialità che gli permettono di sfruttare l’aiuto ricevuto e

farlo diventare una propria risorsa.” (Pombeni, op. cit., p. 15).

d’Organisation, Paris, 1993 e 1996, Levy-Leboyer C., La gestion de compétences, Les Editions d’Organisation, Paris, 1996 ; Yatchinovsky A., Michard P., Le bilan personnel et professionnel, ESF, Editeur, Paris, 1994.

10 La legislazione di riferimento è la Education reform act del 1988, del 1991 e del 1997.

11 In virtù di queste difficoltà, Nederlandt ha tentato di mettere a punto un modello che contribuisce a sistematizzare l’azione orientativa. Tale modello può essere applicato ai più diversi livelli di orientamento: post-obbligo, universitario, professionale ecc.. Per un approfondimento consultare: Nederlandt P., “Projet d’études, projet d’orientation. Un modèle pour y reflechir », in Bullettin de Psychologie Scolaire et d’Orientation, 1993, n. 1

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L’abilità dell’operatore consiste nella capacità di far emergere i residui di competenza che la persona può

mettere in gioco. In questa ottica, il counseling può essere considerato un’azione di prevenzione, volta a

favorire lo sviluppo e la crescita della persona in alcuni particolari momenti del suo processo di

socializzazione al lavoro, oppure una “…relazione di aiuto per fronteggiare e superare con successo i

compiti di sviluppo connessi all’esperienza formativa e lavorativa” (ivi, p. 16).

La sensibilità dell’orientatore deve favorire questo processo di acquisizione di consapevolezza tenendo

conto che “Alcune variabili di ordine personale e sociale aumentano la capacità del singolo di superare con

successo le diverse situazioni critiche che incontra lungo il proprio processo di sviluppo professionale.

(Kessler, Price, Wortman, 1985).

L’orientatore per guidare il processo di autoconoscenza del soggetto deve favorire una riflessione sia sul

versante psicofisiologico che su quello caratterologico, tanto sui bisogni profondi quanto sulla componente

ambientale e socio-culturale, tenendo presente che il peso di ognuno degli aspetti considerati varia e

assume una connotazione particolare a seconda del percorso di vita, del momento e del contesto, in cui il

soggetto si trova inserito. (Castelli, Venini, 1996).

In virtù di queste considerazioni è evidente come il ventaglio di competenze dell’orientatore è molto ampio e

spazia da una precisa e completa conoscenza del contesto territoriale in cui opera ad una spiccata capacità

comunicativo-relazionale; da una capacità di accoglienza e diagnosi della domanda espressa ed inespressa

alla capacità di gestione degli interventi di politica del lavoro e di sostegno all’incontro tra domanda e offerta;

dalla capacità di valutazione degli apprendimenti e delle competenze alla capacità di valutazione del

potenziale delle persone; dalla capacità di progettazione di percorsi formativi alla progettazione dei profili di

competenze ecc..

Per tutti questi motivi è importante che l’attività orientativa non sia lasciata al caso ma venga riconosciuta,

organizzata e normata, al fine di delineare precisi ambiti di intervento e di competenza e i relativi percorsi

formativi deputati a formare questa nuova professionalità.

3.2 Le competenze per l’occupabilità supportabili dall’orientamento

Si assiste ormai da qualche anno ad un generalizzato processo di riforma della pubblica amministrazione,

del sistema di istruzione e della formazione, del collocamento e dei servizi per l’impiego. In questo quadro di

riordino, l’orientamento sembra rappresentare uno strumento di integrazione fra i diversi sottosistemi,

“…favorendo, attraverso una relazione dinamica e continua, un punto di incontro fra le esigenze

dell’individuo (motivazioni, interessi, competenze) e le opportunità esterne date dall’offerta formativa e dal

mercato del lavoro.” (Selvatici, D’Angelo, 1999). La crescente attenzione a metodologie e servizi specialistici

di orientamento si colloca, dunque, in un quadro di costruzione di politiche attive del lavoro orientate alla

valorizzazione delle risorse umane e attente a favorire un matching più logico tra domanda e offerta di

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lavoro.

Seguendo questa logica le politiche per l’occupabilità e lo sviluppo delle competenze personali e

professionali sono strettamente connesse alle politiche per l’orientamento, poiché pone il soggetto in grado

di costruire, in modo coerente, il proprio percorso biografico personale e professionale.

Investire su modelli di orientamento è strategico per fornire un cambiamento o una riconversione

professionale, che tenga conto dell’evoluzione continua del lavoro e sostenga la persona in modo che non

diventi vittima passiva del cambiamento organizzativo e tecnologico. (Cfr., Selvatici, D’Angelo, op. cit., p.

14)

L’orientamento non può essere considerato soltanto uno strumento di sostegno alla transizione ma un vero

e proprio processo formativo. C’è tutta un’area di risorse del soggetto (attitudini, motivazioni, corretta

immagine di sé, autostima, interessi, aspettative, capacità di individuare i propri punti di forza e di

debolezza, i propri limiti ecc.), che merita di essere potenziata con una coerente e mirata azione

pedagogica. Il problema, dunque, è come, chi e in quali luoghi istituzionali deve trasmettere questa

metacompetenza. L’attività dell’orientare non deve fermarsi alla consulenza ma deve essere finalizzata alla

formazione del soggetto in modo che questi acquisisca tutte le abilità utili ad auto-orientarsi in modo

autonomo nel mercato del lavoro e della formazione.

In virtù di questa logica possiamo addurre tra le finalità della funzione orientativa i seguenti elementi:

► facilitare al massimo la conoscenza di sé, cioè aiutare il soggetto a farsi un chiaro concetto di sé e fornirgli

un quadro di informazioni adatte a promuoverne lo sviluppo;

► fornire all’individuo la massima opportunità, cioè aiutarlo ad acquisire tutte le informazioni a lui utili.

Occorre, però, che l’utente sia motivato a ricevere le informazioni e in grado di comprenderle;

► aiutare il giovane ad acquisire abilità progettuali (Cfr., Scalpellini, 1990);

► educare al cambiamento e alla transizione.

Orientare significa mettere il soggetto in grado di definire la propria identità, valutare stili di vita, valori,

attitudini, interessi ecc.. In altre parole educare al cambiamento sociale e professionale.

Tale intervento dovrebbe essere teso a: modificare i fattori che impediscono lo sviluppo di interessi e

attitudini; rilevare gli esiti e i progressi intermedi e finali dell’apprendimento, degli interessi e delle attitudini;

valorizzare la componente progettuale individuale; favorire la strutturazione progressiva di un progetto di

vita; promuovere una diffusa conoscenza del mondo del lavoro; offrire un quadro affidabile di informazioni

utili ai fini orientativi; delineare uno scenario degli attuali sistemi sociali, delle economie e delle altre realtà

internazionali; facilitare riflessioni consapevoli sui processi di strutturazione delle decisioni. (Cfr., Domenici,

1998, pp.40-41).

In altre parole, orientare significa favorire nel soggetto l’acquisizione di abilità-competenze fondamentali per

la riuscita nell’attuale mercato del lavoro non solo per l’autocollocazione dell’individuo ma anche per la

riuscita professionale. Tali abilità-competenze, seguendo le recenti indicazioni dell’ISFOL, possono essere

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riassunte nella capacità di diagnosi (da cui discende la capacità di valutare ed autovalutarsi); nella capacità

di relazionarsi (nell’ambito della quale si sviluppa la capacità di negoziare e rinegoziare); e la capacità di

affrontare (problem solving, soluzioni creative).

L’orientamento, dunque, sembra essere uno strumento volto a favorire lo sviluppo di quelle competenze

trasversali per le quali ancor oggi non si è fatta chiarezza sui luoghi e le modalità di trasmissione.

Per questo motivo può essere utile individuare alcune domande forti per dare conto del legame tra

orientamento e occupabilità cui potrebbe essere interessante tentare di dare una risposta attraverso questo

lavoro di ricerca:

► Dove e come si costruiscono le competenze all’autorientamento così prezioso per conoscere sé

stessi e il mercato di riferimento in modo adeguato, al fine di collocarsi e ricollocarsi al lavoro nel modo

migliore?

► Si tratta di competenze che si possono formare (ed eventualmente dove e come si formano) o sono

frutto di doti personali? E’ necessario comprendere non solo le strategie adottate, ma anche come in

concreto ci si orienta e quali sono le istituzioni che influenzano, e come (famiglia, scuola, mass-media,

territorio, associazionismo, volontariato ecc). E’ necessario comprendere, inoltre, i momenti di transizione e i

processi decisionali ad essi connessi (Cfr., Botta)

► Quanto e come incide la capacità di autoorientarsi rispetto alla propria occupabilità? Ma soprattutto

come ci si orienta e ci si auto-orienta, attraverso quali processi, quali meccanismi cognitivi e interpretativi?

► Dove, chi e come viene svolta la funzione orientativa?

► Tale funzione favorisce, e in che modo, il miglioramento dell’occupabilità e/o delle competenze, è

capace di minimizzare le differenze sociali di partenza?

► Chi, come e perché accede ai servizi di orientamento e quali sono le domande di cui sono portatori

tali soggetti?

► Tenendo conto dell’importanza della dimensione territoriale, quali sono i contesti socio-economici in cui

tale servizio funziona meglio?

► Quali sono le competenze –e come- si potrebbero formare attraverso la funzione orientativa?

Un ulteriore considerazione da fare in conclusione riguarda, da una parte l’individuazione di standard

metodologici che garantiscano gli utenti del servizio; e, dall’altra, la messa a punto e la “diversificazione dei

linguaggi” necessaria per interagire con una grande varietà di esperienze e culture. “Linguaggi significa

metodologie dedicate, supporti adeguati, luoghi riconoscibili e in grado di attrarre i soggetti cui sono o

dovrebbero essere dedicati, competenze e, soprattutto capacità di ascolto e di interpretazione di bisogni che

talvolta non sono espliciti. L’articolazione dei linguaggi non implica l’esistenza di luoghi separati ognuno

dedicato ad un diverso soggetto, ma la pratica di una cultura della complessità, un approccio al cliente che

ponga questo al centro di una relazione dedicata e attenta….” (Franchi, 2000, p. 23). Il problema centrale,

infatti, di cui tener conto è dato dal fatto che sono proprio i giovani (o adulti) più bisognosi di un intervento

(drop-out, disoccupati, categorie svantaggiate e marginali ecc.) ad avere difficoltà nell’accedere a questo

genere di servizi (Ambrosini, 1997). A fronte di ciò, un intervento di policy volto ad annullare delle differenze

sociali rischia di avere un effetto “boomerang” contro i destinatari principali e favorire, al contrario, coloro che

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meglio sanno destreggiarsi nei canali amministrativi.

• Di quali azioni si compone la consulenza orientativa? E quali effetti queste azioni hanno sul

territorio?

• E’ possibile individuare le competenze-conoscenze-abilità di cui dovrebbe essere titolare

l’orientatore per garantire uno standard di servizio? Quali profili formativi-esperienziali sono in grado

di garantire tali competenze?

• Quali linguaggi e, soprattutto, quali canali sono in grado di raggiungere gli utenti più

bisognosi?

Stefania Capogna è dottoranda in “Sistemi sociali e analisi delle politiche pubbliche” presso l’Università di Roma “La Sapienza”.

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Codice del lavoro