Un modello di formazione: vivere il museo

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VIVERE IL MUSEO: UN MODELLO DI FORMAZIONE di Maria Paola Sevieri

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VIVERE IL MUSEO: UN MODELLO DI FORMAZIONE

di Maria Paola Sevieri

INDICE

1. Le “radici” del museo .................................................................................................................... 1

2. Capire il museo ............................................................................................................................. 2

3. Dalla parte del museo ................................................................................................................... 4

4. “Mostrare” il museo ..................................................................................................................... 6

5. La didattica museale in Italia ........................................................................................................ 7

6. Visita didattica: un esempio ....................................................................................................... 10

7. Conclusioni .................................................................................................................................. 14

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................... 15

SITOGRAFIA ....................................................................................................................................... 15

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1. LE “RADICI” DEL MUSEO

“Istruire una nazione è civilizzarla; spegnervi le conoscenze è ricondurla allo stato primitivo di

barbarie”, così si esprime in modo appassionato Denis Diderot in seno al dibattito sulla qualità

dell’insegnamento. Siamo in un’epoca in cui si afferma la fiducia nell’efficacia dell’educazione, si

istituzionalizza la responsabilità dello Stato quale tutore del “bene pubblico” e dell’educazione,

per il benessere del cittadino. All’educazione viene riconosciuto un ruolo importantissimo in

termini politici e culturali, così come viene avvertito il bisogno di arrivare ad una conoscenza

sperimentale della natura e dell’uomo. Nella metà del Settecento si afferma il “sistema moderno

delle arti” nella sua forma pressoché definitiva: l’Abate Batteaux, nel trattato Le Beaux arts réduits

à un meme principe del 1746, stabilisce una chiara divisione delle arti, distinguendo le “belle arti”

da quelle “meccaniche”. Principio comune a tutte le arti è “l’imitazione della bella natura”, quale

autorevole requisito in grado di legittimare lo statuto delle arti fin dalle origini. Si fa spazio anche il

concetto moderno di tutela e di valorizzazione delle raccolte artistiche, patrimonio dello stato,

aperte al pubblico per formare le nuove generazioni. Il museo diventa luogo elettivo della

formazione culturale ed artistica, strettamente collegato alle Accademie d’Arte, simbolo della

moderna e nuova concezione di cultura illuminista. In particolare le Accademie diventano scuole

pubbliche e l’apprendimento del “bello” diviene un fattore da integrare nel processo educativo. Gli

insegnamenti sono insieme tecnici e teorici, si favoriscono i contatti internazionali e la circolazione

di idee e di esperienze. Gli enciclopedisti, da parte loro, auspicano un arte “utile”, in grado di

educare, tecnicamente migliore della precedente e consapevole dei propri processi di produzione.

In Italia nel 1734 papa Clemente XII rese pubblica la propria collezione, sancendo ufficialmente la

nascita del Museo Capitolino a Roma; ancor prima Sisto IV nel 1471 aveva istituito una collezione

per il popolo romano, con un nucleo di opere di bronzo (tra cui la Lupa, la Testa di Costantino e lo

Spinario). Il particolare significato di queste opere ne aveva determinato il trasferimento

in Campidoglio. Tale significato è espresso in maniera molto chiara nell’iscrizione che ancora oggi è

conservata all’ingresso del Palazzo dei Conservatori, in cui si evidenzia come il Pontefice, con

grande benevolenza, avesse voluto restituire, al popolo romano che le aveva create, le pregevoli

statue di bronzo che testimoniavano della sua antica ed eccelsa grandezza. Il primo grande museo

di committenza laica in Europa fu il British Museum di Londra, inaugurato nel 1753. Esso nacque

per volere del medico e naturalista Sir Hans Sloane (1660-1753) che aveva riunito un’invidiabile

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collezione di curiosità. Il museo, da subito aperto al pubblico gratuitamente e teso a conservare

tutte le produzioni umane, era stato pensato come "museo universale" e rappresentò una nuova

tipologia del genere, non di proprietà ecclesiastica o del Re ma della Nazione. La Francia

rivoluzionaria manifestò un grande interesse per tale avvenimento in considerazione anche del

fatto che, a seguito della soppressione degli ordini religiosi, disponeva di un enorme patrimonio

artistico da gestire. Jacques-Louis-David rivestì un ruolo determinante in seno a tal dibattito

culturale: sostenne strenuamente il ruolo del museo quale quello di “una grande scuola”, in cui “i

maestri condurranno i giovani allievi, il padre vi accompagnerà il figlio, il giovane, vedendo le

produzioni del genio, sentirà nascere in lui quel germe d’arte o di scienza al quale la natura lo

chiama”. Così, nel 1793, fu inaugurato il Museo del Louvre, novello “faro” di arte in Europa.

Napoleone sfruttò appieno le potenzialità simboliche e politiche della nuova istituzione facendovi

confluire le opere provenienti dalle campagne militari in Europa e in Egitto, sancendone poi

ufficialmente il possesso con i trattati di pace. Il Museo di Brera di Milano, per esempio, sorse, per

l’appunto, in seguito all’impulso napoleonico a costituire una rete museale periferica, accogliendo,

fin dal 1805, opere lombarde, venete e pontificie di chiese e di istituti religiosi soppressi, dando

vita ad una delle più ricche pinacoteche di Europa.

2. CAPIRE IL MUSEO

Le sollecitazioni che emanano da un’opera d’arte inducono a sperimentare, a spingersi in nuovi

territori sensoriali, percettivi, cognitivi ed estetici. Le diverse interpretazioni di senso e di

significato dirimono la nostra comprensione all’interno di un complesso sistema dotato di senso in

cui è possibile integrare coerenze e divergenze, necessario e voluttuario, in cui l’obiettivo legittimo

è quello di voler rintracciare le ragioni di un’opera d’arte, in dimensione tanto diacronica quanto

sincronica. In altre parole il museo si fa territorio dell’esegesi artistica, capace di svelarne il senso

profondo, stratificato, ancora rintracciabile. Il metodo comparativo, con le occasioni e gli stimoli

dell’ambiente museale, affina gli strumenti di indagine, trova molteplici applicazioni su “oggetti”

concreti di interesse, fa sorgere nuovi impulsi di curiosità nei confronti del “caso” vero, reale.

Prende forma un approccio di conoscenza non lineare: l’esperienza multiforme, non progressiva,

favorisce l’osservazione, l’individuazione di nodi concettuali, di problemi, di varianti e di invarianti

sottese alla valutazione della qualità artistica. Il percorso museale rappresenta, così, un idoneo

ambiente di apprendimento, in grado di coniugare informazioni, emozioni e sentimenti, creatività

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e capacità logico-astrattive, nel rispetto dei diversi stili cognitivi. Di per sé è laboratorio di naturale

complessità, all’interno del quale agire operando scelte, assumendo punti di vista intersoggettivi,

formulando ipotesi e validazioni. All’interno del museo siamo chiamati a rappresentare e ad

elaborare in modo coerente, a collegare e ad instaurare relazioni tra fenomeni, tra eventi e

concetti diversi, a cogliere differenze e ad intravedere analogie. La insita complessità

dell’ambiente induce a decifrare e ad interpretare messaggi non verbali che saranno condivisi con

gli altri e che potranno condurre a nuovi percorsi di senso. Ogni allestimento museale presuppone

un “montaggio”1: scegliere, mettere insieme, accostare, collocare, sono operazioni che

sovrintendono alla sua genesi. La collezione si distingue dall’accumulazione indifferenziata per la

presenza di principi ordinativi e di classificazione, dove ogni elemento trova relazione con

l’insieme, in un rapporto di intertestualità. Lo spazio espositivo è luogo di incontro dove il

visitatore è chiamato ad un lettura intertestuale che si sostituisce ad una lettura lineare:

l’osservatore si arresta, raggruppa, inverte la visita, sviluppa un tipo di osservazione basata su

capacità combinatorie. La musealizzazione comporta l’esaltazione dei propri oggetti, la

promozione dell’artista, l’affermazione dell’unicità dell’opera o, al contrario, radicalizza una

negatività quale, per esempio, l’invito dei futuristi a rinnegare i musei2. La crescita dell’interesse

porta comunque ad una più attenta conservazione delle opere ed alla divulgazione della storia

dell’arte. Ma quale storia dell’arte? La storia degli artisti ci mette in relazione con una serie di

documenti in grado, almeno in parte, di validare le ipotesi, di sovrapporre la biografia artistica con

la biografia anagrafica dell’artista e favorire l’attribuzione dell’opera, anche in assenza di data e

firma. La lettura e l’interpretazione stilistico-formale dell’opera ci guida nel condurre

comparazioni e riscontri incrociati all’interno di un dato contesto sociale di committenti e fruitori;

l’individuazione di elementi appartenenti alla generalità dell’oggetto esaminato, in ordine alla

tecnica, alla rappresentazione dello spazio, alla modalità compositiva, alla scelta cromatica, alle

formule ripetitive ed agli stereotipi, quali indizi “rivelatori”, suffragano la ricerca di una personalità

artistica specifica. Procedendo invece in modo deduttivo, dal contesto di origine, possiamo

rinvenire quelle condizioni, quelle esigenze dettate dai committenti e dai fruitori, che hanno

determinato alcuni aspetti delle produzioni artistiche. Dobbiamo anche notare che lo statuto di

1 Victor I.Stoichita, L’invenzione del quadro. Arte, artefici e artifici nella pittura europea, Milano, Il Saggiatore 1998,

pag. 133 e sgg. 2 Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo, Manifesto dei pittori futuristi, 11 febbraio 1910, ed. cons. Dario De Micheli,

Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano, Feltrinelli 1986.

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“opera d’arte” è soggetto a trasformazioni ed ha subito notevoli estensioni di significati a seguito

dell’introduzione del concetto di “bene culturale”3: l’attribuzione stessa di statuto di opera d’arte

può mutare nel tempo ed i mutamenti delle gerarchie di valori, in seno alle opere d’arte, sono

rilevatori della vitalità del genere artistico. Dal momento che le opere hanno vita ben più lunga dei

loro autori, la loro sopravvivenza come tali è strettamente collegata all’apprezzamento ed alla

ricezione: si verifica così una selezione che nel tempo porta alla salvaguardia di alcune opere

rispetto ad altre che vanno irrimediabilmente perdute. Durante la visita al museo è ineludibile

riflettere sulla decontestualizzazione del manufatto artistico, sul suo isolamento, sull’alienazione

dal sito originario di appartenenza: tra i primi storici oppositori di tale fenomeno ricordiamo

Canova e Quatremère de Quincy, il quale in particolare non mancò di condannare le statue

classiche “de-deificate”, strappate al loro contesto, alla loro funzione ed alla loro rete di relazione

con altre opere del medesimo luogo. In realtà le opere d’arte hanno molteplici valenze estetiche e

culturali, politiche ed ideologiche ed allo storico dell’arte spetta il compito di leggerle nella loro

dimensione simbolica di specifica complessità. Con quale sguardo quindi visitare il museo ed

osservare l’opera d’arte? Tenendo d’occhio le molteplici direzioni di una ricerca, dobbiamo

ricomporre le frammentazioni, ripartire dalla condizione originaria per pervenire ad una lettura

ricca e chiara di ciò che ci troviamo davanti: molteplicità e complessità sono insite nell’opera

d’arte, difficilmente riconducibile, di per sé, ad univoche semplificazioni.

3. DALLA PARTE DEL MUSEO

Attorno al museo si ricostruisce una nuova storia e una nuova memoria, il cui spessore simbolico

ne fa un’istituzione unica. L’Ottocento ha reso il museo monumentale, rappresentativo, attorniato

da un’aura inviolabile. Da luogo astratto e sacro della memoria è divenuto, soprattutto a partire

dal secondo dopo guerra, spazio di un pubblico curioso, per una nuova “civiltà del museo”. Il

lavoro di rinnovamento, realizzato negli ultimi cinquant’anni in Italia, ne ha vivificato fisionomia e

funzione. Attorno al termine “museologia” ruotano nuove istanze, di cui un organismo

internazionale, l’ICOM International Council of Museums4, è portavoce tra i musei di tutto il

3 Per una definizione di “bene culturale” e per il suo iter normativo in Italia cfr.

http://www.treccani.it/enciclopedia/beni-culturali_(XXI_Secolo)/

4 ICOM - International Council of Museums - è l'organizzazione internazionale dei musei e dei professionisti museali

impegnata a preservare, ad assicurare la continuità ed a comunicare il valore del patrimonio culturale e naturale

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mondo. I primi studi sistematici sulla fondazione dell’istituzione “museo” erano stati avviati da

Caspar Friedrich Neickel5 nel 1727. La nascita del museo in senso moderno è senz’altro da

individuare nella genesi del collezionismo aristocratico rinascimentale, così come lo progettano e

lo realizzano gli umanisti. La storia del collezionismo è in gran parte una storia di oggetti

“sradicati”, trafugati, a vario titolo acquisiti ed acquistati, che vengono così accumulati e scelti

secondo un progetto ed una intenzione. Il bisogno di tutela e di conservazione di questi manufatti

è un aspetto significativo della riflessione sulla valorizzazione del patrimonio museale, ma non

certo l’unico. L’atto di preservare, di salvare dalla dispersione, è un atto connaturato all’umano,

antropologicamente fondato e comune a tutte le civiltà: è una forma di protezione, di

accudimento del proprio mondo interiore, fortemente marcato antropologicamente e che si

contrappone alle forme di damnatio memoriae. Fin dalle più antiche origini è atto culturale, per

identità e scopo. Mouseion è il luogo delle Muse, riferito da Strabone nel III secolo d.C. per definire

gli ambienti in cui si riuniscono studiosi e filosofi nella Biblioteca di Alessandria; in senso moderno

sarà Petrarca a qualificare il luogo per eccellenza nel quale lo studioso si ritira per esercitare

un’occupazione intellettuale di dialogo ideale con gli antichi alla presenza delle Muse. Nel corso

del Quattrocento, poi, emergerà ancora esplicito l’abbinamento studio-Muse, dedicato ad Apollo.

La codificazione del termine sarà di Paolo Giovio quando, nel 1543, realizzerà un nuovo ambiente

pubblico, caratterizzato dalla centralità accordata al tema delle Muse, alla cui raffigurazione verrà

dedicata una sala: l’aura di sacralità circonda il museo ed è questa la soglia da varcare, che separa

il quotidiano dall’inusuale. Il nucleo della collezione gioviana, costituito da una raccolta di ritratti di

uomini illustri, andrà a costituire negli Uffizi, a partire dal 1587 col Duca Ferdinando I de' Medici e

quindi a morte avvenuta di Giovio, la collezione della "Serie gioviana", tutt’oggi visibile.

Oggigiorno le funzioni ed i servizi che le istituzioni museali svolgono non prescindono dalla

necessità di “implementare”6 le opere d’arte, rendendole godibili, significative dal punto di vista

simbolico ed estetico, collocate in condizioni di porsi in relazione con gli osservatori e disvelare

mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale Fondata nel 1946, ICOM è un'organizzazione senza fini di lucro che riunisce oltre 30.000 aderenti nei 5 continenti. Cfr. http://www.icom-italia.org/

5 Caspar Friedrich Neickel, nei primi decenni del Settecento, pone le basi della moderna museografia in un ampio

trattato, Museografia, Leipzig—Breslau, 1727, incentrato sulla catalogazione minuziosa delle raccolte esistenti nell'Europa del tempo, sulle loro diverse finalità e tipologie (dalle Kunstkammern alle Wunderkammer, “camere delle meraviglie”, ai “cabinets” francesi, alle gallerie e agli studi in Italia) e sui materiali che potevano costituirle, proponendo una distinzione di massima fra le collezioni di storia naturale (naturalia) e quelle di oggetti artistici (artificialia).

6 Nelson Goodman, Arte in teoria, arte in azione, traduzione N. Poo, Milano, et.al/Edizioni 2004.

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così il loro potenziale culturale. Il concetto di “implementazione” dell’opera d’arte, quindi, diventa

frutto di una rivoluzione culturale che ha il suo centro nella formazione nelle scuole e che conduce

diritto al cuore della questione: creare i presupposti per il riconoscimento delle proprietà visive

degli oggetti e ideare strategie idonee per apprezzare. Il buon allestimento è il primo segno visibile

di una comunicazione orientata ed efficace. Ricongiungendo l’aspetto cognitivo con quello

affettivo-emozionale, “implementare” l’opera d’arte significa quindi creare un allestimento utile

all’osservatore, permettere all’oggetto artistico di essere opera “parlante” e non “muta”.

4. “MOSTRARE” IL MUSEO

Visitare il museo è principalmente un percorso di scoperta e di emozione ed a tal fine

determinanti sono le scelte espositive che permettono al museo di comunicare con i suoi pubblici.

Valorizzare, quindi, la funzione comunicativo-artistica dell’oggetto estetico significa riflettere sulle

modalità e suoi “congegni” espositivi. Numerose le esperienze a tal riguardo: guardando a ritroso

possiamo citare, per esempio, il San Sebastiano7 del Mantegna, 1481 ca., all’interno della

Collezione Giorgio Franchetti nella Ca’ d’Oro veneziana. Il collezionista mise a punto una

particolare scenografia per l’opera: una cappella ornata di marmi, al centro della quale il dipinto,

tra le opere più drammatiche dell’artista, è custodito all’interno di un altare che ne enfatizza

l’isolamento e le qualità estetico-visive. Tra le esperienze più recenti invece, sempre a Venezia, è

da ricordare il “Museo Vedova”8 all’interno di antichi magazzini navali, proprio là dove l’artista

aveva il suo studio. Il progetto, voluto dall’artista stesso, è stato commissionato

all’architetto Renzo Piano, il quale ha ideato un innovativo ”museo mobile”, una sorta di museo-

macchina all’interno del quale lo spettatore sta fermo e le opere d’arte gli vengono incontro.

Un’altra recente esperienza di fruizione innovativa è anche quella del Cleveland Museum of Art9,

uno spazio museale di ben 13.000 metri quadrati, quasi interamente riprogettato per fonderlo con

le opportunità multimediali più moderne. Si tratta della “Gallery One” che prevede dieci

7 http://www.cadoro.org/curiosita/giorgio-franchetti-ed-il-san-sebastiano/. Il barone Giorgio Franchetti (1865-1927)

nel 1916 donò allo Stato italiano le sue raccolte e l’edificio stesso, dopo averne ripristinato, con ingenti restauri, lo splendore originario.

8 http://www.fondazionevedova.org/

9 http://www.clevelandart.org/gallery-one/about

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postazioni interattive aventi l’obiettivo di esaltare i contenuti delle collezioni permanenti del

museo: il “Collection Wall”, uno schermo touch tra i più grandi e sofisticati degli Stati Uniti;

l’“ArtLens” (iPad app); due aree interattive dedicate ai ragazzi e ben sei schermi interattivi. Queste

stazioni interattive, note collettivamente come “lenti”, sono dotate di touch screen che

consentono ai visitatori di trovare informazioni su opere d’arte collegate all’interno dello spazio

stesso e che permettono attività interattive uniche ad ogni stazione.

5. LA DIDATTICA MUSEALE IN ITALIA

Per didattica museale si intende, generalmente, l'insieme delle metodologie e degli strumenti

utilizzati dalle istituzioni museali e da quelle scolastiche per rendere accessibili ad un più vasto

pubblico collezioni, raccolte, mostre e, in generale, ogni tipo di esposizione culturale. In Italia si

iniziò a parlare di “Didattica museale” nei primi anni della Repubblica formatasi con la nuova

Costituzione: a quel tempo numerosi musei italiani riaprirono al pubblico con programmi

innovativi. Ricordiamo a tal proposito la Pinacoteca di Brera ed il Poldi Pezzoli di Milano, la Galleria

degli Uffizi a Firenze, la Galleria Borghese, il Museo Etrusco di Villa Giulia e i Musei Comunali a

Roma, il Museo del Sannio a Benevento, il Museo Nazionale di Reggio Calabria e quello di Messina,

il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. La scuola, in questa prospettiva, costituiva

l’elemento propulsore principale per il progresso della società nel suo insieme ed occorreva

urgentemente avvicinare queste istituzioni tra loro ed al grande pubblico. E per far ciò, come

osservava Pietro Romanelli10, bisognava “studiare i mezzi più acconci per avvicinare il museo al

pubblico, farlo entrare sempre più intimamente … nel vivo della società moderna, come elemento

attivo ed insostituibile dell’educazione e dell’elevazione culturale e spirituale della società stessa”.

Nasce così la “Didattica dei musei”. Pietro Romanelli osservava come insegnanti e studenti fossero

restati passivi testimoni di una cultura organizzata secondo criteri molto lontani dai loro reali

interessi e dalle effettive possibilità di comprensione. Pertanto intravedeva, nelle prime

esperienze di didattica museale, un’occasione eccezionale, affinché “… il museo potesse diventare

un necessario e insostituibile complemento della scuola e che, come tale, dovesse essere aperto e

accessibile e comprensibile a tutti”. Il primo passo era allora ripensare lo spazio museale secondo

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Presidente dell’allora Associazione Nazionale dei Musei italiani del dopo guerra, nonché direttore generale delle Belle Arti al Ministero della Pubblica Istruzione.

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le parole dell’allora Soprintendente della Pinacoteca di Brera Franco Russoli, e cioè non concepire

più il museo come deposito o laboratorio specialistico per oggetti di cultura, ma come “crogiuolo e

produttore di cultura”, dove ogni cosa od opera, ogni documento sulla natura, della storia, della

scienza e dell’arte, consente ed esige le più diverse forme di approccio e di rapporto, di lettura e di

interpretazione. Con queste convinzioni veniva attribuito all’istituzione museale un nuovo ruolo,

che la rendeva poliedrica, flessibile e saldamente organizzata nell’erogazione dei suoi servizi. La

strada intrapresa per “convincere che il museo non è noioso, bensì vivente”, era farlo vivere come

luogo in cui si trovano non tanto delle informazioni o dei “documenti originali” su un dato

argomento, quanto delle inattese e rivelatrici scoperte. Franco Russoli sosteneva la necessità di

“offrire il museo alle scuole di ogni grado come strumento formativo e non puramente nozionale,

mettendo ogni museo a disposizione delle scuole non soltanto per un’attività didattica limitata alla

singola disciplina, ma come un laboratorio aperto ad ogni indirizzo di ricerca”. Scuola e museo,

cioè “scolastico e extra scolastico, sono due modi distinti, ma non contrapposti, di realizzare

l’educativo in una continuità e una reciprocità che li lascia sussistere nella loro giustificazione

storica, istituzionale e metodologica”11. Il compito fondamentale doveva consistere nell’

“agevolare in ogni individuo… la ricostruzione della storia della civiltà, per integrare se stesso nel

contesto socio-culturale… favorendo il formarsi di un coscienza”12 consapevole, responsabile e

rispettosa delle persone, in primis, e del patrimonio culturale collettivo. A tal proposito lo stesso

Romanelli istituiva nel 1969, presso il Ministero della Pubblica Istruzione, una Commissione per la

didattica dei musei, con la finalità precipua di rendere istituzionale il rapporto tra scuola e museo.

In pratica la metodologia della didattica museale doveva essere estesa per promuovere, da un

lato, la conoscenza del patrimonio culturale nazionale nei cittadini a tutte le età e, dall’altro, per

rinnovare le metodologie di insegnamento dei vari saperi, attraverso procedure didattiche di tipo

“attivo” e trasformazionale in un contesto di per sé multidisciplinare. Questo agire rappresentava

un’apprezzabile salto di qualità nello studio della tutela del patrimonio culturale, tutela non più

vista in chiave “museografica” e di mera “protezione”, ma chiaramente finalizzata ad un uso socio-

culturale ed educativo dei beni culturali. Erano gli anni della massima affermazione della corrente

11

Cesare Scurati, L’educazione extra scolastica, problemi e prospettive, Brescia, La Scuola 1986, p. 48.

12 S. Poldi Allaj, Pedagogie del museo, Roma, Salerno editore 1991, p. 54.

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pedagogica-didattica dell’attivismo in Francia13, ripensata in modo personale da Bruno Munari14 in

Italia, con la messa a punto di innovativi laboratori metodologici per avvicinare i bambini

all’esperienza artistica. Oggigiorno con il termine “museo relazionale”15 si indica la rete di relazioni

che uniscono il museo al territorio, ai comunicatori sociali, alla società in senso lato. Il museo

contribuisce alla costruzione identitaria di una comunità, nella quale conoscere e riconoscersi

come individui e gruppo sociale. Si auspica che il pubblico, da visitatore passivo, divenga soggetto-

interlocutore partecipe della costruzione dell’immagine dell’istituzione stessa; cambiano i profili

professionali degli operatori museali con l’introduzione di nuove competenze e vengono

introdotte pratiche gestionali manageriali. Attualmente è anche in atto una riflessione sulla

mission che i musei possono svolgere nell’ambito dei progetti di rigenerazione e di recupero di

aree urbane critiche: il tema è particolarmente importante per alcune realtà socio-economiche

che stanno passando da una cultura industriale ad un terziario avanzato. Si alimenta, partendo dal

museo come laboratorio, il valore di cittadinanza attiva consapevole e responsabile fondato sulle

cosiddette “competenze chiave”16 dell’imparare ad imparare, progettare, comunicare, collaborare

e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere i problemi, individuare

collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare l’informare.

13 Pur tenendo conto della vastità e dell'eterogeneità del movimento, è possibile enucleare i suoi principi:

l'educazione è un processo di autoeducazione, poiché implica una partecipazione attiva, consapevole e critica al

processo della propria formazione; l'interesse e l'esperienza diretta costituiscono il fulcro di ogni processo di

apprendimento da commisurare alla specificità dei momenti dello sviluppo psicologico del bambino/studente;

la socialità si propone come fondamento dello sviluppo della personalità individuale, in vista del suo fattivo

inserimento nel contesto sociale; il lavoro manuale è concepito come antidoto al nozionismo ed al verbalismo, come

mezzo per favorire lo sviluppo della capacità concreta di collaborazione e di rispetto per gli altri; la partecipazione

diretta all'organizzazione delle attività fa da supporto alla conquista del senso di responsabilità ed all'autonomia

personale; la funzione dell'insegnante muta radicalmente: da depositario e trasmettitore di cultura diventa animatore

della vita scolastica e guida nelle attività degli allievi.

14 Laura Panizza, L’incontro di Bruno Munari con la didattica attiva. I fondamenti pedagogici dei laboratori “Giocare

con l’arte”, in “Ricerche di Pedagogia e Didattica”, 4, 2009.

15 Simona Bodo, Il museo relazionale, Torino, ed. Fondazione G. Agnelli 2003.

16 Giuseppe Fioroni, D.M. n. 139 del 22 agosto 2007, “ Allegato” competenze di cittadinanza.

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6. VISITA DIDATTICA: UN ESEMPIO

L’idea di pensare la visita al Museo Fondazione Casa Buonarroti17 nasce da un’esperienza da me

concretamente realizzata nell’anno in corso. Il museo, per le sue caratteristiche strutturali ed

organizzative, rappresenta, sotto certi aspetti, un modello ideale di visita: la sede è piccola ma

preziosa, in quanto casa signorile secentesca della centralissima via Ghibellina, a Firenze. In questo

luogo si respira un’atmosfera antica e allo stesso tempo familiare, e ciò consente all’esperienza

museale di essere integrata nel quotidiano bagaglio di vita. Una preventiva consultazione del sito

online permette di informarsi adeguatamente su ciò che riserva la visita dal vivo. Nell’home page

del sito le collezioni artistiche, l’archivio e la collezione dei disegni, sono ben presentati; sono

inoltre illustrati l’itinerario di visita e gli altri importanti servizi quali la biblioteca, le visite guidate,

le attività didattiche per le scuole e le famiglie. Consiglio inoltre, per la sua accessibilità e per la

resa qualitativa delle immagini, la “visita 3D”, che permette l’accesso agli ambienti e alle opere in

forma appunto tridimensionale e realistica. L’esperienza però che rende unica questa scelta

museale, a fini didattici, è la possibilità di visionare alcuni bozzetti michelangioleschi, esempi

preziosi e per certi versi inediti della vita artistica di Michelangelo. La loro presenza è testimoniata

nella casa a partire dal 1664 e la loro memoria è stata persistente e continua; oggi costituiscono

un nucleo di dieci pezzi di sculture di piccole dimensioni attribuite a Michelangelo ed ai suoi

collaboratori. Le opere realizzate in cera, terracotta, legno e gesso, accompagnano la carriera

dell’artista dalla giovinezza alla vecchiaia e portano impresse su di sé le tracce fisiche della

modellazione creativa, testimonianza del suo rapporto con la materia inerte; ci “parlano”, quindi,

del processo creativo dell’artista, dei suoi modi di produzione, e sono segno tangibile dell’operare

spesso non lineare, ma anzi problematico, dell’autore. Testimoniano, inoltre, la caratteristica del

“non finito” michelangiolesco quale “opera aperta” e indeterminata, mai ovvia e scontata, sempre

attuale e imperituro modello di ispirazione, come nel caso di Jackson Pollock18 e dei suoi schizzi

della Cappella Sistina. Tra le opere della Fondazione del tipo bozzetto possiamo soffermarci su :

17

http://www.casabuonarroti.it/it/

18 Serena Bandini, Jackson Pollock e Michelangelo: perché no?, in http://www.espoarte.net/arte/jackson-pollock-e-

michelangelo-perche-o/#.U7ul2Pl_tE8

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Due lottatori19 e Dio fluviale20. Per quanto riguarda il primo si tratta di una terracotta, la cui

autografia michelangiolesca è accettata da gran parte degli studiosi. L’opera è stata spesso messa

in rapporto con la commissione medicea per una grande scultura raffigurante Ercole e Caco, che

doveva affiancare il David davanti a Palazzo Vecchio. Di questa tormentata commissione a

Michelangelo si trovano tracce documentarie a partire dal 1506; ma nel 1525 il progetto fu

definitivamente affidato a Baccio Bandinelli. Per quanto riguarda il secondo, anch’esso autografo

di Michelangelo, si tratta di un modello preparatorio di grandi dimensioni. E’ il progetto per una

statua della Sagrestia Nuova, dove l’artista lavorò dal 1521 al 1534, anno in cui lasciò interrotta

l’impresa al momento della sua partenza definitiva per Roma. Michelangelo aveva previsto di

inserire sul pavimento della Sagrestia Nuova, sotto le tombe dei duchi Giuliano e Lorenzo dei

Medici, quattro statue, raffiguranti divinità fluviali. L’opera della Casa Buonarroti è il modello del

dio fluviale che avrebbe dovuto essere collocato ai piedi della tomba di Lorenzo dei Medici. Assai

raramente Michelangelo faceva ricorso a modelli di grandi dimensioni per le sue sculture; in

questo caso si sa che fu Clemente VII, il papa committente, a richiedere esplicitamente modelli in

grandezza naturale, la cui esecuzione poteva essere affidata, almeno in parte, ad altri. Ma queste

personificazioni dei fiumi rimasero tuttavia allo stadio di progetto. L’emozionante dio fluviale della

Casa Buonarroti, rappresentato come una figura semidistesa, testimonia ancora una volta

l’interesse sempre presente in Michelangelo per la statuaria antica, dal momento che, nel mondo

classico, le personificazioni dei fiumi corrispondevano a figure maschili giacenti. Stimolante è il

confronto con le opere giovanili presenti nel museo: esse rappresentano importanti tappe di

affermazione artistica del maestro, nella direzione della individuazione stilistica. Si tratta della

Battaglia dei centauri21 e della Madonna della scala22. Nel caso della Battaglia dei centauri il

Vasari23 la ebbe a definire “la battaglia di Ercole coi Centauri”. Essa nel tempo ha suscitato molte

discussioni e resta non perfettamente definita: infatti il giovanissimo Michelangelo, pur riferendosi

19

Michelangelo Buonarroti, Due lottatori, 1530 circa, terracotta chiara, altezza 41 cm, Casa Buonarroti, inv. 19.

20 Michelangelo Buonarroti, Dio fluviale, 1524-1527 circa, argilla cruda, sabbia di fiume, peli animali, fibre vegetali,

legno,fil di ferro e rete metallica 65x40x70 cm, Casa Buonarroti, inv. Gallerie 1890, n. 1802.

21 Michelangelo Buonarroti, Battaglia dei centauri, 1490-1492, marmo, 80,5 x 88 cm, Casa Buonarroti, inv. 194.

22 Michelangelo Buonarroti, Madonna della scala, 1490 circa, marmo, 56,7 x 40,1 cm, Casa Buonarroti, inv. 190.

23 Giorgio Vasari, Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri,

Firenze, 1550; ed. cons. La Spezia, Fratelli Melita Editore 1988, II, pag. 282: “Michelangelo fece in un pezzo di marmo, datogli da quel signore [Lorenzo il Magnifico], la battaglia di Ercole coi Centauri, che fu tanto bella, che talvolta, per chi ora la considera, non par di mano di giovane ma di maestro pregiato e consumato negli studii e pratico in quell’arte. Ella è oggi in casa sua [di Michelangelo] tenuta per memoria da Lionardo suo nipote, come cosa rara che ell’è”.

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a una tematica già utilizzata nella cultura figurativa fiorentina dell’ultimo ventennio del

Quattrocento, sembra interessato, più che ad illustrare un preciso episodio mitologico, a

comunicare un’impressione di forza e di azione. Il rilievo e l’avviluppo dei corpi sono definiti ma

“non finiti”. Le figure in primo piano rimangono attaccate al fondo con pezzi di marmo che non

sono stati rimossi. Tutti i personaggi mostrano i segni dello scalpello. A riguardo della Madonna

della scala si può affermare che l’opera ha un respiro monumentale nonostante le dimensioni

limitate, con la figura femminile che occupa tutta l’altezza del rilievo. Non chiaro l’eventuale

simbolismo della scala, che guarda caso dà il nome al rilievo, e dell’azione dei bambini in

atteggiamento di danza ed intenti a tendere un drappo dietro la Madonna. Propongo, quale

esercitazione didattica degli studenti, la messa a punto di una scheda di analisi delle opere

osservate, nella forma di “carta di identità” del manufatto artistico:

Opera scelta: ......................................

(Incollare immagine per documentare)

Autore e datazione:

Provenienza e luogo di conservazione:

Tecnica e materiali:

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Elementi contraddistintivi di identificazione:

(soggetto, forma, attributi...)

Osservazioni personali: (espressività, comunicazione.....)

Interessante sarà poi operare confronti tra le opere schedate e registrare le osservazioni, dando

vita ad un inedito dossier museale.

Nella sezione dedicata ai servizi per la didattica troviamo, diversificate per età e contesti, varie

proposte: guida alla lettura dell’immagine, esplorazione tattile e sensoriale di vari materiali lapidei,

aneddotica, video documentazione, laboratorio pittorico. Queste attività potrebbero anche

costituire esperienza formativa per i progetti di alternanza scuola/lavoro24 contemplati nei

percorsi liceali e regolamentati dalla L. 28 marzo 2003, n. 53, comma 4 e successivo ordinamento

“Gelmini”. Tali stage e tirocini degli studenti, a partire da terzo anno, mirano alla acquisizione di

competenze programmate in coerenza formativa con il percorso di studi intrapreso. Al momento

non ho riscontrato, sul territorio, la realizzazione di esperienze in tal senso finalizzate al

conseguimento di obiettivi educativi nel campo della didattica museale. Altri sono i settori

all’interno dei quali vengono svolti tali tipi di tirocinio: si tratta, pur volendo rimanere nel settore

educativo, di soggetti giuridici esterni alla scuola, pubblici o privati, che erogano servizi alla

persona e di assistenza all’infanzia. In questo quadro di riferimento potrebbe trovare spazio una

progettazione finalizzata alla gestione di un servizio nell’ambito della didattica museale rivolta, per

esempio, a bambini della scuola primaria. Le esperienze che maturano in seno ad alcuni indirizzi

dei Licei delle scienze umane potrebbero, se adeguatamente indirizzate, rivolgersi al nuovo

24

Cfr. http://www.indire.it/scuolavoro/

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contesto. Già gli studenti di tale indirizzo di studi spesso operano in scuole elementari e materne;

alcuni di loro conducono esperienze di progettazione di laboratori creativi dove la narrazione,

l’arte, il gesto e la musica si fondono in una dimensione interdisciplinare. La macro-area di

competenza, di pertinenza degli studenti che compiono l’esperienza di stage, è così esplicitata:

“acquisire la competenza tecnico professionale di saper costruire risposte ai problemi e soddisfare

i bisogni dei soggetti attraverso l’attivazione di set organizzativi che definiscano lo spazio, il tempo,

le regole, i vincoli e le risorse”. Nel nostro caso, quindi per la didattica museale, un tema di

proposta di lavoro potrebbe essere: “animare” i bozzetti scultorei della collezione museale,

facendoli diventare personaggi reali, con ruoli simulati e di nuova invenzione. Le attività di

laboratorio conseguenti si fonderebbero sui seguenti criteri: utilizzare il gioco-azione per stimolare

le potenzialità creative dei bambini, per conoscere e riconoscere le emozioni; favorire lo sviluppo

della creatività rendendo attive le mani (manipolazione, uso di tecniche di pittura), la testa e le

emozioni; progettare e realizzare/modellare oggetti “artistici”, con l’ausilio di materiali poveri o di

riciclaggio.

7. CONCLUSIONI

Questa l’ipotesi di lavoro che potrebbe rappresentare un’ulteriore modalità di “vivere il museo”,

dalla parte dello studente: egli avrebbe la possibilità di sperimentare, in prima persona,

l’interdipendenza positiva tra il suo agire, in veste di formatore, ed il processo di apprendimento

degli altri soggetti coinvolti nel rapporto educativo. La risposta ai nuovi bisogni educativi, in un

modello integrato di formazione museale, è offrire percorsi differenziati di coinvolgimento e di

fruizione, in modo prioritario ed urgente: in gioco è la qualità della persona e del futuro perché,

come ebbe a dire Duchamp, “ è lo spettatore che fa il museo”.

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BIBLIOGRAFIA

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