L'arte del vivere. La testimonianza di Pavel A. Florenskij fonte del suo pensiero

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Cerca Invia | Commenta L'arte del vivere. La testimonianza di Pavel A. Florenskij fonte del suo pensiero di Giuseppe Malafronte (15 agosto 2014) 1. Introduzione La vita vola come un sogno, e non si fa in tempo a far niente in quell'attimo che è la vita. Perciò bisogna apprendere l'arte del vivere, la più difficile e la più importante delle arti: quella di riempire ogni ora di un contenuto sostanziale, pensando che quell'ora non tornerà mai più. [ 1 ] Di molti autori, filosofi, scrittori, artisti, si dice che sia assolutamente necessario conoscerne la biografia per comprenderne le scelte stilistiche e tematiche. A scuola, almeno in quella italiana, si predilige l'approccio eminentemente cronologico e, prima di ogni autore, immancabilmente, si trova il paragrafo dedicato alla sua vita. Questo approccio, però, nella sua scansione aridamente cronologica, mal si addice a Pavel Aleksandrovic Florenskij, [ 2 ] pensatore poliedrico, la cui esistenza si è scontrata, ed è finita, sotto il regime comunista, in un campo di prigionia nell'inverno del 1937. Egli è vissuto ai confini dell'Impero, scienziato convertitosi alla fede ortodossa, fine teologo e filosofo, esteta e padre di famiglia, prete, fedele testimone della sua fede, vittima delle grandi purghe degli anni 1937/38 [ 3 ] : ci sono tutti gli ingredienti per poter imbastire una succosa e godibile biografia. Ogni tentativo di ingabbiamento in astratti schemi biografici renderebbe sterile la portata esistenziale e teoretica del vissuto di Florenskij. L'intento di questo scritto, però, non è celebrare un eroe del nostro tempo, [ 4 ] come forse anche meriterebbe il personaggio in questione, ma far emergere alcuni tratti e passaggi significativi del percorso di vita di Florenskij, paradigmatici della sua formazione intellettuale e specchio delle sue più originali concezioni filosofiche, artistiche, teologiche e matematiche. È necessario che la vita, la concreta esistenza biografica, possa divenire una matrice da cui poter attingere materiale utile per decifrare questo grande pensatore. In quest'ottica non sono richieste date precise o una minuziosa cronologia, è utile, invece, comprendere come alcuni passaggi esistenziali possano assumere il carattere di una svolta teoretica nel percorso di maturazione di un autore e come la sua testimonianza [ 5 ] possa divenire utile a spiegarne il pensiero nel suo complesso. Non bisogna capire la sua esistenza ma farne esperienza, proprio come Florenskij stesso amava definire la conoscenza. [ 6 ] I nodi attorno cui si sviluppa la vita di questo autore russo sono principalmente tre: l'infanzia e la giovinezza. È il luogo in cui nascono le riflessioni maturate poi col tempo; rappresenta la matrice comune da cui si irraggia tutta la vita di Florenskij nelle diverse articolazioni e specializzazioni;

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L'arte del vivere. La testimonianza di Pavel A. Florenskijfonte del suo pensierodi Giuseppe Malafronte (15 agosto 2014)

1. Introduzione

La vita vola come un sogno, e non si fa in tempo a far niente in quell'attimo che è la vita. Perciòbisogna apprendere l'arte del vivere, la più difficile e la più importante delle arti: quella diriempire ogni ora di un contenuto sostanziale, pensando che quell'ora non tornerà mai più.[1]

Di molti autori, filosofi, scrittori, artisti, si dice che sia assolutamente necessarioconoscerne la biografia per comprenderne le scelte stilistiche e tematiche. A scuola,almeno in quella italiana, si predilige l'approccio eminentemente cronologico e, prima diogni autore, immancabilmente, si trova il paragrafo dedicato alla sua vita.

Questo approccio, però, nella sua scansione aridamente cronologica, mal si addice a PavelAleksandrovic Florenskij,[2] pensatore poliedrico, la cui esistenza si è scontrata, ed èfinita, sotto il regime comunista, in un campo di prigionia nell'inverno del 1937. Egli èvissuto ai confini dell'Impero, scienziato convertitosi alla fede ortodossa, fine teologo efilosofo, esteta e padre di famiglia, prete, fedele testimone della sua fede, vittima dellegrandi purghe degli anni 1937/38[3]: ci sono tutti gli ingredienti per poter imbastire unasuccosa e godibile biografia. Ogni tentativo di ingabbiamento in astratti schemi biograficirenderebbe sterile la portata esistenziale e teoretica del vissuto di Florenskij.

L'intento di questo scritto, però, non è celebrare un eroe del nostro tempo,[4] come forseanche meriterebbe il personaggio in questione, ma far emergere alcuni tratti e passaggisignificativi del percorso di vita di Florenskij, paradigmatici della sua formazioneintellettuale e specchio delle sue più originali concezioni filosofiche, artistiche, teologichee matematiche. È necessario che la vita, la concreta esistenza biografica, possa divenireuna matrice da cui poter attingere materiale utile per decifrare questo grande pensatore.

In quest'ottica non sono richieste date precise o una minuziosa cronologia, è utile, invece,comprendere come alcuni passaggi esistenziali possano assumere il carattere di unasvolta teoretica nel percorso di maturazione di un autore e come la sua testimonianza[5]possa divenire utile a spiegarne il pensiero nel suo complesso. Non bisogna capire la suaesistenza ma farne esperienza, proprio come Florenskij stesso amava definire laconoscenza.[6]

I nodi attorno cui si sviluppa la vita di questo autore russo sono principalmente tre:

l'infanzia e la giovinezza. È il luogo in cui nascono le riflessioni maturate poi coltempo; rappresenta la matrice comune da cui si irraggia tutta la vita di Florenskijnelle diverse articolazioni e specializzazioni;

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il sacerdozio. Esso rappresenta il nucleo attorno al quale si armonizza tutta la realtàdel pensatore, un centro unificatore;il martirio. È l'apice della testimonianza, il punto in cui si ricapitola e trova massimaespressione il pensiero di Florenskij che diventa vissuto fino alla morte, fino a dareun senso alla morte.

Tutti questi punti hanno in comune l'approfondimento di quel compito che Florenskijstesso definisce l'arte del vivere, il cercare di dare un significato ad ogni azionedell'esistenza, anche la più banale, perché unica e irripetibile. In questo consistel'eccezionalità della figura di tale autore: la sua vita, nei suoi punti nevralgici, può aiutarea illuminare il suo pensiero, perché non sono due entità staccate ­­ vita da un lato eriflessione teoretica dall'altro ­­ ma un'unica ed indistinguibile realtà. Il pensiero è azione,la vita è pensata.

2. L'infanzia e la giovinezza

Tutto il mio sapere sulla vita si era formato nelle mie primissime esperienze, e quando lacoscienza le rischiarò le trovò completamente formate, terreno ubertoso che attendeva solocondizioni propizie per dar frutto.[7]

La formazione intellettuale e spirituale di Florenskij passa attraverso alcuni grandipassaggi che lui stesso intravede, in nuce, nelle sue prime esperienze giovanili. Egli reputaimportanti questi anni di formazione, passati lontano dalla Russia per il lavoro del padre,e li rilegge nel suo libro di memorie dedicato ai figli.[8]

Aiutato da questo prezioso documento mi soffermerò su alcune delle suggestioni chel'infanzia suggerisce al nostro pensatore. Innanzitutto, però, è bene presentare le figureimportanti e significative di questi anni. Pavel, nato nel 1882,[9] era il primogenito di ottofratelli, a capo di questa grande famiglia vi erano il padre, Aleksandr Ivanovic, e la madre,Ol'ga. Molto importante, per un'affinità grande e intensa, è la figura della zia, sorella delpadre, Julia e, per la vicinanza d'età ­­ solo due anni e mezzo[10] ­­ la prima sorella,Ljusia. Nato a Evlach, un piccolo centro di campagna dell'attuale Azerbaigian, dopo unanno e mezzo la famiglia si trasferì a Tiblisi, oggi capitale della Georgia. All'età di quattroanni, la famiglia si sposta Batumi, un piccolo villaggio georgiano dove il padre lavora allacostruzione della ferrovia.

Le esperienze, involontariamente forti, quali la paura e il terrore verso ciò che erasconosciuto misero in contatto il piccolo Florenskij con il mondo del mistero edell'assoluto che si cela dietro ogni empirico apparire[11]: un mondo che gli presentava larealtà come un insieme unito.[12]

Nel suo primo contatto con il mondo esterno, attraverso le passeggiate fatte con il padre,il giovane Pavel sperimenta la natura che gli si presenta ostile e misteriosa insieme.[13]

Col trasferimento a Batumi le impressioni si fanno più forti, l'ambiente circostante èmolto più selvaggio con colori, suoni e profumi molto più vivaci. Si riaffaccia in Florenskijquel senso del mistero che si presenta attraverso la semplicità degli eventi naturali ­­ ilmolo, il mare, le alghe ­­ ma che apre lo sguardo alla contemplazione del meraviglioso. Edè qui che la percezione del mistero si arricchisce di una nuova sfumatura: essoattraversava, indistintamente ogni cosa, animata e inanimata, è l'elemento comune diogni cosa.[14] Egli sentiva vivamente la sua comunanza, di più, la sua intima appartenenzaad ogni cosa che lo circondasse.[15] Ed era così palese tale comunanza con il mistero che il

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piccolo Pavel si meraviglia di come gli adulti non se ne accorgessero.[16] Alle sue domandesul senso, sul mistero, i grandi sapevano dare solo risposte che, seppur esatte, eranoparziali e incomprensibili per chi, come Florenskij, cercava la totalità.[17]

La totalità misteriosa del mondo era permeata da un principio vitale forte.[18] Al contrariodelle macchine, tutto ciò che era vivo conteneva molto di più di ciò che, singolarmente,rappresentasse: era la stessa totalità che, ogni volta, si dischiudeva alla contemplazione. Apartire da questa matrice misteriosa Florenskij si "innamorò" del mondo e della suamateria: non quella delle scienze, bensì l'essenza stessa della materia con la sua bellezza eintegrità.[19]

Il mistero, quindi, si palesa, in Florenskij, nel suo interesse rivolto alla natura: così gli sipresenta quel mistero vitale sempre vivo ai suoi occhi. Il giovane riconosceva in essa lapresenza del bello e del particolare[20]: non era il meccanismo naturale ad abbagliare isuoi occhi, ma il mistero mai svelato della sua singolarità e bellezza. In questo statod'animo l'accostamento che Pavel aveva con la natura non poteva assolutamente dirsianalitico o scientifico quanto diretto al centro, alla forma delle cose.[21]

Osservare e analizzare la natura diveniva l'unica cosa che realmente avesse valore, masolo perché apriva una strada d'accesso ad un altro mondo.[22] Così le percezioni nonerano ordinate in una serie precisa di causalità meccanica ma, a volte eterogeneamente, sirimandavano tra di loro per una sorta di legame o parallelismo vivente.[23]

La natura, agli occhi di Florenskij, viveva una propria ed autonoma vita;[24] ed è solo unapercezione infantile, integrale a saperla cogliere e spiegare. La percezione adulta si fermaalle differenze, alla linearità del tempo e dello spazio e non lascia penetrare le cose nelvissuto personale e quotidiano.[25] La comprensione adulta o scientifica, fermando in unattimo i fenomeni ed analizzandoli per se stessi, li rende anche estranei fra di loro einavvicinabili: tentando di unificare la realtà, essa riesce solo a renderla indistinta eneutra. La visione infantile, invece, accettando la frammentazione del mondo, la superadal di dentro: coglie l'unità essenziale del tutto oltre la mera apparenza. Florenskij, cercadi scrutare la profondità delle cose e non solo la loro estensione superficiale; perapprocciare la natura opta per una via verticale e non orizzontale.[26]

La natura si presenta agli occhi del giovane come un mistero, apre alla contemplazioneattraverso un approccio sintetico e complessivo, in una parola: mistico. Ma questa parolaevoca un altro territorio semantico, quello proprio delle fede, ed è da questo punto cheriprende il percorso florenskijano lungo la sua infanzia. Il sentimento religioso erapressocchè bandito dalla famiglia Florenskij, eppure nel cuore del piccolo Pavel aleggiavasempre, represso, qualcosa di simile al sentimento religioso.[27] Per motivi familiari o permotivi personali, però, egli rifiutava sempre sdegnosamente di confrontarsi con lareligione.

Certo, come lo stesso Florenskij riconoscerà, il sentimento del religioso non potevaessergli stato trasmesso in alcun modo dalla famiglia che lo aveva cresciuta nell'unica fedeche consisteva nel tenerlo lontano da qualsiasi fede.[28] Ogni riferimento a Dio o al divinoera completamente bandito; ma da quel poco di religiosità, soprattutto paterna, ­­ intrisadi senso dell'infinito e piccolezza dell'uomo ­­ l'adolescente Pavel poté intuire l'esistenzadella Religione, cioè dell'essenza del religioso oltre ogni applicazione storicamente edogmaticamente determinata.[29]

Nel cuore del giovane Florenskij la sua ricerca e scoperta del religioso si è compiutaproprio sulla scorta, prima, e in opposizione, poi, delle credenze paterne. E il credo diAleksandr Ivanovic consisteva in una fede irremovibile nell'umanità e nelle sue capacità enell'applicazione, portata all'estremo, del principio della tolleranza.[30] L'umanità, però,

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da sola non riusciva a tenere insieme le forze misteriose che la agitavano e la tolleranza,spinta agli estremi, diveniva solo un misero strumento dogmatico.[31]

Naturalmente queste prime avvisaglie di un sentimento religioso rimasero implicitenell'animo di Florenskij, combattute tra l'indifferenza familiare, l'ostilità di unaformazione scientifico­positivistica e l'attrazione emotiva.[32] È importante notare comesi affacciasse in lui l'esigenza di mettersi in contatto con il mistero e che tale misteroavesse i caratteri, ancora non ben delineati, di Dio. Lottare e contendere con Diosignificava, comunque, già affermarlo, in qualche modo, determinante per la suaesistenza.

Il mistero apriva all'idea che esistessero due mondi: quello dell'apparenza e scientifico equello della mistica e ontologico. Esso, nella mediazione florenskijana, si manifesta nelparticolare, nel singolare.[33] Il particolare funge la funzione di presentificare il punto diunione tra il mondo fenomenale e quello noumenale che è dato dal simbolo. Così siesprime Florenskij:

Per tutta la vita ho pensato, in sostanza, a una sola cosa: al rapporto tra fenomeno e noumeno,al rinvenimento del noumeno nei fenomeni, alla sua manifestazione, alla sua incarnazione. Stoparlando del simbolo. E per tutta la vita ho riflettuto su un solo problema, il problema delSIMBOLO.[34]

L'attenzione al particolare fa scaturire la consapevolezza che esso è anche oltre il suosemplice significante, comprende, mistericamente, ogni cosa pur non negando mai la suaindividualità. Tra il positivismo che distrugge l'essenza e la metafisica astratta che perdedi vista la singolarità Florenskij sceglie l'anima incarnata.[35] Il giovane Pavel cercasempre di tenere insieme i due momenti della realtà concreta e del suo senso profondosenza confonderli, ma anche senza separarli troppo. Nella dicotomia fra essere e apparireegli sceglie entrambi,[36] perché entrambi si rimandano vicendevolmente. Ma qui si apreanche la lacerazione tra la visione paterna e quella di Pavel: da un lato la piana continuitàdel pensiero scientifico paterno, la Weltanschauung positivistica; dall'altro ladiscontinuità, la visione olistica del mondo compreso nei suoi salti misterici, la«Weltanschauung del prodigio, della fiaba».[37]

La fiaba[38] diviene per il giovane Florenskij il paradigma della sua nuova concezione delmondo: lì dove la continuità cessa di essere legge, tutto diviene possibile e accettato.[39] Ela fiaba fece apparire vero ciò che nella testa degli adulti era pressoché inammissibile[40]:dove si cercava linearità rintracciare la discontinuità, dove l'uguaglianza invece lacontraddizione. Eppure aderire al fiabesco non significò mai rinunciare alla concretezza,non era un ritirarsi dal mondo, quanto, bensì, un entrare più profondamente in contattocon esso. La materialità, la concretezza, la vita, il corporeo rimasero sempre il puntod'avvio per ogni riflessione di Florenskij, perché solo dietro di esso si cela il mistero.[41]

La discontinuità, insieme all'attenzione al particolare concreto, si erge come acerrimanemica di tutto ciò che si vuole regolare.[42] Il centro delle riflessioni florenskijane erano,e resteranno, le eccezioni, il disubbidiente, ciò che si oppone alla semplificazionescientista.[43] A Florenskij stava a cuore principalmente non l'apparenza delle cose ma ilfar emergere, attraverso il fenomeno, la loro vera essenza, la forma.[44] Cogliere la formasignifica andare alla totalità implicita nel fenomeno, giungere lì dove il fenomeno si aprealla contemplazione dell'intero; per questo si spiega la rivolta contro la concezionescientifica del mondo ­­ paterna ­­ secondo cui spiegare era separare e distinguere, quindidistruggere l'interezza concreta.

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Giunto ormai al ginnasio, Florenskij annota come in lui convivevano, come piani paralleli,una concezione scientifica del mondo e la fiaba che apre al mistero[45]: da un lato le leggidella natura, dall'altro la libertà di questa stessa natura. L'accostamento di queste dueprospettive evidenziava le fratture che nascevano dal loro confronto e scontro, ed egli sisentiva più attratto per le crepe di queste leggi, per le eccezioni: percepiva che solo esseaprissero lo sguardo a ciò che davvero significasse natura mentre le leggi non facevanoche schermarla.[46]

Il giovane Pavel continuò con successo i suoi studi che si concentravano, per la ferreavolontà paterna, soprattutto nell'ambito scientifico­tecnologico, pur lottando, nel suoanimo, con il gusto per il mistero.[47] Gli restava ancora del tutto preclusa la strada perpoter mettere in accordo queste due strade: le crepe non evidenziavano nessun tipo diricomposizione dei diversi piani.

Una prima intuizione giunge a Florenskij, inaspettata, dallo studio del principio direlatività che rappresentò un approccio al mondo simile al suo, una fiaba del mondoraccontata con altre parole.[48] E continuando su questa scia egli ebbe chiara in sé laconsapevolezza che si fosse giunti ad una svolta epocale: «lo strappo della storiamondiale».[49] Questo strappo era rappresentato dalla fine, quasi fisiologica, del dominiodella comprensione scientifica nell'universo europeo, che ne simboleggiava in qualchemodo anche il cuore, per far posto all'irrompere del concreto fenomeno nella suainsindacabile singolarità e peculiarità. Ma questo strappo non era certo né condiviso nésemplice.[50]

Scosso e turbato da questi pensieri il giovane Pavel giunge, infine, all'estate del 1899,periodo determinante per tutta la sua esistenza.[51] Attraversato da una profonda crisispirituale che gli toglieva ogni forza per la riflessione e per lo studio, chiuso in un labirintodi cui non ritrovava l'uscita il ragazzo diciassettenne era come ingabbiato nelle sue stessedicotomie che non era riuscito a ricomporre. In quest'oscurità gli si affaccia, per la primavolta, un nome: Dio.[52] Non era ancora una rivelazione piena, né tantomeno unaconversione, ma la presa di coscienza che quella conciliazione di cui era in ricerca fossepossibile e attuabile attraverso l'idea e l'esperienza di Dio. E fu tanto forte lo choc e lascoperta che

per quel colpo inatteso mi svegliai all'improvviso, come destato da una forza estrema e senzasapere perché, ma, tirando le somme di quanto accaduto, gridai per tutta la stanza: "No, non sipuò vivere senza Dio! ".[53]

Dopo tante riflessioni Florenskij vede una strada per riconoscere in quel mistero, che glisi era presentato fin dalle primissime impressioni infantili e via via si era andatoapprofondendo, proprio il volto di Dio come punto di unione tra la realtà concreta e ilsenso profondo e complessivo cui essa rimanda.

A questa prima percezione Pavel ne aggiunge subito un'altra altrettanto fondamentale:"questo" Dio non era solo una costruzione logica, intellettuale o psicologica, ma avevatutta la forza della sua personale ontologicità.[54] Era una "persona" a interpellareFlorenskij e questa chiamata chiedeva, in qualche maniera, una risposta e una reazione.[55]

Aperta la breccia verso Dio e verso una Weltanschauung integrale, Florenskij non sitrovò, però, di fronte un cammino spianato: saranno ancora lunghi gli anni di riflessione edi meditazione. Quel grido gli si presentò come una possibilità attraverso cui poter farequella sintesi tanto agognata.

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Trovata una probabile soluzione al dissidio tra la scientificità e l'umanità o, per megliodire, comprendere il mistero, restava ancora da chiarire in che senso essa trovasse unaqualche armonia[56]: spostando troppo l'accento sulla scientificità si rischiava di renderlainumana, soffermandosi troppo sull'umanità, essa appariva priva di senso. Per far questoFlorenskij doveva ancora sconfiggere tutte le reticenze che ancora lo tenevano legato almondo, chiaro e definito, della scientificità paterna.[57] E quel tarlo, silenziosamente loportò alla definitiva osservazione che:

anche la visione scientifica del mondo era una congerie di quisquilie e convenzioni che nonavevano nulla a che spartire con la verità, con la vita e il suo fondamento; e neanch'esse erano dialcuna utilità.[58]

Dovendo scegliere tra le due strade Florenskij comprese che quella del mistero, dellafiaba, era più ampia e includeva la pista scientifica; e non poteva essere il contrario. Losfarzoso edificio del pensiero scientifico cadde sotto i colpi di una realtà più vera eprofonda, dimostrandosi costruito di soli trucioli, cartone e stucco. L'ultimo grandesforzo di donare dignità proprio al pensiero scientifico, inteso come un monolite senzarapporti con l'esterno, rovinò miseramente.[59]

Non per questo Florenskij rinunciò alla scienza. La sua rinuncia era semplicemente quelladi trovare un principio interno alla visione scientifica stessa che ne spiegasse le suemotivazioni. La scienza, la fisica, la matematica resteranno sempre valide nelle proprieanalisi ma solo se riferite a una visione più globale e ontologica, integrale.

Proprio nelle ultime pagine delle sue memorie appare una parola rivelatrice che segneràla ricerca florenskijana per il resto della sua formazione intellettuale e spirituale: laverità. Essa gli si presenta come un miraggio che al tempo stesso è necessario e vitale perl'uomo, luogo del mistero che al tempo stesso si rende presente e tangibile.[60]

Florenskij lascia la casa paterna per andare all'Università di Mosca a studiare matematicacon la certezza di cercare questa verità che appare nel mistero, ma anche con l'ansia dinon esserne ancora lontanamente in possesso.

"La verità è la vita" mi ripetevo più volte al giorno; "senza verità non si può vivere. Senza veritànon c'è esistenza umana.[61]

3. Il Sacerdozio

Guardandomi indietro, ringrazio il mio Signore, che mi ha donato la Sua grande misericordia.Non starò qui a parlare della grandezza del dono in quanto tale, forse non lo comprendo ancoraneppure in minima parte. Lo dico rispetto alla mia vita. Che cosa avrei fatto, come avrei potutovivere senza la vocazione sacerdotale? Come mi sarei agitato, quanto sarei stato infelice... quantoavrebbero avuto a soffrire per causa mia Anna e i bambini. Anche ora, non è che tutto vadabene, ma in quel caso saremmo periti tutti. Certo, ho avuto sofferenze, contrasti anche a causadel ministero sacerdotale, ma che cosa sono mai, in confronto al dono della grazia! .[62]

Il secondo passaggio nell'analisi dell'esistenza di Florenskij ci è dato dalla scelta, meditatae complessa, del sacerdozio: di quella particolare forma di sacerdozio per uomini sposati

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contemplata nell'ordinamento ecclesiale Ortodosso. Il sacerdozio, essere un pope sposatodal caratteristico abito bianco, è visto come il cuore armonico di tutta l'esistenza dallostesso filosofo.

Laureatosi presso la Facoltà di Matematica di Mosca, Florenskij decide di iscriversi pressol'Accademia Teologica della stessa città che aveva sede presso il villaggio di Sergiev Posad,terminando gli studi nel 1908. Dopo anni di travagliata ricerca spirituale egli si sposerànel 1910 con Anna Michajlovna Giacintova e verrà ordinato sacerdote nel 1911, svolgendoil suo ministero quasi esclusivamente presso la cappella dell'Ospizio delle Suore dellaMisericordia della Croce Rossa a Sergiev Posad.[63]

È lo stesso padre Pavel a focalizzare tutto il senso della sua vita nella costante fedeltà alsacerdozio che, oltre le normali avversità quotidiane, ha saputo donargli quella pace eserenità interiore come un dono della grazia.[64] Nel groviglio delle contraddizioni e delleperplessità aperte durante la sua giovinezza e approfonditesi durante il periodouniversitario la vocazione sacerdotale, nella forma specifica prima indicata, diverrà ilpunto sintesi, mai scontato, di tutte quelle istanze. Da un lato Florenskij vedeva lasicurezza delle scienze positive, dall'altro il silenzio della mistica; da una parte la ricerca,dall'altra la contemplazione. E, ancora, se da un lato si ergeva l'ideale familiare di unfocolare accogliente e affettuoso, dall'altra lo attraeva la concezione ascetica di una vitasolitaria e monastica. Tra queste lotte interiori si aprì una breccia di luce che gli portò laconvinzione che l'unica strada a lui possibile fosse quella del sacerdozio.[65]

Bisogna, quindi, intendere la scelta sacerdotale come una rinascita che non cancella, conin un solo colpo, tutto ciò che è passato, bensì lo ricompone e lo armonizza affinché sipossa ancor di più approfondire come ricerca e meditazione. Per Florenskij il sacerdozio èsemplicemente l'inizio di una nuova vita.[66] E questa nuova esistenza, in Cristo e nellaChiesa, rappresenta un ulteriore sviluppo nel cammino perché tutto ciò che ha scritto emeditato da quel momento in poi Florenskij resta imprescindibilmente legato al suo abitotalare.

La scelta sacerdotale cozzava con una prima grande idea: la famiglia. Cresciuto in unambiente piuttosto agnostico, l'unico credo veramente professato era quello di manteneree curare una famiglia solida, unita e stabile.[67] Florenskij, inizialmente, ha accarezzatol'ideale monastico: ritirarsi dal mondo, estraniarsi da esso per dedicarsi, magari nelchiuso di una cella, alla riflessione e alla preghiera. Tutto questo sarebbe stato impossibilese avesse seguito, invece, il suo desiderio di "avere" una famiglia, con la sua quotidianitàtutta impastata di concretezza e piccole cose.

Cosa scegliere? La vita monastica e dello spirito che tanto lo affascinavano oppure latotale immersione nel mondo, che altrettanto lo intrigava e di cui la "famiglia" era unadelle più vive immagini? Ed anche qui, inaspettatamente, le sue ricerche teoriche loaiutarono a chiarire e dissipare ogni difficoltà. Tra il mito familiare propugnato dal nonnoprima e dal padre poi e l'ideale ascetico gli si affacciò l'esperienza concreta e viva dei suoiavi più remoti, antichi e poveri parroci di Kostroma.[68]

Lo studioso russo concepì, grazie a quel chiaro esempio donatogli durante lo studio dellasua genealogia, che non era possibile conseguire un itinerario di "religione atea" con alcentro il fantoccio stilizzato di una famiglia perfetta, perché, come ogni cosa umana, senzail sostegno della fede e dello Spirito, essa tende a deludere. Tantomeno poteva scegliereuna strada di rinuncia totale al mondo, non perché non fosse valida in se stessa, ma inquanto non si addiceva al suo carattere e alle sue mire che proprio dal confronto con larealtà concreta e con il sapere letterario e scientifico traevano spunto ed efficacia.

E così Florenskij risolse questa prima contraddizione: Dio non prese il posto della

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famiglia, né tantomeno avvenne il contrario. Nella famiglia gli si rivelò più chiaramenteproprio quel Dio di cui era tanto alla ricerca.

Alla prima contraddizione tra Dio e famiglia, Florenskij ne aggiunge un'altra ancor piùlacerante: il dissidio, a prima vista incolmabile, tra il sacerdozio e la scienza. Essa gli sipresentò prestissimo non appena intraprese gli studi all'Accademia Teologica; e simanifestava nel cercare una sintesi possibile e senza compromessi tra un'adesione sinceraalla pratica ecclesiale e un rigoroso approccio scientifico­filosofico alla realtà.

Giungere alla sintesi tra cultura ecclesiastica e cultura laica, essere pienamente unito alla chiesa,ma senza nessun compromesso, accogliere con rispetto tutti gli insegnamenti positivi dellachiesa, la concezione scientifico­filosofica e insieme l'arte ecc.; ecco come mi si presenta uno deipiù immediati obiettivi dell'impegno pratico.[69]

Certo sembravano due mondi inavvicinabili, e lo stesso Florenskij, sulle prime, tentennòalla proposta di continuare con l'insegnamento presso l'Accademia sembrandogli piùappropriato il ritiro monastico e la vita eremitica. Infatti da un lato ormai la vitaesclusivamente tecnico­scientifica non lo soddisfaceva più, ma anche l'ambienteaccademico sembrava intriso di quello stesso positivismo e tendenza alla scepsi cheFlorenskij riconosceva come il più grande errore della teologia moderna, e che eglibollerà, con il nome di dogmatismo.[70]

Esisteva ancora un'altra alternativa sia al mondo della gerarchia ecclesiastica che a quellodel positivismo scientista: l'universo dell'intelligencija[71] religiosa sua contemporanea.Pur partecipando a diverse iniziative che si rifacevano a questo movimento di rinascitareligiosa del gruppo intellettuale, Florenskij non riuscì mai a convincersi che fosse lastrada giusta, non solo per se stesso, ma per l'intero popolo russo. L'intelligencija, infatti,pur dedicandosi alla riflessione religiosa con rigore e passione, negava in modo assoluto ilconcreto sviluppo della Chiesa storica e i suoi contenuti dogmatici e rituali; riteneva laChiesa Ortodossa solamente un inutile peso verso un vero cammino di conversione e dirinascita spirituale. Il filosofo russo, pur condividendo le perplessità nei confronti dellaChiesa, non accettò mai la conclusioni, a volte violente, sicuramente polemiche, dei varigruppi facenti capo all'intelligencija, perché fondamentalmente non coglievano la veraessenza dell'organizzazione ecclesiastica, si fermavano al guscio. Se, per un verso, questogruppo di intellettuali aveva messo allo scoperto i problemi della società contemporanea eposto al centro dell'attenzione i temi spirituali, per un altro verso faceva riferimento soloal proprio stesso mondo: in modo autoreferenziale era l'intelligencija stessa a dover"salvare il mondo"[72]! Egli, al contrario, grattando questa buccia un po' ruvida e indigestariuscì a cogliere il germe fecondo della Chiesa, il suo grano santo: essere aperta, nellemolteplici difficoltà, all'azione redentrice di Dio.[73]

Questo terreno fertile permise di coniugare il lato mistico e il lato indagatore della suaesistenza. La figura del pope incarnava proprio questa armonia: essere cercatore dellaVerità, essere uno "scienziato", ed essere un concreto contemplatore di quella stessaVerità, un mistico, il tutto senza dimenticare che entrambi i lati di questa Verità andavanocomunicati.[74] Florenskij riusciva a coniugare insieme, nel suo sacerdozio, il legameprofondo con la terra, ereditato dall'infanzia, e lo slancio verso l'alto, proprio delministero liturgico sacerdotale, ed entrambi gli atteggiamenti erano così compenetratil'uno con l'altro da non poter essere mai disgiunti, ma anzi arricchiti l'uno dell'altro.[75]

Il sacerdozio di Florenskij, quindi, non si situa solo come una tappa fondamentale lungotutto il suo percorso esistenziale, ma ne rappresenta anche un nucleo teoretico essenziale

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e necessario per poter meglio comprendere la sua ulteriore riflessione, il centro spiritualedella sua personalità.[76] È proprio nella scelta presbiterale, nella determinata forma delpope sposato, che il filosofo russo rintraccia la possibilità di giungere sia alla Verità che aDio, i due concetti che, con forza, nella giovinezza lo avevano conquistato e guidato. Anzi,il sacerdozio renderà evidente che la Verità è Dio e viceversa.

Se l'idea di una Verità complessiva e unitaria lo aveva colto e affascinato, pur restandonella sua alterità, nel sacerdozio Florenskij trova, come dono della grazia, questa identicaVerità espressa nelle forme liturgiche e della fede. Tutte le sue ansie, le sue piste di ricercache sembravano così antitetiche, assumono senso senza affatto mortificarsi: egli restapienamente scienziato, matematico, teologo, mistico, esteta, letterato, ma soprattutto,sacerdote. Il sacerdozio è quel passaggio ulteriore ed essenziale verso l'armonizzazione ditutto quel materiale che nella giovinezza aveva ribattezzato semplicemente realtà.

Quindi da un lato, almeno all'apparenza, il sacerdozio di Florenskij sembra assumere icaratteri della contraddizione e della dispersione, ma alla ragione purificata esso apparecome un tutto coerente, come un organismo, complesso sì, ma armonico.[77] Nella vastitàdei suoi interessi, l'essere un pope divenne il centro unificante di ogni sua azione e questoperché tale stato non derivava da un suo semplice atto di volontà, bensì da un dono,corrisposto, della grazia, che gli si annunciava in quella dimensione di confine dellacelebrazione liturgica.[78] In quello che sembra un'umiliazione, rinunciare a un partedella propria volontà, Florenskij trovò una ricchezza: la totalità viva di una comunità cheattraversava trasversalmente il mondo, fino a giungere alle più alte sfere celesti, fino atoccare i fondali più bassi degli inferi.

4. Il martirio

Retaggio della grandezza è la sofferenza, sofferenza che viene dal mondo esterno, e sofferenzainteriore, che viene da noi stessi. Così è stato, è, e sarà. [...] Sì, la vita è fatta in modo che si puòdare qualcosa al mondo solo pagandone il fio con sofferenze e persecuzioni. E più il dono èdisinteressato, più crudeli sono le persecuzioni, e dure le sofferenze. [...] Per il dono dellagrandezza è l'uomo che deve pagare con il proprio sangue.[79]

L'ultima parte della sua esistenza, dall'arresto alla prigionia e alla morte nel gulag,rappresenta non solo una testimonianza del coraggio di Florenskij, ma è ancheemblematica dell'attualizzazione del suo pensiero. Le sue lettere[80] sono uno spaccatodel suo essere, un vero e proprio saggio di tutti i suoi interessi e della sua originalissimaesistenza. È perciò importante osservare quest'ultima parte della sua vita anche dal puntodi vista più strettamente teoretico, quasi si fosse di fronte ad una summa organica di tuttoil suo pensiero.

Presa la decisione di non poter mai abbandonare la sua terra e diventare un emigrato, ilpensatore russo affronta in pieno tutte le conseguenze di questo gesto.[81] Arrestato unaprima volta nel 1928,[82] viene definitivamente imprigionato nel 1933.[83] Da quelmomento in poi lo aspetteranno quattro anni di prigionia, fino alla morte per fucilazioneavvenuta nei pressi di Leningrado (l'attuale San Pietroburgo) nel 1937.

Dall'arresto in poi Florenskij viene inghiottito inesorabilmente dal totalitarismo. Persinola sua morte resterà chiusa per anni in un aura di premeditato silenzio: le autorità, solodopo molto tempo, intorno al 1950, comunicano alla famiglia una presunta data ufficialedella sua morte, il 15 dicembre del 1943, poi rettificata in quella del 1937 agli albori dei

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primi anni Novanta del XX secolo. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, il fascicolo delKGB relativo al suo caso mostrò lo svolgimento effettivo della vicenda: PavelAleksandrovic Florenskij venne fucilato l'8 dicembre del 1937. Il rinvenimento nel boscodi Sandormoch, presso Leningrado, sessant'anni più tardi, di alcune fosse comuni diprigionieri delle Solovki,[84] potrebbe aver svelato il posto in cui giacciono le spogliemortali di Pavel Florenskij.

Gli ultimi anni e il martirio sono il naturale sbocco dell'esistenza di Florenskij: lo stile divita che emerge dalle lettere alla sua famiglia, il suo atteggiamento nel gulag, sonoanch'essi parte integrante del suo pensiero, la perfetta realizzazione di ciò che andavaspeculando durante tutta la sua vita. Realizzare pienamente la propria umanità, fatta distudio e azione, è coinciso in lui con il dono totale, col prezzo del sangue. Cercando lagrandezza, non quella degli applausi ma quella di uno sguardo armonico e complessivo,egli si trovò di fronte la dimensione della sofferenza, che accolse pienamente: accolse lapropria croce.[85]

Con il martirio, scelto consapevolmente, Florenskij realizza l'ideale di quellacomprensione integrale tanto desiderata. Le lettere, pur non potendo esplicitamenteriferirsi a concetti religiosi,[86] a causa della famigerata censura, riecheggianosplendidamente di questa ricchezza spirituale che l'itinerario dell'autore portava acompimento esprimendo il punto di arrivo delle sue fatiche intellettuali e spirituali.

La contemplazione del mondo come un insieme unitario,[87] se durante l'infanzia e lagiovinezza fu percepita confusamente e durante la maturazione, che si concretizzò conl'ordinazione sacerdotale, fu accolta e coltivata, è con l'esperienza della prigionia chedivenne pienamente realizzata. La contemplazione unitaria consisteva nell'accogliere esignificare dall'interno ogni cosa: incarnarsi[88] con la realtà per trovare il sensoprofondo di ciò che si manifesta e di quello che si nasconde, dell'immanenza e dellatrascendenza. Florenskij si incarna nel momento stesso in cui non resta passivo di frontead una realtà dolorosa che non ha scelto, ma da cui non si sente sconfitto definitivamente.[89] L'atto di incarnazione è costituito dall'accoglienza della contingenza storica che vieneraccolta in una visione più ampia, oggettiva e altra rispetto al soggetto, che riesce amettere insieme ogni tassello della realtà.

Non è la realtà portatrice di senso ma, al contrario, è il senso a creare la realtà così che,nonostante tutto, Florenskij riesce a leggere la stessa prigionia come un'esperienza dilibertà.[90]

La ricerca affannosa, nella sua vita e nei suoi studi, di una comprensione olistica siappianava nella scoperta che l'essere stesso si donava a lui gratuitamente. E questagratuità che doveva essere coltivata e imparata: l'arte della gratuità.[91] Essa è un'arteche non ha maestri né manifatture ma che dà un ulteriore senso alla vita, anche quandoessa sembra in balia di forze irresistibili e contrarie; un'arte che, insomma, rende liberiinteriormente.

La gratuità diviene l'ultimo dono che Florenskij può ancora fare al mondo e agli uomini, ilpiù puro e il più grande. Nella gratuità, nella grazia,[92] l'animo del nostro autore siinnalza perché essa non è in suo possesso ma un dono ricevuto che, a sua volta, chiede diessere donato senza parsimonia. Ed egli, nel gulag, tra le mille sofferenze e le tantetribolazioni,[93] scopre che non può essere piegato dai semplici fatti, bensì può ricondurretutto a quel senso più alto che è dono divino.

Florenskij, quindi, scopre la contemplazione dell'unità sia come dono gratuito che comeprocesso di accoglienza: da un lato essa si apre alla visione, dall'altro va ricercata eportata in superficie, accolta, nella sua misteriosità. Il tramite perché ciò avvenga resta

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sempre il particolare concreto. L'esperienza di impotenza chiarisce al pensatore russo chel'universale resta sempre al di là di ogni apprensione, pur non potendo mai esimersi dalconfronto con la realtà.[94] Non si può restare chiusi nel semplice particolare, non si puòsaltare direttamente nell'astratto: l'universale è ciò che mantiene insieme, senzaconfusione, entrambi questi momenti particolari.

Quasi in una circolarità, il pensatore riconosce proprio nello spirito dell'infanzial'approccio adatto a poter tenere insieme la concretezza del particolare con lo scavo versola profondità delle cose.[95] Lo spirito infantile è geniale perché riesce ad andare al fondodelle cose senza perdere il contatto con esse, tende a convogliare tutto il mondo verso ununico centro di senso. Forte proprio di questo spirito, che non lo faceva mai essere pagonella ricerca,[96] Florenskij riesce anche a poter fare sintesi delle sue multiformi ricerchenei più svariati ambiti del sapere, riunite intorno alla ricerca dell'universalità.[97]

Tu non puoi capire cosa prova un padre che desidera che i suoi figli siano non solo irreprensibili,ma rappresentino come l'immagine stessa del valore. Non per gli altri, ma per se stessi bisognaessere così, e non importa cosa gli altri penseranno di voi: essere e non apparire. Avere unadisposizione d'animo chiara e trasparente, una percezione del mondo integrale e portare avantiun'idea disinteressata: vivere così da poter dire nella vecchiaia di aver preso il meglio della vita,di aver fatto proprie le cose più nobili e più belle del mondo e di non aver macchiato la coscienzacon le sozzure di cui si sporca la gente e che, una volta esaurita la passione, lasciano un profondodisprezzo.[98]

Queste parole, scritte in una delle ultime lettere inviate, rappresentano l'apicedell'esistenza del pensatore russo, ma anche la sua vetta speculativa: ogni parola, seanalizzata a fondo, può essere oggetto di riflessione. Tre sono i modi per essere che sipossono così tradurre: possedere una piena e corretta coscienza di se stessi,[99] riuscire acomprendere l'universalità e ad esperirla, non avere interessi particolari o parcellizzati.

Queste tre modalità sono state via via perfezionate da Florenskij lungo tutto il suooriginale percorso esistenziale. La conoscenza di se stesso, in profondità più che insuperficie, è stato uno dei motivi che ha spinto alla ricerca Florenskij, in uno scontro­incontro con ogni tipo di sapere che sottintendeva sempre una partecipazione personale.In questo particolare itinerario ha avuto sempre come obiettivo quello di cogliereun'universalità viva e concreta, oltre il semplice concetto astratto. Tutto, poi, è statoguidato da un metodo scevro da ogni preconcetto o da una visione parziale e legata ad unsingolo punto focale, persino, nell'esperienza del gulag, slegata dall'istinto diconservazione.

Con parole quasi profetiche è Florenskij stesso a dare una chiave di lettura teoretica alsuo sacrificio e alla sua uccisione: essi sono uno strumento per poter arrivare a quellavisione d'insieme tanto auspicata, perché

per vedere "la Colonna della Verità" bisogna domare la geenna, bisogna distruggere la "colonnadella malvagità contraria a Dio".[100]

E l'unico modo per domare questa colonna è il sacrificio del sangue.

Questo sacrificio che consente di accogliere pienamente lo svuotamento[101] totale cheemerge proprio dall'ultima lettera a noi pervenuta del 19 giugno 1937 ­­ meno di sei mesiprima della morte ­­ in cui c'è l'amara consapevolezza che «devo continuamente

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separarmi da qualcosa»,[102] ma che apre lo sguardo per interessarsi dell'altro e del suobenessere, che sa donare parole di conforto e di innalzamento gratuite, che apre sprazzi diluce che non sono lontani, una mezz'ora, ma che bisogna avere la volontà di trovare.

Quanto vorrei che i figli avessero più gioie e buone impressioni! Vai a volte fuori città? Devi farloassolutamente il più spesso possibile, se non altro percorrere quel vico stretto (non ricordocome si chiama) che arriva ai campi, per ascoltare il canto delle allodole e osservare le spighe. Infondo, è talmente vicino che ti basta una mezz'ora.[103]

5. Conclusione

Per arrivare alla Verità bisogna rinunciare alla propria aseità, uscire da se stessi e questo ci èdecisamente impossibile perché siamo carne. E allora come aggrapparsi alla Colonna dellaVerità? Non lo sappiamo e non lo possiamo sapere. Sappiamo soltanto che tra le crepe delraziocinio umano si intravede l'azzurro dell'Eternità; è inattingibile ma è così. Sappiamo ancheche "il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e non il Dio dei filosofi" e dei dotti viene a noi,viene al nostro giaciglio notturno, ci prende per mano e ci guida in una maniera che nonavremmo nemmeno potuto prevedere.[104]

Queste parole riassumono per intero il percorso di Florenskij attraverso queste tre tappeemblematiche della sua vita. Parole giovanili, scritte nel 1914, eppure cariche di un sensoche si invererà proprio l'8 dicembre 1937, giorno della morte di Florenskij.

Per trovare la Verità il pensatore russo ha dovuto abbandonare la cura di sé, lasciarsimaltrattare in un campo di prigionia fino a divenire un oggetto. Proprio in questo doloreprofondo emerge l'azzurro,[105] il senso più recondito della sua esistenza che non puòessere appreso con un sistema puramente razionale ma deve essere accolto nella suainsondabilità.

Guidato per mano attraverso l'oscura notte dell'oppressione sovietica Florenskij oggisopravvive ai suoi stessi uccisori con una originalità, forza e attualità che non avremmonemmeno potuto prevedere. L'integralità del suo pensiero con la reale e dolorosaesistenza siano un faro per chiunque voglia intraprendere la strada della cultura e dellariflessione senza voler coinvolgere la vita concreta.

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1. P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo esacerdote russo, Mondadori, Milano 20062, p. 397 (corsivo mio). [Testo]

2. Per una visione completa della vita e del pensiero di Pavel A. Florenskij si vedano: M.Silberer, Die Trinitätsidee im Werke von Pavel A. Florenskij. Versuch einer systematischenDarstellung in Begegnung mit Thomas von Aquin, Augustinus Verlang, Würzburg 1984; R.Slesinski, Pavel Florenskij. A Metaphisycs of Love, St. Vladimir's Seminary Press, New York1984; M. G. Valenziano, Florenskij. La luce della verità, Studium, Roma 1986; N. Valentini,Pavel A. Florenskij: la sapienza dell'amore. Teologia della bellezza e linguaggio della verità,EDB, Bologna 1997 (edizione rivista e ampliata nel 2012); L. Zak, Verità come ethos. Lateodicea trinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998; G. Lingua, Oltre l'illusionedell'Occidente. P. A. Florenskij e i fondamenti della filosofia russa, Zamorani, Torino 1999;M. žust, Á la recherche de la Vèritè vivante. L'experience religieuse de Pavel A. Florensky(1882­1937), Lipa, Roma 2002; N. Valentini, Pavel A. Florenskij, Morcelliana, Brescia 2004;S. Tagliagambe, Come leggere Florenskij, Bompiani, Milano 2006; F. J. Lopez Saez, Labelleza, memoria de la resurrección. Teodicea y antropodicea en Pavel Florenskij, MonteCarmelo, Burgos 2008; A. Pyman, Pavel Florenskij. La prima biografia di un grande geniocristiano del XX secolo, Lindau, Torino 2010; V. Rizzo, Vita e razionalità in Pavel A.Florenskij, Jaca Book, Milano 2012; S. Tagliagambe, Il cielo incarnato. Epistemologia delsimbolo di Pavel Florenskij, Aracne, Roma 2013. [Testo]

3. Con il termine Grandi purghe si intende una vasta repressione avvenuta nell'UnioneSovietica nella seconda metà degli anni Trenta del secolo scorso, voluta e diretta da Stalindopo l'omicidio di Sergej Kirov, importante dirigente del Partito a Leningrado, per epurare ilpartito comunista da presunti cospiratori. Il periodo viene pure indicato con i termini diTerrore o Grande Terrore. La repressione, eseguita spesso con procedimenti giudiziarisommari, colpì anche semplici cittadini, non iscritti al partito, considerati ostili al regime, edebbe vasta risonanza in Occidente in seguito ad alcuni processi celebrati dal 1936 al 1938contro i massimi dirigenti del Partito Comunista. Oggetto di arresti e condanne furono, pure,numerosi esponenti delle comunità straniere, inclusa quella italiana, emigrati nella nuovapatria socialista per sottrarsi alle persecuzioni politiche dei paesi di origine o per contribuireal suo sviluppo. Cfr. G. Averardi (a cura di), I grandi processi di Mosca 1936­1937­1938:precedenti storici e verbali stenografici, Rusconi, Milano 1977; A. Brissaud, Le "grandipurghe" di Mosca, Edizioni Ferni, Ginevra 1973; R. Conquest, Il Grande Terrore, BUR,Milano 2006; D. Rayfield, Stalin e i suoi boia: una analisi del regime e della psicologiastalinisti. Milano, Garzanti, 2005. [Testo]

4. Qui, però, senza nessuna amara ironia come per l'eroe del romanzo di Lermontov, Pecorin.[Testo]

5. La categoria della testimonianza ha assunto, in questi ultimi anni, uno spessore teoretico siadal punto di vista filosofico che teologico. Sull'argomento si vedano: P. Ricoeur,Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997; P. Ciardella, Testimonianza everità. Un approccio filosofico, in P. Ciardella ­­ M. Gronchi (edd.), Testimonianza e verità,Città Nuova, Roma 2000, pp. 37­51; A. Fabris, Per una filosofia della testimonianza, in P.Ciardella ­­ M. Gronchi (edd.), Testimonianza e verità, Città Nuova, Roma 2000, pp. 53­79;R. Latourelle, Testimonianza, in R. Latourelle ­­ R. Fisichella (curr.), Dizionario di TeologiaFondamentale, Cittadella, Assisi (PG) 1990, pp. 1312­1331. [Testo]

6. «Raccontano che in Occidente si impara a nuotare in palestra, sdraiati sul pavimento; allostesso modo si può diventare cattolici o protestanti sui libri, senza contatti con la vita, nelproprio studio. Per diventare ortodossi, invece, bisogna immergersi di colpo nell'elementoortodosso, vivere l'ortodossia. Non esistono altri metodi» (P. A. Florenskij, La colonna e ilfondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere, San Paolo, CiniselloBalsamo (MI) 2010, p. 13). [Testo]

7. P. A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2009, p. 113.[Testo]

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8. P. A. Florenskij, Ai miei figli. Memorie di giorni passati, Mondadori, Milano 2009. PerFlorenskij è centrale non perdere nulla del passato familiare, come raccomanda nel suotestamento: «Cercate di fissare per iscritto tutto quanto potrete sul passato della nostrastirpe, della famiglia, della casa, l'arredamento, le cose, i libri, ecc. Sforzatevi di raccogliereritratti, scritti autografi, lettere, opere stampate e manoscritte di tutti coloro che hanno avutorapporti con la nostra famiglia e stirpe, di conoscenti, parenti e amici, affinché l'intera storiadella stirpe rimanga fissata nella vostra casa e tutto attorno a voi sia intriso di ricordi e nientesia morto, meramente materiale e non vivificato dallo spirito» (P. A. Florenskij, Testamento,in Id., Non dimenticatemi, cit., pp. 413­414). [Testo]

9. «E in mezzo alla steppa, in una località selvaggia, nacqui io, il 9 gennaio 1882, verso le settedi sera, un'ora che è sempre stata la mia preferita. [...] Per farmi nascere venne una levatriceda Tflis. Vennero, poi, le sorelle della mamma: zia Liza e zia Remsò, che allora aveva 17 anni,e forse anche la zia Sonja. Mi chiamarono Pavel in onore del santo apostolo Paolo (ma chissà,poi, se all'apostolo pensarono davvero) e in ricordo di mio nonno Pavel Gerasimovic Saparov,che si era spento da poco» (Id., Ai miei figli, cit., p. 62). [Testo]

10. Cfr. Ibidem, p. 71. [Testo]11. «Guardando più attentamente dentro me stesso, trovo ancora qualcosa che ho appreso da

quel nostro vivere in due appartamenti collegati da un cortile. Ed è la convinzione ferma,organica, nell'"essere" mistico contrapposto all'empirico "apparire"» (Ibidem, p. 65). Ancora:«Da bambino il senso del mistero era in me dominante, era lo sfondo della mia vita interiorecontro il quale si stagliavano la tenerezza e l'affetto per i genitori» (Ibidem, p. 74). [Testo]

12. «Fu allora che in me nacque la comprensione del fatto che la divisione dello spazio può solosembrare tale che, nonostante l'apparenza esteriore, ci può essere un'unità interiore che siaunità e non unificazione» (Ibidem, p. 65). [Testo]

13. «Mio padre mi portava spesso con sé a passeggiare in città, e quelle passeggiate finivanosempre con qualche acquisto emozionante di dolci o giocattoli. [...] In quelle passeggiate mi sirivelò la forza della natura, ancora misteriosa, ma già sicuramente ostile» (Ibidem, pp. 67­68). [Testo]

14. «Non ci si può accostare al mistero impunemente. [...] Nella terra c'era acqua, dentro di mec'era acqua, e anche le meduse erano acqua... Eravamo diversi d'aspetto, ma tutt'uno quantoa sostanza» (Ibidem, p. 82). Proprio sottolineando come le sue percezioni infantili fosseropiù dirette, volte a cogliere nella realtà quel dato noumenico che sempre sfugge, aggiunge:«Quel mare, il mare beato della mia infanzia beata, non potrò più vederlo se non dentro dime. Se n'è andato dove se ne va il tempo, probabilmente, tra i noumeni. Ma un tempo quelnoumeno io l'ho visto, l'ho annusato e ascoltato. E so, più di ogni altra cosa che appresi inseguito, che, sebbene non sia più profonda che mai: ora se n'è andata, ma resta comunquedentro di me» (Ibidem, p. 85). [Testo]

15. «Nelle sue profondità [della natura] si celavano vite senza numero, animali e vegetali strani esplendidi, tutti legati interiormente a me, e che interiormente si mettevano in relazione conla mia vita, inviandole le irradiazioni del proprio essere e riconoscendomi come propriosimile, membro del regno infinito di quella vita misteriosa e baluginante di luce fluorescente»(Ibidem, p. 89). [Testo]

16. «A me, alle mie domande, i grandi fornivano una qualche spiegazione che poco aveva a chefare con quel che chiedevo, ma che non ho mai ritenuto necessario confutare: i grandi mivolevano bene, ma capivano molto poco, o così sembrava, del senso delle mie domande»(Ibidem, p. 91). [Testo]

17. Florenskij domandava insistentemente ai genitori notizie sul senso dei fenomeni marini,ricevendo sempre risposte molto corrette e dettagliate dal punto di vista scientifico, che, perònon lo soddisfacevano mai in pieno. «Così bisognava dire quando si parlava con gli adulti,pensavo; come molte altre spiegazioni di scienze naturali, mi pareva anche quella una sorte diaccondiscendenza, un eufemismo che non sfiorava il mistero e che di fatto noncorrispondeva a verità» (Ibidem, p. 95). [Testo]

18. «Il mondo era permeato della vita che vi era riversata e che lo organizzava, il mondo aveva insé il fulgore interno delle profondità, mentre le cose fatte a macchina mi parevano

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inanimate, piatte, prive di mistero, comprensibili in tutto e per tutto» (Ibidem, p. 95). [Testo]19. «La materia del mondo mi insegnò ad amarla ed ammirarla. Ed io la amai. Non la materia

dei fisici, però, ma la materia stessa, con la sua verità e la sua bellezza, e con la sua integrità»(Ibidem, p. 97). [Testo]

20. «Io non amavo l'uomo in quanto tale, mentre ero innamorato della natura. E, in secondoluogo, il regno della natura lo ripartivo in due categorie: il bello e il particolare» (Ibidem, p.109). [Testo]

21. «La mia vista non era di tipo analitico, non estrapolava ­­ acuendoli ­­ singoli elementi; quelche coglievo era soprattutto la forma. Le forme lievi di oggetti razionalmente appenapercettibili producevano in me reazioni inspiegabili» (Ibidem, p. 110). [Testo]

22. «Sin da piccolo gli odori erano per me l'espressione dell'essenza più profonda delle cose, etramite l'odore sentivo di fondermi con la cosa in sé. I colori, gli oli eterei e soprattutto leresine profumate li percepivo come uno squarcio indubitabile su questo mondo e come viad'accesso nell'altro» (Ibidem, p. 114). [Testo]

23. «Ogni percezione rimandava a un'altra, e nella mente si formava una sorta di sistema in cuiquanto era eterogeneo si correlava per dettagli piccoli ma, a mio parere, significativi. [...]Fenomeni atmosferici, colori, odori, sapori, corpi celesti ed eventi sotterranei siintrecciavano tra loro in legami multiformi, andando a formare il tessuto del parallelismouniversale» (Ibidem, p. 125). [Testo]

24. «Il mondo viveva e io comprendevo quel suo vivere» (Ibidem, p. 126). [Testo]25. «La comprensione scientifica del mondo fiacca la differenza esteriore tra i fenomeni,

rendendoli estranei l'uno all'altro persino quando essi sono qualitativamente identici, cosìche il mondo, privato di una vivace varietà, non solo non si unifica, ma al contrario sidisperde. La percezione infantile supera la frammentazione del mondo dal di dentro (Ibidem,p. 127). [Testo]

26. «Ero abituato a vedere le radici delle cose. Tale abitudine visiva fecondò poi l'intero miopensiero e ne determinò il tratto fondamentale: la tendenza a muoversi in verticale e loscarso interesse per l'orizzontale» (Ibidem, p. 140). [Testo]

27. «In me c'era l'eccitazione repressa del sentimento religioso: ne ero stato tagliato fuori inmodo tanto efficace che con la forza della mia inclinazione interiore innalzavo ancor di più ilmuro che era stato eretto tra me e la religione. Tanto maggiore era la mia esigenza religiosa,tanto più io, sul cammino a me indicato, mi allontanavo mea sponte dall'eventualità diappagarla» (Ibidem, p. 159). [Testo]

28. «Nella nostra famiglia, invece, la sostanza religiosa dell'educazione religiosa era racchiusa neltenere scientemente lontano qualsivoglia influsso religioso esterno ­­ positivo o negativo chefosse ­­, compreso quello dei miei stessi genitori. Non ci venne mai detto che Dio non c'era oche la religione fosse superstizione o che i sacerdoti fossero degli imbroglioni, così come nonci sentimmo mai dire neanche l'inverso» (Ibidem, p. 160). [Testo]

29. «Per quanto inappellabile suonasse il suo giudizio al riguardo, tuttavia, mi rendo conto che èproprio dai sovratoni dei suoi[del padre] giudizi lapidari che si sono cristallizzati gli embrionidelle mie opinioni successive, vale a dire, in sostanza, che non esistano le religioni, ma cheesista la Religione» (Ibidem, p. 162). Florenskij riprende questi argomenti, da un punto divista teologico e del dialogo ecumenico nello scritto Cristianesimo e cultura (cfr. Id.,Cristianesimo e cultura, in Id., Bellezza e Liturgia. Scritti su cristianesimo e cultura,Mondadori, Milano 2010, pp. 49­68, qui in particolare pp. 55­58). [Testo]

30. «Umanità: era questa la parola preferita di mio padre, quella con cui voleva rimpiazzare ildogma religioso e la verità religiosa. Nell'umanità, nella benevolenza, egli scorgeva ilregolatore universale di ogni sorta di rapporti sociali e personali da sostituire alla religione, aldiritto e alla morale, l'unica cosa da predicare e instillare» (Id., Ai miei figli, cit., p. 166).[Testo]

31. «La professione della tolleranza come dogma porta inesorabilmente all'intolleranza neiconfronti di coloro che, invece, un tale dogma negano» (Ibidem, p. 171). [Testo]

32. «Sotto una coltre di indifferenza, il mio rapporto con la religione era fluttuante e non potevacerto essere definito distaccato. Ero combattuto tra un'appassionata attrazione e degli eccessi

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di ostilità contro quanto non conoscevo ma la cui realtà mi era data imperiosamente. [...]L'unica via d'uscita era la lotta contro Dio. Io sapevo che Dio c'era, ma sapevo anchedell'amore e delle qualità dei miei genitori, e ancor più della mia dignità di essere umano. Eallora a momenti insorgevo contro Dio; non per negarlo, però, bensì per non sottomettermia Lui» (Ibidem, pp. 191­192). [Testo]

33. «Quanto era particolare, insolito, mi pareva foriero di un altro mondo e incatenava il miopensiero, o meglio la mia immaginazione. [...] L'incognito nutriva la mia mente, mentre quelche non meravigliava, che non generava meraviglia, era una sorta di pula secca priva disostanze nutritive» (Ibidem, p. 200). [Testo]

34. Ibidem, p. 201. [Testo]35. «Il positivismo mi disgustava, ma non meno mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo

vedere l'anima, ma volevo vederla incarnata. Qualcuno vorrà chiamarlo materialismo. Non sitratta, però, di materialismo, ma della necessità del concreto, o simbolismo. Sono semprestato un simbolista» (Ibidem, p. 202). [Testo]

36. «Nel kantismo si oppone la cosa alla sua manifestazione. [...] L'opposizione tra "apparire" ed"essere" consisteva per me nei fenomeni stessi, nelle stesse manifestazioni. Ci sonomanifestazioni superficiali e ce ne sono di più profonde. E sono esse stesse a daretestimonianza di sé in quanto tali. Si osserva il fenomeno e ci si accorge che esso è la scorzadi un altro fenomeno più profondo» (Ibidem, p. 203). [Testo]

37. «Se mi ci soffermo è perché nella concezione di mio padre l'idea della continuità era ilbaluardo e il fulcro della visione scientifica del mondo, della scientificità, mentre l'anima delfiabesco, secondo lui, era l'idea inversa: la discontinuità» (Ibidem, p. 212) «Mio padreriteneva che proprio l'idea della discontinuità fosse l'abisso che si apriva tra la visione delmondo della sua generazione e la mia, la Weltanschauung del prodigio, della fiaba, a cuitendevo» (Ibidem, p. 204). [Testo]

38. Una simile concezione del mondo fiabesco si ritrova anche nell'opera di Cristina Campo: «Lacaparbia, inesausta lezione delle fiabe è dunque la vittoria sulla legge di necessità, il passaggiocostante a un nuovo ordine di rapporti e assolutamente niente altro, perché assolutamenteniente altro c'è da imparare su questa terra» (C. Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano1987, p. 34). [Testo]

39. «Il mondo intero era una fiaba in alcuni punti nascosta e in altri svelata. Ma anche là dove lafiaba del mondo pareva assopita vedevo una finzione: essa aveva gli occhi socchiusi esbirciava sorniona tra le ciglia (P. A. Florenskij, Ai miei figli, cit., p. 210). [Testo]

40. «Imparai presto a vivere con due teste: in superficie con la testa degli adulti, accogliendo leleggi della logica, e in profondità con la mia testa di bambino, percependo il mondo daseguace dell'idealismo magico» (Ibidem, p. 222). [Testo]

41. «Nei meandri del corporeo c'è il mistero, che dietro il corporeo si cela ma che corporeo nonè, e il corporeo del mistero non solo non cancella il mistero stesso, ma anzi in determinateoccasioni può esserne a propria volta cancellato. In qualsiasi momento, pensavo, il misteropuò ergersi in tutta la sua statura e gettar via, lontana, la maschera del corporeo» (Ibidem, p.225). [Testo]

42. «La regolarità era il mio nemico; venuta a conoscenza di una qualche legge della natura, lamia mente tormentata dall'ansia, da un senso di limitatezza e di mesta oppressioneriacquistava serenità solo quando saltava fuori un'eccezione alla legge stessa» (Ibidem, p.234). [Testo]

43. «Il contenuto positivo del mio pensiero, il suo punto fermo sono sempre state le eccezioni, ilnon­spiegato, il disubbidiente, la natura che si oppone alla scienza; le leggi, al contrario,erano qualcosa di passeggero, che prima o poi era condannato a sparire» (Ibidem, p. 235).[Testo]

44. «Quel che avevo caro, al contrario, era il fenomeno in toto, quanto era concretamenteosservabile. Era la forma della sua unità che mi dava pena: per la forma era la realtà»(Ibidem, p. 235). [Testo]

45. «Più o meno quando frequentavo la sesta classe del ginnasio, o forse un po' prima, il miorapporto scientifico col mondo era completamente formato, se non canonizzato. Ma, lo

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ripeto, sotto di esso tenevo per me, quasi inesprimibile a parole, la fiaba che sgorgava dalparadiso infantile nascosto nel profondo del mio cuore» (Ibidem, p. 242). [Testo]

46. «La legge è l'autentico recinto della natura; ma anche il muro più spesso ha crepesottilissime attraverso le quali si inflitra il mistero» (Ibidem, p. 243). [Testo]

47. Ibidem, p. 245. [Testo]48. «Il principio della relatività, che accolsi senza troppe elucubrazioni e senza neanche

studiarlo, in quanto si trattava di un flebile tentativo di dare forma concettuale a un altromodo di comprendere il mondo. Il principio generale della relatività è in un certo senso lamia fiaba del mondo, pur se sgrossata e semplificata» (Ibidem, p. 247). [Testo]

49. Ibidem, p. 250. [Testo]50. «Mi fu di colpo chiaro che "il tempo era uscito dai cardini" e che, di conseguenza, si era

concluso qualcosa di estremamente importante non solo per me, ma per la storia tutta. Erauna sensazione di nostalgia mortale, di dolore pungente, di insopportabile consapevolezza checiò che era stato costruito a costo di sforzi imponenti, e non parlo dei miei, ma di quelli ditutti, di quelli dell'Europa, stava crollando. In quel dolore lancinante, però, si intuiva l'iniziodella liberazione e della resurrezione, anche in questo caso non solo miei, ma di tutti»(Ibidem, pp. 250­251). [Testo]

51. «L'estate del 1899 segnò una svolta interiore particolarmente rapida e perciò la ricordo comeassai lunga e densa di eventi, senza paragone possibile con le estati precedenti e con moltedelle successive. [...] Dopo gli anni dell'infanzia è l'estate del 1899 il pilastro della miacoscienza» (Ibidem, p. 265). [Testo]

52. «Con una fermezza che non ammetteva dubbio alcuno sentivo quanto impotente fosse ciòche mi aveva interessato fino a quel momento nella zona di buio in cui ero capitato. [...] Fuipreso da una grande disperazione e dovetti ammettere l'impossibilità di uscire di lì, l'evidenzadi essere definitivamente tagliato fuori dal mondo visibile. In quell'attimo un raggiosottilissimo, che era o una luce invisibile o un suono impercettibile, mi recò un nome: Dio.Non era ancora un'illuminazione né una rinascita, ma solo la notizia di una possibile luce.Però conteneva la speranza e nel contempo la consapevolezza tumultuosa e improvvisa che lamorte o la salvezza erano tutte in quel nome e in nulla più» (Ibidem, p. 267). [Testo]

53. Ibidem, p. 267. [Testo]54. «E contro quella roccia io sbattei, e da ciò ebbe inizio la consapevolezza dell'ontologicità del

mondo spirituale. Per quanto ne so, fu proprio da quel momento che comparve la repulsione,ancora non espressa a parole, ma acuta nella determinazione, per il soggettivismo protestantee intellettuale in genere» (Ibidem, p. 271). [Testo]

55. «Nell'aria riecheggiò una voce assai nitida e forte che chiamò due volte il mio nome: "Pavel!Pavel!" e non disse altro. Non era né un rimprovero, né una richiesta, non c'era rabbia eneanche tenerezza, era solo una chiamata in chiave maggiore e senza mezzitoni. Essaesprimeva in maniera diretta e precisa proprio e solo ciò che voleva esprimere: una chiamata.[...] Non so che egli volesse chiamare e perché, ma in effetti prestò la sua gola e le sue labbraa un'altra voce e chiamò me» (Ibidem, pp. 271­272). [Testo]

56. «Da una parte c'era l'esperienza, indubbiamente autentica e riguardo a cose autentiche,dall'altra il pensiero scientifico, di cui mi fidavo fino a un certo punto. Era la malattia tipica ditutto il nuovo pensiero, di tutto il Rinascimento¸ora col senno di poi, posso definirla come ildistacco tra umanità e scientificità. Da un lato c'era il pensiero scientifico inumano, dall'altrol'umanità priva di pensiero» (Ibidem, p. 274). [Testo]

57. «Non riuscivo a dichiarare a me stesso, né trovavo le parole necessarie a riconoscere, lapossibilità di un'altra visione del mondo, altrettanto ragionevole, altrettanto esprimibile aparole» (Ibidem, p. 277). [Testo]

58. Ibidem, p. 300. [Testo]59. «In un attimo era stato reciso e svilito tutto ciò di cui ero vissuto, per lo meno così come

esso veniva recepito dentro di me. Tutte le obiezioni contro il sapere scientifico che avevosentito o letto a suo tempo di colpo si rivoltarono contro di me, e da cavilli convenzionali,facilmente confutabili alla bisogna e artificiosamente elaborati, di colpo si fecero un sostegnominaccioso di quel nuovo pensiero, di colpo si ritrovarono in grado di colpire al cuore la

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visione scientifica del mondo. Nel giro di un attimo, come sferzato da una scossa sotterranea,lo sfarzoso edificio del pensiero scientifico si tramutò in ciarpame, e di colpo si scoprì chenon era fatto di materiali pregiati ma di trucioli, cartone e stucco. Quando mi alzai dal pendiosu cui ero seduto, non avevo nulla da raccattare nemmeno tra i resti dell'edificio del pensieroscientifico in cui credevo e al quale ­­ o accanto al quale ­­ mi ero impegnato indefessamente.Corsi via da quelle macerie non solo svuotato, ma finanche disgustato» (Ibidem, p. 301).[Testo]

60. «"La verità è irraggiungibile", "non si può vivere senza la verità": queste due asserzioniugualmente forti mi straziavano l'anima e portavano all'agonia il mio spirito» (Ibidem, p.302). [Testo]

61. Ibidem, p. 305. Quasi come una parabola le memorie della giovinezza di Florenskij siconcludono con la ricerca della verità che gli si era presentata come intuizione giàdall'infanzia. «Pur potendo contare su una cospicua riserva di vivacità, sin da bambino erobloccato dalla consapevolezza di non essere solo e dal sapere che sopra di me c'era la Verità»(Ibidem, p. 73). [Testo]

62. Appunto di Florenskij del 23 aprile 1916, cinque anni dopo la sua ordinazione sacerdotale, inriferimento alla sua vita personale e familiare, cit. in Igumeno Andronik (A. S. Trubacëv),SvjaŠcennik Pavel Florenskij ­­ professor Moskovskoj Duhovnoj Akademii i redaktor"Bogoslovskogo vestnika", Bogoslovskie trudy 28 (1987), p. 295. [Testo]

63. Per maggiori dettagli su questa pagina della biografia di Florenskij: A. Pyman, PavelFlorenskij. La prima biografia di un grande genio cristiano del XX secolo, Lindau, Torino2010, pp. 173­273. [Testo]

64. Al sacerdozio inteso come dono dello Spirito Florenskij lega, indissolubilmente, anche la suavocazione matrimoniale: «Molto semplicemente mi sono sposato per adempiere alla volontàdi Dio, che mi fu chiara da un segno [...]. Meccanicamente, non ricordo perché, mi chinai epresi tra le dita una fogliolina. La raccolsi e vidi, con mia grande sorpresa, che era unquadrifoglio, il simbolo della "felicità". Il pensiero che ebbi subito (e sentivo che quel pensieronon era mio) era che si trattava di un segno: la volontà di Dio» (da una lettera conservatanell'archivio familiare citata da Id., Žizn' i sud'ba, cit. in P. A. Florenskij, Socinenija vcetyreh tomah (vol. I), Mysl', Moskva 1994, p. 17). [Testo]

65. Quando nel 1911 Florenskij fece domanda per essere ordinato sacerdote queste sono leimpressioni suscitate dalla sorella scritte in una lettera indirizzata alla madre il 4 aprile 1911:«So che Pavlja in questi giorni ti ha dato un grosso dolore con il suo desiderio di farsi prete.Nemmeno io so che cosa pensare, ma vedo che Pavlja sta facendosi impetuosamente largonella vita, e finora ha vissuto in modo da ottenere tante soddisfazioni. Parla della sua nuovascelta con un volto così luminoso e con un tale amore che non vorrei distruggere la sua gioiacon condanne o dubbi...» (cit. in Id., La vocazione di Florenskij, La Nuova Europa 5 (2007),p. 53). [Testo]

66. Ecco come si esprime sull'ordinazione sacerdotale lo stesso Florenskij in una lettera dell'11maggio 1911 indirizzata all'amico V. V. Rozanov: «Un mondo interiore inesprimibile,ineffabile, incomprensibile a me stesso mi ha inondato l'anima, il cuore, il corpo.Esteriormente è tutto come prima: mi irrito, mi arrabbio, sono scontento. Ma nel profondodell'animo è come se questo avvenimento, questo compimento, questa definitività avessenidificato e ora stesse maturando una nuova vita...» (Id., SvjaŠcennik Pavel Florenskij ­­professor Moskovskoj Duhovnoj Akademii i redaktor "Bogoslovskogo vestnika", cit., p.293). [Testo]

67. L'ideale del "focolare domestico" gli venne in eredità dal nonno e dal padre, ma con essoanche la profonda difficoltà di poterlo realizzare. Qui, in una lettera a V. V. Rozanov del 28maggio 1910: «Pensate alla vita di mio padre, di mio nonno. Il nonno era figlio di un prete...Aveva concluso brillantemente gli studi in seminario ed era stato mandato all'Accademiateologica, ma per amore della scienza abbandonò tutto per entrare all'Accademia MedicaMilitare... Aveva due desideri: formare una famiglia solida, unita, "stabile", e possedere unpezzetto di terreno per non dover vivere in città. Ma la sua amata sposa, mia nonna, morìgiovane e la seconda moglie fu per i figli la vera "matrigna delle favole". Insomma, la sua

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famiglia fallì e si disgregò peggio di quelle senza fondamenti "ideali". Quanto a lui, morì dicolera curando i malati. Anche mio padre sognò per tutta la vita la stessa cosa, cioè lafamiglia ideale e la vita in campagna. E anche lui fallì, anche lui morì nell'espletamento deisuoi doveri sociali, anzi proprio per causa loro... Neppure io posso negare che la vita incampagna e un'amicizia, in famiglia o altrove, ma tale da donarmi rapporti intimi, profondi,costituisca il mio sogno. Ma ormai so che questo è impossibile a realizzarsi, e vorrei soltantomorire non per il puro espletamento dei miei doveri professionali, ma per qualcos'altro...»(cit. in Id., La vocazione di Florenskij, cit., p. 51). Sembra essere un tratto genetico la ricercafrustata di una vita attorno al focolare domestico: «nella nostra stirpe, tutte le generazioniavevano lo stesso sogno: quello di vivere una vita tranquilla, dedicandosi a un orticello, senon altro in vecchiaia. Ebbene, nessuno è mai riuscito a realizzare questo sogno» (P. A.Florenskij, Non dimenticatemi, cit., p. 167). [Testo]

68. «"Onorare i genitori" significa in primo luogo, concretamente, cercare di conoscerli.Personalmente nella mia famiglia c'è un'eterogeneità incredibile, si va da esponenti dellaborghesia fino ai conti Razumovskij... Però solo i poveri parroci di Kostroma riscuotono finoin fondo il mio interesse, e nel cuore io sono assolutamente con loro» (Da una lettera a V. V.Rozanov del 1915 cit. in Igumeno Andronik (A. S. Trubacev), La vocazione di Florenskij, cit.,pp. 50­51). Pur provenendo da una famiglia di parroci, il padre, che morì prima delmatrimonio e dell'ordinazione sacerdotale di Florenskij, non capì mai la sua scelta "religiosa"e la sua vita presso l'Accademia teologica. Ecco cosa riporta Florenskij di una delle rare visitedi suo padre a Segiev Posad nella primavera del 1905: «Mi sembrava che egli non avessevoglia di vedere la lavra e l'Accademia ­­ era duro poiché suo figlio ora era legato a queiluoghi... Non riesco a ricordare se io interpretai qualche parola di mio padre come seesprimesse svogliatezza nel visitare la lavra o se egli lo disse chiaramente; ora mi pare che miopadre temesse, nel visitare la lavra, di offendermi con il suo atteggiamento esteriore,miscredente nei confronti della lavra, e nello stesso tempo non volesse o non fosse in gradodi assumerne un altro e perciò desistette completamente dal visitarla» (P. A. Florenskij,Besporjadocnye zametki ob otce moem Aleksandre Ivanovice Florenskom, in Id., Detjammoim. Vospominaija, Moskovskij Raboij, Moskva 1992, p. 301). Florenskij era molto legatoalla tradizione genealogica della sua famiglia tanto che dedica delle intere lettere dallaprigionia per spiegare ai figli i tratti della propria stirpe (Cfr. P. A. Florenskij, Nondimenticatemi, cit., pp. 165­167). [Testo]

69. Lettera del 1904 conservata nell'archivio di famiglia; la citazione è ripresa da: E. V. Ivanova,L. A. Il'junina, K istorii otnoŠenij s Andreem Belym, Kontekst­1991. Literaturno­teoreticeskie issledovanija, Nauka, Moskva 1991, p. 4. [Testo]

70. Nel novembre del 1913 ecco come si lagna Florenskij dei suoi colleghi all'Accademia con ilvescovo Fedor: «I rappresentanti del clero, che esercitano la loro autorità nella Chiesa, alcunia buon diritto, altri come usurpatori, tendono più di chiunque altro a identificare la Chiesa diCristo e i suoi attributi con il tradizionale modo di vita, gli atteggiamenti e gli interessi deinostri preti. Non è certo mia intenzione asserire che il clero sia male di per se stesso, masono sicuro di poter dire non solo che tale realtà mi è del tutto estranea ma che non vedoneppure alcuna ragione per cui debba conformarmi ad essa. Eppure, proprio dal cleropromana un buon numero di meschine imposizioni apparentemente esercitate nel nome diCristo ma semplicemente e incomprensibili a chiunque non si sia formato inquell'atmosfera» (Cfr. P. V. Florenskij, S. B. Šolomov (a cura di), Ostajus' vaŠ dobroželatel' ibogomolec. K istorii vzaimootnoŠenij sviaŠcennika Pavla Florenskogo i mitropolitaAntonia (Chrapovickogo), Žurnal Moskovskoj Patrarchii 6 (1998), pp. 67­80). Già nel 1905,durante la sua formazione teologica presso l'Accademia Florenskij aveva riflettuto sulladifferenza tra una genuina dogmatica, tutta innervata dall'esperienza vivente e confessante, eun vuoto ed astratto dogmatismo, frutto di sterili e intellettualistici tentativi di imbrigliare lafede in una staticità posticcia. Alla vera dogmatica «è subentrato il dogmatismo, ecco laragione della nostra freddezza di fronte alle forme meravigliose, ma ormai prive di vita, diquesta dogmatica. La dogmatica nella coscienza contemporanea ha spezzato il suo legamecon i vivi sentimenti e le vive percezioni. L'anima e il corpo della concezione religiosa del

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mondo si sono separati» (P. A. Florenskij, Dogmatismo e dogmatica, in Id., Il cuorecherubico. Scritti teologici e mistici, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, p. 152). [Testo]

71. La formazione dell'intelligencija, termine derivante dal francese, è un fenomenoeminentemente russo che si diffonde negli anni Sessanta dell'800, e indicava quel gruppo diintellettuali che riesce, dopo gran pena e gran tempo, ad affrancarsi dal dominio ecclesiasticoe gerarchico nell'ambito culturale. Infatti fino all'età di Pietro il Grande la vita intellettualerussa era dominata dal clero. Essa si andò a formare, sin dai suoi esordi, come un movimentoprogressista, seppur diviso in molte correnti e filoni, più o meno radicali, ma che sicontraddistinguevano tutti per una certa avversione per il connubio tra potere spirituale etemporale del regime russo. Nato come fenomeno letterario, esso si allargherà a tutti gliambiti del tessuto intellettuale dell'intera Russia, in special modo della vita delle grandi città.Se in un primo momento l'avversione al potere costituito si era espressa anche sotto forme diateismo, all'epoca di Florenskij, alcune frange dell'intelligencija rivendicavano per se stesseun'autonoma ricerca della verità spirituale e morale che prescindesse dalla guida, a volteopprimente, della gerarchia Ortodossa. Cfr. G. K. Piovesana, Storia del pensiero filosoficorusso (988­1988), San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1992, pp. 187­212. Per comprendere ilsignificato di intelligencija a cavallo tra le due rivoluzioni, 1905­1917, è interessante leggere iltesto collettaneo Vechi, che appunto cerca di mettere ordine e chiarezza nel vasto movimentointellettuale di quegli anni; utile anche perché molti degli autori dei saggi sono vicini pertematiche e, come Bulgakov, anche per amicizia, a Florenskij. Cfr. Aa. Vv., La svolta: Vechi.L'"intelligencija" russa tra il 1905 e il 1917, Jaca Book, Milano 19902. [Testo]

72. Bulgakov traccia in questo modo la differenza tra l'ideale eroico dell'intelligencija el'ascetismo cristiano: «Tra l'eroismo dell'intelligencija e l'ascetismo cristiano, nonostante unacerta somiglianza esteriore, non esiste alcuna affinità interiore, nessun contatto sia puresotterraneo. Il compito dell'eroismo è la salvezza esteriore dell'umanità (più esattamente diuna futura parte) con le proprie forze, secondo un proprio piano, "a nome proprio"; l'eroe ècolui che realizza nel grado più alto la propria idea, magari rovinando a causa d'essa la propriavita, è l'uomo­dio. Il compito dell'ascetismo cristiano è di cambiare la propria vita inun'invisibile abnegazione ed obbedienza, adempiere il proprio lavoro con tutta l'intensità,autodisciplina, auto dominio e vedere in esso e in se stesso solo uno strumento dellaProvvidenza. Il santo cristiano è chi ha trasformato, nella più alta misura, la propria volontàpersonale e tutta la propria personalità empirica con un incessante e indefesso sacrificio finoa lasciarsi permeare dalla volontà Divina nella massima misura possibile. Il modello dellapienezza di questa penetrazione è il Dio­uomo, venuto "a fare non la sua volontà, ma quelladel Padre che l'aveva mandato", di colui "che viene nel nome del Signore"» (S. N. Bulgakov,L'eroe laico e l'asceta, in Aa. Vv., La svolta. Vechi. L'"intelligencija" russa tra il 1905 e il '17,cit., p. 61. [Testo]

73. In una lettera, del 15 giugno 1905, al suo amico A. Belyj, Florenskij si rammarica delledivergenze che si erano create all'interno proprio di uno di questi gruppi di intellettuali, circala sua concezione di Chiesa: «... e si adirano con me sempre per la stessa cosa, per la Chiesastorica. Capisco bene per quale motivo a questo riguardo mi infurio con tutti, perché in uncerto periodo mi sono infuriato anche con me stesso. Allora io mi avvicinavo alla Chiesaguardandola obiettivamente "come guarda la madre un bambino che si è separato dal suoorganismo" [...]. E allora io vedevo migliaia di difetti, vedevo una crosta spessissima, sotto laquale per me non c'era nulla tranne simboli divenuti stantii. Ma non so cosa ­­ interpretatelacome volete ­­ qualcosa mi ha messo contro la mia volontà nell'atteggiamento soggettivoverso il popolo, e insieme ad esso anche verso la Chiesa, che esso ama. Sono penetratoall'interno di ogni guscio, mi sono messo al di là dei difetti. Davanti a me si è aperta la vita,forse un po' turbolenta, ma vita, si è aperto senza dubbio il santo midollo. E allora ho capitoche non uscirò più da dove ho visto tutto questo, non ne uscirò, perché non credo nellageneratio spontanea spirituale, non credo nella possibilità "di edificazione" della Chiesa. La"nostra" Chiesa, mi sono detto, o è una completa assurdità, o deve crescere da un granosanto. Io l'ho trovato e ora lo farò crescere, lo condurrò fino ai misteri, ma non getterò inpasto ai socialisti tutti i colori e le sfumature. Se sono colpevole, Boris Nikolaevic,

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nell'interpretare la vita e la santità dietro una grossa crosta di sporcizia (che, forse, a mesembra più grande che agli altri, perché mi procura dolore), se è peccato amare ciò che èsanto, allora io sono davvero colpevole davanti a tutti coloro che la pensano diversamente dame. Ma posso soltanto dire loro: io posso fingere, ma non posso smettere di sentire ciò chesento. Fate ciò che volete e come volete. Il vostro biasimo potrà far male, ma l'amore daparte loro potrà soltanto divenire più forte...» (A. Belyj, P. A. Florenskij, L'arte, il simbolo eDio. Lettere sullo spirito russo, Medusa, Milano 2004, pp. 65­66). [Testo]

74. Ordinato sacerdote da ormai dieci anni, Florenskij annotava sul suo diario (23 settembre1921) come procedesse la sua missione spirituale attraverso, ma mai nonostante, il suo esserescienziato. Dopo una lezione in un istituto statale sui trasformatori elettrici così si esprime:«Avevo l'impressione che nessuno avesse capito, e di aver parlato in maniera caotica,confusa. Ma evidentemente si vede che le mie preghiere a San Sergio, che avevo invocato inmio aiuto ­­ non per compiacere la mia ambizione ma per amore della Chiesa, perchénessuno potesse guardare con disprezzo il clero ­­ hanno funzionato. Difatti in seguito mihanno detto che la mia lezione aveva fatto impressione, anzi "furore". Dio lo voglia! Non honessun bisogno della gloria, è solo un peso sia esteriore che interiore, ma io in fondo sonoandato all'Accademia per poter unire insieme il mondo laico e quello religioso, nel desideriodi entrare nel mondo religioso come esponente della società laica, e ora faccio lezione con latalare nel desiderio di penetrare nel mondo laico come esponente della comunità religiosa; lamia gloria è la gloria di Dio, e tutto ciò che guadagno con l'aiuto di Dio lo offro al Signore, lopongo davanti a lui come un frutto, un bottino che il Signore stesso mi ha inviato adacquistare. Magari con i trasformatori riuscissi a guadagnare al Signore anche una solaanima!» (Cit. in cit. in Igumeno Andronik (A. S. Trubacev), La vocazione di Florenskij, cit.,p. 52). Fa eco la testimonianza di Bulgakov: «In padre Pavel si erano incontrate e a loromodo si erano unite cultura ed ecclesialità, Atene e Gerusalemme, e questa unione organica ègià in se stessa un fatto che ha un significato storico ed ecclesiale» (S. N. Bulgakov, Ilsacerdote Pavel Florenskij, in Id., Lo spirituale della cultura, Lipa, Roma 2006, p. 150).[Testo]

75. In Florenskij si incarnava ciò che egli stesso aveva notato scrivendo la vita del monacoIsidoro: «Viveva nel mondo, ma non era di questo mondo; stava con la gente, ma non comesemplice uomo. Non disdegnava niente e nessuno, ciò nonostante era al di sopra di tutto, etutto ciò che è terrestre si chinava e restava penosamente sospeso innanzi al suo mite sorriso.Con lo sguardo rendeva nulle tutte le convenzioni umane, giacché egli stava al di sopra delmondo» (P. A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro, Qiqajon, Magnano(VC) 1992, p. 25. [Testo]

76. Nonostante tutta la sua multiforme attività, sia culturale, che spirituale o scientifica, eglirimarrà sempre intimamente legato al suo sacerdozio, tutto troverà una sintesi nel suo essereessenzialmente e profondamente un pope. Ecco qui la toccante testimonianza tracciata da S.N. Bulgakov in un memoriale scritto nel 1943, allorquando il regime sovietico diede lanotizia, poi rivelatasi falsa e postuma, della morte di Florenskij: «Ma tutto quello che si puòdire dello straordinario talento scientifico di padre Pavel, come anche della sua originalità, invirtù della quale poteva sempre dire la sua, come una qualche rivelazione su tutto, è tuttaviasecondario e di poca importanza se non si riconosce in lui la cosa più importante. Il centrospirituale della sua personalità, il sole che illuminava tutte le sue doti era il suo sacerdozio» (S.N. Bulgakov, Il sacerdote Pavel Florenskij, cit., p. 148). [Testo]

77. Scrivendo,nel 1908, una piccola biografia sul monaco Isidoro, suo padre spirituale, cosìconclude: «L'abba Isidoro era un autentico portatore dello Spirito di Dio. Ecco perché quantodi eccezionale è in lui era e continua a restare inafferrabile per il nostro linguaggio,impercettibile per il nostro intelletto. Di per sé tutto d'un pezzo, unitario, l'abba diventainteramente contraddittorio nel momento in cui si tenta di caratterizzarlo a parole, dicendo:"Ecco, era questo e quest'altro". È vero, sottostava ai digiuni, ma al contempo li violava. Èvero, era dotato dello spirito di sottomissione, ma anche di indipendenza. È vero, vivevarelegato dal mondo, ma amava tutta la creazione come nessuno mai. È vero, viveva tuttoassorto in Dio, ma non trascurava di leggere i giornali e di dilettarsi di poesia. È vero, era di

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carattere mite, ma sapeva essere anche severo. In una parola, al nostro intelletto egli sipresentava come un'insanabile contraddizione. Ma alla ragione purificata egli appare comeun tutto coerente come nessuno mai. Anche la sua unità spirituale sembra costituire unacontraddizione sul piano razionale. Viveva nel mondo, e al contempo non era di questomondo. Non disdegnava nulla, eppure si manteneva sempre al di sopra, in una dimensioneceleste. Era spirituale, pneumatoforo, e nella sua persona era possibile comprendere che cosasignifichi la spiritualità cristiana, che cosa significhi essere cristiani "non di questo mondo"»(P. A. Florenskij, Il sale della terra. Vita dello starec Isidoro, cit., pp. 114­115). [Testo]

78. «Che cosa cercava nel sacerdozio padre Pavel? Non era una chiamata alla pastorale e allacatechesi, anche se è chiaro che non le rifiutava. Prima di tutto e sopra a tutto eraun'attrazione ad essere presente al trono del Signore, alla celebrazione liturgica» (S. N.Bulgakov, Il sacerdote Pavel Florenskij, cit., p. 151). [Testo]

79. P. A. Florenskij, Non dimenticatemi, cit., pp. 374­375. [Testo]80. L'epistolario tra Florenskij e la sua famiglia copre tutto l'arco che va dal suo arresto nel 1933

fino divieto di corrispondenza che viene comunicato al detenuto nel 1937, pochi mesi primadella sua uccisione. In esso si trova la dolcezza per i figli, cui sono dedicate intere lettere, perla moglie, la madre e per gli altri familiari, ma anche la difficoltà e la tristezza per la serenitàperduta. Testimonianza unica e preziosa che è giunta fino a noi grazie alla cura dei familiariche hanno conservato questa preziosa testimonianza. È un testo che ha avuto molta fortuna,come testimoniano, solo in Italia, le diverse edizioni stampate. [Testo]

81. Ecco come descrive questa scelta l'amico Bulgakov: «È come se la vita gli avesse offerto lascelta tra le Solovski e Parigi, ma egli scelse... la patria, benché si trattasse delle Solovski, vollefino alla fine condividere la sorte del suo popolo. Padre Pavel non poteva e non volevainternamente diventare un emigrato, nel senso di un distacco volontario o involontario dallapatria. Lui stesso e il suo destino sono la gloria e la grandezza della Russia, e nello stessotempo il suo più grande delitto» (S. N. Bulgakov, Il sacerdote Pavel Florenskij, cit., p. 153).[Testo]

82. «Florenskij fu arrestato la mattina del 21 maggio [1928]. Il mandato di arresto erasottoscritto dal capo supremo dell'OGPU, Gerich Jagoda, e fu messo in atto dal "commissariodella sezione di azione" Žilin, che arrestò Florenskij e ne perquisì la casa. Fortunatamentenon toccò i manoscritti, e del resto difficilmente un agente operativo semianalfabeta (i suoirapporti sono pieni di errori di grammatica) sarebbe riuscito a raccapezzarcisi. Trovò invecesospette una medaglia della Croce Rossa e una fotografia dello zar e le sequestrò comemateriali compromettenti. [...] Essere un nobile o un sacerdote era già un delitto, e ancorpeggio era essere in possesso di una foto dello zar o della famiglia imperiale: questa era giàuna prova materiale» (V. Šentalinskij, I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari delKGB, Garzanti, Milano 1994, pp. 178­183). Rimando a questo testo anche per approfondiretutti i passaggi del processo e della condanna del nostro autore russo. Inoltre si veda anche:«Non tradire le tue convinzioni...» La verità sulla fine di Pavel Florenskij, in L'AltraEuropa, 1 (1991). [Testo]

83. L'acuta e documentata analisi di V. Šentalinskij esprime chiaramente il vero motivo dellacondanna. «Santità è un'altra parola che ha quasi abbandonato il nostro vocabolario,invecchiata di colpo, all'apparire dell'epoca sovietica. Non c'è posto per la santità quando è giàdifficile conservare un sembiante umano! Tengo tra le mani un fascicolo voluminoso. L'hoaperto e l'ho richiuso subito. Volti, volti, volti di giovani e di vecchi, di uomini e di donne:pagine piene di fotografie, e sai già che sono volti di condannati, sai già che queste persone,prima o poi, in un modo o nell'altro, sono state uccise. L'ho chiuso, poi mi sono fattocoraggio e l'ho aperto di nuovo. Ottanta persone ­­ teologi, sacerdoti, monaci, studiosi, artisti,mercanti, infermiere, contadini ­­ riunite qui dal pugno di ferro dell'OGUP e da una colpacomune: la fede in Dio. [...] Un nome spicca tra gli altri, un nome grande: PavelAleksandrovic Florenskij, il "Leonardo da Vinci russo", come lo hanno definito» (V.Šentalinskij, I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari del KGB, cit., p. 172). [Testo]

84. L'arcipelago delle isole Solovski era uno dei più grandi monasteri della Russia, trasformatodal regime sovietico in un gulag. Trasformare un posto di vita e nascita spirituale in uno di

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morte e tortura è stata una delle follie che il regime comunista è riuscito a fare cercando dicancellare ogni traccia della storia russa antica e moderna. [Testo]

85. Diversi anni prima lo stesso Florenskij riconosceva proprio nella croce la struttura profondadell'essere umano, la sua più alta vocazione: «L'uomo è ad immagine di Cristo e perciò laCroce è l'immagine di Dio nell'uomo, il suo tipo, mentre il tipo della Croce, il prototipodell'uomo, è la stessa Santissima Trinità: la Santissima Trinità è la Croce, è l'uomo» (P. A.Florenskij, Il timore di Dio, in Id., Il cuore cherubico. Scritti teologici e mistici, Piemme,Casale Monferrato (AL) 1999, p. 278). [Testo]

86. La censura era rigorosissima su questo aspetto: non era consentita nessuna allusione alladimensione trascendente, a concetti spirituali e, persino, alla mitologia. Solo in due occasioniFlorenskij fa esplicito riferimento a dei concetti teologici: una prima volta, parlando diGrazia in un componimento poetico dedicato al figlio Mik, una seconda volta ricordando ilconcetto di Incarnazione (Cfr. Id., Non dimenticatemi, cit., pp. 276­277 e 324­325). [Testo]

87. «Che cosa ho fatto io per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme, come unquadro e una realtà unica, ma in ogni istante o, più precisamente, in ogni fase della mia vita,da un determinato angolo di osservazione» (Ibidem, p. 379). [Testo]

88. «L'Incarnazione è il precetto fondamentale della vita: l'Incarnazione che è realizzare leproprie potenzialità nel mondo, accogliere in sé il mondo e formare la materia di sé. Solo conl'Incarnazione si può misurare la verità e il valore di se stessi, altrimenti non è possibileneanche una critica obiettiva di sé» (Ibidem, pp. 324­325). [Testo]

89. «Conosco abbastanza bene la storia e lo sviluppo storico del pensiero per poter prevedereche un giorno si metteranno a raccogliere i cocci di ciò che hanno distrutto. Tuttavia, questonon mi rallegra affatto, anzi mi infastidisce e questa odiosa stupidità umana, che perdura findagli inizi della storia e sembra intenzionata a durare fino alla fine» (Ibidem, p. 253). [Testo]

90. Così scrive ad uno dei figli nel novembre del 1933: «Sarebbe ora che tu capissi che tutto ciòche succede ha un suo significato e si combina in modo tale che, in ultima analisi, la vita sidirige verso il meglio. I dispiaceri, nella vita, non si possono evitare; ma i dispiacerisopportati consapevolmente e alla luce degli avvenimenti generali ci educano e arricchisconoe, in seguito, portano i loro frutti positivi» (Ibidem, p. 76). [Testo]

91. «Nel momento stesso in cui riuscivo a possedere una certa materia, ero costretto adabbandonarla per motivi indipendenti dalla mia volontà e dovevo iniziare ad affrontare unnuovo problema, sempre partendo dai suoi fondamenti, per spianare una strada che nonsarei stato io a percorrere. Forse in questo si nasconde un significato profondo, dato chequesta situazione si ripete sempre, nel corso di tutta la vita: l'arte della gratuità» (Ibidem, pp.397­398). [Testo]

92. In una lettera (8­9 aprile 1936) al figlio più piccolo dedica una piccola poesia in rima baciatain cui, con una semplicità e una profondità estrema, si accorge che la sua vita ha da offrire,come unico dono, solo la grazia. «Ahimè, in questo tempo tremendo di fame,/ Chi potrebbeprocurarsi un regalo?/ Ho cercato intorno qualcosa da donare a Mik,/ E ho trovato un dono:la grazia./ Vorrei che la quiete di Dio/ Ti avvolgesse, bimbo mio» (Ibidem, pp. 276­277).[Testo]

93. È chiaro che le lettere non sono solo una sorta di pacata o artefatta esibizione disopportazione, quanto bensì lo specchio reale delle sofferenze di un uomo. Per sedarequalsiasi dubbio in tal senso, diverse sono le espressioni di dolore o di sconforto cheemergono dalle lettere e che contribuiscono a raffigurare Florenskij nella sua completezzanon stilizzata né idealizzata. Ecco un esempio fra tutti di una lettera datata 4 giugno 1937.«Tutto ormai è finito (tutto e tutti). Negli ultimi giorni sono stato incaricato di fare la guardiadi notte alla nostra produzione di iodio nell'edificio dell'ex Iodprom. Qui si potrebbe occupareil tempo utilmente (in questo momento scrivo questa lettera per esempio), ma il freddodisperato nella fabbrica morta, le pareti spoglie e il vento che ulula, infilandosi tra i vetri rottidelle finestre, non dispongono a occuparsi di niente di utile, infatti vedi bene dalla miascrittura che con le dita congelate non si riesce nemmeno a scrivere una lettera» (Ibidem, p.402). [Testo]

94. «Non parto da affermazioni e supposizioni generali astratte, ma seguo la strada della sintesi e

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dell'approfondimento dei casi concreti specifici, i quali cerco di cogliere in tutta la loroconcretezza. Fin quando io stesso, con le mie mani, non ho pesato, sminuzzato, effettuato leanalisi, calcolato, non capisco un fenomeno. Posso, sì, parlarne e ragionarne, ma non èancora diventato mio. Ecco, proprio questo lavoro "grossolano" porta via tempo ed energie.Non è che non possa, ma non voglio permettermi di accostarmi ai fenomeni in modo"generale" e astratto. Se passassi sopra a questo mio sentimento, nessuno probabilmente, lonoterebbe; ma, dinanzi al decorso astratto del pensiero, a me stesso viene un senso didisonestà e di ciarlataneria, e proprio così vedo la maggior parte delle generalizzazioni fattedagli altri ricercatori. Invece, in ciò che è particolare e concreto deve risplendere ciò che ègenerale: l'universale» (Ibidem, pp. 380­381). [Testo]

95. «Il segreto dell'attività creativa sta nel conservare la giovinezza. Il segreto della genialità, nelconservare l'infanzia, la disposizione d'animo dell'infanzia per tutta la vita. È proprio questadisposizione che dà al genio una percezione obiettiva del mondo, non centripeta, una sorta diprospettiva rovesciata del mondo, e per questo motivo tale percezione è integrale e reale. Lapercezione illusoria del mondo, invece, per quanto splendente e chiara possa essere, non saràmai definita geniale. Infatti, l'essenza stessa della percezione geniale del mondo sta nellacapacità di penetrare nel profondo delle cose, mentre l'essenza della percezione illusoria stanel nascondere a se stessi la realtà. Le figure più tipiche della genialità sono Mozart, Faradaye PuŠkin: essi sono bambini per la loro forma mentis, con tutti i pregi e i difetti che da ciòderivano» (Ibidem, p. 400). [Testo]

96. «Ripassando nella mente la mia vita (è ora di tirare le somme) noto una serie di campi equestioni che ho iniziato io e di cui, dopo, si sono occupati tutti, o almeno tanti, mentre io osono stato costretto ad abbandonare l'opera o l'ho abbandonata di mia volontà, perché hoorrore di studiare problemi dei quali tutti vogliono occuparsi e cercano di impadronirsi»(Ibidem, p. 399). [Testo]

97. «Forse ti interesserà [Kirill] l'elenco di quelli più importanti. In matematica: 1) I concettimatematici come elementi costitutivi della filosofia (discontinuità, funzioni, ecc.). 2) Lateoria degli insiemi e la teoria delle funzioni delle variabili reali. 3) Gli immaginari geometrici.4) L'individualità dei numeri (numero­forma). 5) Lo studio delle curve in concreto. 6) Imetodi di analisi della forma. In filosofia e storia della filosofia: 1) Le radici culturali delleorigini della filosofia. 2) La base culturale e artistica delle categorie. 3) Le antinomie dellaragione. 4) Lo studio filologico­linguistico della terminologia. 5) Le basi materialidell'antropodicea. 6) La realtà dello spazio e del tempo. In critica d'arte: 1) I metodi didescrizione e datazione degli oggetti dell'arte antica russa (intaglio, articoli di gioielleria,pittura). 2) La spazialità nelle opere d'arte, in specie nelle arti figurative. In elettrotecnica: 1)Lo studio dei campi elettrici. 2) I metodi dell'analisi dei materiali elettrici: la base dellascienza dei materiali elettrici. 3) Il significato delle strutture dei materiali elettrici. 4) Ladiffusione delle resine sintetiche. 5) La diffusione e l'elaborazione degli elementi delladepolarizzazione aerea. 7) Le classificazioni e la standardizzazione di materiali, elementi, ecc.8) Lo studio dei minerali di carbonio come gruppo. 9) Lo studio di una serie di rocce. 10) Lostudio sistematico della mica e la scoperta della sua struttura. 11) Lo studio di suoli e terreni.E così via. Sono poi a parte la fisica del gelo; l'uso delle alghe» (Ibidem, p. 399). [Testo]

98. Ibidem, pp. 400­401. [Testo]99. In questo punto si trova anche tutta la critica a Kant e la predilezione per Platone.

«Florenskij scoprì che la filosofia di Platone mira ad una conoscenza integrale del mondo,ovvero che essa è il frutto maturo di una tale conoscenza; nella filosofia di Kant, invece, trovòl'esempio di una conoscenza frammentaria» (L. Žak, Verità come ethos. La teodiceatrinitaria di P. A. Florenskij, Città Nuova, Roma 1998, p. 163). Il confronto con Kant,l'accettazione delle sue idee o la critica ha rappresentato un nodo teoretico importante nellosviluppo della riflessione florenskijana. Cfr. P. A. Florenskij, Kosmologiceskie antinomiiImmanuila Kanta, in Id., Socinenija v Cetyrex tomax (tom 2), Mysl', Moskva 1996, pp. 3­33.[Testo]

100. P. A. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, cit., p. 273. [Testo]101. In termini teologici Florenskij parlerà di kenosis come categoria sia trinitaria che

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antropologica. Sarebbe oggetto di un diverso articolo che qui non è possibile approfondire.Cfr. L. Žak, L'interpretazione di Fil. 2, 6­8 e la concezione della kenosis nell'opera di P. A.Florenskij, in A. Strus, R. Blatnicky (edd.), Dummodo Christus annuntietur. Studi biblico­patristici in onore del prof. Heriban, Roma 1998, pp. 349­371. [Testo]

102. P. A. Florenskij, Non dimenticatemi, cit., p. 409. [Testo]103. Ibidem, p. 406. [Testo]104. Id., La colonna e il fondamento della verità, cit., p. 496. [Testo]105. Tante sono le considerazioni sul cielo e sul suo colore intenso che emergono anche

nell'epistolario dal gulag. [Testo]

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