“Il nostro pane, quello di domani (sabato), donacelo oggi (venerdì)” (Mt 6,11): I risvolti...

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In copertina:Codex Purpureus RossanensisMuseo diocesano di Rossano Calabro

© 2013, Il Pozzo di GiacobbeCortile San Teodoro, 3 - 91100 TrapaniTel. +39 923 [email protected]

ISBN 978-88-6124-418-4

Copertina: Cristina MartinicoImpaginazione: Giovanni DragoStampa: Stampa Editoriale s.r.l. - Manocalzati

CARATTERISTICHEQuesto libro è composto in New Aster, corpo 10; è stampato su carta Arcoprint Edi-zioni da 85 gr/m2 delle Cartiere Fedrigoni; le segnature sono piegate a sedicesimo - for-mato rifilato 14,5x21,5 cm - con legatura in brossura e cucitura a filo refe; la coperti-na è stampata su cartoncino Gardamat Art delle cartiere Garda da 300 gr/m2 plastifi-cata opaca e soggetti con UV lucida.

Volume pubblicatograzie all’IUF - InstitutUniversitaire de France

Pubblicazione promossa dall’Istituto di Storia del Cristianesimo“Cataldo Naro - vescovo e storico della Chiesa”della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionalesez. san Luigi - Via F. Petrarca 115 - 80122 Napoliwww.storiadelcristianesimo.it

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«Il nostro pane, quello di domani (sabato),donacelo oggi (venerdì)» (Mt 6,11)I risvolti ermeneutici del Vangelo ebraico secondo Matteoalla luce della testimonianza di san Girolamo

Silvio Barbaglia

1. Introduzione

Tra i numerosi e voluminosi studi prodotti a livello esegetico sul Pa-drenostro1 e le diverse tematiche storiche, bibliche e teologiche affrontatenelle espressioni che lo compongono, il presente contributo vuole centrarel’attenzione su uno dei suoi punti più intriganti e discussi dall’esegesi ne-otestamentaria, caratterizzato da un’importante testimonianza ebraica oaramaica riportata da san Girolamo.

L’espressione del Padrenostro che ci accingiamo a prendere in analisiè la seguente:

Matteo 6,11 e Didaché 8,2:«tÕn ¥rton ¹mîn tÕn ™pioÚsion dÕj ¹m‹n s»menon:»

Luca 11,3:«tÕn ¥rton ¹mîn tÕn ™pioÚsion d…dou ¹m‹n tÕ kaq' ¹mšran:»

È noto agli studiosi che proprio in questa breve espressione evangeli-ca – condivisa nella sua sostanziale identità dalle tre fonti qui riportate –l’aggettivo ™pioÚsion, di fatto, si pone come un hapax legomenon in tuttala grecità, antica, classica, ellenistica e successiva. Infatti, al di là di unpapiro documentario del V sec. d.C.2, peraltro corrotto nella parte finale

1 Vanno segnalate soprattutto due monografie, forse le più voluminose e, filologicamen-te, più documentate. La prima è di Jean Carmignac (1914-1986), che vanta ampie conoscen-ze linguistiche e indiscusse competenze sulle fonti antiche, con rassegne molto puntuali distoria delle interpretazioni; la sua prospettiva privilegia la forma ebraica come calco origi-nale del Padrenostro: J. CARMIGNAC, Recherches sur le “Notre Père”, Letouzey & Ané, Paris 1969(per un totale di 608 pagine; la sezione sulla quarta domanda è alle pagine 118-221). Il se-condo, Pier Angelo Gramaglia, patrologo di Torino, si caratterizza per una documentazio-ne ricchissima di carattere filologico, con la finalità storica di raggiungere lo strato gesua-no originario, applicando rigorosamente il metodo storico-critico. L’ampio studio di Gra-maglia è invece pubblicato in proprio: P.A. GRAMAGLIA, Il “Padre nostro”. I, Torino 2005; ID.,Il “Padre nostro”. II, Torino 2007 (per un totale di 1527 pagine; la sezione sulla quarta do-manda è alle pagine 895-947).

2 Per la documentazione cf W. FOERSTER, «™pioÚsioj», In G. KITTEL - G. FRIEDRICH (edd.),Grande Lessico del Nuovo Testamento. III, Paideia, Brescia 1967, 709-732; B.M. METZGER,

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del termine in analisi, non esiste altra attestazione del lemma se non neitesti generati o posti a commento dello stesso Padrenostro. E il senso del-l’intera espressione molto dipende, giustamente, dalla retta interpretazio-ne del misterioso vocabolo.

San Girolamo, nella revisione del testo del Nuovo Testamento, condottanell’anno 382-383, sceglie due aggettivi latini diversi per tradurre lo stes-so termine greco ™pioÚsioj, che invece ricorre identico in Matteo e in Luca.Nel testo di Lc 11,3 Girolamo mantiene la proposta precedente della ver-sione latina Itala, cottidianus (panem nostrum cotidianum da nobis coti-die), mentre in Mt 6,11, quale esito di riflessioni teologiche e filologiche,egli propone la forma: supersubstantialis.3

«How Many Times Does ‘Epiousios’ Occur Outside the Lord’s Prayer?», in The ExpositoryTimes 69 (1957) 52-54.

3 Così san Girolamo si esprime, in più riprese e, in particolare, nel suo primo libro delCommento al Vangelo secondo Matteo scritto nel tempo di quaresima dell’anno 398: «Panemnostrum supersubstantialem da nobis hodie. [...] Quod nos supersubstantialem expressimus,in Graeco habetur epiousion, quod verbum Septuaginta interpretes periousion frequentis-sime transtulerunt. Consideravimus ergo in Hebraeo, et ubicumque illi periousion expres-serunt, nos invenimus SGOLLA (segullå), quod Symmachus exaireton, id est praecipuum velegregium, transtulit, licet in quodam loco peculiare interpretatus sit. Quando ergo petimusut peculiarem vel praecipuum nobis Deus tribuat panem, illum petimus qui dicit: Ego sumpanis vivus qui de caelo descendi (Joan. vi, 51). In Evangelio quod appellatur secundumHebraeos, pro supersubstantiali pane, reperi MAHAR (må˙år), quod dicitur crastinum; utsit sensus: Panem nostrum crastinum, id est, futurum, da nobis hodie. Possumus supersub-stantialem panem et aliter intelligere qui super omnes substantias sit, et universas superetcreaturas. Alii simpliciter putant, secundum apostoli sermonem dicentis (1Tim. vi, 8): Ha-bentes victum et vestitum, his contenti sumus, de praesenti tantum cibo sanctos curam age-re. Unde et in posterioribus sit praeceptum: Nolite cogitare de crastino» (GIROLAMO, Commen-tario al Vangelo di Matteo, PL 26, 43): «Il nostro pane “sovrasostanziale” donaci oggi (Mt 6,11).La nostra espressione supersubstantialem traduce il greco ™pioÚsion, termine che i LXXhanno molto spesso sostituito con perioÚsion. Noi abbiamo esaminato attentamente il te-sto ebraico. Ovunque dove si utilizza il termine perioÚsion, noi abbiamo riscontrato segullåche Simmaco ha tradotto con exaireton, che significa “speciale” o “eccellente”, anche se,comunque, in qualche passaggio può essere tradotto con “particolare”. Pertanto, quandonoi domandiamo a Dio che ci dia il nostro pane “particolare” o “speciale”, noi chiediamoColui che dice: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (Gv 6,51). Nel Vangelo detto “secon-do gli Ebrei”, al posto di pane “sovrasostanziale”, ho trovato må˙år, che significa “di doma-ni”, da cui il significato: “Il nostro pane di domani – cioè ‘futuro’ – donaci oggi”. Noi pos-siamo ancora offrire un altro senso a “pane sovrasostanziale”: al di sopra di tutte le sostanze,e che supera tutte le creature. Altri semplicemente pensano – secondo il discorso dell’Apo-stolo che dice: “Se abbiamo cibo e vestito, di ciò siamo contenti” (1Tm 6,8) – che i santi sisostengono con il cibo del giorno presente. Da qui e anche per il futuro la raccomandazio-ne: “Non preoccupatevi del domani” (Mt 6,34)». Altri testi di san Girolamo che riprendonola questione arricchendola sono: ID., Commentario alla Lettera a Tito 2,14, scritto nel 392(PL 26, 588-589); ID., Commentario al profeta Ezechiele 18,5-9, scritto nel 412 (PL 25, 175);ID., Dialogo contro i Pelagiani, scritto nel 415 (PL 23, 585). Nel Trattato al Libro dei Salmi,Sal 135, scritto tra il 401 e il 410, san Girolamo esplicita il riferimento al testo del Vangelo

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Le due soluzioni di Girolamo rappresentano, in sintesi, gli estremi deldibattito ancora oggi vivo, teso tra una visione, diremmo, “materiale e ter-rena” dell’alimento, espresso nella forma del “pane quotidiano”4 e una vi-sione che nasce da una matrice spirituale, un pane “sovrasostanziale” co-me traduce Girolamo, che sulla scorta della riflessione di Origene, mostratutta la sua potenzialità nell’andare oltre la mera materialità quotidianarivolgendosi ad un futuro escatologico, fino ad identificarlo con il paneeucaristico, il pane della mensa eterna5.

ebraico secondo Matteo che in altri luoghi denomina il Vangelo secondo gli Ebrei: «Panemnostrum supersubstantialem da nobis hodie, hoc est, qui est de tua substantia. In hebrai-co evangelio secundum Matthaeum ita habet: Panem nostrum crastinum da nobis hodie,hoc est, panem quem daturus es nobis in regno tuo, da nobis hodie» (CCL 78, 295): «“Il no-stro pane sovrasostanziale, donacelo oggi”, ovvero, che proviene dalla tua sostanza. NelVangelo ebraico secondo Matteo si trova: “Il nostro pane cràstino, donacelo oggi”, cioè: “ilpane che tu ci darai nel tuo Regno, donacelo oggi”». Per inciso va anche detto che l’inter-pretazione aperta “al domani”, “al futuro” è anche convalidata dalla traduzione copta di Mt6,11 (“il nostro pane, che sta per arrivare, donacelo oggi”) e di Lc 11,3 (“il nostro pane, chesta per arrivare, donacelo ogni giorno”).

4 In questa direzione ancor oggi si esprime la maggior parte dei commentatori e delletraduzioni in lingua moderna utilizzando sostanzialmente l’aggettivo “quotidiano” oppure“necessario”. Tra tutti il più determinato in tale direzione è P.A. Gramaglia: «Gesù pregavaaffinché Dio donasse il cibo dell’oggi per tirare avanti fino all’indomani: è probabilmentel’atteggiamento religioso del “domani si vedrà”, che è del tutto confacente con il commen-to matteano di Mt 6,34 (m¾ oân merimn»shte e„j t¾n aÜrion, ¹ g¦r aÜrion merimn»sei ˜autÁj)e con la prassi del “predicatore itinerante” da parte di Gesù stesso. [...] “Il nostro pane, checi sfama fino all’indomani” oppure “il nostro pane che ci permette di arrivare fino a doma-ni” o anche “il nostro pane, che ci è sufficiente fino a domani”. Tale traduzione, ben diver-sa da quella di “il nostro pane del domani” o “il nostro pane del futuro”, si adegua perfet-tamente al modo di vivere di Gesù durante la sua vita di predicatore itinerante» (P.A. GRA-MAGLIA, Il “Padre nostro”. II, cit., 908; 916). Ma anche J. Carmignac a conclusione della sualunga disamina propone una sua traduzione: «En définitive, on aboutit à proposer pour lessémitisants: “Notre pain jusqu’au lendemain, donne-nous jour par jour”, et pour les autreslecteurs: “Donne(z)-nous chaque jour notre manne jusqu’au lendemain”. Si l’on préféraitconserver le texte de Matthieu, sans le corriger par Luc, on déformerait légèrement la pen-sée, mais on obtiendrait une traduction moins lourde: “Donne(z)-nous aujourd’hui notremanne jusqu’à demain”, ou, à la rigueur: “notre manne pour ce jour”» (J. CARMIGNAC, Re-cherches sur le “Notre Père”, cit., 220-221). Anche in questo caso si tratta di richiedere unaporzione giornaliera, aggiungendovi solo l’apertura simbolica del termine “manna” che, nellinguaggio cristiano, evoca non semplicemente il “pane materiale”: con questa nota conclu-de J. Carmignac la sua analisi.

5 Il padre dell’interpretazione traslata sul “pane spirituale” è ORIGENE nel suo Libellus deoratione, composto negli anni 233-234 a commento del Padrenostro in stretta relazione conGv 6 (PG, XI, 505-509) e molti altri padri al suo seguito, tra cui Girolamo (cf J. CARMIGNAC,Recherches sur le “Notre Père”, cit., 144ss.). Tra i più recenti studi, in questa posizione cheavvalora la dimensione escatologica, va ricordato M. PHILONENKO, Il Padre nostro. Dalla pre-ghiera di Gesù alla preghiera dei discepoli, Einaudi, Torino 2004. Con tesi opposta a quelladi Gramaglia, Philonenko così conclude la sua analisi: «Come la domanda del pane non

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Esiste inoltre, oggi, presso gli studiosi, una convergenza condivisa at-torno alla derivazione etimologica dell’aggettivo ™pioÚsioj. Infatti, in vir-tù della testimonianza di Girolamo che fa corrispondere il termine grecoall’originario vocabolo ebraico (o aramaico) må˙år (me˙ar), cioè “doma-ni”6, l’aggettivo ™pioÚsioj viene posto, di conseguenza, in relazione etimo-logica con la forma verbale ™pišnai e assume il senso e il valore di “venien-te”, come denotazione qualificata al futuro7.

Soprattutto l’interpretazione spirituale ed escatologica ha fatto leva suquesta apertura evocata dalla testimonianza di Girolamo. La complessitàdelle questioni filologiche e le soluzioni proposte8 richiederebbero unostudio molto più dettagliato e particolareggiato, ma la scelta qui intrapresa

concerne il nutrimento quotidiano richiesto dal corpo, ma la manna, così il sabato, impli-citamente evocato, non è l’ultimo giorno di settimane che continuano a succedersi, ma l’ul-timo sabato, il Grande Sabato che conclude la storia del mondo. [...] Ne segue di necessitàche il mondo presente è tutto quanto vigilia di sabato e che noi dobbiamo domandare oggiil pane della fine dei tempi. [...] La quarta domanda del Padre nostro è escatologica. Ha perretroterra le speculazioni sulla manna che si sono sviluppate in ambiente giudaico nel pri-mo secolo della nostra era. È alla luce del targum palestinese che essa acquista tutto il suosenso e va dunque, a nostro giudizio, tradotta: Dacci oggi il nostro pane per domani!» (M.PHILONENKO, Il Padre nostro, cit., 89). Una visione di mezzo tra le due posizioni è rappresen-ta, ad esempio, da J. Jeremias: «L’orientamento escatologico di tutte le altre domande delPadre nostro favorisce l’idea che Gesù abbia inteso quella del pane come volta a ottenere ilpane del tempo salvifico, il pane della vita. Cadrebbe però in un grossolano errore chi vo-lesse credere che così la richiesta del pane sia spiritualizzata. Per Gesù pane terreno e panedi vita non sono opposti; infatti nell’ambito della basileia ogni realtà terrena viene santifi-cata. Il pane che egli spezzava quando chiamava alla sua mensa i pubblicani e i peccatori,il pane che porse ai sui discepoli nell’ultima cena, era pane terreno e parimenti pane dellavita. Per i discepoli ogni comunione conviviale con lui, e non solo l’ultima, aveva una riccarisonanza escatologica. [...] Così è intesa anche la domanda del “pane per domani”. [...] giàora, già qui, già oggi dacci il pane della vita in mezzo alla nostra povera vita» (J. JEREMIAS,Teologia del Nuovo Testamento. La predicazione di Gesù. I, Paideia, Brescia 19762, 230).

6 La corrispondenza terminologica tra l’aggettivo greco ™pioÚsioj e l’avverbio temporaleebraico må˙år in Girolamo è illustrata sopra alla nota 3. Per il valore semantico del terminenell’ebraico biblico cf G. ANDRÉ, «må˙år - mo˙óråt», in G.J. BOTTERWECK - H. RINGGREN - H.J.FABRY (edd.), Grande Lessico dell’Antico Testamento. IV, Paideia, Brescia 2004, 1102-1106.

7 L’espressione ¹ ˜pioàsa che spesso sottintende ¹ušra (“giorno”) o nÚx (“notte”) ricorre5 volte nel NT, negli Atti degli Apostoli (At 7,26; 16,11; 20,15.18; 23,11); ¹ ˜pioàsa a volte si-gnifica il giorno seguente, “domani”, a volte, se usato nella notte o allo spuntare del sole,significa il giorno che inizia, cioè “oggi” (cf W. FOERSTER, «™pioÚsioj», cit., 710-720)

8 Per un riassunto esaustivo delle possibilità interpretative dell’espressione in oggetto,rimandiamo all’ampio commento di Ulrich Luz al Vangelo secondo Matteo in cui l’autoreindividua cinque significati distinti in base alle diverse etimologie ipotizzate: 1. “il pane chesi unisce alla nostra sostanza o che va al di là di là di tutte le sostanze”; 2. “il pane necessa-rio all’esistenza”; 3. “il pane per il giorno di oggi/quotidiano”; 4. “il pane di domani”; 5. “ilpane del futuro, il pane del banchetto escatologico nel regno di Dio” (cf U. LUZ, Vangelo diMatteo. I. Introduzione. Commento ai capitoli 1-7, Paideia, Brescia 2006, 508-511).

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è quella di giungere all’esplicitazione di un’ipotesi di lavoro nella ricercadel senso preciso dell’espressione in oggetto.

Vogliamo sostenere in questa sede la plausibilità dell’informazione diGirolamo e insieme il quadro di riferimento ad essa sotteso che – ci pare –non sia stato ancora ben approfondito dagli approcci finora avanzati alnostro tema.

Occorre dunque anzitutto pensare il Padrenostro nella sua collocazio-ne testuale originaria. L’analisi condurrà a privilegiare la versione del Van-gelo secondo Matteo poiché in esso vanno ritrovate anzitutto le rispostefondamentali alle questioni poste; tutto questo ancor prima di domandarciquali furono le fonti, la teologia della comunità, i dati redazionali, l’ideo-logia di Q e dell’evangelista e, soprattutto, lo strato gesuano o la forma ipo-teticamente originaria attribuibile al Gesù storico9. Tali operazioni o pre-supposti esulano dal presente approccio. Piuttosto ricercheremo un’affi-nità con i procedimenti interpretativi posti alla genesi degli stessi testi sa-cri. Il tema può essere così espresso: nella prospettiva del Vangelo secon-do Matteo quale significato appare più coerente e cogente per interpreta-re l’espressione del Padrenostro che ci accingiamo ad analizzare?

Diciamo subito che uno dei punti di forza della linea interpretativa oggimaggioritaria che vede nella forma del “pane quotidiano” o “necessario”10

la risposta al problema interpretativo, sta nell’espressione di Gesù che ri-suona qualche versetto più in là, nello stesso discorso della montagna:«non preoccupatevi per il domani!» (Mt 6,25-34). Affermazione categori-ca che pare fornire così una visione anche storica del rabbì di Galilea cheinviterebbe i discepoli ad invocare Dio Padre affinché possa concedere“ogni giorno” il pane di cui abbiamo bisogno, senza volerne accumulare

9 In rappresentanza di chi dà massimo peso alle ipotetiche fonti piuttosto che alle re-dazioni finali dei Vangeli, a mo’ di esempio, riportiamo l’espressione conclusiva dell’intro-duzione all’opera monumentale di Gramaglia sul Padrenostro per mostrare quanto l’auto-re si affidi al verbo sicuro del metodo storico-critico in opposizione radicale a strumenta-lizzazioni teologiche, frutto dell’ideologia religiosa: «L’assunzione dell’analisi linguisticaquale strumento privilegiato per discernere quelle tradizioni presinottiche, le quali presen-tano garanzie di risalire fino al Gesù storico, dalle amplificazioni o anche dalle creazioniletterarie delle redazioni sinottiche metterà in luce l’inevitabile dialettica e la non comple-ta omogeneità tra il Gesù storico e il Gesù delle confessioni ecclesiali. Ma tutto ciò fa partedella problematica inerente alle fonti e pone comunque una seria domanda sulla immuni-tà ideologica, che a volte la fede cristiana pretende a giustificazione di alcune sue “inven-zioni narrative”, e soprattutto sul sistema generale di manipolazione esegetica di innume-revoli testi ebraici veterotestamentari in funzione della fede stessa in Gesù risorto» (cf P.A.GRAMAGLIA, Il “Padre nostro”. II, cit., 5).

10 Un testo classico che ha spianato la strada a tale comprensione, «il pane nostro, checi è necessario, dacci oggi», è H. SCHÜRMANN, Il Padre nostro alla luce della predicazione diGesù, Città Nuova, Roma 1967 (orig. fr. 1964), 93-108.

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per il domani, lui che si abbandonò alla provvidenza e non ebbe neppureun luogo dove posare il capo (Mt 8,20)11.

2. La discussione sulla traduzione

Se è pur vero che la disposizione sintattica soggetto, predicato verbalee complemento oggetto ben si presta ad una buona traduzione, occorreperò ricordare quanto la posizione dei sintagmi in tutte le lingue producenella semantica della frase e del discorso accentuazioni e valorizzazionidiverse12. Disporre i termini in questo modo «dacci oggi il nostro panequotidiano» significa porre l’accento dell’espressione sulla richiesta foca-lizzata dall’imperativo del verbo dare; se invece la traduzione è fatta cal-cando la disposizione dei sintagmi nel testo di Mt 6,11, l’accento non cadepiù sull’azione del «dare oggi», bensì sull’oggetto della domanda. Tra le seiespressioni o invocazioni del Padrenostro13 questa è l’unica che invece diporre il verbo in prima posizione, seguito da soggetto o complemento,

11 La posizione di chi intende la quarta domanda del Padrenostro in senso materiale con-trappone una progettualità umana rivolta al “domani” alla disponibilità accogliente dellaprovvidenza divina che si rivela nella quotidianità, giorno per giorno, contro ogni sorta dimero calcolo umano; quindi, ogni investimento sul “domani” si porrebbe in opposizione allapredicazione di Gesù (cf la tesi sostenuta e poi ampiamente citata e condivisa dalla mag-gioranza della proposta esegetica attuale: H. SCHÜRMANN, Il Padre nostro alla luce della pre-dicazione di Gesù, cit.). Questo modo di argomentare non tiene in debito conto, invece, dellasostanziale differenza che esiste tra la semantica del “domani” contenuta nella probabileversione originaria dell’aggettivo ™pioÚsioj del Padrenostro e l’uso dell’avverbio temporaleaÜrion che emerge in Mt 6,25-34. Anzi, come vedremo, l’ipotesi di far dipendere la retta com-prensione di ™pioÚsioj dal testo di Es 16 (operazione appositamente evitata o contrastatada chi difende la lettura materiale dell’invocazione del Padrenostro), farà risuonare ancorpiù coerenti le affermazioni di Gesù collocate all’inizio e nella conclusione della sezione inoggetto del discorso della montagna: «Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita,di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vitanon vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? [...] Cercate invece, anzitutto, il regnodi Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,25.33).

12 Cf H. SCHÜRMANN, Il Padre nostro alla luce della predicazione di Gesù, cit., 93.13 Non c’è accordo sull’individuazione del numero di invocazioni e domande contenute

nel Padrenostro, alcuni studiosi ne contano sei, altri sette. Tutto dipende dalla divisione omeno dell’ultima espressione: “non ci indurre in tentazione/ma liberaci dal male”. RolandMeynet, caposcuola della linea esegetica di “retorica biblica e semitica” in un suo articoloritiene che la struttura letteraria del testo di Mt imponga l’individuazione di sette afferma-zioni, con struttura concentrica sulla quarta: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Il risul-tato raggiunto dall’autore dimostra un tipico caso di come l’assolutizzazione di un metodo,forgiato su strutture di superficie e centrato – per dirla con P. Ricoeur – sulla “semantica dellaparola”, impedisca di cogliere le innovazioni di senso e le concatenazioni concettuali che sca-turiscono piuttosto da una “semantica della frase” o “del discorso”. Separare le due afferma-zioni per motivi stilistico-letterari significa recidere l’unità di senso dell’intera espressione(cf R. MEYNET, «La composition du Notre Père», in Studia Rhetorica 18 [2005] 158-191).

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colloca il complemento oggetto nell’incipit della frase, seguito dal verbo.La disposizione testuale, che pensiamo non casuale, conduce a puntarel’attenzione sull’importanza dell’oggetto: «il nostro pane, quello di doma-ni, donacelo oggi». Se l’affermare: «dacci oggi il nostro pane quotidiano»rende il complemento oggetto la cosa più naturale da chiedere, in quantoappartenente al sostentamento necessario e quotidiano, all’opposto, il qua-lificare il pane come «quello di domani», sottrae l’espressione dall’area del-la prevedibilità, provocando l’ascoltatore a ricercare un senso ulteriore. E,forse, tale espressione può essere compresa soltanto alla luce di cifre cul-turali, modi dire che vanno riletti entro codici semantici specifici. Perquesto motivo occorre domandarsi che significato potesse avere l’invoca-zione «il nostro pane, quello di domani...».

Da una parte, l’espressione in sé – come più autori hanno cercato dimostrare, risolvendo l’apparente assurdo logico – potrebbe rientrare nell’in-terpretazione consolidata di “quotidiano”, “necessario”, “per l’oggi”14; dal-l’altra, avvalorata anche dalla sua posizione nella frase, l’invocazione potreb-be invece suggerire l’apertura di senso ad un tipo di pane distinto dal co-mune pane quotidiano che normalmente ogni mensa prevede. La doman-da rivolta al Padre dei cieli riguarda il sostentamento tout court oppure unaqualità propria del tipo di sostentamento? Saremmo di fronte a due scelte,molto diverse tra loro, che tradizionalmente sono state codificate in “lettu-ra materiale o spirituale”, la prospettiva di un “pane terreno” oppure di un“pane celeste”. Ma l’approccio spirituale, già dalla patristica (sostenuto an-che da Filone Alessandrino, dai Targumin e dalla letteratura rabbinica), parefondato su procedimenti traslati, analogici o tipologici nel rimando euca-ristico e/o escatologico. È possibile, in sintesi, ipotizzare un quadro erme-neutico, rispettoso delle strutture ebraiche del senso, entro il quale riqua-lificare il significato dell’espressione «pane di domani»? Se ciò è possibilesi eviterebbe la tipica deriva allegorizzante che deduce un senso ulterioredel testo applicando procedimenti spesso estrinseci, difficilmente conse-guenti e, soprattutto, alieni dall’ermeneutica ebraica del testo biblico.

Il termine ¥rtoj nella cultura biblica, che traduce l’ebraico le˙em, noncorrisponde in tutto, come nelle lingue moderne, al prodotto cereale da pa-nificazione15 che comunemente chiamiamo “pane”; esso possiede una se-mantica più ampia16: da una parte, equivale genericamente a “cibo” o a “nu-

14 Vedi sopra alla nota 4. Cf anche per un bilancio relativo al substrato semitico del Pa-drenostro P. GRELOT, «La quadrième demande du ‘Pater’ et son arrière-plan sémitique», inNew Testament Studies 25 (1979) 299-314.

15 Nella Bibbia sono anzitutto il frumento e l’orzo e, più raramente, il farro e il miglio.16 Cf W. DOMMERSHAUSEN, «le˙em», in G.J. BOTTERWECK - H. RINGGREN - H.J. FABRY (edd.),

Grande Lessico dell’Antico Testamento. IV, Paideia, Brescia 2004, 783-794.

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trimento” evidenziandone la funzione, con collegamento diretto al temadella vita, dall’altra, proprio perché riguarda il tema vitale del nutrirsi, iltermine porta in sé anche la dimensione di necessità: cibarsi è necessarioper vivere! Il pane, per antonomasia, evoca simbolicamente, tra tutti i cibi,la sostanza necessaria per il nutrimento17. Ma, paradossalmente, ogni ciboalimentando la vita, accompagna alla morte; il cibo non permette di supe-rare la morte ma sostiene l’uomo lungo il cammino della vita. Parafrasan-do, potremmo risentire le parole di Gesù: «i vostri padri hanno mangiatola manna nel deserto e sono morti» (Gv 6,49). Quindi, l’idea sottesa di cuiil “pane” è la forma di alimento fondamentale che la esprime è quella delcibo che nutre e sostiene la vita anche se non sconfigge la morte.

Questa riflessione induce a chiederci se il termine greco utilizzato dalPadrenostro – ¥rtoj – vada inteso nel suo valore legato alla cosa, cioè al“pane”, oppure debba essere compreso quale simbolo della dimensione in-sita alla sua funzione: un cibo che nutre e dà la vita. Se questa secondaaccezione è ipotizzabile alla base del testo del Padrenostro vediamo sorgerela domanda euristica: emerge dalla Bibbia un nutrimento capace di ali-mentare la vita e tale da permettere ad essa di non venir meno? Esiste nel-l’ermeneutica biblica un cibo che porti in sé le caratteristiche di una real-tà che non si decompone e vive per sempre, atta a superare la corruzionedel tempo e che sappia contrastare e andare oltre il ciclo vita-morte chesegna ogni creatura dall’Eden in poi? E ancora: la quarta richiesta conte-nuta nella preghiera insegnata da Gesù si pone nell’ottica di un nutrimentoche, sostenendo la vita, accompagna alla morte, oppure nella prospettivadi un cibo che vince la corruzione e la morte? Tali questioni sono alla basedel posizionamento dell’espressione complessa del Padrenostro.

Se la risposta a queste domande è positiva, si apre la possibilità che l’in-tenzione testuale dei vangeli possa accogliere tale ipotesi di lavoro, se larisposta invece è negativa, nell’ambito del Padrenostro non vediamo spa-zio per una fondazione biblica di un senso diverso e traslato rispetto aquello naturale e più genericamente materiale del termine “pane”. Credia-mo che la risposta alle nostre domande risieda fondamentalmente18 neltesto di Es 16, il racconto che presenta, per la prima volta nel discorsobiblico, la realtà della “manna” e l’istituzione del riposo sabbatico.

17 Insieme con l’acqua, il pane è l’alimento principale dell’uomo orientale (Sir 29,21).18 L’avverbio “fondamentalmente” è per indicare il testo generatore attorno al quale e

dal quale prendono il via le distinte interpretazioni teologiche che la Scrittura in più puntifa emergere.

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3. La duplice natura della “manna”: la “manna quotidiana”, deisei giorni e la “manna di domani (sabato)”, del settimo giorno

Il testo di Es 16 inaugura le due forme di nutrimento nel tempo deldeserto, quella della sera, le quaglie (Es 16,13), e quella del mattino, lamanna (Es 16,31.33.35). La prima è chiamata “carne” (Es 16,8.12), la se-conda “pane” (Es 16,4.8.12.15.22.29.32). Pane e carne sono anche il bino-mio contenuto nella mormorazione iniziale degli Israeliti che provoca larisposta di Dio: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egit-to, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando panea sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire difame tutta questa moltitudine» (Es 16,3)19.

Va detto che l’attenzione del redattore del testo cade però nella sua quasitotalità solo su uno dei due alimenti, sul pane/nutrimento, evocato settevolte e codificato con un nome preciso di “manna” (Es 16,31.33.35), termineoriginato da un’espressione non comune nella lingua ebraica contenuta inEs 16,15a (mån hû’) e già interpretata dalla LXX come t… ™stin toàto (checos’è questo?) in base alla chiarificazione successiva del significato, coeren-te con la grammatica ebraica: ma-hû’ (Es 16,15b). Il testo di Es 16, pertan-to, elabora una teoria progressiva sulla “manna”, mentre delle quaglie of-fre solo gli elementi essenziali, senza misurarne il numero e la quantità20.

Attorno alla “manna” dunque si impone un’attenzione unica: è un paneche il Signore fa piovere dal cielo (Es 16,4); viene promesso un “pane a sa-zietà” come in Egitto (Es 16,3.8); ogni giorno si presenta la razione quoti-diana e il tutto è sottoposto alla prova della fedeltà al comando del Signo-re; per il sesto giorno è garantita una razione doppia (Es 16,4-5); la “man-na” si presenta al mattino coperta da uno strato di rugiada che prepara losvelamento di una cosa minuta e granulosa e provoca la domanda sulla

19 Il tema del cibo nel deserto, con quaglie e manna, compare oltre che in Es 16 anchein Nm 11,4-9 (manna) e Nm 11,31-35 (quaglie). In questo passo del libro dei Numeri si narradi un’ulteriore mormorazione del popolo stanco di mangiare sempre e solo “manna” e chie-de carne, nella nostalgia della varietà di cibi al tempo della schiavitù in Egitto.

20 Il testo di Nm 11,4-9.31-35 pare operare un passaggio da un cibo all’altro: dal rifiutodella “manna” al desiderio della carne. Le quaglie, analogamente alla “manna” in Es 16, sonoqui “quantificate”, calcolate nella loro abbondanza. Ma mentre in Es 16 la misurazione del-la “manna” viene prospettata come proveniente da Dio, fissata in un omer a testa al giorno,qui la questione delle quaglie appare come la rappresentazione dell’ingordigia del popolo.Infatti, ci fu una distesa infinita di quaglie al punto da richiedere una raccolta di oltre unagiornata, e chi ne raccolse poche ne prese 10 homer. Poiché ogni homer (=10 bat o efa) cor-risponde a 100 omer (cf D.J. WISEMAN - D.H. WHEATON, «Pesi e misure», in Grande Enciclo-pedia illustrata della Bibbia. III, Piemme, Casale Monferrato 1997, 87-88), significa che la rac-colta personale di quaglie in quel giorno fu di almeno 1000 volte superiore a quella dellamanna quotidiana. E l’ingordigia del popolo provocò la piaga inflitta dal Signore (Nm 11,33).

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sua identità (Es 16,13b-15); bisogna raccoglierne una quantità adeguataper cibarsi, ciascuno secondo la sua esigenza individuata con un omer atesta (Es 16,16-18); quindi il comando di non avanzarne per il mattinosuccessivo perché in caso di trasgressione del comandamento la “manna”non si sarebbe conservata, ma sarebbe stata rosa dai vermi (Es 16,19-20);il sesto giorno, il venerdì, vanno raccolte due razioni, due omer a testa, edè annunciata per la prima volta, in tutta la Scrittura, la realtà sacra del“sabato”, finora conosciuto solo come “settimo giorno” (Gen 2,1-4).

La struttura settimanale, la temporalità fondamentale della narrazionebiblica, scandisce due tipi di “manna”, come distingue due tipi di tempo-ralità: da una parte, quella dei sei giorni e, dall’altra, quella del tempo con-sacrato, del tempo santo, tempo di Dio, il sabato a cui corrispondono la“manna quotidiana” dei sei giorni e la “manna del sabato”. Il sabato è ungiorno anch’esso, ma non è un giorno come gli altri, è il giorno di Dio pereccellenza, così la “manna del sabato” è anch’essa “manna” ma non comequella degli altri sei giorni. “Sabato e manna” nel racconto di Es 16 appa-iono, da questo punto in avanti, come inscindibili nella relazione tra Dio eil suo popolo. Due tipologie di temporalità (provenienti da Gen 1,1-2,4),accanto a due qualità di “manna”: il “pane quotidiano” e il “pane del saba-to”. Tale pane, che porta lo stesso nome della “manna quotidiana” non sidecompone e non imputridisce il giorno dopo, perché è aperto ad un tem-po non definito. Infatti, anche nel racconto della Genesi, il redattore affer-ma a conclusione di ogni opera giornaliera di Dio: “e fu sera e fu mattina”,ma solo del settimo ne tace la chiusura ed esso rimane, nella trama delracconto, il giorno aperto senza una limitazione temporale (Gen 2,1-4).

Diversamente dalle quaglie, il pane piovuto dal cielo acquisisce la suadefinizione e identificazione dalla teoria della temporalità ebraica, forgiatasulla forma sabbatica. In sintesi, manna e sabato, inteso come settimana,procedono l’una accanto all’altro proprio nel dono originario della Legge (Es16,34), qui presentata per la prima volta nel cammino della Sacra Scrittura.

Questa duplice natura della “manna” – troppo poco sottolineata e accol-ta nella sua rilevanza dai commentatori – può divenire la pista utile per cer-care di comprendere, entro il linguaggio biblico, l’identificazione precisa del-l’aggettivo ™pioÚsioj. Infatti, il background ermeneutico di Es 16 pone l’inter-prete di fronte al dilemma se il pane di cui parla Gesù nel Padrenostro deb-ba essere considerato alla stregua del cibo dei sei giorni, che la legge di Dioimpone di non avanzarne e accumularne per il domani (come nel monito diGesù in Mt 6,34), oppure possa essere considerato indicativo del tipo di pane/manna, propria del sabato, quella che non viene meno, che non perisce e nonsi decompone. Entrambi i tipi di “manna” servono a cibarsi – occorre sotto-linearlo – ma la loro identità e la loro qualità sono sostanzialmente diverse.

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4. Il cammino del “pane del sabato”, al cospetto di YHWH,nell’arca dell’alleanza

In cosa consiste la sostanziale diversità tra i due tipi di “manna”, purnell’identità della denominazione?

Osservando con attenzione le dimensioni temporali del testo di Es 16emerge quanto la struttura sabbatica regga l’intero impianto del racconto21.Per ricostruire i collegamenti è necessario tenere quale griglia di lettura etabella di riferimento il calendario liturgico sacerdotale, comunemente det-to “solare”, documentato in particolar modo nel Libro dei Giubilei e nei te-sti di Qumran22 ma presupposto dalla redazione finale di Gen-2Re che of-fre il quadro interpretativo di un concetto di storicità liturgicamente con-figurato23. Da esso scaturisce la seguente scansione cronologica: il popologiunge al deserto di Sin, tra Elim e il Sinai, il 15 del secondo mese (Es 16,1),che secondo la cronologia biblica ab initio mundi del testo ebraico24 corri-

21 Cf B.J. MALINA, The Palestinian Manna Tradition. The Manna Tradition in the Palesti-nian Targums and Its Relationship to the New Testament Writings, Brill, Leiden 1968, 18-20.

22 Cf A. JAUBERT, «Le calendrier des Jubilés et de la secte de Qumrân. Ses origines bibli-ques», in Vetus Testamentum 3 (1953) 250-264; J. VAN GOUDOEVER, Biblical Calendars, E.J.Brill, Leiden 1959; M.D. HERR, «The Calendar», in S. SAFRAI - M. STERN - D. FLUSSER (edd.),The Jewish People in the First Century. Historical Geographical, Political History, Social,Cultural and Religious Life and Institutions. II, Van Gorcum & Comp. B.V., Assen 1976, 834-864; C. MARTONE, «Un calendario proveniente da Qumran recentemente pubblicato», inHenoch 16 (1994) 49-76; ID., «Cronologie bibliche e tradizioni testuali», in Annali di scien-ze religiose 6 (2001) 167-190; G. BORGONOVO, «Significato numerico delle cronologie bibli-che e rilevanza delle varianti testuali (TM - LXX - SAM)», in G.L. PRATO (ed.), “Un tempoper nascere e un tempo per morire”. Cronologie normative e razionalità della storia nell’an-tico Israele, EDB, Bologna 1997, 139-170; G. BRIN, The Concept of Time in the Bible and theDead Sea Scrolls, Brill, Leiden - New York - Köln; Editorial Complutense, Madrid 2001; P.SACCHI, «I calendari ebraici», in Humanitas 58 (2003) II, 250-269; P. TAVARDON, Le disque deQumrân, Gabalda, Paris 2010. A Qumran sono stati ritrovati nella quarta grotta molte se-zioni frammentarie dei “Canti dell’olocausto del sabato”: invocazioni da fare pubblicamentein ogni sabato del mese e pare ve ne fossero tredici in tutto a motivo dei tredici sabati deitre mesi che componevano i quattro trimestri del calendario sacerdotale dei sabati; è pro-babile che la successione sabbatica imiti quella tracciata dal racconto esodico del popolod’Israele. Infatti, nel Fr. 20 II-21-22 per il dodicesimo sabato (che cadeva il 21 del III mesedell’anno) abbiamo una descrizione analoga alla visione iniziale di Ez 1 ma, a ben vedere,potrebbe riferirsi invece all’alleanza al Sinai (Es 24) accompagnata dalla teofania, simile aquella di Ezechiele, in Es 24,10-11. Infatti l’evento è fissato dal testo biblico tra il mercole-dì 18-III-2670 (Es 24,4ss.) e il mercoledì 25-III-2670 (Es 24,16) nella manifestazione della“Gloria di YHWH” (Cf F. GARCÍA MARTÍNEZ [ed.], Testi di Qumran, Paideia, Brescia 1996, 658).

23 Cf S. BARBAGLIA, «Tempo e storia», in R. PENNA - G. PEREGO - G. RAVASI (ed.), Temi teo-logici della Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 1363-1371.

24 La temporalità presente nelle tradizioni del testo ebraico, della LXX e del Pentateu-co samaritano differiscono tra loro con diverse teorie ad esse sottese, ancora troppo pocostudiate. Il nostro contributo è collocato entro il testo ebraico.

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sponderebbe al giorno 15-II-2670; nel calendario sacerdotale dei sabati essoè un sesto giorno della settimana, cioè un venerdì. In Es 16,6-7 si affermache alla sera di quel sesto giorno (entrando nel sabato) gli Israeliti avreb-bero riconosciuto che il Signore li aveva fatti uscire dalla terra d’Egitto e ilgiorno dopo avrebbero visto la “Gloria del Signore”. In Es 16,10 Aronneesegue l’ordine comunicatogli dal fratello Mosè di far avvicinare il popoloalla presenza del Signore e mentre Aronne parlò alla comunità il popolovide appunto la “Gloria del Signore” nella nube. Pertanto la rivelazione del-la “Gloria del Signore” – espressione tipica di matrice sacerdotale e legataalla manifestazione di YHWH nel suo Tempio – si presentò per la primavolta in assoluto, nello sviluppo narrativo della Scrittura ebraica25, in quelsettimo giorno, sabato 16-II-2670. In Es 16,11-12 viene annunciato che altramonto di quel giorno di sabato il popolo avrebbe ricevuto da mangiarele quaglie e, il mattino del giorno dopo, pane a sazietà. E così avvenne. Allasera di quel primo sabato furono donate le quaglie, mentre al mattino delprimo giorno della settimana fu dato pane a sazietà (domenica 17-II-2670).In Es 16,22-23 il racconto si sposta ad un nuovo “sesto giorno”, venerdì 22-II-2670, una settimana dopo l’arrivo del popolo al deserto di Sin; in questadata, per la prima volta, il popolo al mattino raccoglie due omer di “man-na”. E, scomparso nel racconto ogni riferimento alle quaglie26, il passag-

25 Cf le utili annotazioni in M. WEINFELD, «kåbôd», in G.J. BOTTERWECK - H. RINGGREN -H.J. FABRY (edd.), Grande Lessico dell’Antico Testamento. IV, Paideia, Brescia 2004, 186-204.

26 Il raffronto con Nm 11,4ss. e 31ss. in cui il popolo nuovamente mormora perché è di-sgustato dal mangiare sempre e solo “manna” e chiede la carne, appare anomalo entro unalettura cursiva della Torah che in Es 16,8.11-13 già aveva presentato il dono della carne conle quaglie. Si sa che l’esegesi moderna ha cercato di risolvere il problema attraverso la teoriadelle fonti J, D e P, cogliendo accostamenti indebiti di tradizioni distinte, con doppioni e con-traddizioni, ecc... L’approccio qui utilizzato invece ritiene che ciò che per il lettore modernoappare contradditorio non lo era necessariamente per i redattori del testo e i lettori antichi.Lo stesso Martin Noth, che applicava al testo biblico la teoria delle fonti, nel suo commenta-rio al libro dell’Esodo dice riguardo a quest’aspetto: «La promessa divina si adempie. Appa-iono (all’orizzonte) le quaglie e “coprono” evidentemente in grande quantità l’accampamen-to, così che Israele ha ora carne in abbondanza. Delle quaglie non si fa più parola; nulla fapensare se l’arrivo delle quaglie sia stato un avvenimento unico o se si sia ripetuto tutte le sere(cors. nostro). Invece tanto più ampiamente si continua a parlare della manna» (M. NOTH,Esodo, Paideia, Brescia 1977, 166). Secondo questo modo di ragionare, stabilendo un rap-porto tra Es 16 e Nm 11, si deve dedurre che la “manna” si è sempre ripresentata al mattinodei sei giorni della settimana, mentre le quaglie solo quella sera di sabato 16-II-2670. E, inbase al calcolo fatto sul calendario sacerdotale dei sabati, l’episodio della mormorazione diNm 11 è temporalmente collocato in virtù dell’indicazione cronologica del testo che lo pre-cede, Nm 10,33: «Così partirono dal monte del Signore e fecero tre giornate di cammino; l’ar-ca dell’alleanza del Signore li precedeva durante le tre giornate di cammino, per cercare loroun luogo di sosta». Già A. Jaubert (cf A. JAUBERT, «Le calendrier des Jubilés et de la secte deQumrân. Ses origines bibliques», cit.) annotava che l’arca dell’alleanza che guidava il popo-

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gio tra il sesto e il settimo giorno (la logica del tempo sacro della settima-na liturgica ebraica) ruota tutto attorno alla deuterosi della “manna”, una“manna doppia”. La “manna” si presenta come dono di Dio che va lavora-to: «Ciò che avete da cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo;quanto avanza tenetelo in serbo fino a domani mattina» (Es 16,23)27. In Es16,24-25 ritroviamo l’azione di custodire la “manna” fino al mattino dopo;essa non imputridisce e i vermi non la consumano; la “manna del sabato”non si presenta al mattino del suo giorno, ma il giorno prima, di venerdì;e dal venerdì occorre custodirla. La differenza è netta rispetto alla “man-na” degli altri giorni, il “pane del sabato” non è donato di sabato ma di ve-nerdì, va mangiato di sabato ma preparato e raccolto il giorno prima. Talestruttura si pone come un unicum in tutta la Scrittura, un cibo che, perdefinizione, è dato oggi per domani, a motivo del fatto che domani non sitroverebbe il “pane quotidiano”.

L’espressione da tempo individuata che fonda una delle interpretazio-ni del testo in oggetto è il passaggio peculiare di Es 16,23: šabbå®ôn šabba®-qøƒeš layhwh må˙år («domani è giorno di riposo assoluto: un sabato san-to per il Signore»). La ricorrenza dell’avverbio temporale må˙år in questopasso – termine che Girolamo riteneva fosse l’originale ebraico o aramai-co dell’aggettivo ™pioÚsioj nel testo del Padrenostro – offre un ulteriore ele-mento di riflessione. Occorre infatti pensare alla relazione che si stabili-sce tra l’avverbio ebraico må˙år, tradotto dalla LXX con il corrispondenteavverbio greco ¥rion, e l’aggettivo greco ™pioÚsioj. Se tra i due insiemi se-mantici ebraico e greco è possibile ipotizzare una relazione diretta, tro-viamo nella versione greca del Padrenostro la volontà esplicita di forgiareun aggettivo greco ad hoc a partire da un avverbio temporale ebraico; ineffetti, se non ci è sfuggito qualcosa, non esiste un termine, nella formagrammaticale dell’aggettivo che esprima l’essenza del “domani”, né in gre-

lo cercava un luogo di sosta perché doveva fermarsi per il “riposo sabbatico”. Infatti, in Nm10,11 si afferma che il popolo partì dal Sinai il secondo anno, il secondo mese, il venti delmese, cioè il mercoledì 20-II-2671 e il segno della partenza fu che “la nube si alzò” (Nm 10,11).Tre giorni di cammino e l’arca dell’alleanza si riposa, cioè si ferma la sera del venerdì, sestogiorno, il 22-II-2671, esattamente a un anno di distanza da quel venerdì 22-II-2670 in cui perla prima volta il popolo fu destinatario della doppia razione della “manna”. Il modo per ce-lebrare l’anniversario del dono della “manna del sabato” che non si corrompe è, da parte delpopolo, quello di mormorare nuovamente, a un anno di distanza, per ritornare alla carne,alle quaglie, che avevano raccolto la prima e l’ultima volta, l’anno precedente, la sera di sa-bato 16-II-2670, giorno di contemplazione della “Gloria di YHWH” nella nube (Es 16,10).

27 La tradizione rabbinica discute se la quantità per il sabato fu cotta di venerdì oppu-re fu lasciata al naturale, in quanto, da quel momento, di sabato occorreva rispettare il co-mandamento di non cuocere cibi (cf J. BENNO, The Second Book of the Bible. Exodus, KTAVPublishing House, New York 1992, 458-459); invece, il Targûm Jerushalmi I a Es 16,23 spe-cifica che il cibo del sabato deve essere cotto e bollito il giorno prima, oggi per domani.

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co né in ebraico. Le modalità previste e presenti anche nella letteraturadella LXX e nel NT altro non sono che forme di appoggio al sostantivo¹mšra28. Girolamo traduce il termine ebraico con l’aggettivo che la lingualatina aveva coniato, “crastinum”, e lo estende, interpretandolo teologica-mente, nel senso di “futurum”29. Anche la lingua italiana prevede l’aggetti-vo “cràstino”, importato dal latino (come, analogamente, l’aggettivo “odier-no”), anche se desueto. In conclusione, se lo hapax legomenon ™pioÚsioj èuna creazione della redazione del testo evangelico dalla radice verbaleep…šnai nella sua forma consueta ¹ ™rioàsa (¹mera), e se il contesto inter-pretativo di tale affermazione è prevalentemente quello di Es 16, allora ilsenso dell’espressione potrebbe corrispondere all’aggettivo “sabbatico”,secondo il significato codificato nel rapporto tra manna e sabato: «il no-stro pane, quello sabbatico, donacelo oggi».

Identificata la qualità particolare della “manna del sabato”, Es 16,32 faun passo ulteriore: Mosè riferisce che il Signore ha ordinato di conservar-ne un omer per i discendenti degli Israeliti perché vedano e quindi ricordi-no quel pane mangiato nel deserto quando il Signore li aveva fatti usciredall’Egitto. Ordine particolarissimo, in quanto prevede una conservazionedi quella manna nel tempo, tanto quanto le loro generazioni future. Dal con-testo si deduce che l’omer di “manna” viene preso dalla “manna del saba-to”, l’unica capace di perdurare per tutte le generazioni. Da qui apprendia-mo che la temporalità attribuita alla “manna del sabato” supera quella didue giorni. Essa andava consumata di sabato, ma questa non si corrompe-va e, lo ribadiamo, in ciò marca la diversità rispetto agli altri sei giorni. Mosèordinò dunque ad Aronne, il futuro sommo sacerdote, di prendere un’urna,porvi all’interno un omer di manna, cioè la razione di una persona per il gior-no del sabato e di collocarla al cospetto del Signore affinché si conservasseper tutti i discendenti della casa d’Israele. Il testo precisa che Aronne ese-guì il comando e pose la “manna” di fronte alla “Testimonianza” (Es 16,33-34), ovvero alle due tavole della Legge, incise con il dito di Dio e collocatenell’arca dell’alleanza (Es 25,16; 40,20). Con quest’annotazione il raccontostabilisce che la manna fu mangiata e consumata per quarant’anni nel de-serto dagli Israeliti – quella dei sei giorni e quella del sabato, quella che de-periva e quella che non deperiva – ma ne fu conservato, in un’urna, un omerdi “manna del sabato” per tutte le generazioni. Un insieme di anticipazio-ni, di prolessi narrative o anacronismi raramente così numerosi in tutta laScrittura, segnale chiaro di evidente interesse teologico-redazionale30!

28 Vedi sopra alla nota 7.29 Vedi sopra alla nota 3.30 Rispetto a questo fenomeno occorre ricordare quanto scrive B. Childs: «Il vaso di man-

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Le parole utilizzate dal testo biblico per individuare il posizionamentodell’urna di “manna”, lipnê hå ‘Ÿƒu® (“di fronte alla Testimonianza”) ricor-rono in tutta la Bibbia ebraica solo quattro volte, in tre episodi della Torah:31

nell’episodio del dono della “manna” (Es 16,34), nella preparazione dell’in-censo per l’altare (Es 30,36) e nel racconto del “bastone fiorito” di Aronne(Nm 17,19.25). Soltanto nei due episodi, quello della “manna” e del “bastonefiorito” di Aronne il testo biblico precisa che entrambi gli oggetti sarebbe-ro dovuti restare alla presenza delle Tavole della Testimonianza lemišmåret,espressione che la LXX traduce con e…j diat»rhsin (“per la conservazione”),affinché “manna” e “bastone fiorito” venissero custoditi per tutte le gene-razioni future (Es 16,34). Tale peculiarità testuale non poteva sfuggire a chiaveva un controllo mnemonico su tutta la Torah, sia nella sua oralità quantonella sua forma scritta; e questo fenomeno, riscontrabile testualmente, èprobabilmente alla base anche del misterioso testo del capitolo 9 della Let-tera agli Ebrei. Infatti, in quel passo si afferma nella descrizione del Santodei Santi: «Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo deiSanti, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricopertad’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la vergadi Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza» (Eb 9,3-4). Contrariamenteall’idea che nasce da una prima lettura della Scrittura che soltanto le Ta-vole della Legge erano custodite entro l’arca dell’alleanza (cf Es 25,16.21;40,20; 1Re 8,9; 2Cr 5,10)32, la Lettera agli Ebrei sembra invece recepire lapeculiarità testuale qui riportata e afferma con chiarezza la presenza nel-

na doveva essere posto “davanti a Yahweh”, “davanti alla Testimonianza” (v. 34). I commen-tatori (cfr. Rashi) hanno notato da tempo l’anacronismo in quanto l’arca non era ancora sta-ta costruita. Vatablus (Critici Sacri, ad loc.) riflette l’interpretazione tradizionale “precritica”quando osserva: “Alla fine del capitolo ogni cosa viene detta come anticipazione, come se iltempio e il tabernacolo fossero già stati costruiti”. Gli studiosi della scuola storico-critica spes-so hanno liquidato troppo in fretta il riferimento all’arca come una svista. Ma simili “sviste”sono semplicemente la caratteristica di un’intenzione precisa da parte dell’autore, le cui in-congruenze cronologiche manifestano chiari intenti teologici. È molto probabile che anchein questo caso ci sia un interesse teologico che spinse l’autore a non tenere conto della suc-cessione cronologica. Un vaso di manna, che è il segno della benevolenza di Dio nell’offriresostentamento al popolo, viene conservato accanto alle tavole della legge» (B.S. CHILDS, Il li-bro dell’Esodo. Commentario critico-teologico, Piemme, Casale Monferrato 1995, 302-303).

31 Altra cosa è l’espressione comune lipnê yhwh “davanti a YHWH”. Essa ricorre soven-te nel Pentateuco, nei Libri storici, nei Libri profetici e nei Salmi per un totale di 241 oc-correnze nel testo ebraico e due volte in Es 16 (vv. 9 e 33). Questa formulazione sposta l’at-tenzione dal testimone della presenza, cioè le tavole della Legge, alla stessa persona diYHWH, per definizione, invisibile.

32 «Ci si può domandare se la conservazione di una prova della manna non sia una puracostruzione o se magari nel tempio postesilico, che P (ndr Documento sacerdotale) avevadavanti agli occhi, fosse effettivamente mostrata un’“urna” piena di manna in memoria delsoggiorno d’Israele nel deserto» (M. NOTH, Esodo, cit., 169-170).

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l’arca dell’alleanza dei tre oggetti: la “manna” (Es 16,34) e il “bastone fiori-to” di Aronne (Nm 17,25) alla presenza della “Testimonianza”, le “Tavoledella Legge”. La Lettera agli Ebrei sottolinea inoltre che nel Santo dei Santivi erano non uno ma due arredi del Santuario: l’altare d’oro dell’incenso el’arca dell’alleanza. Anche tale annotazione molto particolare trova la suaplausibilità nel passo di Es 40,5 in cui ricorre, unica volta in tutta la Scrit-tura, l’espressione lipnê ’árôn hå ‘Ÿƒu® (LXX: ™nant…on tÁj kibwtoà) “davantiall’arca della Testimonianza”; ciò è detto, tra tutti gli arredi del Tempio, pro-prio soltanto della disposizione dell’altare dell’incenso rispetto all’Arca dellaTestimonianza e l’incenso dell’altare era quello presentato in Es 30,36.

Non è qui il contesto per approfondire gli sviluppi di matrice protolo-gica ed escatologica che, in special modo, la riflessione targumica, filonia-na e rabbinica hanno prodotto attorno alla “manna”33, prospettiva non di-stante dalla speculazione dei Padri della Chiesa orientale ed occidentaleche all’interno della tradizione cristiana hanno voluto riconoscervi i signi-ficati spirituali, eucaristici ed escatologici in virtù delle testimonianzepaoline e giovannee34.

Nostro scopo è piuttosto quello di andare alla ricerca della radice delconflitto interpretativo attorno all’espressione del Padrenostro, oggettodella presente analisi. La coesistenza delle due linee interpretative, quellapiù legata all’aspetto materiale e quella di profilo spirituale, è data infattidalla coscienza che entrambi le dinamiche siano compresenti nella sto-ria dell’interpretazione della figura della “manna”, dalla tradizione bibli-ca, alla tradizione targumica, patristica e rabbinica. In base alla ricercacondotta, ci risulta stranamente assente una riflessione specifica sulla dif-

33 Per una valutazione molto favorevole del contributo dei Targumin alla comprensio-ne del testo del Padrenostro e, più complessivamente, del pensiero neotestamentario cf B.J.MALINA, The Palestinian Manna Tradition, cit.; M. PHILONENKO, Il Padre nostro, cit.; ID., «Laquatrième demande du “Notre Père” et le Targoum Palestinien», in Revue d’histoire et dephilosophie religieuses 79 (1999) II, 173-185. Chi ritiene che sia fuorviante utilizzare il Tar-gum, la letteratura rabbinica e patristica per istituire una teoria sulla “manna” e conseguen-temente avvalorare una prospettiva spirituale o traslata dell’affermazione del Padrenostroè P.A. Gramaglia: «Nei testi veterotestamentari classici, come del resto nei testi di Qumran,non esiste nessuna mitizzazione messianica della manna e nessuna sua spiritualizzazioneescatologica. Saranno il giudaismo extrabiblico e tardivo, compreso parzialmente quello delLibro della Sapienza, e la letteratura neotestamentaria, con la sua lettura utilitaristica deitesti biblici a servizio di una radicale precomprensione cristologica, che predomina sia sulsenso letterale del testo sia sulla contemplazione dell’azione di Dio sul popolo ebraico daparte delle redazione deuteronomistiche, a creare o a ratificare nuove leggende e ad aprirele porte alla allegorizzazione dei testi deuteronomistici per nascondere la loro portata diegemonia militare e politica» (cf P.A. GRAMAGLIA, Il “Padre nostro”, II, cit., 942-943).

34 Un’ampia rassegna è offerta da: J. CARMIGNAC, Recherches sur le “Notre Père”, cit., 122-128; 144-163.

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ferenza sostanziale dei due tipi di “manna” nel testo chiave di Es 16, comeabbiamo diffusamente sostenuto in questa sede. Riteniamo, infatti, che lamancata individuazione della “differenza sostanziale” tra i due modelli di“manna”, biblicamente palesata, sia alla radice dell’imbarazzo ermeneu-tico che segna la distanza antitetica tra le due letture fondamentali delpasso del Padrenostro. Anche questi aspetti, corroborati dall’origine etimo-logica dell’aggettivo ™pioÚsioj, conducono ad appoggiare un’idea di paneche abbia a che fare con la “manna del sabato”, in luogo di un mero rife-rimento al cibo quotidiano, che, tra l’altro, si presenterebbe come unaspecificazione pressoché pleonastica sia nella tradizione matteana (“dac-ci oggi”) quanto in quella lucana (“dacci ogni giorno”)35.

5. La tavola dei pani dell’offerta e la continuitàdel «pane del sabato»

Mentre la tradizione della “manna nascosta”36 all’interno dell’arca del-l’alleanza pare poco conosciuta ma esplicitamente riportata dalla Letteraagli Ebrei, l’istituzione della Tavola dei pani dell’offerta da conservarsi da-vanti all’arca dell’alleanza è invece molto ben attestata37. Accanto ai branidi Es 25,23-30 e 37,10-16 occorre riferirsi in particolare a Lev 24,5-9. Inquesto passo si stabilisce di cuocere dodici focacce e ciascuna di queste,il testo precisa, “sarà di due decimi (di efa)”. Ora, è curioso il fatto che altermine del racconto della manna in Es 16, l’ultima annotazione precisa:«L’omer è la decima parte di un efa» (Es 16,36). Pertanto ogni pane sullatavola dell’offerta dovrà essere di due omer! Si tratta della stessa misura

35 L’ipotesi qui sostenuta vuole infatti vedere nell’aggettivo ™pioÚsioj un valore aggiun-to all’espressione della quarta domanda e non semplicemente un ampliamento quasi pleo-nastico rispetto ai restanti termini dell’invocazione. Se l’aggettivo può essere compreso indiretto rapporto ermeneutico con il tipo di “manna del sabato”, offerta di venerdì, alloral’affermazione assume un valore quasi criptato, tipico degli insegnamenti che Gesù impar-tiva ai suoi, prendendoli da parte e istituendo una relazione di tipo esoterico con loro. Laredazione dei testi evangelici molto risente di tali operazioni scribali (cf J. JEREMIAS, Geru-salemme al tempo di Gesù. Ricerche di storia economica e sociale per il periodo neotesta-mentario, Napoli, Dehoniane 1989, 371-372).

36 L’espressione è catturata da Ap 2,17 che viene interpretata o in relazione al Targumdello Pseudo Gionata (TJ I) nella direzione di un nascondimento protologico, collocatoancor prima della creazione, nei cieli o, come altri credono, nell’operazione di nascondi-mento che Geremia operò trasportando la tenda, l’arca (contenente la manna) e l’altare deiprofumi da Gerusalemme al monte (monte Nebo) dove Dio aveva mostrato a Mosè l’eredi-tà (2Mac 2,1-11); oppure – come noi crediamo – la manna è “nascosta”, perché è collocatanell’arca dell’alleanza, come sostiene la Lettera agli Ebrei (9,4).

37 Per una presentazione relativa all’Antico Testamento e alla normativa della Mishnahcf W. DOMMERSHAUSEN, «le˙em», cit., 790-791.

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che Es 16 stabilisce per la razione doppia della manna, da raccogliersi alsesto giorno38. I dodici «pani della presenza»39 indicavano le dodici tribùdel popolo d’Israele40 che dovevano stare sempre alla presenza del Signo-re. La forza simbolica dello stare “sempre” è dato sia dal giorno di sabatoche rimanda alle dimensioni eterne (Lev 24,8.9: «un patto perenne» e «unalegge perenne») sia dall’affermazione di Lev 24,8: «Di sabato in sabato di-sporranno (i pani) davanti al Signore, sempre (lipnê yhwh tåmîƒ)»41.

W. Foerster42 ricorda che Sergius Malea a Gerusalemme nel 1773 ave-va redatto, a partire da tre codici antichi, una retroversione del testo di2Mac 1,8, dall’armeno in greco43 utilizzando l’aggettivo ™pioÚsioj in rela-zione ai pani della presenza nel contesto delle lotte maccabaiche, in unpasso che racconta la riconquista del culto nel Tempio, riferendosi appun-to ai sacrifici animali, vegetali, alle lampade e alla tavola dei pani di pre-posizione; e sui pani, il testo dei tre Codices Sergii afferma: kai proeq»kamen

38 L’omer (‘ømer) come unità di misura (D.J. WISEMAN - D.H. WHEATON, «Pesi e misure»,cit., 87-88) compare solo e unicamente in tutta la Bibbia ebraica nel capitolo della “man-na” di Es 16 (Es 16,16.18.22.32.33.36). Lo stesso termine assume un senso diverso – macuriosamente significativo – negli altri passi in cui è attestato (Lev 23,10.11.12.15; Dt 24,19;Gb 24,10): esso viene inteso anzitutto come un “covone di grano d’orzo” (‘ømer) da agitarsiliturgicamente, nella “festa dell’agitazione del covone”, in occasione delle primizie dellaprima raccolta del grano d’orzo e collegato con la festa di Pasqua e di Pentecoste (Lev 23,9-14). Pertanto l’omer ha a che fare con il “primo pane azzimo”, dopo gli azzimi della Pasqua(che cuocevano dalla scorta del raccolto dell’anno precedente); ma, nel contempo collegaanche il pane azzimo di Pasqua con l’offerta di pane lievitato a Pentecoste. Infatti, dalla fe-sta dell’agitazione del covone, si contano sette settimane e si giunge a Pentecoste quandosi procurano due pani per l’offerta, con rito di agitazione e devono essere di due decimi diefa, cioè due omer (Lev 24,15ss.), la stessa quantità della “manna del sesto giorno”! (cf J.BENNO, The Second Book of the Bible, cit., 474-475). Ma il termine “covone” riguarda anchela spigolatura: il testo del Deuteronomio infatti impone a chi fa la mietitura di non tornarea pulire tutto il campo ma di lasciare il “covone” dimenticato per il forestiero, l’orfano e lavedova e aggiunge: «ti ricorderai che sei stato schiavo nel paese d’Egitto: perciò ti coman-do di fare questa cosa» (Dt 24,22). Possiamo dire che nel peso, un omer di manna a testa, iltesto ebraico di Es 16 evoca al lettore l’idea di “un covone a testa” di grano con i significatiannessi degli azzimi (Pasqua), del pane lievitato (Pentecoste) e dell’attenzione al fratellopovero (spigolatura). La “manna” che non è un cereale per la panificazione, stabilisce cosìla sua relazione diretta con l’orzo e il frumento, attraverso la “parola-gancio” omer, che si-gnifica sia un decimo dell’efa, come porzione giornaliera di ogni israelita, sia un “covone”di grano, secondo l’utilizzo di alcuni testi biblici legati alla festa dell’agitazione del covone,nella tensione tra pane azzimo di Pasqua e pane lievitato di Pentecoste.

39 Perché collocati alla presenza del Signore, di fronte al Santo dei Santi.40 Il Targum dello Pseudo Gionata in Lev 24,5 amplia così: «dodici focacce, in relazione

alle dodici tribù».41 Giuseppe Flavio ci informa sul fatto che i dodici pani fossero azzimi (GIUSEPPE FLA-

VIO, Antiquitates Judaicae 3,142).42 W. FOERSTER, «™pioÚsioj», cit., 710, nota 4.43 Purtroppo i tre codici originali in armeno sono andati dispersi.

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toÝj ¥rtouj ™pious…ouj tù kur…J («e abbiamo presentato i pani della conti-nuità al Signore»). L’espressione «pani della continuità»44 può essere cosìintesa se si ipotizza che l’autore abbia immaginato una relazione tra l’ag-gettivo attestato dalla tradizione biblica solo nel Padrenostro e le norma-tive relative ai pani della presenza. Infatti sia in Lev 24,8 ma soprattuttoin Nm 4,7 compare l’espressione le˙em hattåmîƒ che può essere tradottacon «pani della continuità», cioè i dodici pani che stanno sempre (tåmîƒ)alla presenza del Signore45. E dunque appare probabile che l’ampliamen-to armeno del testo di 2Mac 1,8 si riferisse proprio alla dimensione dellapresenza costante dei pani di preposizione. Indipendentemente dal con-tatto terminologico con l’aggettivo ™pioÚsioj, peraltro improbabile vista laretroversione dall’armeno, tale passo mette in evidenza la dimensione tem-porale eterna, applicata ai pani nel giorno di sabato, di fronte al Santo deiSanti. Questo aspetto ricorda il connubio “manna e sabato” originaria-mente istituito dal testo di Es 16, con i valori ad esso connessi. Per questimotivi, riteniamo che con la cessazione della manna per gli Israeliti, unavolta entrati nella Terra promessa, la presenza di un pane azzimo, fruttodei prodotti della terra, sostituisse da una parte la manna del deserto, manel contempo ricordasse che anche i frutti del suolo sono dono di Dio: «Lamanna cessò il giorno dopo, come essi ebbero mangiato i prodotti del suo-lo e non ci fu più manna per gli Israeliti» (Gs 5,12). Terminata la “mannaquotidiana”, di questa resta solo la “manna” conservata nel vaso d’oro46,tratta dalla “manna del sabato”, destinata a durare per sempre, nell’arcadell’alleanza. E ora, nella Terra promessa, dai frutti del suolo, vengonocotti pani azzimi, come quelli della Pasqua, come quelli del primo “covo-ne agitato”47 affinché diventino il «pane della continuità» che viene rinno-vato ogni sabato, rappresentando l’immagine delle dodici tribù del popo-lo d’Israele di fronte al Signore, sempre48.

“Vaso di manna”, nell’arca dell’alleanza e “pane della continuità” di fron-te al Santo dei Santi, nelle rispettive dinamiche di significato, sono funzio-nali a mantenere viva l’alleanza tra Dio che nutre e sostiene il suo popolo

44 L’argomento è trattato in D.Y. HADIDLAN, «The Meaning of ™pioÚsioj and the CodicesSergii», in New Testament Studies 5 (1958) 75-81.

45 Anche testimonianze medievali di retroversioni ebraiche del testo matteano vanno ineffetti in questa direzione: wttn l˙mnw tmydyt “donaci il nostro pane della continuità” (cfG. HOWARD, Hebrew Gospel of Matthew, Mercer University Press, Macon, GA 1995, 24; J.CARMIGNAC, Recherches sur le “Notre Père”, cit., 139-140).

46 Il testo della LXX, da cui dipende probabilmente Eb 9,4, precisa che il vaso è d’oro.47 Cf sopra nota 38.48 Ancora oggi gli ebrei, secondo le prescrizioni della tradizione, preparano per l’entra-

ta nel sabato la Challah, il «pane del sabato» nella memoria della razione doppia di mannadata nel sesto giorno, al popolo nel deserto.

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e Israele che accoglie la via della salvezza, nella memoria della liberazio-ne, ogni anno vissuta nella liturgia del Tempio. Il “patto eterno” (berôlåm)tra YHWH e il popolo d’Israele è richiamato nel comandamento del saba-to (Es 31,16) e nei pani dell’offerta (Lev 24,8). Sia la “manna del sabato”nell’arca, quanto i dodici pani della presenza, garantiscono la dimensioneincorruttibile e futura del pane nella prospettiva dell’alleanza. Su questepremesse ermeneutiche, crediamo, gli autori dei testi cristiani hanno fat-to leva per sviluppare una riflessione che potrebbe essere sintetizzata nel-la formula giovannea del “pane della vita”, come vedremo (Gv 6,35.48).

6. Il Padrenostro e il reticolo semanticodel Vangelo secondo Matteo

La valorizzazione del significato del passo in analisi, così come l’abbia-mo delineato, procede dall’ipotesi di fondo che esista una redazione co-sciente e midrashicamente oculata del testo evangelico, facente capo ascuole scribali con tradizioni interpretative del testo biblico molto raffi-nate. In questa sede, infatti, ci si astiene da ogni tipo di ricostruzione ipo-tetica di carattere storico sulle ipsissima verba Jesu del Padrenostro, si vuo-le invece difendere l’ipotesi di una coscienza redazionale profonda, capa-ce di istruire ogni affermazione della preghiera di Gesù, testo sicuramen-te decisivo nel reticolo complesso dell’intera redazione evangelica49. Gli ap-procci di analisi infatti, nella maggioranza, procedono da un profilo sto-rico-redazionale precedente la redazione dello stesso Vangelo, al fine dirisalire al Gesù storico. Con questo non si vuole certo escludere l’ipoteti-ca natura geneticamente gesuana, parziale o completa, del Padrenostro, masolo dichiarare l’impossibilità di accedere a tali risultati a partire dagli sta-di finali della redazione. Crediamo infatti che il testo del Padrenostro nelVangelo secondo Matteo debba funzionare nella tensione interna a Matteo,come la redazione presente nel terzo evangelista debba rispondere alletensioni semantiche interne al Vangelo secondo Luca. Di conseguenza, inquesta prospettiva metodologica, il “personaggio Gesù” dell’evangelistaMatteo ha “realmente” pronunciato il Padrenostro, nella forma che ci è

49 Il procedimento metodologico qui applicato all’evangelista Matteo andrebbe declinatoallo stesso modo sul testo dell’evangelista Luca. Per una maggiore comprensione del pro-blema rimando alla trattazione più diffusa in S. BARBAGLIA, «Il prologo di Luca e la “solidi-tà” del racconto evangelico. La ri-scrittura della storia», in Credere oggi 31 (2011) II, 63-89.Un tentativo recente di una lettura redazionale del Padrenostro nelle testimonianze di Mat-teo e di Luca in relazione alla preghiera dello Shemà si trova in P. DI LUCCIO, «Il pane “quo-tidiano” e l’escatologia del Regno: Le parole del “Padre Nostro” come interpretazione delloShemà», in Gregorianum 93 (2012/2) 261-291.

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stata trasmessa e, attraverso i significati contenuti in quest’unica preghie-ra, il redattore del testo mette le basi per cogliere un reticolo di senso in-novato, difficilmente percepibile dallo sradicamento della pericope dal suocontesto primo, che è quello della redazione finale del Vangelo.

Crediamo, infatti, che una lettura così concepita entro il Vangelo secon-do Matteo conduca a cogliere, per la preghiera del Padrenostro, la centra-lità del “sesto giorno” della settimana, del venerdì appunto, quale asse cro-nologico-teologico di riferimento nel dire la storia di Gesù. Nell’unico ve-nerdì raccontato nei Vangeli, il venerdì santo, il Figlio dell’Uomo vieneconsegnato per essere messo a morte. In quel venerdì, che si apre con lacena pasquale del 14 Nisan, Gesù consegna anzitutto se stesso ai suoi, at-traverso la trasposizione di sé nel pane spezzato e donato: «Ora, mentreessi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spez-zò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il miocorpo”» (Mt 26,26). La comprensione del testo del Padrenostro come: «ilnostro pane, quello di domani (=sabato), donacelo oggi (=venerdì)», fa sìche il giorno nel quale si chiede questo pane, il “pane del sabato” che nonperisce e dà la vita, è il giorno del venerdì santo, unico “sesto giorno” ditutta la narrazione evangelica50! E questo pane è Gesù Cristo stesso, in ac-cordo con il gesto dell’ultima cena. Questo modo di interpretare il testoin continuità con lo stesso racconto evangelico e la cristologia da esso so-stenuta è alquanto diverso rispetto agli approcci estrinseci che voglionocogliere nell’invocazione del Padrenostro un’istanza escatologica, un paneche indichi il giorno ultimo, l’ultimo sabato della storia51 oppure di chiriferisce il “pane quotidiano” al pane eucaristico per semplice preoccupa-zione liturgica o dogmatica oppure ancora di chi livella l’espressione diGesù alla mera domanda di sussistenza quotidiana. Riteniamo infatti cheuna lettura coerente all’interno del testo dell’evangelista Matteo metta inevidenza che il “pane del sabato” richiesto il venerdì è quel pane unico cheCristo vuole identificato al suo corpo e che ha in sé tutte le dimensioniermeneutiche della teoria della “manna del sabato” e, conseguentementedei pani di preposizione, che devono durare per sempre. Si tratta di un

50 Poiché il sabato e i giorni di festa nella tradizione ebraica iniziavano la sera del gior-no precedente, il “venerdì santo” – secondo la narrazione evangelica, in accordo con le pra-tiche ebraiche – ha avuto inizio la sera del giorno 14 Nisan e si estendeva fino al giorno suc-cessivo, con l’entrata nel sabato, alla sera del 15 Nisan. Pertanto, dalla cena pasquale finoai racconti della deposizione dalla croce del corpo di Gesù e del suo posizionamento nelsepolcro, tutto appartiene, cronologicamente e teologicamente, a quel “sesto giorno”, al“venerdì santo”.

51 A mo’ di esempio sopra abbiamo richiamato la posizione, pure interessante, di MarcPhilonenko: cf nota 5.

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pane che dà la vita e vince la morte, diversamente dal “pane quotidiano”:detto altrimenti è il pane eucaristico, secondo le dimensioni bibliche quidisegnate in accordo con la prospettiva neotestamentaria52.

La rilettura pasquale del Padrenostro nella vicenda ultima di Gesù, nelsuo venerdì santo, ci conduce anche a comprendere meglio il ruolo delpronome di prima persona plurale ripetuto ben due volte in questa breveespressione, sia nella forma del genitivo (tÕn ¥rton ¹uîn “il pane di noi”)come del dativo (dÕj ¹u‹n “dona a noi”). Il rapporto tra la prima parte del-l’espressione e la seconda induce ad ipotizzare almeno due modalità chedenotano la qualità del passaggio, fondata sulla forma verbale del verbo“dare”, che indica genericamente in ebraico, in greco e nelle lingue mo-derne l’azione per ogni forma di trasferimento. Se “nostro pane”, in quantopronome possessivo, indica una situazione di diritto o di possedimento,la forma dell’imperativo dÕj ¹u‹n prevede una dinamica di restituzione odi parte dovuta, analoga all’espressione p£ter, dÒj moi tÕ ™pib£llon mšrojtÁj oÙs…aj («Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta» Lc 15,12).Se invece il pronome “nostro” non esprime una domanda di proprietà, al-lora occorre prevedere una struttura che meglio evidenzi la dinamica deldono tra un “dare” e un “ricevere”. Pertanto, tradurre con l’imperativo“dacci oggi” a cui corrisponde “il nostro pane” fa risuonare una strutturamaggiormente collegata al diritto di proprietà: una forma di diritto di ogniuomo di avere il proprio pane quotidiano da Dio che è il proprietario diogni cosa. Altro invece è pensare che “il nostro pane” è “quello di doma-ni”, cioè la “manna del sabato” che non perisce e che nel racconto evan-gelico viene identificata dalle parole di Gesù con il suo stesso “corpo” chein quell’ultima cena “avendolo donato” ai suoi discepoli, disse (doÝj to‹jmaqhta‹j ei’pen): “Prendete e mangiate” (Mt 26,26). È “nostro” perché è do-nato, ricevuto e assimilato dai discepoli, attraverso l’azione del mangiare!

52 Accenniamo al fatto che le ultime due espressioni del Padrenostro conducono l’ascol-tare a comprendere il senso veicolato in riferimento, anche in questi casi, al sesto giorno, alvenerdì e la qual cosa induce a pensare che tutta la preghiera del Padrenostro possa essereintesa come “la preghiera del venerdì santo”! Preghiera che si comprende solo alla luce deisignificati ultimi che l’evangelista svela nella loro pienezza nei racconti della cena pasquale,della passione e della morte di Gesù (Mt 26-27). Tale prospettiva interpretativa, nella reda-zione evangelica, comprenderebbe il Padrenostro come una sorta di “microcosmo del misteropasquale di Cristo” narrato dall’evangelista Matteo, nella prospettiva della sequela del disce-polo, intesa essenzialmente come “imitazione di Cristo”, nel suo consegnarsi alla volontà delPadre. La visione ermeneutica qui solo accennata con l’analisi delle singole invocazioni delPadrenostro è stata pubblicata, allo stato attuale, in un prodotto video, in sette puntate: «IlPadre nostro. La preghiera del Venerdì Santo», con letture artistiche di Lucilla Giagnoni einterpretazione esegetica di Silvio Barbaglia nell’ambito del progetto «Passio. Cultura e arteattorno al mistero pasquale - edizione 2012: “Abbà. Un Dio papà”» della Diocesi di Novara.

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Viene qui fondata una comunità di discepoli che accoglie il dono del cor-po di Cristo e per esso vive per sempre, senza il quale non è in grado dicomprendere nella sua profondità nessuna delle invocazioni contenute nelPadrenostro! Solo l’accoglienza e l’assimilazione della qualità del “pane delsabato”, nel corpo di Cristo che dà la vita ai discepoli, permette di far ri-suonare il nome di Dio come “Abbà” nel “noi” dei discepoli. Per questi mo-tivi, è forse meglio intendere il generico verbo “dare” nella caratterizzazio-ne del verbo “donare”: «il nostro pane, quello di domani, donacelo oggi»!Così dunque potrebbe essere resa la concisa e intrigante invocazione delPadrenostro nell’elaborazione teologico-redazionale dell’evangelista Matteo:«Padre nostro, che sei il Dio dei cieli, in questo “oggi”, venerdì santo delFiglio tuo che interpreta tutta la storia, concedi a noi, tuoi figli, di potereogni giorno accogliere dentro la nostra vita la presenza del Figlio tuo nelsuo corpo (Mt 26,26), lui che ha promesso di essere sempre con i suoi di-scepoli “tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, l’Emmanuele, il Dio connoi!» (Mt 1,23; 28,20). Tale è lo sviluppo del significato della quarta doman-da del Padrenostro che percepiamo semanticamente cogente in virtù di unalettura sistemica e contestuale entro il Vangelo secondo Matteo. Molte sa-rebbero le aperture che da questo punto si possono sviluppare. Ne accen-niamo solo ad una, quella del testo più importante dei Vangeli attorno al“pane del sabato” elaborato dal capitolo sesto del Quarto Vangelo.

7. Es 16 e Gv 6: Gesù come «manna del sabato», un «cibo chedura per la vita eterna» (Gv 6,27)

La connessione tra il testo di Es 16 e Gv 6, il discorso sul «pane di vita»nella Sinagoga di Cafarnao è testualmente evidente: il discorso è origina-to da un’azione simbolica, il segno della moltiplicazione dei pani e dei pe-sci, testo comune a tutta la tradizione evangelica (Gv 6,1-13). Il tenore eu-caristico esplicito del discorso sul «pane di vita» nella sua ultima parte (Gv6,51-59) stabilisce un rapporto sicuro tra l’istanza eucaristica cristologica– data dall’identificazione della carne di Gesù con il “vero cibo” e del suosangue con la “vera bevanda” (Gv 6,55) – e il testo generatore del discorsosulla manna e il sabato tratto da Es 16. L’ipotesi di un midrash omileticorispondente alla lettura del seder sabbatico attorno al tempo di Pasqua ètutt’altro che improbabile, l’ipotesi cioè che il testo rimandi ad una riela-borazione teologica fondata sul racconto biblico in un contesto sabbatico53.

53 Cf A. BÜCHLER, «The Reading of the Law and Prophets in Triennial Cycle. I», in TheJewish Quarterly Rewiew 5 (1893) 420-468; ID., «The Reading of the Law and Prophets inTriennial Cycle. II», in The Jewish Quarterly Rewiew 6 (1894) 1-73; A. GUILDING, The Fourth

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Anche in questo caso non vogliamo sostenere o negare che queste sianoipsissima verba Jesu quanto piuttosto difendere l’idea – come per il primoevangelista – che lo scriba del quarto Vangelo abbia elaborato una cristo-logia eucaristica innovativa non attingendo da istanze esterne al giudai-smo, bensì da strutture insite essenzialmente all’ermeneutica ebraica ve-terotestamentaria e in particolare applicata al testo di Es 16.

Proviamo ora a mettere in fila tutte le affermazioni di Gv 6 contenutenel discorso di Cafarnao che possono essere rilette alla luce dell’interpre-tazione offerta di Es 16 nella distinzione sostanziale dei due tipi di “man-na”, quella quotidiana che deperisce (=morte) e quella del sabato che duraper sempre (=vita):

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perchéavete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per lavita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, hamesso il suo sigillo».31«I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Die-de loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in ve-rità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mioche vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che di-scende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, daccisempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi vie-ne a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!»48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deser-to e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangianon muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questopane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così an-che colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; nonè come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo panevivrà in eterno».

L’ipotesi che qui vogliamo suggerire, ma che ci limitiamo solo ad ac-cennare, è che nella rilettura midrashica di Es 16 Gesù (di sabato) nellaSinagoga di Cafarnao identifichi se stesso con la “manna del sabato” chenon perisce, in opposizione alla “manna quotidiana” che mangiarono ipadri nel deserto che non dà la vita e che accompagna alla morte. In tale

Gospel and Jewish Worship. A Study if the relation of St. John’s Gospel to the Ancient JewishLectionary System, Clarendon Press, Oxford 1960; M.D. GOULDER, Midrash and Lection inMatthew, SPCK, London 1974; ID., The Evangelists’ Calendar. A Lectionary Explanation ofthe Development of Scripture, SPCK, London 1978.

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struttura interpretativa potremmo ritrovarvi il punto di ancoramento perla comprensione genetica della teologia del pane eucaristico nei suoi ele-menti fondamentali già preparata dalla logica del racconto di Es 16.

8. Conclusione

R. Brown nel suo noto commentario al Vangelo secondo Giovanni allasezione sul «pane di vita» di Gv 6 afferma: «Noi abbiamo anche l’impres-sione che la richiesta nella preghiera del Signore, “Dacci oggi il nostropane quotidiano”, riecheggi i temi combinati della manna e dell’eucari-stia»54. Ciò che in R. Brown era un’impressione, in questo contributo vor-rebbe diventare tesi perspicua.

In sintesi, i racconti delle moltiplicazioni dei pani e dei pesci, quellidell’istituzione dell’eucaristia e il discorso nella Sinagoga di Cafarnao delquarto Vangelo sembrano escludere che il Gesù della tradizione sinotticae giovannea suggerisca ai discepoli di chiedere al Padre un “pane quoti-diano” che sostenti la vita giorno per giorno ma che poi, nella logica dellecose, conduca e accompagni alla morte. Questa, inoltre, sarebbe, di tuttoil Padrenostro, l’unica espressione aliena dalla riflessione e dall’azione stes-sa del personaggio Gesù, l’unica che si mostrerebbe in contraddizione, inqualche modo, con il contenuto della sua predicazione sul cibo55, il cui si-gnificato innovativo era già stato preparato dalle pagine bibliche vetero-testamentarie, in primis, da Es 1656.

54 R.E. BROWN, Giovanni. Commento al Vangelo spirituale, Commenti e studi biblici, As-sisi: Cittadella 1979, 354-355; cf anche ID., «The Pater Noster as an Eschatological Prayer»,in Theological Studies 22 (1961) 175-208.

55 Andrebbe anche inserita una riflessione ad hoc relativa alla prima tentazione che Gesùsubì, dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno nel deserto, quando ebbe fame (Mt4,1-4). In un commento completo al Padrenostro il testo delle tentazioni di Gesù mentreaiuta a chiarire l’ultima richiesta («e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male»),riprende con forza le idee qui espresse sulla natura del “pane”, in dialettica con ciò che “escedalla bocca di Dio”, avendo sullo sfondo Dt 8,2-3, testo che richiama esplicitamente la man-na. Detto in altre parole, l’espressione «non ci indurre in tentazione» (più corretta dellanuova «non abbandonarci alla tentazione»: tr. CEI 2008) andrebbe studiata alla luce delracconto delle tentazioni di Cristo, in cui Egli è «condotto/portato dallo Spirito nel desertoper essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1). E poiché la prima di queste, al termine di quaran-ta giorni e quaranta notti, è quella del «pane», si capisce quanto nel testo del Padrenostrolo stesso tema ricorra implicitamente anche nell’ultima sua espressione, se la comprendia-mo, appunto, alla luce delle tentazioni di Cristo stesso.

56 Accanto al testo di Es 16 ricordiamo anche i racconti, le riflessioni e le invocazionicollegate al tema della manna: Nm 11,6ss; 21,5-6; Dt 8,2-16; Gs 5,10-12; Ne 9,12-22; Sal78,23-25; 81,11-17; 105,40-45; così pure i pani della presenza sulla tavola dell’offerta: Es25,23-30; Lev 24,5-8; 1Sam 21,2-7; 1Re 7,48; 1Cr 9,32; 23,29; Ne 10,34; 1Mac 1,22; 2Mac 1,8.

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Siamo perfettamente coscienti che, allo stato attuale, è forse impossi-bile ipotizzare una diversa dizione della preghiera del Padrenostro che tengainsieme i significati biblici in essa contenuti anche perché, come accadealtre volte, la consuetudine individua il senso più comune e popolare, an-che se alieno, forse, dall’intenzione originaria del testo. Ma, anche per que-sto passo discusso del Padrenostro, non sarebbe fuori luogo l’ammonimen-to di Gesù rivolto all’interpretazione dei suoi gesti e delle sue parole, oggicome ieri: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avetemangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26) e, potremmo aggiunge-re, che “quei pani” sono il “pane dei sei giorni”, il “pane quotidiano”... men-tre occorre cercare, domandare e richiedere nell’oggi «non il cibo che pe-risce, ma quello che dura per la vita eterna» (Gv 6,27), ovvero “il pane didomani”, il “pane del sabato”, che diventa, secondo la comune tradizioneevangelica, Gesù Cristo nel dono della sua stessa vita al mondo.

Barbaglia raises the question of the interpretation of which breads isbeing asked: that for today, or that for tomorrow, of which there is aneschatological interpretation. Barbaglia considers Jerome’s testimonyabout Matthew 6,11 where Jerome translates ™pioÚsioj as supersub-stantialis. Is it possible to find a further meaning of the bread we ask,such as that of “tomorrow”, a bread that, in contrast to the materialone, does not lead to death, but is life-giving? According to Exodus 16,to the Synoptic stories and to those of Saint John about the multipli-cation of the loaves and fishes and about the institution of the Eucha-rist, we can think of a request for the bread of “tomorrow” as the breadof the “Sabbath,” the one which gives eternal life.

Barbaglia pose le problème de l’interprétation de la nature du pain qu’ilconvient de demander à Dieu: celui pour aujourd’hui ou celui pourplus tard, compris aussi selon une dimension eschatologique. Il prenden considération le témoignage de Jérôme dans son Commentaire deMatthieu 6,11, où Jérôme traduit ™pioÚsioj par supersubstantialis.Est-il possible de dégager un autre sens du pain à demander en tantque pain “pour demain”, un pain qui, à la différence du pain maté-riel, ne conduise pas à la mort mais à la vie? Dans le prolongementd’Exode 16, les récits synoptiques et johannique de la multiplicationdes pains et des poissons ainsi que de l’institution de l’eucharistie, onpeut penser à la demande d’un pain pour “demain” en tant que painpour le “sabbat”, dans la perspective du sabbat ultime.