Vicenza, in "La pittura nel Veneto. Il Settecento di Terraferma", a cura di Giuseppe Pavanello,...

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Il 19 febbraio 1701 Scipione ed Enea Repetainoltrano una supplica al Senato veneziano:chiedono, in virtù dei privilegi derivanti dalleproprietà nel territorio di Campiglia dei Be-rici, di potersi fregiare del titolo marchiona-le. Nella zona era già esistito un castello, sul-le rovine del quale avevano edificato “Fabri-che non disdicevoli”; i possedimenti in zonagarantivano, in forza di antichi diritti feuda-li, sia la qualifica comitale – di cui già poteva-no gloriarsi – che quella di marchesi. Nel set-tembre dello stesso anno, per mano del “no-daro ducale” Giacinto Fiorelli, il Senato dà ri-sposta positiva1.L’episodio, peraltro marginale, è indicativodel rapporto tra la nobiltà locale e la Domi-nante, un rapporto sempre più sbilanciato asfavore di Vicenza, in particolare dopo la bennota riapertura del ‘libro d’oro’ che permet-teva, dietro l’esborso di 100.000 ducati, l’ac-quisto del patriziato veneto. La questione, come noto, non era di pococonto. Dopo la ‘dedizione’ del 1404 Vicenza siera trovata costretta nelle maglie di una sud-ditanza ambivalente rispetto a Venezia: privadi un reale peso politico, sotto il controllo di“capitani” e “podestà” provenienti dalla Do-minante, ma garantita negli antichi titoli e di-ritti feudali di cui l’aristocrazia locale si fre-giava. La ‘diluizione’ del privilegio nobiliareportava con sé conseguenze sia sul piano so-ciale che politico, e le sempre più stringentiregole per poter sedere nel Consiglio Citta-dino svilupparono esiti paradossali, tanto chenel 1733 i Provveditori sopra Feudi si trova-rono costretti a mettere argini al “perniciosoabuso introdotto dalla troppo licenziosità de’sudditi nell’arrogarsi alcuno d’onorifici Titolidi Marchese, Conte, Cavalier e d’altra similequalità”2.Il problematico rapporto tra ‘centro’ e ‘peri-feria’ nella Repubblica Veneta, oggetto di at-tente indagini in tempi recenti3, trova riflessianche nel campo artistico; la produzione indi-gena alla fine del Seicento – dopo la stagioneaurea di Francesco Maffei e Giulio Carpioni,protagonisti eccellenti anche nell’esigentemercato lagunare – si era presto inaridita eseccata, non avendo i due pittori lasciato ere-di in grado di tenere alto il loro magistero4, e

la città si era risolta ad attingere a piene ma-ni dall’ampio serbatoio veneziano e, in parte,da quello veronese, forte proprio del presti-gio e delle floride risorse economiche dellanobiltà locale, compattata in strette relazionidi parentele matrimoniali e direttamentepresente negli edifici sacri grazie alla praticadello jus patronatus.

Tentazioni accademiche, presenze ‘foreste’:decorazione d’interni e produzione sacra fino al 1740 circa“Troppo Vicenza saria stata felice, se avesseavuti pittori così eminenti come furono i suoiarchitetti”5: essenziale quanto un’epigrafe, ealtrettanto reciso, il giudizio di Luigi Lanzisulla pittura vicentina riduce la realtà dei fat-ti a una comoda boutade, pur cogliendo alme-no in parte nel segno. Va in effetti evidenzia-to come il ‘genio’ locale, al volgere del secolo,esprima compiutamente le proprie capacitànell’arte plastica, l’altaristica in particolare:sono le botteghe, autoctone o trapiantate, deiMarinali e di Cassetti, dei Merlo, di Tabacco,che raccolgono successi tanto nel territorioberico quanto a Padova e Treviso, e financoVenezia. Una simile qualità di interventi con-nota anche la decorazione a stucco, imposta-si pure nel capoluogo lagunare ma che rima-ne, salvo rare eccezioni, saldamente in manoa maestranze lombarde6.La pittura segna invece il passo, a volte – neicasi migliori – ibridando nostalgici recuperidai campioni locali seicenteschi con timideaperture verso la moderna maniera venezia-na, mentre i veri capolavori, di cui Vicenza inquesto secolo risplende forse più che altrecittà dell’entroterra, giungono, invariabil-mente, da Venezia; il loro impatto sulle mae-stranze locali non sembra però andare oltrequalche superficiale influsso, rilevando ancorpiù lo scarto, come gemme preziose cucite suun tessuto consunto. E così, mentre l’arte diPittoni, Piazzetta, Tiepolo salpa verso il ma-re aperto, stringendo il vento in poppa, trac-ciando rotte inesplorate, la pittura locale na-viga a vista, sottocosta, con un occhio fisso aiportolani della tradizione – Maffei in primis– rispolverati e riediti per l’occasione.Emblematico, in tal senso, il caso del primo e

più importante cantiere privato in aperturadi secolo, quello di palazzo Repeta a San Lo-renzo, edificato su progetto di FrancescoMuttoni – suo primo impegno di rilievo – trail 1701 e il 17117. La data d’inizio coincide, enon pare casuale, con la citata richiesta diScipione ed Enea Repeta al Senato venezia-no, che elevava la famiglia al rango marchio-nale, orgogliosamente ostentato nell’iscrizio-ne in facciata. Nucleo principale dell’internoè l’imponente scalone a rampe contrapposte,cui si poteva accedere direttamente dall’in-gresso sull’attuale Corso Fogazzaro; un car-tiglio nell’ammezzato riporta la data 1707, dariferirsi all’intero complesso – architettoni-co, scultoreo, pittorico – il quale esibisce in-fatti un coerente e unitario impianto icono-grafico.Seguendo una metafora abusata ma efficace,il visitatore che salga la scala si trova a com-piere un’ascesa che è anche, per usare un co-modo bisticcio, un’ascesi. Il primo indizio losi coglie dalle balaustrate della rampa me-diana, le cui colonnine sono state sostituiteda una teoria di satiri, esseri ctonii, legati al-la terra e alla parte ‘ferina’ dell’umanità, alsuo lato istintivo. Nel pianerottolo, un grup-po scultoreo attribuito a Orazio Marinali raf-figura la Ragione che domina il Senso8; neitre medaglioni ad affresco soprastanti, Sisi-fo, Tantalo, Prometeo. Con espediente tipi-camente barocco, la scala a tratti nasconde atratti rivela l’affresco del soffitto, un ovaleaperto sul cielo con Atena che fulmina i Vi-zi, attorniata da quattro Virtù e da ulteriorifigure di vizi, incatenati su speroni di roccia,tra i quali il Raggiro, l’Avarizia, l’Invidia, laDiffamazione. Il soggetto, come quello –molto simile – di Giove che fulmina i Gigan-ti era pienamente consentaneo alla decora-zione degli scaloni, per il potente effetto illu-sivo dei grappoli di nudi ammucchiati, pro-combenti in caduta libera come massi da undirupo; nel caso in esame, viene a completa-re l’assunto iconografico, in cui il passaggiodal mondo ‘terreno’ dei vizi e delle passioni aun più alto piano etico e morale si compie tra-mite l’ascesa della scala, in salita come lastrada verso la virtù di Ercole – il quale, nona caso, si ritrova campito nel piano nobile,

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entro una finta nicchia tra le due porte. A dare corpo a tale impresa Scipione Repetachiama, a fianco di Muttoni e Marinali, LouisDorigny (1654-1742)9. La scelta poteva dirsiquasi obbligata: il pittore francese aveva pre-stato più volte servizio per la nobiltà vicenti-na, convocato in particolare per impegnativeimprese ad affresco. Attorno agli anni 1690-1692 aveva lavorato per i Capra, per i LeoniMontanari, per i Gualdo10; altre opere avevarealizzato per gli Scroffa, e un grande dipin-to con la Crocifissione, ora disperso, si trova-va nell’oratorio dei Servi, nominato con lodeda Bertotti Scamozzi11.Dorigny infonde nell’affresco dello scalonetutto il repertorio stilistico messo a punto inormai quasi trent’anni di pratica, come unconsumato regista; alterna con disinvolturafigure ‘al vero’ e monocrome attentamentescorciate, distribuendole su ampie impalca-ture di nuvole, contrappuntandole con robu-sti effetti di controluce. Il serrato impianto li-neare che trafila ogni singolo personaggio,rilevandolo dal fondo, è temperato dalla tes-situra cromatica tenuta su colori chiarissimi,

quasi trasparenti – rosa, giallino, verde ac-quamarina – che conferiscono una particola-re luminosità, nitida e brillante, offuscata so-lo da un mediocre stato conservativo. Al pittore parigino spettano anche i meda-glioni mitologici in monocromo ocra di unastanza laterale (Pan e Siringa; Andromeda;Venere e Adone; Diana e Callisto) nonchéuna tela, ampiamente ridipinta, con Zefiro eFlora12; si è poi proposto di riconoscergli an-che l’affresco a quadrature dell’ultima stanzaa nord-ovest13, già assegnato dubitativamentead Andrea Urbani ma di matrice ancora tar-doseicentesca, che ribadisce una tradizionedecorativa consolidata in una città che nel se-colo precedente aveva visto gli interventi diTorri, Arrighini, Ghisolfi e Gattucci, e che nelSettecento prosegue ininterrotta, da France-sco Aviani a Paolo Guidolini e David Rossi, at-traverso gli apporti ‘foresti’ di Girolamo Men-gozzi Colonna e di Francesco Natali.A conferma di un orientamento di gusto‘classicista’ indirizzato sulle produzioni lagu-nari, Scipione Repeta chiama, accanto a Do-rigny, i veneziani Nicolò Bambini (1651-

1736), autore di un Imeneo di Bacco e Arian-na posto nel soffitto della stanza a sud-est,come di recente individuato14, e FrancescoMigliori (1677-1739), cui vanno assegnate letre tele incastonate nel soffitto del salone, giàdubitativamente accostate a Felice Boscara-ti15, rappresentanti l’Aurora, il Giorno e laNotte. Al barocchetto morbido ed effuso, diascendenza giordanesca, che connota la teladi Bambini, si contrappone la spigliata sicu-rezza compositiva di Migliori, contrassegna-ta da cromie fredde raggrumate in gorghid’ombra e rischiarate da lame di luce, unasintesi personalissima da Lazzarini e Bale-stra e che ha fatto chiamare in causa ancheinflussi bolognesi, segnatamente Cignani ePasinelli16.Il pittore è indicato come assente negli elen-chi della Fraglia veneziana del 1712, una da-ta che può convenire ai dipinti vicentini e cheforse potrebbe testimoniare di una sua pre-senza in loco, anche se la commissione di te-le a Venezia, spedite poi nel territorio, non èaffatto inusuale ed anzi, lo si vedrà, docu-mentalmente attestata in diversi casi. È in-teressante rimarcare, ad ogni modo, l’incon-tro di due tendenze in atto tra il primo e ilsecondo decennio del secolo: l’attrazioneverso gli esiti aggiornatissimi dell’arte lagu-nare si riflette nel momento critico attraver-sato dalla stessa, per cui molti pittori si ve-dono costretti ad andarsene per carenza dilavoro, come riferisce la supplica al Senatoveneziano presentata nel 1713 in cui si ripor-ta che “sono partiti il Raus [= Raoux], ilBrusaferro et questo a motivo di non haverlavvori non ponno né meno pagare le tanseet in questi momenti partono anche il Bale-stra e l’abbate Cassana”17. Non a caso, allestesse date, sono impegnati in lavori all’este-ro anche i due grandi innovatori dell’arte ve-neta di primo Settecento, Sebastiano Ricci eAntonio Pellegrini.L’apporto dei ‘foresti’, come detto, è una co-stante già dalla fine del Seicento, e trova so-stentamento soprattutto nell’ampia produ-zione sacra. Durante il soggiorno vicentinodel settembre 1786, Goethe annotava nel suoGiornale che “i quadri e le pale delle chiesesono in tal numero da stuccare, sì che può

Francesco Migliori, L’Aurora, tela.Vicenza, palazzo Repeta.

01. Louis Dorigny, Atena fulmina i Vizi,affresco. Vicenza, palazzo Repeta.

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sfuggire qualche cosa di buono”18. Il territo-rio berico non è dissimile, in questo, dallamaggior parte delle città italiane, e la produ-zione sacra – pale d’altare in primis – rima-ne a un livello elevato; ciò che caratterizza larealtà locale è l’alta qualità dei lavori, anchein zone periferiche. Non importa se a ordi-narli siano privati committenti o devote con-gregazioni: come i rintocchi di una campana,i capolavori si susseguono regolari lungo tut-to il secolo e raggiungono chiese, collegiate,monasteri.Si può aprire la rassegna, per comodità cro-nologica, con Antonio Zanchi (1631-1722),che allo scoccare del secolo dipinge una Ma-donna della Cintura per le monache agosti-niane di Schio (ora nella chiesa di Sant’Anto-nio Abate), firmata e datata 170019: l’opera,accademicamente composta su una scansioneascendente e dalle sfumate cromie, prolungala fertile collaborazione del pittore con il ter-ritorio anche nella nuova epoca. Gregorio Lazzarini (1655-1730), il “Raffaelloveneto”, è un’altra presenza ricorrente, fortedi un prestigio precocemente accordatogli edella fama quasi di pittore di Stato. I suoi in-terventi nel vicentino sono puntualmente re-gistrati dal biografo Vincenzo da Canal, e co-prono un arco di anni dal 1684 – un Cristo alsepolcro per la chiesa di San Bartolomeo – al1720 della pala per Santa Lucia, entrambeopere disperse20. Un contributo importante èquello realizzato per la decorazione del de-molito oratorio del Santissimo Rosario, chesi estende fin verso la metà del secolo e rap-presenta un’antologia d’eccezione: da Canalriferisce che i confratelli si erano recati a Ve-nezia per incaricare del lavoro Antonio Bel-lucci, ma finirono per preferirgli Lazzarini21.Le due tele, segnalate sotto l’anno 1696, so-no ora divise tra la parrocchiale di Caste-gnero (Gesù tra i Dottori) e il duomo diThiene (un’Ascensione di Cristo, che pre-senta un interessante inserto ritrattisticodel committente)22; vi si conferma l’eleganzadi forme nitide e composte, equilibrate su to-ni chiari e un sicuro ritmo narrativo, cherende ragione dell’attento scrupolo con ilquale venivano accettate le donazioni di di-pinti per l’oratorio23.

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esempi di Molinari39): si sarebbe tentati dipensare che la loro reiterata presenza pre-pari quasi la strada all’estesa affermazione diGiambattista Pittoni, ad essi legato da accer-tate relazioni e debiti formali. Nel 1711 è la volta di un altro campione diclassicismo barocchetto, di più robusta costi-tuzione: Antonio Balestra (1666-1740), vero-nese di stanza a Venezia, al quale si deve lapala per l’altare maggiore, da poco rinnova-to, per la chiesa di San Vincenzo (dal 1486 in-globata nel Monte di Pietà)40. La sede, perquanto piccola, era prestigiosa, essendo de-dicata al santo protettore della città, e nelrinnovamento settecentesco venne posta nonpoca cura, affidando il rifacimento del pre-sbiterio a Francesco Muttoni mentre l’altare,completato nel 1709, fu messo in opera daBernardo Tabacco, veneziano, ma con botte-ga a Bassano. È interessante osservare la

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Al fascino della sua pittura soda e diligentenon sfugge neppure la nobiltà locale: nel1694 è registrato un Bacco e Arianna per unnon meglio precisato “nobile vicentino”24,mentre grazie a una nota manoscritta di Leo-nardo Trissino25 sappiamo che la Danae “pelconte Trissino di Vicenza”, realizzata nel1700, era in ovale, ciò che potrebbe forseidentificarla con un dipinto di medesimo sog-getto e formato edito da Martini26. Opere diLazzarini erano presenti anche nelle collezio-ni di Carlo Cordellina e Angelo Vecchia, pro-babilmente formate sul mercato veneziano27;il pittore lavorò pure per Bassano del Grap-pa fornendo due tele, non più rintracciate:una “piccola tavola con la Vergine e Puttino esanto Antonio pel N.H. Falier”28 e un Cristo eil centurione ricordato da Giambattista Ver-ci, unico ‘estraneo’ in una serie di quadri diGiuseppe Graziani per la chiesa di Santa Ma-ria della Misericordia29.Alla decorazione del citato oratorio del San-tissimo Rosario, in parte riadattata al soffit-to calderariano del duomo di Thiene, parteci-pa anche Antonio Arrigoni, pittore dai con-torni biografici ancora sfuggenti, ma i cui la-vori a Vicenza si snodano in più tempi e ne ri-velano il sicuro apprezzamento30.Arrigoni è in effetti attestato già attorno al1692, con un dipinto ora scomparso per la“Galleria degli stucchi” di palazzo LeoniMontanari31, a fianco di Dorigny, Brentana,Pagani, Bellucci, Marchesini, ovvero quell’“avanguardia accademica” che ha buon gio-co, tra Venezia e Verona, nell’ultimo decenniodel Seicento.L’impegno successivo risale verosimilmenteal 1706, anno cui dovrebbero spettare – giu-sta la recente proposta di Valeria Piermatteo– le cinque tele per la chiesa di Santa Cateri-na, commissionate dal giureconsulto Giovan-ni Maria Bertolo32. Le opere venivano a chiu-dere la realizzazione del fregio con storie del-la santa eponima, iniziato a partire dagli an-ni ottanta del XVII secolo con i lavori di Ce-lesti, Fumiani e Molinari. Nello stesso 1706,secondo l’annotazione di Vincenzo da Canal,giungono pure le tele per il parapetto dell’or-gano realizzate da Lazzarini33: un altro can-tiere tutto veneziano, dunque, che in prece-

denza aveva visto anche gli apporti di PietroLiberi e di Antonio Zanchi. L’intervento diArrigoni in Santa Caterina è stato ricono-sciuto, su base stilistica, da Fossaluzza34; unadocumentata conferma si ritrova nelle paro-le di Bertotti Scamozzi (“Alzate gli occhi, e gi-rateli attorno il fregio, che ne vedrete di Gre-gorio Lazzarini Veneziano, del Funiani, delRigoni, del Tempesta, e del Maffei”35). Le storie della santa sono connotate da unsapido gusto narrativo, concretato in un nito-re compositivo e un’attenzione meticolosaper il dettaglio risolta in figure cesellate e vi-vificate da un’inchiostratura calibrata neipiani di luce e ombra. Il risultato rappresen-ta una personale formulazione delle istanzeclassicistiche veneziane di fine Seicento, de-sunte in particolare da Molinari, Bellucci,Lazzarini e Balestra.Caratteristiche simili si rinvengono nel belnotturno con Cristo nell’orto ora nel duomodi Thiene, realizzato per l’oratorio vicentinodel Santissimo Rosario, per il quale in segui-to forniranno ottime prove anche Antonio DePieri e Giambattista Pittoni. Dalla documen-tazione esistente, pubblicata da Saccardo,sappiamo che Arrigoni fu incaricato del lavo-ro a Venezia nel 170936; un quadro di medesi-mo soggetto, disperso, è ricordato anche nel-la chiesa delle monache francescane del-l’Aracoeli37.L’anno successivo, per l’altare della famigliaTrento nella chiesa di Santo Stefano, Arrigo-ni dipinge la pala con Sant’Antonio in ado-razione del Bambino, definita da Baldarini“opera spiritosa”38, saturata da un coro dipresenze angeliche dalle espressioni argute esorridenti. Una stesura laminata conferiscealle tinte l’aspetto di smalto prezioso, i cuitimbri nei viola malva, nei verdi aspri e neiblu cobalto si apparentano più al Seicento bo-lognese che a quello veneziano, e il cui effet-to è plasticamente accentuato da uno smali-ziato uso dei controluce.La vivace attività di Arrigoni a Vicenza è diinteresse anche perché si lega con quella diFrancesco Pittoni, più volte impiegato in cit-tà (da ultimo nel 1706, con un Cristo e l’adul-tera per i somaschi della chiesa dei Santi Fi-lippo e Giacomo, strettamente modellato su

03. Antonio Balestra, Madonna con il Bambino e i santi Vincenzo e Luca,tela. Vicenza, chiesa di San Vincenzo al Monte di Pietà.

02. Antonio Arrigoni, Sant’Antonio in adorazione del Bambino, tela. Vicenza, chiesa di Santo Stefano.

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collaudato repertorio, licenziando un’operache per vigore di struttura e intonazionesentimentale costituì una fonte importanteper gli artisti locali, in particolare per Anto-nio De Pieri.Tra i decoratori, all’inizio del secolo, rivesteun ruolo particolare Francesco Aviani (1662-1715), quadraturista e paesaggista vicentino,che interpreta la passione locale per le archi-tetture dipinte in una chiave spiccatamentefantastica, di esuberante cromatismo, attentain particolare agli effetti strettamente deco-rativi di cartigli inviluppati, profluvi floreali,targhe, panoplie, inclusi in partiture quadra-turistiche di marca emiliana. La sua attività,svolta sia su tela che ad affresco, punta a uneffetto scenografico e rovinistico, quasi di an-ticipazione romantica, pur all’interno di ungusto ancora seicentesco, ma che porta acompimento una tradizione consolidata e fada apristrada alle nuove soluzioni di MarcoRicci. Come ha osservato Pallucchini, “Aviani,ai primi del secolo, significò nel Veneto un av-vio ad un rovinismo prospettico che fece brec-cia, più tardi, insieme con altri incitamenti,anche sul Ricci stesso: fu l’iniziatore di un gu-sto che si sviluppò, specialmente alla metà delsecolo e dopo, con una certa coerenza”41.Dei diversi soffitti affrescati in chiese vicen-tine poco è sopravvissuto; più interessanti gliinterventi in villa Chiericati a Soella (1701-1703), nel vicentino palazzo Velo (1712) e invilla Pigafetta a Montruglio (1714)42 – ai qua-li possono forse essere accostati i fregi diquattro stanze di palazzo Gualdo in ContràLioy a Vicenza, già assegnati alla bottega diDorigny43 – che rivelano un artista a proprioagio tanto negli assemblaggi di nature mortesimboliche quanto nelle piccole aperture pae-sistiche con porti e vedute ideali, e che hagettato qualche riflesso sulla cultura localedei primi decenni del Settecento, a giudicareda decorazioni come quelle, anonime, di villaCalvi ad Arcugnano, di villa Trento da Schioa Costozza, di villa Checcozzi a San Tomio diMalo o di villa Serta a Creazzo44.È da notare che il panorama dei pittori vicen-tini attivi nella prima metà del nuovo secolosi riduce a poche presenze di qualche rilievo.Morti Bartolomeo Cittadella nel 1704 e

Giambattista Volpato nel 1706, avviati a unalunga e provinciale vecchiaia Cristoforo Me-narola e Francesco Trivellini (scomparirannorispettivamente nel 1731 e nel 1733), la cuiattività nel Settecento, per quanto intensa,non suscita più che qualche sbadiglio, riman-gono i più giovani Antonio De Pieri (1671-1751) e Costantino Pasqualotto detto il Co-stantini (1681-1755), dei quali l’abate Lanzicosì riassume le caratteristiche: “CostantinPasqualotto, migliore nel colorito che nel di-segno; Antonio de’ Pieri detto lo Zoppo vi-centino, di un pennello facile e men deciso”45.Di entrambi, le guide locali elencavano alme-no un’opera in pressoché ogni edificio sacrodi Vicenza, e molte si ritrovano disseminateanche nel territorio, sicché – quantomenosotto un aspetto meramente quantitativo –possono definirsi presenze importanti.Di Giovanni Antonio De Pieri detto lo Zoppopoche sono le informazioni disponibili: anco-ra problematiche la sua formazione e l’attivi-tà giovanile, scarsamente documentate46.Non abbiamo testimonianze di una sua pro-babile attività alla fine del Seicento; al primodecennio del Settecento vengono ascritte sol-tanto l’Incoronazione della Vergine con isanti Filippo, Giacomo e Rocco della parroc-chiale di Monte Magrè, secondo Saccardo ri-salente al 1705 circa47, e il Compianto sulCristo morto della chiesa dell’Immacolata aPadova che, proveniendo dall’eredità di Gio-vanni Maria Bertolo, dovrebbe potersi data-re ante 1707, anno di morte del giureconsul-to48. Entrambe le opere riflettono pienamen-te la quintessenza dello stile di De Pieri, lacostante attenzione verso Luca Giordano (dicui a Vicenza si ritrovavano esempi eletti, siain pubblico che in privato) innestata soprareminescenze dalla pittura locale, soprattut-to Francesco Maffei: due poli di attrazionedai quali assimila il gusto per una stesurafratta, a tocchi larghi di colore, ricca di umo-ri e, nei dipinti più tardi, quasi ‘particellare’,tanto da farla definire da Cevese “pre-guar-desca”, anche se, piuttosto, dovrebbe dirsi“post-maffeiana”. La libertà espressiva delsuo pennello viene però sempre equilibratada una composizione bilanciata e precisa, distampo pienamente classicistico: De Pieri,

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insomma, tiene un piede nel Seicento e l’altronel secolo successivo, il che costituisce alla fi-ne il suo maggior limite, con esiti stilistici indefinitiva superficiali e di facile presa, capacidi accontentare il più ampio pubblico, assimi-labili a quanto andava proponendo a Veneziail suo quasi coetaneo Girolamo Brusaferro.Non pare un caso, quindi, che opere del vi-centino siano state attribuite proprio a Bru-saferro, nonché a Lazzarini o a FrancescoMigliori49.È significativo, ad ogni modo, che un giudiziopositivo su un’opera di De Pieri venga da Co-chin, il quale – pur non conoscendone l’auto-re – loda il quadro raffigurante la Fuga inEgitto già nella chiesa di San Bartolomeo, ri-marcando “beaucoup d’effet et d’intelligencede lumiere” e concludendo che “il est peintfacilement; la couleur en est assez bonne,quoique maniérée”50.Nell’ampio catalogo del pittore, spesso ripe-titivo seppur quasi sempre di livello discreto,si possono segnalare il Martirio di san Gia-como già nella chiesa veronese di San Leo-nardo, oggi a Caprino Bergamasco, realizza-to nel 1714, in cui i richiami da Maffei e Gior-dano sono al servizio di un’inscenatura tea-trale fortemente dinamizzata nei raggruppa-menti figurali e nell’accentuato uso dei con-troluce51; oppure una delle tele per la chiesadell’Immacolata a Padova, raffigurante laDisputa nel tempio, dipinta nel 1717 su com-missione di Francesco Bruni e già attribuitaa Brusaferro, contrassegnata da un solennefondale architettonico e dal preciso assettospaziale52. Primi accenni di una disposizioneritrattistica, che troverà ben altri sviluppinell’attività tarda, si colgono nella tela con laVergine e i santi Pancrazio e Marco per laparrocchiale di Ancignano di Sandrigo53, nel-la quale il volto del giovane santo che fissa ilproprio sguardo sull’osservatore sfugge aglistereotipi consueti dell’artista vicentino.Più problematico, invece, il percorso inizialedi Costantino Pasqualotto, probabile allievodi De Pieri, le cui poche opere datate rendo-no alquanto arduo ricostruirne una fisiono-mia precisa54. Pittore discreto, più aspro nel-le caratterizzazioni dei volti rispetto al suomaestro, spesso scorretto (come già notato

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compresenza dell’altare elaboratissimo, in-crostato di volute e riccioli come concrezionicoralline, vero “geroglifico borrominiano”, ela pala di Balestra – esempio di un classici-smo meditato ed elegante – quasi a testimo-niare l’indifferenza, almeno agli occhi deicommittenti, di spesso artificiose incompati-bilità stilistiche. La Madonna con il Bambino e i santi Vin-cenzo e Luca si impagina come una ‘sacraconversazione’ di ispirazione marattesca, ric-ca in impasto e preziosismi cromatici, in par-ticolare nei tessuti – si veda il camice di sanVincenzo, imperlato dalla luce, o la sua dal-matica ricamata – e nello sfondo di nuvole evapori dorati che circonda le figure. Balestra, a quella data ormai affermato e fa-moso anche al di fuori dei dominii della Sere-nissima, attinge a piene mani dal proprio

10. Francesco Solimena, San Gaetano in gloria, tela. Vicenza, chiesa di SanGaetano.

10. Francesco Solimena, San Gaetano in gloria, tela, particolare. Vicenza, chiesadi San Gaetano.

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da Lanzi) – difetti mascherati dalle tinte pre-ziose, cariche e accese – si segnala però peraver praticato l’affresco, trascurato inveceda De Pieri.Una prima traccia si può ricavare dal soffittodi villa Bertolini a Castelnovo, che FrancescaLodi ha proposto di anticipare a una dataprossima al 171555: sarebbe, dunque, una pri-mizia della sua attività decorativa, ancora vi-sibilmente impacciata, che consente di chia-rirne l’ascendenza compositiva, da rintrac-ciarsi negli scorciati sottinsù delle Storie disanta Caterina dipinti da Fumiani per l’omo-nima chiesa vicentina.Nelle opere posteriori il debito stilistico conDe Pieri si formalizza in un misurato accade-mismo, privo degli affinati effetti luministicidel più anziano maestro, ma spesso sorrettoda uno scabro patetismo espressivo; i coloritersi e chiari, vero punto di forza dell’autore,si arricchiscono di brillanti cangiantismi. All’inizio del terzo decennio si aprono dueimportanti cantieri edilizi: quello della chiesadi San Gaetano, che i teatini iniziano nel 1721su disegno di Girolamo Frigimelica, nellacentralissima Strada Grande (l’attuale corsoPalladio), e quello della chiesa carmelitana diSan Girolamo degli Scalzi, in borgo Pusterla,cominciato l’anno precedente. Una curiosacoincidenza accomuna i due interventi: puressendo stati completati in un ampio arcocronologico, entrambi gli edifici ricevetterola benedictio nel 1725, e a quella data poteva-no sfoggiare, quasi in competizione, rilevanticapi d’opera di pittori affermati a livello eu-ropeo.In quell’anno, nella chiesa teatina – di cuierano stati eretti il presbiterio e metà dellanavata, con le prime due cappelle laterali –già era esposta l’opera raffigurante il fonda-tore dell’ordine, San Gaetano da Thiene,commissionata al napoletano Francesco Soli-mena (1657-1747)56, pittore celeberrimo i cuilavori erano apprezzati e contesi anche dal-l’aristocrazia lagunare. L’altare sul quale la pala venne allogata dove-va essere ancora provvisorio, quindi in legno,come spesso succedeva: venne infatti innal-zato in marmo solo in seguito, negli anni1732-1733. L’incarico fu realizzato a spese

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della famiglia Thiene, cui spettava il patrona-to dell’altare, ed è probabile – vista l’atten-zione con la quale essi promuovevano il cultodel santo, appartenuto proprio al loro casato– che anche alla tela avessero provveduto ditasca propria. Solimena, del resto, non erapittore che veniva a buon prezzo: circa undecennio dopo richiese l’esorbitante cifra dimillequattrocento ducati per una pala per lachiesa veneziana di San Rocco57. La tela, incui si rintracciano le “nobiltà di sembianti,idee perfettissime, diversità nelle fisonomie,e componimenti ottimi, con bellissimi con-trapposti” che Bernardo de Dominici distin-gue come peculiari del pittore58, fronteggia-va un’altra opera di ambito napoletano,un’Immacolata di Nicolò Malinconico (1663-1726/27 c.) di recente riemersa dai depositidel Museo Civico, pesantemente danneggia-ta dai bombardamenti dell’ultima guerramondiale59. Anche Simone Brentana (1654-1742), veneziano di nascita ma veronesed’adozione, era della partita: un Sant’An-drea d’Avellino, che Leonardo Trissino ri-corda firmato e datato 172960, è purtropposcomparso sotto le bombe del 1945, mentrepermane il suo intervento aggiuntivo nellapala di Malinconico tutt’ora all’altar maggio-re, forse eseguito alla morte del pittore par-tenopeo61.Nel 1725 era già sistemata sul proprio altareanche la pala di Sebastiano Ricci (1659-1734)raffigurante l’Estasi di santa Teresa, nellachiesa di San Girolamo degli Scalzi62, in cuil’artista, come notato già da Zampetti63, ri-crea pittoricamente il capolavoro scultoreoberniniano, elaborato su una scansioneascendente di colori brillanti e serici. La san-ta è assistita, nel momento del deliquio, nonsoltanto da una serie di putti, ma anche daben quattro angeli adolescenti, di tenera ebionda bellezza, riccamente abbigliati e cir-confusi di una grazia soprannaturale che benpoteva dirsi pari a quella di Correggio. Nes-suna sofferenza, soltanto la gioia dell’estasi,il “conforto di angelici sorrisi”64: la quintes-senza, insomma, della civiltà rococò, i cuispettatori – come scriverà Zanetti – “altronon vogliono dalla pittura in questi dì che ral-legramenti e giovialità”65.

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04. Sebastiano Ricci, Estasi di santa Teresa, tela. Vicenza, chiesa di San Girolamo degli Scalzi.

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05. Sebastiano e Marco Ricci, Rovine con figure, tela. Vicenza, Museo Civico.

13. Giambattista Pittoni, Diana e le ninfe,tela. Vicenza, Museo Civico.

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Per la medesima chiesa, nel 1727, Antonio DePieri crea il San Girolamo portato al cielo66,forse la punta di diamante del suo catalogo:quasi ispirato dal confronto con la tela di Ric-ci, sostanzia la pittura di una materia crepi-tante, tattile, vivificando le figure con un sa-piente partito chiaroscurale, conferendo unanuova, scarmigliata bellezza alle presenzeangeliche. Proveniente dal legato di Paolina Porto Godiè la Veduta di fantasia con ruderi classici efigure (Vicenza, Museo Civico)67 attribuitaconcordemente a Marco (1676-1730) e Seba-stiano Ricci, e datata attorno alla metà delterzo decennio: “simbiosi felice, nella quale ilvirtuosismo figurale di Sebastiano fa tutt’unocon la fantasia scenica di Marco”68.Magistrale nel comporre le quinte prospetti-che su piani alternati di luce e ombra, in cuiun raggio obliquo fende la scena e conferiscerisalto al primo piano, questo ‘capriccio ar-cheologico’ possiede già, in nuce, la percezio-ne della grandiosità delle rovine antiche,mescolata a un senso di trasognata curiositàper i cocci della Storia; la messinscena per-fettamente assemblata si avvale poi di untocco di verità filologica: l’epigrafe parzial-mente illeggibile sopra l’arcata, finora sfug-gita alle indagini ma che è invece puntualecitazione da un’iscrizione sopra il ponte Fa-brizio a Roma69.Stando alle fonti vi era un’ulteriore tela diSebastiano Ricci in territiorio vicentino, in-cassata negli stucchi del presbiterio del duo-mo di Bassano. L’opera è registrata da unaneddoto di Giambattista Verci riguardanteil pittore bassanese Francesco Trivellini:“Per il Coro del Duomo avea dipinto l’ultimaCena di Cristo, quadro assai grande, e fu l’ul-timo suo sforzo, per il quale esigeva mille du-cati correnti veneti; i quali non essendoglistati accordati, fu rimpiazzato quel vacuo dal-la bella Pittura di Sebastiano Ricci”70; il sog-getto, di rara figurazione in epoca controri-formistica, rappresentava “Maria Vergineportata alla Sepoltura col miracolo di quel-l’Ebreo, che volendo rinversar la bara caddea terra colle mani inaridite”71. L’esistenza del-la tela è confermata ancora nell’inventario diTiberio Roberti del 179372; successivamente

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14. Giambattista Pittoni, La Vergine con il Bambino e i santi Pietro, Paolo e papa Pio V, tela. Vicenza, chiesa di Santa Corona.

15. Giambattista Pittoni, Madonna con il Bambino e i santi Pietro, Paolo,Giuseppe e Germano, tela. San Germanodei Berici (Vicenza), chiesa parrocchiale.

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se ne perde ogni traccia.Due presenze fondamentali per la pittura aVicenza sono quelle di Giambattista Pittoni(1687-1767) e di Giambattista Tiepolo (1696-1770), il cui lavoro in città e nel territorio co-pre un lungo arco temporale: i due venezianioccuparono i primi posti nelle preferenze deicommittenti locali, una predilezione che ar-ricchì l’area berica con prove di altissimaqualità.Una ‘primizia’ fu, probabilmente, l’incarico dialcune opere (purtroppo disperse) per la de-molita chiesa del Corpus Domini delle mona-che agostiniane, all’interno di un ciclo di qua-dri “moderni” cui presero parte anche DePieri e Pasqualotto. Pittoni vi contribuì condue tele, una delle quali – un Sant’Agostinobattezzato da sant’Ambrogio – è definita “ra-ra” da Baldarini; un quadro con “una Donzel-la che prende l’Abito di S. Agostino con va-ghissimi Angioletti nell’alto” era invece “ope-ra delle prime del Tiepolo”73. È probabile chesi fosse attorno ai primissimi anni Venti, unmomento precoce di fortuna ‘vicentina’ per idue pittori. Tiepolo, per quanto se ne sa, la-sciò soltanto un’altra testimonianza prima diricomparire sulla scena locale, in grande sti-le, una decina d’anni dopo, ovvero il Ritrattodi papa Benedetto XIII (Vicenza, chiesa diSanta Corona) recentemente attribuitogli daGiuseppe Pavanello74: un’opera databile at-torno al 1724, funestata purtroppo dalle ridi-pinture, nella quale il pontefice ritiene unacerta aria di serietà contegnosa e altera chelo apparenta ad altre prove ritrattistiche nontroppo lontane cronologicamente, quali i ri-tratti dei dogi Cornaro.Per Giambattista Pittoni, invece, il rapportoquasi privilegiato con Vicenza era iniziatoben prima, se, come credo, si può anticiparepoco oltre la metà del secondo decennio la te-la raffigurante Olindo e Sofronia oggi al lo-cale Museo Civico75. L’episodio tassesco, dinon frequente rappresentazione (ma vi eranoimportanti precedenti di Mattia Preti e LucaGiordano, pittori amatissimi dalla nobiltà ve-neta), porta già con sé quell’accento fiabesco,stemperato in sorrisi graziosi e gesti minuti,che diverranno cifra propria del pittore, percui la tragedia si decanta in rappresentazio-

ne, con una troupe di attori consolidata aspartirsi i ruoli. Messa a confronto con leopere degli anni Venti, non si può non notar-ne l’acerbità compositiva: la pedana prospet-ticamente sbilanciata in avanti, come la tavo-la della Cena in Emmaus già nella chiesa ve-neziana di San Clemente in Isola (oggi al Mu-seo Diocesano)76; le figure assemblate singo-larmente, una a una, cui difetta una regia chele leghi tra loro; la stessa figura di Sofronia,malamente infagottata in vesti ridondanti,rigonfie, di matrice ancora barocca. Pure lastesura pittorica, compatta e priva della lu-centezza delle prove successive, rinvia piut-tosto a un momento prossimo alla palettadella chiesa di San Giovanni Elemosinario aVenezia o alle tele storiche già a Dresda77. Visi coglie ancora l’impaccio di un artista di ge-nio alle sue prime prove, qui legato soprat-tutto ai modi di Arrigoni, ma già capace diinfondervi un palpito leggero di aria e colo-re; ciò che troverà il suo sbocco naturale al-l’inizio del terzo decennio, con quell’operettadi squisito erotismo arcadico che è il Bagnodi Diana (Vicenza, Museo Civico)78, “una vi-sione edonistica, di delibato artificio, resaanche più accattivante dalla presenza dellaninfa che si fa solecchio mentre guarda, sor-ridente e incuriosita, nella nostra direzio-ne”79. Sono risultanze che informano anchele piccole tele con Giunone e Argo e Veneree Marte, in collezione privata ma provenien-ti anch’esse, come le due del Museo Civicovicentino, dalla collezione di Paolina PortoGodi80, denotando un preciso e aggiornatissi-mo orientamento di gusto nelle richieste del-la committenza locale.Si può, invece, forse spostare al 1722 circa ilSacrificio di Polissena dipinto per il salonedi palazzo Caldogno, perduto ma documenta-to da fotografie, per il quale è tradizional-mente accettata una data anteriore di unbiennio circa81: la scrittura formale ormaisciolta e vivace e l’assetto compositivo lo ap-parentano a opere di questo torno d’anni, inparticolare il Sant’Eustachio rifiuta di ado-rare gli idoli della chiesa di San Stae a Vene-zia82; le dimensioni imponenti (oltre cinquemetri d’altezza) e l’accurato fondale architet-tonico suggeriscono inoltre una vicinanza al-

la Tomba allegorica di Lord Dorset, per lanota serie ideata da Owen McSwiny, cui Pit-toni lavorò tra il 1722 e il 172583. Proprio nel-lo stesso 1722 fu pubblicata a Venezia unatragedia sull’argomento, Polissena; comesottolineato da Donald Posner84, il tema – adifferenza di quello, molto simile, del Sacri-ficio di Ifigenia (anch’esso rappresentato inpalazzo Caldogno, in un’opera di De Pieri) –non era comune, stante la mancanza di unlieto fine.Il committente del ciclo pittorico che venivaa completare la decorazione del salone car-pionesco, affidato a Pittoni, De Pieri e Pa-squalotto, va identificato in Francesco Caldo-gno quondam Marcantonio, che – non sem-bra casuale – qualche anno prima, nel 1712,era stato “assistente” alle nozze dello stessoPasqualotto85.“Una svolta fondamentale”, nel linguaggioformale di Pittoni, si verifica “a partire dallaterza decade del secolo, certo anche per sug-

per la parrocchiale di San Germano dei Beri-ci87. L’evidente prossimità stilistica ha sem-pre convinto a valutarle assieme, a una datache per riscontri documentari e formali si po-ne attorno al 1723 circa. L’impostazione simi-lare e la presenza dei medesimi personaggiprincipali conferisce alle opere quasi l’aspet-to di due variazioni sul tema, cromaticamen-te festose e imperniate sulla figura possentee assertiva di san Paolo, dal piglio quasi tin-torettesco.Una Morte della Vergine si trovava nellachiesa di San Filippo, probabilmente vendutain un momento imprecisato, di cui rimane inloco una copia settecentesca e di cui sussisteancora il bozzetto preparatorio88. SecondoFranca Zava potrebbe risalire anch’essa at-torno al 1723, ma si potrebbe anche presume-re di qualche anno posteriore, dato che lachiesa venne edificata nel 173089 e compositi-vamente parrebbe richiamarsi alle opere delpittore della seconda metà degli anni Venti; aun momento cronologico simile si può situareanche la Beata Giovanna Bonomo della chie-sa vicentina di Santa Croce, recentemente re-stituita a Pittoni90, apprezzabile per il delicatorealismo del volto della monaca bassanese.Gli ultimi interventi pittoniani risalgono alquinto decennio: nel 1744 giunge infatti lapala, commissionata dal conte Chiericati, perl’altare della sacrestia del Duomo, raffigu-rante la Vergine con il Bambino e i santi Ni-colò da Bari e Nicola da Tolentino91, dellaquale Cochin, non riconoscendone l’autore,annota che “il y a du bon dans la maniere depeindre, & du goût. Il peut être de Piazzet-ta”92 e, probabilmente attorno allo stesso an-no, l’Assunzione della Vergine per l’oratoriodel Rosario, oggi nel duomo di Thiene, “unadelle più grandiose pitture chiesastiche delmaestro”93.Il diapason della pittura veneziana settecen-tesca, in quelle che secondo le categorie tra-dizionali si possono considerare le sue com-ponenti principali – grazia infantile e civet-tuola; patetismo drammatico e chiaroscura-to; nobiltà di luce e colore – trova piena ecompiuta espressione a Vicenza, dopo le pro-ve di Ricci e di Pittoni, con le pale che Giam-battista Piazzetta (1683-1754) e Giambattista

Tiepolo realizzarono per la chiesa delle mo-nache francescane dell’Aracoeli, entrambericoverate nelle sale del Museo Civico94.Piazzetta lascia il suo segno cupo e contra-stato, una dolente meditazione sull’esistenza,nell’Estasi di san Francesco, realizzata nel1729: “una vesperale scena di passione, in cuisi esprime il divario fra l’umanità affranta nelsuo limite corporeo e il mistero imperscruta-bile della divinità”95.Difficile sottrarsi al fascino di un’opera di ta-le viscerale intensità, impalcata per diagona-li contrapposte, percorsa da una luce sopran-naturale che incendia l’aria, avvampando ilcielo notturno, illuminandolo di riflessi dora-ti. L’abbandono del santo tra le braccia con-fortanti dell’angelo, che ne asciuga amorevol-mente la ferita, inscena un dramma emotivoche sovrappone il tema dell’estasi a quellodella ricezione delle stigmate, venendo così acongiungere la figura di san Francesco conquella di Cristo Crocifisso96. Uno scoppio lu-minoso deflagra da sinistra accompagnandoil manifestarsi della presenza angelica, por-tandone alla nota più alta il candore della ve-ste, di una perspicuità ottica quasi ottocente-sca; l’atmosfera sospesa dell’evento, accorda-ta su variazioni di bruno, ocra, grigio tortorae turchese, è emblema della meditata ricercapittorica dell’artista e rende l’opera “fra lepiù ispirate di tutta la pittura sacra venezia-na settecentesca”97.Il passaggio vicentino di Piazzetta non fu, co-munque, una meteora: due sovrapporte disua mano sono registrate da Arnaldi nel pa-lazzo di Giovambattista Orazio Porto98, men-tre un bozzetto si trovava nella collezione diAngelo Vecchia: e non pare un caso che sianostati entrambi anche importanti committentidi Tiepolo.Se delle opere citate non vi è, attualmente,traccia, sopravvissuto è invece un altro dipin-to sacro, una paletta con San Giovanni Bat-tista per la chiesa dedicata al santo omonimoa Bassano del Grappa, realizzata su commis-sione dei fratelli Remondini verosimilmentenon molto prima del 174099. Il protagonistaappartiene a quell’umanità zingaresca, inda-gata da Piazzetta con sensibile attenzioneper il dato ‘reale’ che la eleva al di sopra del-

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la pura connotazione di genere, come si rin-traccia invece, nello stesso giro d’anni, nei‘pastorelli’ di Pietro Longhi. I sottili passag-gi chiaroscurali, accentuati dallo scurimentodel fondo, rilevano morbidamente l’immagi-ne, filtrata dal pittore “in una chiave di gustoarcadico, mettendo a fuoco nella figura delsolitario pastore fanciullo, che dialoga conl’agnello al bordo di uno specchio d’acqua, unsuo ideale di grazia”100.All’Aracoeli, come si è detto, vi era anchel’Immacolata Concezione di Tiepolo, realiz-zata attorno al 1733 – data segnata sopra l’al-tare, e stilisticamente coerente – forse sucommissione di suor Maria Irene, al secoloFrancesca Porto101. L’opera dialogava ideal-mente con l’Estasi di san Francesco di Piaz-zetta, fronteggiandosi dagli altari laterali; esi direbbe quasi che Tiepolo abbia voluto op-porre di proposito a quella tela chiaroscurataed emozionale un dipinto di luminosità abba-gliante, un’immagine “scolpita dal pennellonella luce”102. La figura dell’Immacolata, delcui culto i francescani erano ardenti propu-gnatori, si manifesta infatti come una visionefulgida, di bellezza pura, irraggiungibile;l’aspetto nobilmente spirituale pare rifletter-si nello sguardo abbassato, in cui si è volutoleggere uno sdegnoso distacco blasée103 mache si direbbe, piuttosto, indice di virginaleritrosia. All’idealizzazione che la connota sicontrappunta la schiera di angioletti, di pic-cante realismo, mentre lo sguardo è inevita-bilmente assorbito dalla veste candida, sfog-gio di sublime, virtuosistica maestria: unesempio di quel “miracolo” del “drappo neroche parea bianco” ammirato da Giambattistanella Santa Lucilla di Jacopo Bassano104, eche anche Cochin, pur trovando da ridire sul-l’opera tiepolesca (“il est incorrect, et la Vier-ge est trop longue”) non manca di sottolinea-re: “l’on y voit des tons de couleur charmans,et des reflets d’un beau gris coloré”105.Altre presenze ‘foreste’, negli anni Trenta,provengono dal versante occidentale. Nel1733 Balestra sigla una seconda opera peruna chiesa vicentina, a vent’anni di distanzadalla precedente, la Madonna consegna loscapolare al beato Simone Stock per San Gi-rolamo degli Scalzi106. Pur non rappresentan-

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20. Antonio de’ Pieri, San Girolamotrasportato in cielo dagli angeli, tela.Vicenza, San Girolamo degli Scalzi.

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06. Giambattista Piazzetta, Estasi di san Francesco, tela. Vicenza, Museo Civico.

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gestione della pittura di Sebastiano Ricci.Un’eleganza cifrata, una recitazione sospiro-sa, una mimica da ‘balletto’ subentrano allafoga drammatica dei primi dipinti di storia;le immagini si sostanziano in una materiamalleabile e rara, che assume lucentezzed’ametista, corallo, avorio”86. È il momentodella bellissime pale d’altare, rutilanti di co-lore, di ambiziosa e meditata fattura, che se-gnano con precisione chirurgica l’avvenutamaturazione del pittore e del suo linguaggio,ormai pienamente e consapevolmente roco-cò. Le due tele vicentine che aprono la seriesono ben note: la Madonna con il Bambino ei santi Pietro, Paolo e papa Pio V per la cap-pella della famiglia Thiene nella chiesa diSanta Corona, e la Madonna con il Bambinoe i santi Pietro, Paolo, Giuseppe e Germano

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do una deviazione significativa dal suo stilecollaudato, sorprende per le tinte chiarissi-me, cesellate da una luce netta, senza sbava-ture: quasi una personale risposta al rococòveneziano, visto attraverso la lente di unacultura che privilegiava i “veri fondamenti” –lo studio metodico, il primato del disegno –sopra le “maniere ammanierate, fantastichee ideali, lontane dal vero”107 tanto deprecatedal pittore.È probabile che a una data non lontana deb-bano risalire anche le due tele mistilinee conSant’Elia e Sant’Eliseo, incassate in ricchecornici rocaille sulle pareti del presbiteriodella medesima chiesa, opera di un allievo diBalestra, Matteo Brida (1699-1774)108, notopiù che altro per essere stato maestro diFrancesco Lorenzi e di Felice Boscarati: la-

vori del più tipico accademismo arcadico, de-clinato in tinte squillanti e irreali.Segue infine, a poca distanza, il veronese Mi-chelangelo Prunati (1690-1760), che nel 1739firma le tele con eventi della Passione (Inco-ronazione di spine; Flagellazione; Cristoportacroce; Crocifissione) per la chiesa so-masca dei Santi Filippo e Giacomo109: unaquaterna di dipinti in cui il dramma è già sci-volato nel melodramma, impaginato a tuttocampo in un’enfasi muscolare scolpita nellapietra e levigata dal piumino.Vicentino è invece Giambattista Mariotti(1690-1748), ma il precoce trasferimento aVenezia, dove studia con Balestra e tiened’occhio Bencovich e Piazzetta, lo escludedalla storia artistica locale110. Pittore di for-me nervosamente sforbiciate, di equilibri vo-lutamente instabili, di affocate sugosità ma-teriche, lascia nel territorio soltanto due ope-re di sua mano, il Martirio di sant’Eurosiaora al Museo Civico di Bassano, assegnato al-l’inizio del quarto decennio111, e il Martirio disant’Andrea per l’altare maggiore della chie-sa di Sant’Andrea a Sarcedo, consacrato nel1744, lavoro che “per la luminosità dell’assie-me e la struttura compositiva non può nonaver tenuto conto di schemi come quelli rea-lizzati da Giambattista Tiepolo alla Cordelli-na di Montecchio Maggiore (1743)”112.Nessuna traccia dei tempi nuovi, invece, nel-le ultime prove di De Pieri e Pasqualotto, dis-seminate lungo il quinto decennio, ai cui oc-chi la presenza di capolavori di Tiepolo e diPiazzetta dovette transitare pressoché invi-sibile e aliena.De Pieri replica modelli di sicura presa nellapala con La Vergine e i santi Nicola e Valen-tino per la parrocchiale di Camisano Vicenti-no, realizzata nel 1740113: un’impostazione an-cora debitrice di Balestra e degli esempid’inizio secolo, riscattata da una stesura piùfrastagliata e particellare, rorida di riflessidorati, e intagliata da risentiti affondi chiaro-scurali. Di maggior interesse, in questo mo-mento, è forse l’attività ritrattistica, desuntasia da modelli reali – il giustamente celebreRitratto di Andrea Nicolio (Rovigo, Pinaco-teca dell’Accademia dei Concordi)114, di pigliosicuro e ben modellato nei trapassi di luce e

ombra, una delle prove migliori nel catalogodell’autore – sia di matrice ideale, come lacoppia di apostoli in ovale (San Pietro e SanPaolo) della chiesa vicentina di Santo Stefa-no115, ricchi in impasto e colore, nei quali sem-bra tradurre in forme proprie la nobile serie-tà di Solimena. In altre opere, come il Ritrat-to di Angela Spezzato Turra (Vicenza, rac-colte Ipab) di recente attribuitogli116, la carat-terizzazione del volto appare forse meno per-suasiva, mentre l’attenzione del pittore par-rebbe appuntarsi piuttosto sui decori del-l’abito, i gioielli, la rosa tenuta in mano dal-l’effigiata.Anche Pasqualotto prosegue lungo i binari diuno stile efficace, semmai cercando di alleg-gerire la materia pittorica, accogliendo su-perficiali suggerimenti dalle opere di Ricci ePittoni – qualche profilo arguto o qualche ge-sto grazioso, come si scorge nelle opere data-

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07. Giambattista Piazzetta, San GiovanniBattista, tela. Bassano del Grappa(Vicenza), chiesa di San Giovanni Battista.

11. Giambattista Tiepolo, L’ImmacolataConcezione, tela. Vicenza, Museo Civico.

21. Antonio de’ Pieri, I santi Nicola e Valentino ai piedi della Vergine, tela.Camisano Vicentino (Vicenza),parrocchiale.

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bili nell’ultimo ventennio della sua vita (forseil periodo più fecondo), quali il soffitto dellachiesa di San Faustino del 1729-1730, o le de-corazioni in villa Querini dalle Ore a Cavaz-zale117 e in villa Valmarana a Vigardolo. Lo zenith della sua produzione in questo las-so di tempo, a una data non lontana dal 1740,è però sicuramente la pala raffigurante la Vi-sione di san Giovanni della Croce per lachiesa carmelitana di San Girolamo degliScalzi118, di buona composizione e percorsa dauno sciame di angioletti festanti.Prima dell’arrivo di Tiepolo, nel 1734, per af-frescare villa Loschi – un fulmine a ciel sere-no che eclissò, di fatto, qualsiasi altra prova– vanno segnalati tre cantieri importanti,che colmano il distacco con l’intervento diDorigny in apertura di secolo, e che emergo-no sopra quelli di Aviani e del modesto Pa-squalotto.Attorno al 1725, data delle nozze tra Lodovi-co Porto e Lucietta Garzadori, si pone l’arri-vo di Sebastiano Galeotti (1676-1741) e delquadraturista Francesco Natali (1669-1735)per la decorazione dello scalone e di tre saledi palazzo Porto Breganze in contrà Porti119.È una delle più sontuose decorazioni d’inter-ni a Vicenza nella prima metà del secolo, an-che per il finissimo apparato di stucchi ro-caille, ricco di ornati, figurine metamorfiche,divinità, e qualche tocco di eccentrico diver-tissement, che si assiepa nelle due stanze mi-nori, sui soffitti a padiglione, le sovrapporte ela cappa del caminetto.A Francesco Natali (in alternativa all’opi-nione corrente che le assegnava al fratelloLorenzo) spettano le quadrature120, tantonello scalone d’accesso con una finta loggiaaperta su un interno, inframmezzata da car-tigli, quanto nell’ampio salone, ove Galeottiha figurato Arianna che assurge all’Olim-po, un tema matrimoniale perfettamenteadeguato all’evento121. La Virtù scaccia ilVizio e il Trionfo dell’Amicizia sono invecei soggetti delle due sale attigue: in tutte vi sinota quel “pennello […] spedito, facile, spi-ritoso e di buon impasto, sì a olio, come afresco” che Orlandi riconosceva al pittore122,“uomo di bizzarro e facile ingegno, disegna-tor buono sempre che volle, ardito colorito-

re, vago nella scelta delle teste, atto allegrandi composizioni a fresco” stando al giu-dizio di Luigi Lanzi123.Alla seconda metà del terzo decennio va pro-babilmente collocato anche l’intervento diMattia Bortoloni (1696-1750) in una stanza divilla Rezzonico a Bassano124, di cui affresca ilsoffitto con le figure di Storia, Fama e Tem-po, un terzetto allegorico di chiara valenzaencomiastica e celebrativa, a rimarcarel’eterna gloria della casata: tematica cui iRezzonico, famiglia di recente nobiltà (dal1687), dovevano essere particolarmente sen-sibili. Vi si ritrova quella verve ludica, finan-che canzonatoria, che connota l’opera del pit-tore polesano, evidente nella figura arruffatadel Tempo, con il gigantesco volume sulgroppone, quasi fosse una bestia da soma, onella schiera di putti ammiccanti che piroet-tano nell’aria come a sconfessare il seriosoassunto celebrativo. L’affresco, pervaso datimbri chiari e cangianti, completa, almenoidealmente, la copiosa decorazione a stuccoin precedenza realizzata in varie stanze dellavilla, opera di Abbondio Stazio e CarpoforoMazzetti Tencalla, nella quale scalpitanti ca-

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ze di un biondo efebo alato; e la Superbia, conil pavone sottobraccio come una dama eccen-trica e un po’ cafona, passeggia di lato allacompunta e aggraziata Umiltà, ostentata-mente ignorandola, mentre continua a rimi-rarsi nello specchio”133.Un decennio dopo, Tiepolo ritorna nel vicen-tino su incarico di Carlo Cordellina, uno degliavvocati più celebri dell’epoca, esponente diquel ceto non nobile, ma potente e ricchissi-mo, che diventa uno degli attori sociali piùimportanti nella Venezia settecentesca.Giambattista viene chiamato ad affrescare laresidenza di campagna a Montecchio Mag-giore, luogo frequentato, secondo le testimo-nianze, dalle presenze più illustri dell’epoca.Il pittore vi dipinse il salone, con il Trionfodella Virtù e dell’Intelligenza sull’Errore nelsoffitto, attorniato da monocromi allegorici, edue grandi riquadri raffiguranti La conti-nenza di Scipione e la Famiglia di Dario aipiedi di Alessandro alle pareti; il lavoro furealizzato, come si ricava da una lettera cheTiepolo spedì a Francesco Algarotti proprioda Montecchio, tra il 1743 e il 1744134.Le virtù del committente vengono qui esalta-te attraverso il filtro degli episodi storici, neiquali il pittore giunge, probabilmente pro-prio per influenza di Algarotti, al punto dimassimo equilibrio della sua arte: per usarele stesse parole del poligrafo veneziano, ri-cordate in proposito da Mariuz, “ingannarl’occhio, appagar l’intelletto e muovere il cuo-re”. Come osserva ancora lo studioso, “Alga-rotti può aver suggerito al Cordellina il pro-gramma iconografico, che adombra l’esalta-zione delle virtù civili e pacifiche della cle-menza e della continenza, in accordo con learti e le scienze, nella prospettiva di un trion-fo finale della vera nobiltà e dell’intelligenzasulle tenebre dell’errore. Un programma, co-munque, che si ispira nel suo ottimismo alleideologie del riformismo illuminato, e reperi-sce il suo modello etico e visivo nella civiltàcinquecentesca”135. A tale programma Tiepo-lo conferisce un respiro grandioso, sul ritmodi una misura classica modellata sugli esem-pi veronesiani, una messinscena teatrale manon smodata che accorda solennità e senti-mento. Al servizio della perfetta riuscita del-

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22. Antonio de’ Pieri, San Paolo, tela.Vicenza, chiesa di Santo Stefano.

23. Costantino Pasqualotto, Cristo appare a san Giovanni della Croce, tela. Vicenza, chiesa di San Girolamodegli Scalzi.

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riferimenti massonici, in accordo con l’accer-tata affiliazione del committente GiorgioMarchesini alla loggia vicentina, presentavauna serie di statue a monocromo contro unampio loggiato, una soluzione cui sarà in se-guito molto interessato Francesco Lorenzi.Un secondo esempio di committenza ‘moder-na’ viene da parte di Angelo Vecchia, an-ch’egli avvocato di fama e collega di Cordel-lina, la cui dimora vicentina fu eretta daGiorgio Massari in soli due anni, tra il 1749 eil dicembre 1750; anni ai quali risale anche ladecorazione tiepolesca.Sulla tela nel soffitto del salone, esprimentel’Apoteosi del Merito (oggi a Milano, palazzoIsimbardi)137 si sofferma a lungo Cochin138, lo-dandone la freschezza e vivacità coloristichee compositive, il gusto “neuf, piquant & ex-cellemment bien entendu”. L’attitudine petu-lante dello scrittore francese non resiste, pe-rò, nonostante la lunga sequenza di elogi, aun ultimo affondo, notando (e pare quasi pa-radossale) l’eccessiva luminosità delle tinte,auspicando che il tempo le mitighi. Molte righe sono poi dedicate alla collezionedi Angelo Vecchia, i cui quattro quadroni diLuca Giordano, che si trovavano nella stessasala del soffitto tiepolesco, vennero in segui-to magnificati anche da Bertotti Scamozzi eda Arnaldi139, evidentemente pezzi sublimi;ma altre prove ‘moderne’ di gran valore con-notavano la raccolta. Grazie alle testimonian-ze congiunte di Arnaldi e Cochin, sappiamoche l’avvocato possedeva una forse piccolama qualitativamente eletta collezione di boz-zetti: un gusto modernissimo, quindi, aggior-nato alle più fini tendenze del secolo. Bozzet-ti di Piazzetta, di Tiepolo (per i due quadridel Museo di Arkangelskoje, come si ricavadalle copie in disegno di Fragonard), proba-bilmente di Pittoni e forse di Lazzarini; oltrea questi, pastelli di Rosalba Carriera e di No-gari, e pezzi scelti di Liberi, Langetti, Rosa(un gusto tardoseicentesco, quindi probabil-mente di acquisizione anteriore).Quasi completamente distrutta è invece ladecorazione di palazzo Trento (poi Valmara-na), di cui rimane testimonianza fotografica,realizzata per Ottavio Trento verosimilmen-te verso il 1757 circa, a ridosso dei lavori in

valli marini e bizzarre scene di vita lapponesopra finte pelli di renna e di cinghiale già in-dicavano la propensione verso un decoro fan-tasioso e singolare125.Per la dimora bassanese del procuratore Pie-tro Paolo Bellegno, detta “Ca’ Erizzo”, lavo-ra invece Giuseppe Graziani (1699-1760),oriundo di Costa di Thiene: un ciclo imponen-te, che si dissemina lungo le scale, le pareti ei soffitti, iniziato verso il 1730 e completato,secondo le proposte più recenti, a più ripresenell’arco di una ventina d’anni126. Sostanzial-mente fedele allo stile tardo, chiarissimo eplasticamente definito, del suo maestro Bale-stra (“fu peraltro troppo sfacciato ne’ colori,né seppe dar quella giusta distribuzione dilumi, e di tinte”, precisa Verci127), e con le pez-ze d’appoggio delle stampe di Pietro Testa,Graziani – coadiuvato plausibilmente da unquadraturista – riesce a mantenere in preca-rio equilibrio un mondo variegato di allego-rie, divinità olimpiche, scene storiche e cita-zioni moraleggianti128, racchiuse entro ampiportici e colonnati o in aperti paesaggi, costi-tuendo in definitiva una summa, finale, per-vasiva e ritardataria, delle imponenti ‘mac-chine’ tardobarocche.

“Una meravigliosa realtà impossibile”.Tiepolo e la grande stagione decorativa vicentinaDal 1734 al 1760 circa Giambattista Tiepolo èil protagonista assoluto della decorazioned’interni a Vicenza, tanto in città che nelle re-sidenze di villa; da solo, prima, accompagna-to in seguito dal fido quadraturista GirolamoMengozzi Colonna e dal figlio Giandomenico,il quale proprio qui fornirà a sua volta le mi-gliori prove autonome, il veneziano giganteg-gia e lascia in zona alcuni tra i suoi più altiraggiungimenti: “l’artista diventa «vicenti-no», quasi al modo di Palladio che, con Vero-nese, si contende nel Settecento il ruolo dimodello da imitare”129. Com’è stato giusta-mente evidenziato, i committenti di Tiepolo aVicenza sono tra loro legati da una ragnateladi parentele che non sembra estranea allacontinua richiesta di opere in zona130, garanti-ta – del resto – già dalla qualità altissima delsuo lavoro e del prestigio di cui godeva.

Il primo incarico si deve a Nicolò Loschi, ilquale convoca il pittore nel 1734, per la pro-pria villa al Biron di Monteviale, terminatasu progetto di Muttoni nello stesso anno131.Una serie di cornici in stucco, lungo lo scalo-ne e nella sala, accoglie coppie di allegorie, disignificato prettamente moralistico, desuntecon precisione dal testo canonico di CesareRipa, l’Iconologia. Nel soffitto della scala sirinviene una delle prime apparizioni di un te-ma caro al pittore, La Verità svelata dalTempo; in quello del salone, invece, La Famache annuncia il trionfo della Gloria tra leVirtù Cardinali, fiancheggiato dall’Ingen-gno e dal Valore. Il complesso delle figurazio-ni doveva quindi chiarire che “la nobiltà delcommittente si fondava sull’esercizio dellevirtù civili e domestiche piuttosto che sul pri-vilegio”132, il che spiega anche l’apparizione,insolita, della Concordia maritale, pretestoper la felice realizzazione di un brano galan-te, in cui la figura maschile è abbigliata comeun principe fiabesco.A confrontarlo con lavori contemporanei co-me quello di Graziani in Ca’ Erizzo, la distan-za non potrebbe essere più marcata: le figu-re di Tiepolo possiedono una vivezza e un’im-mediatezza visiva quasi palpabili, ostensive,nelle quali la meditata lezione veronesiana,sublimata in una tecnica sicura e precisa, siincontra con lo spirito sottilmente argutodell’artista. L’occasione di dover dare vita eforma alle allegorie di Ripa ha suscitato in luiun balzo della propria fantasia, attingendovi,si può dire, più di quanto fatto in precedenza:“Giambattista non solo ha convertito pallidefigure concettuali in presenze d’immediatorisalto, sbalzate in una luce di cristallo (ba-sterebbe per tutte la rappresentazione del-l’Onore: un ragazzotto fin troppo sicuro di sé,di una bellezza un po’ torva, straordinaria-mente moderna), ma ha saputo conferire al-l’allegoria uno sviluppo drammatico-narrati-vo. In sostanza, egli ha fatto dialogare fra lo-ro le personificazioni chiamate in causa, chenel testo di Ripa sono trattate singolarmente(con l’eccezione, beninteso, della Concordiamaritale); sicché l’Onore, di cui già si è det-to, si fa qui acconciare dalla Virtù, sollecita-mente accorsa alle sue spalle nelle sembian-

l’opera il pittore fornisce tutta l’attrezzeriascenica necessaria, facendo gran sfoggio dielaborati guardaroba, gioielli, vasi, scudi, ori-fiamme, statue e tendaggi, sollecitando l’im-maginazione e l’entusiasmo del riguardante.I capitoli successivi della presenza tiepolescaa Vicenza si svolgono lungo il sesto decenniocon un fuoco di fila di interventi, ad eccezio-ne, forse, dell’unico punto sul quale ancora lacritica non è concorde, ovvero la datazionedegli affreschi già nella galleria di palazzoMarchesini Valle136, strappati ed emigrati al-l’estero, di cui in loco sono rimasti soltanto iresidui degli strappi; le parti meglio conser-vate sono quelle di Mengozzi Colonna, in par-ticolare nel soffitto, probabilmente perchégiudicate di minor interesse ‘commerciale’.La galleria, singolare per la tematica ricca di

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trombe e i tamburi della sua maniera più au-lica per la più perfetta versione di un tema dicui si era occupato spesso. È un melodrammasenza spargimento di sangue perché, quandoIfigenia solleva gli occhi al cielo in un’ultimaimplorazione, Diana stessa appare sul soffit-to. L’effetto di teatralità è rafforzato da que-sto rapporto fra parete e soffitto, per il qua-le tutta la sala diventa in realtà un palcosce-nico. Il portone principale della villa si spa-lanca su questa scena e il visitatore di colpoesce dal mondo quotidiano di un giardino suun colle presso Vicenza per entrare in quel-l’illusionistico e statico frangente, dove il sa-crificio di Ifigenia resta per l’eternità inter-rotto sull’ara da un intervento divino”144.Il gusto teatrale – più ancora: metastasiano,com’è stato più volte sottolineato145 – permeaogni stanza della palazzina, in cui Giambatti-sta, coadiuvato da Mengozzi Colonna, svolgesingoli episodi tratti dai grandi poemi dellaciviltà occidentale: Iliade, Eneide, OrlandoFurioso, Gerusalemme Liberata. Le vicendetrascelte sono pressoché tutte di tonalitàsentimentale: storie di amori infelici o con-trastati – Achille e Briseide, Angelica e Me-doro, Rinaldo e Armida, Enea e Didone – checonsentono al pittore una messinscena con-trappuntata, una recitazione a monologhi eduetti, tinta di patetismo sospiroso e strug-gente, di coinvolgimento simpatetico con l’os-servatore. Il punto più alto, in questo senso,un vero e proprio acuto lirico, è forse la figu-ra di Achille piangente in riva al mare: comeosservato da Levey, “altri affreschi della Val-marana sono più gai o più drammatici, ma ildolore dell’Achille apre la via all’amaro sen-timento umano che accompagna tante operereligiose tarde di Tiepolo”146.In sei delle sette stanze della foresteria, in-vece, si staglia compiutamente il genio “na-turale” (per usare la nota definizione goe-thiana) di Giandomenico, pienamente sup-portato, ancora una volta, dalla sarabanda dicreazioni di Mengozzi Colonna147, che allesti-sce padiglioni gotici, finte scale, medaglioni ecornici che fanno da corona alla pittura di ge-nere, ‘pittoresca’ e ‘anticlassica’, del Tiepolojunior, il quale, tra scherzosi giochi di puttied esotiche avventure cinesi, inscena con ac-

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villa Valmarana140.Il salone era gremito, secondo una consuetu-dine ormai collaudata, dagli apparati quadra-turistici di Mengozzi; nell’ovale del soffitto viera affrescato Il trionfo della Verità sull’Er-rore, la Calunnia e l’Inganno.È proprio osservando i soffitti, quei vasti cie-li abitati da presenze bellissime e radiose,che si può cogliere con pienezza la natura in-trinseca dell’arte del pittore. “Siamo dellamateria di cui son fatti i sogni; e la nostra vi-ta è racchiusa nel sonno”: le parole, notissi-me, con cui Prospero, alla fine della Tempe-sta di Shakespeare, dissolve nell’aria gli in-cantesimi creati per le nozze di Ferdinando eMiranda, potrebbero venir pronunciate an-che dai personaggi tiepoleschi: evocati comeper magia dalla tavolozza del pittore, impa-stati nella luce e nel colore, vivono d’aria enell’aria; creature volatili, imprigionate in unmondo che non supera l’equinozio d’autunno,e che esistono solo per essere guardate, eguardarci a loro volta141.Vertice della decorazione in villa, nonché unodei risultati più eletti e di maggior felicità in-ventiva nel catalogo tiepolesco è senza dub-bio l’impresa in villa Valmarana ai Nani: uncomplesso di ben dodici stanze decorate daGiambattista e Giandomenico, con la fonda-mentale partecipazione di Girolamo Mengoz-zi Colonna142. L’incarico giungeva da GiustinoValmarana, il quale, colpito negli affetti fami-liari, aveva scelto il ritiro in villa, lontano dal-le cure della città; realizzato nel 1757, fu for-se completato dopo la morte del committen-te, scomparso nel giugno dello stesso anno.Per una straordinaria alchimia, la fantasiadegli artisti qui più che altrove ha le brigliesciolte, tanto che “l’immaginazione e l’osser-vazione, l’eroico e il patetico, l’idillico e ilgrottesco, il sublime e il naturale convergonoa ricreare in questo spazio isolato un mondoin cui la natura si converte in artificio e l’ar-tificio ha l’evidenza della verità naturale”143.L’effetto è dichiarato e dirompente fin dall’in-gresso, e vale la pena riportare le parole diLevey in proposito: “Nell’atrio un’intera,lunga parete è decorata con un’ultima gran-de esecuzione del tema del «sacrificio», il Sa-crificio di Ifigenia, e Tiepolo suona tutte le

08. Sebastiano Galeotti e FrancescoNatali, Arianna portata in cielo, affresco.Vicenza, palazzo Porto-Breganze.

09. Sebastiano Galeotti, La Virtù scaccia l’invidia, affresco. Vicenza, palazzo Porto-Breganze.

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L’ultimo intervento vicentino prima dellapartenza dei Tiepolo per la Spagna (1762) sirinviene in palazzo Porto Colleoni151, forse aun momento prossimo alla data del matrimo-nio tra il committente Giambattista OrazioPorto e Lavina Porto, avvenuto il 15 gennaio1761, anche se la tematica prescelta non sipuò dire adatta a una celebrazione nuziale. Idue pittori, infatti, coadiuvati ancora una vol-ta da Girolamo Mengozzi Colonna, furonochiamati a decorare due ambienti: una sala ilcui soffitto era già occupato da una Cadutadei Giganti di Domenico Brusasorzi, nellaquale vennero realizzati sei monocromi (ve-rosimilmente da Giandomenico152) con Uomi-ni illustri del casato; e un salone con l’Apo-teosi del Valore, realizzato da Giambattista,strappato ed emigrato all’Art Museum di Se-attle153, ennesima reiterazione del genere dicui il pittore aveva fatto la propria specialità.Rimangono in loco soltanto tre scomparti diuna saletta, inquadrati da stucchi, con aper-ture sul cielo in cui si coglie unicamente lasparuta apparizione di alcune colombe e diuna ruota, forse allusivi a Venere.

Dall’arte del sogno al razionale ‘buon gusto’:una lenta preparazione di visioni sovrapposteTra il quinto e il sesto decennio del Settecen-to giungono al termine della loro carriera idue principali interpreti dell’arte locale, DePieri e Pasqualotto (scompaiono rispettiva-mente nel 1751 e nel 1755); di lì a poco, ini-zieranno la propria vicenda artistica i deco-ratori di fine secolo – Giacomo Ciesa, PaoloGuidolini e David Rossi. Nel mezzo prose-gue ancora la grande avventura tiepolesca,gli affreschi in ville e palazzi, le pale d’altare,ultimi fuochi d’artificio di una stagione irri-petibile. Il sipario si apre, attorno alla metà del secolo,con gli epigoni di Tiepolo e Piazzetta, che de-clinano in forme personali ma tendenzialmen-te accademiche l’insegnamento dei capiscuo-la, lasciando intravvedere le prime avvisagliedi quella razionalizzazione dei motivi e delleforme che segnala l’avvio dei nuovi tempi. Francesco Zugno (1709-1787), forse il piùstretto seguace tiepolesco, offre una buona

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prova nella pala con gli Arcangeli Michele eGabriele per la chiesa di San Giacomo a Lu-siana, ritrovata da Saccardo, il quale ne hapotuto inoltre documentare la realizzazioneagli anni 1748-1749154. La lezione tiepolesca sistempera in un tono di sentimentalismo le-zioso, dall’impostazione abborracciata, im-mersa in un delicato paesaggio: come osser-vato da Pallucchini, “le sue figure, per lo piùalte e sottili, sono mosse da un ritmo elegan-te che le piega in una cadenza da balletto.Prezioso colorista, lo Zugno addolcisce i ro-busti effetti coloristici del suo maestro in unaricerca di accordi di una raffinatezza quasiestenuata, realizzata con viraggi di ombre li-vide, verdastre e violacee”155.L’onda lunga dell’accademia piazzettesca la-scia invece testimonianze di un certo pesoper mano di Giuseppe Angeli (1712-1798)156.La prima commissione è, probabilmente,quella della pala con I santi Valentino, Anto-nio da Padova e Gaetano da Thiene per l’ar-cipretale di Bagnolo di Lonigo, verosimil-mente realizzata verso il 1744-1745 su com-missione di Chiara Pisani Moretta157, la qualenello stesso giro d’anni aveva già incaricato ilpittore di alcuni soffitti per il proprio palazzoveneziano: un’opera puramente devozionaleche lega tre santi in un paesaggio senza con-torni, riscattati da una stesura pastosa e datinte morbide e argentee.Di maggior impegno l’Ultima Cena per lachiesa dei Santi Cristoforo, Quirico e Giulittanella vicina Lonigo, datata 1749 e forse ese-guita grazie alla mediazione di Giovanni So-ranzo158: la scelta del tema ha costretto il pit-tore a una particolare soluzione per impagi-nare l’episodio in verticale. Il risultato, di no-tevole effetto, si impernia sulla tavola roton-da attorno alla quale sono seduti gli apostoli,con una ripresa leggermente laterale chespinge la figura spiritata di Cristo fuori asse,evitando una rigida centralità. Fulcro lumi-noso è la candida tovaglia di lino, che marcail contrasto chiaroscurale con il primo pianoportando l’attenzione sui volti degli apostoli,atteggiati secondo i canoni consueti delle ‘te-ste di carattere’ piazzettesche. Unico perso-naggio in piedi è Giuda, la cui espressionescura e pensosa si rivolge direttamente al-

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costante attenzione il mondo ‘reale’: dame ecavalieri in passeggiata, le famiglie dei con-tadini, la folla di maschere ipnotizzate dallalanterna magica: un mondo spesso volto innotazione umoristica, senza mai tradursi, pe-rò, in caricatura grottesca. Capovolgendoper così dire il cannocchiale, Giandomenico èpassato dalle divinità sideree delle creazionipaterne alla realtà quotidiana della città edella campagna, rivelandola come degna dipari interesse: “da osservatore di genere sifece creatore di un mondo altrettanto incan-tato quanto quello del padre”148.L’universo della Valmarana si qualifica, quin-di, come un microcosmo, un prisma capace diaccogliere e riflettere i sogni di un’intera ci-viltà. È impossibile non lasciare la parola, ancorauna volta, all’analisi acutissima con la qualeMariuz riassume l’opera di Giambattista:“Su queste pareti invece, egli evoca un mon-do che non rinvia al di là di se stesso, ma pro-lunga indefinitamente la propria eco nellasfera della sensibilità. È questo il momentoin cui l’arte tiepolesca manifesta, attraversolo schermo della favola poetica, il suo signifi-cato autentico, la sua segreta ragion d’esse-

re: un’operazione di tecnica sublime che pro-duce sogni, a consolazione di chi ha perdutosecolari certezze e sa che fuori di quel giar-dino di Armida si stendono i deserti dellastoria. Solo nell’immutabile presente dellapittura, infatti, si concede che Enea resti aCartagine e Rinaldo indugi per sempre sullasoglia dell’amoroso giardino: ben diverso,come si sa, è lo svolgimento della vicenda.Rimane la coscienza di questo scarto, rifles-sa nell’aura malinconica, patetica, che per-vade le composizioni: un patetismo che as-sieme alla raffinatezza estrema del linguag-gio pittorico lascia trasparire la consapevo-lezza, attinta da Tiepolo in questo momento evalutabile come un approdo estremo della ci-viltà rococò, che la felicità dispiegata nellafinzione artistica sostituisce una felicità im-probabile nella vita”149.Oggi parleremmo di escapismo, per descri-vere con termine moderno una fuga dalla re-altà nel sogno consolatorio della finzione, eforse proprio per questo il ciclo della Valma-rana è, tra quelli tiepoleschi, il più accostabi-le e il più vicino alla nostra sensibilità, esitoeccezionale di quella malinconica “nostalgiaper una meravigliosa realtà impossibile”150.

12. Francesco Natali, Quadrature dello scalone, affresco. Vicenza, palazzoPorto-Breganze.

45. Giuseppe Graziani, Quadrature con finte statue e putti in volo, affresco.Bassano del Grappa (Vicenza), Ca’ BelegnoErizzo.

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patetismo languoroso, dovette risultare diqualche interesse almeno per il coetaneo Cle-mente Muzzi (1712-1775), una di quelle figu-re tutte settecentesche di aristocratici deditialle arti, che ebbe però importanza, a Vicen-za, se non altro per aver contribuito a quella“Accademia pubblica del Nudo”, nel conven-to già dei somaschi di San Giacomo, promos-sa da Paolo Guidolini164. Poche le opere rima-ste, tra le quali la Nascita del Battista per lachiesa dedicata al santo omonimo di Monte-bello, secondo Maccà risalente al 1759165, in

cui il debito con De Pieri si compone in un so-brio accademismo, e l’Assunta per la parroc-chiale di Carmignano di Brenta, forse di unadecina d’anni posteriore, nella quale pare dicogliere più di qualche suggestione dai lavo-ri di Angeli. Negli stessi anni si misura, ancora una volta,l’apporto eccezionale di Giambattista Tiepo-lo, la cui produzione non si limita all’attivitàfreschiva: mentre è impegnato in villa Valma-rana e nei palazzi Trento e Porto, il venezia-no trova il tempo di licenziare due ultimi ca-

polavori d’arte sacra nel territorio, quasi untestamento spirituale per quello che è statodefinito “l’ultimo grande pittore di visioni sa-cre, che può essere paragonato, per la subli-mità degli esiti in questo campo specifico, so-lo con i musicisti del suo tempo, quali Hän-del, Vivaldi, lo stesso Bach”166.Attorno al 1756, su commissione di VincenzoThiene ed Elisabetta Conti, Tiepolo dipingela pala raffigurante San Gaetano da Thieneper la parrocchiale di Rampazzo167. Il model-lo di riferimento, come notato da Pallucchi-

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l’osservatore, quasi uno sguardo di amaraconsapevolezza degli eventi a venire.A Vicenza, infine, per la chiesa dei Santi Fi-lippo e Giacomo Giuseppe Angeli dipinge unapala con San Girolamo Miani di fronte allaMadonna con il Bambino: la commissioneda parte dei somaschi di un’opera dedicata alsanto fondatore segue di poco la sua canoniz-zazione (1747), precisandosi tra le date 1748-1751159. È interessante che l’ordine religiososi sia rivolto al medesimo pittore tanto a Vi-cenza che a Venezia: proprio nel capoluogolagunare Angeli aveva realizzato infatti unSan Girolamo Miani di fronte al Crocifissoper la chiesa dell’Ospedaletto, datato 1748,

che rappresentò la sua prima vera sortita inpubblico. Si può capire la predilezione accor-datagli, dato che il soggetto richiedeva un ac-cento di patetismo oleografico, in particolareper le figure dei trovatelli, cui lo stile del pit-tore risponde bene, avvalendosi di cromie daltono dimesso e di una caratterizzazione chesfuma già in una retorica da diseredati.Un esito non troppo dissimile permea la palaraffigurante Cristo consegna le chiavi a sanPietro (Bassano, duomo di Santa Maria inColle)160, una delle poche opere sacre soprav-vissute di Giuseppe Nogari (1699-1763), allie-vo di genio della scuola di Balestra, ben piùnoto per i ritratti e le “mezze figure” di mar-

ca piazzettesca. L’intonazione languida, ac-cordata su tinte pastello e un’intima infles-sione sentimentale si riannoda agli esiti de-vozionali propugnati dagli epigoni di Piazzet-ta, una grazia soffusa da una morbida om-breggiatura che giustifica il giudizio di“Rembrandt tombè dans la porcelaine” for-mulato sul pittore dai fratelli Goncourt161. Ladatazione della pala, anticipata da Pallucchi-ni al quarto decennio, trova miglior colloca-zione negli anni Cinquanta162, ed esemplificaquella “egregia maniera, tenera, pastosa, va-ga e naturale” riconosciutagli da Guarienti163.Il piazzettismo ‘addomesticato’ di GiuseppeAngeli, disossato nelle tinte ma caricato di

25. Giambattista Tiepolo, La Concordiamaritale, affresco. Biron di Monteviale(Vicenza), villa Loschi.

27. Giambattista Tiepolo, Il trionfo della Gloria annunciata dalla Fama,affresco. Biron di Monteviale (Vicenza),villa Loschi.

26.Giambattista Tiepolo, La Superbia e l’Umiltà, affresco. Biron di Monteviale(Vicenza), villa Loschi.

28. Giambattista Tiepolo, La famiglia di Dario davanti ad Alessandro, affresco.Montecchio Maggiore (Vicenza), villaCordellina.

29. Giambattista Tiepolo, La continenzadi Scipione, affresco. MontecchioMaggiore (Vicenza), villa Cordellina.

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ni168, è il quadro di Solimena nella chiesa diSan Gaetano, del quale il pittore mantienel’aspetto ieratico e solenne, azzerando al con-tempo la forza di gravità che rendeva solidae pesante la figura: e la conseguenza è che ilsanto pare libero di spostarsi nell’aria comeuna vela al vento. La leggerezza che caratte-rizza l’immagine trova il suo corrispondentenella mobilità luminosa e cromatica, un pen-nello vivacissimo che s’impenna nella descri-zione della chiesa in costruzione nel fondo:eccezionale brano narrativo che appare “inlontananza, come si mostrasse attraversouno squarcio della nuvola: un vivido insertovedutistico, schizzato con lo stesso spirito di‘verità’ dei mirabili disegni di architetture epaesaggi, che Giambattista cominciò a ese-guire proprio in questi anni”169.Quasi un lustro più tardi, verso il 1760, si po-ne la realizzazione de I santi Rocco e Seba-stiano per la chiesa parrocchiale di NoventaVicentina, probabilmente su commissione di

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Marc’Aurelio Rezzonico, che l’anno prece-dente aveva acquistato, in zona, la villa giàdei Barbarigo170. Tiepolo si è premurato, inossequio all’orientamento stilistico prevalen-te, di caratterizzare a fondo il patetismoespressivo dei due giovani santi, “la cui bel-lezza si direbbe affinata dalle sofferenze pa-tite”171. Semplificando al massimo l’assettocompositivo, ha potuto concentrare la com-ponente devozionale, riducendone però l’im-patto retorico; ciò che è ben evidente nella fi-gura di san Sebastiano, che “ha il pathosstruggente degli eroi moderni della Valmara-na ai Nani: Medoro, Rinaldo. Solo che, diver-samente da quelli, egli è ormai oltre l’adole-scenza; e la passione amorosa si è convertitain compassione. Il suo sguardo commossonon si rivolge a qualche eroina fiabesca, ben-sì a una povera vecchia paralitica, portatasifin là con il suo rustico carriolo, il volto semi-nascosto dal fazzoletto: una trovata sottile,questa, per consentire all’osservatore d’im-

maginare, piuttosto che vedere, l’intensitàdel suo trasporto devoto”172.Anche il figlio Giandomenico lascia qualcheprova nell’ambito della produzione sacra, ne-gli anni che si scalano attorno la decorazionedella Valmarana e di palazzo Porto, riutiliz-zando i modelli paterni ma infondendovi unadiversa caratura espressiva. È il caso degliscomparti per il tabernacolo dell’altar mag-giore in Santo Stefano, già commissionati nel1752 ma completati solo verso la fine del de-cennio, nei quali l’uso del monocromo a fintorilievo è al servizio di una nobilitazione clas-sicheggiante, ancora in chiave rococò173; o,ancor più, della pala con la Decollazione delBattista, già in collezione Monza (oggi Vicen-za, Museo Civico), per la quale il giovane Tie-polo ha visibilmente tenuto presente le duediverse redazioni del Martirio di sant’Agatarealizzate da Giambattista, ricalcando nelvolto del martire l’espressione di sofferenzaestatica della santa, ma con un sottile seppurnotevole scarto compositivo: come notato daAdriano Mariuz, “non è senza importanzach’egli rifiuti la ripresa da un punto di vistaribassato, adottata da Giambattista in en-trambi i dipinti con il Martirio di sant’Aga-ta. In tal modo viene meno lo scatto monu-mentale, che caratterizza le composizioni pa-terne: Giandomenico sembra essersi preoc-cupato di promuovere l’osservatore da spet-tatore a testimone, portandolo allo stesso li-vello della scena”174.Come nella prima metà del secolo, il pendolodelle presenze ‘foreste’ oscilla alternativa-mente tra Venezia e Verona, portando con sé,nel suo movimento di ritorno, lavori di en-trambi i versanti.Dal lato veronese, la prima presenza è proba-bilmente quella di Giambettino Cignaroli(1706-1770), forse all’interno del quinto de-cennio con la piccola tela in San Gaetano175, enel 1755 con la pala, lodatissima, già nellachiesa vicentina dei Gesuiti (oggi al MuseoCivico), raffigurante la Vergine con il Bam-bino e i santi Luigi Gonzaga e Ignazio176.L’opera è espressione della migliore accade-mia veronese, marcata da stacchi netti ditimbri freddi, studiatamente accostati, comeil nero assoluto della tonaca di sant’Ignazio

30. Giambattista Tiepolo, Il trionfo della Verità sull’Errore. Vicenza, palazzoTrento-Valmarana, soffitto del salone(affresco distrutto).

31. Giambattista Tiepolo e GirolamoMengozzi Colonna, Il Sacrificio di Ifigenia, affresco, particolare. Vicenza, villa Valmarana, palazzina.

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contro il rosso lacca di garanza del drapposteso a terra, quasi una colata di colore rap-preso. Cignaroli mette in campo un bagaglioeterogeneo di spunti e influenze, dal realismodel volto di sant’Ignazio, ombreggiato dal se-gno della barba, al profilo nobile ed elegantedi san Luigi, alla bellezza allungata della Ver-gine, il cui volto marcatamente ovale dallepalpebre abbassate sembra riprendere quel-lo dell’Immacolata tiepolesca, affinandolo einfondendovi una grazia ideale a metà traRaffaello e Correggio. Pur all’interno diun’incorniciatura architettonica magnilo-quente, la scena è pervasa da una tonalitàsentimentale quasi domestica, che si esplici-ta nel gesto affettuoso del Bambino che acca-rezza la testa di san Luigi. Il modello di perfezione levigata di Cignarolisi rinviene, in tono minore, nell’Estasi di SanGiuseppe da Copertino di Felice Boscarati(1721-1807) già sull’altare della famigliaGualdo nella chiesa francescana di San Lo-renzo (ora spostato a metà della navata, sul-la parete sinistra; al suo posto si trova la Ver-gine con il Bambino e san Pio V di Giannan-tonio Fumiani, proveniente dalla chiesa vene-ziana del Corpus Domini)177. L’altare venne“rinnovato” nel 1762; un lustro più tardi Cle-mente XIII canonizzò il santo: è probabileche l’esecuzione vada posta attorno a questedue date. Nel campo dell’arte storica e sacra, in questomomento, non vi sono autori ‘indigeni’ in gra-do di reggere il confronto con quanto si pro-duce fuori Vicenza: tanto Ludovico Buffettiche Michelangelo Uliaco sono poco più chediscreti mestieranti, e Gaetano Costalonga,autore di una copia nella parrocchiale di Za-nè da un’opera scomparsa di Pittoni178, delquale si dice fosse stato allievo, è ricordatoquasi solo per aver lavorato assieme all’orna-tista David Rossi nel castello Porto ColleoniThiene a Thiene, svanendo nel confronto.Tra le poche prove degne di nota vi è il Mar-tirio di san Clemente che Giacomo Ciesa(1733-1820) dipinge per la parrocchiale di Val-dagno179, nel 1777-1778, nel quale sfida la com-postezza dell’incipiente neoclassicismo (magià il profilo da medaglia dell’angelo che reg-ge il calice preannuncia il nuovo corso), alle-

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stendo una vivida composizione di ritmo ter-nario: dal movimento rotatorio di angeli echerubini attorno allo scoglio, alla ieraticitàdel santo legato all’ancora, all’apparizionedella Fede sulle nubi, il tutto animato da unavivacità di pennello e da accensioni sulfureenei gialli, nei verdi bottiglia, nei rosa polvere.L’opera si pone tra i migliori raggiungimentidi Ciesa, la cui attività, prolifica ma spesso di-scontinua, contempla una variegata serie dilavori (molti dispersi o distrutti) per chiese,ville e palazzi, tanto su tela che ad affresco.Si vorrebbe conoscere qualcosa di più, infine,del vicentino Francesco Boldrin (1762-1825),‘protetto’ di Canova a Roma (ove si fermò astudiare negli anni 1785-1791) grazie alla me-diazione e ai buoni uffici di Francesco Pomè.Personaggio dal carattere discontinuo e in-temperante, tanto verso i committenti che lacerchia di amici, terminò la carriera tra Mila-no e Verona, destreggiandosi tra la pitturastorica e allegorica e la forse più lucrosa atti-vità di restauratore di opere antiche; in loco,tranne un paio di malandate pale d’altare se-gnalate da Saccardo e il noto quadrone conl’Apoteosi di Palladio e Calderari non sem-bra essere rimasto alcunché.L’attività decorativa nelle ville e nei palazzicontempla, a partire dal settimo decennio, lastessa eterogeneità che connota la produzio-ne sacra, affiancando alle prove dei ‘locali’Ciesa, Guidolini, Rossi, Scajario presenze diambito tanto veneziano che veronese.Da Verona proviene Giorgio Anselmi (1722-1797), il quale opera in zona a più riprese,portandovi il suo classicismo monumentale dimaniera, temperato da garbati richiami roco-cò desunti, si direbbe, soprattuto da Pittoni.L’autore è chiamato nel 1758 a Vicenza ad af-frescare due sale di palazzo Valmarana Salvi,con tematiche mitologiche (Venere e Marte)celebrative del matrimonio tra Giuseppe Sal-vi e Giulia Valmarana, anche se l’interventodi tono maggiore è quello dello scultoreFrancesco Uliaco, che nella stessa occasionerealizza i bassorilievi con storie della Geru-salemme Liberata tratta dalle fortunate inci-sioni dell’edizione Albrizzi, su disegni diPiazzetta180.Alcuni anni dopo, verso il 1765, Anselmi si

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32. Giambattista Tiepolo, Rinaldoabbandona Armida, affresco. Vicenza, villa Valmarana, palazzina, stanza della Gerusalemme Liberata.

34. Giambattista e Giandomenico Tiepolo, Angelica e Medoro si accomiatanodai contadini, affresco. Vicenza, villaValmarana, stanza dell’Orlando Furioso.

33. Giambattista Tiepolo, Angelica cura Medoro, affresco. Vicenza, villa Valmarana, palazzina, stanzadell’Orlando Furioso.

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porta a Bassano per il salone di palazzo Fer-rari181, ove la vasta decorazione ad affrescotocca tutti i registri, dall’epos movimentatodella Caduta dei Giganti nel soffitto del salo-ne a più aggraziate scenette di mitologia ga-lante; due anni più tardi, ancora a Bassano,realizza la volta della parrocchiale di San-t’Eusebio. Un paesaggismo arcadico di maniera, tempe-rato e regolarizzato alle nuove istanze di ra-zionalismo illuministico, connota un altro in-tervento decorativo di marca ‘veronese’, an-cora nel 1765, in villa Trissino Marzotto aTrissino, dove Tommaso e Andrea Porta di-spiegano un repertorio di genere, gradevolema ripetitivo, già ampiamente utilizzato neiloro vasti interventi nel territorio scaligero,con l’eccezione di puntuali riprese vedutisti-che – il paese di Trissino, il castello di Mon-tecchio – singolarmente inusuali nel catalogodei pittori182.Si può invece far risalire al 1763 la presenzadi Jacopo Guarana (1720-1808) e GirolamoMengozzi Colonna (1688-1774?) in palazzoPorto Breganze, in occasione del matrimoniotra Antonio Maria Porto e Giulia Trissino, ce-lebrato il 26 aprile di quell’anno183: la temati-ca degli affreschi della prima stanza (unTrionfo di Flora, o forse un’Aurora) e la de-stinazione ad alcova della stanza successivanon sembrano lasciare dubbi sull’intento ce-lebrativo delle decorazioni. Il primo ambiente, contiguo a quello affre-scato da Galeotti con il Trionfo della Virtùsull’Invidia, presenta una volta a padiglioneribassato modellata da stucchi di ottima fat-tura, che creano un cornicione aggettante sucui poggiano, ai quattro angoli, figure di put-ti a tutto tondo reggenti lembi di stoffa. Laquadratura accentua l’effetto illusivo dellavolta, con edicolette e figure allegoriche infinto stucco. “L’opera si caratterizza nel suocomplesso per una generale tendenza allastilizzazione nella resa illusionistica dei ma-teriali, che si riducono al solo marmo bianco,a limitate specchiature blu e al finto bronzodi alcuni elementi decorativi”184: proprio ilcontinuo rincorrersi di queste siglette rococòin finto bronzo viene a confermare una data-zione ancora all’inizio degli anni Sessanta,

36. Giandomenico Tiepolo, La famiglia dei contadini a mensa, affresco. Vicenza, villa Valmarana, foresteria, sala delle scene campestri.

37. Giandomenico Tiepolo, L’indovinocinese, affresco. Vicenza, villa Valmarana,foresteria, stanze cinesi.

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echeggiava nella struttura e nella scelta deisoggetti (Storie di Ercole, in monocromo) ilprimo ordine del proscenio del Teatro Olim-pico, come a suo tempo notato da Barbieri187.Tra gli interpreti principali in tale stile ha unruolo di spicco Francesco Lorenzi (1723-1787), alla cui fortuna vicentina dev’esserestato di qualche aiuto l’accompagnarsi alquadraturista Paolo Guidolini. Oltre a unapala con la Madonna con il Bambino e i san-ti Vito, Modesto e Crescenzia per la parroc-chiale di San Vito di Leguzzano, realizzataattorno al 1773188, di stretta adesione tiepole-sca, Lorenzi lascia una serie di affreschi tan-to nel territorio (in villa da Porto a Dueville,nel 1775-1776, distinti – all’interno di un ap-parato classicizzante – da “una cifra più ag-graziata e briosa di sapore ancora rococò”189)quanto in città, a partire probabilmente dalmonocromo raffigurante l’Europa riceve tri-buti dall’America, in palazzo Leoni Monta-nari, passando per gli importanti interventinei palazzi Pojana (perduti, ma parzialmenterintracciati sotto lo scialbo durante l’ultimorestauro) e Godi Nievo (1774 c.)190. Quest’ulti-ma decorazione, ricordata da Baldarini comeopera della coppia Lorenzi e Guidolini, ri-prende il modello della galleria tiepolesca inpalazzo Marchesini Valle, con finte statuestagliate contro un loggiato illusivo; i sogget-ti rinviano alla funzione della sala, che ospita-va l’Accademia Filarmonica.Nel solco del medesimo gusto si possono ri-cordare ancora gli affreschi di GiambattistaCanal (1745-1825), piuttosto rovinati, nellabarchessa e nella cappella di villa Cornaro aRomano d’Ezzelino, circa 1772-1778191.In palazzo Roberti a Bassano del Grappaopera invece, nel 1779, l’asiaghese GiovanniScajario (1726-1792)192, distribuendo lungo lepareti scene della vicenda di Antonio e Cleo-patra, un best seller del catalogo tiepolesco.Lodato da Verci per la “ricchezza e leggia-dria nell’invenzione, esattezza nel disegno,vivacità, e delicatezza nel colorito”193, traspo-sto in effetti di grafismo insistito e di lucidi efreddi cromatismi, Scajario è autore di untiepolismo mediato da Francesco Zugno, quiben evidente: i brani figurali, infatti, “si rive-lano connessi con gli affreschi dello Zugno

già in villa Soderini a Nervesa, di cui offronouna versione un po’ naïf, quasi da miniatura,pur nella persistenza del gusto per messin-scene ricche di particolari”194.La progressiva assimilazione di un nuovo sti-le, improntato a chiarezza, razionalità e gu-sto antiquario, nel solco di quel “classicismodei cammei” che viene affermandosi nell’ot-tavo-nono decennio del secolo, si coglie ap-pieno nella vasta opera ad affresco del castel-lo Grimani a Montegalda, portata a termineda Andrea Urbani (1711-1798) nel 1780-1782.È una decorazione di carattere già moderno,adeguata a spazi che rispecchiano l’interesseper una più intima, domestica comodità, cuil’ornato si piega di buon grado, semplifican-do le partiture architettoniche e riducendol’esuberanza esornativa del rococò, mante-nendo peraltro gustosi inserti esotici o stra-vaganti: come ha osservato Riccardo Dome-nichini, “Dell’Andrea Urbani di sempre nonscompare l’ironia, la divertita invenzione didettagli bizzarri disseminati qua e là: gli in-setti che si aggirano fra le candelabre dellaStanza delle Grottesche, i buffi cortei ma-scherati della Stanza Cinese, il coniglietto egli uccelli variopinti appollaiati sulle grotte-sche nella Stanza di Diana e Anfitrite o igrassi coccodrilli in riva al mare nella Stanzadelle Prospettive”195.L’attività decorativa a Vicenza, negli ultimidue decenni del secolo, trova i suoi interpre-ti precipui in Paolo Guidolini (1741-1798) eDavid Rossi (1744-1820), specialisti nellequadrature e nell’ornato (Guidolini, standoalle fonti, aveva studiato con Mengozzi Co-lonna; Rossi diverrà, grazie ai buoni uffici diAntonio Canova, professore di prospettivaall’Accademia veneziana); il figurista di rife-rimento con cui l’uno e l’altro si troveranno acollaborare fu Giacomo Ciesa, non sempre, inverità, all’altezza della situazione.Un cantiere che vede riunito il terzetto diartisti al completo è quello di palazzo Cor-dellina, sorto sopra il complesso della chiesae del convento dei Gesuiti all’indomani dellasoppressione della Compagnia (1773), fattoerigere dall’avvocato Carlo Cordellina. Que-sti lascia Venezia nel 1791 e si trasferiscenel palazzo vicentino, morendovi di lì a poco,

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nel 1794. Pur avendo subìto gravi danni du-rante la seconda guerra mondiale, tra cui laperdita del soffitto alla sansovina del salone,con tele di Ciesa, molti degli affreschi sonoancora leggibili. La data 1784 si trova in-scritta nel soffitto di una sala, ma indubbia-mente i lavori dovettero proseguire perqualche anno. Vi si ritrova tutto il campiona-rio, dai fregi con scene monocrome di trion-fi alle delicate grottesche con piccoli insertidi vedute di fantasia; dalle finte statue in-nalzate su piedistalli, fiancheggianti archi ditrionfo, al motivo neoclassico ‘a ombrello’nei soffitti.Se in città il duo Guidolini e Ciesa opereràpoi anche nel salone di palazzo Thiene Bo-nin Longare, una delle soluzioni di più pia-cevole effetto è senz’altro quella messa inopera in villa Franceschini ad Arcugnano,firmata e datata 1790196. Vi si ritrova il tipi-co “gusto neoclassico di transizione, con so-luzioni nel genere del «classicismo dei cam-mei», dal medaglione, ai fregi ercolanesi, aimotivi di grottesca, dipinti sovente sul fon-do color rosso pompeiano”197; medaglionicon motivi a finto rilievo sono puntualmen-te ripresi dalle acqueforti di GiambattistaTiepolo I Capricci, che subiscono anch’esseun processo di ‘archeologizzazione’, mentregustosi Putti cacciatori completano su unanota di sottile umorismo questo universo‘diminutivo’.Un’interessante accostamento di monocromiin finto rilievo sui toni del grigio, raffiguran-ti trofei e scene mitologiche, e l’ovale in colo-re nel soffitto con la Caduta di Fetonte con-nota poi la decorazione di Villa Capra a Sar-cedo, realizzata ancora da Ciesa e Guidolini auna data prossima al 1790 degli affreschi diArcugnano198.All’incirca allo stesso anno risale anche l’in-tervento del padovano Costantino Cedini(1741-1811) in villa Fracasso a Sarmego, ri-conosciutogli da Pavanello199, ove l’ampia de-corazione ad affresco segna in maniera pe-rentoria la fase di transizione verso il lin-guaggio neoclassico internazionale, marcan-do ancora una volta la compresenza del piùconsueto repertorio tardobarocco con ordi-nati impianti ornatistici di gusto classicheg-

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16. Giuseppe Angeli, Ultima Cena, tela.Lonigo (Vicenza), chiesa dei Santi Quiricoe Giulitta.

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17. Giambattista Tiepolo, San Gaetano in gloria, tela. Rampazzo (Vicenza),chiesa parrocchiale.

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pur nell’ordinata e rarefatta distribuzionedegli ornati e nella presenza dei quattro me-daglioni in monocromo rosa con teste virili.Le poche figure al centro del soffitto sembra-no confondersi con la nuvolaglia da cui sonoavvolte, e che invade illusivamente la cornicecon la punta del cirro realizzata in stucco di-pinto185.Il vasto raggio di influenza del tiepolismodecorativo, che si estende, in forme semprepiù ibride ed estenuate, fin verso la fine delsecolo, giunge – e non sorprende – anche aVicenza.Il primo e forse più ‘naturale’ intervento èquello di Giandomenico Tiepolo, che nel 1773realizza gli affreschi del palazzo cittadino diGaetano Valmarana, purtroppo strappati neldopoguerra e pervenuti in collezioni priva-te186. Il complesso, realizzato a ridosso dellenozze di Gaetano con Elena Garzadori,

giante.La rassegna si può chiudere, almeno ideal-mente, con la grande tela raffigurante l’Au-rora che Domenico Pellegrini (1759-1840) –sodale di Antonio Canova e celebre ritratti-sta – dipinse nel 1796, di ritorno dal sog-giorno a Londra, per la villa bassanese delsenatore Abbondio Rezzonico. Priva delleali, filiforme e avvitata come una modelladéco, l’immagine possiede la grazia sorri-dente e leggera delle danzatrici canoviane:ultima riproposta del simbolo, così diffusonelle decorazioni barocche, dello splendorefamiliare, di un nuovo giorno ricco di pro-messe e di glorie, destinato a infrangersimiseramente di lì a poco con la caduta dellaSerenissima e di tutto ciò che quel mondorappresentava. Rimane, a testimonianza,soltanto quella figura priva di peso, comesospesa da un alito di vento in una giornatachiara; più che salutare l’alba dei tempi nuo-vi, si direbbe che essa incarni l’eterna giovi-nezza di tutta una civiltà, pittorica primaancora che politica o sociale, fissata persempre nella sua bellezza imperitura comeuna farfalla appuntata nella teca.

1 Il documento è riportato in F. Tomasini, Genealogie Vi-centine, Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza (=BCBVi), ms. (1703 c.), cc. 24-25; trascritto anche da G.Marasca, M. Muraro, Campiglia dei Berici. Storia diun paese veneto, Albignasego 1980, pp. 112-115. La sup-plica porta la data del 19 febbraio 1700, ma è probabile,essendo compilata a Venezia, che sia da intendere moreveneto. I Repeta erano di origine veneziana, anche se neldocumento si dichiarano “soli rappresentanti in Vicenza,e Vicentina la famiglia stessa”.Nella risposta del “nodaro” Fiorelli si precisa: “un Pa-lazzo eretto nel luoco del destrutto Castello pur di Cam-piglia”. Si tratta, ad evidenza, della villa originariamen-te progettata da Andrea Palladio, ricostruita poi nel1672 in seguito ad un probabile incendio.2 V. Gonzati, Notizie segrete intorno la famiglia Gonza-ti, compilate da V. Gonzati a solo uso de’ suoi figliuoli ediscendenti, BCBVi, ms. Gonz. 27.4.64 (3232), cc. 92sgg.; citato in R. Menegozzo, Nobili e Tiepolo a Vicenza.L’artista e i committenti, Vicenza 1990, p. 19.Un detto popolare dell’epoca riassume icasticamente lasituazione: “No ga Venezia tanti gondolieri, quanti Vi-cenza conti e cavalieri” (J. Cabianca e F. Lampertico,Storia di Vicenza e sua provincia, II, Vicenza 1975, p.884).3 Sull’argomento si rinvia principalmente a C. Povolo,Centro e periferia nella Repubblica di Venezia, in Ori-gini dello Stato, a cura di G. Chittolini, A. Molho, P.Schiera, Bologna 1994, pp. 207-221; S. Lavarda,“Percausa del Palio”. Note su di una sedizione nella Terra-

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18. Giambattista Tiepolo, I santi Rocco e Sebastiano, tela. Noventa Vicentina(Vicenza), chiesa parrocchiale.

46. Giambettino Cignaroli, La Vergine con il Bambino, san Luigi e sant’Ignazio,tela. Vicenza, Museo Civico.

19. Giacomo Ciesa, San Clemente martire,tela. Valdagno (Vicenza), duomo.

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ferma veneta del Seicento, “Storia di Venezia”, II, 2004,pp. 61-77; Id., Per morto s’abbia quanto alla mia eredi-tà, in L’amministrazione della giustizia penale nellaRepubblica di Venezia (secc. XVI-XVIII), a cura di G.Chiodi, C. Povolo, II, Verona 2004, pp. 527-585; Id., Ban-ditry and Social Identity in the Republic of Venice. Lu-dovico da Porto, his Family and his Property (1567-1640), “Crime, Histoire & Sociétés”, XI, 1, 2007, pp. 55-82.4 La sola bottega di Carpioni produce qualche epigono,anche se in generale di non eccelso livello qualitativo ecomunque confinati entro una cultura prettamente sei-centesca, come Giovanni Cozza, Giuseppe Tomasini, Ni-cola e Marc’Antonio Miozzi: si veda, sulla questione, M.Binotto, Vicenza, in in La pittura nel Veneto. Il Seicen-to, I, Milano 2001, pp. 300-301.5 L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal Risorgimen-to delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, III,Bassano 1809, p. 232.6 Si rimanda, per una rapida panoramica, ai diversi in-terventi contenuti nel volume La scultura a Vicenza, acura di C. Rigoni, Vicenza 1999. Si veda inoltre: OrazioMarinali e la scultura veneta tra Sei e Settecento, cata-logo della mostra (Vicenza, palazzo Thiene), a cura di M.De Vincenti, S. Guerriero, F. Rigon, Venezia 2002; M. DeGrassi, Giacomo Cassetti e l’eredità dei Marinali, in Lascultura veneta del Seicento e del Settecento: nuovi stu-di, a cura di G. Pavanello, Venezia 2002, pp. 337-411; F.Lodi, Giovanni Merlo, in Scultura in Trentino. Il Sei-cento e il Settecento, a cura di A. Bacchi e L. Giacomelli,Trento 2003, pp. 196-203; M. De Vincenti, “Domino Ho-ratio et Fratelli Marinali bassanesi, illustri scultoridella città di Venezia, “Arte Veneta”, 63, 2006, pp. 97-121. Una sintesi sulle decorazioni a stucco nei palazziprivati vicentini del XVIII secolo si trova in F. Barbieri,Scultori e stuccatori di Lombardia nella Vicenza delSettecento: un ciclo illustrativo della Gerusalemme Li-berata, in Artisti lombardi e centri di produzione ita-liani nel Settecento […] Studi in onore di Rossana Bos-saglia, a cura di G.C. Sciolla e V. Terraroli, Bergamo1995, pp. 25-32.7 Sul palazzo: S. Rumor, Il palazzo della Banca d’Italia,Vicenza 1887; F. Barbieri, Vicenza città di palazzi, Vi-cenza 1987, pp. 135-136, cat. 2. Si vedano anche le osser-vazioni di M. Brusatin, Venezia nel Settecento. Stato Ar-chitettura Territorio, Torino 1980, pp. 265-266. La data1711 è inscritta in facciata; un appunto documentariorintracciato da Mario Saccardo rivela che qualche lavo-ro di completamento venne realizzato ancora l’anno suc-cessivo (M. Saccardo, Notizie d’arte e d’artisti vicentini[1981], Udine 2007, p. 449, nota 51bis. Per comodità si èutilizzata la presente edizione, che ricalca l’originale del1981, uscita soltanto in copia dattiloscritta, avvertendoche, purtroppo, essa è funestata da svariati errori distampa.) 8 Descrizione delle Architetture, Pitture, e Scolture diVicenza, con alcune Osservazioni, [a cura di P. Baldari-ni, L. Buffetti, E. Arnaldi, O. Vecchia], Vicenza 1779, II,p. 90. Si veda in proposito l’osservazione di G. Pavanel-lo, La statuaria veneta da giardino: una traccia, inFrancesco Robba and the Venetian Sculpture of the Ei-ghteenth Century, Papers from an International Sympo-sium (Ljubljana, 16th – 18th October 1998), edited by J.Höfler, with assistance of N. Golob, M. Klemencic and S.Stefanac, Ljubljana 2000, p. 225: “Sempre nel corso de-gli anni trenta si riscontrano nuove tematiche allegori-che: lo sono i cinque “Sensi” posti a ornare lo scalone divilla Giovanelli a Noventa Padovana. Come in altri com-

plessi statuari, più artisti concorrono all’impresa. Inter-vengono qui Antonio Tarsia (responsabile dell’Odorato edel Gusto), Antonio Gai (gli spettano la Vista e l’Udito),Paolo e Giuseppe Groppelli, cui si devono il Tatto e laRagione, personificazione, quest’ultima, convocata a te-nere sotto controllo i Sensi: un assunto iconologico che siripropone anche in altri spazi, come nello scalone di pa-lazzo Repeta a Vicenza dove è presente un gruppo raffi-gurante La Ragione che domina il Senso, attribuito aOrazio Marinali.”9 A quella data, committente dei lavori era rimasto il so-lo Scipione: il fratello Enea era infatti morto a Veronanel 1705. Gli affreschi di Dorigny nello scalone sonomenzionati per primo da B. Dal Pozzo, Le Vite de’ Pitto-ri de gli Scultori et Architetti Veronesi […], Verona1718, p. 178. La datazione è stata tradizionalmente ri-condotta attorno al 1707 inscritto nello scalone, a parti-re da Nicola Ivanoff (Un profilo di Lodovico Dorigny,“Arte Antica e Moderna”, 22, 1963, p. 163); lo scriventeaveva in un primo tempo pensato di anticiparli di qual-che anno, attorno al 1703-1704 (A. Pasian, Per un cata-logo di Louis Dorigny, “Arte in Friuli Arte a Trieste”,18-19, 1999, p. 22). M. Favilla e R. Rugolo, Un pittore‘reale’. Riflessioni su Louis Dorigny, “Studi Veneziani”,L, 2005, p. 162 ritengono invece possa risalire a una da-

ta attorno agli anni 1710-1711, in contemporanea con gliaffreschi nel duomo di Udine e di quelli, perduti, nel con-vento di San Paolo a Treviso.10 Per l’attività vicentina si rimanda ad A. Pasian, Asteri-schi per Louis Dorigny: novità, correzioni, proposte,“Saggi e Memorie di Storia dell’Arte”, 31, 2007, pp. 180-186; Id., in Gli affreschi nelle ville venete. Il Seicento, acura di G. Pavanello e V. Mancini, Venezia 2009, pp. 409-415, cat. 108. Dorigny è attestato con sicurezza a Vicenza nel 1692: il4 settembre di quell’anno il suo nome compare infatti neiregistri della Cattedrale, come padrino di battesimo peril figlio di Francesco Borgo (A. Pasian, Asterischi…, cit.,p. 224, doc. 6).11 O. Bertotti Scamozzi, Il Forestiere Istruito delle cosepiù rare di Architettura, e di alcune Pitture della cittàdi Vicenza […], Vicenza 1761, p. 76: “Qui addietro, Si-gnore, v’è un’Oratorio detto de’ Servi; se vi piace, andia-mo che vedrete un Cristo in Croce di Monsieur du Roi-gni, ed un Cristo alla Colonna di Cornelio Dazman Olan-dese, che non vi spiaceranno”. L’opera è nominata poi daBaldarini nella Descrizione del 1779 (I, p. 93), a sinistradella cappella maggiore: “il primo quadro grande conCristo, che vien innalzato in Croce, è opera di LodovicoDorigni Francese”. Faceva parte di un ciclo di tele sul te-

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185, 228 nota 40 (con qualche precisazione cronologica edocumentaria).32 V. Piermatteo, Giovanni Maria Bertolo “Consultorein iure” della Repubblica Veneziana: profilo di un av-vocato tra professione, devozione e patrocinio delle ar-ti, “Saggi e Memorie di Storia dell’Arte”, 31, 2007, pp.312-314. La studiosa collega la commissione con una let-tera del giureconsulto, nella quale chiede alle monachedi inviargli le casse con cui aveva spedito in precedenzaaltre tele.33 V. da Canal, Vita di Gregorio Lazzarini…, cit., p. LIX.34 G. Fossaluzza, Antonio Arrigoni…, cit., pp. 171-172 .Lo studioso riferisce le opere ad una data tra la fine de-gli anni Ottanta del Seicento e l’inizio degli anni Novan-ta, allo stesso momento di quelle realizzate da Molinari.35 O. Bertotti Scamozzi, Il Forestiere Istruito…, cit., p.27.36 M. Saccardo, Arte organaria…, cit., p. 210. Nel docu-mento il nome di battesimo del pittore è indicato, conprobabile lapsus, come Francesco.37 Descrizione delle Architetture…, cit., I, p. 2.38 Ivi, p. 121. Sull’opera si vedano F. Rigon, Pittori vicen-tini…, cit., pp. 104-105; G. Fossaluzza, Antonio Arrigo-ni…, cit., p. 176. 39 Sul dipinto M. Binotto, I dipinti della chiesa dei San-ti Filippo e Giacomo di Vicenza, “Saggi e Memorie diStoria dell’Arte”, 12, 1980, pp. 98-99.40 L. Ghio, E. Baccheschi, Antonio Balestra, Bergamo1989, pp. 216-217, cat. 107; F. Pietropoli, in I Tiepolo e ilSettecento vicentino, catalogo della mostra di Vicenza,Milano 1990, pp. 80-81, cat. 2.5. Precisazioni documenta-rie sull’attribuzione a Tabacco dell’altare (nelle guide in-dicato invece come opera di Orazio Marinali) si devono aM. Saccardo, Notizie d’arte…, cit., p. 208.41 R. Pallucchini, La pittura nel Veneto…, cit., II, p. 402.Sulla figura di Francesco Aviani rimane tuttora fonda-mentale il contributo di Andreina Ballarin, FrancescoAviani, “Arte Veneta”, X, 1956, pp. 197-201; si vedano,inoltre, le schede di E. Antoniazzi Rossi, in Pinacotecacivica di Vicenza. Dipinti del XVII e XVIII secolo, a cu-ra di M.E. Avagnina, M. Binotto, G.C.F. Villa, Vicenza2004, pp. 372-374, catt. 342-343.42 Per le decorazioni citate si vedano, nell’ordine: L. Al-berton Vinco da Sesso, in Gli affreschi nelle ville venetedal Seicento all’Ottocento, testi di F. Flores d’Arcais, G.Pavanello, F. Zava, Venezia 1978, I, p. 125, cat. 6; F. Bar-bieri, Stanze vicentine, cit., pp. 107-110; C. Bombardini,in Gli affreschi nelle ville venete. Il Settecento, a cura diG. Pavanello, I, Venezia 2010, pp. 445-449, cat. 118. 43 R. Cevese, Presenze di artisti francesi in terra vicen-tina: Cherrette, L. Dorigny, F. Ménageot, in “Il se ren-dit en Italie”: etudes offertes à Andrè Chastel, Roma1987, p. 555.44 Si vedano, in proposito, le schede di F. Rizzo, in Gli af-freschi nelle ville venete. Il Settecento, cit., pp. 72-74,235-238, catt. 8, 59, e di F.I. Fabris, ivi, pp. 228-229, cat.57; per villa Checcozzi a San Tomio di Malo, L. AlbertonVinco da Sesso, in Gli affreschi nelle ville venete dal Sei-cento…, cit., pp. 234-235, cat. 174.45 L. Lanzi, Storia pittorica…, cit., p. 236.46 Sul pittore si rimanda principalmente agli studi di L.Magagnato, Antonio De’ Pieri pittore vicentino del Set-tecento, “Arte Veneta”, VII, 1953, pp. 100-107; M. Sac-cardo, Sul pittore vicentino Giovanni Antonio De Pie-ri. Documenti e date. La visita di Pio VI a Vicenza nel1782, Vicenza 1983, pp. 5-35; C. Bombardini, Novità sulpittore vicentino Giovanni Antonio De Pieri, “VeronaIllustrata”, 22, 2009, pp. 53-59. Si vedano inoltre le nu-

merose schede di R. Cevese, M. Saccardo e F. Rigon nelcatalogo I Tiepolo…, cit., pp. 108-143, catt. 3.1.1-3.16.47 M. Saccardo, Pala di De Pieri a Monte Magrè. Un ve-ro gioiello, “Il Giornale di Vicenza”, XLIII, 6 novembre1988, n. 290, p. 8; R. Cevese, in I Tiepolo…, pp. 108-109,cat. 3.1.1; M. Saccardo, ivi, p. 109, cat. 3.1.2.48 Si veda, in proposito, V. Piermatteo, Giovanni MariaBertolo..., cit., pp. 325-326. Sul dipinto anche le conside-razioni di C. Bombardini, Novità sul pittore…, cit., pp.53-55.49 Si possono qui segnalare due piccole tele (65 x 80 cm.),rappresentanti Ester e Assuero e Il giudizio di Salomo-ne, note da due fotografie conservate nel Fondo Fioccodella fototeca della Fondazione Giorgio Cini di Venezia,con un’attribuzione a “scuola di Gregorio Lazzarini”, mafacilmente riconducibili a De Pieri, probabilmente versoil secondo decennio del Settecento. L’ubicazione delleopere è ignota, ma si può darne per certa una provenien-za vicentina, visto che il copyright fotografico è di “F.Ferrini - Vicenza”.Quattro immagini di santi (Sant’Agostino, San Gaetanoda Thiene, San Filippo Neri e San Francesco di Sales,138 x 105 cm ciascuna) sono invece apparse a una recen-te asta romana (Babuino, 26-27 ottobre 2007): attribuitea Francesco Migliori da Giuseppe Maria Pilo, sono an-ch’esse riconoscibili lavori dell’artista vicentino, proba-bilmente tardi; un disegno del pittore conservato pressoil Museo Civico di Vicenza (inv. 201) riproduce quasi neldettaglio il quadro con san Gaetano. Mi chiedo se nonpossano corrispondere a quei “quattro santi vescovi”che Magagnato (Antonio De’ Pieri…, cit., p. 106) segna-la a Bassano, in casa Bonato.50 C.N. Cochin, Voyage d’Italie, ou Recueil de notes surles Ouvrages de Peinture & de Sculpture, qu’on voitdans les principales villes d’Italie, III, Paris 1758, p.179 (si rammenti che il viaggio in Italia di Cochin si svol-se negli anni 1749-1751). Il dipinto, uno dei due lateraliche decoravano la quarta cappella a sinistra, è segnala-to quale opera di De Pieri tanto da Bertotti Scamozzi (Ilforestiere…, cit., pp. 108-109) quanto da Baldarini (De-scrizione delle architetture…, cit., I, p. 7). È da notareche, mentre il pendant è attribuito da Baldarini a Mena-rola, è assegnato invece a Cittadella da Scamozzi: inquest’ultimo caso, ipotizzando fossero stati realizzaticontemporaneamente, si potrebbe ritenere il quadro diDe Pieri anteriore al 1704, anno di morte di Cittadella.Un disegno con la Fuga in Egitto, forse riferentesi al di-pinto già in San Bartolomeo, è conservato nelle raccoltegrafiche del Museo Civico di Bassano (inv. Dis. Bass.19.115.1189, riprodotto in I Tiepolo…, cit., p. 142).51 Si veda L. Magagnato, in La pittura a Verona tra Seie Settecento, catalogo della mostra (Verona, Palazzo del-la Gran Guardia) a cura di L. Magagnato, Vicenza 1978,p. 222, cat. 159.52 V. Piermatteo, Giovanni Maria Bertolo..., cit., pp. 325-326; C. Bombardini, Novità sul pittore…, cit., pp. 53-55.53 Sull’opera, le schede di R. Cevese e di M. Saccardo, inI Tiepolo…, cit., pp. 109-112, catt. 3.2.1 – 3.2.2. La data-zione è indicata da Saccardo a una data prossima al 1713della costruzione dell’altare, mentre per Cevese è piùprobabile una collocazione verso il 1720.54 Pochi e frammentati gli studi sul pittore; si vedano al-meno R. Cevese, Il pittore Costantino Pasqualotto det-to il Costantini, “Vita Vicentina”, agosto-dicembre1954; Id., Inediti di De Pieri e Pasqualotto, in Studi inonore di A. Bardella, a cura di M. Bardella, Vicenza1964, pp. 207-211; Id., in I Tiepolo…, cit., pp. 144-148,catt. 4.1-4.5. Più di recente: N. Garzaro, La restaurata

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ma della Passione, incassate tra i pilastri della navata,realizzate nel corso del XVII secolo: tra gli autori vi era-no i Maganza, Francesco Maffei e Angelo Trevisani.È il caso di aprire una parentesi per segnalare che Ber-totti Scamozzi (1761, p. 22) indica un’ulteriore, impor-tante opera del pittore francese – che nessun’altra fontenomina e di cui non è rimasta traccia – nel palazzo Pre-fettizio (la palladiana Loggia del Capitaniato): “Il primoQuadro di questa Sala qui di prospetto è di mano del fa-moso Monsieur du Roigni, in cui vi pose il suo nome; l’al-tro è del nostro Francesco Maffei tutti due Pittori delSecolo passato”. Il lavoro non è citato nella Descrizionedel 1779, che assieme al dipinto di Maffei menziona altridue lavori ignorati da Bertotti Scamozzi, uno di Pietrodella Vecchia, l’altro di Baldassare Tedesco, di cui parlagià Boschini e anch’essi dispersi. A meno di non voler so-spettare un lapsus da parte dell’architetto vicentino,l’annotazione registra un’interessante prova del france-se nel campo dei teleri celebrativi, un genere per il qua-

le il suo stile doveva risultare particolarmente adeguato. 12 Uno dei medaglioni monocromi è stato riprodotto, conla corretta paternità, in F. Barbieri, Scultori e stuccato-ri di Lombardia…, cit., p. 26; per la tela, considerata di“pittore prossimo al Dorigny?”, Id., Stanze vicentine,Vicenza 2003, pp. 100-105; F. Barbieri, R. Cevese, Vicen-za. Ritratto di una città, Vicenza 2004, p. 329.13 A. Pasian, Asterischi…, cit., p. 204.14 M.L. Re, Un dipinto di Nicolò Bambini in palazzoRepeta a Vicenza, in Il cielo, o qualcosa di più. Scrittiper Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Padova2007, pp. 370-373.15 La proposta in direzione di Boscarati si deve a N. Iva-noff, Contributi…, cit., p. 163, che respingeva una prece-dente attribuzione a Dorigny.16 Sul pittore rimane ancora valido il profilo di R. Palluc-chini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, II, Milano1995, pp. 70-76. Gli estremi biografici corretti sono statirintracciati da L. Moretti, La chiesa di San Stae, in

Splendori del Settecento veneziano, catalogo della mo-stra di Venezia, Milano 1995, p. 557. Si vedano inoltre lerecenti aggiunte al catalogo ad opera di G. Pavanello,Schedule sei e settecentesche, “Arte in Friuli Arte a Trie-ste”, 16-17, 1997, pp. 63-108; Id., Schedule settecentescheda Tiepolo a Canova, “Arte in Friuli Arte a Trieste”, 18-19, 1999, pp. 53-114; E. Lucchese, Artisti e opere del Set-tecento alla Narodna galerija di Lubiana: Migliori,Henrici, Paroli, “Zbornik za umetnostno zgodovino”,43, 2007, pp. 246-258; A. Pasian, “Se non perfetti, origi-nali certamente”. Contributi per l’arte veneta da Lazza-rini a Bortoloni, “Arte in Friuli Arte a Trieste”, 28, 2009,pp. 47-78.17 Archivio di Stato di Venezia, Milizia da Mar, b. 550-551, Pittori; trascritto in E. Favaro, La fraglia dei pitto-ri veneziani, Venezia 1975, p. 221.18 B. Tecchi, Goethe in Italia (e particolarmente a Vicen-za). Con le giornate del soggiorno vicentino, gli appun-ti per Carlotta Von Stein e una postilla di Giacomo Za-

nella, presentazione di M. Rumor, Vicenza 1979, p. 55.19 P, Zampetti, Antonio Zanchi, Bergamo 1988, p. 553,cat. 108.20 V. da Canal, Vita di Gregorio Lazzarini scritta da Vin-cenzo da Canal P.V. pubblicata la prima volta nelle noz-ze Da Mula – Lavagnoli [1732], ed. a cura di G. Moschi-ni, Venezia 1809, p. LIII per la prima opera citata, p.LXIV per la seconda.21 Ivi, pp. XLIV, LVI-LVII.22 S. Claut, Nuove storie profane e sacre di GregorioLazzarini, “Arte Veneta”, XXXIX, 1985, p. 82; M. Sac-cardo, La “Disputa di Gesù con i dottori”. È opera diGregorio Lazzarini, del 1696, “La voce dei Berici”, 13dicembre 1992, p. 6; M. Binotto, Vicenza, cit., pp. 304-306; C. Rigoni, Immagini di potere e devozione tra Seie Settecento a Vicenza, in Theatrum Urbis. Personaggie vedute di Vicenza, a cura di S. Marinelli e C. Rigoni,Verona 2003, pp. 126-127.23 M. Saccardo, Arte organaria, organisti e attività mu-sicale a S. Corona. Precisazioni sul patrimonio artisti-co della chiesa, Vicenza 1976, pp. 204-222.24 V. da Canal, Vita di Gregorio Lazzarini…, cit., p. LV.25 L’annotazione si ritrova nell’edizione della Descrizionedelle architetture, pitture e scolture di Vicenza conser-vata presso la bilbioteca della Fondazione Giorgio Cinidi Venezia.26 L’opera è registrata da V. da Canal, Vita di GregorioLazzarini…, cit., p. LVII. Una Danae di Lazzarini inovale è stata pubblicata da E. Martini, Pittura veneta ealtra italiana dal XV al XIX secolo, Rimini 1992, p. 194.Il ramo dei Trissino proprietario della tela era quello delpalazzo sul Corso, sede attuale del Municipio.27 Il primo dei due committenti, entrambi avvocati di gri-do, possedeva il Giudizio di Paride oggi al Museo Civi-co di Vicenza (inv. A 311: si veda, da ultimo, F. Magani, inBortoloni Piazzetta Tiepolo. Il ’700 veneto, catalogo del-la mostra a cura di F. Malachin e A. Vedova, CiniselloBalsamo 2010, p. 200, cat. 5); il secondo, un dipinto nonspecificato, ricordato soltanto da Enea Arnaldi (Descri-zione delle architetture…, cit., II, p. 115), e che potevaforse essere un bozzetto (sulla questione si veda infra).28 V. da Canal, Vita di Gregorio Lazzarini…, cit., p. LXI.29 G.B. Verci, Notizia intorno alla vita e alle opere de’Pittori Scultori e Intagliatori della Città di Bassano,Venezia 1775, p. 272.30 Il recupero critico del pittore – parzialmente già inda-gato da F. Rigon, Pittori vicentini minori del Settecen-to, pp. 104-105 – si deve a G. Fossaluzza, Antonio Arri-goni “pittore in historia” tra Molinari, Ricci, Balestrae Pittoni, “Saggi e Memorie di Storia dell’Arte”, 21,1997, pp. 157-216, e a U. Ruggeri, Sebastiano Ricci, eno, “Nuovi Studi”, 3, 1998, pp. 147-152. A questa prima‘riscoperta’ dell’artista sono seguite importanti precisa-zioni e aggiunte al catalogo, anche grafico: si vedano, inparticolare, A. Craievich, Antonio Molinari pittore di“historie”, “Arte Veneta”, 54, 1999, pp. 32-53; U. Rugge-ri, Un dipinto di Antonio Arrigoni a Palazzo Ducale,“Arte Veneta”, 62, 2005, pp. 119-121; G. Fossaluzza, DaAndrea Celesti ad Antonio Arrigoni: disegni, precisa-zioni e proposte, “Radovi Instituta za povijest umjetno-sti”, 32, 2008, pp. 167-220; A. Pasian, “Se non perfetti,originali certamente”, cit., pp. 61-66; Id., Il cimento del-l’invenzione. Studi e modelli nella grafica veneta delprimo Settecento, “Arte Veneta”, 66, 2009, pp. 74-76.31 Sull’intervento si vedano C. Rigoni, La galleria di pa-lazzo Leoni Montanari a Vicenza, “Verona Illustrata”,6, 1993, pp. 69-85; G. Fossaluzza, Antonio Arrigoni…,cit., pp. 162-163; A. Pasian, Asterischi…, cit., pp. 183-

44. Jacopo Guarana e Girolamo MengozziColonna, Il trionfo di Flora, affresco.Vicenza, palazzo Porto-Breganze.

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91 M. Saccardo, Notizie…, cit., p. 477; si veda anche lascheda di G. Fossaluzza, in I Tiepolo…, cit., pp. , cat. .92 C.N. Cochin, Voyage…, cit., p. 173.93 F. Zava Boccazzi, Pittoni, cit., pp. 162-163, cat. 194.94 Per tutti i dettagli storici e critici relativi alle due ope-re si rinvia alle schede di A. Mariuz, in Pinacoteca civi-ca…, cit., pp. 393-395, 397-400, catt. 364, 366 (quest’ulti-ma ristampata in Id., Tiepolo, a cura di G. Pavanello, Ve-rona 2008, pp. 485-488: si avverte che da qui in avanti,per gli scritti tiepoleschi del compianto studioso, si rin-vierà a questa raccolta invece che ai singoli contributi). Si può ricordare ancora il giudizio di O. Bertotti Scamoz-zi, Il forestiere…, cit., p. 102: “Ma giachè siamo qui vici-no alla Chiesa di Santa Maria dell’Aracœli, Chiesa diMonache di S. Francesco; vi dirò solo che là dentro vi so-no tre eccellenti Quadri; uno bellissimo del Cavalier Pie-tro Liberi, uno del Piazzetta, ed uno del Tiepoletto.” En-trambe le opere vennero copiate in disegno da Jean Ho-noré Fragonard, nel corso del viaggio in Italia al seguitodell’abate di Saint-Non (1759-1761: si veda Saint-Non,Fragonard, Panopticon italiano. Un diario di viaggioritrovato 1759-1761, a cura di P. Rosenberg, con la colla-borazione di B. Brejon de Lavergnée, Roma 1986, catt.237-238).È il caso di avvertire che la pala di Piazzetta ha subìtoun intervento di restauro che ne ha purtroppo eccessiva-mente ‘stirato’ la superficie pittorica, appiattendo così lastesura ‘a pasta’ propria del pittore (per un confronto sipuò vedere la paletta con L’angelo custode e santi dellachiesa veneziana di San Vidal).95 A. Mariuz, L’opera completa di Piazzetta, presentazio-ne di R. Pallucchini, Milano 1982, p. 87. Allo studioso sideve non soltanto una folgorante lettura critica dell’ope-ra, ma anche il rinvenimento dell’appunto manoscritto diLeonardo Trissino (nell’edizione della Descrizione del1779 presso la Fondazione Giorgio Cini, di cui si è detto)che fissa la datazione al 1729, precisando che ne fu stam-pato un “sonetto scritto in lode”.96 L. Jones, The paintings of Giovanni Battista Piazzet-ta, New York 1981, pp.100-101.97 A. Mariuz, in Pinacoteca civica…, cit., p. 395. Piace ri-cordare, in aggiunta, il puntuale commento di M. Levey,Painting in Eighteenth Century Venice, London 1994(ed. italiana: La pittura a Venezia nel Settecento, Mila-no 1996, p. 51): “Dalla testa acutamente espressiva al-l’ossuto piede ben articolato, un santo di Piazzetta costi-tuisce una presenza concentrata e possente, eloquenteeppure investita di intensa dignità”.98 Descrizione delle architetture…, cit., II, p. 86.99 Si veda A. Mariuz, in I Tiepolo…, cit., pp. 93-95, cat.2.15; Id., Il “San Giovanni Battista” di Piazzetta, in Larestaurata cappella del Santissimo Sacramento nellachiesa di San Giovanni Battista di Bassano del Grap-pa, a cura di L. Alberton Vinco da Sesso, Bassano delGrappa 1998, pp. 44-51.100 A. Mariuz, in I Tiepolo…, cit., p. 95.101 Per ogni dettaglio, A. Mariuz, Tiepolo, cit., pp. 485-488.102 Ivi, p. 487.103 F. Barbieri, Il Museo Civico di Vicenza. Dipinti esculture dal XVI al XVIII secolo, II, Venezia 1962, p.237.104 È la frase che, secondo Giambattista Roberti (Letteradel signor conte abate Giambattista Roberti al signorcavaliere conte Giambattista Giovio… sopra Giacomoda Ponte Pittore, Lugano 1777, p. 28; in A. Mariuz, Tie-polo, cit., p. 334, nota 19), il pittore avrebbe scritto al fi-glio Giandomenico dopo aver rimirato il Battesimo di

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ni. Les ombres en sont fort noires, d’un ton sale et decouleur d’encre. De l’autre côté, vis-à-vis, on voit uneVierge, dont la tête est assez belle, et la draperie d’unpinceau large. Les petits enfans ne sont ni de belle cou-leur, ni bien dessinés” (Voyage…, cit., p. 176).60 Riguardo l’appunto manoscritto si veda la nota 25; laprecisazione era già stata segnalata da A. Tomezzoli, inPinacoteca civica…, cit. Baldarini, nella Descrizionedelle architetture…, cit., I, p. 50, la dice “fatta in etàd’anni 80”.61 Sull’attività vicentina di Brentana si rimanda a C. Ri-goni, Simone Brentana nella diocesi di Vicenza, “Vero-na Illustrata”, 10, 1997, pp. 81-86.62 La presenza dell’opera in situ nel 1725 si ricava da unappunto manoscritto di Leonardo Trissino, rinvenuto daM.E. Avagnina, in I Tiepolo…, cit., pp. 90-92, cat. 2.12,ciò che ha potuto confermare l’intuizione di J. von Der-schau (Sebastiano Ricci. Ein Beitrag zu den aufangender Venezianischen Rokokomalerei, Heidelberg 1922, p.105) che collegava appunto la tela alla benedictio del sa-cro edificio. La precisazione è sfuggita ad A. Scarpa, Se-bastiano Ricci, Milano 2006, pp. 336-337, cat. 545, laquale ripropone la data 1727 che segna la conclusionedei lavori edilizi.Rimane tuttora sconosciuta la committenza dell’opera:J. Daniels (L’opera completa di Sebastiano Ricci, Mila-no 1976, cat. 519) propone si possa assegnare al nobileGuzi Benetta, il quale – secondo un appunto pubblicatoda G. Scapin (San Girolamo degli Scalzi, Vicenza 1969,p. 16) – aveva lasciato 8000 ducati per erigere il raffina-to altare in marmo di Carrara con capitelli e fregi in get-to d’ottone. Rileggendo l’appunto, pare di capire chequello di Benetta fosse un lascito testamentario: essen-do egli morto il 26 maggio 1747, risulta difficile asse-gnargli anche l’incarico della tela di Ricci. Si può aggiun-gere, a margine, che la cifra – invero cospicua – del lasci-to non appare spropositata per un lavoro in marmo rifi-nito in foglia d’ottone, materiali pregiati e che richiede-vano una lavorazione attenta.63 P. Zampetti, in Dal Ricci al Tiepolo: i pittori di figuradel Settecento a Venezia, catalogo della mostra a cura diP. Zampetti, Venezia 1969, p. 40.64 A. Mariuz, in I Tiepolo…, cit., p. 93.65 La citazione è ripresa dal passo che Zanetti dedica aFederico Bencovich: “[…] le opere sue punto nulla dilet-tano, anzi rattristano la maggior parte de’ spettatori,che altro non vogliono dalla pittura in questi dì che ral-legramenti e giovialità” (A.M. Zanetti, Della Pittura Ve-neziana e delle Opere Pubbliche de’ Veneziani maestri.Libri V, Venezia 1771, p. 452).66 Sull’opera, R. Cevese, in I Tiepolo…, cit., pp. 113-116,cat. 3.5.67 Sull’opera si rimanda all’esauriente scheda di E. Anto-niazzi Rossi, in Pinacoteca civica…, cit., pp. 378-380,cat. 347.68 R. Pallucchini, La pittura nel Veneto…, cit., I, p. 215.69 Il ponte Fabrizio collega l’Isola Tiberina con l’arginesinistro del Tevere. L’epigrafe originaria, divisa in dueiscrizioni, recita: L. FABRICIUS C.F. CURATOR VIARUM FA-CIUNDUM COERAVIT EIDEMQUE PROBAVEIT / M. LOLLIUSM.F.Q. LEPIDUS M. FORMER F. CONSULES SENATUS CONSUL-TO PROBAVERUNT.70 G.B. Verci, Notizia…, cit., p. 267.71 Ivi, p. 314.72 F. Signori, Regesto, in Il duomo di Santa Maria inColle di Bassano del Grappa, Vicenza 1991, p. 161.73 Le precisazioni sui dipinti dei due pittori si ricavano in-crociando le testimonianze di Baldarini (Descrizione

delle architetture…, cit., I, p. 17: “Intorno al muro, prin-cipiando a man dritta, un quadro con un Vescovo che ve-ste una Monaca, è opera delle prime del Tiepolo. […]Quello con tre Monache, che ne ricevono un’altra, è delPitoni. Il quadro che segue con S. Agostino, che battez-za, è del Pitoni, raro”) e quelle di un manoscritto di Gian-tommaso Faccioli forse databile attorno al 1762, pubbli-cato da Saccardo (Notizie d’arte…, cit., p. 461: “AltriQuadri moderni ornano le pareti di questa Chiesa. Unotra questi ve n’hà del Pittoni veneziano; quello cioè cherappresenta S. Ambrogio nell’atto di conferir il Battesi-mo a S. Agostino. Un altro avvene di Gio. Batt.a Tiepolorappresentante una Donzella che prende l’Abito di S.Ag. con vaghissimi Angioletti nell’alto”). 74 G. Pavanello, Per il giovane Tiepolo ritrattista: il Be-nedetto XIII in Santa Corona a Vicenza, in L’impegnoe la conoscenza. Studi di storia dell’arte in onore diEgidio Martini, a cura di F. Pedrocco e A. Craievich, Ve-rona 2009, pp. 286-289. Una prima menzione si trova nel-la Descrizione delle architetture…, cit., I, p. 14: “Rispet-to ai quattro quadri intorno al detto Coro, con li ritrattidi 4 Pontefici Domenicani, due sono del Menarola, e duedell’Ab. Roberti”. Un inventario dei primi anni dell’Otto-cento, pubblicato da Saccardo, elenca poi “In Reffettorio[…] Dieci Quadri otto de quali rappresentanti Paesaggie due rappresentanti uno S. Domenico e l’altro S. Bene-detto Decimo terzo di poco valore […]” (M. Saccardo,Arte organaria…, cit., p. 198).75 Si rinvia, da ultimo, alla scheda di A. Craievich, in Pi-nacoteca civica…, cit., pp. 415-417, cat. 377.76 Sull’opera, F. Zava Boccazzi, Pittoni, Venezia 1979, p.127, cat. 55; S. Sponza, L’arte, in San Clemente. Storieveneziane di civiltà e inciviltà, catalogo della mostra,Venezia 1995; G. Fossaluzza, Antonio Arrigoni…, cit.,pp. 184-187 (propone, per l’opera, una collaborazione traPittoni e Arrigoni).77 Per le opere citate, F. Zava Boccazzi, Pittoni, cit., pp.166-167, 190-191, catt. 206, 301-302.78 A. Craievich, in Pinacoteca civica…, cit., pp. 417-419,cat. 378.79 A. Mariuz, La pittura (I), in Storia di Venezia. Temi.L’arte, a cura di R. Pallucchini, II, Roma 1995, p. 334.80 F. Zava Boccazzi, Pittoni, Venezia 1979, p. 143, catt.113-114.81 Ivi, p. 195, cat. 364.882 Ivi, pp. 170-171, cat. 210.83 Per l’opera, ivi, p. 200, cat. S.25; per la nuova datazio-ne, Lettere artistiche del Settecento veneziano, 4. OwenMcSwiny’s letters 1720-1744, edited by T.D. Llewellyn,Verona 2009, pp. 88-97.84 D. Posner, Pietro da Cortona, Pittoni, and the Plightof Polyxena, “Art Bulletin”, 73, 3, Sept. 1991, pp. 399-414.85 M. Saccardo, Notizie…, cit., p. 186.86 A. Mariuz, La pittura (I)…, cit., p. 332.87 Per entrambe le opere: F. Zava Boccazzi, Pittoni, cit.,pp. 159, 178-179, catt. 179, 239; inoltre, G. Fossaluzza, inI Tiepolo…, cit., pp. 82-85, catt. 2.7-2.8.88 F. Zava Boccazzi, Pittoni, cit., p. 176, cat. 223.89 P. Baldarini, in Descrizione delle architetture…, cit., I,p. 46, riporta: “Si è incominciata la Fabbrica di questaChiesa l’anno 1730, ma solo per la metà circa si trovaeseguita”. Poco più innanzi nomina “La Tavola del primoAltare alla dritta col Transito di M. V. è fattura del Pit-toni”.90 C. Rigoni, Immagini di potere…, cit., p. 131. L’operaaveva ricevuto precedenti attribuzioni alla scuola diPiazzetta e a Pasqualotto.

42. Francesco Lorenzi, Arione, affresco.Vicenza, palazzo Godi-Nievo.

43. Francesco Lorenzi e Paolo Guidolini,Affreschi parietali. Vicenza, palazzo Godi-Nievo.

38. Paolo Guidolini e Giacomo Ciesa,Parete con quadrature e gruppi scultoreiin monocromo, affresco. Vicenza, palazzoThiene sul Corso.

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pala dell’”Immacolata” di Costantino Pasqualotto,l’omonima confraternita e il suo altare nella parroc-chiale di Montecchio Precalcino, Padova 2004.55 F. Lodi, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Settecen-to, cit., pp. 196-197, cat. 46.56 Sull’opera si rimanda a G. Delfini Filippi, in ITiepolo…, cit., pp. 79-80, cat. 2.4, la quale ha ritrovatoun appunto manoscritto che nomina la tela già in loconel 1725. È ricordata da B. De Dominici, Vite de’ Pitto-ri, Scultori e Architetti napoletani, III, Napoli 1745, p.609: “Dipinse ancora un S. Gaetano per la città di Vicen-za, ma non sò in quale chiesa sia stato situato, non poten-do dimandar tutto minutamente al nostro pittore”; vienepoi nominata con lode da tutte le guide cittadine. Il boz-zetto preparatorio, che presenta minime varianti rispet-to alla redazione finale, è conservato presso la Pinacote-ca Martini nel Museo del Settecento veneziano di Ca’Rezzonico (E. Martini, Pinacoteca Egidio Martini a Ca’Rezzonico, Venezia 2002, pp. 282-284).57 P. Rossi, Precisazioni cronologiche su alcuni dipintidella chiesa di San Rocco, “Atti dell’Istituto Veneto diScienze, Lettere e Arti”, CXXXV, 1976-1977, p. 437.58 B. De Dominici, Vite de’ Pittori…, cit., p. 419.59 Si veda la scheda di A. Tomezzoli, in Pinacoteca civi-ca…, cit., pp. 302-303, cat. 263. Sulle due opere così siesprime Cochin: “Ce tableau est bien et assez correcte-ment dessiné: il tient beaucoup de la maniere de Solime-

santa Lucilla di Jacopo Bassano, ovvero di aver visto“un miracolo, cioè un drappo nero che parea bianco”.105 C.N. Cochin, Voyage…, cit., p. 176.106 L. Ghio, E. Baccheschi, Antonio Balestra, Bergamo1989, p. 216, cat. 106; F. Pietropoli, in I Tiepolo…, cit.,pp. 81-82, cat. 2.6. Il dipinto è ricordato da tutte le prin-cipali guide cittadine. Cochin (Voyage…, cit., p. 178) nesottolinea “du mérite dans la composition et dans le des-sein: mais il est dur de maniere et de couleur, et il y apeu de variété dans le tons”.107 I virgolettati sono presi dalla celebre lettera che Ba-lestra spedì ad Antonio Gabburri, datata 9 novembre1730 (Raccolta di lettere sulla pittura, scultura, ed ar-chitettura scritte da’ più celebri personaggi dei secoliXV, XVI, XVII pubblicata da M. Gio. Bottari e conti-nuata fino a nostri giorni da Stefano Ticozzi, II, Mila-no 1822, lettera LXXXIX, pp. 259-262).108 Descrizione delle architetture…, cit., I, p. 55: “Li duequadri laterali all’Altar maggiore, l’uno de’ quali rappre-senta S. Eliseo, e l’altro S. Elia, sono opere di MatteoDrida Veronese”.109 M. Binotto, I dipinti…, cit., p. 101.110 Sul pittore, il profilo di R. Pallucchini, La pittura nelVeneto…, cit., I, pp. 567-570, e le importanti precisazio-ni biografiche di E. De Rosa, Qualche traccia documen-tale per Giovan Battista Mariotti, “Arte Documento”,10, 1996, pp. 83-91.111 E. De Rosa, Qualche traccia…, cit., p. 90.112 R. Pallucchini, La pittura nel Veneto…, cit., I, p. 569.Sull’opera di Sarcedo, ritrovata da N. Ivanoff, Giambat-tista Mariotti, “Bollettino del Museo Civico di Padova”,XXXI-XLIII (1942-1954), 1955, pp. 145-158, si veda an-che E. De Rosa, Qualche traccia…, cit., pp. 89-90.113 Sull’opera, la scheda di R. Cevese, in I Tiepolo…, cit.,p. 119, cat. 3.9.114 P.L. Fantelli, in Catalogo della Pinacoteca dell’Acca-demia dei Concordi, a cura di P.L. Fantelli, Venezia1985, p. 81; R. Cevese, in I Tiepolo…, cit., pp. 124-125,cat. 3.14. Nella tensione realistica e chiaroscurata del ri-tratto è stato rimarcato un influsso da Piazzetta: misembra, però, che l’opera riveli una naturale maturazio-ne di premesse stilistiche già insite in De Pieri; a volerproprio cercare riferimenti esterni, si potrebbe piutto-sto avvertirne la vicinanza con alcune prove di Nogari.115 R. Cevese, in I Tiepolo…, cit., pp. 121-124, cat. 3.12.116 C. Rigoni, in Opere ritrovate. Dipinti del patrimonioIpab restaurati, catalogo della mostra a cura di M. Bi-notto e C. Rigoni, Vicenza 1998, p. 40; Ead., Immaginidi potere…, cit., pp. 131-133.117 F. Rizzo, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Settecen-to, cit., pp. 204-206, cat. 49.118 R. Cevese, in I Tiepolo…, cit., pp. 144-145, cat. 4.3.119 N. Carboneri, Sebastiano Galeotti, Venezia 1955, pp.16-17; R. Dugoni, Sebastiano Galeotti, Torino 2001, p.165, cat. 40; F. Barbieri, Stanze vicentine, cit., pp. 2-9.120 A. Coccioli Mastroviti, Francesco Natali quadraturi-sta: momenti e aspetti della decorazione a quadraturafra Toscana, Ducato farnesiano, Lombardo-Veneto, inRealtà e illusione nell’architettura dipinta. Quadratu-rismo e grande decorazione nella pittura di età baroc-ca, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Lucca,26-28 maggio 2005), a cura di F. Farneti e D. Lenzi, Fi-renze 2006, pp. 295-306.121 R. Dugoni, Sebastiano Galeotti, cit.122 P. Orlandi, Abecedario pittorico […], Bologna 1704, p.92.123 L. Lanzi, Storia pittorica…, cit., V, p. 350.124 Sull’affresco e la sua assegnazione a Bortoloni si ri-

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manda ad A. Pasian, in Gli affreschi nelle ville venete. IlSettecento, cit., pp. 100-101, cat. 14. Sulla villa e le suedecorazioni: P. Marini, in Interni Bassanesi, a cura di L.Alberton Vinco da Sesso, Bassano del Grappa 1996, pp.168-172; L. Alberton Vinco da Sesso, in Gli affreschi nel-le ville venete. Il Settecento, cit., p. 99, cat. 14.125 Sull’ampio intervento dei plasticatori, datato agli anni1713-1720, si veda P. Marini, in Interni bassanesi, cit.126 Per la più recente e aggiornata disamina dell’appara-to freschivo della villa si veda L. Alberton Vinco da Ses-so, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Settecento, cit.,pp. 92-99, cat. 13.127 G.B. Verci, Notizia…, cit., p. 272.128 Si segnala, in proposito, che le due iscrizioni nei fintiarchi dipinti nel primo scalone – “CHI VUOL / GODER DE-GL’AGI / SOFFRA PRIMA / I DISAGI” e “CHI NON PUÒ / QUEL

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340. Giovanni Scajario, Banchetto di Antonio e Cleopatra, affresco. Bassano del Grappa (Vicenza), palazzoRoberti.

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CHE VUOL / QUEL CHE PUÒ / VOGLIA”, la cui paternità fi-nora non è stata rintracciata, sono citazioni rispettiva-mente dal Pastor fido di Guarino Guarini (atto IV, scena6, vv. 25-26) e dall’unico sonetto conosciuto di Leonardoda Vinci, trascritto da Paolo Lomazzo.129 G. Pavanello, Il Settecento in villa, ovvero le “smaniepittoresche” nella villeggiatura, in Gli affreschi nelleville venete. Il Settecento, cit., p. 10.130 R. Menegozzo, Nobili e Tiepolo…, cit.131 M. Gemin e F. Pedrocco, Giambattista Tiepolo: i di-pinti, opera completa, Venezia 1993, pp. 298-300, catt.163-172; A. Mariuz, in Gli affreschi nelle ville venete. IlSettecento, cit., pp. 110-117, cat. 20.132 A. Mariuz, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Sette-cento, cit., p. 116.133 A. Mariuz, Tiepolo, cit., pp. 442-445.

134 Sul lavoro di Tiepolo a Montecchio: M. Gemin e F. Pe-drocco, Giambattista Tiepolo…, cit., pp. 348-351, catt.262-274; A. Mariuz, in Gli affreschi nelle ville venete. IlSettecento, cit., pp. 416-423, cat. 112.135 A. Mariuz, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Sette-cento, cit., p. 417.136 Per un riassunto delle varie proposte, si veda M. Ge-min e F. Pedrocco, Giambattista Tiepolo…, cit., pp. 370-371, catt. 311-319. Da ultimo, con interessanti argomen-ti, I. Chignola, Gli affreschi di Tiepolo a palazzo ValleMarchesini: nuovi elementi per una datazione, “ArteVeneta”, 61, 2004, pp. 233-240.137 M. Gemin e F. Pedrocco, Giambattista Tiepolo…, cit.,pp. 418-419, catt. 406-407.138 C.N. Cochin, Voyage…, cit., pp. 180-181.139 O. Bertotti Scamozzi, Il forestiere…, cit., p. 115; E.

41. David Rossi e Paolo Guidolini,Paesaggi contornati da grottesche,affresco. Vicenza, palazzo Cordellina.

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Arnaldi, Descrizione delle architetture…, cit., II, p. 114.140 M. Gemin e F. Pedrocco, Giambattista Tiepolo…, cit.,pp. 448-449, catt. 456-457; R. Domenichini, GirolamoMengozzi Colonna, “Saggi e Memorie di Storia dell’Ar-te”, 28, 2004, pp. 248-250.141 Si ricorda qui l’osservazione di S. Bettini, La figuraumana nella pittura veneziana del Settecento, “Atti del-l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, CXXVII,1968-1969, p. 55: “i personaggi ci guardano perché vo-glion essere guardati: ma come persone vive, la cui es-senza è certo nell’essere vedute”.142 M. Gemin e F. Pedrocco, Giambattista Tiepolo…, cit.,pp. 438-447, catt. 432-455; A. Mariuz, Tiepolo, cit., pp.139-155.143 A. Mariuz, Tiepolo, cit., p. 151.144 M. Levey, Painting…, cit., p. 232.145 Vi è ritornato, da ultimo, anche R. Domenichini, Giro-lamo Mengozzi…, cit., p.193, che osserva: “fu rispettatala regola aurea del melodramma metastasiano: mai duearie consecutive affidate allo stesso personaggio o espri-menti il medesimo affetto”. L’autore coglie inoltre, nel ci-clo della palazzina, il riferimento alle riflessioni algarot-tiane sul melodramma.146 M. Levey, Painting…, cit., p. 234.147 Come osservato da R. Domenichini, Girolamo Men-gozzi…, cit., p. 194: “L’esercizio di invenzione decorativacompiuto da Mengozzi Colonna nelle dodici stanze dellaValmarana ha del prodigioso, tocca tutti i registri e coin-volge tutte le specializzazioni possibili per un pittore diarchitetture, dalla quadratura aulica dell’ingresso allecornici di fogge e stili sempre adeguati al carattere del-le scene cui si accompagnano, al giustamente celebratoassaggio di revival del padiglione gotico, alla prova comevedutista, alle grazie rococò degli ornati della stanza deiputti.”148 M. Levey, Painting…, cit., p. 159.149 A. Mariuz, Tiepolo, cit., pp. 152-153.150 Ivi, p. 284.151 Per l’analisi del complesso si rimanda a E. Forsmann,Il palazzo Da Porto Festa di Vicenza, Vicenza 1973, e lasintesi di R. Menegozzo, Nobili e Tiepolo…, cit., pp. 115-126.152 A. Mariuz, Giandomenico Tiepolo, Venezia 1971, p.122.153 M. Gemin e F. Pedrocco, Giambattista Tiepolo…, cit.,pp. 476-477, cat. 501. Difficile possa trattarsi, come alcu-ni hanno proposto, di una Apoteosi di Orazio Porto, da-to che il personaggio raffigurato è ad evidenza anziano,mentre il committente era nato nel 1730.154 M. Saccardo, Contributi per la storia dell’arte vicen-tina, Quinto Vicentino 1985, pp. 71-74; M.E. Avagnina,in I Tiepolo…, cit., pp. 97-98, cat. 2.18. Per la medesimachiesa, nel 1747, Zugno aveva dipinto un Transito di sanGiuseppe, perduto.155 R. Pallucchini, La pittura nel Veneto…, cit., II, p. 217.156 Sul pittore, il profilo di R. Pallucchini, La pittura nelVeneto…, cit., II, pp. 161-172.157 A. Pasian, Su alcuni dipinti della chiesa di SantaMaria a Bagnolo di Lonigo, “Arte in Friuli Arte a Trie-ste”, 16-17, 1997, pp. 110-113.158 M. Saccardo, Opere d’arte nella pieve di Lonigo, Vi-cenza 1988, p. 58; C. Rigoni, in I Tiepolo e il Settecen-to…, pp. 98-100, cat. 2.19.159 M. Binotto, I dipinti…, cit., pp. 102-103. L’opera ha ri-cevuto anche un’attribuzione a Francesco Capella (U.Ruggeri, Francesco Capella, detto Daggiù: dipinti e di-segni, Bergamo 1977, p. 41); Baldarini (Descrizione del-le architetture…, cit., I, p. 42) lo dice semplicemente di

“scuola del Piazzetta”.160 Sull’opera, che secondo Verci (Notizie intorno alla vi-ta…, cit., p. 225) aveva sostituito un dipinto danneggia-to di Antonio Scajario, si vedano D. Samadelli, in I Tie-polo…, cit., pp. 101-102, cat. 2.22; L. Alberton Vinco daSesso, in Il duomo di Santa Maria…, cit., pp. 64-66, cat.4. In città sopravvive una seconda opera di Nogari,un’Annunciazione realizzata per l’oratorio dell’Annun-ziata.161 E. e J. de Goncourt, Journal des Goncourt. Mémoiresde la vie littéraire, Paris 1887-1896, IV, p. 81.162 Per la datazione si vedano R. Pallucchini, La pitturanel Veneto…, cit., I, pp. 570-571; D. Samadelli, in I Tie-polo…, cit., p. 102; L. Alberton Vinco da Sesso, in Il duo-mo di Santa Maria…, cit., p. 66.163 P.A. Orlandi, Abecedario pittorico […] accresciuto daPietro Guarienti, Venezia 1753, p. 235.164 Sul pittore, gli interventi di F. Rigon, Pittori vicenti-ni…, cit., pp. 90-93; M. Saccardo, Contributi…, cit., pp.77-90 (con importanti precisazioni biografiche).165 G. Maccà, Abecedario pittorico vicentino che contieneoltre i Pittori anche gli Scultori, Architetti, Incisori, ealtri celebri artefici vicentini, BCBVi, ms. Gonz. 27.4.36(2108); F. Rigon, Pittori vicentini…, cit., p. 92.166 A. Mariuz, Tiepolo, cit., p. 350.167 Sull’opera, M. Gemin e F. Pedrocco, Giambattista Tie-polo…, cit., p. 450, cat. 458; A. Mariuz, Tiepolo, cit., pp.249-251. Il bozzetto, come noto, si trovava nella collezio-ne di Antonio Canova (G. Pavanello, Canova collezioni-sta di Tiepolo, Monfalcone 1996, p. 10), oggi conservatoal Musée Communal d’Ixelles di Bruxelles.168 R. Pallucchini, Cinque secoli di pittura veneziana, ca-talogo della mostra (Venezia, Museo Correr), Venezia1945, p. 129.169 A. Mariuz, Tiepolo, cit., p. 251.170 Sull’opera: M. Gemin e F. Pedrocco, Giambattista Tie-polo…, cit., p. 417, cat. 404; A. Mariuz, Tiepolo, cit., pp.252-255.171 Ivi, p. 255.172 Ibidem.173 Ivi, pp. 261-263.174 Ivi, p. 260.175 A. Malavolta, in I Tiepolo…, cit., p. 100, cat. 2.20.176 Si rimanda alla scheda di D. Tosato, in Pinacoteca ci-vica…, cit., pp. 447-448, cat. 419.177 L. Perini, Felice Boscarati: dipinti di soggetto sacro,“Verona Illustrata”, 12, 1999, pp. 27-35; Visioni ed Esta-si. Capolavori dell’arte europea tra Seicento e Settecen-to, catalogo della mostra (Roma, ottobre 2003-gennaio2004), Milano 2003, cat. 62; F. Barbieri, R. Cevese, Vi-cenza…, cit., pp. 336, 343.Boscarati ebbe modo di frequentare ancora l’ambientevicentino: collaborò infatti a lungo con l’incisore Cristo-foro dall’Acqua, fornendo i disegni per le Tabulae Rive-rianae e ritraendo l’incisore in un dipinto datato 1772(Vicenza, Museo Civico: G. Marini, in Remondini. Uneditore del Settecento, catalogo della mostra a cura di M.Infelise e P. Marini, Milano 1990, p. 268).178 F. Zava Boccazzi, Pittoni, cit., p. 200, cat. S.24.179 Sull’opera, la scheda di M. Saccardo, in I Tiepolo…,cit., pp. 148-149, cat. 4.6; sul pittore, il profilo di F. Rigon,Pittori vicentini…, cit., pp. 36-62.180 Sul palazzo e in particolare sulla decorazione plasticadi Uliaco si veda F. Lodi, Echi della Gerusalemme Libe-rata in palazzo Valmarana Salvi a Vicenza, in PerFranco Barbieri: studi di storia dell’arte e dell’architet-tura, a cura di M.E. Avagnina e G. Beltramini, Venezia2004, pp. 197-211.

181 L. Alberton Vinco da Sesso, in Gli affreschi nelle vil-le venete. Il Settecento, cit., pp. 101-104, cat. 15.182 Sulla decorazione si veda la scheda relativa in Gli af-freschi nelle ville venete dal Seicento…, cit., 251-252;qualche appunto anche in G. Marini, Theatrum urbis.Aspetti dell’immagine urbana di Vicenza come rappre-sentazione scenografica e pittura di veduta, in Thea-trum Urbis…, cit., pp. 248-250.183 M. da Porto Barbaran, La famiglia Porto dal 1000 aigiorni nostri, II, 1979, dattiloscritto presso BCBVi, p.186. La decorazione è ricordata da Arnaldi, Descrizionedelle architetture…, cit., II, p. 87: “[Palazzo] delli Nobi-li Signori Co. Co. Giulio, ed Antonio nipote Porto. […]Nelle stanze contigue alla Sala si vedono tre soffitti, unodipinto dal Galeotti, e due altri con gli ornamenti del Co-lonna, e le figure dell’eccellente Sig. Giacomo Guerana.Vi sono poi e un Gabinetto vicino all’Arcova, ed un Salot-to con Cappellina domestica, tutti dipinti dal suddettoColonna”. Pallucchini (La pittura nel Veneto…, cit., II,p. 273) pensava di situare l’intervento verso il 1778, as-segnando la responsabilità dell’apparato quadraturisti-co al figlio di Girolamo, Agostino; Riccardo Domenichini(Girolamo…, cit., p. 247, cat. 25) riporta invece l’operanel catalogo di Mengozzi Colonna senior, ipotizzandouna datazione di poco successiva a quella della Valmara-na.184 R. Domenichini, Girolamo…, cit., p. 247, cat. 25.185 A un artificio teatrale simile Guarana era già ricorsoper la decorazione della cupola nella cappella laterale inSan Giacomo dall’Orio a Venezia, con la figura di un an-gelo dipinta su una sagoma di legno.186 Per ogni dettaglio si veda A. Mariuz, Tiepolo, cit., pp.266-270.187 F. Barbieri, Gli affreschi nelle ville venete dal Seicen-to all’Ottocento, “Arte Veneta”, XXXIII, p. 180.188 A. Tomezzoli, Francesco Lorenzi (1723-1787): catalo-go dell’opera pittorica, “Saggi e Memorie di Storia del-l’Arte”, 24, 2000, p. 242, cat. 58.189 A. Tomezzoli, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Set-tecento, cit., pp. 246-247, cat. 64.190 Per i tre interventi si rinvia ad A. Tomezzoli, France-sco Lorenzi…, cit., rispettivamente pp. 245, 243, catt. 61,60, 59.191 G. Pavanello, in Gli affreschi nelle ville venete dal Sei-cento…, cit., p. 225, cat. 157.192 G. Pavanello, Giovanni Scajario pittore tiepolesco,“Arte Veneta”, XXXII, 1978, pp. 423-431.193 G.B. Verci, Notizia…, cit., pp. 222-223.194 G. Pavanello, Giovanni Scajario…, cit., p. 423.195 R. Domenichini, in Gli affreschi nelle ville venete. IlSettecento…, cit., p. 429, cat. 113. L’autore osserva anco-ra: “Alla progressiva riduzione dell’elemento rococò cor-risponde, poi, un largo uso, inedito per Urbani, della de-corazione a grottesca, non ancora declinata nelle supre-me stilizzazioni grafiche del neoclassicismo ma in ognicaso segno inequivocabile della consapevolezza del-l’avanzare di un nuovo gusto e della disponibilità ad ac-coglierlo.”196 G. Pavanello, in Gli affreschi nelle ville venete. Il Set-tecento, cit., pp. 75-76 cat. 9.197 Ivi, p. 76.198 G. Pavanello, in Gli affreschi nelle ville venete dal Sei-cento…, cit., pp. 235-236, cat. 177.199 G. Pavanello, in Gli affreschi nelle ville venete dal Sei-cento…, cit., pp. 236-237, cat. 179.