Riassunto di "Vita Activa" di Hannah Arendt

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I LA CONDIZIONE UMANA Vita activa comprende tre attività umane ognuna delle quali corrisponde a una delle condizioni per le quali l’uomo ha la vita su questa terra. Attività lavorativa riguarda il processo biologico: metabolismo, crescita e decrescita del corpo, esse sono legate alle necessità prodotte dall’attività lavorativa. La condizione umana corrispondente a questa attività è la vita. Operare riguarda la dimensione non naturale dell’esistenza umana, l’uomo ha a che fare con un mondo “artificiale”, con oggetti. La condizione umana di questa attività è l’essere-nel-mondo. L’azione riguarda invece il rapporto che gli uomini intrattengono tra di loro senza la mediazione di cose materiali, essa è la condizione allo stesso tempo iniziale e finale di ogni agire politico. L’azione è resa possibile e necessaria dalla condizione umana della pluralità per cui siamo tutti uguali perché umani, ma nessuno è identico all’altro. Queste tre attività hanno a che fare con altre condizioni della vita umana che sono la nascita e la morte. La prima si occupa della sopravvivenza dell’individuo e fa sì che l’individuo si riproduca, la seconda con il suo prodotto artificiale conferisce un elemento di permanenza rispetto la vita mortale, la terza crea e conserva gli organismi politici rendendo così possibile il ricordo e dunque la storia. È l’azione che tra le tre ha più stretti legami con la natalità, la natalità è un inizio assolutamente nuovo e così l’azione è la capacità dell’uomo di dare inizio a qualcosa di completamente nuovo. La natalità deve essere quindi al centro dell’attività politica. L’uomo è un essere condizionato, ogni oggetto, ogni persona con cui entra in contatto lo condiziona, ma niente tranne il fatto di essere una «creatura legata alla Terra» lo condiziona in modo assoluto. La condizione umana è cosa diversa dalla natura umana. La prima concerne le capacità e le attività dell’uomo. la seconda (ossia che cos’è l’uomo) nessuno è stato in grado di definirla se non ricorrendo all’idea di un dio o di un super-uomo. L’uomo dunque non è in grado di determinare la propria essenza ed è per questo che dobbiamo fare un discorso sulla “condizione umana”.

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I LA CONDIZIONE UMANA

Vita activa comprende tre attività umane ognuna delle quali corrispondea una delle condizioni per le quali l’uomo ha la vita su questaterra.Attività lavorativa riguarda il processo biologico: metabolismo,crescita e decrescita del corpo, esse sono legate alle necessitàprodotte dall’attività lavorativa. La condizione umana corrispondentea questa attività è la vita.Operare riguarda la dimensione non naturale dell’esistenza umana,l’uomo ha a che fare con un mondo “artificiale”, con oggetti. Lacondizione umana di questa attività è l’essere-nel-mondo.L’azione riguarda invece il rapporto che gli uomini intrattengono tradi loro senza la mediazione di cose materiali, essa è la condizioneallo stesso tempo iniziale e finale di ogni agire politico. L’azioneè resa possibile e necessaria dalla condizione umana della pluralitàper cui siamo tutti uguali perché umani, ma nessuno è identicoall’altro.Queste tre attività hanno a che fare con altre condizioni della vitaumana che sono la nascita e la morte. La prima si occupa dellasopravvivenza dell’individuo e fa sì che l’individuo si riproduca, laseconda con il suo prodotto artificiale conferisce un elemento dipermanenza rispetto la vita mortale, la terza crea e conserva gliorganismi politici rendendo così possibile il ricordo e dunque lastoria.È l’azione che tra le tre ha più stretti legami con la natalità, lanatalità è un inizio assolutamente nuovo e così l’azione è lacapacità dell’uomo di dare inizio a qualcosa di completamente nuovo.La natalità deve essere quindi al centro dell’attività politica.L’uomo è un essere condizionato, ogni oggetto, ogni persona con cuientra in contatto lo condiziona, ma niente tranne il fatto di essereuna «creatura legata alla Terra» lo condiziona in modo assoluto.La condizione umana è cosa diversa dalla natura umana. La primaconcerne le capacità e le attività dell’uomo. la seconda (ossia checos’è l’uomo) nessuno è stato in grado di definirla se non ricorrendoall’idea di un dio o di un super-uomo. L’uomo dunque non è in gradodi determinare la propria essenza ed è per questo che dobbiamo fareun discorso sulla “condizione umana”.

La vita activa in quanto tale coincide con il bios politikos di Aristotele enasce precisamente dal processo a Socrate e quindi dal conflitto trail filosofo e la polis.Aristotele distingue tre modi di vita scelti indipendentemente dallenecessità fisiche cioè modi di vita che in qualche modo si possonodefinire “libere dal corpo”. Sono tre modi di vita che concernono ilbello cioè le cose né necessarie né meramente utili:la vita dei piaceri corporei in cui il bello viene consumatola vita politica in cui si cerca di produrre il bello attraverso leimpresela vita del filosofo che consiste nella contemplazione del bello.Una vita incentrata sull’attività lavorativa non è liberamente sceltaperché ha sempre a che fare con l’utile e con il necessario. La vitadella polis ha sì un aspetto necessario, ma la polis indicavaun’organizzazione politica a cui gli uomini aderivano liberamente.Con la scomparsa della città stato la vita activa perde la suaconnotazione esclusivamente politica, con activa vengono designatitutti quei modi di vita che consistono in una partecipazione attivaalle cose del mondo, l’azione rientrava tra le attività necessarie.L’unico modo di vita libero rimaneva dunque la vita contemplativa.Il fatto che la vita contemplativa si distacchi da tutte le altreattività umane è qualcosa di precedente al cristianesimo, la si trovasia in Platone che in Aristotele, ma quello che nella civiltà grecapoteva essere appannaggio soltanto dei filosofi (e quindi di pochi)nell’era cristiana diventa diritto di tutti.Per distinguere la vita activa dalla vita contemplativa il discriminenon è tanto quello tra il politico e il teoretico, ma tra la quiete el’inquetudine (ascholia) e il movimento. Il movimento deve avere comesuo fine la quiete per Aristotele. La vita contemplativa ha a chefare con la physis, quella activa con il nomo cioè con cose prodottedall’uomo. La vita activa trae la propria validità dall’essere unmodo per raggiungere la quiete contemplativa.Il fatto che la vita contemplativa si sia contrapposta diametralmentecon le altre attività umane ha di fatto oscurato le variearticolazioni all’interno della vita activa.La disgiunzione tra la vita politica e quella contemplativa sioriginò grazie a Socrate quando cioè gli uomini si resero conto che

la sfera politica non aveva il potere di provvedere alle attivitàsuperiori dell’uomo e scoprirono quindi un principio superiore diquello che governava la polis.Questi due principi sono: immortalità e eternità.Gli uomini sono i “mortali” in un mondo immortale. L’uomo però ègrado di rendersi immortale non solo grazie alla procreazione, magrazie al fatto che ogni uomo ha una vita individuale che emerge daquella biologica. La vita individuale è una linea retta che taglia lalinea circolare del corso delle cose del ondo. L’uomo è capace direndersi immortale grazie a opere, azioni, parole dimostrando così unanatura divina.Un’altra cosa è l’Eterno in quanto fulcro del pensiero metafisico. Ilfilosofo può rivolgere la propria attenzione verso l’Eterno solo acosto di distaccarsi completamente dagli affari umani e da quelleattività che sono in grado di renderlo immortale. L’esperienzadell’Eterno è una sorte di morte, si smette di essere “tra gliuomini”. Essa è all’opposto di ogni tipo di attività. Anzi daifilosofi lo sforzo degli uomini di perseguire l’immortalitàattraverso le imprese e le opere fu identificato con la vanagloria ela vanità.Eppure il passaggio cruciale che sancì il definitivo passaggiodell’oggetto delle preoccupazioni umane dall’immortalità all’Eternonon fu opera dei filosofi, ma si identifica con la caduta dell’ImperoRomano che dimostrò chiaramente come nessuna opera umana poteva averela presunzione di perseguire l’immortalità. Il Messaggio cristianoche in quegli stessi anni si propagava in tutto l’Occidente era unmessaggio di Eternità. Di conseguenza la vita activa si subordinò inmodo assoluto al bios theoretikos e perse quello che era il suo centroossia la brama per l’immortalità.

II LO SPAZIO PUBBLICO E LA SFERA PRIVATA

La vita activa ha sempre a che fare con cose e con uomini. Le attivitàumane esistono e sono condizionate dal fatto che l’uomo ha sempre ache fare con altri uomini. Ciò che rende un uomo tale no né lacapacità lavorativa, né la capacità di produrre, ma l’azione ed essasi qualifica come continua interazione con altri uomini. Per Platonee Aristotele la vita sociale, in comune con gli altri, era vista alla

stregua di una necessità naturale, quasi una limitazione impostacidalla vita biologica.Per il pensiero greco delle origini la costituzionedell’organizzazione politica è in netto contrasto con l’associazionenaturale della famiglia. Il bios politikos è una seconda vita rispetto aquella privata. La polis infatti è una forma politica che sopprimequella precedente basata sulla parentela. Il bios politikos ha dueattività fondamentali: l’azione e il discorso. Dalla vita politica èesclusa ogni cosa che è necessaria alla vita. Azione e discorso sonocoestensive, parlare significa agire, l’azione di genere più alta èappunto il discorso.Il discorso viene inteso come mezzo di persuasione che si opponeall’imposizione ottenuta tramite la violenza.La definizione quindi dell’uomo come zoon politikon non si intende senon in correlazione con l’altra definizione dell’uomo come zoon logonekohn che non deve essere intesa come “animale razionale”, ma conl’uomo capace di discorso (e discorso all’interno della polis). Anchela traduzione di zoon politikon con animale sociale è errata in quantoil termine societas indica una comunità di uomini che si mettonoinsieme per conseguire un determinato fine e non concerne invece unacondizione di vita necessaria dell’uomo.Il tratto distintivo della sfera domestica è che gli uomini sonospinti a vivere insieme dai loro bisogni naturali, la famiglia sibasava sulla necessità.Il dominio della polis era invece la sfera della libertà. La vitafamiliare era un presupposto della vita politica, ma questo nonsignificava che la sfera politica era un mezzo per proteggere lasocietà. Nell’Età moderna la politica diventa un potere che limita lalibertà della società. Mentre nella visione greca era l’ambitofamiliare e privato ad essere “costrittivo”, mentre la libertàappartiene all’ambito del pubblico.Per i Greci la forza e la violenza sono giustificati solo nell’ambitoprivato in quanto unici modi per avere ragione della necessità e perdiventare poi liberi.Il potere che assoggetta gli uomini nel timore che nell’Età modernaera considerata la caratteristica principale dello Stato, nell’etàgreca era invece ascrivibile alla fase pre-politica.

La polis era il regno dell’uguaglianza, la famiglia quello deldispotismo. Essere liberi significava anche non essere in unasituazione di comando e non essere comandati. Il capofamiglia eralibero solo nella misura in cui poteva lasciare la casa e parteciparealla vita politica. Qui dominava un concetto di uguaglianza che nonera identificato con la giustizia, quell’uguaglianza era possibileperché si reggeva su una disuguaglianza di tutti quelli che eranoimpossibilitati alla vita politica.La vita era buona perché non più legata al processo biologico.Nell’età moderna la sfera domestica (economica) supera i confinidella famiglia e si proietta all’esterno causando dunque una sorta diindiscernibilità tra l’ambito privato e quello pubblico.Questa confusione è già presente in Platone e Aristotele, è conSocrate infatti che si sente il biogno di rendersi indipendenti anchedagli affanni della vita politica dimostrando che anche questa è inrealtà dominata dalle necessità e dal bisogno.

Nell’età antica il “privato” sta a indicare proprio privazione dellefacoltà propriamente umane. La privacy moderna non nasce tanto dallasua contrapposizione alla politica (che pure è presente) quanto allasfera sociale nonostante i due ambiti all’origine siano statistrettamente connessi.Rousseau denunciava l’oppressione ai danni dell’intimità da partedella società. L’io interiore si ribella al conformismo imposto dallasocietà. Una società che d’altro canto esclude la possibilità diun’azione spontanea e eccezionale e tende piuttosto a normalizzarla.La società di massa odierna non è che il risultato ultimo di questoprocesso: la società rende uguali, la differenza e la distinzioneriguarda il privato, il comportamento ha sostituito l’azione comemodalità primaria di relazione tra gli uomini.Nell’antichità invece si tratta di un’uguaglianza tra pochi, dovequesti pochi erano spinti a compiere azioni straordinarie per esserereputati i migliori fra tutti. La sfera pubblica era l’ambito in cuil’inviduo poteva esprimere il proprio valore. L’economia nel modernopoté divenire scienza quando il comportamento degli uomini acquisì unceto grado di standardizzazione. Nella statistica contano i grandinumeri, i singoli atti possono esser considerati delle eccezioni. Lastatistica acquista dignità scientifica presupponendo l’assunto che

imprese eccezionali sono rare nella Storia, ma sono proprio quelleche danno il segno distintivo di un’epoca. È difficile trovare sensoalla vita e alla storia quando si scarta tutto ciò che non siacomportamento quotidiano e tendenza automatica.Siccome quindi la statistica si approssima maggiormente allaprecisione se applicata ad un popolo grande numericamente, in questopopolo sarà l’elemento sociale rispetto a quello politico ad esseredominante.I greci sapevano che la polis sarebbe sopravvissuta solo se il numerodei cittadini fosse rimasto ristretto. Più il numero dellapopolazione complessiva è alto più alto sarà il numero delle personeche si adegua a un modello predeterminato di comportamento e menopossibilità invece ci saranno per trovare obiettori e disobbedienti.In un contesto tale i singoli atti sono impotenti di fronte aicomportamenti dominanti e così saranno sempre meno gli “eventi dellaStoria”.La sfera della società ha avuto la tendenza fin dalla sua comparsa afagocitare l’ambito privato e quello politico.La società di massa ha inglobato quelle che erano le occupazionidella vita domestica trasformando i suoi membri in lavoratori-salariati ossia persone che lavorano unicamente per il lorosostentamento vitale. L’uomo non è impegnato ad altro che asopravvivere. L’attività lavorativa, prima confinata al solo ambitoprivato-familiare, viene immessa nella sfera pubblica. Il processovitale ha stabilito il suo dominio pubblico liberando così “unacrescita innaturale del naturale”(aumento della produttività dellavoro) di fronte alla quale l’ambito privato e politico si sonodimostrati impotenti.Il fatto che la produttività del lavoro sia cresciuta in modoesponenziale è dovuto al fatto che il lavoro si è inserito nela sferapubblica e la sfera pubblica, anche nell’età moderna, è l’unicoambito in cui può eccellere e si è portati eccellere perché si è alconfronto con altri, si ha un pubblico. L’eccellere ha sempre bisognodella presenza di altri che devono fungere sia da pubblico che da“avversari” con cui confrontarsi.

Il termine “pubblico” denota due fenomeni. Ciò che appare in pubblicocioè alla presenza di altri ha una realtà più autentica e profonda di

quella di cui possiamo avere esperienza nell’intimità. Di conseguenzatutto ciò che è irrilevante per il pubblico diventa faccenda privata(ad esempio l’amore). in secondo luogo il termine “pubblico” indicail mondo stesso che allo stesso tempo mette in relazione e separa gliuomini. questa sfera non può che reggersi sulla permanenza. Non sipuò concepire una sfera pubblica pianificata per una sola vita.L’uomo nel pubblico è messo in relazione non solo con i suoicontemporanei, ma anche con quelli che lo hanno preceduto e conquelli che verranno dopo. È grazie a questo ambito che l’uomo puòcompiere gesta o produrre opere che gli sopravvivano e che lo rendanodi conseguenza immortale.Il sintomo della perdita della dimensione della sfera pubblicanell’età moderna è da rintracciare nel fatto che la ricerca diimmortalità è considerato un atto di vanità e nulla più:l’ammirazione pubblica viene divorata dalla vanità individuale comeil cibo dalla fame.La sfera pubblica è contraddistinta da una presenza di moltepliciprospettive che è impossibile semplificare costringendole ad un unicodenominatore. Nel mondo la posizione di uno non può in nessun modocoincidere con la posizione di un altro. I “Molti” sono spettatori diuno stesso oggetto da posizioni diverse e in virtù della differenzadi queste posizioni l’oggetto trasmette a ognuno diversi aspetti. Lasfera pubblica è garantita dalla diversità di prospettive, ma allostesso tempo dal rivolgersi al medesimo oggetto. Se l’individuazionedell’identità dell’oggetto cade, viene a cessare anche lamolteplicità prospettica. Ci possiamo trovare quindi in uno statodispotico dove non si comunica più l’uno con l’altro o in una societàdi massa dove non ci sono più differenze e ci si comporta come sefossimo tutti membri di una stessa famiglia.

È interessante osservare che l’odierna graduale scomparsa della sferapubblica sta di pari passo coinvolgendo anche l’ambito privato. E èinteressante notare come nel programma di Marx era di pari importanzal’eliminazione sia della sfera pubblica che della proprietà privata.Da ciò si deduce come privato e pubblico sono in realtà molto piùconnessi di quanto non appaiono. Nell’antichità la proprietà privataaveva pari importanza rispetto all’attività politica. La casa, lafamiglia era l’ambito in cui si viveva la nascita e la morte, i

grandi misteri dell’esistenza umana verso i quali però siamofortemente condizionati. Questi due aspetti della vita umana dovevanorestare nascosti e privati. Era vitale e necessario per la polisstabilire un confine tra questi due ambiti e questo confine era lalegge, un’autentica terra di nessuno, un muro. La proprietà privatanon rappresentava dunque solo una condizione per partecipare allavita pubblica, era anzi il suo lato oscuro. La proprietà era sacra enon era in nessun modo legata alla ricchezza. la ricchezza invece erauna condizione per entrare nella vita pubblica perché significavasollevarsi dalle varie preoccupazioni della vita. Essere liberosignificava essere padrone delle proprie necessità di vita, libero ditrascendere la propria vita e entrare in un mondo comune a tutti.Ciò che conta invece per l’epoca moderna non è tanto la proprietàprivata, quanto l’accumulazione di ricchezze che inizia conl’espropriazione.

L’avvento del sociale avviene con la trasformazione della curaprivata per la proprietà in una preoccupazione pubblica . Laricchezza non è più condizione per partecipare alla vita pubblica, maè la vita pubblica che deve ora proteggere la ricchezza. La ricchezzache però si immette nella sfera pubblica contraddice quella che è lacaratteristica della sfera pubblica come ciò che sopravvive agliindividui, perché anche la ricchezza è qualcosa destinata aconsumarsi. Non si può parlare quindi di “ricchezza comune”. Laricchezza è sempre privata e quindi si palesa la contraddizione perla quale nello Stato moderno l’unica cosa che gli uomini hanno incomune è l’interesse privato. Questa contraddizione ha portato allascomparsa di queste due sfere a favore del sociale.Ogni cosa, di conseguenza la proprietà, perde il suo carattereesclusivamente privato per divenire sociale, tutto diventa oggetto di“consumazione”. La proprietà passa dall’essere una parte acquistatadal suo possessore, ma aveva la sua origine nell’uomo stesso inquanto ogni uomo è proprietario di una “forza-lavoro”. La proprietàprivata non è più un luogo concreto del mondo, ma qualcosa diconnaturato all’uomo. e la ricchezza una volta immessa nella sferapubblica si è accresciuta in maniera tale da non poter essere piùgestita nei confini della proprietà privata. In questo contestol’uomo cerca un porto sereno nell’intimità che però è un ambito

differente dall’ambito privato degli antichi. L’uomo perde anzi lasua sfera privata perché espropriato dall’accumulazione di ricchezzadi altri uomini.

Non è però un assunto assoluto che il privato debba concerneresoltanto il necessario e ciò che deve rimanere nascosto. Un casoparticolare è rappresentato dalla bontà cioè l’attività di compiereil bene per se stesso come ci è stata tramandata dall’insegnamento diGesù. La bontà ha un particolare statuto in quanto ha bisogno deglialtri per potersi esprimere, ma allo stesso tempo una volta che la siesibisce nella sfera pubblica scompare. La bontà deve essereesercitata e ricevuta inconsapevolmente. Per la tradizione cristianal’uomo non può essere buono, come per la tradizione socratica l’uomonon può essere saggio. L’amore per la bontà però a differenza dellafilosofia può e deve essere praticato da tutti.

III LAVORO

La distinzione tra lavoro e opera rinvia a quello di lavoro con ilcorpo e lavoro con le mani. Nell’antica Grecia la prima attività erasvolta dagli schiavi, la seconda dagli artigiani.L’istituzione della schiavitù è il tentativo di escludere il lavorodalle condizioni della vita umana. Lo schiavo è animal laborans.L’artigiano è homo faber. L’età moderna non fu consapevole di questadistinzione: Marx e Smith distinguono tra lavoro produttivo eimproduttivo che potrebbe essere ricondotto alla prima distinzione.Il lavoro infatti è attività che non lascia tracce tangibili dietrodi sé. Marx attribuiva al lavoro la peculiarità di essere sempreproduttivo e arrivava così a confondere lavoro con opera cioèconsiderare l’animal laborans come un homo faber.La teoria innovativa di Marx fu proprio quella di vedere il lavorocome capace di creare un surplus di produttività, ogni lavoro èproduttivo e non esistono più lavori puramente “servili”.

La realtà del mondo umano è garantita dal fatto che siamo circondatida opere e oggetti la cui permanenza supera il tempo della loroattività produttiva. La vita umana è impegnata in un continuoprocesso di reificazione.Le cose tangibili meno durevoli sono quelle richieste dal processovitale. Sono le meno mondane e le più naturali.L’azione e il discorso che sono le attività dell’ambito politicohanno come fine quello di costituire una storia. I processi naturalinel mondo umano sono contraddistinti da crescita e deperimento.Quando consideriamo le cose nella loro individualità esse sonodestinate a crescere e deperire. Tutti i processi naturali cheentrano nella vita dell’uomo hanno questo destino (soprattutto quellerichieste dal processo vitale).Il lavoro per Marx come per Locke è metabolismo dell’uomo con lanatura ossia nella misura in cui io lavoro la natura la consumo. Illavoro prepara la materia per la sua incorporazione. È l’opera peròche strappa la materia alla natura senza restituirgliela, perchéappunto la materia immessa nel processo vitale partecipa delmovimento ciclico della natura stessa. Un altro scopo del lavoro èquello di preservare le opere dal’opera di deperimento della natura(una delle dodici fatiche di Ercole era pulire al stalla di Augia).

L’ascesa del lavoro come attività propriamente umana ha inizio conLocke e dalla sua concezione che il lavoro è fonte della proprietàfino ad arrivare a Marx che lo definì fonte di ogni produttività eciò che contraddistingueva l’uomo in quanto tale.Come può però il lavoro essere fonte della proprietà essendo il primoqualcosa che si consuma immediatamente e la seconda qualcosa didurevole? Questa contraddizione scaturiva dal fatto di confondereopera e lavoro comune a Locke, Smith e Marx.Smith e Locke avevano chiara la differenza tra lavoro improduttivo(che è destinato al consumo) e lavoro produttivo (che ha come fine unoggetto destinato a durare). Questi due autori erano consapevoli chenon ogni genere di lavoro pone la differenza di valore in ogni cosa.Il valore derivaca dal rimanere più o meno a lungo nel mondo.In Marx invece per quanto riguarda il lavoro è presente nelle sueopere un’evidente contraddizione. Il lavoro è ciò checontraddistingue l’uomo come tale, ma la rivoluzione ha come fine

quello di emancipare l’uomo dal lavoro, ossia di liberalo dallenecessità corporee.Il lavoro è equiparato da Marx alla riproduzione, la capacità dunquedi generare un surplus.

L’attività lavorativa incapace di pervenire alla produzione dioggetti permanenti diventa estranea al mondo. L’animal laborans nonfugge dal mondo, ma ne è espulso perché è imprigionato nellaprivatezza del suo corpo. Preso nell’adempimento delle necessità nonla può condividere e non la può comunicare. È attraverso la faticache la vita si fa percepire.La schiavitù a cui ci sottopone la vita era un dato perennementepresente tra gli antichi, e qualcosa che invece oggi si sta perdendononostante perduri, c’è il rischio che l’uomo non sapendo di esseresoggetto alla necessità non desideri di essere libero.La figura dello schiavo non può essere paragonata a quella dellostrumento che uso per fabbricare delle cose, gli schiavi sonostrumenti del vivere che costantemente consuma i loro servizi. Ilprocesso della vita che richiede il lavoro è senza fine.La divisione del lavoro non orientata dal prodotto finale ponel’equivalenza qualitativa d tutte le singole attività per le qualinon è richiesta nessuna abilità speciale. Queste attività non hannoun fine, ma sono sommate come singole quantità di forza-lavoro inmodo puramente quantiativo. Non c’è la somma di due abilità, duelavoratori vanno a comporre un solo uomo. questa unificazione nullaha a che fare con la cooperazione e l’uomo è qui visto solo dal puntodi vista della specie in cui ogni individuo è uguale.La rivoluzione industriale ha sostituito la competenza artigianalecon il lavoro, da ciò consegue che le cose del mondo moderno sonodiventate prodotti di lavoro il cui destino è di essere consumate (diessere assimilate nel processo vitale) e non quello di essere usatecome prodotti dell’operare.Gli attrezzi e gli strumenti che facilitano e alleviano lo sforzoderivante dall’attività lavorativa cambiano i modi in cui una voltaera percepita l’urgenza della necessità inerente al lavoro. Lanecessità non è cessata, è stata solo occulatata. I prodotti dellavoro cessano di essere durevoli, uso e consumo cominciano aconfondersi.

I prodotti del lavoro infatti non sono più cose durevoli in quantofrutto dell’operare, sono frutto del lavoro ossia sono intese comequalcosa da consumare perché partecipano anch’essi del processovitale e quindi sono visti come destinati a deperire.Ormai l’homo faber è scomparso, è sopravvissuto solo l’animal laborans.Al lavoro è connaturata la fecondità e quindi produce abbondanza el’abbondanza ha bisogno di essere consumata.

Tutte le attività umane sono livellate a quel comune denominatore cheè l’assicurare le cose necessarie alla vita e provvedere alla loroabbondanza. Ogni cosa la si fa per “guadagnarci da vivere”. L’unicocreatore di opere nella società è l’artista. Ogni attività che nonabbia come fine il sostentamento e la riproduzione della vita ègioco. Di conseguenza anche l’opera dell’artista diventa “gioco”.L’età moderna ha rimosso la violenza con cui l’uomo antico comandavalo schiavo, ma così facendo ha riaperto le porte alla necessitàbiologica. Il fatto che tutti siano liberi comporta che tutti sianoallo stesso modo schiavi delle necessità.

IV L’OPERA

L’opera fabbrica le cose la cui somma totale costituisce il mondoartificiale dell’uomo. sono oggetti per l’uso, sono caratterizzatidalla durevolezza, dal valore e sono testimonianza dellaproduttività. La durevolezza del mondo artificiale però non èassoluta. La durevolezza però dà alle cose una relativa indipendenzadagli uomini. hanno la funzione di stabilizzare la vita umana, l’uomoritrova il proprio sé nella possibilità di potersi riferire aglistessi oggetti. Questo mondo artificiale è propriamente il mondooggettivo, qualcosa di esterno a noi, ma che non ci è estraneo.Più è continuo l’uso che l’uomo fa di un oggetto più quell’oggetto siconsuma, più quell’oggetto concerne i processi vitali dell’uomo piùquell’oggetto rientra essere un oggetto di consumo e quindi inqualche modo è lavorato. La distruzione però è accidentale rispettoall’uso, necessaria rispetto al consumo. Il cibo si distrugge perchéè necessario che lo si assimili, un paio di scarpe invece se non èutilizzato può resistere per diverso tempo. La terra coltivatapotrebbe sembrare un oggetto di lavoro che nel tempo si trasforma in

opera, ma la terra ha bisogno di continuo lavoro e non riesce mai areificarsi.

La fabbricazione quindi consiste nella reificazione. L’homo faber èdistruttore, strappa il materiale dal suo ambiente naturale. L’animallaborans è servo della terra, mentre l’homo faber è signore e padrone.L’uomo vide la sua capacità produttiva nella creatio ex nihilo di Dio equindi fu destinata ad apparire come il fulcro di una rivoltaprometeica, poteva edificare un mondo umano con la distruzione dellacreazione divina ossia la natura. L’opera è fonte di sicurezza,soddisfazione e di maggiore fiducia in se stessi, l’uomo mette allaprova la sua forza con la forza soverchiante degli elementi.L’opera della fabbricazione avviene seguendo un modello. Ciò cheguida l’opera è esterno a colui che opera e precede l’effettivoprocesso operativo proprio come le esigenze del processo vitale nelcaso del lavoratore.C’è un abisso che separa le nostre sensazioni di dolore e piacere chesono private e inespressi bili, dalle immagini mentali che invecehanno la funzione di essere reificate e “esternate”. L’immagine poinon scompare con il prodotto finito. Nell’operare è inclusa unamoltiplicazione potenziale ed questa è differente dalla sempliceripetizione del lavoro.Il processo del fare è determinato dalle categorie di mezzo e difine. Se nel lavorare il prodotto finale è solo un mezzo per lasussistenza, nell’operare la fine è qualcosa di determinato. Perquanto riguarda la cosa finale non è necessario che il processo difabbricazione sia ripetuto. L’impulso alla ripetizione viene altresìdal soggetto e dal suo bisogno di procurarsi i mezzi di sussistenza.Il processo quindi è ripetuto per necessità esterne, il lavoro inveceha la ripetizione come qualcosa di connaturato.L’opera è contraddistinta dall’avere un inizio e una finedeterminati, il lavoro invece è assorbito dal movimento ciclico delprocesso vitale e non ha né inizio né fine. L’azione invece ha solol’inizio e non ha fine. L’attività dell’opera è reversibile(l’oggetto prodotto può essere distrutto e quindi non è strettamentenecessario alla vita dell’uomo).L’homo faber è quindi libero di produrre e libero di distruggere.

L’uomo è “fabbricante di strumenti”. L’homo faber è colui che inventae produce gli strumenti che sono in grado di alleviare le fatichedell’attività lavorativa dell’animal laborans. La produzione di unoggetto è guidato da fini oggettivi e non da necessità soggettive.Gli strumenti sono le uniche cose che resistono al lavoro e alprocesso di consumo. Per l’animal laborans la stabilità del mondo è datadalla presenza degli strumenti.L’animal laborans moderno lavora per avere la forza di lavora e peravere mezzi da consumare. Si perde quindi la capacità di distingueretra mezzi e fini. Con questa si perde anche la distinzione tra l’uomoe i suoi utensili. Ciò che domina il lavoro dell’uomo non è lo sforzointenzionale dell’uomo né il prodotto finale, ma il movimento delprocesso e il ritmo che esso impone ai lavoratori. Gli utensili sonoassorbiti in questo ritmo. Adesso è il movimento della macchina chesottomette il movimento del lavoratore.Nulla può essere meccanizzato così facilmente come il ritmo dellavoro che è il ritmo del processo vitale. L’animal laborans non usa glistrumenti per costruire un mondo, ma per agevolare le fatiche del suoprocesso vitale. L’utensile rimane servo della mano umana, la macchina invece guida ilmovimento del corpo ed è in grado di sostituirlo.Siamo arrivati oggi non più a usare i materiali così come ce li dà lanatura, così da denaturalizzare la natura, ma si cominciano a crearedei processi naturali che senza di noi non sarebbero mai avvenuti.Abbiamo immesso le forze naturali nel mondo umano. La manifattura èpassata dall’essere una serie di passi separati a un processocontinuo esemplificato dalla catena di montaggio.Questa immissione ha mandato in rovina la finalità degli oggettirispetto agli utensili. Nel prodotto delle mani umane il processo difabbricazione è distinto dall’esistenza della cosa fabbricata, invecel’esistenza della cosa naturale non è separata dal processoattraverso il quale viene ad essere. Questi processi se consideratidal punto di vista dei fini umani assumono carattere di automatismo.Nell’automazione non c’è più distinzione tra operazione e prodotto.

Per quanto riguarda l’attività dell’homo faber il fine non sologiustifica i mezzi, ma li organizza e li produce. Il prodotto a suavolta non diventa mai fine in se stesso. Un oggetto mostra la sua

utilità ridiventando mezzo. in un mondo utilitaristico abbiamo unacontinua e ininterrotta catena di fini e mezzi, in cui ogni finediventa a sua volta un mezzo.Questa visione perviene da un’incapacità di comprendere ladistinzione tra utilità e significato cioè “al fine di” e “in nomedi”. L’homo faber opera non al fine dell’utilità, ma “in nomedell’utilità” che l’homo faber fa ogni cosa nei termini di fine. Nonc’è modo dunque di interrompere la catena di mezzi e fini se non siammette che ogni cosa è “un fine in sé”. Una volta raggiunto un fineesso cessa di essere tale, diventa un oggetto tra gli oggetti cioè siimmette nel mondo dei mezzi che l’homo faber utilizza. Il significatoinvece deve essere qualcosa di permanente. L’homo faber è incapace diintendere il significato.Per sfuggire all’aporia della mancanza di significato di unafilosofia utilitaristica è staccarsi dalle cose d’uso e tornare allasoggettività dell’uso stesso. Se rivolta all’uomo come fine ultimol’utilità può diventare significato. Ma di conseguenza la natura e lecose perdono il loro intrinseco “valore”. Tutte le cose però si degradano a ruolo di mezzo e perdono la loroindipendenza.Questo criterio dell’utilizzabilità non deve essere estesa a criteriouniversale dominante della vita e il mondo degli uomini.Il mondo greco disprezzava questo antropocentrismo. Il detto diProtagora faceva dell’uomo che usa e strumentalizza il paradigmadell’uomo e non quello che agisce e parla. Se l’uomo è misura ditutte le cose, esso scampa dalla categoria mezzo-fine e diventa finein se stesso.

Il fatto che l’uomo fosse stato definito come “produttore distrumenti” è il sintomo di un’epoca quella moderna che volevaestromettere l’uomo politico che agisce e parla dalla sfera pubblicacome l’antichità che voleva estromettere l’homo faber.Nell’antichità l’homo faber era incluso nella sfera pubblica, infattil’agora era il luogo dove poteva esporre i propri prodotti. L’homofaber innesta relazioni con gli altri grazie allo scambio di prodottiche però sono opera di un lavoro solitario. L’uomo può diventareabile soltanto nel privato, qui può dominare la materia. Solo quandosmette di lavorare può abbandonare il suo isolamento. L’homo faber

produce oggetti d’uso quando è solo, poi essi diventano oggetti discambio una volta portati al mercato. Una cosa acquisisce valore dalmomento che appare in pubblico. I valori quindi non sono prodottidall’attività umana, ma vengono ad essere quando gli oggetti cadononella rete dello scambio tra i membri della società. La cosa perdevalore intrinseco quando il proprio valore dipende dallo scambio conun’altra cosa. L’homo faber non poté sopportare la perdita dellemisura assolute. Il denaro che è il comune denominatore dello scambionon ha un’esistenza oggettiva e indipendente.La relatività del mercato di scambio deriva dalla strumentalitàemergente dal mondo dell’artigiano e dall’esperienza del mondo dellafabbricazione.

C’è una classe di artefici umani che sono privi di utilità, non sonoscambiabili e non sono sfiorati dal livellamento del denaro, questa èl’opera d’arte che deve essere allontanata dagli oggetti d’uso pertrovare il suo posto nel mondo.A causa della loro permanenza le opere d’arte sono le cose più“intensamente mondane” tra le cose tangibili. Esse non vengono usatee di conseguenza non sono consumate. La durevolezza del mondodell’uomo appare nella sua purezza e chiarezza. La fonte dell’operad’arte è la capacità umana del pensare.Nel caso delle opere d’arte la reificazione diventa trasfigurazione,una metamorfosi in cui il corso della natura è invertito. Le opered’arte sono cose di pensiero a cui però è consentito diventare“cose”. La poesia è la più umana delle arti perché il prodotto finalerimane prossimo al pensiero, è la meno “cosale” delle opere d’arte.L’opera d’arte si identifica con il pensiero pura attività, il cuifine è in se stesso da cui nasce la filosofia. Gli scienziati e gliuomini d’azione disprezzano arte e filosofia perché inutili.L’artista però per produrre l’opera deve interrompere il pensiero. Ilpensiero non è in grado di costruire un mondo, bensì è estraneo aesso.Il mondo creato dall’uomo diventa la dimora per gli uomini mortali epermane al loro incessante movimento, esso trascende la funzionalitàe l’utilità degli oggetti d’uso. La vita si manifesta nell’azione enel discorso che sono essenzialmente futili, queste attività nonlascerà prodotti tangibili dietro di sé. Quindi gli uomini politici

hanno bisogno di quella particolare specificità dell’homo faber che èl’artista per far sì che le loro imprese, le opere, le parolesopravvivano dopo di lui.La sfera artificiale umana deve essere uno spazio che sia adeguatoall’azione e la discorso cioè per attività “inutili” per le necessitàdella vita.

V L’AZIONE

La pluralità umana ha il duplice carattere dell’uguaglianza e delladistinzione. Se fossero completamente diversi non ci potrebbe essereinterazione, se fossero uguali non avrebbero bisogno dell’azione edel discorso.L’uomo è in grado di esprimere la propria distinzione e diconseguenza è in grado di esprimere se stesso. L’uomo condividel’alterità con tutte le cose e la distinzione con gli altri esseriviventi, diventano unicità e la pluralità degli esseri umani è lapluralità di esseri unici. Sono il discorso e l’azione a esprimerequesta unicità, grazie ad essi gli uomini “si distinguono”. Tramitediscorso e azioni gli uomini appaiono agli altri uomini in quantouomini e non in quanto oggetti. Questo apparire s fonda suun’iniziativa. Una vita senza azione e discorso non è vita umanaperché significa che non è più vissuta tra gli uomini. Con questeattività entriamo nella vita pubblica ed è come se vivessimo unaseconda nascita. Infatti l’iniziativa che ci guida è una capacità dicreare qualcosa di nuovo come è appunto la nascita. L’uomo dato che èiniziatore grazie alla nascita prende a sua volte iniziativa, passadall’essere oggetto di iniziativa a soggetto. Con la creazionedell’uomo il principio del cominciamento entrò nel mondo. Ilprincipio di libertà fu creato con l’uomo, non prima. Il nuovo che sicrea è sempre qualcosa che sfugge alle leggi statistiche, la comparsadella vita sulla terra era qualcosa di altamente probabile. L’uomo èunico e ed capace di creare qualcosa di assolutamente innovativo. Inquest analogia tra creazione e attività umana, il discorso sta allarivelazione come l’azione al cominciamento. Sono due attività peròstrettamente connesse, l’azione senza discorso non avrebbe più unattore che è colui agisce e parla. Il discorso è necessarioall’azione, rispetto alle altre attività ha invece un ruolo

subordinato. Il discorso non si riduce ad essere mezzo dicomunicazione, la sua funzione potrebbe essere altrettantoefficacemente svolta da un linguaggio di segni. E così anche l’agirepuò essere inteso come agire in vista di qualcosa, ma se conta peròsolo il fine questo fine potrebbe essere perseguito dalla mutaviolenza.Azione e discorso quindi non sono delle attività strumentali,attraverso di esse gli uomini mostrano chi sono, rivelano l’unicitàdella loro identità personale. Si può nascondere il “chi si è” solonel silenzio e nella passività. Ma non si rivela la propria identitàintenzionalmente, anzi vera essenza della persona resta oscura allapersona stessa. Questa rivelazione avviene stando insieme agli altri.È un rischio che sia il benefattore che il criminale non possonoprendersi. L’azione deve sempre rivelare un agente altrimentil’azione diventa una forma di realizzazione tra le altre. ciò checonta non è il fine e dal fine non si può ricavare il “chi” di chicompie l’azione. L’azione senza l’agente è quindi priva disignificato.

Eppure l’identità di un individuo che parla e agisce resta qualcosadi intangibile, quando dobbiamo definire una persona siamo piùportati a individuarne il che cosa piuttosto che il chi, cioè lequalità che condividono con gli altri, cioè descriviamo un carattere.Incontriamo quindi una sorta di impossibilità nel cristallizzarel’essenza vivente di una persona in parole.Il contenuto dell’azione e del discorso sebbene oggettuale quindirivela sempre anche l’agente, esse avvengono in uno spaziorelazionale che ricopre ed è completamente diverso dal mondo comeoggetto di interesse. Questi processi non lasciano dietro di sérisultati o prodotti finali tangibili. Chiamiamo questa realtàl’intreccio delle relazioni umane la cui natura è quella di essereintangibile.L’intreccio non è una sovrastruttura che si palesa rispetto a unsostrato di interessi, l’uomo rivela sempre se stesso come soggettoanche quando persegue i suoi fini particolari.L’azione raramente consegue il suo scopo perché si innesta in unintreccio già esistente di relazioni e azioni, ma inserendosi inquesto intreccio l’azione produce “storie”. Queste storie hanno

sempre qualcosa in più rispetto alle loro reificazioni (artistiche omeno). Ci dicono molto intorno ai soggetti che le hanno vissute, dicui è attore nel senso che ne ha dato inizio, ma non ne è mai autore.La Storia in generale non ha autori concreti, il suo soggettol’Umanità non po’ essere considerato agente attivo. Nella sfera deglieventi umani è possibile soltanto individuare l’iniziatore, ma poi èimpossibile ripartire le varie responsabilità riguardo l’esitofinale.Da qui deriva una sorta di disprezzo filosofico nei confronti degliaffari umani. Dio platonico è sintomo che le storie reali non hannoun autore. La storia deve la sua esistenza agli uomini, ma non è“fatta” da loro. La Storia ha una natura politica cioè è una storiadi azioni e non di idee. I vari attori invisibili che sono statiadottati per spiegare l’eterogenesi dei fini è un espediente perspiegare questo surplus prodotto dall’azione.La storia non ha artefice perché non è fatta. Possiamo però conoscereil chi di una persona conoscendone la storia, la storia di cui è statoeroe cioè ha avuto il coraggio di iniziare la propria storia. Ilcoraggio consiste anche nel mostrare se stessi. L’unica reificazionefedele dell’azione è la rappresentazione scenica, perché recitare èun’imitazione in tutto e per tutto dell’agire. Gli attori rendono ilpieno significato degli eroi che nella storia si rivelano.Il teatro è l’arte politica per eccellenza, solo in esso la sferapolitica della vita umana è trasposta nell’arte.

L’azione necessita della presenza di altri. Un uomo solo benché fortesoccomberà sempre.In greco e in latino abbiamo due termini con cui indicare l’agire:achei (cominciare) prattein (portare a compimento), agere e gerere. Sembrache l’azione sia divisa in due parti: l’inizio che fa capo a unapersona, il compimento che invece richiede la presenza di molti.Successe poi che l’azione in generale fu espressa con le parole cheindicavano il portare a compimento (prattein e gerere) e quella cheindicava il cominciare si tramutò in comandare. La capacità diiniziare l’azione fu prerogativa del capo, quella di portarla acompimento invece spettava ai suoi sottoposti. La forza del leaderviene dal rischio iniziale e non dalla riuscita o meno del proposito.

L’attore muovendosi tra altri agenti è allo stesso tempo quella chefa e subisce. Da ogni azione si origina una catena di reazioni chedanno vita a processi di genere diverso. La reazione non è semplicerisposta, ma diventa a sua volta un’azione. Il rapporto azione-reazione non può essere costretto in limiti. L’azione crea relazionie quindi ha la tendenza a superare tutti i confini. Confini e leggisono modi di resistere a questi effetti devastanti dell’azione emolte volte soccombono. Un corpo politico è quindi costretto a crearedelle limitazioni, ma può ben poco contro la naturale imprevedibilitàdell’azione.Il carattere e il contenuto della storia appare solo alla fine. Laluce che illumina i processi dell’azione compare solo alla fine (noncome nella fabbricazione che il modello è antecedente alla processodi produzione). Ciò che lo storico racconta è qualcosa di celatoall’attore stesso, è il narratore dunque che fa e comprende lastoria.

Il fatto che l’esito sia imprevedibile è connesso al carattere dirivelazione dell’azione e del discorso. Di conseguenza l’identità diuna persona può essere conosciuta solo alla fine della sua esistenza.L’essenza umana è conosciuta quando la vita cessa e si lascia dietrouna storia.Il legiferare era attività pre-politica e i legislatore eraconsiderato alla stregua di un architetto nell’antica Grecia. Lascuola socratica privilegiava invece i legislatori e gli artigianiperché arrivavano a prodotti finali tangibili e seguivano modelliuniversali. Non era praxis, ma poiesis. Solo una rinuncia all’azione èun rimedio per sfuggire alla fragilità degli affari umani.Anche Aristotele tende a pensare l’azione in termini di opera.La polis nasceva per moltiplicare le possibilità grazie alle qualil’uomo poteva conseguire fama immortale ossia le possibilità dipotersi distinguere. La polis inoltre offriva un rimedio alla futilitàdell’azione e del discorso. Nella polis si organizzava la memoriadelle storie dei vari uomini.La sfera politica quindi sorge dall’agire-insieme. La polis non è lasua configurazione esteriore i quanto città, ma uno spazio d’azione,in cui poter conseguire quella fama prima cantata dai poeti. Unospazio dove gli uomini appaiono e ricevono l’apparizione degli altri.

Lo spazio dell’apparenza si forma ovunque gli uomini condividono lemodalità del discorso e dell’azione e quindi precede la costituzionedella sfera pubblica o quella di un governo. Esso è potenzialmenteovunque degli uomini agiscano. Il potere si realizza solo laddove ildiscorso e l’azione si sostengono a vicenda. Il potere ha caratterepotenziale non è la forza e quindi non si riduce ai fattorimateriali. Il solo fattore materiale necessario al potere è il vivereinsieme degli individui. Il potere è ciò che tiene unite le personedopo che il momento fuggevole dell’azione è trascorso. E chiunque siisoli perde potere. Il potere deriva dalla condizione dellapluralità. Il potere non è quantificabile, la forza invece èindivisibile. La violenza può distruggere il potere, ma maisostituirlo. La violenza della tirannia ha come conseguenzel’impotenza a cui condanna governanti e governati. Caratteristicadella tirannia è infatti l’isolamento del tiranno dai cittadini,l’isolamento dei cittadini tra di loro e quindi per Montesquieu non èuna forma di governo come le altre perché contraddice la condizionedella pluralità che è condizione di tutte le organizzazionipolitiche. Essa quindi include in se stessa i germi della propriadistruzione dal momento che comincia a esistere.L’oclocrazia è invece il tentativo più promettente di sostituire ilpotere alla forza, il potere può distruggere la forza.Pericle e la grecia del suo tempo avevano fiducia, rispetto aimoderni, del potere. Il significato più profondo di un atto èindipendente dal suo esito. L’azione deve essere giudicata solo conil criterio della “grandezza”, essa irrompe nella dimensione dellostraordinario dove non hanno più senso i modi con cui giudichiamonella vita normale. La grandezza si trova solo nella realizzazione,non nella motivazione o nella realizzazione. L’azione e il discorsosono entelecheia ossia hanno in sé il proprio fine. L’opera dell’uomopolitico è il “vivere bene”, un’opera che non consiste in unprodotto, ma in uan pura attività. Il vivere bene dovrebbe avere comemezzo le varie virtù, ma anche esse sono attualità e quindi hanno ilfine in se stesse.Azione e discorso hanno subito nell’età moderna un processo didegradazione.

Nell’antichità si conferiva fiducia alla politica in quanto solo inquest’ambito l’individuo conquista la sua identità, azione e discorsonon arrivano a prodotti finali, ma hanno delle qualità durevoli cheprovocano il ricordo di sé. È la sfera pubblica quindi ad esserepropriamente opera dell’uomo più di quanto non lo sia l’opera dellesue mani o il lavoro del suo corpo. Per l’homo faber l’opera conta di più dell’uomo che l’ha compiuta, perl’animal laborans valore supremo è invece la vita e la suaconservazione, sono due concezioni impolitiche.La sfera pubblica però è necessaria anche per l’homo faber e l’animallaborans, solo in essa la realtà del proprio sé e la certezza delmondo esterno sono possibili.Il solo carattere del mondo che permette di misurare la realtà èl’essere comune a tutti. È attraverso il senso comune che noi uniamoe intendiamo realtà ciò che ci perviene dai sensi corporei. Quando inuna società domina la superstizione quello è il segno di una mancanzadi senso comune e di alienazione dal mondo.L’alienazione della società mercantile è che gli uomini entrano incontatto fra di loro solo in virtù dello scmabio e quindi attraversoun medium che è il denaro e gli uomini quindi appaiono come lorostessi sono solo nella dimensione privata (all’opposto quindi di comesuccedeva nell’antichità).La grande venerazione che l’età moderna tributa al genio è causatadal fatto di dimostrare come l’opera di un uomo valga di piùdell’uomo stesso.Solo le volontà volgari fanno dipendere il proprio orgoglio da ciòche hanno fatto. il genio invece trascende quello che fa non siesaurisce in esso.

L’operare è un modo impolitico perché per operare l’uomo si deveisolare, ma non antipolitico in quanto ha comunque bisogno, una voltache l’opera è compiuta, di entrare in relazione con gli altri.Il lavoro è invece impolitico perché l’uomo è presente soltanto alproprio corpo e alle sue necessità. Il vivere insieme dell’operaionon presenta nessun tratto distintivo di una vera pluralità.L’operaio è simile a un altro non perché conseguono uno stesso scopoo perché interagiscono, ma solo sotto il punto di vista diappartenere a una stessa specie. La natura collettiva del lavoro

comporta quindi la perdita dell’individualità. I valori del lavorosono sociali e equiparabili a quelli provenienti dal mangiare e dalbere. La socialità non si basa sull’uguaglianza, ma su un’uniformitàal genere. Da una società basata su lavoro e consumo non può chederivare conformismo. Avviene quindi una fusione dei molti in unitàindistinta che è un processo antipolitico, un corpo politico èformato da persone differenti, alla sfera politica si addiceun’uguaglianza di ineguali. L’uguaglianza non viene dalla naturaumana, ma dall’esterno, l’uguaglianza politica non l’uguaglianza difronte alla morte, ci relazioniamo alla morte anche in condizione disolitudine. La vita e la morte non possono essere elementi dellasfera politica.Con l’emancipazione del lavoro, un’intera classe di lavoratoriapparve sulla sfera pubblica. I lavoratori come gruppo sulla scenapubblica avevano un grande potere potenziale perché il loro obiettivonon erano soltanto rivendicazioni economiche, ma soprattutto quellodi riformare in modo assoluto l’assetto politico. Non perseguivanouno scopo materiale, era un’organizzazione in cui gli uomini agivanoe parlavano in quanto uomini e non in quanto membri di una società. Ènecessario quindi distinguere nella storia del movimento operaio lelotte sindacali (che conseguivano sempre un fine determinato) dallevere e proprie rivoluzioni politiche.Oggi però gli operai non sono più estranei alla società, ma sono suoimembri. Prima gli operai rappresentavano il popolo nella sua totalitàe non un semplice gruppo di pressione.

Alla agire è legata una triplice frustrazione: l’imprevedibilitàdell’esito, l’irreversibilità del processo e l’anonimità degliautori. I pericoli inerenti all’azione derivano dalla condizioneumana della pluralità.Le forme monarchiche possono essere molti efficienti sul pianopratico, ma escludono il cittadino dalla sfera pubblica a cui inveceè raccomandato di curare i propri affari.La concezione per la quale ogni comunità politica deve comprendere unrapporto di comandante-comandato porta con sé non tanto un disprezzoper l’uomo, ma una diffidenza nei confronti dell’azione di cui sivuole trovare un sostituto. Lo stesso Platone nel Politico mostrava lanecessità che archein e prattein fossero uno il comando e l’altro il

modo in cui i sottoposti obediscono. L’azione così viene eliminata inquanto si riduce a esecuzione di un ordine. Platone introdusse ladistinzione tra quelli che sanno e non agiscono e quelli che nonsanno e agiscono. Platone non fece altro che trasporre il modelloorganizzativo domestico nell’amministrazione della polis. Non volevatanto eliminare la famiglia, ma estendere il suo modelloorganizzativo alla città. Platone toglieva così spazio all’azione inquanto tale. La città-stato doveva essere la proiezione ingranditadell’essere umano. Platone introdusse il principio del dominio primache nella città, nei rapporti dell’uomo con se stesso. Come il refilosofo comanda gli altri, così l’anima comanda il corpo. Solol’inizio ha diritto di governare. La separazione platonica diconoscere e fare è alla basa di tutte le teorie del dominio. Platonesostituisce il governo all’azione mediante un’interpretazione deitermini di fare e fabbricazione. Platone poi nella sua teoriaepistemologica non fa altro che riprendere l’attività dell’artigianoche contempla il modello prima di eseguirlo. Platone così sostituisceil fare all’azione, per dare agli affari umani la stabilitàdell’opera.L’idea di bene non è identificabile con il bello, ma con “ciò che èadatto”. Il bene non è l’idea più elevata del filosofo, bensì del re-filosofo, le idee quindi passano dall’essere oggetto dicontemplazione a criterio, regole per l’azione.Chi governa per Platone deve essere distinto dagli uomini come ilpadrone dagli schiavi. Nei successivi sistemi utopistici il concettodi azione era interpretato nei termini del fare e del fabbricare.Questa interpretazione richiede una sorta di violenza (l’artigianonel fabbricare fa violenza alla natura), ma non si glorifica laviolenza nel pensiero politico pre-moderno perché le più alte facoltàdell’uomo erano quelle della ragione e della contemplazione.Le modificazioni della teoria politica apportate da Platone hannoavuto successo perché poi si è sempre parlato in politica attraversole categorie di mezzo-fine, in cui la politica diventa un mezzo perun fine superiore. Nonostante ne imitasse il modello di fabbricazionePlatone non si sarebbe mai sognato di riconoscere la cittadinanzaagli artigiani questo la dice lunga come il concetto di azione fosseancora ben presente come specifico modo di agire nell’ambitopolitico.

Ma nonostante tutte le critiche e i rovesciamenti fatti l’uomo non hasmarrito la sua capacità di agire, che oggi è presente più che mainella scienza. L’uomo infatti ha la capacità di creare processinaturali che non si sarebbero mai verificati, il fatto che le scienzenaturali siano diventate scienze processuali è conseguenza dell’agirecioè la facoltà umana di iniziare qualcosa di completamente nuovo ilcui esito però è ignoto. Un’altra scienza ad avere carattereprocessuale è quella storica. Queste due scienze sono possibiliquindi grazie all’azione. La principale caratteristica delle coseumane è l’incertezza, l’uomo non è in grado di controllare e direndere conto dei processi a cui dà vita mediante l’azione. La forzadel processo di azioni non si esaurisce in un gesto, ma si accresce ele sue conseguenze si moltiplicano. L’azione non ha fine. In unasfera dove domina la libertà, l’uomo dal momento che compie un’azionenon è più in grado di disporre di essa. L’unica salvezza sembrerebbeil non-agire, ma questo atteggiamento deriverebbe da unaequiparazione di libertà e sovranità, nessun uomo potrebbe esserelibero perché la sovranità contraddirebbe la condizione umana dellapluralità. Nemmeno gli dei politeisti erano sovrani, l’identità dilibertà e sovranità avviene con il politeismo.Il fatto che siamo liberi, ma non possiamo disporre liberamente delleconseguenze delle nostre azioni (non siamo sovrani di esse) non deveessere letto come una contraddizione.la redenzione dall’aporia dell’irreversibilità è nella facoltà diperdonare. Rimedio alla caotica incertezza del futuro è fare emantenere delle promesse. Il perdonare distrugge i gesti del passato,le promesse servono a gettare nell’oceanica incertezza del futurodelle isole di sicurezza.Senza essere perdonati potremmo fare un solo gesto. Senza esserelegati all’adempito delle promesse non riusciremmo a mantenere lanostra identità.Entrambe queste facoltà presuppongono sempre la condizione dellapluralità. Sono di conseguenze due criteri guida per l’azionepolitica. Il perdono fu introdotto da Gesù, bisogna prima perdonarsi gli unicon gli altri per essere poi perdonati da Dio. Si perdona ciò che èstato fatto inconsapevolmente. L’uomo rimane agente libero perché

viene liberato da ciò che ha fatto. la vendetta al contrario innestauna reazione e dà vita a una catena che non è più possibile troncare.Il perdono in quanto inatteso ha lo stesso carattere diimprevedibilità dell’azione. Non è un’azione che re-agisce, ma cheagisce in modo nuovo.Dove non possiamo perdonare, perché l’azione ha trasceso il dominiodelle cose umane, dobbiamo punire.Il perdonare deriva dall’amore, quella forza che distrugge l’infra checi divide dagli altri. Solo nell’amore una persona rivela pienamentenel chi e si è in grado di perdonarla. L’equivalente dell’amore è ilrispetto, una sorta di amicizia senza intimità, è un riguardo per unapersona tra la quale però c’è una distanza messa tra di noi dallospazio del mondo.il fatto che nell’età moderna sia sparito il rispetto salvo che nelleforme di ammirazione la dice lunga sulla spersonalizzazione dellavita politica. Il rispetto concerne solo la persona e non ciò che unapersona fa. Io non posso perdonare me stesso perché di me stesso nonho mai la rivelazione della mia vera natura.Anche il potere di fare promesse ha occupato il centro del pensieropolitico nel corso dei secoli. Si è detto che le persone che insiemeagiscono hanno un potere e questo potere deriva da un contrattostipulati da questi molti che è una mutua promessa. Solo in un grupposi può parlare, anche se in modo limitato, di sovranità. La sovranitàconsiste nell’indipendenza dall’incalcolabilità del futuro. essa puòessere conseguita solo dagli uomini collegati.L’azione interferisce con la legge della mortalità. Gli uomini nonsono nati per morire, ma per cominciare, l’azione è un miracolo, è ilmiracolo che preserva il mondo dal suo destino inesorabile di morteperché si lega alla natalità che riguarda la nascita di un individuocompletamente nuovo, come l’azione che provoca la nascita deiprocessi completamente nuovi e inaspettati.

VI LA VITA ACTIVA E L’ETÀ MODERNA

La proprietà è la più elementare condizione perché l’uomo siapresente nel mondo. L’età moderna invece coincidono conl’espropriazione (conseguenza della riforma) e l’alienazione

(conseguenza delle scoperte geografiche e della rivoluzionescientifica) di vasti strati della popolazione.La perdita di fede con cui si apre l’età moderna non ha causato unritorno dell’uomo nel mondo, quanto un ripiegamento su se stesso. Lafilosofia moderna si è esclusivamente occupata dell’io. si trattaquindi di un’alienazione del mondo e non di un’alienazione di sé. Lanuova classe lavoratrice fu alienata da tutto ciò che non riguarda lacura dei propri processi vitali. L’espropriazione e l’accumulazionenon cessarono in un’altra forma di proprietà, ma si moltiplicarono inmisure sempre crescenti. L’accumulazione del capitale di propagò pertutta la società e fece scaturire un flusso di ricchezza che siaccrebbe costantemente. Questo era il “processo vitale della società”e deriva dall’alienazione dal mondo, il processo continua se nessunadurevolezza o stabilità interferisce con esso. Il processo diaccumulazione è possibile al costo di sacrificare il mondo el’appartenenza dell’uomo nel mondo.Nel primo stadio l’alienazione fu caratterizzata dalla crudeltà edalla miseria, l’uomo era espropriato dalla famiglia e dallaproprietà. Nel secondo stadio la società diventa il soggetto delprocesso (come prima lo era la famiglia). La società ora come lafamiglia si identificava nella proprietà, diventava qualcosa ditangibile ossia il territorio nazionale che offrì alle classi unsurrogato della dimora privata. La comparsa dello stato-nazionemitigò la miseria, ma non poté fare nulla contro il processo diespansione. Nel terzo stadio l’umanità comincia a sostituire lesocietà e la terra il territorio nazionale.

La nuova visione del mondo data dalla scienza colpì l’immaginariocollettivo soprattutto per quell’assunto che una stessa forza dominala caduta dei gravi sulla terra e il moto dei corpi celesti. Prima diGalileo i filosofi avevano abolito la dicotomia terra-cielo.Galileo però con il telescopio rese possibile per una creaturaterrestre ciò che fino a quel momento sembrava al di fuori diqualunque sua possibilità conoscitiva. La reazione alla scoperta diGalieo non fu l’entusiasmo, ma il dubbio cartesiano.Quello che Galileo ci ha lasciato è un universo dalle qualità ignote,troviamo non qualità, ma strumenti e invece della natura odell’universo l’uomo incontra se stesso.

È come se la scoperta di Galileo avesse dimostrato come il più grandetimore (che i sensi ci ingannino) e la più grande speranza (ildesiderio di trovare un punto al di fuori del mondo) si potesseroavverare solo congiuntamente cioè abbiamo appagato il desiderio conla perdita della realtà. adesso nell’attività scientifica disponiamodella Terra come se ne fossimo al di fuori e esponiamo la Terra aprocessi cosmici estranei alla sua natura.Quello che la rivoluzione scientifica ci ha tramandato è che ifenomeni sono sottoposti a leggi universalmente valide anche quandonon sono accertate dall’esperienza sensibile.Diventiamo così esseri universali che grazie al ragionamento possonotrascendere la condizione di esseri terrestri non solo nellespeculazioni, ma nei fatti. L’uomo ha la facoltà di pensare intermini di universo pur rimanendo sulla terra. anche la matematicaattraverso l’algebra si libera dal fardello della spazialità. Con gliesperimenti l’uomo non si limitava più all’esperienza dei dati, masottoponeva i dati a ipotesi della mente. La matematica diventa lascienza della struttura della mente umana. Essa riuscì a ridurre etradurre in schemi che sono strutture della mente umana tutto ciò chel’uomo non è. L’uomo affrontava lo studio della fisica con lamatematica e quindi ovunque andava non faceva altro che riconoscereschemi presenti in lui.

La conoscenza ha acquisito un punto di vista extraterrestre. Sevogliamo spiegare l’evoluzione dell’uomo e della natura essa devedipendere da qualche forza ultramondana, universale la cui operadovrebbe poter essere imitata da chiunque riesca a occupare la stessaposizione. È in virtù di una posizione esterna alla Terra cheriusciamo a riprodurre processi che non si verificano sulla Terra, masono decisivi per il costituirsi della Terra stessa.Il fatto che l’uomo è in grado di porsi al di fuori della terra è ilsegno che l’uomo non è di questo mondo, che benché viva in esso è ingrado di trascenderlo.La storia è fatta dagli eventi e non dalle idee. Nell’occidente c’erasempre stata la concezione eliocentrica, ma solo l’evento deltelescopio cambiò radicalmente il modo di pensare degli uomini.

Il dubbio cartesiano riveste lo stesso ruolo nell’età moderna diquello ricoperto dal thaumzein platonico. Non era la ragione, ma unostrumento, il telescopio, a cambiare completamente la percezione delmondo fisico, non era più la conoscenza a dirigere la speculazione,bensì l’attività del fare tipica dell’homo faber. Solo la sospensionedell’apparenza può dare la vera conoscenza.Se gli occhi hanno ingannato l’uomo, la metafora degli occhi dellamente non può più reggere. La vittoria della mente sui sensi puòfinire solo con la disfatta della mente stessa, cioè i fenomeni sonovittoriosi sia sulla mente che sui sensi. Il rapporto tra essere eapparenza così come concepito dai moderni non è più inteso come delleapparenze che coprono l’essere, ma è lo stesso essere che crea le suaapparenze che diventano illusioni.L’incubo che deriva dalla filosofia moderna è quella di un uomo incui alberga la nozione di verità, ma che non possiede le facoltà perriuscire a cogliere questa verità. La conseguenza fu la perdita dicertezza nei sensi, nel senso comune, nella ragione.La verità smette di essere teoria, e diventa il successo didimostrazione di un’ipotesi. Si passa dalla verità alla veridicità,la nostra mente non è più misura della verità e della falsità, ma diciò che neghiamo e affermiamo, sono quindi solo i processi dipensiero che possono mantenere un grado di certezza da diventare cosìoggetto di introspezione.

In questo contesto nulla conta eccetto ciò che la mente produce dasé. L’uomo porta la propria certezza dentro di sé, il mondo dellacoscienza diventa reale. La difficoltà sta nel passaggiodall’interiorità al mondo esterno, il passaggio dalla consapevolezzadelle proprie sensazioni alla realtà oggetto di quelle sensazioni.Quando ci si accorse che l’uomo se non fosse stato per il telescopiosarebbe potuto rimanere sempre nell’inganno, le strade di Diodiventano impescrutabili.La realtà oggettiva si dissolve in processi soggettivi mentali. Laconclusione fu che se l’uomo non può conoscere la realtà può almenoconoscere ciò che fa da se stesso. La mente conosce solo ciò che haprodotto. Il suo ideale di conoscenza è quindi la matematica nonconoscenza di forme ideali esterne, ma forme prodotte dalla mente. Ilsenso comune si trasferisce dall’esterno, ad essere misura dei

processi mentali. Perduto quel senso comune che adeguava i cinquesensi di un uomo alla percezione di tutti gli uomini, l’uomo divental’animale capace di calcolare le conseguenze. Il punto di Archimedecon Cartesio si sposta nell’uomo stesso e si cerca di ridurre larealtà a formule matematiche che sono prodotte dalla mente umana e sucui nessun Dio può ingannarmi.Ma ciò potrebbe significare che l’uomo non fa altro che applicare almondo i propri schemi mentali e ciò che l’uomo trova non è tanto laverità, ma se stesso. Gli scenziati formulano le loro ipotesi perrealizzare i propri esperimenti, e poi usano quegli stessiesperimenti per verificare le loro ipotesi. Nel corso di una taleimpresa hanno a che fare solo con una natura ipotetica.

Una delle conseguenza delle scoperte dell’età moderne è stato ilrovesciamento gerarchico tra vita activa e vita contemplativa.Le varie invenzioni che oggi chiameremmo tecnologiche non sonoderivate da un intento pratico. La ragione contemplazione delrovesciamento è fu che l’uomo acquietò la sete di conoscenza potevacessare solo dall’ingegnosità delle proprie mani, la verità potevaessere raggiunta solo dall’azione e non dalla contemplazione. Bisognastanare con i propri strumenti la verità dalle sue apparenzeingannevoli.La conoscenza era raggiungibile solo a partire da due condizioni: sipoteva conoscere solo ciò che si faceva, si potevano verificare leproprie conoscenze solo dal fare.Da allora la verità scientifica e quella filosofica si sono separate,quella scientifica può anche non essere comprensibile per la ragioneumana. La contemplazione fu eliminate del tutto e il pensiero divennemezzo dell’azione. Ciò non portò a un esito scettico, ma aun’intensificazione dell’attività.L’uomo fugge sia il mondo sensibile che il mondo dell’eterno, perrifugiarsi in se stesso e ciò che trova non sono immagini permanenti,ma un movimento costante di percezioni e di attività del pensiero.La filosofia nell’età moderna resterà sempre qualche gradino al disotto della scienza.

La contemplazione perse la sua posizione a favore dell’attivitàdell’operare tipica dell’homo faber che con i suoi strumenti aveva

provocato la rivoluzione scientifica moderna. L’elemento del fare erapresente anche negli esperimenti. L’uomo arrivò a creare ciò chevoleva conoscere.Passando dalla ricerca del perché a quella del come, oggetto dellaconoscenza non sono più cose o movimenti esterni, ma processi equindi non più la natura, ma la storia, la formazione della natura,della vita, dell’unverso. Viene meno il concetto di essere, percomparire il concetto di processo, qualcosa che non si può maicogliere se non grazie a qualche fenomeno e il processo è appunto ilmodo di fabbricazione dell’homo faber. Ma nell’età moderna ilprocesso, il mezzo riesce a farsi più importante rispetto al suoprodotto finale.L’idea che solo ciò che sto facendo è reale è smentita dal corsoeffettivo degli eventi dove accade spesso qualcosa di inaspettato.Pensare nei termini del fare significa dunque eliminare l’inaspettatoe quindi l’evento ed è qualcosa che da Hobbes arriva fino a Hegel.La conversione moderna di contemplazione e attività non è stato tantoil passaggio dal filosofo all’homo faber, quando un cambiamentoavvenuto all’interno dell’homo faber stesso che prima dava importanzaal modello ( e quindi alla contemplazione del modello) e al prodottofinito, adesso invece dava predominanza al processo perché ilprocesso è quello che più concerne la nostra dimensione interiore enon ha a che fare con oggetti esterni.

Cosa ha causato il passaggio dalla stima per l’homo faberall’innalzamento del lavoro come attività prima della vita activa?L’homo faber moderno pone l’accento non sul “perché”, ma sul “come”ossia sul processo, quindi perde quei criteri guida e regolepermanenti per la fabbricazione che aveva avuto precedentemente e checostituivano un ente assoluto rispetto all’attività del fabbricare.Quindi quest’attività perde il momento della contemplazione. Lafabbricazione diversamente dall’azione e dal lavoro intendeva iprocessi solo come un mezzo per un fine. il principio di utilità fusostituito dal principio “maggiore soddisfazione del maggior numero”.La cosa prodotta non è più un fine, ma diventa a sua volta mezzo perprodurre altro. La cosa ha quindi solo valore secondario, ma nonessendoci i valori primari, anche i secondari vengono a cadere. Il

principio di utilità applicato a questo contesto si riferisce nonagli oggetti d’uso, ma al solo processo di produzione.Il ripiegamento nell’interiorità tipica del moderno non nasce comeper gli stoici e gli epicurei da una sfiducia nel mondo, bensì da unasfiducia nell’uomo e nelle sue capacità conoscitive. Anche allamorale, i piaceri, i dolori gli uomini hanno applicato il calcolomatematico.L’homo faber fallisce contemporaneamente alla messa in crisi delprincipio di causa che lascia il posto alle teorie evoluzioniste. Èda un essere inferiore che si genera l’uomo.Dal conflitto del XVII secolo abbiamo un soggetto che abbiamo dettoscopre la propria interiorità, ma quello che scopre non è solo diavere coscienza di se stesso, anzi oggetto tangibiledell’introspezione è il processo biologico che è processo metabolicotra uomo e natura, cioè trova dentro l’uomo non una coscienza vuota,ma qualcosa di “naturale” che può riconnetterlo con il mondo esterno.La frattura tra soggetto e oggetto scompare con il concetto di vita,la prova che un mondo esterno esiste è il fatto che l’uomo deveassilimare materia esterna per sopravvivere. Fu quindi il concetto divita ad acquistare un’importanza primaria. La nozione di vita comebene supremo era ciò che aveva portato la buona novella delcristianesimo che elevava la vita mortale a vita immortale. Ilmessaggio cristiano portò speranza proprio a quel genere di uomini lacui sola preoccupazione era la vita biologica. Da ciò derivò che la politica si occupò del necessario, della vitaperché infatti era considerato inutile conseguire un’immortalitàmondana, visto che lo stesso mondo era mortale.La vita individuale sostituisce la vita del corpo politico. C’è unarivalutazione anche della vita terrena come primo stadio della vitaeterna. Ciò faceva sì che lavoro, opera e azione s subordinasseroalla vita e liberava il lavoro dal disprezzo che riceveva nei popolipagani.Il cristianesimo però manteneva la preminenza della vita contemplativa suquella activa e quindi non arrivò mai a una glorificazione del lavoroin quanto tale se non come mezzo di sostentamento per rimanere invita.Nell’età moderna però la vita activa perse il suo punto di riferimentonella vita contemplativa, essa rimase legata solo alla vita come

metabolismo dell’uomo con la natura e quindi questa vita potérivelare la sua fecondità.La vita intesa come processo vitale della specie umana fu l’unicacertezza che rimase all’uomo quando il processo di secolarizzazionelo privò anche della speranza di un al di là.Con l’avvento della società ad affermarsi fu la vita della specie.L’umanità socializzata è quello stato della società in cui prevale ununico interesse e soggetto di questo interesse sono le classi e ilgenere umano, mai l’uomo o gli uomini.Cancellati gli interessi e l’azione, rimase solo una “forza naturaledel processo vitale” il cui unico scopo era la sopravvivenza dellaspecie umana.Il pensiero diventa una funzione cerebrale.Gli unici ad agire veramente nel mondo contemporaneo sono gliscienziati quelli che erano ritenuti un tempo i meno pratici e i menopolitici. Ma l’azione degli scienziati riguarda l’universo e non lerelazioni umane dunque manca del carattere di rivelazione tipicadell’azione umana capace di creare vicende e storie da cuiscaturiscono i significati di un’esistenza umana.