Strategie per l’accumulo nelle piante di prodotti di interesse industriale

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1. Strategie per l’accumulo nelle piante di prodotti di interesse industriale Paolo Bagnaresi, 1 Paolo Ranalli 2 1 CRA-GPG-Centro di Genomica e Post-Genomica Animale e Vegetale, Via S. Protaso 302, Fiorenzuola d’Arda (PC) 2 CRA-Dipartimento di Trasformazione e Valorizzazione dei Prodotti Agro-industriali, Roma Corrispondenza: Paolo Bagnaresi, e-mail: [email protected] 1.1 - I composti secondari vegetali A tutt’oggi si stima che nel regno vegetale si producano fino a 200,000 diverse specie chimiche (Newell-McGloughlin, 2008; Hartmann, 2007). L’uomo ha spesso tratto profitto da questa diversità chimica, e, considerando il solo versante salutistico, si stima che ben il 61% degli 877 medicinali riconosciuti nel mondo sia riconducibile direttamente o indirettamente a un prodotto naturale (Newman, 2008). Tale interesse si è ulteriormente amplificato in questi ultimi anni, anche a fronte dello scarso successo ottenuto da approcci alternativi quali quelli di identificazione di sostanze bioattive, per esempio, le strategie di chimica com- binatoriale. Infatti, la produzione di immense librerie di molecole generate dall’uomo (Desai e Chackalamannil, 2008) non ha dimostrato la capacità di produrre molecole con le speci- ficità e diversità che sono caratteristiche intrinseche dei prodotti naturali. Perciò, di gran lunga più promettente si profila attingere direttamente alla natura, oppure orientare la sintesi (“diversity oriented synthesis”) verso “strutture privilegiate” di ispirazione naturale che riflettano specificità e complessità (quali molteplici centri chirali, costituenti eterociclici e strutture policicliche) che solo con estrema difficoltà si riescono a riprodurre con approcci di chimica combinatoriale (Newman, 2008). A fronte di questa persistente od addirittura accentuata attenzione verso i composti natu- rali, bisogna sottolineare che permangono grandissime difficoltà nell’orientarsi in questa mol- teplicità di forme chimiche, anche considerando quelle già note. Si deve infatti sottolineare che le specie vegetali si stimano in circa 350,000, di cui più di un terzo si ipotizza siano ancora da scoprire (Cseke et al., 2006). Del resto, una modestissima percentuale delle stesse specie note è stata investigata dal punto di vista chimico in modo soddisfacente (Cseke et al., 2006). I composti secondari costituiscono un largo sottoinsieme delle sostanze chimiche vegeta- li. Sono necessari per le funzioni basali cellulari ma esplicano un ruolo centrale nell’ottimiz- zazione dell’interazione con l’ambiente, con ciò intendendo una vasta gamma di ruoli che va dalla funzione di regolatori di crescita e di difesa da stress biotici ed abiotici fino ad espli- care ruoli quali molecole-segnale per attrarre impollinatori o per mediare varie tipologie di interazioni simbiontiche o parassitiche. In questo senso, per quanto sicuramente i compo- sti secondari siano spesso limitati nella loro distribuzione filogenetica, si possono definire ..................... 1

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1. Strategie per l’accumulo nelle piante

di prodotti di interesse industriale

Paolo Bagnaresi,1 Paolo Ranalli2

1 CRA-GPG-Centro di Genomica e Post-Genomica Animale e Vegetale, Via S. Protaso 302, Fiorenzuola d’Arda (PC)

2 CRA-Dipartimento di Trasformazione e Valorizzazione dei Prodotti Agro-industriali, Roma

Corrispondenza: Paolo Bagnaresi, e-mail: [email protected]

1.1 - I composti secondari vegetali

A tutt’oggi si stima che nel regno vegetale si producano fino a 200,000 diverse specie chimiche (Newell-McGloughlin, 2008; Hartmann, 2007). L’uomo ha spesso tratto profitto da questa diversità chimica, e, considerando il solo versante salutistico, si stima che ben il 61% degli 877 medicinali riconosciuti nel mondo sia riconducibile direttamente o indirettamente a un prodotto naturale (Newman, 2008). Tale interesse si è ulteriormente amplificato in questi ultimi anni, anche a fronte dello scarso successo ottenuto da approcci alternativi quali quelli di identificazione di sostanze bioattive, per esempio, le strategie di chimica com-binatoriale. Infatti, la produzione di immense librerie di molecole generate dall’uomo (Desai e Chackalamannil, 2008) non ha dimostrato la capacità di produrre molecole con le speci-ficità e diversità che sono caratteristiche intrinseche dei prodotti naturali. Perciò, di gran lunga più promettente si profila attingere direttamente alla natura, oppure orientare la sintesi (“diversity oriented synthesis”) verso “strutture privilegiate” di ispirazione naturale che riflettano specificità e complessità (quali molteplici centri chirali, costituenti eterociclici e strutture policicliche) che solo con estrema difficoltà si riescono a riprodurre con approcci di chimica combinatoriale (Newman, 2008).

A fronte di questa persistente od addirittura accentuata attenzione verso i composti natu-rali, bisogna sottolineare che permangono grandissime difficoltà nell’orientarsi in questa mol-teplicità di forme chimiche, anche considerando quelle già note. Si deve infatti sottolineare che le specie vegetali si stimano in circa 350,000, di cui più di un terzo si ipotizza siano ancora da scoprire (Cseke et al., 2006). Del resto, una modestissima percentuale delle stesse specie note è stata investigata dal punto di vista chimico in modo soddisfacente (Cseke et al., 2006).

I composti secondari costituiscono un largo sottoinsieme delle sostanze chimiche vegeta-li. Sono necessari per le funzioni basali cellulari ma esplicano un ruolo centrale nell’ottimiz-zazione dell’interazione con l’ambiente, con ciò intendendo una vasta gamma di ruoli che va dalla funzione di regolatori di crescita e di difesa da stress biotici ed abiotici fino ad espli-care ruoli quali molecole-segnale per attrarre impollinatori o per mediare varie tipologie di interazioni simbiontiche o parassitiche. In questo senso, per quanto sicuramente i compo-sti secondari siano spesso limitati nella loro distribuzione filogenetica, si possono definire

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Linea
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Nota
sostituire il testo sottolineato "per esempio, le" con: "tramite"

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tutt’altro che secondari poiché il loro ruolo per la fitness può rivelarsi cruciale (Verpoorte, 2000). Proprio a causa del ruolo proiettato, spesso con importanza assolutamente critica, verso l’interazione con altre specie, sono stati anche definiti “allelochemicals”.

A fine puramente orientativo, in tabella 1.1 sono elencate le classi principali dei composti secondari con cenni al numero di specie chimiche note (questo numero è sicuramente desti-nato ad aumentare, e probabilmente già rappresenta una sottostima), alla loro distribuzio-ne nelle piante superiori, nonché alcuni esempi di composti individuati.

1.2 - Le vie metaboliche che generano i composti secondari

La straordinaria complessità delle specie chimiche vegetali, cui si è necessariamente potuto accennare solo brevemente, può tuttavia trovare sostanziale semplificazione quando se ne considerino gli aspetti biosintetici. Infatti, i ‘mattoni’ più importanti derivati dal me-tabolismo primario sono sorprendentemente pochi: l’Acetil-CoA, l’acido scichimico, l’acido mevalonico e il deossixilulosio fosfato.

Tali componenti basilari sono utilizzati, in questa sequenza, dalle vie metaboliche del-l’acetato, scichimato, mevalonato e deossixilulosio fosfato, che descriviamo qui di seguito brevemente a scopo puramente orientativo.

La via dell’acetato è responsabile della biosintesi di grassi saturi ed insaturi, strutture aromatiche e fenoli semplici.

La via dello scichimato è responsabile della biosintesi degli amminoacidi aromatici, degli acidi benzoici e cinnamici ed infine, dopo ulteriori tappe, conduce a lignani, lignine, fenilpro-peni e cumarine. In concerto con la via dell’acetato sono inoltre prodotti flavonoidi, stilbeni, flavonolignani e isoflavonoidi, mentre la combinazione tra la via dello scichimato e quella dei terpenoidi conduce ai chinoni terpenoidi.

Le vie del mevalonato e deossixilulosio fosfato conducono entrambe, via isopentenil difo-sfato (Figura 1.1), ai terpenoidi, e quindi (in accordo alla consolidata classificazione basa-ta sul numero di unità isopreniche incorporate) a emiterpeni, monoterpeni, sesquiterpeni, diterpeni, triterpeni, tetraterpeni e i numerosi terpenoidi irregolari e/o modificati quali ad esempio iridoidi e steroidi. La via (mevalonato-indipendente) del deossixilulosio fosfato è stata caratterizzata solo recentemente e parte dai metaboliti glicolitici piruvato e gliceral-deide 3-fosfato, mentre la via del mevalonato trae origine da tre molecole di Acetil-CoA (Fi-gura 1.1). Alla via del mevalonato, localizzata nel citosol, sarebbero riconducibili triterpe-noidi e steroidi, mentre i restanti terpenoidi deriverebbero prevalentemente dalla seconda via biosintetica, localizzata nel cloroplasto.

Le vie biosintetiche degli alcaloidi. A differenza della relativa uniformità dei precursori nelle vie biosintetiche precedenti, gli alcaloidi sono sintetizzati da precursori eterogenei che tuttavia sono spesso rappresentati da amminoacidi. Ad esempio gli alcaloidi tropani-ci e pirrolidinici sono riconducibili all’ ornitina, mentre quelli piperidinici, chinolizidinici ed indolizidinici alla lisina. Tuttavia, molti alcaloidi non traggono origine da un substrato amminoacidico, ma derivano dall’amminazione di un altro tipo di substrato, che può essere derivato ad esempio da un composto terpenico o purinico ed altri ancora.

Altre vie biosintetiche: evidentemente le vie appena descritte non esauriscono la com-plessità del chimismo vegetale, ma sono state qui menzionate per il loro sostanziale contri-buto verso i composti secondari. Numerose altre vie degne di nota conducono, ad esempio,

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Tabella 1.1 - Alcune tra le principali classi di composti secondari (da Harborne, 1993, modificato)

ClasseNumero

composti notiDistribuzione nelle piante superiori Alcuni composti noti

Composti Azotati

Alcaloidi 16 000 Ampia distribuzione in radici, foglie e frutti

di Angiospermae

Papaverina, berberina, morfina, atropina, scopolamina, cocaina, stricnina, piperina, atropina,

nicotina, efedrina, caffeina, teobromina

Amine 100 Ampia distribuzione in angiosperme,

spesso nei fiori Metilammina, mescalina, serotonina, putrescina,

spermidina

Amminoacidi (non-proteici)

400 Ubiquitari con preferenza per i semi di

leguminose L-canavanina, acido D-amminobutirrico, L-Ornitina

Glucosidi cianogenetici

60 Presenza saltuaria in foglie e frutta Amigdalina, linamarina, lotaustralina, murrina

Glucosinolati 120 Prevalenza in Brassicaceae

con alcune eccezioniSinalbina, sinigrina, glucobrassicina,

gluconasturzina, glucorafanina

Terpenoidi

Monoterpeni 1000 Ampiamente diffusi negli olii essenziali Geraniolo, limonene, pinene, mircene, mentolo, canfora, lavandulolo, carvone,

carene, eucaliptolo, safranale

Sesquiterpeni 6500 Presenti in Angiospermae,

particolarmente nelle Asteraceae, in olii essenziali e resine

Gossipolo, partenolide, poligodiale, warburganale alfa-santonina

Diterpeni 3000 Ampiamente diffuse specialmente

nel latex e nelle resine

Acido abietico, acido gibberellico, steviolo, tassolo cariofillene, umulene, cedrene, longifolene,

artemisinina, botridiale, ABA

Saponine 600 in più di 70 famiglie, in particolare,

Lilliflorae, Solanaceae, Scrophulariaceae

-Triterpeniche (C30): glicirrizina, lupeolo, a-amirina, e b-amirina;

-Steroidee (C27): dioscina, yamogenina

Limonoidi 300 Prevalentemente distribuiti

in Rutaceae, Meliaceae Limonina, azadiractina

Cucurbitacine 50 Prevalentemente distribuite

in Cucurbitaceae Cucurbitacina B, cucurbitacina D

Cardenolidi 150 in 12 famiglie di angiosperme, in

particolare Apocynaceae e Asclepiadaceaedigitossina, digitossigenina,

gitalossigenina, hellebrigenina

Carotenoidi 650 Ubiquitari nelle foglie, spesso

rilevabili in frutta e fiori Beta-carotene, licopene, luteina, zeaxantina

Altri 1500 Ampia distribuzione Vari

Composti Fenolici

Fenoli semplici 200 Ubiquitari nelle foglie, spesso rilevabili in

altri tessuti l’idrichinone, catecolo, il floroglucinolo, l’orcinolo,

l’eugenolo

Flavonoidi (inclusi tannini)

8000 Ubiquitari in Angiospermae,

Gymnospermae e felci-Flavanoni: naringenina -Flavoni: crisina,

quercetina -Antocianine:cianidina

Chinoni 800 Ubiquitari, particoalrmente ricchi

in Rhamnaceae Benzochinoni, naftochinoni, antrachinoni

Poliacetati

Poliacetileni 750 Prevalenti in Asteraceae e Apiaceae Falcarinolo, cicutossina, safinolo

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ai derivati di amminoacidi quali i glicosidi cianogenetici, glucosinolati e sulfossidi cisteinici, e molte altre ancora producono carboidrati, zuccheri o carboidrati modificati quali ammino zuccheri. Alcuni di questi composti non sono chiaramente inquadrabili nel novero del grup-po di composti primari o secondari, come certi zuccheri o alcoli.

1.3 - La variabilità nei livelli di composti secondari come presupposto per strate-gie di breeding

Se l’individuazione e caratterizzazione di tutti i composti secondari vegetali rappresenta un compito quasi insormontabile, a maggior ragione la determinazione della variabilità naturale nei contenuti di tali composti nei germoplasmi imparentati (con finalità, ad esem-pio, di breeding) è un obbiettivo estremamente complesso ed oneroso in termini di tempi e risorse. Cionondimeno, la crescente importanza dei composti secondari ha promosso negli

Figura 1.1 - visione d’insieme delle principali vie biosintetiche che conducono ai com-posti secondari più diffusi.

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ultimi anni un sostanziale aumento delle ricerche orientate verso la determinazione di tale variabilità, sia con finalità di orientamento per i consumatori (in particolare con riferimento alla aumentata richiesta di organismi con plusvalore salutistico), sia come prerequisito per valutare la fattibilità di approcci di breeding per un grande spettro di finalità (ad esem-pio, applicazioni farmaceutiche, cosmetiche ed organolettiche). Mentre si rimanda per una analisi esaustiva dei dati disponibili sul tema della variabilità ad alcune eccellenti reviews (Fernie et al., 2006; Grusak, 2002; Graham et al., 1999; e referenze ivi contenute), a titolo esemplificativo riportiamo qui di seguito (Tabella 1.2) alcuni recenti risultati sulla varia-bilità genetica relativa ai livelli di vari composti di interesse. Spesso, tali recenti studi si distinguono anche per l’adozione di tecniche analitiche innovative che hanno realizzato un progresso rispetto alle tecniche precedentemente adottate, sia in termini di maggiore pre-cisione e/oppure di efficienza.

Tabella 1.2 - Recenti risultati relativi alla variabilità genetica nell’ammontare (concen-trazione) di composti di interesse.

Prodotto Composto Range variabilità Bibliografia

Albicocca carotenoidi ampia variabilità Ruiz et al., 2008

Carota carotenoidi 0.32-17 mg/100gFW Nicoll et al., 2004

Carota vitamina E 191-703 μg 100g FW Nicoll et al., 2004

Carota acido ascorbico 1.4 - 5.8 mg/100gFW Nicoll et al., 2004

Fagioli flavonoli 0.19 - 0.84 g/kg Dinelli et al., 2006

Fragola acido ellagico 0.31 a 0.78 mg/gDW Williner et al., 2003

Fragola Acido folico 0.128-0.96 μg/gFW Tulipani et al., 2008

Fragola Antocianine 0.36-0.75 mg/gFW Tulipani et al., 2008

Fragola Vitamina C 0.23-0.47 mg/gFW Tulipani et al., 2008

Lampone Ellagitannini Variazione 2 volte Vrhovsek et al., 2008

Lampone Potere antiossidante Variazione 800 volte Deighton et al., 2000

Lattuga Beta-carotene e luteina ampia variabilità Mou, 2005

Limone Flavonoidi ampia variabilità Caristi et al., 2003

Limone Vitamina C 25 - 41mg/100 mL Gonzalez-Molina et al., 2008

Mandorle Lipidi ed a -tocoferolo 200 - 600 μg/g peso secco Giorgio et al., 2006

Mela Catechine e proantocianidine 66.2 - 211.9 mg/100 gFW Vrhovsek et al., 2004

Melone Licopene 48.7 μg/g – 65.0 μg/g Perkins-Veazie et al., 2001

Mora Ellagitannini 4-volte Vrhovsek et al., 2008

Riso Gamma-orizanolo 190.1 - 246.3 mg/kg Heinemann et al., 2008

Soia Saponine 13.20 - 42.40 μmol/g Hubert et al., 2005

Tè verde Catechine ampia variabilità Manning e Roberts, 2003

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Se riscontrare variabilità naturale costituisce un ovvio prerequisito per il breeding, vari aspetti, a partire dalle modalità di determinazione di tale variabilità fino all’implementa-zione dei risultati in termini di fruibilità finale per i consumatori sono di primaria impor-tanza e possono presentare numerose problematiche. In questo contesto si rivela quindi di estremo interesse il progetto “HarvestPlus” che, seppur nei confini della specificità dei suoi obbiettivi (biofortificazione di specie vegetali a larga diffusione tra fasce di popolazioni più deboli con finalità esclusivamente salutistiche), ha messo in luce vari aspetti metodologici di potenziale ispirazione anche per finalità eterogenee. HarvestPlus, promosso dal CGIAR (Consultative Group on International Agricultural Research), si propone per l’appunto ob-biettivi quali la biofortificazione di cibi di base (Pfeiffer e McClafferty, 2007; Bouis, 2003; Nestel et al., 2006). L’approccio prevede, in seguito all’accertamento di una variabilità gene-tica nei contenuti di micronutrienti, l’introgressione dei geni associati ad un alto contenuto di tali nutrienti (ove possibile, con tecniche di breeding classico) in piante coltivate di largo consumo (ad esempio, patate, fagioli ed altre specie cruciali per le fasce meno agiate). Sulla base di questa impostazione, le strategie di breeding perseguono un aumentato accumulo di micronutrienti (in particolare Fe, Zn e vitamina A) e di altri fattori ‘corollari’ che condi-zionano l’effettivo utilizzo da parte delle popolazioni destinatarie di detti micronutrienti. Alcuni di questi ulteriori fattori, più aleatori ma di grande impatto pratico, comprendono il grado di radicamento del prodotto nelle tradizioni ed l’accettazione dello stesso a fronte di possibili miglioramenti operati dal breeding. Evidentemente, dall’impostazione stessa di HarvestPlus consegue che vari parametri di primo rilievo in altri contesti quali l’opportu-nità di sovraprodurre e purificare il composto ed altri aspetti di rendiconto economico non giocano un ruolo primario.

Se il prerequisito per intraprendere efficaci approcci di breeding è la sussistenza di una variabilità genetica per l’accumulo di composti di interesse, va tuttavia sottolineato che si è ben lungi, nonostante le numerose e dettagliate analisi accumulatesi in varie decadi, dal-l’avere a disposizione una casistica esauriente di tale variabilità naturale. Questo problema deriva in larga parte dalle insuperabili difficoltà pratiche e tecniche connaturate alla ne-cessità di analisi di un numero elevatissimo di accessioni rappresentative della variabilità del germoplasma naturale. Inoltre, nonostante il sostanziale sviluppo degli strumenti ana-litici oggi a disposizione, analisi accurate di specifici composti - soprattutto in determinati ranges di concentrazione - possono ancora presentare significative difficoltà tecniche. Non è quindi sorprendente costatare che, dopo una disamina dello stato dell’arte in relazione agli obbiettivi di biofortificazione, l’approccio maturato da HarvestPlus abbia previsto una ampia fase di messa a punto di varie tecniche al fine di generare uno spettro di strumenti analitici che comprendesse dalle tecniche più economiche e rapide di pre-screening (semi-quantitative e basate su metodiche colorimetriche) fino alle tecniche analitiche più precise e all’avanguardia (per le determinazioni tecnicamente più avanzate e difficoltose). Per le ana-lisi dei micronutrienti oggetto d’investigazione in matrici vegetali si sono identificate come particolarmente idonee tecniche quali HPLC, ICP-MS (Inductively coupled plasma mass-spectrometry), AAS (Atomic Absorption Spectrometer), XRF (X-ray fluorescence spectrome-ter). Particolare menzione merita la NIRS (Near Infrared Spectroscopy), che, in aggiunta ad un numero sempre più cospicuo di applicazioni eterogenee (Lucas et al., 2008; Brenna e Be-rardo, 2004), si adatta particolarmente ad approcci innovativi di quantificazione e screening (o pre-screening) rapidi. La tecnica, infatti, permette determinazioni simultanee (nello stes-

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so campione) di analiti eterogenei come Fe, Zn e carotenoidi, circostanza che evidentemente si traduce in un congruo risparmio di tempi e costi analitici. Inoltre, la plasticità inerente alla tecnica NIRS lascia prevedere lo sviluppo di ulteriori sensibilità analitiche verso altre caratteristiche di valore come biodisponibilità e altri caratteri qualitativi complessi (Bock e Connelly, 2008; Pfeiffer e McClafferty, 2007).

Al di là degli importanti prerequisiti aspetti metodologici - qui sottolineati - che sono emersi da HarvestPlus, i primi risultati relativi all’accertamento della variabilità genetica per i livelli di vari micronutrienti evidenziano in particolare buoni presupposti di breeding per il frumento dove il germoplasma testato esibisce ranges di Fe tra i 25 e i 56 µg/g e livelli di Zn tra 15 e 35 µg/g (Ortiz-Monasterio et al., 2007; Oury et al., 2006). Al contrario, nel mais la variabilità negli stessi due microelementi sembra piuttosto modesta, ma in questa specie sembra apprezzabile la variabilità nei contenuti di alcuni carotenoidi (provitamina A; da 0 a 15 µg/g; Ortiz-Monasterio et al., 2007).

1.4 - Interventi genetici

Come sopra evidenziato, le catene metaboliche che portano alla sintesi di metaboliti con ruolo importante nell’alimentazione dell’uomo sono molteplici. Una strategia per aumenta-re l’accumulo di fitonutrienti nella pianta si basa sulla conoscenza dei determinanti genici che controllano la loro sintesi e metabolismo. Tale conoscenza consentirebbe di porre in essere interventi di miglioramento genetico per modificare in modo stabile l’accumulo di analiti utili nella pianta.

L’approccio per lo studio della base genomica di tali caratteri potrebbe partire dalla mo-lecola (metabolita secondario) presente nel prodotto raccolto in campo e procedere a ritroso fino al gene che ne regola la sintesi, cioè studiare la catena metabolica da “valle” fino a “monte” coinvolgendo diverse competenze: proteomiche, metabolomiche, trascrittomiche e genomiche. È necessario conoscere: i) gli enzimi implicati nei successivi step del cammino metabolico; ii) gli step limitanti il flusso dei metaboliti lungo la catena, cioè gli enzimi chiave che limitano/rallentano la sintesi/accumulo del metabolita; iii) le isoforme dell’enzima che hanno proprietà cinetiche superiori e presentano maggiore efficienza. In breve, ciò farebbe comprendere come è regolata la catena metabolica e come si può intervenire per renderla più efficiente ed elevare la quantità di metabolita sintetizzato.

L’approccio multidisciplinare da porre in essere implica interventi complementari e si-nergici e deve tenere conto della peculiarità della specie, del materiale biologico a disposi-zione e delle conoscenze tecnologiche già acquisite; in particolare, esso prevede, prima di tutto, la caratterizzazione genetica e fenotipica del germoplasma coltivato e spontaneo; la conoscenza di tale germoplasma e la sua caratterizzazione genetica e funzionale consen-tono l’individuazione di genotipi portatori di alleli più efficienti del carattere che si vuole migliorare. Tale attività prevede: i) raccolta e catalogazione dei dati fenotipici disponibili di germoplasma coltivato e spontaneo; ii) genotipizzazione, ovvero analisi del germopla-sma coltivato e selvatico con marcatori funzionali, per esempio di SNP e SSR su EST e geni candidati; iii) mappatura genetica: identificazione di marcatori molecolari associati (in linkage) all’allele superiore che potranno essere utilizzati per la selezione assistita di nuovi genotipi e per lo screening del germoplasma disponibile. Se si conosce la sequenza del genoma della specie che si sta studiando, l’identificazione del gene candidato sarà agevolato

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attraverso una analisi per omologia di sequenza utilizzando sequenze riportate in letteratu-ra e presenti nelle banche dati relative a specie vegetali modello (per esempio, Arabidopsis thaliana) in cui la pathway della catena metabolica oggetto di ricerca sia stata studiata in dettaglio. In caso non siano disponibili informazioni relative al genoma della specie, i geni candidati di step della catena metabolica oggetto di indagine saranno identificati mediante lo studio della letteratura e l’analisi BLAST effettuata per omologia con sequenze note di specie affini sulle sequenze EST di queste disponibili nei database. La successiva analisi trascrizionale delle sequenze candidate mediante Real-Time PCR, condotta su due varietà della specie con contenuto contrastante del metabolita studiato, permetterà di verificare se le sequenze sono effettivamente espresse in modo differenziale dai due genotipi.

Per calare tale approccio ad un caso concreto di ricerca finalizzata all’aumento del contenu-to di carotenoidi in frumento duro, si fa riferimento ad un piano di lavoro di recente posto in essere che può rappresentare un “caso studio” (Trono et al., 2008, comunicazione personale).

Come è noto, i carotenoidi sono presenti in quantità variabile nell’endosperma dei cereali e in frumento duro, in particolare, è presente un contenuto discretamente elevato di luteina. Ciò conferisce il caratteristico colore giallo ambra alla semola ed ai prodotti derivati: una ca-ratteristica organolettica richiesta dall’industria pastificatoria poiché il colore giallo ambra nella pasta ed in altri derivati della semola viene fortemente apprezzato dal consumatore. Inoltre, nelle cariossidi la luteina ha una funzione antiossidante in grado di limitare i livelli di radicali liberi e, quindi, di rallentare l’invecchiamento del seme (Pinzino et al., 1999) e fa-vorirne la germinazione (Rogozhin et al., 2001). Dati riportati in letteratura dimostrano che la luteina è in grado di svolgere la stessa funzione anche sull’organismo umano (Krinsky, 2002): è stato dimostrato che l’assunzione ed i livelli sierici di luteina sono inversamente correlati al rischio di patologie oculari, tra cui la degenerazione maculare dovuta all’età (Pe-rez-Galvez et al., 2005). Studi recenti hanno dimostrato, infine, che la luteina insieme alla zeaxantina può contribuire a ridurre i rischi di aterosclerosi (Dwyer et al., 2001).

Considerando che la pasta rappresenta un alimento base della dieta degli umani, il suo valore nutrizionale potrebbe essere fortemente accresciuto da un maggiore contenuto di carotenoidi della cariosside di frumento.

Studi genetici hanno dimostrato che il colore giallo ambra dell’endosperma è un caratte-re altamente ereditabile (67-90%) e sotto un controllo poligenico (Parker et al., 1998; Elouafi et al., 2002): sono stati individuati diversi QTL associati al colore e responsabili del 50-60% della variabilità genetica esistente. In aggiunta, sono stati recentemente mappati alcuni dei geni coinvolti nella via biosintetica dei carotenoidi: la fitoene sintasi sui cromosomi 5A e 5B, la fitoene desaturasi sui cromosomi 4A e 4B e la ζ-carotene desaturasi sui cromosomi 2A e 2B. Questi geni risultano di particolare interesse se si pensa che una sovra-espressione della fitoene sintasi e della fitoene desaturasi in riso è in grado di determinare l’accumulo di ζ-carotene, luteina e zeaxantina (Ye et al., 2000), suggerendo così un ruolo chiave di que-sti due enzimi nella biosintesi dei carotenoidi. È stato dimostrato, tuttavia, che il livello di carotenoidi nei prodotti finiti dipende non solo dalla velocità di accumulo di questi composti nell’endosperma ma anche dalla velocità di degradazione legata alla presenza nell’endo-sperma di enzimi ad attività ossidasica, in particolare all’attività dell’enzima lipossigenasi (LOX). La LOX catalizza l’idroperossidazione degli acidi grassi poliinsaturi contenenti una o più strutture 1,4 cis, cis-pentadieniche a dare i corrispondenti idroperossidi. Nel corso di questa reazione si genera una serie di intermedi radicalici in grado di determinare l’ossida-

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zione di pigmenti tra cui anche la luteina presente nella semola, con conseguente sbianca-mento del prodotto finito durante il processo di pastificazione.

Alla luce di tutto ciò appare evidente che le indagini metabolomiche, biochimiche e mo-lecolari dovrebbero essere indirizzate sia verso gli enzimi-chiave nella regolazione della biosintesi dei carotenoidi, sia verso gli enzimi ossidativi, in particolare la LOX, responsabili della loro degradazione.

In sintesi, la ricerca si realizza attraverso le fasi sotto-indicate:

1.4.1 - Approccio metabolomicoÈ previsto uno screening iniziale di cultivar di frumento duro per valutare la variabilità

intraspecifica del profilo in composti carotenoidi. In un secondo momento si procederà alla determinazione dello stesso profilo nelle paste ottenute dalle varietà sottoposte a screening; in questo modo si ottengono informazioni relative ai processi degradativi che si verificano a carico di questi pigmenti durante il processo di plastificazione. Inoltre, dallo screening saranno identificate due varietà contrastanti: una con alto contenuto e una con basso con-tenuto di carotenoidi.

1.4.2 - Approccio molecolare In frumento duro non sono ad oggi disponibili informazioni relative al sequenziamento

genomico; i geni coinvolti nel pathway dei carotenoidi saranno identificati, pertanto, me-diante lo studio della letteratura e l’analisi BLAST effettuata per omologia con sequenze note di altri cereali (riso, mais e orzo) sulle sequenze EST di frumento disponibili nei data-base. La successiva analisi trascrizionale delle sequenze così individuate, condotta sulle due varietà di frumento duro con opposto contenuto in carotenoidi, consentirà: 1) di individuare le sequenze effettivamente espresse nelle due cultivar; 2) di evidenziare eventuali differen-ze nei livelli di espressione di alcuni di questi geni fra le due varietà analizzate; in questo modo sarà possibile identificare i geni codificanti per gli enzimi chiave che regolano l’intero flusso lungo il pathway dei carotenoidi.

1.4.3 - Approccio biochimicoSono già disponibili informazioni relative alla variabilità intraspecifica dell’attività di LOX

in frumento duro che hanno consentito di identificare varietà rispettivamente a bassa e ad alta attività di questo enzima. Queste varietà potranno essere utilizzate per il clonaggio e la successiva espressione eterologa dei 3 geni codificanti per la LOX; ciò consentirà di caratte-rizzare le 3 isoforme relativamente ai loro parametri biochimici e di stabilire in che misura ciascuna di esse contribuisce all’attività totale misurata nell’endosperma delle varietà con valori contrastanti di questo carattere. Le proteine, una volta espresse, saranno purificate ed utilizzate per saggi di attività in vitro; ciò consentirà di valutare i corrispondenti parametri cinetici (optimum di pH, specificità di substrato, Km, Vmax, sensibilità ad inibitori, ecc.) ed eventualmente individuare differenze che giustifichino la diversa attività.

1.4.4 - Approccio geneticoÈ disponibile una ampia collezione di frumento duro per individuare i determinanti

genetici del carattere “contenuto in carotenoidi”. Si potranno impiegare due approcci di analisi genetica, tra loro complementari, basati sul Segregation Mapping e sull’Associa-

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tion Mapping. Nel primo caso la collezione di genotipi verrà caratterizzata per selezionare alcune coppie di genotipi contrastanti per il carattere in esame che verranno incrociati al fine di sviluppare popolazioni segreganti. Queste verranno poi caratterizzate con diverse centinaia di marcatori molecolari polimorfici tra i parentali al fine di costruire mappe di linkage che potranno essere impiegate per la mappatura di geni e QTLs (Quantitative Trait Loci) coinvolti nell’espressione del carattere in esame. L’approccio dell’Association Mapping si basa, invece, sulla possibilità di mappare regioni cromosomiche che regolano il carattere, individuando associazioni tra particolari alleli a determinati loci (aplotipi) e le variazioni fenotipiche in una collezione di genotipi. Questo tipo di approccio risulta essere più rapi-do rispetto alla Segregation Mapping in quanto non prevede la costruzione di popolazioni segreganti e consente di testare polimorfismi che sono il risultato di migliaia di eventi di ricombinazione indipendenti.

In conclusione, le informazioni ottenute potranno essere opportunamente sfruttate nei programmi di miglioramento genetico finalizzate ad incrementare il contenuto di carotenoi-di nei prodotti della filiera semola-pasta ed all’ottenimento di alimenti con maggiore valore nutrizionale.

1.5 - Interventi agronomici idonei ad ottimizzare la produzione di metaboliti se-condari

Laddove non ci siano presupposti per il breeding tradizionale, lo spazio di manovra si riduce considerevolmente, sollecitando approcci alternativi. Qualora anche approcci bio-tecnologici siano preclusi, una strategia di accumulo spesso sottostimata può essere rap-presentata dall’intervento sulle condizioni colturali in vari stadi della sintesi del composto stesso. Tale intervento può essere attuato sia durante la crescita vegetativa della pianta o in fasi successive, come in stoccaggio, almeno per i composti per i quali sussistano possibilità di accumulo anche in queste fasi (in relazione alla matrice in cui sono incorporati). Infatti, per quanto sia spesso vantaggioso per una pianta fissare geneticamente certe strategie di interazione con l’ambiente, rendendo ad esempio costitutivo l’accumulo di un composto difensivo, una continua allocazione di risorse difensive può rivelarsi energeticamente trop-po dispendiosa, soprattutto in certi contesti naturali ove un pieno sfruttamento di risorse quali luce, acqua e nutrienti (e quindi l’investimento delle risorse in senso vegetativo e non difensivo) possa rivelarsi imprescindibile per non soccombere a specie concorrenti. Quindi, in queste circostanze appare più lungimirante, nella prospettiva della pianta, l’opzione di attivare difese solo a fronte della reale insorgenza di specifici condizioni ambientali, nel periodo di tempo strettamente necessario per ristabilire l’omeostasi. D’altro canto, la pre-senza di difese costitutive può presentare anch’essa vantaggi, il più evidente dei quali è la presenza continua ed ininterrotta di presidi difensivi della pianta. A fronte di queste problematiche, le piante di fatto adottano uno spettro di strategie difensive differenziate (Hartmann, 2007; Lila, 2006) e si ritiene che coesistano le seguenti tre principali modalità di risposta a stress:

a) accumulo costitutivo dei composti bioattivi/difensivi (a livelli solitamente costanti ed elevati) nel tessuto pertinente;

b) accumulo costitutivo in distretti cellulari/subcellulari diversi di composti “inerti” e composti “attivanti”, separati tramite compartimentalizzazione; la decompartimentalizza-zione che consegue, ad esempio, all’insulto meccanico causato dall’attacco di un erbivoro

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provoca l’interazione tra i due tipi di molecole e scatena l’attivazione dei composti e quindi l’effetto difensivo. A questa categoria ad esempio appartiene la liberazione di HCN dai glu-cosidi cianogenetici in seguito a decompartimentazione da frattura meccanica;

c) rapido innalzamento dei livelli del composto difensivo, scatenato dall’approssimarsi della causa stressante; in questo caso il composto passa dall’assenza (o presenza a livelli molto modesti) fino a raggiungere concentrazioni molto maggiori in seguito a stimolazione. I livelli poi si abbassano nuovamente a fronte della cessazione dello stimolo o comunque in un arco di tempo definito, funzionale al ripristino dell’omeostasi.

È evidente che tale classificazione è ad uso umano, e nella realtà naturale si evidenzia una quadro assai più sfumato e complesso. Ad esempio, un composto bioattivo che tende a sussistere in pianta a concentrazione costante e persistente (quale descritto nella strategia a) può tuttavia manifestare un innalzamento transitorio a causa di una specifica sollecita-zione ambientale. Questo è il caso, ad esempio, delle oleoresine nelle conifere che, a partire da livelli basali che le caratterizzano in stato di normalità, possono subire notevoli amplifi-cazioni in risposta a specifiche sollecitazioni ambientali (Keeling e Bohlmann, 2006; Martin e Bohlmann, 2004).

Con riferimento ad aspetti più applicativi quali l’effettivo accumulo di composti, un ap-proccio alternativo al breeding può quindi essere rappresentato da una esplorazione capil-lare di numerose condizioni colturali per la pianta che rappresenta la potenziale accumu-latrice. La comprensione del ruolo difensivo del composto, se noto, può essere di estremo aiuto nell’orientare il tipo di manipolazione da praticare. Talvolta esperienze fortuite sono sfociate in consuetudini di manipolazione e accorgimenti colturali di grande efficacia per l’accumulo: esempi significativi sono le consolidate pratiche di lacerazione meccanica di varie tessuti ed organi vegetali con il fine di accumulare oli, resine e lattici per un ampio spettro di finalità ed usi.

Come indicato dalla letteratura che si sta accumulando su questo tipo di approccio, la ma-nipolazione colturale può rivelarsi efficace dove altre strategie hanno fallito. Infatti, senza tornare sulle difficoltà potenzialmente associate alle già menzionate tecniche di breeding, il principale approccio alternativo - quello biotecnologico - può similmente presentare nume-rosi ostacoli. Infatti, l’assenza di piattaforme molecolari specifiche, inibizione da substrati, problemi di tossicità, di inibizione e di flusso metabolico (Oksman-Caldentey ed Inzé, 2004; Morandini e Salamini, 2003) sono solo alcune delle potenziali difficoltà che possono insorge-re, come dettagliato più diffusamente nelle sezioni specifiche del presente volume.

Un vantaggio connaturato alla manipolazione colturale per l’accumulo risiede nel fatto che l’azione umana spesso imita un input ambientale cui la pianta o parte di essa è predi-sposta a reagire con l’attivazione di processi metabolici specifici, forgiatisi evoluzionistica-mente per questo preciso obbiettivo. Questa “mimica” o similitudine può essere in natura identica (ad esempio, una lacerazione meccanica - tesa a simulare l’attacco di un erbivoro - che produce l’accumulo di in composto difensivo) oppure può subentrare “a valle”. In tal caso, l’azione umana determina uno stimolo di un qualche fattore che partecipa in una fase successiva alla cascata di eventi causali naturali per sfociare nella risposta difensiva con-clamata. Mantenendo l’esempio dello stimolo artificiale costituito da una lacerazione mec-canica ad un tessuto, palliativo di un attacco naturale di un erbivoro, ad analoghi risultati stimolatori si può pervenire - in linea di principio - somministrando ad esempio l’ormone etilene o altro messaggero noto per veicolare la risposta allo stimolo di lacerazione mecca-

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nica provocato dall’erbivoro. In altri termini, l’intervento manipolatorio può esprimersi mi-mando, sostituendosi o bypassando - e talora rinforzando - uno stimolo ‘atteso’ dalla pianta che scatena cascate di eventi coordinati e forgiati selettivamente per produrre un risultato protettivo. Questo tipo di approccio, quindi, collocandosi in linea con le strategie difensive predeterminate della pianta, spesso evidenzia un buon potenziale di successo. Tuttavia, un potenziale limite dell’approccio di “manipolazione colturale” può esser rappresentato dal fatto che, per gli stessi motivi di cui sopra, non è verosimile attendersi accumuli particolar-mente elevati, o “innaturali” del composto di interesse, ossia sostanzialmente maggiori di quanto in natura non si manifestino in condizioni estreme. Al contrario, per motivi simme-trici ed opposti, la potenzialità di accumuli cospicui dei composti di interesse adottando ap-procci biotecnologici può essere decisamente superiore, come testimoniate dalle numerose casistiche di livelli “innaturalmente” elevati in seguito all’appropriata messa a punto dei sistemi dedicati.

Il metodo della manipolazione colturale, da qualcuno battezzato anche “deliberate elici-tation” (Lila, 2006), sta guadagnando sempre maggiori estimatori e viene sempre più rico-nosciuto come una strategia di accumulo credibile ed efficace.

Senza pretesa di completezza ma con l’intento di sottolineare esempi recenti e rappresen-tativi di una grande varietà di approcci, in tabella 1.3 sono dettagliate alcune recenti ma-nipolazioni colturali con in dettaglio la pianta e il composto bersaglio e cenni all’entità dell’ accumulo cui si è pervenuti. Ulteriori esempi si possono rintracciare in review specifiche; per esempio, Selmar (2008) riepiloga gli effetti dello stress salino e idrico nell’aumentare i livelli di svariati composti di interesse farmaceutico in numerose differenti specie.

Ogni specifico protocollo di manipolazione colturale presenta un certo grado di specificità e quindi richiederebbe una descrizione a sé stante; tuttavia, è possibile raggruppare grosso-lanamente alcune tra le principali tipologie di stimolazione. Infatti, molti trattamenti stres-santi quali lacerazioni meccaniche, stress di temperatura e persino irradiazione artificiale con varie tipologie di radiazione possono scatenare l’accumulo di composti protettivi comuni con funzione di chaperones e/o antiossidanti. Questo è attribuibile al fatto che svariate di-sfunzioni e alterazioni delle normali dinamiche cellulari e metaboliche, ed in particolare quelle che afferiscono a reazioni ossidoriduttasiche, conducono, ad esempio, all’accumulo di specie reattive dell’ossigeno, fatto che scatena meccanismi difensivi deputati come enzimi detossificanti, chaperones, scavengers e antiossidanti (Miller et al., 2008; Kaur et al., 2005). Una conseguenza di questo fatto è che la pianta che ha subito un certo tipo di stress può rivelarsi maggiormente resistente ad altri tipi di stress, a causa del fatto che i meccanismi difensivi ad ampio spettro sono già operativi (Dana et al., 2006, e referenze ivi contenute). Un ‘ulteriore forma di manipolazione colturale che sta guadagnando rapidamente cospicuo interesse è rappresentata nell’uso di prodotti “bioinoculanti”, quali rizobatteri capaci di promuovere la crescita, che si sono dimostrati in grado di aumentare significativamente i polifenoli totali e vari sistemi antiossidanti in varie specie testate (Nautiyal et al., 2008; Ahmad et al., 2008).

Diversamente alla risposta allo stress stricto sensu, come appena descritto, una seconda tipologia principale di manipolazione colturale con caratteristiche a sé stanti è rappresen-tata dall’alterazione nei rapporti di nutrienti (a.e. livelli di fertilizzazione azotata) fino alla deprivazione controllata di micronutrienti. Nei casi laddove non si raggiunga una lesione irreversibile dei meccanismi metabolici, causata da disfunzioni

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Tabella 1.3 - Influenza delle pratiche colturali sull’accumulo/diminuzione di specifici composti di interesse. I simboli (+), (-), e (+-) denotano, rispettivamente, accumulo, diminuzione, o accumulo/diminuzione a seconda delle specifiche modalità di trattamento come dettagliate nel riferimento bibliografico.

Pianta Composto Trattamento Bibliografia

Athrixia phylicoides Polifenoli Fertilizzazione azotata (-) Mudau et al., 2007

Broccoli Vari glucosinolati Applicazioni di N e S (+-) Aires et al., 2006

Broccoli. Polifenoli Irradiazione luce bianca e UV-A (+) Maeda et al., 2008

Capsicum Capsaicina temperatura, luce e fertilizzazione (+-) Ravishankar et al., 2003

Carota Zuccheri, carotenoidi Nutrizione azotata (+ -) Hochmuth et al., 1999

Cavolfiore Componenti minerali Applicazioni di N e S (+) Aires et al., 2007

Cavolo Luteina e beta carotene 30 °C (+), lunghezza fotoperiodo (+),

irradianza (+-)Lefsrud et al., 2005; 2006a,b

Cavolo CarotenoidiQuantità e forma di somministrazione

dell’ azoto (+-)Kopsell et al., 2007a

Cipolla Quercetina, Acido ascorbico Irradiazione UV-A (+) Higashio et al., 2007

CrataegusEpicatechina, catechina, acido

clorogenico, quercetina, rutina, etc10 gg: freddo, siccità, immersione,

stress meccanico (+)Kirakosyan et al., 2004

Eucalyptus cladocalyx Glicosidi cianogenici Luce (+) Burns et al., 2002

FragolaAcido ascorbico, glutatione,

flavonoli e antocianineAtmosfera arricchita in CO2 (+) Wang et al., 2003

Frutta e ortaggi Vitamina C Intensità luce (+-) Fertilizzazione azotata(-) Lee e Kader, 2000

Hypericum perforatum Ipericina Luce (+) Azoto (-) Briskin e Gawienowski, 2001

Isatis tinctoria Glucobrassicina Acido Jasmonico (+), fertilizzazione N–S (+) Galletti et al., 2006

Mela Antocianine e flavonoli Irradiazione UV (+) Bakhshi e Arakawa, 2007

Mela Polifenoli Densità dei frutti (crop load) (+) Stopar et al., 2002

Mentha piperita Specifici oli essenziali Endofiti (+) radiazioni UV (+-) Maffei et al., 2002

Mirtillo Antocianine ABA e metil jasmonato (+) Percival e MacKenzie, 2007

Narcissus Galantamine fertilizzazione azotata (+) Hanks, 2002

Nasturtium officinale Carotenoidi, glucosinolati Fertilizzazione N e S (+-) Kopsell et al., 2007b

Ortaggi e frutta Polifenoli totali, potere antiossidante Rizobatteri (+) Nautiyal et al., 2008

Orticole varie Carotenoidi Luce, temperatura e fertilità (+-) Kopsell e Kopsell 2006 (review)

Orticole varie CarotenoidiSpecie-specifici stadio di maturazione (+-)

condizioni di crescita (+-)Russo ed Howard, 2002 de Azevedo et al., 2005

Pomodoro GABA (ac. gamma -aminobutirrico), Stress salino (+) Zushi et al., 2007

Prezzemolo carotenoidi Nutrizione azotata (+) Chenard et al., 2005

Rosmarino Acido rosmarinico e carnosico Irradiazione UV-B(+) Luis et al., 2007

Senape Polifenoli totali Applicazioni di N (-) e S (+) Li et al., 2008

Spinacio Luteina e beta carotene 10 °C (+) Lunghezza fotoperiodo (+)

irradianza (+/-)Lefsrud et al., 2005; 2006a,b

Vino Polifenoli totali, stilbeniSuoli più fertili e con maggiore capacità di campo

polifenoli totali (+), stilbeni (+/-)de Andres-de Prado

et al., 2007

ViteZuccheri, polifenoli, antocianine

e catechine Stress idrico (+) Peterlunger et al., 2005

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enzimatiche con conseguente produzione di specie ROS e quindi una tipologia di mecca-nismi afferente alla precedente categoria di risposta da stress, alcuni fenomeni compensa-tivi possono condurre ad una differenziazione delle specie chimiche. Ad esempio, in accordo con alcune teorie quali quella del “bilancio C/N”, un’alta disponibilità di azoto andrebbe ad aumentare i livelli di composti ricchi di azoto quali proteine, alcaloidi o amminoacidi, men-tre, in situazione di carenza di azoto, sarà privilegiata la sintesi di molecole povere di azoto quali polifenoli, cellulosa e amidi (Rembialkowska, 2007; Brandt e Molgaard, 2001). Nel caso della teoria associata dell’accrescimento-specializzazione, la deprivazione controllato di nutrienti, sollecitando la pianta a differenziare (a.e. accelerare la fioritura) piuttosto che a sostenere una difficile crescita vegetativa in assenza di risorse, induce nella pianta una speciazione chimica ed in tal senso si possono determinare differenze sostanziali in conte-nuto di composti di interesse che, ad esempio, si accumulano in fasi ontogenetiche legate alla fioritura (Brandt e Molgaard, 2001).

1.6 - Interventi in post-raccolta per ottimizzare la produzione di metaboliti se-condari

In solo apparente discontinuità con quanto appena descritto negli interventi agrono-mici, è interessante sottolineare che sempre più spesso gli interventi manipolatori sono sperimentati in post-raccolta (vedi alcuni esempi in tabella 1.4). Infatti, diversamente da quanto prevalentemente considerato nella tecnica dello stoccaggio, ossia sostanzialmente

Tabella 1.4 - Manipolazione delle condizioni in post-raccolta ed effetti sull’accumulo/diminuzione di specifici composti di interesse. I simboli (+), (-), e (+-) de-notano, rispettivamente, accumulo, diminuzione, o accumulo/diminuzione a seconda delle specifiche modalità di trattamento come dettagliato nel riferimento bibliografico.

Pianta Composto Trattamento Bibliografia

Caco giapponese Carotenoidi Incubazione 25 °C Niikawa et al., 2008

Mango Fenoli e flavonoli totali Irradiazione UV-C Gonzalez-Aguilar et al., 2007

Mela Fenoli totaliApplicazioni

di acido ascorbico (+)Gil et al., 1998

MirtilloComposti associati al po-tere antiossidante (FRAP)

Irradiazione con UV-C (+) Perkins-Veazie et al., 2008

Olive Composti volatili e fenolici Basse temperature (+-) Kalua, et al., 2008

Ortaggi e frutta Vitamina CTemperatura(+-)

Umidità relativa (+-)CaCl2 (+)

Lee e Kader, 2000

Patate a pasta viola Fenoli totali Lacerazione meccanica (+) Reyes e Cisneros-Zevallos, 2003

Sedano, lattuga carota, pastinaca

Fenoli totali Lacerazione meccanica (+) Reyes et al., 2007

Uva da tavola Resveratrolo Irradiazione con UV Cantos et al., 2001.

Uva da tavola Resveratrolo Ozono (+) Artes-Hernandez et al., 2003

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la conservazione dell’integrità strutturale ed organolettica del prodotto, oggi si tende ad intervenire in senso più attivo, cercando di esaltare caratteristiche di pregio quali l’accu-mulo di composti di interesse. Questo approccio si riferisce principalmente a prodotti che mantengano o possono mantenere sostanziali attività metaboliche/anaboliche (garantite da riserve energetiche e grado di idratazione compatibile con processi biochimici, come in tuberi, frutta, etc.) e quindi presentino un potenziale di alterazione nello spettro dei com-posti costituenti, sia in senso positivo che negativo. Questa strategia ha condotto ad una attitudine molto più incisiva, con manipolazioni sempre più pronunciate che sconfinano in veri e propri trattamenti stressanti con risultati spesso di primo rilievo (Gea 2008; Cisne-ros-Zevallos, 2003; Kopsell e Kopsell, 2006; Lee e Kader, 2000). Interessante notare che, dipendendo dalla specie, lo stesso trattamento rappresentato da una lacerazione meccanica (wounding) può esplicare effetti diametralmente opposti, quale un aumento (lattuga, seda-no, carota, pastinaca) o viceversa o diminuzione (zucchine, ravanelli, patate e cavolo rosso) di fenoli totali (Reyes et al., 2007.) Infine, uno dei casi più conclamati di accumulo di com-posti in post-raccolta è rappresentato dalla massiccia conversione dell’amido negli zuccheri riducenti glucosio e fruttosio che avviene in tuberi di patata stoccati a basse temperature (cold sweetening). Tale fenomeno, di cui dopo molti anni si stanno comprendendo le dinami-che molecolari e che probabilmente è associato all’accumulo di altri composti quali calconi e flavonoidi (Bagnaresi et al., 2008a; Bagnaresi et al., 2008b), determina notevoli difficoltà in fase di trasformazione in patata, ma è paradigmatico delle potenzialità di differenziazione e accumulo chimico che sussistono in post-raccolta almeno per alcuni sistemi.

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