Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare- Traditional food products:...

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TOSCANA Associazione Giovani Imprenditori Agricoli Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare Presentazione del Progetto per il recupero di alcune produzioni tradizionali della Toscana A cura di ROBERTO SCALACCI, DANIELE VERGARI, FABIO PANCHETTI Con la collaborazione di ANTONELLA LABANCA, VALTER GOSTINELLI, VALENTINO VANNELLI

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TOSCANA TOSCANAAssociazione Giovani

Imprenditori Agricoli

In collaborazione con

www.ciatoscana.it

Prodottiagroalimentaritradizionali:un’opportunitàda valorizzarePresentazione del Progetto per il recuperodi alcune produzioni tradizionali della Toscana

A cura di RobeRto Scalacci, Daniele VeRgaRi, Fabio Panchetti

Con la collaborazione diantonella labanca, ValteR goStinelli, Valentino Vannelli

L’Agresto

La Pera Picciola

La Susina Amoscina Nera di San Miniato

Il Tizzone di Giustagnana

TOSCANAAssociazione Giovani

Imprenditori Agricoli

Prodottiagroalimentaritradizionali:un’opportunitàda valorizzarePresentazione del Progetto per il recuperodi alcune produzioni tradizionali della Toscana

A cura di RobeRto Scalacci, Daniele VeRgaRi, Fabio Panchetti

Con la collaborazione diantonella labanca, ValteR goStinelli, Valentino Vannelli

Prodottiagroalimentari

tradizionali:un’opportunitàda valorizzare

Presentazione delProgetto per il recupero

di alcune produzionitradizionali della Toscana

Una realizzazione di:AgiA ToscAnA

Associazione GiovaniImprenditori Agricoli

via iacopo nardi 4150132 Firenze

C.F. 94078760488

Con il ContribUto di:ArsiA - regione ToscAnA

Agenzia Regionaleper lo Sviluppo e l’Innovazione

nel Settore Agricolo Forestale www.arsia.toscana.it

in Collaborazione Con:

ciA ToscAnAConfederazione Italiana Agricoltori

www.ciatoscana.itcipA-AT sviluppo rurAle

ToscAnA

a CUra di:Roberto Scalacci,

Daniele Vergari, Fabio Panchetti

Con la Collaborazione di:Antonella Labanca,

Valter Gostinelli, Valentino Vannelli

Progetto graFiCo:Alfio Tondelli

www.alfiotondelli.eu

StamPa:Tipolitografia Contini s.r.l.

Sesto Fiorentino

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

La cultura agroalimentare toscana, da sempre celebrata tra le più ricche e pregiate al mondo, negli ultimi decenni ha conquistato il mercato internazionale con alcuni dei suoi prodotti di ec-cellenza che ben rappresentano la ricchezza e la complessità del nostro territorio. Basti pensare alle 19 DOP ed IGP toscane ed ai 45 vini di qua-lità riconosciuti nella nostra Regione.

Ma quello che è meno conosciuto è l’univer-so di piccole produzioni, profondamente legate a contesti territoriali circoscritti e ad antiche prati-che che, al pari delle produzioni di punta, raccon-tano e rappresentano l’affascinante storia della cultura contadina toscana.

L’ARSIA, già dal 1999, su incarico della Re-gione Toscana, si è impegnata fortemente nel censimento di tutti questi prodotti, instaurando un profondo contatto con le associazioni e con gli operatori presenti sul territorio, nella creazione di una rete regionale che, negli anni, ha sostenuto, conservato e tutelato il patrimonio delle produ-zioni agroalimentari tradizionali.

Questa pubblicazione, nata grazie alla colla-borazione con l’AGIA Toscana ed al supporto or-

ganizzativo e logistico dell’Associazione Cipa-at Sviluppo Rurale Toscana e di Cia Toscana, è il segno tangibile della volontà di far rivivere le no-stre tradizioni attraverso una divulgazione delle conoscenze acquisite su tutte quelle produzioni che sono nate dal contatto con il territorio e con la vita delle nostre campagne. Attraverso l’opera di censimento, aggiornato annualmente, non si ri-scopre solo una collezione di eccellenze alimen-tari, ma si rende tangibile l’esigenza di tutela del-la biodiversità, della cultura, della ricchezza delle campagne toscane e si fornisce una nuova oppor-tunità a chi ancora si impegna e investe la pro-pria esistenza nell’animazione degli spazi rurali. Dunque il coinvolgimento dei giovani imprendi-tori agricoli nella riscoperta di queste produzioni tradizionali, è da considerarsi come un’oppor-tunità di impresa e un’occasione importante per l’utilizzo di queste risorse preziose. È con molto piacere, quindi, che partecipo alla presentazione di questo volume e ringrazio tutti coloro che, con il loro impegno, hanno apportato un contributo per la realizzazione di questo progetto.

Salutodi MaRia gRazia MaMMuccini, Direttore Arsia

INDICEpresenTAzione

di Davide PagliaiPresidente agia toscana

inTroduzione di roberto Scalacci,

daniele Vergari, Fabio Panchetti

Prodotti agroalimentari tradizionali:un’opportunità da valorizzare

CaPitolo 1Produzioni tradizionali, la qualità,

il Libro verde della Ue e il dibattito in corso

CaPitolo 2i prodotti tradizionali e l’igiene degli alimenti

CaPitolo 3la forza evocativa delle tradizioni

CaPitolo 4il progetto per il recupero di alcune

produzioni tradizionali della toscana

CaPitolo 5il censimento di produzioni non ancora individuate:

i risultati di una indagine in toscana

CaPitolo 6l’individuazione di alcune produzioni tradizionali:

> l’AgresTo di sAn MiniATo

> lA perA picciolA

> lA susinA AMoscinA nerA di sAn MiniATo

> il Tizzone di giusTAgnAnA

CaPitolo 7le prospettive dei prodotti

agroalimentari tradizionali toscani

CaPitolo 8l’ambito territoriale delle produzioni tradizionali

prescelte e i percorsi per degustare i prodotti

Appendice documentaria

la misura 311 delPiano di sviluppo rurale della toscana

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

Con questo progetto la nostra Associazione, AGIA Toscana, si è proposta di verificare l’effet-tivo interesse dei giovani imprenditori toscani per le produzioni agroalimentari tradizionali e, con-temporaneamente, facilitare l’individuazione di alcuni prodotti non ancora censiti dall’Arsia che meritassero l’inserimento nell’elenco delle produ-zioni tradizionali.

Quanto emerso in questa esperienza supera le intenzioni iniziali e ci consegna la rappresen-tazione di una realtà in evoluzione, della quale abbiamo voluto descrivere alcuni elementi carat-terizzanti.

Del resto la valorizzazione della tradizione, la salvaguardia della biodiversità e la promozione della qualità, elementi contenuti nelle produzio-ni agroalimentari tradizionali, sono alcuni tra i percorsi che possono consentire alle aree rurali della nostra regione di salvare le loro peculiarità, producendo sviluppo.

Quella delle produzioni tradizionali è una strada che può esaltare diverse dinamiche e at-tività non solo nella produzione agroalimentare. La capacità evocativa di un prodotto alimentare, intorno a cui si è formata una tradizione, può ge-nerare nuove opportunità sociali ed economiche, soprattutto nelle aree marginali.

Il coinvolgimento dei giovani imprenditori

agricoli nella riscoperta e nel complesso percorso di valorizzazione di produzioni rare ed inimitabi-li, come quelle tradizionali presenti in Toscana, è una sfida per il futuro che interessa la nostra Associazione.

Vorremmo che le brevi riflessioni che seguo-no siano utili per stimolare l’avvio di un dibattito. Infatti, la constatazione più evidente che ci sem-bra sia scaturita da questo progetto è che occor-rono nuove e più incisive politiche per rafforzare il sistema regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali.

Concludendo questa breve presentazione vor-rei ringraziare tutti gli imprenditori, agricoltori, trasformatori e appassionati, giovani e meno gio-vani, che ci hanno pazientemente aiutato nella realizzazione di questo progetto.

Un ringraziamento particolare va ad ARSIA Toscana, per il prezioso supporto accordato, alla Cia Toscana e Cipa-at Sviluppo Rurale Toscana che hanno sempre sostenuto quest’idea e collabo-rato fattivamente alla realizzazione del lavoro.

Inoltre, un sincero ringraziamento va a Ro-berto Scalacci, Daniele Vergari e Fabio Panchetti che hanno curato questa pubblicazione, e a Va-lentino Vannelli per i contributi e il coordinamen-to editoriale.

Presentazionedi DaViDe Pagliai, Presidente Agia Toscana

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Il percorso seguito nella presentazione di que-sto “Progetto per il recupero di alcune produzioni tradizionali della Toscana” parte da una breve sintesi in merito al significato delle produzioni agroalimentari tradizionali (PAT), prosegue con alcune riflessioni sull’aggiornamento dell’elenco dei prodotti tradizionali. Si introducono, quindi, alcuni elementi che caratterizzano la questione della definizione dei PAT e il dibattito promosso dal Libro verde della Ue per la qualità dei prodotti agroalimentari (capitolo 1).

Ci occupiamo, inoltre del dibattito che riguar-da l’igiene nei prodotti tradizionali, le possibilità di deroga alla normativa sull’igiene che possono essere accordate alle produzioni tradizionali e riflettiamo sui nuovi elementi che il “pacchetto igiene” della Ue ha introdotto (capitolo 2). Si pro-pongono, poi, alcune considerazioni sull’aspetto culturale delle tradizioni (capitolo 3).

Seguono la descrizione del progetto e delle fasi di avanzamento dell’indagine (capitolo 4), e una sintesi dei risultati dell’indagine svolta nella fase preliminare ed effettuata per verificare l’in-teresse e il livello di conoscenza dei giovani pro-duttori toscani sulle produzioni agroalimentari tradizionali. L’indagine ha fatto emergere anche l’esistenza di alcuni prodotti non ancora censiti dall’Arsia (capitolo 5).

Si passa, quindi, alla presentazione dei pro-dotti individuati, non ancora censiti dall’Arsia e proposti per la loro iscrizione all’elenco dei pro-dotti tradizionali (capitolo 6).

Ci appare significativo, inoltre, esprimere al-cune considerazioni conclusive e formulare uno scenario riguardante possibili prospettive di ri-flessione e di intervento delle politiche utili al mi-glioramento e al rafforzamento delle Produzioni agroalimentari tradizionali Toscane (capitolo 7).

Sembra opportuno, infine, fare alcuni cenni all’ambito territoriale di provenienza delle produ-zioni individuate con il “Progetto per il recupero di alcune produzioni Tradizionali della Toscana” (capitolo 8).

La Regione Toscana negli ultimi anni ha ben lavorato per la costruzione di un sistema di pre-servazione dei prodotti che si distinguono per il requisito della tradizionalità. Tuttavia, con que-sto lavoro abbiamo anche constatato che occorre passare a una fase di maggiore diffusione delle conoscenze sulle produzioni tradizionali, con l’obiettivo di favorire il coinvolgimento dei pro-duttori ed innescare un processo finalizzato alla piena utilizzazione di questo ulteriore strumento, di questa ulteriore opportunità per il settore agri-colo alimentare.

Questo lavoro sui prodotti agroalimentari tradizionali dimostra, a nostro avviso, la capaci-tà dei giovani imprenditori della Cia di misurar-si con le difficoltà del presente per la ricerca di nuove opportunità. Ma anche come affrontare il futuro, guardando indietro, e cercando di valoriz-zare le radici e le tradizioni di un territorio unico: la Toscana.

Introduzionedi RobeRto Scalacci, Daniele VeRgaRi, Fabio Panchetti

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

Produzioni tradizionali, la qualità,il Libro verde della Ue e il dibattito in corsocaPitolo 1

I ProdottI AgroAlImentArI trAdIzIonAlI (Art. 8 - d.lgs. n. 173/98)I prodotti agroalimentari tradizionali sono produzioni limitate, riscoperte e definite dalle Regioni ed iscritte

nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT), sono caratteristiche di un ambiente locale nel quale l’uomo agricoltore ed artigiano ha elaborato alimenti eccellenti, utilizzando tecniche molto semplici, spesso familiari, evolute in armonia con la natura dei luoghi e consolidate nel tempo.

Questa categoria di prodotti - o meglio, questa qualificazione di alcune produzioni -, nasce dalle disposizioni contenute nell’art. 8 del D.Lgs. n. 173/98 “Disposizioni in materia di costi di produzione per il rafforzamento strut-turale delle imprese agricole” e dai successivi decreti di attuazione del Ministero delle politiche agricole e forestali n. 350 dell’8 settembre 1999 e D.M. 18 luglio 2000 e succ. mod.: “prodotti le cui metodiche di lavorazione, conser-vazione e stagionatura risultano consolidate nel tempo, praticate sul territorio in maniera omogenea e secondo regole tradizionali, comunque per un periodo non inferiore ai 25 anni“.

Il censImento In toscAnA

La Regione Toscana ha incaricato nel 1999 l’Arsia (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricolo e forestale) di effettuare una ricognizione e l’Agenzia, in collaborazione con le Organizzazioni professionali agricole ed altri soggetti interessati, ha compilato il primo Elenco regionale approvato con la Deliberazione di Giun-ta Regionale n° 551 del 29/05/2000 e Allegato n. 1 e A.

l’elenco nAzIonAle deI ProdottI trAdIzIonAlI

I prodotti censiti in Toscana sono stati inseriti poi nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari Tradizionali istituito presso il Ministero delle Politiche agricole, aggiornato annualmente.

Per i prodotti contenuti in questo Elenco non è prevista la protezione della designazione d’origine. L’indicazione dell’area geografica di provenienza è unicamente finalizzata alla definizione del prodotto e non costituisce indica-zione di provenienza ai sensi della legislazione vigente.

l’IscrIzIone In elenco - le Procedure dI IdentIfIcAzIone e rIconoscImento Per iscrivere un prodotto tradizionale nell’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali deve essere

svolta una ricerca sulle tecniche dimenticate o in via di estinzione; una ricerca della persistenza di comportamenti e tradizioni, oltre che un’analisi di esperienze e progetti imprenditoriali di opportunità e potenzialità di sviluppo, e quindi proporre al Ministero, nel tramite della Regione, gli eventuali aggiornamenti degli elenchi, modificando le produzioni già presenti o inserendo nuove schede-prodotto.

l’AggIornAmento

L’Elenco della Toscana può essere aggiornato annualmente con l’inserimento di nuove schede e/o la modifica di quelle già presenti, attraverso gli uffici e i servizi dell’Arsia1.

Le richieste di aggiornamento possono essere promosse sia da soggetti pubblici che da privati, seguendo una procedura che contempla la compilazione di una specifica modulistica scaricabile dal sito web dell’Arsia.

l’elenco deI ProdottI trAdIzIonAlI toscAnI

I risultati dell’indagine territoriale compiuta dall’Arsia tra il 1999 e il 2000 hanno portato all’individuazione di 302 prodotti agroalimentari tradizionali, per 63 dei quali sono stati individuati i rischi e le possibili deroghe, nonché le procedure operative di buona prassi igienica in grado di assicurare uno stato soddisfacente di igiene e disinfezione dei materiali oggetto di contatto e dei locali nei quali si svolgono le attività produttive.

Nel 2000-2001, a seguito di modifiche delle vecchie schede e dell’inserimento di nuovi prodotti, l’Elenco ha

1. Possono essere consultate su web all’indirizzo:http://germoplasma.arsia.toscana.it/pn_prodtrad/modules.php?op=modload&name=MESI_Menu&file=Manager&act=D_1:@200

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raggiunto i 365 prodotti; nel 2002 l’Elenco è arrivato a 372 prodotti; nel 2003 l’aggiornamento dell’Elenco ha por-tato a 398 produzioni; nel 2004 con ulteriori accorpamenti ed iscrizioni i prodotti erano 424; nel 2005 l’Elenco è passato a 440 prodotti; nel 2006 l’Elenco è arrivato a 451 prodotti; nel 2007, i prodotti censiti erano 455; nel 2008, non ci sono state variazioni nel numero dei prodotti iscritti, mentre nel 2009 le schede sono passate a 465.

1.1 - lA defInIzIone dI Prodotto trAdIzIonAle, lA ProtezIone

delle sPecIAlItà trAdIzIonAlI gArAntIte (stg) Il dIbAttIto euroPeo.

I prodotti agroalimentari tradizionali qui presentati sono un sistema diverso dalle Specialità Tradizionali Ga-rantite (STG)2. Quest’ultime, infatti, sono un sistema europeo di protezione che affianca quello dei prodotti così detti Tipici3 a Dop e Igp.

Le STG sono un sistema istituito dal Reg. CE 2082/92 che proteggeva il carattere di specificità di un prodotto agro-alimentare, inteso come elemento od insieme di elementi che, per le loro caratteristiche qualitative e di tradi-zionalità, distinguono nettamente un prodotto da altri simili.

Oggi il sistema è disciplinato dal Regolamento del Consiglio n. 509/06 che sostanzialmente tende agli stessi principi e concede anche la possibilità dell’uso riservato della denominazione (specialità) protetta.

Ma la definizione di prodotto tradizionale è anche contenuta in altri regolamenti, sebbene con altre finalità, e in particolare all’art 7 del Regolamento CE 2074/20054 che riguarda le deroghe alla legislazione igienico sanitaria che posso essere concesse a livello europeo.

Dall’analisi comparativa delle diverse definizioni risulta evidente che l’elemento della tradizionalità (almeno 25 anni di uso di una pratica) è comune in tutte e tre le regolamentazioni.

Mentre la definizione nazionale sottende ad una finalità di censimento delle produzioni esistenti e non si pre-occupa di inserirle in un contesto europeo, le altre definizioni – invece - inseriscono questi prodotti in ambito europeo.

In particolate il Regolamento CE 509/06 autorizza la qualificazione “Specialità tradizionale garantita” solo per i prodotti dei quali viene richiesta e concessa la registrazione, e conseguentemente la protezione a livello europeo.

Nel Regolamento CE 2074/05 è invece curioso rilevare che le possibilità di deroga alla normativa igienico sani-taria vengono concesse sia ai prodotti tradizionali protetti a livello europeo (quindi le STG), sia a quelli riconosciuti come tradizionali dalla normativa nazionale e, addirittura, protetti da quella “regionale o locale”.

In questo strano mosaico di definizioni è evidente la carenza di un quadro d’insieme.

Del resto è interessante evidenziare anche le modalità attuative delle deroghe dell’art. 7 del Reg. CE 2074/05, stabilite in Italia con una Intesa del 25 gennaio 2007 dalla Conferenza Stato Regioni e Province autonome, che con-sente la possibilità di applicazione, genericamente definita dalla Ue, ai prodotti tradizionali di cui al D.Lgs 173/98, alle Dop e Igp (di cui al reg. CE 510/06) e alle STG.

Con questa esplicazione, molto sommaria, dei problemi definitori sul prodotto tradizionale5 vorremmo solo

2. Definizioni di cui all’art. 2 del regolamento CE 509/06: “a) «specificità», l’elemento o l’insieme di elementi che distinguono net-tamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria; b) «tradizionale», un uso sul mercato comunitario attestato da un periodo di tempo che denoti un passaggio generazionale; questo periodo di tempo dovrebbe essere quello generalmente attribuito ad una generazione umana, cioè almeno 25 anni; c) «specialità tradizionale garantita», prodotto agricolo o alimentare tradizionale la cui specificità è riconosciuta dalla Comunità attraverso la registrazione in conformità del presente regolamento”.3. Si veda la definizione di “tipico” contenuta in AA.VV., Oltre le Dop: Nuovi strumenti per la garanzia della sicurezza, della qualità e delle specificità dei prodotti alimentari. Accademia dei Georgofili, Firenze, 20064. “Ai fini del presente regolamento, s’intende per «prodotti alimentari che presentano caratteristiche tradizionali i prodotti alimen-tari che, nello Stato membro in cui sono tradizionalmente fabbricati, sono: a) storicamente riconosciuti come prodotti tradizionali; o b) fabbricati secondo riferimenti tecnici codificati o registrati al processo tradizionale o secondo metodi di produzione tradizionali; o c) protetti come prodotti alimentari tradizionali dalla legislazione comunitaria, nazionale, regionale o locale”.5. Tra le altre definizioni contenute in significative ricerche si veda in AgriregioniEuropa dell’associazione Alessandro Bartola, studi e ricerche di economia agraria, I prodotti alimentari tradizionali dal punto di vista del consumatore: un’indagine in sei paesi europei, di Michele contel, MAriA luisA scAlVedi, anno 5, n. 16, marzo 2009 consultabile su web all’indirizzo www.agriregionieuropa.it “Un prodotto alimentare tradizionale è un alimento che viene consumato frequentemente, associato a occasioni speciali o a certe stagio-ni; viene trasmesso di generazione in generazione e viene prodotto secondo regole ben precise nel rispetto del patrimonio gastronomico; presenta proprietà sensoriali note e distintive e viene anche associato a specifiche zone geografiche, regionali o nazionali“.

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

ricordare l’assenza, fino ad oggi, di una strategia realmente europea sui prodotti tradizionali e l’ambiguità che tale contesto crea.

In particolare, tale questione è emersa, con una certa rilevanza, durante i lavori di consultazione attuati dalla Ue con la pubblicazione, da parte della Commissione, del Libro verde sulla Qualità6.

In tale contesto, promosso per verificare l’esigenza di una riforma degli strumenti europei di valorizzazione e tu-tela della Qualità agroalimentare, la Commissione ha proposto7 la revisione del sistema di protezione delle STG.

Sembra quindi interessante riportare qui un estratto dal Libro verde della Ue: “Dal 1992, anno di introduzione del sistema, sono state registrate soltanto 20 STG. Una trentina di altre denomi-

nazioni sono in attesa di registrazione. Anche se venissero registrate tutte, il loro numero è davvero esiguo. Delle de-nominazioni registrate, poche hanno una reale importanza economica. Nella maggior parte dei casi, la registrazione serve solo a identificare la forma tradizionale del prodotto, mentre le varietà non tradizionali possono essere vendute con lo stesso nome. Oltre i due terzi dei richiedenti hanno scelto questa modalità di registrazione, cioè senza riservarsi l’esclusività della denominazione. In via alternativa, la denominazione può essere registrata in esclusiva, nel qual caso può essere utilizzata solo per designare il prodotto ottenuto in conformità al disciplinare, che rechi o meno l’indi-cazione “specialità tradizionale garantita”, l’acronimo STG o il logo UE. Se ne deduce che la maggior parte delle STG sono state registrate al solo scopo di identificare il prodotto tradizionale e non per proteggere la denominazione”.

Preme rilevare, allora, che in Italia le produzioni censite come tradizionali sono oltre 4.000, e solo una è stata registrata come STG a livello europeo8. Anche se un eccesso di entusiasmo ha portato all’inserimento in Elenco di alcuni prodotti che in realtà sono mere ricette culinarie, il patrimonio di conoscenze tradizionali su cui lavorare è notevole.

Nei lavori di presentazione dei risultati della consultazione del Libro verde sulla Qualità, a Praga il 12 e 13 Marzo 2009, è emersa in maniera chiara la necessità di istaurare un nuovo sistema che permetta di valorizzare il termine “tradizionale”, attribuibile ad un prodotto agroalimentare, in modo diverso dal sistema attuale delle STG ma anche dalle Dop e Igp.

In questo ambito è stata interessante la reazione di numerosi Nuovi Stati Membri della Ue (Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia) e della Spagna, che hanno evidenziato la necessità di mantenere un sistema efficace e più semplifi-cato per valorizzare i prodotti tradizionali.

Mentre completiamo la pubblicazione di questo lavoro è in corso di predisposizione la Comunicazione della Commissione della Ue sul Libro verde della Qualità, ed alcune indiscrezioni giornalistiche indicano9 che la Com-missione proporrà di abolire l’attuale sistema delle STG, “dal momento che ha evidentemente fallito nel raggiungere il suo obiettivo”, e proporrà di studiare la possibilità di introdurre la nozione di “prodotto tradizionale” come “ter-mine riservato”, all’interno degli standard commerciali.

I prodotti tradizionali e l’igiene degli alimenticaPitolo 2

le deroghe deI ProdottI trAdIzIonAlI

Come è stato già in parte affermato in precedenza, se necessario al mantenimento delle caratteristiche di tradizionalità e fatta salva l’assenza di eventuali rischi per i consumatori, per le produzioni tradizionali è possibile accedere a deroghe alla normativa igienico sanitaria (art. 4 del Decreto Mipaf 350/99, Regolamento CE 2074/2005 e Intesa tra il Governo e le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 25 gennaio 2007).

6. Libro Verde della Qualità Ue, COM(2008) 641, Bruxelles,15.10.2008, consultabile su web all’indirizzo: http://ec.europa.eu/agriculture/quality/policy/consultation/greenpaper_it.pdf7. Cit. Libro Verde della Qualità Ue, Cap 4, pag. 16 domanda 11.8. Mozzarella STG Reg. CE 2527/98 GUCE n. L 317 del 26/11/98.9. Agrafacts n. 32, Bruxelles 29 aprile 2009.

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Le deroghe previste per questi prodotti riguardano le procedure di lavorazione conservazione e stagionatura, il cui uso risulta consolidato nel tempo.

Il DM 350/99, il Regolamento CE 2074/2005 e l’Intesa tra il Governo le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 25 gennaio 2007, stabiliscono che le deroghe devono essere accordate in presenza di pro-cedure operative comunque in grado di assicurare uno stato soddisfacente di igiene e disinfezione dei materiali di contatto e dei locali nei quali si svolgono le attività produttive, salvaguardando, nel contempo, le caratteristiche di tipicità, salubrità e sicurezza del prodotto, in particolare per quanto attiene la flora specifica (ad esempio: elemento essenziale per la stagionatura dei formaggi).

2.1 Le deroghe in Toscana e il dibattito europeo

In Toscana, con la Deliberazione della Giunta regionale n° 551 del 29 maggio 2000, è stato disposto il primo Elenco regionale e le relative deroghe. Tra queste, oltre a specifiche pratiche correlate a singoli prodotti, compensate dall’obbligo di operare con azioni preventive equivalenti e desumibili dall’applicazione del metodo Haccp (analisi dei rischi e punti critici di controllo), è contemplata anche la possibilità di applicare a tutti i prodotti tradiziona-li, riportati nell’Elenco, le previsioni riportate nell’Allegato 1 della stessa Deliberazione di Giunta Regionale n° 551/00.

I Contenuti dell’ Allegato 1 di questa Deliberazione sono direttamente mutuati dalle indicazioni concernenti il rilascio dell’autorizzazione sanitaria in agricoltura, emanate con l’importante Deliberazione della Giunta Regionale Toscana n° 206 del 01/03/99.

Le direttive riguardanti l’agricoltura – infatti - agevolano un percorso che, partendo da considerazioni sulla diver-sa concezione strutturale dei locali di lavorazione esistenti in ambienti rurali rispetto a quelli concepiti in epoca più recente, propongono una intensificazione delle attenzioni applicative dei sistemi di autocontrollo (metodo Haccp)10 per sopperire agli eventuali limiti strutturali dei locali di lavorazione dei prodotti agroalimentari tradizionali.

Oggi con l’applicazione del Pacchetto Igiene della Ue le esigenze di deroga sono molto limitate.

La sostituzione dell’impianto normativo nazionale con le disposizioni comunitarie ha superato di fatto la conce-zione rigida delle vecchie norme sull’igiene, e consente, attraverso l’applicazione dell’Autocontrollo (metodo Hac-cp), di effettuare delle lavorazioni, anche particolari, attraverso la messa in campo di un metodo di validazione delle procedure di lavorazione che permette, con una effettiva valutazione del rischio, di lavorare in estrema sicurezza anche con procedure tradizionali.

Occorre sottolineare, per quanto riguarda la sostenibilità dell’applicazione dell’Haccp in agricoltura, che l’au-tocontrollo, a dispetto di quella tendenza che lo ha ritenuto a lungo come la fine delle produzioni tradizionali, è lo strumento di salvaguardia di pratiche tradizionali non pericolose per la salute.

La sfida per l’agricoltura è non tanto rivendicare delle deroghe ma promuovere una applicazione “ragionata” delle nuove regole per l’igiene degli alimenti11 e agevolare nel contempo l’evoluzione dei rapporti tra gli organismi di controllo ed i produttori verso una fruttuosa collaborazione.

In questa direzione sembra progredire il lavoro in atto in Toscana per la redazione delle linee guida per l’appli-cazione del “pacchetto igiene in agricoltura”.

Queste linee guida in sostanza, redatte in collaborazione con le Organizzazioni delle categorie interessate e gli organismi di controllo12, pur non essendo obbligatorie, sono comunque tenute in considerazione come documenti di indirizzo da tutti gli operatori del settore e dagli organismi di controllo.

10. Cfr. e. sirsi, L’H.A.C.C.P. nel settore agricolo, in l. costAto (a cura di), Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, III ed., Cedam, Padova 2003 cit., pp. 677-83; scipioni A., d. AndreAzzA, Il Sistema Qualità HACCP. Sicurezza e qualità nelle aziende agroalimentari, Hoepli, Milano 1997.11. Cit. A. Alberti, G. pAscucci e r. scAlAcci, Note pratiche sulla qualità igienico-sanitaria nel settore agricolo-alimentare, Agritec, Firenze, 200212. Le Linee guida sono elaborate tramite la costituzione di diversi gruppi di lavoro coordinati da ARSIA su incarico della Regione Toscana, Giunta Regionale - Direzione Generale del Diritto alla Salute e politiche di solidarietà e Direzione Generale Sviluppo Eco-nomico, nell’ambito delle attività concertate nella Consulta Regionale per la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione (CORESAN).

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

Tra i protagonisti di questa sfida per predisporre strumenti chiari e pertinenti ai profili di rischio riguardanti i prodotti agricoli e agricolo alimentari, ci sono il Coresan (Consulta regionale per la sicurezza alimentare e la nutri-zione), il Dipartimento Sanità e quello per lo Sviluppo Economico della Regione, l’Arsia, le Asl , le Organizzazioni professionali agricole e le Associazioni dei produttori13.

Su questo ultimo aspetto è interessante rammentare anche quanto emerso nei lavori seminariali organizzati a Parigi, sotto la presidenza Francese della Ue, il 23 e 24 ottobre 2008.

In quell’ambito è stato ribadito l’obiettivo di conservare la diversità dei prodotti tradizionali e di garantire la sicurezza sanitaria per i cittadini europei.

L’armonizzazione della regolamentazione europea, secondo i servizi della Commissione e del Commissario europeo alla Salute, può andare di pari passo con la protezione del prodotti tradizionali di qualità. È ciò che hanno dimostrato durante i due giorni del Seminario il Direttore aggiunto per la Salute e la tutela dei consumatori della Commissione europea, ed i diversi partecipanti europei14 tra cui i rappresentanti delle istituzioni, delle autorità sa-nitarie, del settore dell’alimentazione dei diversi Stati Membri, evidenziando l’utilità dei meccanismi di flessibilità del “pacchetto igiene” della Ue. Questo insieme di regole che mira ad armonizzare le norme sanitarie in Europa permetterebbe l’uso di metodi tradizionali e la possibilità di farli conoscere a livello comunitario.

La forza evocativa delle tradizionicaPitolo 3

Negli ultimi anni l’agricoltura si è affermata come settore strategico dello sviluppo economico ed è divenuta un ele-mento di riferimento per i processi di innovazione legati alla valorizzazione delle proprie caratteristiche e peculiarità.

Fra questi processi, particolarmente interessante è risultato anche il lavoro di individuazione delle produzioni tradizionali e la riscoperta di alcuni prodotti, che ha dimostrato cosa significhi coniugare tra loro categorie assai diverse fra loro, quali l’economia da un lato e la cultura dall’altro15.

Negli ultimi decenni, infatti, è divenuta chiara la necessità di considerare nello sviluppo, non solo le variabili socio economiche, ma anche la dimensione culturale. E i prodotti tradizionali rappresentano un fatto non solo eco-nomico ma anche culturale16.

Insieme alla valorizzazione delle produzioni tipiche17 il processo di individuazione e riscoperta delle produzioni legate alla tradizione ha messo in evidenza la ricchezza di prodotti presenti in Toscana.

Nei fatti, risulta evidente come l’agricoltura mediterranea sia estremamente più varia, più ricca - in termini di produzioni, di biodiversità, di prodotti trasformati – di quella del resto d’Europa, grazie anche alle particolari condizioni climatiche che favoriscono la diversità dei prodotti. Accanto a queste condizioni favorevoli le pratiche tradizionali, consolidatesi nel tempo, hanno contribuito a creare un vero e proprio patrimonio generato in secoli di cultura e di storia.

13. ARSIA ha pubblicato recentemente 4 linee guida per l’applicazione dell’autocontrollo igienico sanitario previsto dal “Pacchetto Igiene” della Ue, scaturite dal gruppo di lavoro fra agricoltura e sanità e OO.PP. agricole: Linee guida per l’applicazione dell’autocon-trollo igienico-sanitario nella produzione primaria di miele; Linee guida per la produzione primaria vegetale, Linee guida per l’appli-cazione dell’autocontrollo igienico-sanitario nella produzione di latte crudo e prodotti lattiero caseari, Linee guida per l’applicazione dell’autocontrollo igienico-sanitario nella trasformazione dei prodotti vegetali presso le aziende agricole.14. Seminario sui prodotti tradizionali e la sicurezza degli alimenti - Presidenza francese della Ue, 23-24 ottobre 2008: http://www.ue2008.fr/PFUE/lang/it/accueil/PFUE-10_2008/PFUE23.10.2008/produits_traditionnels_et_securite_des_aliments.html#container15. Cit. l. cAssi, M. Meini: Alle radici dei prodotti agroalimentari tradizionali, ARSIA, Firenze 200116. Decreto interministeriale de cAstro/rutelli del 9 Aprile 2008 “Individuazione dei prodotti Tradizionali italiani come espres-sione del Patrimonio Culturale italiano” in GU n. 93 del 19/04/ 200817. Sui prodotti tipici e l’esperienza toscana si veda: n.bAzzAnti, c. lAzzArotto (a cura di): Guida per la valorizzazione dei prodotti agro-alimentari tipici: concetti, metodi, strumenti, ARSIA, Firenze, 2006 e B: rocchi, d. roMAno, Tipicamente buono. Concezioni di qualità lungo la filiera dei prodotti agro-alimentari in Toscana, Il Mulino, Bologna, 2006.

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Il prodotto tipico è caratterizzato da un forte legame con il territorio. Un legame che si concretizza attraverso l’uso di produzioni locali o risorse specifiche locali18. Tuttavia, l’altro elemento che deve essere considerato in ag-giunta al rapporto con il territorio, è il legame con la storia e la cultura dello stesso, tanto da diventare l’elemento centrale identificativo di un prodotto, in particolare nell’area mediterranea19.

È soprattutto la storia del prodotto, elemento essenziale della sua “tradizionalità”, che con il suo potere evo-cativo rappresenta l’elemento da riscoprire non solo per una valorizzazione delle produzioni stesse ma anche, per rafforzare e consolidare gli elementi identitari delle comunità rurali.

È il caso, ormai noto, di numerosi prodotti tradizionali toscani, dal Lardo di Colonnata che inizia come prodot-to Tradizionale e viene poi registrato come Igp, le numerose cultivar di mele, pere, ortaggi e altre piante, fino alla recente riscoperta del Marzolino di Lucardo20.

In tutti questi elementi, quelli che, accanto ad una elevata qualità intrinseca, hanno permesso a questi prodotti di attraversare i secoli ed arrivare fino a noi, ci sono il forte legame con la storia e il legame con la comunità locale. Una storia fatta di lavoro (come nel caso del Lardo di Colonnata, destinato originariamente a fornire un alimento altamente calorico ai cavatori di marmo delle Apuane), o di diletto e curiosità (come nel caso della introduzione, per iniziativa dei Granduchi di Toscana, di cultivar di vite francesi e spagnole fin dal XVII secolo21).

Ed è sempre la storia e la trasformazione della società che, come nel caso del Marzolino di Lucardo, spiegano la scomparsa di un prodotto determinata, per questo formaggio, da un tempo di lavorazione troppo lungo e quindi troppo “oneroso”, che impiegava le donne delle famiglie contadine e che, successivamente, con il modificarsi delle dinamiche sociali hanno perso queste conoscenze ed abilità.

E tuttavia, non tutte le tecniche tradizionali, solo perché antiche, producono oggi prodotti organoletticamente apprezzabili. D’altra parte, la qualità organolettica di un prodotto è percepita diversamente dagli uomini che vivono in un tempo diverso.

La conservazione della tradizionalità di un prodotto non significa, quindi, staticità e riproposizione di elementi antichi, ma piuttosto far vivere antiche intuizioni tecnologiche nel gusto del tempo in cui si vive.

Il progetto per il recupero di alcuneproduzioni tradizionali della ToscanacaPitolo 4

L’Associazione dei giovani imprenditori agricoli della Toscana – Agia Toscana, ha sempre ritenuto importante l’ambito di lavoro relativo ai prodotti tradizionali, ed in numerose iniziative ha evidenziato il suo interesse per tale argomento.

Nel corso del 2005, durante la Sesta edizione della Festa regionale dei giovani agricoltori, è nata l’idea di realiz-zare un’indagine sui prodotti tradizionali toscani e sulla possibilità di recupero e valorizzazione di alcune produzioni tra gli agricoltori e il resto della filiera agroalimentare. Un particolare riferimento veniva attribuito all’interesse dei giovani imprenditori a mantenere le pratiche tradizionali e la produzione di tali prodotti.

L’attenzione posta dall’Associazione dei giovani imprenditori agricoli della Toscana- Agia Toscana sulla questio-ne ha portato al delinearsi di un progetto ben definito ed articolato in più fasi.

Per l’effettuazione della prima fase del progetto l’Agia Toscana ha provveduto a formare un gruppo di lavoro con la collaborazione dell’Associazione Cipa.at Sviluppo Rurale Toscana e con Cia Toscana. Il gruppo ha predisposto un

18. Cit. n.bAzzAnti, c. lAzzArotto (a cura di): Guida per la valorizzazione dei prodotti, op. cit., p.1319. Cfr. n.bAzzAnti, c. lAzzArotto (a cura di): Guida per la valorizzazione dei prodotti, op. cit., p.1620. Cfr. r:scAlAcci, d. VerGAri (a cura di), Il Marzolino di Lucardo: un formaggio ritrovato, Grafiche Leonardo, San Miniato, 2007.21. Cfr. r:scAlAcci, d. VerGAri (a cura di), Istoria delle viti che si coltivano in Toscana di Piero Antonio Micheli, Firenze, Consorzio Vino Chianti, Associazione G.B. Landeschi, 2008.

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

questionario che successivamente è stato somministrato ad un totale di 138 agricoltori (parte con intervista diretta presso le aziende di alcuni imprenditori agricoli delle 10 province toscane, parte attraverso l’invio di lettere diret-tamente alle imprese e successivamente con invio di diverse e-mail).

Questa prima fase ha così permesso di mettere in evidenza aspetti diversi.

In primo luogo è stata resa possibile la riscoperta e la relativa segnalazione di prodotti, non ancora censiti nell’Elenco dell’Arsia, con caratteristiche di pregio o spunti storici e tradizionali interessanti. 4 inseriti nell’aggior-namento 2009 (con Decr. Dir. n . 1637/09)

Giova rammentare, che l’avere individuato tali prodotti ne ha reso possibile la richiesta di registrazione tra i prodotti tradizionali all’Arsia.

In secondo luogo si è definito un gruppo di lavoro “modello”, formato da giovani imprenditori, per almeno tre prodotti tra quelli prescelti, su cui proseguire il lavoro di ricerca attraverso un’indagine storica sulle curiosità legate a tali prodotti tradizionali toscani.

Successivamente, sulla base dell’analisi delle risposte ottenute, è stato prodotto un report (ricavato dall’analisi di 100 questionari compilati direttamente con interviste o ricevuti compilati correttamente), da cui sono emersi gli elementi necessari ad una valutazione dei prodotti censiti e delle esigenze individuate.

Nella seconda fase, sulla base del risultato dell’indagine, il gruppo ha provveduto ad individuare alcune produ-zioni agroalimentari tradizionali che apparivano di un certo interesse e che potevano coinvolgere alcuni produttori nella loro valorizzazione. Si sono quindi realizzati alcuni incontri con gli imprenditori che lavorano questi prodotti per predisporre la documentazione utile alla registrazione dei prodotti nell’Elenco delle produzioni agroalimentari tradizionali della Toscana, ed avviare il lavoro di caratterizzazione di queste produzioni.

La fase conclusiva del progetto è stata dedicata alla presente pubblicazione, che tratta dei risultati ottenuti.

È stato così possibile, oltre che fornire una presentazione pubblica dell’esperienza realizzata, disegnare una mappa delle opportunità di degustazione nelle aree sottoposte a studio e ben individuate.

Nel corso dei lavori di avanzamento del progetto, è evidente come sia risultata di fondamentale importanza, l’effettuazione delle indagini storiche che sono servite a corredare delle necessarie informazioni le richieste di regi-strazione dei prodotti prescelti per l’aggiornamento dell’Elenco dei prodotti tradizionali toscani.

I prodotti individuati sono la Pera Picciola (censita nel territorio del Comune di Abbadia San Salvatore – SI), la Susina Amoscina (censita nel territorio del Comune di San Miniato – PI), l’Agresto (condimento censito nel territorio del Comune di San Miniato - PI), il Tizzone di Giustagnana (censito nel Comune di Seravezza – LU). Su questi prodotti si è ritenuto utile proseguire il lavoro sia perché è stata condivisa l’opinione che tali prodotti possano incontrare un certo interesse dei consumatori, sia per la ragione che, durante le attività svolte, intorno a queste produzioni si è immediatamente riscontrato un grande interesse di alcuni produttori e degli abitanti delle aree territoriali coinvolte.

In particolare, per la Pera Picciola è stato organizzato un Convegno di presentazione della iniziativa di rivaloriz-zazione del frutto e delle produzioni trasformate, da un produttore, con la collaborazione dei commercianti locali, mentre sull’Agresto e la Susina Amoscina è stato possibile verificare un forte interesse di una Associazione locale di agricoltori di San Miniato (PI), la“Colli di San Miniato”, peraltro già impegnata nella valorizzazione di altri pro-dotti tradizionali locali (ad es.: il Carciofo di San Miniato e il Pomodoro Grinzoso di San Miniato), e dal Consorzio Farmer Food sempre costituito da produttori agricoli di San Miniato.

Tra gli altri prodotti considerati interessanti nell’ambito del censimento è stato segnalato anche l’Aglio Crudo/Cotto (nella zona dell’Amiata). Purtroppo, per l’aglio crudo/cotto, nonostante una diffusa conoscenza del prodotto tra la popolazione locale, la mancanza di produttori attualmente impegnati nella sua riproposizione finalizzata alla diffusione, non ha permesso di seguire la procedura di registrazione adottata per gli altri prodotti.

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Il censimento di produzioni non ancoraindividuate: i risultati di una indagine in ToscanacaPitolo 5

Il presente capitolo illustra il lavoro di indagine coordinato dalla Associazione giovani imprenditori agricoli della Toscana – Agia Toscana, con la collaborazione dell’Associazione Cipa-at Sviluppo Rurale Toscana ed il supporto organizzativo e logistico di Cia Toscana.

Tale indagine riguarda la prima fase del progetto di “Recupero della produzione e commercializzazione di alcuni prodotti tradizionali della Toscana”.

L’indagine è stata avviata previa definizione di un questionario attraverso il quale rilevare il grado di conoscenza delle produzioni tradizionali, l’interesse alla loro commercializzazione, l’interesse ad azioni di promozione, valoriz-zazione e commercializzazione, nonché i fabbisogni (formativi e di altro genere) per gli operatori del settore.

Il lavoro, svolto con il coordinamento di Agia Toscana, si è articolato attraverso le seguenti fasi:

IdeAzIone e reAlIzzAzIone del questIonArIo e del rePort

• definizionedelletipologiedistrumentidiindagineimplementabiliesceltadelmodello• definizionedeitarget• definizionedelleinformazioninecessarieperivaritarget• stesuraprimabozzadeiquestionarieverificadigruppo• aggiornamentidellebozzeeverifichedigruppo• implementazionedeiquestionariinformatidiversi(MSWord,MSExcell)• definizionedeireportperlaraccoltadelleevidenze

sommInIstrAzIone ed IndAgIne

• somministrazionedeiquestionari• intervistetelefonicheperlavalutazionedelgradimentodapartedegliutilizzatori• raccoltadelleevidenzeepredisposizionedeireportfinali• stesuradelleversionifinalideiquestionariedeireport

Successivamente sono stati somministrati i questionari. La scelta dei questionari quali strumenti di indagine si è basata essenzialmente su due criteri:

• larelativasemplicitàdirealizzazione;• lasemplicitàeflessibilitàdiutilizzo.

Il questionario è stato reso quanto più possibile semplice ed intuitivo, ma comunque in grado di rilevare:• datianagraficidelcampione(etàesesso);• esperienzainagricoltura;• gradodiistruzioneeformazioneprofessionalesvolta,specificaperilsettoreagricolo;• impegno,esperienzaointeresseversoleproduzionitipicheetradizionali;• problematicherelativeallaproduzione,allatrasformazioneedallacommercializzazionedeiprodottitra-

dizionali, censiti o non censiti;• gradodiinformazioneriguardoallenormative,allepoliticheealleiniziativeregionaliedeuropee,rivolte

alla valorizzazione, promozione e salvaguardia delle produzioni tradizionali;• suggerimentiinmeritoall’eventualeconoscenzadiprodottitradizionalinoncensitinell’elencodeipro-

dotti tradizionali toscani istituito ai sensi del D.Lgs. 173/98 e sulle modalità di sostegno alle aziende impegnate in questa tipologia di produzioni.

Ovviamente, una particolare attenzione è stata dedicata alla individuazione delle produzioni tradizionali non censite, al livello di conoscenza delle produzioni tradizionali e alle difficoltà operative ed alle azioni di sostegno.

I questionari sono stati somministrati ad un campione di n. 138 agricoltori, che, per fasce di età, esperienza

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

maturata nel settore, scolarizzazione, qualificazione professionale ed indirizzo produttivo dell’azienda, fosse ade-guatamente rappresentativo delle tipologie di aziende e imprenditori agricoli della regione.

La somministrazione è avvenuta secondo modalità diverse, quali:

somministrazione diretta in aziendaauto-compilazione, attraverso somministrazione diretta o invio tramite posta elettronica o posta ordinaria;intervista telefonica.

I questionari ricevuti correttamente compilati sono stati pari a 100.

rIsultAtI

Età

L’età massima dei soggetti campionati è risultata essere di 70 anni; quella minima di 26 anni. L’età media risulta essere di anni 46,4.La varianza dell’universo osservato risulta essere abbastanza contenuta (9,0), il che induce a ritenere significati-

vo il valore dell’indagine, per lo meno per la parte riferibile all’uniformità dell’età dei soggetti intervistati.Lo scostamento dell’età media degli intervistati dalla media del settore22 rappresenta una scelta operata in sede

preliminare. A tale proposito giova rammentare che il progetto è stato proposto con particolare riferimento al tar-get “giovani agricoltori”, ma dopo una prima serie di somministrazioni del questionario è stato deciso di elevare l’età degli intervistati in quanto i giovani imprenditori - pur mostrandosi interessati - non sembravano disporre di molte/adeguate conoscenze di vecchi prodotti, nonché delle tradizioni collegate.

EspEriEnza maturata

Relativamente all’esperienza maturata dagli intervistati nel settore di riferimento, la maggior parte (63%) vanta una esperienza superiore ai 10 anni. Mentre nella fascia tra 5 e 10 anni di esperienza si colloca il 21% degli inter-vistati.

Anche in questo caso si è rilevata la assoluta uniformità del campione: ben l’84% degli intervistati vanta un’espe-rienza settoriale di non breve periodo, e di durata tale da poter concludere che si tratta di operatori consolidati da un sufficiente numero di anni nella propria posizione lavorativa.

GEnErE

Il campione d’indagine è risultato composto per il 73% da conduttori maschi e per il 27 % da femmine. Rispetto a quanto rilevabile dalla banca dati Art€a (Agenzia regionale toscana per le erogazioni in agricoltura), la percentuale della componente femminile calcolata sull’universo rilevato, risulterebbe leggermente inferiore. A tale proposito è stato osservato che nella stessa banca dati Art€a sono presenti numerose posizioni non definite per caratteristica di genere. E comunque le stime svolte su tali dati segnalano una componente femminile pari al 34% dell’intero campione Art€a, non molto distante dalla percentuale osservata con la presente indagine.

titolo di studio

Il titolo di studio in possesso degli intervistati è risultato essere nella maggioranza dei casi di alto livello: il 9% è in possesso di un diploma professionale; il 33% è in possesso di diploma di scuola superiore; il 15% di una lau-rea. Solo il 17% risulta in possesso della licenza elementare. La scolarizzazione elevata (complessivamente il 57% degli intervistati ha un titolo di studio superiore alla licenza media inferiore) è un ulteriore elemento rafforzativo dell’analisi, soprattutto se lo si ponga in relazione alla rilevazione successiva, attinente la qualifica posseduta dai soggetti campionati.

QualifichE

Solo il 7% degli intervistati non è in possesso di alcuna qualifica.La maggior parte degli intervistati (46%) è in possesso della qualifica di Imprenditore Agricolo, il 33% di Im-

22. In 10° Rapporto Economia e politiche rurali in Toscana, Arsia, Irpet, Regione Toscana, Firenze, 2008, pagg. 41 e segg. “Per quanto concerne l’articolazione per età degli operatori agricoli, la Toscana (…) vede acuirsi il fenomeno nonostante le misure messe in atto per ridurlo (…). L’elevata incidenza di anziani tra i lavoratori agricoli e, in particolare, tra i conduttori di azienda, risulta infatti una delle principali problematiche dell’agricoltura regionale (…).”

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prenditore agrituristico, il 64% della qualifica di responsabile dell’autocontrollo sulla sicurezza degli alimenti e ben il 40% è Responsabile per la sicurezza (ex D.Lgs. 626/94).

Le qualifiche possedute rilevano l’ assoluta preminenza di soggetti attenti e professionalizzati sui temi della sicurezza (alimentare e sui luoghi di lavoro). Mentre risultano assenti qualificazioni specifiche per il settore zootec-nico (0,0% fecondatori “laici”).

L’aggregato relativo alla sicurezza alimentare (64% Responsabili dell’Autocontrollo HACCP; 13% Addetto all’Autocontrollo HACCP) segnala l’ evidente preminenza di soggetti operanti in aziende agricole dedite alla mani-polazione di produzione agroalimentare.

ValorizzazionE dEllE produzioni tradizionali

In questo caso l’elaborazione statistica rafforza la precedente conclusione, rilevando l’assoluta importanza attri-buita alle produzioni tradizionali da quasi tutti gli intervistati.

coinVolGimEnto E partEcipazionE

La rilevazione relativa alla conoscenza delle politiche e delle attività a favore delle produzioni tradizionali, ben-ché volutamente semplice e non approfondita, evidenzia una scarsa conoscenza da parte degli agricoltori, siano essi impegnati in produzioni tradizionali o tipiche, delle politiche, delle normative e delle attività svolte in favore di, o riguardanti, tali produzioni sia a livello regionale che comunitario. In particolare risultano praticamente sconosciute sia le politiche che le azioni messe in atto dalla Ue.

prodotti cEnsiti

I prodotti tradizionali censiti tra gli intervistati, quali oggetto delle rispettive attività, consegnano una situazione abbastanza critica.

Escludendo dalla valutazione, in questa sede, il 20% degli intervistati (cioè coloro che si sono dichiarati non interessati ai prodotti tradizionali), vi è un altro 33% di intervistati che, pur non essendo – al momento – impegnati nella valorizzazione di tali produzioni, manifesta comunque palese interesse ad avviare un proprio percorso impren-ditoriale/professionale su tale segmento produttivo.

Ove si consideri che il 49% degli intervistati ha dichiarato di svolgere già attività connesse alla produzione/manipolazione/commercializzazione di produzioni tipiche o tradizionali, e che il 33% ha manifestato interesse ad intraprendere tali attività, è risultato particolarmente interessante rilevare quali siano considerate le principali emergenze, al pari delle opportunità, riprese più avanti.

Relativamente alle produzioni censite tra gli operatori intervistati, il report permette l’elaborazione di un elenco assai composito ed affatto uniforme.

In pratica, è possibile rilevare come il campione analizzato, pur se quantitativamente contenuto (100 soggetti), sia dedito ad attività di valorizzazione sia di produzioni non particolarmente complesse, che particolarmente com-plesse dal punto di vista della manipolazione.

Se si escludono produzioni tipiche a denominazione di origine (Doc, Igt, Dop, Igp) merita evidenziare le pro-duzioni animali (quali l’agnello di Zeri), produzioni di origine animale (ad esempio, il Biroldo di Lucca), produzioni tradizionali di origine vegetale (quali la Farina di castagne di Prato) e vegetali (come il Fagiolo zolfino) che sono solo un piccolissimo campionario dei prodotti rilevati.

Ed è particolarmente evidente come tali diversità pongano all’operatore diverse modalità operative in termini, ad esempio, di: manipolazione, confezionamento, analisi dei mercati, commercializzazione, immagazzinamento ecc.

prodotti tradizionali non cEnsiti

Inoltre, è di assoluto interesse la rilevazione di produzioni ritenute tradizionali che non risultano ancora iscritte e/o valorizzate.

Mentre il 77% degli intervistati ha dichiarato di non essere interessato a trattare prodotti tradizionali non censiti (ma anche questa categoria andrebbe campionata con maggiore raffinatezza), il 15% degli intervistati ha dichiarato di essere interessato, ed il 3% ha dichiarato addirittura di avere in produzione tali specialità.

Anche in questo caso i prodotti, ritenuti dagli intervistati “tradizionali” e posti alla loro attenzione, non afferi-scono ad una sola categoria merceologica, del che, accanto al Mucco pisano (per altro già censito dall’Arsia molto probabilmente come Carne di Mucca Pisana di Migliarino - San Rossore), compaiono prodotti derivanti da una sa-piente manipolazione tradizionale, quali il Tizzone di Giustagnana o altri che sono frutto di una lunga e meritevole attività di ricerca storica, quali l’Agresto, o prodotti vegetali come la Susina Amoscina, la Pera Picciola o la Cipolla rossa di Firenze (probabilmente analoga alla Cipolla rossa Toscana già censita dall’Arsia ed indicata – appunto - come “toscana” e non “di Firenze”), come anche la Carota Pastiglioncello di Lucca (probabilmente già censita dall’Arsia come Pastinocello).

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

Sicuramente si tratta di un discreto numero di produzioni sulle quali avviare una ulteriore indagine al fine di poterli – o meno – classificare come produzioni tradizionali della Toscana.

Tra questi appaiono molto interessanti tre prodotti sui quali si è attivata immediatamente, in seguito alla som-ministrazione del questionario ed all’illustrazione delle finalità dell’indagine, una forte risposta di interesse di produttori e abitanti delle zone di produzione.

Si tratta della Pera Picciola, della Susina Amoscina nera e dell’Agresto. Sembrano molto interessanti e meritevoli di evoluzioni successive anche il Tizzone di Giustagnana e l’Aglio Crudo/Cotto.

problEmatichE

L’analisi, infine, si è posta l’obiettivo di rilevare quali siano percepiti come i maggiori limiti all’azione degli ope-ratori.

Per comodità di classificazione, l’intervista è stata orientata sui “titoli” dei problemi. Tale scelta è stata dibattu-ta, maturata e condivisa in sede di predisposizione dei questionari, essendo opinione diffusa che ogni tentativo di ulteriore declinazione avrebbe reso particolarmente complessa la rilevazione, così come – in ragione della limitatez-za e della eterogeneità degli intervistati – non sarebbe stata di particolare utilità.

Un’indagine più complessa, che vedesse coinvolti un numero maggiore di soggetti, magari accomunati da inte-ressi e indirizzi produttivi similari, avrebbe sicuramente il pregio di offrire risultati, e quindi valutazioni, di migliore livello.

Ciò premesso, dalle rilevazioni è emerso con chiarezza che i principali problemi di natura “operativa” attengono la sfera igienico-sanitaria (60%) e commerciale (41% difficoltà di commercializzazione/spazi di vendita; 41% pro-mozione, informazione, relazione con i consumatori).

Il 68% degli intervistati ha indicato come elemento problematico il contenimento dei costi produttivi. La gravità di tale dato, se relazionato con quanto rilevato a proposito delle difficoltà a commercializzare, completa un quadro complessivamente negativo.

In un contesto economico negativo, vi sono alcune difficoltà a produrre che non sono ascrivibili solo al novero delle caratteristiche tecniche delle produzioni (burocrazia), così come si rilevano anche difficoltà afferenti la orga-nizzazione commerciale (promozione, filiere, mercati ecc.).

E pare che una risposta sia individuata nella formazione professionale.

sostEGno formazionE profEssionalE

In una scala da 1 a 9, ben 71 soggetti su 100 intervistati colloca la Formazione Professionale nelle frequenze 5-7.Il 36% attribuisce alla F.P. il voto di 6/9;il 19% attribuisce alla F.P. il voto di 7/9;il 16% attribuisce alla F.P. il voto di 5/9;l’8% attribuisce alla F.P. il voto di 8/9;l’8% attribuisce alla F.P. il voto di 9/9.Solo il 5% ritiene la F.P. ininfluente e, nel migliore dei casi, non utile al superamento delle difficoltà rilevate.

altri sostEGni

Ma la F.P. – è stato detto – non è unico elemento risolutivo. Quali altri interventi potrebbero essere utili? Quali altri sostegni?

Il 50% degli intervistati non ha indicato interventi specifici, nella considerazione che nessun intervento singolar-mente acquisito, fosse in grado di rappresentare risposta esauriente.

Abbastanza sorprendente risulta essere il 45% degli intervistati che ha voluto indicare nel supporto dei Servizi di Sviluppo Agricolo, un elemento degno e meritevole di attenzione.

Inoltre, la linea di tendenza che guarda ai consulenti esterni all’azienda sembra confermata da un ulteriore 20% degli intervistati che indica la consulenza di esperti e dal 3% che indica l’assunzione di personale specializzato quali risorse complementari alla formazione professionale.

A proposito delle ulteriori forme di supporto, il 18% degli intervistati ha indicato ulteriori soggetti operanti nella filiera, così come possibili forme di organizzazione commerciale, come strumenti da coinvolgere.

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L’individuazione di alcune produzioni tradizionalicaPitolo 6

l’AgresTo di sAn MiniATo(o Aceto di agresto sanminiatese)

Il Prodotto

L’Agresto è un condimento acidulo ottenuto attraverso la cottura del mosto di uva acerba con l’aggiunta di aceto e spezie.

Il prodotto si presenta con una densità simile all’aceto balsamico, dal colore rosso scuro con tonalità calde. Il profumo è complesso e il contrasto fra il dolce e l’acidulo rende il condimento interessante non solo per le insalate, ma anche come ingrediente nella preparazione di piatti a base di carne o pesce.

L’Agresto di San Miniato è una elaborazione del più semplice agresto, vale a dire il succo di uva acerba utilizzato in passato come materia prima per produrre bevande fresche estive (succo di uva spremuta e miele) oppure come ingrediente per diversi tipi di salse.

metodo dI lAvorAzIone

L’uva viene raccolta a fine luglio, appena invaiata, e i grappoli scartati durante il diradamento vengono raccolti in piccole cassette da appassimento dove rimangono fino al raggiungimento di una buona concentrazione (20 giorni). L’uva così appassita viene pigiata e posta in un tino, come nella vinificazione; ma prima che si sviluppi la fermenta-zione vinosa si spilla il mosto, passandolo per un setaccio, non molto fitto. La caratteristica peculiare della pigiatura dell’uva da agresto è la delicatezza: può essere effettuata sia in modo meccanico che manuale, ma deve sempre essere soffice.

La tradizione racconta che i contadini, quando pestavano a piedi nudi, erano soliti appoggiarsi su bastoni per far sì che tutto il loro peso non cadesse sugli acini, oppure facevano eseguire questa operazione dai bambini.

Prima di passare alla cottura, è necessario saggiare il contenuto zuccherino del mosto che, posto in ampie pen-tole, si fa bollire, senza coperchio, a fuoco lento, levando man mano la schiuma e protraendo poi l’ebollizione sino a ridurre il mosto al 50-70% del volume originario, fino alla consistenza di uno sciroppo. Alla fine del processo di cot-tura si aggiungono il dragoncello, la cannella, la cipolla, l’aglio e il miele in piccole quantità, e si continua la cottura per 15-20 minuti. Alla fine si aggiunge una quantità di aceto di vino pari dal 20 al 40% del concentrato ottenuto.

Dopo un’ulteriore filtrazione l’Agresto di San Miniato è pronto per essere imbottigliato.

lA storIA

Fin dall’antichità era uso accompagnare gli alimenti con condimenti – dal latino conditio, condimentum - al fine di dare grazia, di “perfezionare” - come indicava il dizionario della Crusca – gli alimenti.

I romani, che apprezzavano i sapori acidi, gradirono l’Agresto, che sembra identificarsi con l’ omphacium otte-nuto dalla spremitura delle uve acerbe e citato da numerosi autori come Plinio.

L’uso di questo condimento, con variazioni più o meno significative, sopravvisse nei secoli altomedievali per diventare un condimento molto diffuso nella cucina medievale non solo italiana ma anche, ad esempio, francese. La presenza diffusa della vite permetteva di ottenere non soltanto il vino, ma di utilizzare l’uva anche per altri scopi alimentari.

L’Agresto rimase uno dei principali condimenti, paragonato all’olio o all’aceto, come componente essenziale nella preparazione di molte pietanze, o ingrediente necessario nella preparazione di molte vivande. Ad oggi, molti lo danno come ancora esistente nella Lombardia ma, in realtà, il suo uso era diffuso in tutta Italia, dove l’Agresto veniva ottenuto dalla sola spremitura dell’uva acerba talvolta accompagnato dall’aggiunta di sale o altre spezie.

Le notizie più antiche relative all’Agresto risalgono a quello che è il primo trattato di agricoltura italiano del medioevo, composto da Piero De’ Crescenzi nella prima metà del XIV secolo. Lo scrittore bolognese cita l’Agresto tra i principali prodotti dell’uva, oltre al vino e all’aceto e ne illustra così la manifattura:

“L’agresto si fa di due maniere, liquido e secco. L’agresto liquido si fa in questo modo. Quando l’uve sono acerbe, e son venute a debi to accrescimento, si colgono e si pestano, e in mastello o in tino o altro vaso si pongono al Sole, e in quello si pone alquanto di sale. E poiché due ovvero tre dì al Sole sieno state, si prende il sugo, e riposto, all’uso si serba: e alcuni del sale non vi mettono: ma con quello meglio si conserva e massimamente se di cotali uve fatto sarà, il cui vino di State

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

serbar non si può. L’agresto secco così da fare è. Togli l’uve acerbissime, e pesta e priemi e poni in vaso di rame a fuoco, e cuoci tanto, che alla coagulazione s’approssimi, e poi lo poni in vaso disteso, e ponlo al Sole tanto che si secchi, e serbalo e alcuni il pongono a seccare al Sole senza cuocere, se l’Sole è caldo. Alcuni fanno l’agresto d’uve, che alcuna cosa di dolcezza abbiano: ma il primo è più stitico e più freddo.”

Un terzo modo prevede di fare l’Agresto simile, nella consistenza, al miele

“ch’è molto virtuoso, siccome di sopra detto è nelle virtù dell’uve.”23

Nel medioevo la diffusione dell’Agresto spazia dalle tavole dei poveri a quelle dei ricchi, e lo si trova indicato in numerose ricette.

In Toscana, l’uso dell’Agresto era ampiamente diffuso e rientrava negli intingoli e guazzetti delle carni in umido fin dal XIII secolo, come sembra confermare la nota che, alla fine del XV secolo Padre Agostino del Riccio, autore di importanti opere di agricoltura, scrive nella sua “Agricoltura Sperimentale”:

“È cosa comune e tutta a favellare come si facci l’agresto in Toscana.”24

Il testo di Padre Agostino del Riccio è molto importante per capire la diffusione dell’agresto nella tradizione toscana.

Pochi anni dopo, nella prima metà del XVI secolo, Giovan Vittorio Soderini ci dona la migliore descrizione della fabbricazione dell’Agresto25. Egli specifica come l’Agresto debba

“esser d’uve tutte d’una fatta, e si deono cogliere i grappoli avanti che abbiano punto del maturo.”

Per fare l’Agresto “ordinario” si colgono i grappoli interi e

“si premono bene nel tino prima co’piedi, poi con un pestone di legno, e subito cavatone più netto che si può, avendolo fatto passare per un panno lino posto sopra alla bigoncia, s’infiasca mettendo per ciaschedun fiasco mezz’oncia di sale, e lasciando per quindici dì sturato il fiasco tenendolo al Sole, e dipoi si turi e si tenga in lato asciutto, e tanto si faccia a proporzione, tenen-dolo nella botte.”

L’autorevole agronomo ci dice che l’Agresto fatto di moscatello è di migliore qualità rispetto a quello ordinario per essere più buono e profumato, seguito solo da quello dell’uve di tre volte o di altre uve ricche di succo. Soderini descrive poi un altro modo di ottenere questo piacevole condimento:

“Piglisi adunque dell’ agresto, di Viti di tre volte massimamente, o altro di sugo assai, e acerba bene , e non ghezza (ovvero non), dipoi si pesta molto bene, e se ne cava il sugo in mortajo o in bigoncia, dipoi si lascia riposare in un vaso invetriato, dove si lasci stare per tre dì al Sole: accanto a questo fatto passare per istamigna, gettisi via la bozzima, e ‘1 chiaro che n’ è uscito, si metta a cuocere in una gran pignatta bene invetriata al fuoco, e si lasci cuocere finché sia scemato per metà; dipoi si muti in un’ altra pignatta, e si metta di nuovo al fuoco che bolla bene, e che torni pur per metà, e serbisi in vaso di vetro, mettendovi un poco di sale a discrezione, e ‘1 vaso sia, fiasco turato con bambagia muschiata, e sarà agresto delicatissimo per gli bisogni. Pigliasi ancora l’agresto quando è ben grosso, e in sul voler maturare, dipoi si pesta in mortajo di pietra con pestello di legno, e nel pestarlo mettevisi alquanto di sale; più appresso mettasi al Sole per due o tre dì, dipoi si riponga in vasi invetriati, chiusi che non v’entri l’aria, e ponendo nel collo del fiasco in cima un dito d’olio buono si conserverà meglio.”

23. p. de’ crescenzi, Trattato della agricoltura, Società tipografica de’ Classici italiani, Milano, 1805, p. 316 e segg.24. p. A. del riccio, Agricoltura Sperimentale, mss., Targioni 56.III, Biblioteca Nazionale Centrale Firenze.25. G.V. soderini, Trattato della coltivazione delle viti e del frutto che se ne può cavare E la coltivazione toscana delle, viti, e d’alcuni arbori del s. Bernardo Davanzati Bostichi. Aggiuntavi la difesa del popone dell’dottore Lionardo Giachini”, Società tipografica de’ classici italiani, Milano 1806, p. 211-212.

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E ancora, con estrema precisione, descrive le modalità per ottenere l’Agresto secco:

“Ancora farai ben cuocere l’agresto tanto che scemi una debita porzione, e faccia un poco di cor-po come una pasta; deesi prima salare, e accanto s’adoperi in pezzi come altrui vuole. Ancora l’agresto che si conserva secco si fa così: tolgasi l’uva agrissima e acerbissima, pestala bene e spremila, e fa’ bollire quella colatura tanto che s’assodi; dipoi ponlo in su gli asserelli a seccare al Sole, e riponlo a tutti gli usi in vaso di terra cotta invetriato. Altri mettono a indurire l’agresto spremuto al Sole caldo, poi ne fan confaccette, e serbanlo a quel modo in lato asciutto, e l’uno e l’altro in pestandosi e spremendosi, si dee insalare a discrezione.”

E infine,

“Mettendo a impassir l’agresto al Sole per quattro o cinque dì, e dipoi pestato si ponga nelle gabbie fitte nello strettojo, e quello che se ne spreme, si conserva, insalandolo un poco. Deesi avvertire, che s’egli è fatto di sorte d’uve che non conservino il vino alla State, bisogna dare tre libbre di sale per barile, e se per contra bastano due.”

Dal ‘500 al ‘700 l’Agresto rimase uno dei prodotti realizzati dai contadini mezzavoli e fittajoli nel proprio po-dere. I primi documenti relativi all’Agresto a San Miniato risalgono alla metà dell’ottocento e sono stati trovati dal Parroco di Moriolo (una piccola località del sanminiatese) Don Luciano Marrucci.

La produzione dell’Agresto di San Miniato era cessata a livello imprenditoriale, e la ricetta originale è arrivata fino a noi grazie ad alcune anziane agricoltrici che avevano in casa degli antichi testi di ricette locali.

lA perA picciolA 26

Il Prodotto La Pera Picciola è un frutto che si ottiene dall’allevamento di un albero alto dai 4 ai 6 metri di cui si è osservata

la naturale resistenza agli attacchi crittogamici e alle aggressioni parassitarie. Si tratta di un pero con un areale strettissimo, circoscritto alla fascia pre-boschiva che va da Abbadia San Salvatore fino a toccare parte del territorio di Vivo d’Orcia. Entrambe le località sono in provincia di Siena.

Il frutto, caratterizzato dal lungo peduncolo che misura fino a 53 mm circa, è trottoliforme, con un diametro che può raggiungere 43 mm circa e un peso non superiore a 60-65 g circa. Per essere consumata, la pera viene cotta poiché fresca risulta coriacea, allappante, aspra e legnosa (la pasta è ricca di granuli ossei di lignina).

Il frutto arriva a maturazione in autunno, e per poterne apprezzare il particolare gusto è necessario che venga prima cotta e poi sciroppata. Tra le altre caratteristiche, si segnala quella dell’ottima conservabilità (intorno ai 4 mesi è ancora fresca ed atta all’utilizzo).

Le foglie sono sub-rotonde o ovali-ellittiche, con base mai cordata o cuoriforme come tutte le varietà coltivate, bensì allungata; hanno un picciolo lungo circa 1/3 del peduncolo (32 mm circa) ed una lamina fogliare di mm 39/49 x 62 max con bordo seghettato.

La sua coltura si e tramandata per innesto sul selvatico, ma questo fatto non è sufficiente per poter affermare che si tratti una varietà derivata da incroci e selezioni. Da osservazioni e studi recenti, e comunque ancora in corso, non sembrerebbe fuori luogo attribuire alla pianta un’identità pura, riferibile ad una specie a se stante e non derivata da manipolazioni umane. Semmai si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che essa sia addirittura un capostipite di molte altre varietà divenute “domestiche”.

II Pero Picciolo è localizzato in un areale a circa 800 metri di altitudine e fa supporre una sua attitudine peculi-armente montana. Ha una parentela stretta con un’altra specie spontanea, il Pyrus nivalis Jacq, che ha un areale ve-getazione solo sull’arco alpino e col quale condivide molti aspetti morfologici, come il lungo peduncolo, la grandezza

26. Il nome volgare fa riferimento al lungo peduncolo del frutto equivocamente chiamato picciolo. Secondo Augusto De Bellis si tratterebbe del Pyrus Communis var. ACHRAS - GAERTNER.

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

del frutto e l’altimetria. In definitiva, questo marcato parallelismo con una specie spontanea pura, fanno supporre che il Pero Picciolo sia a sua volta una specie pura, di cui è stato ricostruito un taxon abbandonato da anni dai bota-nici attuali, forse perché la specie si è estinta sul resto del territorio italiano o comunque non più rinvenuta27.

Nella tradizione amiatina il consumo della Pera Picciola è associato a quello della castagna insieme alla quale viene bollita. Dalla lavorazione si ottengono altri prodotti trasformati che ne permettono la commercializzazione: le Pere Picciole sciroppate alla vaniglia e il Liquore di Pera Picciola.

lA storIA

La presenza delle pere è antichissima in Italia. Le varie specie selvatiche furono rese domestiche nel corso dei secoli fin dall’antichità. I principali scrittori romani ne citano diverse specie: Catone sette, Columella diciassette e Plinio ben trentanove28. Nel corso dei secoli l’introduzione delle pere coltivate in Toscana aumentò fino a superare le 200 specie coltivate durante il granducato mediceo di Cosimo III.

Piero Antonio Micheli, uno dei più grandi botanici del XVIII, custode dell’orto botanico di Firenze ne riporta più di 220 nella sua opera Enumeratio rariorum plantarum, attualmente in coso di pubblicazione.

Lo stesso botanico fiorentino nel suo manoscritto riporta la descrizione di una pera Picciolona:

“Picciolona: Pyrus fructu estivo, globoso, sessile, subflavo, maculeo vel libureo griseis compresso, pediculi longo.Il frutto è alto poco più di un oncia e mezzo largo (circa 4 cm ndr.) largo quasi due, che viene a dire più largo che alto, dalla parte di sotto chiatto cioè piano e nel mezzo con-cavo, dalla parte di sopra tondo, ma nell’estremità un pochino accitamente appuntato, dove termina in un picciuolo lungo due oncie e poco più o poco meno; il colore è verde chiaro, tutto chiazzato di macchioline ineguali di colore bigio, le quali core lo rendono un poco ruvidetto al tatto, ambedue l’estremità del frutto sono macchiate, più d’ogn’ltra part di colore. Il sapore non è dispiacevole, ma poco dolce, essendo oltre di ciò la sua polpa granellosa, e comodamente umida. A 20 di Agosto, senza nome, dal fruttivendolo di S. Spirito, e matura e ingiallita a 15 di 7bre in Mercato.”29

Una descrizione molto simile a quella della Pera Picciola oggi conosciuta nell’amiatino.

Ad oggi, tuttavia, la Pera Picciola è un frutto quasi dimenticato dalla cultura botanica, ed è sopravvissuto solo grazie alla perspicacia dell’uomo del Monte Amiata che, accortosi del suo graduale declino, si è ingegnato per farlo riprodurre mediante innesto su altre specie simili, assicurandosi la sua sopravvivenza anche quando altrove andava estinguendosi.

La Pera Picciola ha avuto una notevole importanza nell’economia familiare dei primi del Novecento. Non a caso il suo consumo era strettamente associato a quello della castagna, altra estrema risorsa alimentare disponibile, assieme alla quale veniva bollita, divenendo mangiabile e gradevole. A partire dagli anni ’50, si sono diffusi altri metodi di trasformazione e conservazione della Pera Picciola destinati all’ uso domestico, come il Liquore di Pera Picciola e le Pere Picciole Sciroppate.

La riscoperta culturale della Pera Picciola, proprio quando il progresso, il miglioramento socio-economico e la grande disponibilità di nuovi alimenti stava portando all’abbandono definitivo della sua coltivazione, è stata possi-bile proprio perché il suo utilizzo non è scomparso almeno nel ricordo dei più maturi e grazie all’interessamento dell’imprenditoria amiatina che ne ripropone l’utilizzo in chiave moderna.

metodo dI lAvorAzIone

• Pere Picciole sciroPPate alla vaniglia

I frutti vengono liberati dal torsolo e cotti in acqua bollente. Successivamente si prepara uno sciroppo con lo zucchero. Lo sciroppo ottenuto viene versato in vasetti nei quali si immergono i frutti cotti. Il vaso così confezionato verrà sterilizzato a circa 80 gradi per 30 minuti.

27. AuGusto de bellis, “Atti del Convegno sulla Pera Picciola”, Abbadia San Salvatore, 18 ottobre 2008.28. Cfr. A. tArGioni tozzetti, Cenni storici sulla introduzione di varie piante nell’agricoltura ed orticoltura toscana, Tipografia M.Ricci, Firenze 1896, p. 120-121-29. p.A. Micheli, Enumeratio quarundam rariorum plantarum, mss. 49, Biblioteca Botanica, Università di Firenze c. 108 r.

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• liquore di Pera Picciola Per ottenere il liquore dalle Pere Picciole (22 gradi di alcool) si provvede alla cottura dei frutti in acqua bollente

ed alla loro successiva omogeneizzazione. Una volta unito ad altri ingredienti, quali zucchero, erbe aromatiche ed alcool, il composto ottenuto viene lasciato in macerazione per circa 7 giorni. Il filtraggio si effettua mediante filtri a telo per far si che il prodotto mantenga la sua succosità. Prima di essere servito il liquore va sempre agitato.

lA susinA AMoscinA nerA di sAn MiniATo

Il Prodotto

La Susina Amoscina è un frutto che si ottiene dall’allevamento di un albero alto dai 3 ai 5 metri di cui si è os-servata la naturale resistenza agli attacchi crittogamici e alle aggressioni parassitarie.

Questo frutto antico e rustico, è presente nelle nostre terre sia nella forma selvatica che in quella coltivata. La bacca è oblunga di un colore viola scuro con venature rosso scuro a completa maturazione, la lunghezza può arrivare fino a 40 mm e il diametro fino a 25 mm; la polpa ha un colore giallo oro e il sapore è asprigno finché il frutto non giunge a completa maturazione. La coltura della Susina Amoscina (o Amoscina Nera) è stata praticamente abban-donata poiché il frutto non resisteva ai trasporti e si prestava, quindi, solo al consumo locale.

Questa antica varietà non viene attaccata dalla mosca e quindi dal verme della susina, e per questo risulta un ottima scelta per l’agricoltura biologica.

Attualmente si conoscono una decina di piante nel territorio del Comune di San Miniato, e l’intenzione dell’As-sociazione Colli di San Miniato è di moltiplicarle con un programma di selezione che coinvolga gli agricoltori locali.

lA storIA

La coltivazione delle susine, così come quella di gran parte degli alberi da frutto, ha un’origine assai antica in Toscana. Come testimoniano numerosi trattati di agricoltura, gli Etruschi ed i Romani conoscevano diverse varietà di pere, mele, ciliegie e susine che nel tempo sono arrivate fino a noi. Purtroppo, in assenza di descrizioni e denomi-nazioni esatte, oggi è quasi impossibile tentare di rintracciare eventuali corrispondenze. Lo stesso Gallesio nella sua celebre opera “Pomona Italiana” avverte che “è un vecchio errore la mania di voler trovare nelle opere degli antichi, tutti i frutti che deliziano le nostre mense”30.

In Toscana, come in altre parti d’Italia, molte varietà di alberi frutto furono conosciute anche grazie ai mercanti fiorentini che, attraverso le case di commercio sparse in tutta Europa e nel Mediterraneo, le introdussero con faci-lità negli orti e nei giardini delle ville suburbane.

La Susina Amoscina è di origine antichissima se, come indica Ottaviano Targioni Tozzetti nel suo prezioso di-zionario botanico, essa può essere identificata con la Susina Damascena, introdotta secondo Plinio fra il III e il II secolo a.C. e ampiamente coltivata dai romani. Nel tempo il nome sarebbe stato corrotto fino a divenire Moscina o Amoscina.

“Diconsi [le susine] originarie di Siria, d’onde trasferite a Roma [...] a queste pare, che ap-partengano Pruna Damascena, dicendo Plinio degli alberi della Siria: Item Pruna in damasco monte nata; e nel cap. de Prunis: in peregrinis arboribus dicta sunt Damascena a Syriae Da-masco cognominata, jam pridem in Italia nascenta. Corrispondono queste alle nostre amoscine, con le quali si fanno conserve ed elettuarj per la medicina, e ci sono portate secche di levante per mangiarsi.”31

Micheli, uno dei più importanti botanici toscani ed europei alla fine del ‘600, descrive le amoscine e le amoscine di pomino.

Targioni Tozzetti, conoscendo i manoscritti micheliani, riporta quindi anche la descrizione del celebre botanico fiorentino sulle susine damascene:

30. G. GAllesio, Pomona Italiana ossia Trattato degli alberi fruttiferi, Presso Capurro, Pisa, 1817-1839, ad vocem.

31. o. tArGioni tozzetti, Lezioni di Agricoltura, Presso Guglielmo Piatti, Firenze, 1803, T. III, p. 83.

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

“Prunus fructu ovato oblongo nigro-coeruleo, pulpa tenera dulciore, nucleo sponte prosiliente.”32

Secondo Antonio Targioni Tozzetti, la Susina Amoscina è da identificarsi con la Susina damaschina d’estate, am-piamente descritta da Giorgio Gallesio nella sua già citata “Pomona Italiana”. Per quanto Gallesio ritenga che essa non sia presente in Toscana, la susina damaschina d’estate è da considerarsi una sinonimia dell’Amoscina, e risulta essere coltivata e diffusa in Toscana da lungo tempo33.

La coltivazione della Susina Amoscina nera nel territorio del Comune di San Miniato ha una lunga tradizione che risale ai primi anni del ‘900, quando la campagna sanminiatese era considerata il grande orto di Firenze e, oltre al carciofo, al pomodoro e a molti tipi di insalata, venivano coltivati molti frutti fra cui la Susina Amoscina nera.

Gli agricoltori anziani che la coltivano ancora sono soltanto due, ed hanno fornito le piante ai giovani produttori che hanno iniziato a moltiplicarle.

metodo dI lAvorAzIone

La Susina Amoscina giunge a maturazione alla fine del mese di luglio e deve esse raccolta con cautela vista la delicatezza del frutto.

Una volta raccolta, la susina deve essere appoggiata delicatamente in cassette, preparate con un fondo di trucioli di legno per evitare le ammaccature e la marcescenza.

il Tizzone di giusTAgnAnA

Il Prodotto

Il Tizzone è un salume tipico della località Giustagnana, nel Comune di Seravezza (Lucca) caratterizzato da un singolare procedimento di stagionatura: prima di essere pronto per il consumo riposa e matura per settimane e settimane sotto la cenere. Il tizzone è presente in due versioni: una di forma allungata del peso di circa 700 gr - 1 kg, e l’altra di forma più rotondeggiante del peso di 4-6 kg.

Presente per tutto l’anno, attualmente la produzione si aggira su una media di circa 40 kg a settimana. Nel 2007 il prodotto è stato inserito nel Paniere dei prodotti tipici e tradizionali della Provincia di Lucca.

metodo dI lAvorAzIone

Per produrlo si usano prevalentemente maiali di razza Landrace sottoposti ad una dieta alimentare controllata. Le parti magre e grasse, una volta assortite, vengono impastate manualmente ed insaporite con una miscela di aromi opportunamente dosati. Una volta insaccato, il salume viene messo prima ad asciugare in cantina e successivamente avviene la conservazione sotto la cenere.

Terminata la maturazione sotto cenere, il Tizzone viene messo ad areare per non più di 5 giorni. Solo successiva-mente viene commercializzato. La cenere utilizzata nella fase di maturazione deriva dalla combustione di legnami diversi come l’olivo, il castagno, la scopa, con aggiunta di aghi di pino. Il passaggio in cenere, oltre ad aumentare la serbevolezza del prodotto lo arricchisce di aromi e gli fa assumere un gusto molto particolare.

lA storIA

Sono poche le notizie storiche su questo tipo di salume le cui origini sembrano risalire essenzialmente da fonti orali, ai primi decenni del XIX secolo.

L’uso risultava abbastanza diffuso in varie aree della Garfagnana e di parte della Lunigiana, anche se, ai nostri giorni, la tradizionale produzione di questo salume risulterebbe ridotta al solo caso del prodotto realizzato a Giu-stagnana.

In antichità, tutta l’area a ridosso delle Alpi Apuane risentiva della presenza di colonie di schiavi impiegati dagli antichi Romani nelle cave.

È del tutto plausibile che risalga proprio all’epoca della dominazione romana un particolare sviluppo nella lavo-

32. G. tArGioni-tozzetti, Notizie della vita e delle opere di Pier’Antonio Micheli botanico fiorentino, Le Monnier, Firenze, 1858.33. Cfr. A. tArGioni tozzetti, Cenni storici sulla introduzione di varie piante nell’agricoltura ed orticoltura toscana, Tipografia M.Ricci, Firenze 1896.

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razione e nell’uso delle carni suine, anche in relazione al ruolo che gli stessi Romani attribuivano all’alimentazione delle persone impegnate in lavori pesanti.

In tal senso, una testimonianza è documentata dal Codice Giustiniano (IV sec.) nel quale si dispone la distribu-zione di una razione di lardo ogni tre giorni, nel corso delle spedizioni, per ciascun legionario.

“Quello che possiamo dire con certezza è che i romani manifestano una chiara preferenza per la carne di maiale, che la tecnica della salatura è diffusa, che 1’utilizzo delle spezie non riguarda solo la preparazione dei cibi ma anche la loro conservazione […]”34

La lavorazione del maiale non cessò con la scomparsa dell’impero dell’antica Roma. Numerose fonti attestano che anche in epoca longobarda la lavorazione del maiale era praticata e sviluppata,

tanto che alcuni la descrivono quasi a caratterizzare una vera e propria demarcazione territoriale delle abitudini alimentari che si manifesta in Italia attorno al VII secolo: al centro nord prevaleva la cultura del maiale; nel centro sud prevaleva la centralità della pecora e dell’olivo.

Per giungere sino al periodo medioevale, nel corso del quale si svilupparono ulteriormente le tecniche di lavo-razione e di conservazione delle carni suine, già rafforzate durante il periodo longobardo attraverso l’uso di spezie, vino ed aceto.

L’importanza attribuita all’allevamento dei suini nell’area apuana si riscontra in diverse fonti storiografiche. Alcune di queste riferiscono di un componente della famiglia dei Malaspina, i grandi feudatari della Lunigiana e signori di Massa e Carrara, che - in un momento di crisi del mercato del marmo - impose l’allevamento dei maiali quale attività atta a mitigare la crisi. Ed anche questo fatto contribuì indubbiamente alla diffusione dell’esperienza nella preparazione e conservazione della carne suina.

Vita dei cavatori e alimentazione (dieta, si direbbe oggi) ricca e calorica rimangono una costante per svariati secoli.

Anticamente (e fino ad epoca recente) il ciclo di lavorazione del maiale era annuale. Il maiale veniva macellato e lavorato esclusivamente nei mesi più freddi (gennaio/febbraio), mentre oggi nel cor-

so dell’anno si riesce a portare a termine più di un ciclo di lavorazione, anche se le operazioni relative concentrate nei mesi più freddi e umidi (da settembre a maggio) salvaguardano meglio la naturalità del processo produttivo.

Nell’area apuana della provincia di Lucca, affacciata sul mare di Forte dei Marmi, a circa 350 m sul livello del mare, è collocato il piccolo borgo medioevale di Giustagnana, anticamente abitato dai cavatori e dalle loro famiglie. Anzi, forse sorto proprio per iniziativa di alcuni cavatori.

Del resto, quando nel 1517 il Papa Leone X decise di completare la facciata della chiesa di San Lorenzo, in Firen-ze, preferì il marmo di Seravezza, in quanto più economico di quello proveniente da Carrara. L’opera venne affidata a Michelangelo che, nel settembre del 1518 sfiorò la morte per una colonna di marmo che si staccò, uccidendo un operaio accanto a lui, un evento che sconvolse profondamente il maestro. Tuttavia, pur non avendo completato la facciata della chiesa (il contratto venne rescisso nel 1520 a causa dei costi elevati), il passaggio di Michelangelo in Versilia rimane ancora oggi documentato dalla strada per il trasporto dei marmi che venivano calati dalla cava di Trambiserra ad Azzano, davanti al Monte Altissimo, fino al Forte dei Marmi (insediamento sorto proprio in quell’occasione) e da lì imbarcate in mare e spedite a Firenze tramite la via fluviale dell’Arno.

Giustagnana è una frazione del comune di Seravezza, nella quale oggi risiedono circa 150 abitanti, assai meno della metà di quanti ne risultavano alla fine del XIX secolo. L’attività prevalente degli abitanti del comune di Se-ravezza, dopo 500 anni dagli eventi michelangioleschi, è ancora oggi legata all’estrazione, alla lavorazione ed alla commercializzazione del marmo.

Il lavoro di cavatore era aspro e duro. Lo era a ragion veduta, soprattutto quando nel saccapane35 non c’era niente di veramente sostanzioso da mangiare.

Da sempre il lavoro dei cavatori è stato duro, massacrante, e necessitava di grandi riserve energetiche. Un lavoro che, prima dell’avvento della meccanizzazione, si sviluppava lungo dodici ore al giorno, maneggiando mazze pesanti,

34. orAzio oliVieri , “Il Genius Loci”, Motta ed. 2003.35. Il saccapane era una specie di zaino, di ridotte dimensioni, nel quale i cavatori tenevano e trasportavano il loro pranzo.

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

spostando tonnellate di marmo con leve e funi. E poi, il tutto si svolgeva in un ambiente il cui clima, per lunghi mesi, risulta ancora oggi particolarmente rigido.

Una tipica alimentazione mediterranea, a base principalmente di carboidrati, non poteva essere sufficiente: occorrevano cibi sostanziosi ma a basso prezzo, riserve energetiche di pronto consumo da portare con sé sul luogo di lavoro.

Ma la cultura del maiale aveva offerto la sua risposta: il salame, con il suo alto valore energetico, era una risposta giusta.

Purtroppo i salumi in estate non stagionano bene o, peggio ancora, non si conservano. E ciò, in modo particolare, a Giustagnana, che è collocata in bassa collina, affacciata sul mare, la cui aria di bosco si miscela con l’aria umida che soffia dal mare. Cosa fare, dunque? Rinunciare all’unica fonte energetica estiva o aguzzare l’ingegno e trovare un sistema per la migliore conservazione? E il sistema venne trovato semplicemente usando la cenere.

I salumi (qualcuno li chiama ancora “mortadella”) venivano posti in contenitori di legno o, per chi era più for-tunato, in orci di coccio o, addirittura, pare in contenitori fatti con la calce. Nella ristretta zona di produzione del Tizzone di Giustagnana sono stati rinvenuti i resti di un’antica calcinaia, pare di periodo tardo rinascimentale, posta vicino ad un’antica cava.

La calcinaia era una piccola fornace dove il carbonato di calcio contenuto nel marmo veniva estratto per fare la calce, utilizzata successivamente per la malta adatta alle costruzioni, così come per creare del vasellame.

Il salame veniva quindi sigillato sotto la cenere in modo che l’aria, ricca di umidità, non potesse aggredirlo. E sotto la cenere i salami riposavano e si conservavano per tutto il periodo estivo.

Una testimonianza orale del posto narra, con il caratteristico accento versiliese:

“… quando li levano dalle casse, quei salami neri parean tizzoni…”.

Nasce con questi presupposti la voglia di recuperare, riprodurre e proporre quel salame nero “che sembra un tizzone”.

Che senso ha, oggi, in un’epoca di alta tecnologia, dove la stagionatura non presenta più problemi (la tecnica moderna permette la stagionatura in agosto, così come a gennaio, grazie alla refrigerazione artificiale), usare ancora la cenere?

È molto semplice: stagionare il salame sotto cenere è l’unica strada possibile per riproporre ad un pubblico che ormai non mangia più i salumi solo “per sfamarsi”, un prodotto che arriva indenne dai secoli scorsi, con i medesimi sapori, i medesimi profumi, la sua unicità. Una unicità che non dipende solo dalla caratteristica dei maiali allevati, ma soprattutto dalla cenere utilizzata. Quest’ultima, come abbiamo visto, deriva dalla combustione di legnami diversi, quali olivo, castagno, scopa, con aggiunta di aghi di pino.

Forse, la fortuna di questo salame è proprio quella di essere stato a lungo “dimenticato”, lasciato per oltre un secolo a stagionare nella sua cenere, ritrovato solo grazie alla curiosità di pochi volenterosi ed alla caparbietà di chi ha preferito farlo rivivere come un tempo.

La lavorazione del Tizzone di Giustagnana proviene da un’antica tradizione, la cui esistenza lascia tracce evi-denti sin dal 1800, e che oggi rappresenta una vera specialità legata al passato e che un tempo caratterizzava interi territori.

26

Le prospettive dei prodotti agroalimentaritradizionali toscanicaPitolo 7

Il quadro rappresentato in questo progetto lascia intuire che, sebbene il censimento delle produzioni tradizionali toscane sia ormai arrivato al numero interessante di oltre 460 prodotti, progredire sul versante della loro valorizza-zione non può solo significare aumentarne il numero. Non è sufficiente.

Oggi occorrerebbe rafforzare o creare azioni, quali:• ilmiglioramentodell’informazione,• sostenerelaproduzioneesollecitarnelacrescitaquantitativa,• istituiresistemidigaranziadellaloroautenticità,facilitarel’aggregazionetraiproduttori.

Con l’indagine effettuata, in questo Progetto, sono stati evidenziati diversi limiti che ancora impediscono al sistema dei PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) di imporsi in modo efficace. La scarsa conoscenza da parte degli agricoltori sembra rivelarsi l’evidenza più eclatante e, soprattutto se riferita alle opportunità collegate, deve indurre alla riflessione.

Tra i motivi che hanno permesso ad alcune produzioni di riproporsi e superare i cambiamenti culturali e sociali, c’è l’eccellenza delle soluzioni che nel corso delle generazioni hanno garantito una produzione e un approvvigiona-mento alimentare sano36 e soddisfacente. La qualità di un prodotto, tuttavia, come elemento di soddisfacimento delle attese dei consumatori, è caratterizzata da molti fattori; tra questi: la sicurezza igienica, le proprietà sensoriali, la sua notorietà e la capacità di distinguersi, l’autenticità.

Ecco che la tradizionalità riassume in sé sia la notorietà, sia la capacità distintiva di certe produzioni. Quindi, occorre agevolare la percezione dell’interesse che la “Tradizione” può suscitare e creare altri strumenti di

garanzia dell’autenticità di queste produzioni, in accompagnamento ad adeguate azioni di diffusione della conoscen-za. Un sistema efficiente potrebbe rilanciare le attività di produzione e creare nuove opportunità di reddito e di svi-luppo, nelle aree rurali, diverse e integrative a quelle offerte dai prodotti a denominazione di origine (Dop e Igp) 37.

Innanzi tutto è evidente che i prodotti agroalimentari tradizionali vengono acquistati e consumati in un ambito limitato, spesso regionale - o al massimo nazionale - e non necessitano di una protezione internazionale ma, anzi, di strumenti meno costosi e commisurati alle limitate quantità prodotte e all’ambito commerciale di riferimento.

Il sistema delle produzioni tradizionali rappresenta una modalità efficace di qualificazione di produzioni che non hanno una massa critica sufficiente ad ambire alla Dop o alla Igp. La caratterizzazione di un territorio potrebbe avvenire anche attraverso rivendicazioni che non possono attraversare il complesso procedimento di registrazione dei prodotti a denominazione di origine e che non ambiscono a mercati internazionali.

36. A questo esempio è significativo il caso del Marzolino di Lucardo, già cit. Questo formaggio, esempio di produzione tradizionale, era prodotto in una piccola area della Val d’Elsa fin dal XIV secolo e la produzione cadde in declino nel corso del XIX secolo fino a scomparire pochi anni fa. Il Marzolino di Lucardo era comunque un prodotto di elevata qualità - tanto da essere regolarmente esportato in Italia ed in Europa fin dal XV secolo – aveva elevate caratteristiche sensoriali (era rinomato per il suo sapore) e si distin-gueva dagli altri proprio per questo, tanto che economicamente riusciva a spuntare prezzi quasi doppi sul mercato rispetto agli altri marzolini. Da un punto di vista igienico sanitario poi sappiamo che la sua manifattura era ottenuta tramite un elaborato e complesso procedimento che tuttavia, grazie all’esperienza di secoli di lavorazione, seguiva delle precise metodologie che ne garantivano la qua-lità e la salubrità. Nonostante questo poteva avvenire, al pari di quanto può accadere oggi, che contaminazioni o altri fattori potessero negativamente influenzare alcune forme. A questo proposito si rimanda alla accurata descrizione del processo e della salubrità del prodotto che compie Giovanni Targioni Tozzetti, noto medico fiorentino del XVIII secolo, in merito ad un caso di intossicazione do-vuto proprio ad alcune forme di Marzolino di Lucardo. Il medico, analizzò tutte le fasi del processo seguendo, in anticipo con i tempi, un ragionamento di analisi dei rischi che si avvicina alla metodologia HACCP. Cfr. r:scAlAcci, d. VerGAri (a cura di), Il Marzolino di Lucardo: un formaggio ritrovato, op. cit.,37. Cfr. A. Alberti., G. pAscucci, r. scAlAcci, r. toVoli, e V. VAnnelli, Appunti per la qualificazione e valorizzazione delle produ-zioni tipiche e di qualità, Agritec, Firenze 2002

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

La convinzione delle amministrazioni pubbliche di non poter agevolare l’instaurazione di un sistema alternativo a quello delle Denominazioni di origine, l’assenza di una visione complessiva e di una messa a sistema degli stru-menti opportunamente creati in Toscana, per la salvaguardia della ricchezza della biodiversità e delle conoscenze, sono fattori che causano indubbiamente una sottoutilizzazione di questo patrimonio.

7.1 - un nuovo ruolo dellA regIone

Nel corso del dibattito avviato in Regione Toscana, durante la predisposizione di strumenti applicativi dell’Inte-sa Stato Regioni38 sulle deroghe igienico sanitarie (2007), le Organizzazioni professionali agricole avevano proposto l’instaurazione di un sistema di gestione delle deroghe. In quest’ambito era stato suggerito un ruolo nuovo della Regione che, attraverso l’Arsia, poteva, in linea con la funzione di questa Agenzia regionale, garantire un supporto tecnico al mondo agricolo.

Questo percorso, partendo dall’individuazione di soggetti pubblici idonei a segnalare alle autorità sanitarie l’esi-genza di deroghe alle norme igienico sanitarie, poteva rappresentare l’avvio di un nuovo sistema di gestione a livello regionale dell’Elenco dei prodotti Tradizionali.

Le sinergie attivabili tra l’Arsia e le Asl e i servizi di assistenza tecnica ma anche con i consorzi o le associazioni di produttori, potrebbero creare dei percorsi nuovi di validazione dell’uso leale e costante delle pratiche tradizionali, per garantire l’autenticità delle produzioni con costi probabilmente sostenibili.

È opportuno rilevare, infatti, che un ruolo in parte analogo a quello appena auspicato, per le produzioni tradizio-nali, è in atto nella verifica delle certificazioni del Biologico e nella gestione del marchio Agriqualità Toscana.

Quindi, non tanto l’idoneità di questi strumenti a svolgere tale funzione è stata la causa dell’interruzione di un dialogo costruttivo tra il pubblico e gli stakeholders, ma probabilmente, solo fraintendimenti e sottovalutazioni in-terne alla Regione hanno interrotto la costruzione di nuovi strumenti che accompagnassero la nascita di dinamiche di autogoverno e aggregazione dei produttori di prodotti tradizionali.

La questione si ripropone ancora oggi nei medesimi termini. In particolare, occorre promuovere strumenti di tutela (marchi collettivi, costituzione di comitati locali) e regi-

mi di autocontrollo (comitati o consorzi di produttori) 39, che possano garantire la lealtà e la costanza nell’applica-zione delle schede di prodotto censite dall’Arsia, nonché agevolare l’uso della dicitura “Prodotto Tradizionale della Toscana art.8 del D.Lgs 173/98”, stabilendo le modalità di garanzia dell’autenticità delle produzioni tradizionali che in questa dicitura possono essere contenute.

La Regione, proprio in questo ambito, potrebbe predisporre delle verifiche dei sistemi applicati dalle Associazio-ni o Consorzi di produttori che in autogoverno, provvederebbero ad istituire un regime di autocontrollo.

Questa strada può rappresentare una strategia interessante per la crescita di alcune produzioni agricole alimen-tari rare, collegate alla conservazione e promozione del patrimonio culturale40 e non ai sistemi di origine.

7.2 - I ProdottI trAdIzIonAlI, lA bIodIversItà e lA rIcchezzA delle PrAtIche trAdIzIonAlI

Nel presente lavoro, sono meritevoli di rilevo anche alcuni aspetti collegati alla biodiversità ed alla riutilizzazione di prodotti di scarto.

38. Intesa tra il Governo e le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 25 gennaio 200739. Cfr. AA.VV., Oltre le Dop: Nuovi strumenti per la garanzia della sicurezza, op. cit.,40. Si veda in tal senso il marchio Swan flag (www.finfood.fi) che prevede, tra i criteri per essere autorizzati ad utilizzarlo, che carne, uova, pesce e latte siano di origine finlandese al 100 %, altrimenti almeno il 75 % della materia prima del prodotto deve essere di origine finlandese. È essenziale inoltre che la trasformazione dei prodotti avvenga in Finlandia. Lo Swan flag comprende un insieme di regole da soddisfare per coloro che desiderano diventarne membri. Lo Swan flag rappresenta una forma di collaborazione tra gli agricoltori, l’industria, i dipendenti del settore alimentare, il commercio, la ristorazione e le organizzazioni dei consumatori che prendono parte alla gestione del marchio, autocontrollato e approvato dalle autorità. La compatibilità di questo marchio con le regole europee poggia sul fatto che è un marchio di valorizzazione e promozione della cultura gastronomica di quel Paese e non dell’origine dei prodotti.

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In merito alla biodiversità, la particolarità della Susina Amoscina e della Pera Picciola (di resistere naturalmente alle malattie, attacchi crittogamici e aggressioni parassitarie ) evidenzia la ricchezza della natura ed in particolare l’utilità della preservazione della biodiversità, ed occorrerebbe approfondire dal punto di vista scientifico tali affer-mazioni.

Si tratta di peculiarità che evidenziano la possibilità di sviluppare ricerche in parte alternative a quelle degli OGM.

Per quanto attiene la riutilizzazione di prodotti da scarto, l’Agresto è un esempio di come si possa recuperare una produzione che, diversamente, andrebbe distrutta durante la fase di diradamento delle uve. Non uve scartate, quindi, ma materia prima per la produzione dell’Agresto e quindi di economia.

7.3 - le oPPortunItà

Tra le opportunità collegate ai prodotti tradizionali, ci sembra interessante evidenziare alcuni interventi che possono aiutare le imprese agricole a potenziare o attivare la lavorazione di un prodotto tradizionale e che la Regione ha già attivato.

Tra le possibilità più interessanti quelle del Psr (Piano di sviluppo rurale) 2007/2013, la regione Toscana, infatti, ha opportunamente inserito le produzioni agroalimentari tradizionali toscane tra quei prodotti che possono benefi-ciare di un sostegno per lo Sviluppo rurale.

Con la Misura 311a2, dell’Asse 341 del Psr Toscana,infatti, viene prevista la possibilità di cofinanziare i lavori di ripristino e mantenimento delle strutture esistenti per la realizzazione d un laboratorio, di massimo 30 mq, da utilizzare per la trasformazione di prodotti Tradizionali presenti nell’Elenco Toscano e l’acquisto di attrezzature utili a queste lavorazioni.

La dimensione del laboratorio non sembra significativa, tuttavia l’intervento coglie in pieno lo spirito di questi prodotti che interessano prevalentemente piccole attività artigianali, finalizzate a diversificare le attività delle azien-de agricole per incrementare il reddito aziendale complessivo ed attivare rapporti economici con soggetti operanti al di fuori del settore agroalimentare. Tutto ciò con la dichiarata intenzione di esaltare il ruolo multifunzionale delle aziende agricole, creando nuove opportunità di reddito e di occupazione.

Il sostegno è concesso in forma di contributo in conto capitale a fondo perduto ed è pari al 40% del costo am-missibile, elevato al 50% qualora l’investimento sia realizzato in zone montane ai sensi della Direttiva 75/268/CEE (Art. 3 comma 3) e successive modificazioni e integrazioni e sulla base della classificazione dell’Anagrafe regionale delle aziende agricole presso ARTEA. L’importo del contributo concedibile è compreso tra un minimo di 5.000 e un massimo di 200.000 euro.

Tra le altre possibilità di valorizzazione dei prodotti tradizionali, contenute nel Psr toscano, anche quelle dei Le-ader, sull’asse 442 del Psr, e in particolare i progetti locali del Psr (progetti di valorizzazione promozione e di filiera). La possibilità di sviluppare azioni mirate ai singoli territori, infatti, non può non contemplare interventi anche per le produzioni agroalimentari tradizionali.

La Vendita diretta e i progetti collegati della filiera corta sono, inoltre, un altro ambito in cui questi prodotti possono trovare una valorizzazione. La Filiera corta significa, infatti, rapporto diretto fra produttore agricolo e consumatore attraverso la vendita diretta di prodotti del territorio in forma singola o collettiva. Sebbene questo strumento non possa essere considerato risolutivo, per tutti i prodotti agricoli, è sicuramente pertinente alle carat-teristiche delle produzioni agricole tradizionali.

41. L’Asse 3 del Psr si occupa della qualità della vita nelle zone rurali e della diversificazione dell’economia rurale per sostenere la vitalità delle zone rurali, evitandone lo spopolamento e l’indebolimento, attraverso misure mirate a rendere il contesto sociale e rurale più vivibile, con la diversificazione dell’economia rurale, intervenendo anche a migliorare la qualità della vita e a conservare, valorizzandolo, il patrimonio culturale e il paesaggio naturale. 42. L’Asse 4 del Psr riguarda l’attuazione dell’approccio Leader per il rafforzamento della capacità progettuale e gestionale locale, valorizzazione delle risorse endogene dei territori attraverso il metodo Leader. Il Leader, infatti, è un sistema di governance innovati-va, basata su un approccio locale allo sviluppo rurale partecipativo (questo asse, insieme all’applicazione anche dell’asse 3 prevede la valorizzazione dei GAL – Gruppi di Azione Locale).

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

L’ambito territoriale delle produzioni tradizionaliprescelte e i percorsi per degustare i prodotticaPitolo 8

8.1 - sAn mInIAto (PI) - l’Agresto e lA susInA AmoscInA nerA

San Miniato, a metà strada tra Firenze e Pisa, è uno dei centri più popolosi della Valle dell’Arno e uno dei più ricchi di memorie. La cittadina conserva ancora intatto l’impianto medievale, distribuito sulle tre basse colline attualmente circondate dall’espansione moderna. Per la sua posizione strategica, fu eletta da Federico II a pilastro della struttura difensiva della valle, come testimoniano la Fortezza dell’Imperatore in cima al panoramico colle, e l’urbanistica del centro storico che risente dell’originaria matrice militare.

Il nucleo originario della Città risale all’VIII secolo, quando diciassette longobardi, secondo un documento originale del 713 conservato nell’Archivio Arcivescovile di Lucca, edificarono una chiesa dedicata al martire Mi-niato. Tuttavia i reperti della necropoli di Fontevivo del III secolo a.C., le lapidi, le sculture di marmo, i bronzi e i mosaici ritrovati nel corso degli scavi in diverse località, fanno risalire le origini di San Miniato alla più remota epoca etrusco-romana.

La seconda guerra mondiale colpì duramente la città, distruggendo o danneggiando gravemente gran parte delle abitazioni e dei monumenti. L’episodio più tragico si riferisce alla strage del 22 luglio 1944, quando una granata cad-de sul Duomo causando la morte di oltre cinquanta persone che i tedeschi avevano fatto radunare nell’imminenza dello scontro con gli americani. L’episodio è stato ricordato dai registi sanminiatesi Paolo e Vittorio Taviani nel film “La notte di San Lorenzo” che, fra l’altro, prende il titolo da un terribile scontro fra partigiani e tedeschi avvenuto nelle campagne di San Miniato il 10 Agosto 1944.

Ma aldilà delle straordinarie testimonianze artistiche ed architettoniche, San Miniato è uno scrigno di squisite tradizioni enogastronomiche, dove cultura alimentare e qualità della vita si intrecciano per le vie del centro storico e nel mosaico di boschi e fattorie che lo circonda. Grazie all’efficienza delle sue strutture ricettive, caratterizzate dalla presenza di numerosi agriturismi nelle campagne circostanti, e alla qualità della sua accoglienza, San Miniato ospita ogni anno un gran numero di turisti, soprattutto stranieri.

Le fattorie dell’agro sanminiatese, costellato di piccoli centri, pievi e castelli, offrono al visitatore vini e olio d’oliva di grande pregio, frutti di un territorio in cui le antiche sapienze del mondo agricolo sposano le migliori tecnologie di impianto e coltivazione.

Tra i prodotti tradizionali del territorio di San Miniato si annoverano il celeberrimo Tartufo bianco delle colline sanminiatesi, il pomodoro grinzoso, il carciofo, l’oliva mignola e la varietà di tabacco Kentucky, utilizzato per la produzione del sigaro toscano. Inoltre, grazie all’attività di alcuni giovani agricoltori, è possibile riscoprire alcune produzioni di antica tradizione, come il condimento di agresto proposto dall’azienda agricola “Podere del Grillo” che ha riscoperto anche la coltivazione della Susina Amoscina nera di San Miniato.

Per degustare l’Agresto e la Susina Amoscina nera: Podere del Grillo43, incrocio via volterrana, Via Serra, 1, San Miniato (PI). Immancabile la degustazione di altri prodotti tradizionali della zona, come il Carciofo di San Miniato e il Pomodoro grinzoso di San Miniato.

8.2 - AbbAdIA sAn sAlvAtore (sI) – lA PerA PIccIolA

“Un prodigioso scrigno dove si conservano memorie millenarie abbarbicate allo strato di lava sceso trecentomila anni fa”. È così che Ernesto Balducci ha definito il Monte Amiata ed il suo territorio compreso tra la Val d’Orcia, la Maremma e la Val di Chiana, ai confini tra le province di Siena e Grosseto. “Un’isola in terraferma” che sembra galleggiare su un mare di colline più dolci.

Le peculiarità del suolo vulcanico e la vicinanza del mare conferiscono al paesaggio amiatino un fascino unico

43. Su web www.poderedelgrillo.com

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e distintivo, come testimoniano le innumerevoli sorgenti e gli interessanti giacimenti minerari che insieme alle im-mense foreste di faggio, abete e castagno hanno dato per secoli cibo e lavoro alle genti dell’Amiata.

Tutto il Massiccio dell’Amiata è un immenso spazio di natura, custode di rarità botaniche e faunistiche di ecce-zionale rilevanza. Negli ultimi anni, diversi progetti di recupero hanno interessato alcuni animali domestici un tem-po comuni, come l’Asino “Miccio” di razza amiatina e la più nota Cinta senese. Lo sforzo per la tutela dell’ambiente ha portato all’istituzione di diverse ed estese aree protette, a cui si affianca un’intensa attività di ricerca scientifica e divulgazione naturalistica.

Inoltre, sull’Amiata, si possono praticare diverse discipline sportive, da quelle invernali a quelle estive, passando attraverso le attività proposte nelle oasi naturalistiche e nelle riserve. Gli sciatori hanno a disposizione quindici impianti di risalita che servono piste da discesa e da fondo. Agli amanti dei trekking a piedi o a cavallo, invece, è dedicata la fitta rete di sentieri segnati, famosa in tutta Europa e adatta anche agli appassionati di mountain-bike.

Tra i diversi borghi antichi che come una corona circondano la foresta dell’Amiata, Abbadia San Salvatore è il più vicino in linea d’aria alla vetta. La storia ha riservato a questa località un grande prestigio, testimoniato dalla celebre Abbazia del San Salvatore, un rarissimo esempio di architettura romanica d’oltralpe, uno dei pochissimi in Toscana, se non addirittura in Italia che, oltre alla cripta longobarda, conserva un prezioso crocifisso del XII secolo di scuola francese e la copia anastatica del Codex Amiatinus, risalente al VII secolo (l’originale è attualmente con-servato presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze).

Inoltre, Abbadia San Salvatore, oggi uno dei centri turistici più importanti del Monte Amiata, rievoca l’ormai trascorsa epoca della produzione del mercurio, proveniente dal suo minerale di base, il cinabro, che si estraeva in una miniera limitrofa allo stesso paese. Oggi del mercurio, non più prodotto da oltre trent’anni, rimane la memoria, conservata in un interessante Museo Minerario ricavato dalla vecchia miniera, un’area riqualificata e dedicata alla geologia, alla storia dello sfruttamento del minerale, al lavoro in galleria e alla vita quotidiana dei minatori.

Ad accompagnare gli itinerari in questo suggestivo territorio è la tradizione enogastronomica amiatina, che affonda le sue radici in un passato immemorabile e si identifica con i cibi di cui la montagna nutre i suoi figli, in un incessante equilibrio tra uomo e natura che da sempre caratterizza questo territorio. I funghi e le castagne, l’olio di ottima qualità e i vini rappresentano solo una piccola parte delle tradizioni che da sempre si tramandano in questi luoghi di generazione in generazione.

Esemplare in questo senso è l’attività della ditta Lombardi & Visconti, che dal 1992, nel territorio di Abbadia San Salvatore, realizza oltre trenta tipi di prodotti, ottenuti senza l’uso di aromi, essenze, estratti, coloranti e an-tiossidanti, ma impiegando unicamente erbe aromatiche e frutti provenienti dai boschi dell’Amiata, come la Pera Picciola.

Per degustare la Pera Picciola: Lombardi e Visconti SNC44Macerazioni ed infusioni alcoliche, Via Martiri di Niccioleta, 12 Abbadia San Salvatore (Siena).

Da non perdere ad Abbadia San Salvatore la visita al punto vendita della’azienda agricola Pinzi Pinzuti, in via Cavour, e la degustazione di salumi tradizionali e di Cinta senese alla macelleria Sacchi Silia in Piazza della Repubblica.

8.3 - serAvezzA (lu) – Il tIzzone dI gIustAgnAnA

Affacciato sul mare di Forte dei Marmi, ai piedi delle montagne squarciate dalle cave di Michelangelo, alla con-fluenza dei torrenti Serra e Vezza da cui nasce il fiume Versilia, il comune di Seravezza è la porta del Parco delle Alpi Apuane, uno dei luoghi rari ed eccezionali dove, nel breve volgere di pochi chilometri, si può salire dal livello zero del mare fino quasi a toccare i 1589 metri di altitudine del Monte Altissimo.

Questo suggestivo borgo, dove nel 1517 visse Michelangelo, basa ancora oggi gran parte della propria economia sull’estrazione, la lavorazione ed il commercio del marmo, anche se negli ultimi anni si è avuto grande impulso anche nel settore terziario. Lo sviluppo ed il rafforzamento dell’ industria turistica rappresenta la scommessa fondamentale del futuro di Seravezza, grazie alla valorizzazione e promozione delle vocazioni ambientali, storiche, culturali ed artistiche del territorio nonché dei prodotti tipici e delle tradizioni locali.

44. Su web: http://lombardievisconti.italyinshop.it

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Prodotti agroalimentari tradizionali: un’opportunità da valorizzare

Sulla sponda sinistra del Vezza è situata la celebre Villa Medicea, costruita nel 1555 per Cosimo I e utilizzata come dimora estiva dei granduchi di Toscana, ora sede di eventi ed attività espositive di richiamo internazionale. All’interno del palazzo Mediceo ha sede il Museo del lavoro e delle tradizioni popolari dell’Alta Versilia, che riper-corre la storia dell’industria marmifera.

Tutta l’area costituisce un comprensorio turistico di grande interesse naturalistico, speleologico ed escursioni-stico. Per via delle innumerevoli ed importanti grotte carsiche, l’eccezionale varietà della flora e la presenza di una fauna del tutto esclusiva, la Regione Toscana ha istituito nel 1985 il Parco Regionale delle Alpi Apuane, volto alla conservazione e alla valorizzazione di un patrimonio ambientale di straordinaria importanza e bellezza.

Comprese tra le province di Lucca e Massa Carrara, all’estremità nord-occidentale della Toscana, le Apuane, definite Alpi per la loro morfologia, sono un sistema montuoso di natura calcarea, una dorsale che corre parallela alla costa tirrenica e che nel tratto di pochi chilometri, a partire dalla breve pianura versiliese, s’innalza fino a sfio-rare i duemila metri di altitudine.

La storia delle Alpi Apuane è strettamente legata al marmo e alla sua estrazione, dall’epoca dell’antica città di Luni fino ai nostri giorni. Dai Romani, che chiamavano lunensi i bianchissimi marmi provenienti dalle Apuane, a Michelangelo, che prediligeva il marmo statuario del Monte Altissimo, l’intensa attività estrattiva ha ridisegnato nei secoli l’intero paesaggio che, con i suoi monti squarciati fino alla cima, rappresenta per il visitatore uno spettacolo unico ed affascinante.

Strettamente legata al territorio, la cucina della Versilia è molto conosciuta e rinomata per i suoi ottimi piatti a base di pesce derivanti dalle ricette tradizionali elaborate inizialmente dai pescatori, mentre nell’entroterra, tra gli antichi borghi e le botteghe artigiane, è possibile riscoprire i profumi e i sapori della cucina povera versiliese, carat-terizzata da funghi, formaggi, miele e salumi come il “Tizzone” prodotto a Giustagnana, piccolo borgo medievale nel comune di Seravezza.

Il Tizzone viene prodotto dall’Azienda Agricola Felice Lorenzoni che ha sapientemente ripreso l’antichissima tecnica della stagionatura sottocenere.

Per degustare il Tizzone: Azienda Agricola Felice Lorenzoni Via Lorenzoni 108 Giustagnana di Serravezza (LU).Da non perdere molti altri prodotti tradizionali della zona tra cui la schiacciata di Seravezza, il Biroldo (una via

di mezzo tra sanguinaccio e coppa) e i prodotti del ricco Paniere Lucchese45.

45. Su web http://www.retedelgusto.com/index.php

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Appendice documentariala MiSuRa 311 Del PSR Della toScana 46

REGIONE TOSCANA - PROGRAMMA DI SVILUPPO RURALE 2007/2013REGOLAMENTO (CE) 1698/2005Bando Misura 311 - Diversificazione in attività non agricole - Tipologia interventi a.2a.2) interventi nelle aziende agricole finalizzati alla salvaguardia, ripristino,valorizzazione dei mestieri tradizionali del mondo rurale

Nel dettaglio gli interventi ammissibili nell’ambito della tipologia a.2 sono:a.2) Interventi per il ripristino e il mantenimento delle strutture esistenti e delle attrezzature utilizzate, nonché

l’acquisto di quest’ultime.Le spese ammissibili nell’ambito degli interventi a.2 sono:

• restauro e risanamento conservativo (L.R. 3 gennaio 2005, n.1 “Norme per il governo del territorio” art. 79) di locali aziendali finalizzata alla realizzazione di un piccolo laboratorio artigiano (massimo 30 mq di superficie calpestabile), compresi gli interventi relativi all’impiantistica;

• restauro conservativo di emergenze architettoniche rurali e di locali da utilizzare per i mestieri tradizio-nali del mondo rurale, compresi gli interventi relativi all’impiantistica;

• le spese di riparazione di vecchie attrezzature;• acquisto di attrezzature afferenti allo svolgimento dei mestieri tradizionali del mondo rurale sotto

indicati.

ulterIorI sPecIfIche InterventI A.2Ai fini della presente azione, per “Mestieri tradizionali del mondo rurale” si intendono i processi produttivi e le

attività dell’agricoltura e del mondo rurale sotto indicati:a) la lavorazione della terracotta e della ceramica, del vetro, del marmo, dell’alabastro, del mosaico, del

legno, del ferro battuto per utensileria e per decorazione, della paglia, del cuoio per selleria e finimenti sportivi

b) la tessitura, la lavorazione della lana e la tintura con colori naturali dei tessuti artigiani;c) le attività di maniscalco, di “doma” di cavalli, il mestiere del “buttero”, il mestiere del “carbonaio”, con

relative attività di trasformazione del legno in carbone;d) le attività di trasformazione artigianale di alcuni prodotti agricoli svolte in piccole strutture di trasfor-

mazione già esistenti, come “metati” per l’essiccazione naturale delle castagne e mulini a pietra per la trasformazione “a freddo” di cereali e castagne;

e) le attività artigianali connesse ai prodotti tradizionali di cui al decreto di attuazione del Ministero delle politiche agricole e forestali n. 350 del 8 settembre 1999 di quanto disposto dall’art.8 del Decr.Lgs. n. 173/98 “Disposizioni in materia di costi di produzione per il rafforzamento strutturale delle aziende agri-cole” e pubblicato nell’Elenco Nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali curato dal Mi.P.A.A.F.

46. Supplemento al Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 13 del 26.3.2008 3 - Allegato A

L’Agresto

La Pera Picciola

La Susina Amoscina Nera di San Miniato

Il Tizzone di Giustagnana

TOSCANA TOSCANAAssociazione Giovani

Imprenditori Agricoli

In collaborazione con

www.ciatoscana.it

Prodottiagroalimentaritradizionali:un’opportunitàda valorizzarePresentazione del Progetto per il recuperodi alcune produzioni tradizionali della Toscana

A cura di RobeRto Scalacci, Daniele VeRgaRi, Fabio Panchetti

Con la collaborazione diantonella labanca, ValteR goStinelli, Valentino Vannelli