Scuderie dipinte. Dai Gonzaga ai Rospigliosi, ritratti di "equini illustri", in "Dal cavallo alle...

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dal cavallo alle scuderie Visioni iconografiche e architettoniche a cura di Margherita Fratarcangeli Campisano Editore

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dal cavalloalle scuderieVisioni iconografiche e architettoniche

a cura diMargherita Fratarcangeli

Campisano Editore

Campisano Editore

dal cavallo alle scuderievisioni iconografiche

e architettoniche

a cura diMargherita Fratarcangeli

Quaderni delle Scuderie Aldobrandini / 11

Nessuna parte di questo libropuò essere riprodotta o trasmessain qualsiasi forma o con qualsiasimezzo elettronico, meccanicoo altro senza l’autorizzazionescritta dei proprietari dei dirittie dell’editore.

Progetto grafico di Gianni Trozzi

© copyright 2014 byCampisano Editore Srl00155 Roma, viale Battista Bardanzellu, 53Tel +39 06 4066614 - Fax +39 06 [email protected] 978-88-98229-27-7

In copertina

Hans Sebald Beham, Dises buchlein zeygetan und lernet ein maß oder proporcion der ross, Nurmberg, Peypus, 1528, f. 18r

Atti del convegno internazionale di studi, 12 aprile 2013, Frascati, Museo Tuscolano - Scuderie Aldobrandini

Quadernidelle Scuderie Aldobrandini per l’Arte

Dal cavallo alle scuderie.Visioni iconografiche e architettoniche

n. 11 - 2014

Periodico del Comune di FrascatiScuderie Aldobrandini per l’ArteMuseo Tuscolano di Frascati

AutorizzazioneTribunale di Roma

n. 18/02 del 23.07.2002

Direttore responsabileGiovanna Cappelli

Direzione scientificaCoordinamento redazioneGiovanna Cappelli

Cura redazionale del Quaderno delle Scuderie Aldobrandini / 11Isabella Salvagni

SindacoStefano Di Tommaso

Assessore alle Politiche CulturaliGianpaolo Senzacqua

Dirigente Settore CulturaMaria Grazia Toppi

Direttore Scuderie Aldobrandini per l’ArteResponsabile Ufficio CulturaGiovanna Cappelli

Iniziativa promossa daComune di Frascati, Assessorato alle Politiche Culturali

Il convegno Dal cavallo alle scuderie. Visioniiconografiche e rilevamenti architettonicisi è svolto con il Patrocinio di Villa I Tatti – The Harvard University Centerfor Italian Renaissance StudiesFondazione Luigi Spezzaferro OnlusScuola Equestre di Formazione (SEF-Italia)

Comune di FrascatiAssessorato alle Politiche Culturali

con il patrocinio di

e il sostegno di

Ringraziamenti

Accademia Nazionale di San Luca, AlbertinaBagaglia, Sofia Barchiesi, Susan Bates,Alessandro Brodini, Andrea Capozzi, GiovannaCappelli, Michelangelo Carozza, Dora Catalano,Marianna Cicoira, Isabella Colucci, Vittorio eLuciana dal Corso, Giovanna Curcio, Francescada Thiene, Girolamo De Miranda, Giuseppe Di Pilla, Federica Fasano, Benedetto Giovinazzi,Lello Golluccio, Julian Kliemann, GiovanniIacovone, Lucia Iacovone, Fulvio Lenzo,Tommaso Manfredi, Pasquale Marino, Carla Mastrantuono, Antonella Mugnaini,

Ottorino Palomba, Liana Pasquale, ElioPautasso, Lino Pertile, Francesco Petrucci,Michela Pucci, Antonia Pugliese, CristinaRuggero, Angela Scarselli, Mario Setter, LiviaSpezzaferro, Giovanni Battista Tomassini,Roberta Trombetta, Serena Veggetti, ManuelaVesci, Mirco Zamboni, Mario Ziccardi,Benedetto Zullo, i Volontari dell’AssociazioneNazionale Carabinieri di Venafro, il Personaledella Soprintendenza BSAE del Molise e diCastello Pandone in Venafro, il personale dellaBiblioteca Nazionale Braidense di Milano.

Gli autori

Enzo BentivoglioUniversità degli Studi ‘Mediterranea’ di Reggio Calabria

Paola CarettaIndipendent scholar, Torino

Marina CogottiSoprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo

Enrico Da GaiIndipendent scholar, Roma

Sabina De CaviUniversidad de Córdoba

Francesca Della VenturaIndipendent scholar, Campobasso-Colonia

Giovanni Maria FaraLiceo Artistico di Porta Romana, Firenze

Daniele FerraraSoprintendenza per i Beni Storici Artisticied Etnoantropologici del Molise

Margherita FratarcangeliIndipendent scholarFondazione Luigi Spezzaferro Onlus, Roma

Giorgio MagistriArchitetto, specialista in restauro dei monumenti, Ariccia (Roma)

Alessandra MarinoSoprintendenza per i Beni Architettonici,Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologiciper le province di Firenze, Pistoia e Prato

Isabella SalvagniUniversità degli Studi di Camerino

Simonetta ValtieriUniversità degli Studi ‘Mediterranea’di Reggio Calabria

Indice

pag. 11 PresentazioniStefano Di Tommaso, Gianpaolo Senzacqua, Giovanna Cappelli

15 IntroduzioneMargherita Fratarcangeli

DAL CAVALLO

21 «La perfettione del cavallo». Trattatistica e letteratura ad uso e consumo di uno status symbolMargherita Fratarcangeli

37 Leonardo e Dürer. Gli studi sulle proporzioni del cavallo e alcune testimonianze letterarie fra XVI e XVII secoloGiovanni Maria Fara

43 Emblematica cittadina: il cavallo e i Seggi di Napoli in epoca spagnuola (XVI-XVIII sec.)Sabina de Cavi

55 Scuderie dipinte. Dai Gonzaga ai Rospigliosi, ritratti di “equini illustri”Paola Caretta

65 «Fè dipignere del vivo i più perfetti e più graditi cavalli»: Enrico Pandone e il ciclo affrescato nel Castello di VenafroFrancesca Della Ventura, Daniele Ferrara

81 Ruolo e spazio del cavallo in alcune corti cardinalizie estensi e le scuderie di TivoliMarina Cogotti

ALLE SCUDERIE, ROMA E LAZIO

99 Scuderie a Roma fra trattato, modello e realizzazione: indizi per una ricognizioneIsabella Salvagni

113 Le scuderie del Quirinale. Storia di una fabbrica pontificia Alessandra Marino

121 Un granaio per Scuderia: Valadier nelle Terme di DioclezianoEnrico Da Gai

133 Le scuderie del cardinale Raffaele Riario, di Giulio II a Viterbo, di Agostino Chigi e dei Farnese a Caprarola: forma e funzionalitàEnzo Bentivoglio

143 Lo Stallone Chigi in Ariccia, la storia come fondamento del restauro e del riusoGiorgio Magistri

153 Il recupero delle scuderie bramantesche di ViterboSimonetta Valtieri

APPARATI

161 Indice dei nomi171 Referenze fotografiche

10 INDICE

Scuderie dipinte. Dai Gonzaga ai Rospigliosi, ritratti di “equini illustri”

Paola Caretta

«Il buon cavallo fa molto istimare un gentil’huomo, che cavalchi bene, et che abbiabuon cavallo; mostrando, che habbia ancora buon giudizio in saperlo eleggere, etmantenere così buono, et spender honoratamente le sue facultà in cosa utile, et neces-saria, et assai honorevole» 1.

Le parole di Claudio Corte, maestro italiano di equitazione al servizio di so-vrani quali Carlo IX di Francia o Elisabetta I d’Inghilterra, sintetizzano in ma-niera efficace come dalla metà del Cinquecento il crescente interesse per il ca-vallo coincida sostanzialmente con l’espressione di un nuovo status symbol,con la consapevolezza ben radicata di gestire un’icona sociale e culturale ingrado non solo di far aumentare la stima di un principe o di un gentiluomo,quanto di determinare e accrescere il potere di un’intera casata. Il cavallo eradivenuto egli stesso nobile e nobilitante efficace mezzo per avviare o conclude-re trattative politico-diplomatiche. Gli italiani, in anticipo sui pari europei e avolte sugli stessi regnanti, mostrarono di comprendere ben presto quanto “ca-valli illustri” appartenessero a “uomini illustri” e viceversa. Lo furono di certoduchi e marchesi, ma anche più piccoli signori, che misero in piedi imponentiscuderie e coniarono marchi per difenderne la proprietà. Tra gli allevamentiforniti d’animali eccellenti, il Corte torna più volte su quello dei Gonzaga diMantova, che vantò con Francesco II (1484-1519) un numero di capi superioreai duemila: «è ben vero che in Italia ne sono alcune razze, tra le quali quellade’ Barbari di Mantua è la più eccellente, che ce sia et da essa escono barbarimolto eccellenti, et belli, li quali sono alquanto maggiori di quelli di Tunisi, etde gli Africani, sono di buono, et raro intelletto, leggieri, presti, atti al maneg-gio, di buono animo, et di velocità grandissima. Èt ancora che paiano delicati,sono di honeste forze, et resistono alle fatiche» 2

Con i duchi di Mantova entriamo a pieno titolo nell’argomento del presentecontributo, che si propone non tanto di constatare quante e quali volte l’im-magine del cavallo sia apparsa nella produzione artistica o nella manualisticadedicata, quanto verificare se sia possibile produrre un repertorio di “cavalliillustri” di cui i loro padroni abbiano voluto consapevolmente conservare me-moria. Parafrasando l’idea di casa-museo che nella prima metà del Cinquecen-to Paolo Giovio fece erigere sul lago di Como a Borgovico per ospitarvi i ri-tratti di uomini illustri di cui in quegli anni componeva gli Elogia, si vuole quiproporre una sorta di de equis illustribus pittorico, tutto italiano, compreso in

un arco di tempo che va dalla fine del Quattrocento alla prima metà del Sette-cento. Non saranno presi in considerazione né i meravigliosi esempi lasciati inpunta di matita, inchiostro o pennello da Piero della Francesca, Paolo Uccello,Albretch Dürer o Leonardo da Vinci, che hanno illustrato e reso celebre l’ani-male studiandone forme, proporzioni e anatomia, né i numerosi ritratti eque-stri in cui a venir celebrato è piuttosto il cavaliere. Si preferisce invece dar spa-zio ai soli cavalli a volte ridotti in agevoli carte miniate, più spesso ritratti a di-mensioni reali ad ornare le pareti di nobili dimore o perché amati dal loro si-gnore, o, solitamente, perché vincitori di importanti battaglie o ambiti premi.Amore, guerre e palii furono di certo i principali motori che nutrirono gli alle-vamenti dei Gonzaga, una della più celebri famiglie italiane, ma soprattutto trai più importanti allevatori di equini che il nostro paese abbia registrato in epo-ca moderna. Recenti studi ne hanno evidenziato il ruolo di selezionatori di unarazza forte ed elegante in cui si distinsero non solo animali da parata e da ceri-monia, ma ottimi esemplari da guerra e velocissimi cavalli da corsa 3. France-sco, che aveva ereditato la grande passione nutrita per questi animali dal padreFederico I e dal nonno Ludovico, si occupò spesso di selezionare in prima per-sona gli esemplari migliori. Il fittissimo carteggio intercorso tra il marchese e isuoi uomini informa non solo come si tenesse costantemente aggiornato sullostato di salute dei suoi esemplari, sui puledri nati, sui pali corsi e sulle condi-zioni degli allevamenti, ma anche come, non appena ne aveva la possibilità,corresse in visita alle stalle, accarezzasse gli animali e parlasse con loro. I caval-li furono la sua migliore carta di presentazione e gli servirono non solo per ar-mare l’esercito, ma anche per tessere relazioni politico diplomatiche col papa econ i sovrani europei. Federigo Amadei ricorda come nella battaglia di Forno-vo di Taro, combattuta da Francesco nel 1495 contro i francesi al comando del-la Lega veneto-milanese, il marchese ebbe salva la vita grazie alle capacità delsuo destriero. Scampato il pericolo, Francesco «fece dipinger sé medesimo in-ginocchioni, con accanto il famoso suo cavallo baio che, sebbene ferito, loportò bravamente in salvo» 4. Purtroppo oggi l’affresco, già in piazza delle Er-be a Mantova, non è più visibile, privandoci di un’immagine di quello che puòessere considerato il più fornito album di ritratti equini, quello dei Gonzaga,consegnato alla storia e alla storia dell’arte.

Tralasciando i disegni che con buona probabilità Pisanello trasse dagliesemplari delle scuderie mantovane durante i tre soggiorni avvenuti presso lacorte gonzaghesca, presenta tutte le caratteristiche di un vero e proprio ritrat-to ad equum l’imponente cavallo dipinto da Andrea Mantegna nella CameraPicta (1465-1474) per Ludovico II Gonzaga. Si tratta molto probabilmente di uncorsiero, trattenuto da un famiglio, la cui bardatura è decorata con l’impresadel sole interno a un crescente di luna. Rodolfo Signorini propone di ricono-scere nel destriero il superbo cavallo che Lodovico II cavalcò in occasionedell’entrata a Mantova del re di Danimarca Cristiano di Oldenburg, avvenutanel marzo del 1474. Le cronache di quell’anno ricordano come da ambo le par-ti sfilassero numerosi esemplari, «l’uno più bello cha l’altro» 5. Se la CameraPicta offre spazio al ritratto equino all’interno di una più articolata rappresen-

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tazione celebrativa, i Gonzaga dedicarono ben presto intere sale delle loro re-sidenze ai soli cavalli. Tale abitudine fu portata avanti con coerenza dalla metàdel Quattrocento fino al celebre e celebrato ciclo di Palazzo Te, progettato daGiulio Romano su commissione di Federico II. È noto tuttavia come ancheFrancesco II, oscurato dal mecenatismo della moglie Isabella, si sia interessatodell’ampliamento e della decorazione dei palazzi di famiglia preoccupandosidi far ritrarre i propri barberi in due delle più frequentate residenze estive, ilpalazzo di Marmirolo e quello di Gonzaga, oltre che nella nuova abitazionemantovana di Palazzo San Sebastiano. Le descrizioni, gli inventari e il ricchis-simo carteggio rimasto offrono qua è la spunti di riflessione sull’argomentofornendoci l’occasione per aprire un discorso che qui può essere solo introdot-to. Sappiamo ad esempio che a Marmirolo, sede di uno degli allevamenti,Francesco chiese che in una stanza del palazzo fossero dipinti dei cavalli, raffi-gurati a dimensioni reali con sullo sfondo dei paesaggi. I ritratti dovevano es-sere presi dal naturale e di due di essi conosciamo i nomi: Turca e Disperato.Non sappiamo quanti furono gli esemplari effigiati ma la dimensione della sa-la, 8 metri per 14, lascia supporre che fossero almeno sei. Purtroppo del castel-lo rimane solo la torre che oggi affianca il palazzo del municipio, essendo statol’antico edificio completamente demolito per mano degli austriaci nella secon-da metà del Settecento. Una lettera dell’ottobre 1495, questa volta provenientedalla residenza di Gonzaga, informa che anche qui era prevista una «cameradei cavalli» 6, a quella data non ancora terminata. Ritratti di cavalli erano con-servati anche nella camera dell’udienza del palazzo mantovano di San Seba-stiano, fatto costruire e decorare appositamente da Francesco II tra il 1506 e il1512. La descrizione lasciataci da Piero Soranzo, ambasciatore veneziano in vi-sita a Mantova nel 1515, consente di ricostruire un arredo anche in questo casonon più in situ. Riportando l’incontro con Francesco II il Soranzo appunta:«Era in una camera forte adornata sentato al focho, con tre ventagi che non lilassava andar uno pelo adosso, con tre terribilissimi levrieri intorno et infinitifalconi e zirifalchi in pugno li intorno, e su per le spaliere erano quadri cheerano ritrati li soi bei cavali e belli cani, e li era un nanino vestito d’oro» 7. Tut-to questo incredibile materiale figurativo, dal valore fortemente celebrativo ol-tre che ornamentale, costituì senza ombra di dubbio un importante preceden-te per la Sala dei Cavalli di Palazzo Te. Questa, la stanza più grande del palaz-zo riservata alle feste e ai ricevimenti, fu realizzata da Giulio Romano negli an-ni compresi tra il 1526 e il 1528 con l’aiuto di Rinaldo Mantovano e BenedettoPagni. Seguendo la prassi paterna, Federico II volle che fossero ritratti sullepareti le figure dei suoi destrieri preferiti, ciascuno dei quali recava scritto allabase il proprio nome. Oggi è possibile leggere solo i nomi di Morel Favorito eDario (fig. 46) mentre altri due nomi, Glorioso e Bataglia, sono stati recuperatigrazie ai disegni che ne trasse Ippolito Andreasi su commissione di JacopoStrada 8. Che i ritratti fossero colti dal vivo, o almeno che questo fosse l’inten-to, era cosa nota sebbene, a guardarli oggi così allineati nella sala e omogeneinella sagomatura, sembrino alquanto generici differenziandosi soltanto nel co-lore del mantello e degli ornamenti. Nel ritratto di Glorioso è ancora possibile

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riscontrare ad esempio l’abitudine di Federico II di far tingere le code dei suoidestrieri con una sostanza vegetale rossiccia allora nota col nome di «alcannad’oriente», l’attuale henné. Una sala dei Cavalli fu voluta da Federico anche al-l’interno dell’appartamento nuovo del Castello mantovano, la cui edificazionefu affidata dal duca sempre a Giulio Romano. Tra il 1536 e il 1539 furono com-pletate le decorazioni interne: la Sala dei cavalli si presentava ornata con novetele, collocate su appositi riquadri, realizzate su disegno di Giulio da RinaldoMantovano e Luca Fiammingo, che si occupò di eseguire i paesaggi dello sfon-do, «morsi et littere». Anche in questo caso si trattava di ritratti di cavalli carial duca e, ancora una volta, non ne rimane testimonianza. Frederick Hartt haproposto di avvicinare agli equini raffigurati due disegni assegnati a Giulio Ro-mano conservati presso il Museo Nazionale di Stoccolma (figg. 47-48). Si trattadi due destrieri, splendidi esemplari da cerimonia, visti di profilo come nellasala di Palazzo Te, abbelliti con bardature e finimenti 9. Un inventario redattonel 1714 attesta che a quella data le tele erano ancora al loro posto 10. Non è no-to cosa sia successo in seguito.

Rimane ancora in loco invece una bizzarra figurazione che corre lungo tuttala fascia superiore della Sala degli Arcieri: si tratta di un fregio costituito damensoloni antropomorfi alternati a ventisei riquadri, affrescati con tendaggimossi dal vento che, scostandosi, lasciano intravedere figure di cavalli, a volteil muso, altre un imponente posteriore, altre ancora le sole zampe o la figuraintera. La decorazione della sala fu commissionata a fine Cinquecento dal du-ca Vincenzo I Gonzaga, del cui appartamento la stanza costituiva l’ingresso.Anche lo spoglio degli inventari restituisce tracce di ritratti equini che i duchisuccedutisi, tutti appassionati allevatori, fecero fare dei propri campioni. Nel1665 ad esempio, nell’elenco dei beni di Carlo II Gonzaga-Nevers, «nel locodella Roversella [...] nell’Andito di detta corte» sono registrati «Duoi quadri intella grandi con sopra duoi cavalli, uno nominato il Re d’Ongaria et l’altro ilBaio Galante» 11. Da ultimo occorre ricordare, per rendere giustizia a una pra-tica ritrattistica esercitata nelle più diverse forme, un volume che Francesco IIfece realizzare per onorare i suoi campioni, destrieri che tra il 1499 e il 1518 vin-sero dei premi. Il codice è di fatto noto come Libro dei Palii 12: in ogni foglio èraffigurato un cavallo, che le fonti vogliono ritratto dal vero, corredato di no-me, dell’elenco delle corse vinte e del palio ottenuto (fig. 49). Nel codice sonoraffigurati trentaquattro cavalli per un totale di centonovantasei palii conqui-stati, solo una parte di un totale che dovette ammontare a più di trecento.

A questa sorta di lunga epopea equina gonzaghesca fa da contraltare neglistessi anni una serie altrettanto interessante di effigi di cavalli, ancora poco no-ta, fatta dipingere da Enrico Pandone all’interno del castello di Venafro, oggiin provincia di Isernia 13. Eccentrico personaggio in un luogo decentrato mastrategicamente importante, Enrico morì decapitato nel 1528 per alto tradi-mento verso la casa regnante essendo passato dalla parte dei francesi, al fiancodel maresciallo Odetto di Fois visconte di Lautrec. La sua morte interruppecon buona probabilità il progetto decorativo, la cui datazione è collocabile trail 1521 e il 1527. Risistemato il castello secondo moderne concezioni architetto-

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niche, Enrico fece decorare tutto il piano nobile del palazzo con ritratti deipropri esemplari, nei cui confronti nutriva una passione grande quanto il mar-chese mantovano. Enrico era uomo d’arme e allevatore di razze equine pregia-te, inviate alla nobiltà e a sovrani europei. A Venafro le sagome degli animali,rappresentati tutti in uno stereotipato profilo, si stagliano sulla parete con uneffetto volumetrico amplificato da un sorta di stiacciato che soggiace alla pit-tura (figg. 57-58). I cavalli sono ritratti a grandezza naturale, bardati con sella efinimenti, e ognuno di essi è accompagnato da una sorta di carta d’identità cheinforma della data di esecuzione della pittura, del nome e dell’età del ritratto,di razza e ruolo 14. Sulle pareti del castello sopravvivono così all’oblio il Favori-to, nome diffusissimo in tutta Italia e qui assegnato a più di un cavallo, Cotu-gno, San George «mandato alla Maestà Cesarea [Carlo V] [...] VIII del mese deoctobre MDXXII», Stella «mandato alo S. Anibale Caracciolo Gentilomo nea-politano del mese de marzo MDXXIIII», Scorbone Aspro, Corbo, Conte, Pelle-grino, Pandone «mandato allo illustrissimo Duca di Calabria nel mese di giu-gnio MDXXIII», Pallotta, Pezza Bella, Spatafora, Imperiale, Gobo «mandato alo Signore Duca de Amalfi mio frate del mese de magio MDXXVI». Gli animaliritratti sono tutti dell’età di circa quattro-cinque anni, utilizzati sia come stal-loni di casa sia come animali da guerra e da cerimonia. Enrico allevò anche ca-valli da corsa, di cui pure sulle pareti erano conservati ritratti. Uno di questi,raffigurato al galoppo, fu venduto al mercante fiorentino Francesco Pitti distanza a Napoli.

Esaminati questi magnifici esempi di decorazione pittorica, dalla metà delCinquecento sembra avviata al tramonto la consuetudine di affrescare le stan-ze con i ritratti dei propri animali, abitudine legata ad un gusto naturalista distampo tardogotico anche quando reinterpretata secondo una più modernachiave rinascimentale. Il ricordo del proprio destriero viene in seguito affidatoalla tela e il bel cavallo diviene elemento rilevante del ritratto equestre. Sebbe-ne l’intento celebrativo sia tutto volto al cavaliere, il destriero si distingue spes-so per forza, vigore e bellezza, accompagnato da una carta d’identità di tuttorispetto; altre volte gode di un ritratto tutto personale. Fu proprio la bellezzadi una cavalla, chiamata Belladonna, ad assicurare all’animale una vita dignito-sa e un ritratto illustre. Racconta il Malvasia che la cavalla era stata donata dal-l’imperatore (Ferdinando II) a papa Gregorio XV. Ad un certo punto l’animale«s’infermò» non potendo più essere utilizzato dal pontefice. Il conte bologne-se Filippo Maria Aldovrandi, vistolo se ne innamorò, «lo comprò, e sempre lotenne per la bellezza» 15: Belladonna aveva dei lunghi crini che scendevano finoagli zoccoli e purtroppo questa rimane l’unica informazione che abbiamo.Il conte Aldovrandi affidò l’esecuzione del suo ritratto a Guercino, che il 24aprile del 1631 registra puntualmente l’opera nel suo Libro dei conti 16. Il dipin-to compare anche nell’inventario del conte Filippo Maria, redatto nel 1644, co-me «un quadro grande con dentro un cavallo chiamato Bella donna fatto permano del S. Sig. Gio: Francesco con un cordone dorato d’intorno» 17, specifi-cazione quest’ultima che fa immaginare che il nome fosse ben visibile in qual-che punto della tela. Purtroppo l’opera non è ad oggi identificata, e certo non

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aiuta il confronto con la Sala dei cavalli che un Guercino ancor giovane ideò,tra il 1615 e il 1617, per Casa Pannini a Cento. Difficile credere che si tratti di ri-tratti di destrieri in quanto tutti gli esemplari dipinti sono esemplati sulla Seriedei Cavalli di Antonio Tempesta, fin nella descrizione delle luci e delle ombresul pelo, o dello sguardo degli occhi.

Nel Seicento e nel Settecento, gli inventari relativi ai beni delle famiglie no-bili restituiscono elenchi di ritratti di cavalli che sarebbe sterile trascrivere nelcomplesso; val la pena soffermarsi solo su qualcuno di essi come nel caso diFavorito, il destriero preferito di Cristina di Svezia. Sebbene a questo esempla-re sia stato dedicato più di un ritratto, ad oggi sono conosciute solo le note in-ventariali legate alla morte di Cristina e alla vendita dei suoi beni 18. Troviamodue suoi ritratti nell’elenco di dipinti redatto nel 1689, ancora nel 1697 e nel1703, nella nota che descrive i beni comprati da Livio Odescalchi. Qui, al nu-mero 181, è menzionato come di mano di Ciccio un «Ritratto di cavallo al natu-rale, che pare vivo, con alcuni putti per aria. Alto palmi cinquantatre quadra-to»; al numero 182 II un «ritratto di un’altro cavallo della medesima manieradel sudetto, ed in questo genere è rarissimo» 19. Apprendiamo così che i ritrattifurono eseguiti da Francesco Graziani, alias Ciccio Napoletano, di cui costi-tuiscono un lavoro insolito. In effetti al catalogo già di per suo complesso delGraziani non sono ancora stati ricondotti ritratti equini, che non si limitaronodi certo a quelli eseguiti per Cristina di Svezia. Nell’inventario del 1686 seguitoalla morte del principe Maffeo Barberini ne compaiono ad esempio ben sei,tutti attribuiti a Ciccio: si tratta di tele molto grandi, ritenute degne di rappre-sentanza e tutte incorniciate con l’ape Barberini in evidenza. Anche di questidipinti si è persa traccia e si può solo supporre, vista la presenza nei ritratti deilacchè, che vi fossero anche begli esemplari adatti alle cerimonie di corte e altiro delle carrozze. Gli inventari Barberini restituiscono nel complesso unbuon numero di ritratti equini anche nella prima metà del Seicento, spessoanonimi ma recanti il nome assegnato al destriero. Abbiamo così notizia diBarberino, Montedoro, Bonoso o Cap.o (Capitano?). Altre volte invece è ri-cordato il nome dell’autore, come nel citato caso di Graziani, di Mariano, del -l’Eclisse o dell’inaspettato Andrea Camassei, cui sono assegnati tre ritratti. An-che in questo caso le opere non sono ancora state identificate 20, lasciando unvuoto di rappresentazione di una scuderia che dovette essere tutt’altro che irri-levante nella Roma del Seicento. Sappiamo che ebbero ritratti equini nelle lorocollezioni i Colonna, i Pamphilj, i Gabrielli, gli Orsini, gli Sforza Cesarini e iSantacroce tra gli altri, ma bisogna giungere ai Rospigliosi per godere di unaserie di opere ancora visibili, conservate nel Museo di Roma 21.

Prima di accennare ai cavalli dei Rospigliosi val la pena fare un’apertura sudi un ciclo poco conosciuto ma di grandissimo interesse e qualità 22. Si tratta diuna serie numerosa di ritratti di cavalli oggi ospitati nella Villa Porto-Colleoni-Thiene presso Thiene, a ornamento del salone del piano nobile, provenientidal Palazzo dei Porto a Vicenza. In quattro di essi gli animali sono raffiguraticon un cavaliere in sella in cui, subordinate alla capacità di comando del cava-liere, vengono mostrate le abilità dell’animale. Ogni dipinto reca alla base una

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scritta che ne definisce razza, caratteristiche e abilità 23. Sebbene i cavalli sianoispirati più o meno liberamente alle famose incisioni che Giovanni Stradanorealizzò tra il 1576 e il 1578 dedicandole alla scuderia di Giovanni d’Austria, idipinti si caratterizzano per l’alta qualità e una felicità pittorica e compositivadegne di rilievo. Purtroppo non è nota l’identità dei personaggi raffigurati,con buona probabilità membri della famiglia Porto (fig. 51), ciascuno dei qualipresenta sullo sfondo uno scorcio di villa o di paese che rimanda a paesaggi earchitetture proprie del Veneto. I quattro uomini esibiscono con fierezza cia-scuno la propria capacità di comando sul destriero facendogli eseguire precisiesercizi di dressage. È noto come a Seicento inoltrato il manège finì per esserevissuto dalla nobiltà come strumento di compensazione per la perdita semprecrescente dell’antico status militare. Non più seriamente impegnati in qualitàdi condottieri i signori cominciarono a dedicarsi al cavalcare come a un’arte, aun diverso mestiere che richiedeva qualità fisiche, emozionali e morali e risar-civa colui che era in grado di praticarle di un rinnovato status symbol. A Vi-cenza gli appassionati dell’arte del cavalcare dovettero essere numerosi se, inuna guida di fine Settecento, gli autori affermano ad un certo punto: «Ma chepiu? Siamo giunti ad osservare delle stalle da’ cavalli ornate e compartite comele chiese, e queste al rovescio rozze ed umili, quasi fossero stalle» 24. Le quattrotele godono di un’attribuzione a Francesco Balante da Thiene (1663 ca.-1729) 25,così come altre otto, conservate sempre nel castello. Due raffigurano in un for-te taglio verticale due cavalli da soli 26, mentre altri sei quadri mostrano cavalliaccompagnati da un palafreniere (figg. 52-53). Quattro delle otto tele oggi con-servate sono state riconosciute nei «quattro quadroni del Balante da Tiene,Scolare del Cavalier Liberi, esprimenti cavalli da maneggio, ed altre cose per lacaccia, e cavallerizza» citate nel palazzo vicentino di Giovan Battista OratioPorto in contrà Porti nel 1779 27. Da un inventario del 1707 sappiamo tuttaviache nel palazzo vicentino di Flavio Porto, nella sala, vi erano già «otto quadridi pitura de Cavalli con sue soaze» 28, riconoscibili con buona probabilità nelleotto tele conservate. A proposito di questo gruppo di dipinti Giuseppe Delo-gu scriveva nel 1931: «Sono certamente quadri a serie e tutti della stessa mano.Sono ritratti di cavalli che il padrone appassionato à dovuto ordinare all’arti-sta, come precisamente accadde per il salone del Palazzo del Te a Mantova» 29.Proprio come i Gonzaga, i Porto avevano organizzato sul finire del Seicentoun importante allevamento al fine di utilizzare personalmente ma anche ven-dere cavalli adatti sia alla guerra sia alla caccia, come mostrano bene i ritratti.Nei primi del Settecento la villa di Thiene fu dotata anche di una magnificascuderia, realizzata da Francesco Muttoni (1668-1747) e di una colonna che og-gi rimane nella corte come elemento distintivo della cavallerizza.

Chiudiamo infine questa carrellata di ritratti equini con i noti dipinti di cuisi circondò un altro grande innamorato di cavalli, Camillo Rospigliosi, di cuirimane un bel ritratto equestre di Agostino Masucci conservato nel Museo diRoma. Erede del ramo Rospigliosi della famiglia paterna, Camillo fu animatoda una grande passione per i cavalli da corsa che allevava nelle tenute di Mac-carese e Zagarolo. Come una sorta di Francesco II Gonzaga post litteram, Ca-

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millo partecipò alle corse conservando con cura i palii guadagnati e al pari delGonzaga fece redigere un libro dei palii, intitolato Registro delle corse vinte eperse, annotandovi non solo le vittorie ma tutte le occasioni in cui i suoi de-strieri parteciparono alle corse tra il 1745 e il 1764. Dal Registro deriviamo i no-mi di alcuni cavalli, significativamente diversi da quelli dei Gonzaga: Capriola,Gelsomina, Brigliadoro, Bicchierino, Stornello, Malizietto o Leggiadro resti-tuiscono un’epoca e un modello socio-culturale ormai ben lontano dalle cortidi fine Quattrocento, vicini piuttosto, come rileva Angela Negro, ai protagoni-sti di una canzonetta d’Arcadia 30. L’attenzione riservata da Camillo ai cavalli ètestimoniata non solo dai documenti e dalle cronache dell’epoca, ma da unaserie nutrita di dipinti realizzati in un periodo compreso tra gli anni venti e glianni sessanta del Settecento. Se Christian Reder aveva eseguito un dipinto raf-figurante Il principe Rospigliosi alla compera dei cavalli (Roma, CollezioneLemme), il figlio Johann Reder ha licenziato opere legate al tema equestre e al-cuni ritratti dal vivo degli esemplari preferiti dal Rospigliosi. A noi interessanoin particolare questi ultimi, descritti con pennellata e impostazione di unasemplicità prossima al naif, il cui spirito cronachistico e fortemente documen-tario è accentuato dai testi poetici che accompagnano alcuni dei ritratti. Il piùcelebre di questi cavalli fu Aquilino, raffigurato da Reder nel 1747 e da PaoloMonaldi nel 1752. Dalla tela del Monaldi furono tratte stampe (fig. 54) correda-te da versi celebrativi in cui, dopo aver specificato la proprietà Rospigliosi del-l’animale è detto: «Quest’è Aquilino a cui diè Nome il Corso/Vero figlio delVento, e chiaro il rese/Toscana e Roma, ognii lontan Paese/che lor mete segnòpremier col Morso/e di polvere e sudor bagnato e tinto/Per due volte di Fran-cia i paj à vinto». Ad Aquilino, sopravvissuto alle corse, toccò una felice sorte.Nella didascalia al di sotto della dedica è infatti specificato come, dopo una vi-ta passata a correre, sempre vittorioso, in mano a sei padroni diversi, Aquilinonel 1760 riposasse amato dal suo Principe nella tenuta di Maccarese, «liberoed esente da ogni qualunque esercizio o fatica», mentre il Ritratto si conserva-va «per curiosità dei Dilettanti nel Palazzo Rospigliosi al Monte Quirinale».La stampa ne fu tratta per dovere di memoria.

NOTE

1 C. CORTE, Il cauallerizzo di Claudio Corte da Pauia, nel qual si tratta della natura de’caualli, dellerazze, del modo di gouernarli, domarli, & frenarli. Et di tutto quello, che à caualli, & à buon cauallerizzos’appartiene, Venezia, appresso Giordano Ziletti, 1573, p. 6v.

2 Ibidem, p. 17v.3 Al riguardo cfr. A. TONNI, The Renaissance Studs of the Gonzagas of Mantua, in The Horse as Cul-

tural Icon: the Real and the Symbolic Horse in the Early-Modern World, a cura di P. Edwards, K.A.E.Enenkel, E. Graham, Leiden 2012, pp. 261-280; IDEM, Allevamento e diplomazia tra Mantova, Torino eLondra: lo scambio dei cavalli tra Cinquecento e Seicento, consultato online (gennaio 2013) sul sitowww.unibs.it/sites/default/files/ricerca/allegati/Tonni08.pdf; G. NOSARI, F. CANOVA, I cavalli Gonza-ga della raza de la casa. Allevamenti e scuderie mantovane nei secoli XIV-XVII, Reggiolo 2005; IDEM, Ilpalio nel Rinascimento. I cavalli di razza dei Gonzaga, Reggiolo 2003; G. MALACARNE, Il mito dei caval-li gonzagheschi. Alle origini del purosangue, Verona 1995; R. CASTAGNA, Nascita e formazione della scu-deria dei Gonzaga. Da alcuni disegni attribuiti di recente a Jacopo Strada i nomi di tre stalloni raffiguratinella sala dei cavalli a Palazzo Te, in «Civiltà mantovana», X, 5-56 (1976), pp. 14-31.

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4 F. AMADEI, Cronaca Universale della città di Mantova, II, Mantova 1955, p. 448.5 R. SIGNORINI, Introduzione, in MALACARNE, Il mito dei cavalli cit., p. XV.6 NOSARI - CANOVA, I cavalli Gonzaga cit., p. 180. Sul palazzo di Gonzaga si veda C.M. BROWN,

A.M. LORENZONI, «Concludo che non vidi mai la più bella casa in Italia». The Frescoed Decorations inFrancesco II Gonzaga’s Suburban Villa in the Mantuan Countryside at Gonzaga, in «Renaissance Quar-terly», IL (1996), pp. 268-302. Come quello di Marmirolo, anche il palazzo di Gonzaga fu distrutto nelSettecento.

7 M. BOURNE, Renaissance husbands and wives as Patron of art: The Camerini of Isabella d’Este andFrancesco II Gonzaga, in Beyond Isabella: Secular Women Patrons of Art in Renaissance Italy (Six-teenth Century Essays & Studies, 54), a cura di E. Sheryl, D. Reiss, G. Wilkins, Kirksville 2001, p. 121,nota 52.

8 E. VERHEYEN, Jacopo Strada’s Mantuan drawings of 1567-1568, in «The Art Bulletin», IL (1967),pp. 62-70; CASTAGNA, Nascita e formazione cit.; R. HARPRATH, Ippolito Andreasi as a draughtsman, in«Master Drawings», XXII (1984), pp. 3-28. Nei rilievi dell’Andreasi, che ad oggi restituiscono solo tredelle quattro pareti, sono riportati i nomi di Bataglia, Dario e Glorioso.

9 F. HARTT, Giulio Romano, New Haven 1958, pp. 167-168.10 C. COTTAFANI, R. palazzo ducale di Mantova. La sale dei cavalli e delle teste, in «Bollettino d’Arte

del Ministero della Pubblica Istruzione», XXII (1928/1929), pp. 278-279.11 R. PICCINELLI, Collezionismo a Corte. I Gonzaga Nevers e la superbissima galeria di Mantona

(1637-1709), Firenze 2012, p. 315.12 Il codice fu commissionato dal marchese a Silvestro da Lucca che affidò l’esecuzione dei ritratti

a Lauro Padovano; in MALACARNE, Il mito dei cavalli cit., pp. 87-88, ripreso da E. TOBEY, The Paliohorse in Renaissance and early modern Italy, in The culture of the horse. Status, discipline and identityin the early modern world, a cura di K. Raber e T. J. Tucker, New York 2005, pp. 63-90.

13 Su Venafro e i Pandone si veda il saggio di Francesca Della Ventura - Daniele Ferrara in questovolume.

14 Anche i viaggiatori ottocenteschi furono colpiti da queste icone equine. Keppel Richard Cravenad esempio annota: «The principal decoration of almost all the rooms and some of the corridors con-sists of portraits in fresco painting, as large as nature, of the horses appertaining to the breed of theCaracciolis, Dukes of Miranda: they are mostly represented with the warlike and equestrian accoutre-ments appropriated to the reign of Charles V, and each is furnished with an inscription, bearing thename, height, and date of birth of the animal, together with the titles of the individual to whom it waseither given or sold; among which may be read those of some of the most distinguished characters ofthat splendid era, including the Imperial sovereign» (K.R. CRAVEN in Excursions in the Abruzzi andNorthern provinces of Naples, London, Bentley, 1838, p. 101). La descrizione è precisa, se si eccettual’errata informazione che già nei primi del Cinquecento il castello sia appartenuto ai Caracciolo, pre-senti invece a Venafro tra il 1744 e il 1810.

15 C. MALVASIA, Felsina pittrice. Vite de pittori bolognesi, II, Bologna, Barbieri, 1678, p. 368.16 G.B. BARBIERI, Libro dei Conti del Guercino, a cura di B. Ghelfi, Bologna 1997, p. 60.17 Cfr. il database del Getty Provenance Index. Il quadro compare ancora nell’inventario del 1672

relativo ai beni del conte Ercole Maria Aldovrandi, accanto ad un altro ritratto di cavallo di autorenon specificato.

18 Potrebbe essere il Favorito il destriero raffigurato nel Ritratto di Cristina di Svezia a cavallo ese-guito intorno al 1653-1654 da Sébastien Bourdon e oggi conservato al Prado di Madrid.

19 S. DANESI SQUARZINA, La collezione di Cristina di Svezia. Appendice documentaria, in Cristina diSvezia. Le collezioni Reali, a cura di S. Di Gioia, catalogo della mostra (Roma, 31 ottobre 2003-15 gen-naio 2004), Milano, 2003, p. 79 e p. 88. I dipinti compaiono ancora nell’inventario del 29 novembredel 1713 seguito alla morte di Livio Odescalchi. I due dipinti, come tutto il resto, andarono al nipoteBaldassarre Erba, fondatore del palazzo romano in piazza Santi XII Apostoli.

20 S. NESSI, Andrea Camassei. Un pittore del Seicento tra Roma e l’Umbria, Perugia 2005.21 Dei ritratti posseduti dagli Orsini è oggi nota ad esempio la piccola ardesia raffigurante il cavallo

turco che l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo donò al cardinale Alessandro Orsini in legazione in Ger-mania nel 1622 (fig. 50; A. AMENDOLA, La collezione del principe Lelio Orsini nel palazzo di Piazza Na-vona a Roma, Roma, 2013, p. 47, fig. 18). Esso è descritto nell’«Inventario de mobili fatto dopo la mor-te della Principessa Orsini de La Trémoille Bevilacqua, moglie di Flavio Orsini», come «Altro [qua-dro] dipinto in vetro p. traverso di palmo uno, e alto 9: Rapp.te un Cavallo bianco pezzato, che stà le-gato ad un Tronco di Filippo Napoletano con cornice d’Ebano ondata con battente dorato di valorescudi sei S 6» (Getty Provenance Index Database, Item 0341 from Archival Inventory I-419 - Orsini).

22 Desidero ringraziare la generosa disponibilità di Francesca di Thiene che ha messo a disposizio-ne per questo lavoro il materiale fotografico, bibliografico e archivistico posseduto dalla famiglia.

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23 Ciascuna delle quattro tele misura cm 304 x 214. In basso ad ognuna compare un’iscrizione chene qualifica il cavallo: 1- «Cimbria Cornipedis Iactat Praespibus Altis Robore Gueis Valido Vaga For-ma Lecus»; 2- «Hispanus Sonipes Ad Bella Cruentus Anhelat et Spirant Lora Superba Celeres Mi-nas»; 3- «Lator Equus Regalibus Ortus In Arvis Acies Ungue Sonanti Quatit»; 4- «VersiccoloratosGermania Pingit Amictus Nascitur Ausonio Stipite Fortis Equus».

24 E. ARNALDI, P. BALDARINI, O. VECCHIA, L. BUFFETTI, Descrizione delle architetture, pitture e scol-ture di Vicenza, II, Vicenza, per F. Vendramini, Mosca 1779, p. 69, Ibidem, I, p. XX.

25 L’attribuzione è di D. Gasparotto, confermata da F. Rigon; comunicazione di Francesca di Thie-ne.

26 I due dipinti misurano cm 272x93; vista l’inconsueta inquadratura e la comune altezza con le al-tre sei tele, sembra lecito supporre che esse costituiscano quanto resta di opere decisamente più gran-di. Gli altri dipinti presentano una base che varia dai due metri e mezzo circa ai cinque.

27 ARNALDI - BALDARINI - VECCHIA - BUFFETTI, Descrizione delle architetture cit., p. 86.28 APCT, mazzo XCII, fasc. 1418.29 Delogu ne ricorda l’attribuzione antica, seppur incerta, a Giovanni Agostino Cassana, in G. DE-

LOGU Pittori minori Liguri, Lombardi, Piemontesi del Seicento e del Settecento, Venezia 1931, pp. 63-64.30 A. NEGRO, La Collezione Rospigliosi. La quadreria e la committenza artistica di una famiglia patri-

zia a Roma nel Sei e Settecento, Roma 1999, p. 155.

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46. Giulio Romano, Dario, affresco, 1526-1528. Mantova, Palazzo Te, Sala dei Cavalli47-48. Giulio Romano, Cavallo, disegni. Stockholm, Nationalmuseum

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50. Filippo Liagno dettoFilippo Napoletano,Il cavallo turco donatodall’Imperatore Rodolfo IId’Asburgo, olio su ardesia.Collezione privata

49. Lauro Padovano,L’Armelino de la Raza,miniatura tratta dal Librodei Palii, 1500-1518 circa.Collezione privata

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51. Francesco Balante da Thiene, Ritratto equestre, olio su tela. Villa Porto-Colleoni-Thiene, Thiene

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52-53. Francesco Balante da Thiene, Cavallo con palafreniere, olio su tela. Villa Porto-Colleoni-Thiene,Thiene

54. Antonio Cappellan da G.D. Campiglia, Il cavallo Aquilino, incisione. Roma, Museo di Roma

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