Le vicende architettoniche dei Seminari sardi tra le carte d'Archivio sette e ottocentesche

77
Il convegno storico sul Seminario Arcivescovile di Oristano è stata un’oc- casione privilegiata per conoscere, a di- stanza di 3 secoli, con taglio rigorosamente scientifico, il ricco tesoro culturale e spi- rituale del Seminario tridentino, che, in- sieme al Duomo, disegna uno degli angoli più suggestivi della città di Eleonora. La presente pubblicazione degli atti del convegno è un modo intelligente di rendere presente la storia di una istitu- zione ecclesiale, che continua a svolgere con passione e professionalità il prezioso ruolo della formazione di uomini di pen- siero e di azione. S.E. Mons. Ignazio Sanna, già Pro- Rettore dell’Università Lateranense, dal 22 aprile 2006 è arcivescovo metropolita di Oristano. Attualmente è membro ordi- nario della Pontificia Accademia di Teo- logia; membro della Commissione della CEI per la Dottrina della fede, l’Annun- cio e la Catechesi; presidente del Comi- tato della Cei per gli Studi Superiori di Teologia e gli Istituti di Scienze Religiose. È autore di numerosi saggi su riviste specializzate e di numerose voci in dizio- nari ed enciclopedie teologiche. Tra le sue pubblicazioni: L’uomo via fondamentale della Chiesa, Roma 1989 3 ; Chiamati per nome. Antropologia teologica, Cinisello Balsamo 2007 4 ; Teologia come esperienza di Dio. La prospettiva cristologia di Karl Rahner, Brescia 1997; L’antropologia cri- stiana tra modernità e postmodernità, Bre- scia 2004 4 ; La sfida del post-umano. Verso nuovi modelli di esistenza?, Roma 2005; L’identità aperta. Il cristiano e la questione antropologica, Brescia 2006. In copertina: Oristano, Seminario Arcivescovile Diocesano I. SANNA (ed.) - Il Seminario Arcivescovile di Oristano IGNAZIO SANNA (ed.) Il Seminario Arcivescovile di Oristano Studi e ricerche sul Seminario (1712-2012) Volume I

Transcript of Le vicende architettoniche dei Seminari sardi tra le carte d'Archivio sette e ottocentesche

Il convegno storico sul Seminario Arcivescovile di Oristano è stata un’oc-casione privilegiata per conoscere, a di-stanza di 3 secoli, con taglio rigorosamentescientifico, il ricco tesoro culturale e spi-rituale del Seminario tridentino, che, in-sieme al Duomo, disegna uno degli angolipiù suggestivi della città di Eleonora.

La presente pubblicazione degli attidel convegno è un modo intelligente direndere presente la storia di una istitu-zione ecclesiale, che continua a svolgerecon passione e professionalità il preziosoruolo della formazione di uomini di pen-siero e di azione.

S.E. Mons. Ignazio Sanna, già Pro-Rettore dell’Università Lateranense, dal22 aprile 2006 è arcivescovo metropolitadi Oristano. Attualmente è membro ordi-nario della Pontificia Accademia di Teo-logia; membro della Commissione dellaCEI per la Dottrina della fede, l’Annun-cio e la Catechesi; presidente del Comi-tato della Cei per gli Studi Superiori diTeologia e gli Istituti di Scienze Religiose.

È autore di numerosi saggi su rivistespecializzate e di numerose voci in dizio-nari ed enciclopedie teologiche. Tra le suepubblicazioni: L’uomo via fondamentaledella Chiesa, Roma 19893; Chiamati pernome. Antropologia teologica, CiniselloBalsamo 20074; Teologia come esperienzadi Dio. La prospettiva cristologia di KarlRahner, Brescia 1997; L’antropologia cri-stiana tra modernità e postmodernità, Bre-scia 20044; La sfida del post-umano. Versonuovi modelli di esistenza?, Roma 2005;L’identità aperta. Il cristiano e la questioneantropologica, Brescia 2006.

In copertina: Oristano, Seminario Arcivescovile Diocesano

I. SA

NN

A(e

d.) -

Il S

emin

ario

Arc

ives

covi

le d

i Oris

tano

IGNAZIO SANNA (ed.)

Il Seminario Arcivescovile di Oristano

Studi e ricerche sul Seminario (1712-2012)

Volume I

IGNAZIO SANNA (ed.)

Il Seminario Arcivescovile di Oristano

Studi e ricerche sul Seminario (1712-2012)

Volume I

Studi Arborensi, 3

Opera pubblicata col contributodella Fondazione del Banco di Sardegna

Copyright © 2013 Edizioni L’Arborense - Oristano

ISBN 978-88-98418-00-8

Le vicende architettoniche dei seminari sarditra le carte d’archivio sette e ottocenteschedi Marcello Schirru

Architettura ed evoluzione dei seminari moderni

Quanti, oggi, sostengono l’esigenza di rivalutare le politiche riformistesettecentesche nel regno di Sardegna non possono trascurare l’opera dimodernizzazione del sistema scolastico laico e religioso1. Attorno allarifondazione dei seminari diocesani fu scritto un capitolo cardine deiprogrammi socio-economici del giovane stato. Se, poi, l’applicazione diquesti propositi si scontrasse con l’atteggiamento assolutistico e ben po-co illuminato della monarchia sabauda, ciò svela una delle ambiguità ti-piche dell’ultimo ancien regime, comune ad altri paesi europei. La cortesabauda ebbe chiara la valenza strutturale delle scuole diocesane, qualipoli culturali deputati alla formazione della classe dirigente2. Per la Sar-degna, il governo maturò un obiettivo aggiunto: fare di questa vocazionelo strumento di emancipazione dalla cultura iberica, tenacemente colti-vata nei gangli sociali della regione3. Il Ministero per gli affari di Sardegnaseguì con estrema attenzione la rinascita dei seminari; il valsesiano Gio-vanni Battista Lorenzo Bogino4, responsabile del dicastero tra il 1759 edil 1773, mantenne un epistolario costante con le mitre sarde e pianificò lemisure necessarie all’attuazione del difficile obiettivo.

Fino alla rifondazione degli atenei sardi, il modello educativo dei ceti

– 261 –

1 Per le politiche riformiste nel Piemonte e nella Sardegna del ’700, cfr.: G. RICUPERATI, Ilriformismo sabaudo settecentesco e la Sardegna. Appunti per una discussione, in G. RICUPERATI(ed.), I volti della pubblica felicità. Storiografia e politica nel Piemonte settecentesco, Meynier,Torino (1989), pp. 157-202, 177-197; L. BULFERETTI (ed.), Il riformismo settecentesco in Sarde-gna. Testi e documenti per la storia della questione sarda, Editrice Sarda Fossataro, Cagliari1966, pp. 1-48.

2 M. ROGGERO, Scuola e riforme nello stato sabaudo. L’istruzione secondaria dalla Ratio Stu-diorum alle Costituzioni del 1772, Deputazione Subalpina di Storia Patria, Torino 1981.

3 Il fenomeno era ancora evidente a diversi decenni dal distacco ufficiale dalla corona diSpagna (1720), sancito con gli accordi di pace della guerra di successione al trono iberico.

4 Per un approfondimento sulla personalità politica e umana di Giovanni Battista LorenzoBogino, cfr.: G.B. SEMERIA, Storie del Re di Sardegna, Carlo Emmanuele il Grande, II, Tipo-grafia Reale, Torino 1831; G. QUAZZA, Bogino Giovanni Battista Lorenzo, in «Dizionario bio-grafico degli italiani», XI, De Agostini, Roma 1969; F. VENTURI, Il conte Bogino, il dottor Cos-su e i Monti frumentari. Episodi di storia sardo-piemontese del secolo XVIII, in «Rivista storicaitaliana», LXXVI, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1964, pp. 470-506. La biografia det-tagliata del politico è consultabile nel sito Internet: www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-lorenzo-bogino_(Dizionario-Biografico).

dirigenti e intellettuali seguì percorsi collaudati: i collegi, di diversa estra-zione, fornivano i primi rudimenti giovanili; i seminari preparavano l’in-gresso nell’amministrazione pubblica o nella vita religiosa. Le accademiemilitari o le facoltà giuridico-notarili e mediche erano le uniche alternati-ve possibili. In tutti i gradi e ordini scolastici, gli abiti religiosi, ordinario secolari, vestivano la maggior parte dei cattedratici, con la netta predo-minanza gesuitica. Non sono compresi nel novero i tutori privati, an-ch’essi di prevalente estrazione ecclesiastica, assidui frequentatori dei sa-lotti aristocratici5. Di fatto, la rifondazione delle università e dei semina-ri non alterò la situazione descritta: essa fornì il pretesto per disciplinarei percorsi di studio e l’accesso alle professioni6.

Come, e quanto, le iniziative riformiste del governo abbiano inciso-sull’architettura dei seminari sardi, tra la fine del ‘’700 e il primo ’800, èun tema inscindibile dalla moderna evoluzione della cultura progettuale.Alla diffusione degli istituti religiosi, il Concilio di Trento dedicò il 18°canone della XXIII sessione, tenutasi il 15 luglio 15637. Le gerarchie ec-clesiastiche vollero assicurare adeguata istruzione al clero, caldeggiandol’apertura di scuole diocesane presso ciascuna cattedrale, metropolitanao maggiore; alla costruzione degli istituti e per il loro sostentamento, lemense destinarono risorse di varia natura e provenienza: prebende, lasci-ti, spogli, borse di studio. Nessun accenno alla forma degli istituti: l’uni-ca prescrizione fu la vicinanza alla cattedrale o l’individuazione di un luo-go adatto al ruolo e all’immagine dell’istituzione8.

I primi seminari controriformati attinsero idee e soluzioni dalla produ-zione architettonica quattro-cinquecentesca: gli edifici destinati alle gran-di masse, con una certa vocazione multi-funzionale, funsero da modelli pri-vilegiati. In questo senso, l’ospedale maggiore di Milano costituì un auto-revole precedente (figura 1). Disegnato da Antonio Averlino, detto il Fila-

[2] Marcello Schirru

– 262 –

5 Per l’organizzazione degli studi superiori e accademici in Sardegna, nel primo ’700, si ri-manda cfr: R. SCOTH, Gli insegnamenti matematici e fisici nell’Università di Cagliari (1764-1848), in «Annali di storia delle Università italiane», X, CLUEB, Bologna 2006.

Per l’organizzazione dei seminari in Sardegna, cfr: B. MASTINO, Le politiche ecclesiastichesabaude in Sardegna durante il governo del ministro Bogino (tesi di laurea), Università di RomaTor Vergata, Facoltà di lettere e filosofia, Anno Accademico 2007-2008.

Per i territori subalpini, cfr.: M. ROGGERO, Le scuole gesuitiche in Piemonte prima delleriforme di Vittorio Amedeo II, in «Bollettino della Società di studi valdesi», CXXXVIII, Clau-diana Editrice, Torino 1975; M. ROGGERO, Scuola e riforme nello stato sabaudo, cit.

6 M. ROGGERO, Il sapere e la virtù. Stato, università e professioni nel Piemonte del settecen-to, Deputazione Subalpina di storia patria, Torino 1997.

7 E. ISERLOH - J. GLAZIK - H. JEDIN, Riforma e Controriforma. Crisi – consolidamento, dif-fusione missionaria XVI-XVIII secolo, H. JEDIN (ed.), Jaca Book, Milano 2001.

8 SACRA CONGREGATIO DE SEMINARIIS ET STUDIORUM UNIVERSITATIBUS, Seminaria EcclesiaeCatholicae, Città del Vaticano 1963.

rete, nel 1450, e realizzato sotto la direzione di Guiniforte Solari e Gio-vanni Antonio Amadeo, il nosocomio occupò un ampio settore nella peri-feria sud-orientale della capitale meneghina. L’aspetto più interessante è lasuddivisione in settori funzionali indipendenti, disimpegnati da grandi cor-tili porticati (figura 2). Stessa logica caratterizza la corte centrale del pa-lazzo ducale d’Urbino, disegnata dal progettista dalmata Luciano Laurana,al quale, il precedente soggiorno mantovano, nel 1465, consentì lo studiodiretto delle opere albertiane e delle prestigiose fabbriche milanesi9.

C’è tanto dell’estetica milanese nel primo stadio evolutivo delle archi-tetture seminariali: solido il legame con una realtà avvezza tanto alla spe-culazione teorica, quanto alla sperimentazione tecnica; un ambiente nelquale le vicende politiche del ’400 e ’500 stimolarono le inclinazioni in-gegneristiche, siano esse costruttive, militari o urbanistiche. Parliamo diun contesto dominato da una cerchia autorevole di artisti-intellettuali; legrandi fabbriche lombarde rappresentarono occasioni impareggiabili diconfronto, elaborazione, sperimentazione. Il tema delle grandi corti por-ticate occupò i dibattiti, come testimoniano alcune incisioni bramante-sche, i codici leonardeschi e l’applicazione concreta nei nuovi chiostrimeridionali del convento di sant’Ambrogio a Milano, sotto la direzionedello stesso Donato Bramante10.

Non meraviglia se il celebre cardinale lombardo, san Carlo Borromeo,promosse l’inserimento dei porticati nel cuore dei seminari controriformatimilanesi. Il prestigio del personaggio e la sua instancabile attività divulgati-va favorirono la diffusione del modello nei secoli a seguire. Edite postume,nel 1599, le Institutiones ad universum Seminarii regimen pertinentes...11, for-nirono indicazioni preziose sull’organizzazione planimetrica e funzionale de-gli istituti ecclesiastici diocesani.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [3]

– 263 –

9 Per un approfondimento sull’ospedale maggiore di Milano e sul palazzo ducale di Urbi-no, cfr.: P. DE VECCHI - E. CERCHIARI, I tempi dell’arte, vol. II, Bompiani, Milano 1999.

10 Nel primo ’500, l’artista marchigiano maturerà a Roma il modello del cortile ideale conportici, risolvendo brillantemente alcuni nodi irrisolti: ad esempio, la forma migliore per la co-lonna d’angolo. Il cortile del Belvedere, in Vaticano, o il chiostro del convento di santa Mariadella pace sono alcune delle sperimentazioni più note del progettista.

11 Il titolo completo dell’opera è: Institutiones ad universum Seminarii regimen pertinentes, AbIllustrissimo et Reverendissimo D. D. Carolo S. Praxedis Cardinali, Archiepiscopo Mediolani confec-tae, in Acta Ecclesiae Mediolanensis a Carolo Cardinali S. Praxedis Archiepiscopo condita, FedericiCard. Borromaei Archiepiscopi Mediolani iussu Undique diligentius collecta et edita, Milano 1599.

L’opera fu riedita alla fine del XIX secolo con il titolo: Institutiones ad universum Semina-rii regimen pertinentes a Sancto Carolo confectae iussu Federici Card. Borromaei, editae annoMDIC usu Mediolanensis Seminarii iterum eduntur, Milano 1884.

Per l’analisi dettagliata del trattato Borromaico, cfr.: C. MARCHEGIANI, Struttura e immagi-ne del seminario tridentino. Indicazioni sull’edificio dalle origini al settecento, in «Rivista di Sto-ria della Chiesa in Italia», LII, Herder Editrice Libreria, Roma 1998.

Il Borromeo non fu il primo a trattare l’argomento; nel 1565, il reli-gioso Miguel Tòmas Taxaquet, destinato in seguito alla mensa di Lérida,diede alle stampe un trattato dedicato, in maniera significativa, al porpo-rato di Arona. Già in quest’opera viene evidenziato il ruolo cardine delcortile centrale, elemento distributivo del complesso architettonico, at-torno al quale gravitano le attività ricreative. Le aule, aperte anche allacittadinanza laica, occupano il piano terreno del seminario ideale, accan-to all’ingresso, in modo da evitare interferenze con i religiosi alloggiatinell’istituto. Dimensionati per una ventina di studenti, i cameroni confi-nano con le stanze dei docenti e dei prefetti, sì da assicurare il controllodisciplinare sui giovani12.

Alla cerchia intellettuale borromaica, è riconducibile il trattato di ar-chitettura di Pellegrino de’ Pellegrini, detto il Tibaldi, scritto negli ultimianni del ‘500. L’artista valsoldese fu progettista di fiducia del cardinale,per il quale, tra i numerosi incarichi, partecipò alla costruzione del semi-nario maggiore di Milano. Secondo le visioni teoriche di Tibaldi, la cittàideale avrebbe dovuto ospitare un vero e proprio polo ecclesiastico do-tato di identità urbana e funzionale autonome, prossimo alle architetturedi rappresentanza politica e civile. In esso, rientravano: il seminario, lacattedrale, il palazzo vescovile, la canonica e le residenze del clero seco-lare. Confinante con il palazzo del vescovo, l’istituto scolastico racchiu-deva una grande corte porticata, ripresa dal de Architettura di Vitruvio.Le suggestioni evocate dalle logge sono testimoniate dalla distinzione fra:le palestre, caratterizzate da un porticato doppio; le scuole, con un por-ticato su due ordini; il collegio-convitto […] con portici a torno larghi etalti, onde li giovanetti si possono ricreare e sollazare quando sono stanchinel studio […]. Come nel precedente trattato di Taxaquet, Tibaldi di-spose le aule, gli studi del corpo docente, la sacrestia e il refettorio, coni locali annessi, al piano terreno. Nel piano superiore, furono collocati glialloggi per studenti e docenti13.

L’aspetto esteticamente rilevante non è tanto l’organizzazione distri-butiva del seminario, comunque frutto delle moderne esigenze funziona-li, ma l’attenzione rivolta al grande cortile porticato, cardine compositivodi un modello planimetrico ideale. Tibaldi ben conosceva i pensieri ar-

[4] Marcello Schirru

– 264 –

12 Il trattato del Taxaquet fu intitolato: Michaelis Thomasii disputationes quedam ecclesia-sticae. Romae, Ex domo propria. Per un ottimo approfondimento sui contenuti del trattato, cfr.:C. MARCHEGIANI, Struttura e immagine del seminario tridentino, cit.

13 Ivi, p. 79. Il trattato di architettura di Pellegrino Tibaldi è intitolato: Architettura di Pel-legrino de’ Pellegrini Pittore et Architetto. L’opera è attentamente analizzata nel saggio di Cri-stiano Marchegiani.

chitettonici del Borromeo, con il quale condivise la concezione di alme-no due istituti scolastici: il Seminario Maggiore di Milano e l’Almo colle-gio Borromeo di Pavia (figura 3).

Alla morte dell’artista, non si esaurì la predilezione per l’impianto acorte; tanto meno, declinò lo spirito filantropico della famiglia Borro-meo. Il cardinale Federico, cugino di Carlo, elesse un nuovo progettistadi fiducia, Francesco Maria Richino, al quale affidò l’ultimazione del Se-minario Maggiore, dove disegnò lo splendido porticato, e la costruzionedel Seminario Elvetico di Milano. Federico Borromeo perseguì gli obiet-tivi dell’anziano cugino, con l’obiettivo di allestire un centro internazio-nale di cultura religiosa, alter ego degli omologhi progetti vaticani. Nonsfuggirono al porporato le ambizioni del pontefice Pio IV, il quale cal-deggiò la costruzione di due grandi istituti: l’uno a Roma, aperto a tuttele nazionalità; l’altro a Bologna. I due progetti dovettero scontrarsi con lerealtà contingenti: soltanto il seminario romano vide luce, ma la sua sededefinitiva fu completata nel corso del ’600. A Bologna, sopravviveva iltrecentesco collegio di Spagna: un’architettura di riferimento per tuttal’Europa, fino alle novità quattro-cinquecentesche sul tema degli istitutia corte14.

Sotto l’impulso decisivo della famiglia Borromeo, la realtà meneghinapromosse, in tempi rapidi e con piglio risoluto, i dettami conciliari in ma-teria di seminari vescovili. La sequenza e il tenore architettonico degliistituti denota l’influenza culturale e politica dei committenti, le cui ini-ziative non avrebbero avuto successo senza adeguati canali di finanzia-mento. Il prestigio delle architetture decretò l’affermazione del modellogravitante attorno ad una o più corti, su piani sovrapposti. La grandiositàrappresentativa dei fronti urbani e l’elegante leggerezza dei colonnati in-terni definiscono una singolare dualità estetica; questa apparente disso-nanza nasconde i caratteri vincenti del moderno prototipo scolastico.Concretizzando le indicazione del loro mecenate, Tibaldi e Richino con-cepirono una nuova immagine per gli istituti religiosi, destinata a riscuo-tere enorme successo nel panorama internazionale. Il seme di queste spe-rimentazioni germogliò in altre architetture a connotazione religiosa: icollegi gesuitici. Lo stesso Richino diede impulso all’applicazione del mo-dello con il progetto del collegio loyolino di Milano: la corte principale ècircondata da uno stupendo colonnato binato, affine al precedente inter-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [5]

– 265 –

14 Per il collegio di Spagna a Bologna, cfr.: M. KIENE, L’architettura del Collegio di Spagnae dell’Archiginnasio. Esame comparato dell’architettura universitaria bolognese con quella euro-pea, in «Annali di Storia delle Università Italiane», I, CLUEB, Bologna 1997. Il collegio di Spa-gna aveva già introdotto il motivo della corte centrale porticata.

vento nel Seminario Maggiore. In linea con i prototipi planimetrici ge-suitici, il collegio di Brera gravita attorno ad un articolato sistema di cor-tili, ciascuno dotato di funzionalità autonome15.

Le vicende narrate anticipano di due secoli la rifondazione dei semina-ri sardi, uno scarto temporale considerevole, ma insufficiente a scioglierel’eredità tipologica e semantica con le sperimentazioni cinquecentesche.Non mancarono, d’altra parte, gli sviluppi intermedi del tema. Già il Ri-chini, nel primo ’600, introdusse le tensioni dinamiche barocche nel colle-gio Elvetico di Milano, disegnando un fronte concavo ritratto. Tuttavia, nelprimo ’700, giunsero le novità più significative connesse alla maturazionedi un’avanguardia artistica: il gusto per il pittoresco stimolò la fantasia diartisti, aristocratici ed ecclesiastici. I committenti naturali non potevano ri-siedere nelle grandi capitali ove stringenti e necessarie premevano le esi-genze di rappresentanza e monumentalità. Occorrevano nuovi stimoli, einedite prospettive favorite dalla libertà espressiva e dalla rottura deglischemi consolidati: leggerezza, ariosità, stilizzazione divennero i paradigmidi una nuova arte: in una parola il rococò. Le forme planimetriche si apri-rono, i fronti interni persero l’originale introversione per affacciarsi versola città o, meglio ancora, verso il paesaggio.

Non possiamo ritrovare quest’avanguardia nella Roma papale, nellaVenezia dei dogi, nelle grandi capitali europee. La pianura padana, l’Ita-lia meridionale ed insulare, la Mitteleuropa furono i terreni ideali per lanuova arte; un linguaggio pronto ad investire ogni aspetto della società,compresa la forma delle scuole ecclesiastiche.

Il tentativo di adeguare il panorama internazionale dei seminari allacultura estetica emergente non impedì la definizione di regole condivise:una sorta di manuale di buona progettazione. Lo studio, il rigore della di-sciplina e l’esercizio della pietà divennero le tre vocazioni fondamentaliall’interno degli istituti ecclesiastici; a ciascuna di esse, corrisposero spa-zi e funzioni dedicate. Le aule di lezione e la cappella erano gli ambientiprivilegiati della scuola. Gli spazi di vita comune comprendevano: il re-fettorio, dove, durante i pasti, si era soliti leggere le Sacre Scritture ed im-provvisare commenti a soggetto; gli ambienti ricreativi; la biblioteca e glialloggi. Sull’organizzazione di questi spazi, l’illuminismo settecentesco

[6] Marcello Schirru

– 266 –

15 Per l’architettura gesuitica cinquecentesca, cfr.: P. PIRRI, Giovanni Tristani e i primordidell’architettura gesuitica, Institutum Historicum Societatis Iesu, Roma 1955.

Per affinità planimetriche e per la comune destinazione universitaria, si segnala anche ilcollegio gesuitico di Genova, disegnato, nel primo ’600, dal progettista Bartolomeo Bianco;cfr.: G. COLMUTO ZANELLA - E. DE NEGRI, L’architettura del Collegio, in AA.VV., Il Palazzodell’Università di Genova. Il Collegio dei Gesuiti nella strada dei Balbi, Università degli Studidi Genova, Genova 1987, pp. 209-275.

porterà novità significative, non ovunque applicate con egual misura. Ab-bandonati i cameroni “alla cappuccina”, nei quali trovarono riposo fino aventi seminaristi, si profilò una maggiore attenzione per l’intimità e l’igie-ne, dimensioni umane figlie delle coeve speculazioni sociologiche. Glispazi rimanenti ospitavano le attività individuali: alloggi per il personale,uffici, cucine, depositi.

Nel 1737, troviamo un interessante esempio nel seminario arcivesco-vile di Bari, ridisegnato da Domenico Antonio Vaccaro16 (figura 4). L’ar-tista napoletano non si limitò a rivestire il fronte principale dell’istitutocon i caratteristici stucchi rococò, ma concepì una forma planimetricaaperta verso la città. Due ali sporgenti si protendono in un ideale ab-braccio alla cittadinanza. Gli indubbi contenuti semantici non sono l’uni-co elemento interessante delineato dal Vaccaro; il progettista mutò il con-sueto rapporto edificio-intorno urbano. Interno ed esterno dialogano instretta simbiosi, secondo una visione estetica settecentesca intrisa di va-lenze pittoresche e paesaggistiche. Manca, nel seminario barese, il con-tatto con la campagna, all’epoca non distante; tuttavia, si può scorgereuna netta modernizzazione di pensiero.

Il pittoresco è una vocazione estetica da tener ben presente nell’analisiarchitettonica dei seminari sardi: alcune fabbriche, tra ’700 e primo ’800,ricercheranno l’interazione con il paesaggio circostante, con risultati, al-meno nelle pieghe iniziali, superiori all’esempio barese. D’altra parte, nonpossiamo trascurare l’origine piemontese dei protagonisti coinvolti neiprogrammi edilizi delle diocesi sarde. Sondare i territori subalpini, alla ri-cerca di fabbriche seminariali settecentesche, può fornire indicazioni pre-ziose sulle conoscenze e sulle fonti d’ispirazione di questi personaggi.

Nel quindicennio del ministero boginiano, ricade la costruzione del se-minario vescovile di Asti, su progetto dell’architetto di corte Benedetto Al-fieri17 (figura 5). L’esempio è quanto mai pertinente, data la celebritàdell’autore, punto di riferimento per i giovani progettisti sabaudi, e il suorapporto con uno dei protagonisti dell’architettura settecentesca sarda:

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [7]

– 267 –

16 Per le vicende del seminario arcivescovile di Bari, cfr.: R. BUONO, L’antico Seminario Ar-civescovile di Bari: contributo alla conoscenza di un’opera di Domenico Antonio Vaccaro, in L.MORTARI (ed.), Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia, II, Schena Editore, Fasano 1984, pp. 129-240. M. TRIGGIANI, Il palazzo dei vescovi: riflessioni preliminari sulle fabbriche dell’Episcopio diBari, in L. DEROSA - C. GELAO (edd.), Tempi e forme dell’arte. Miscellanea di studi offerti a Pi-na Belli D’Elia, Claudio Grenzi Editore, Foggia 2011, pp. 216-227.

17 Per la vicenda architettonica del Seminario di Asti, cfr.: R. MADARO, Il seminario di Asti,in M. MACERA (ed.), Benedetto Alfieri. L’opera astigiana, Lindau, Torino 1992, pp. 303-315.Nel 1739, il canonico Bernardino Isnardi scrisse un saggio con le regole funzionali da adotta-re nel seminario di Asti; cfr.: B. ISNARDI, Regolamento in lingua italiana del 1739, Asti 1739.

Giuseppe Viana18. Negli anni in cui l’Alfieri lavorò nella fabbrica astigiana,Viana prestò servizio, in qualità di disegnatore, nello studio del noto mae-stro.

Vale la pena osservare alcuni elementi del seminario alfieriano, ripro-posti negli omologhi progetti realizzati in Sardegna. La scuola astigianagravita attorno ad un’ampia corte porticata, aperta su un lato, figlia dellenote sperimentazioni cinquecentesche. È difficile intravedere, nelle scelteplanimetriche dell’Alfieri, velleità paesaggistiche: le carte urbane ottocen-tesche e attuali mostrano il fronte libero del seminario a breve distanza daaltri edifici. Tuttavia, l’ariosità della concezione spaziale lascia intravvede-re un’eleganza e un purismo formale guidati da moderni principi igienico-sanitari. Ciò è confermato dalla tipologia degli alloggi, nel primo piano:non più cameroni comuni per gruppi nutriti di seminaristi, bensì stanzeper singoli ospiti o per pochi residenti. Fu questa un’innovazione signifi-cativa; il segnale di una moderna etica del progetto, attenta alle istanze so-ciali e pedagogiche, promosse dalla cultura illuminista transalpina. In Sar-degna, occorreranno sessant’anni per vedere applicate queste teorie, incampo ospedaliero e scolastico: sarà Giuseppe Cominotti, nel 1829, ad uti-lizzare per la prima volta il tema degli alloggi singoli nel seminario arcive-scovile di Oristano. Non fu il primo a proporla: negli anni ’70 del ’700, ilcollega Giuseppe Viana ipotizzò una soluzione analoga per l’istituto arbo-rense, non attuata per le ragioni che analizzeremo.

Non da ultimo, il seminario di Asti anticipò alcune soluzioni estetico-funzionali riproposte negli istituti diocesani di Cagliari ed Oristano. L’an-drone d’ingresso coperto con cupolini circolari ed ellittici compare nelletavole di progetto del seminario cagliaritano. Il corpo scale a tenaglia,suddiviso in blocchi funzionali, caratterizzò una delle proposte architet-toniche per la riorganizzazione del seminario arborense.

All’Alfieri e ai progettisti sabaudi settecenteschi, non potevano sfug-gire le vicende di un’altra fabbrica ecclesiastica, i cui contorni non sonotuttora chiariti: il seminario arcivescovile di Torino19. Dopo un lungo pe-regrinare tra diverse sedi provvisorie, nel secondo decennio del ’700,

[8] Marcello Schirru

– 268 –

18 Per l’attività di Giuseppe Viana in Sardegna e per la bibliografia dedicata al personag-gio, si rimanda alle note successive.

19 Per la frammentaria cronaca costruttiva del seminario arcivescovile, si rimanda al sito In-ternet della Facoltà Teologica di Torino, la cui sede è ospitata nell’antico istituto; il sito ripor-ta le principali fonti archivistiche note sulla fabbrica; cfr.: www.teologiatorino.glauco.it/ho-me_page/notizie_storiche/00000191_IL_NUOVO_SEMINARIO_1711_1733. html

Tra le opere bibliografiche, cfr.: L. TAMBURINI, Le chiese di Torino da rinascimento a ba-rocco, Edizioni Angolo Manzoni, Torino 1968, pp. 351-355; A. BELLINI, Benedetto Alfieri,Electa, Milano, 1978.

l’istituto diocesano trovò definitiva collocazione vicino alla cattedrale disan Giovanni. L’acquisto delle abitazioni ricadenti nell’area e l’imponen-za della scuola determinarono il lungo protrarsi dei lavori: le opere con-clusive risalgono agli ultimi decenni del secolo. Benché dotata di minoreleganza architettonica rispetto alla sede astigiana, la scuola vantava mag-gior prestigio, dettato dall’essere l’istituto arcivescovile della capitale.Forse non fu casuale l’ubicazione alle porte dell’ampliamento urbanotracciato, pochi anni dopo, dal più autorevole binomio di progettisti sul-la piazza sabauda: Filippo Juvarra e Gian Giacomo Plantery. I due artistinon poterono richiedere il rispetto delle linee estetiche da loro concepi-te per le residenze aristocratiche del nuovo piano: la fabbrica arcivesco-vile era già avviata quando i progettisti intrapresero il complesso proget-to urbano. Il contributo juvarriano, nelle fasi avanzate del seminario to-rinese, attende necessarie conferme archivistiche, finora mai pervenute;analogo discorso per Plantery la cui partecipazione all’impresa non è sta-ta neanche ipotizzata. Le fonti documentarie chiamano in causa il pro-gettista Pietro Paolo Cerutti, del quale si conserva una citazione riferitaal disegno del portale d’ingresso. Siamo di fronte ad una campagna edi-lizia di enorme portata, economica e architettonica: un mosaico fram-mentario, le cui tessere mancanti riposano tra le carte d’epoca non anco-ra esplorate. L’unico dato certo è il progredire dell’imponente fabbricaarcivescovile per tutto il ’700, un tempo sufficiente a calamitare l’interes-se di diverse generazioni di progettisti.

Se il seminario arcivescovile di Torino fu, a lungo, un’opera incompiu-ta, non altrettanto si può affermare per altri grandi istituti scolastici dellacapitale: il collegio dei nobili e l’università degli studi. Amministrato dallaCompagnia di Gesù, il collegio accolse i rampolli dell’aristocrazia, prepa-randoli all’ingresso in società e agli studi superiori, fossero essi di estrazio-ne laica, militare o ecclesiastica20. Il complesso architettonico, prospicien-te il palazzo Carignano, sorse con ambizioni grandiose, rinvigorite dal so-stegno della duchessa Maria Giovanna di Savoia Nemours: nelle idee del

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [9]

– 269 –

20 Per il collegio dei nobili di Torino, cfr.: G. DARDANELLO, Il Collegio dei Nobili e la piaz-za del principe Carignano (1675-1684), in G. ROMANO (ed.), Torino 1675-1699. Strategie e con-flitti del Barocco, Cassa di Risparmio di Torino, Torino 1993, pp. 175-252. A. MARTINELLI - C.PORCU SANNA, Maria Giovanna di Savoia Nemours: vita, ambizioni e intrighi di una reggente delseicento, Simonelli, Milano 2003.

In altre città, ad esempio a Milano, il collegio dei nobili ospitò un teatro per rappresen-tazioni a carattere religioso. Il particolare potrebbe essere rilevante alla luce delle complesse vi-cende del seminario di Cagliari e del complesso culturale del Balice.

Per il collegio dei nobili di Milano, cfr.: A.M. CASCETTA - G. ZANLONGHI, Il teatro a Mi-lano nel settecento, vol. I, V&P, Milano 2008, p. 300.

progettista, il padre Carlo Maurizio Vota, l’istituto avrebbe ospitato lascuola, un seminario gesuitico e una chiesa. Del grandioso programma edi-lizio, intrapreso nel 1679, fu realizzata una parte, comunque imponente; lafine dei lavori risale al secondo decennio del ’700, sotto la direzione delprogettista Michelangelo Garove. Alcuni connotati architettonici del col-legio sono essenziali per comprendere l’evolversi dei seminari sardi. Comenegli istituti di Bari ed Asti, la scuola gesuitica ha una forma aperta, curio-samente senza porticati, nella quale è possibile scorgere il modello di rife-rimento per il seminario di Oristano. Come vedremo in seguito, le affinitàtra i due istituti sono legate all’enigmatico gesuita padre Emanuele Rove-ro, autore del primo ampliamento del seminario arborense, in precedenzarettore della prestigiosa scuola torinese. Un’altra caratteristica del collegiodei nobili fu l’organizzazione degli alloggi in grandi camerate comuni, scel-ta ripresa in buona parte dagli istituti diocesani della Sardegna.

Mentre Michelangelo Garove diresse la costruzione del collegio deinobili, si dedicò al progetto dell’università degli studi di Torino21. La fon-dazione dell’ateneo sabaudo è un avvenimento fondamentale per com-prendere i connotati estetici dell’architettura civile sarda del tardo ’700.I legami con il polo culturale cagliaritano, al cui interno troverà sede ilnuovo seminario arcivescovile del capoluogo, sono chiari e diretti. Lasplendida corte, attorno alla quale gravita il complesso accademico garo-viano, è suddivisa in due ordini di logge, modellate con impareggiabilegrazia rococò dai decoratori subalpini: una sintesi di influenze alpine,lombarde e liguri di rara forza espressiva.

Senza questa necessaria premessa, non è semplice comprendere l’ori-gine estetica e semantica dei seminari della Sardegna. Costruite e rifor-mate tra la fine del ’700 ed il primo ’800, le scuole diocesane testimonia-no un approccio inedito al problema dell’educazione e il tentativo di for-nire una prima, coerente, interpretazione in chiave architettonica.

I seminari sardi nel ’700

Attenersi alla sequenza cronologica delle fabbriche è il metodo mi-gliore per illustrare la cronaca architettonica dei seminari sardi e i perso-naggi coinvolti nei diversi progetti. Gli esordi dei maggiori istituti si per-dono nel lontano ’500, con vicende non dissimili dalle altre diocesi euro-

[10] Marcello Schirru

– 270 –

21 Per le vicende architettoniche dell’università degli studi di Torino, cfr.: R. BINAGHI, Unafabbrica non men decorosa che comoda. Il Palazzo dell’Università, in «Annali di Storia delle Uni-versità Italiane», V, CLUEB, Bologna 2001.

pee. Alle difficoltà iniziali, rinfocolate dall’esigenza di rispettare i canonitridentini, si dovette far fronte con i pochi mezzi disponibili. Talvolta, siallestirono sedi provvisorie; laddove non non venne meno l’auspicata mo-numentalità, l’ubicazione nel cuore del centro storico garantì un certogrado di autorevolezza all’istituzione.

Tuttavia, è scorretto avanzare giudizi netti sugli antichi seminari dellaSardegna. Troppo tempo è trascorso dalla loro inaugurazione; scarse, pernon dire inesistenti, le testimonianze sulle prime architetture degli istitu-ti. Le primitive sedi sono state sostituite da fabbriche moderne, cancel-lando qualsiasi traccia delle preesistenze.

Ciò non può precludere, ovviamente, l’attenta valutazione delle rifor-me settecentesche. Le campagne edilizie furono un evento di rara porta-ta. La nuova immagine dei seminari, ma più in generale dell’architetturasettecentesca in Sardegna, svelò i contenuti di un’avanguardia inarresta-bile: nel volgere di tre decenni, l’estetica piemontese investì i vari livellidella società abbiente: ecclesiastica, nobiliare, borghese. In questo scena-rio, i seminari occupano un ruolo centrale; una singolare mescolanza digrandiosità e ricerca rococò è la cifra estetica di una campagna edificato-ria senza precedenti.

Analogo discorso per le fabbriche ottocentesche: il sopraggiungere diuna nuova moda, l’estetica positivista, cancellò i rimasugli della tradizio-ne rococò. Gli ultimi seminari adottarono questo linguaggio, talvolta coninteressanti ricerche sul piano urbano.

Il seminario arcivescovile arborense

L’istituto ecclesiastico oristanese fu la prima scuola diocesana sardasottoposta ad interventi architettonici rilevanti nel ’700 quando ancora ilregno Sardegna faceva parte della corona di Spagna. Del primitivo nu-cleo, realizzato nel 1712, si conosce ben poco. I giovani seminaristi ori-stanesi erano soliti frequentare l’antico collegio gesuitico di Sassari, fon-dato nel 1619 dall’arcivescovo arborense Antonio Canopolo. Preoccupa-to per il clima malsano della laguna oristanese, il prelato pensò di trova-re miglior riparo nella sua città natale, riservando almeno tre posti del na-scente istituto ai giovani della diocesi di Oristano.

Il primo incedere del secolo non fu un periodo facile per l’architet-tura oristanese. Sull’arte sarda, in cerca di un’identità definita e sospin-ta dalle visioni avanguardistiche delle diocesi, pesava la lenta assimila-zione delle novità estetiche e costruttive provenienti dalla penisola ita-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [11]

– 271 –

liana. Tali incertezze sono testimoniate dalla difficoltà di reperire un pro-gettista adeguato per il rinnovamento della cattedrale oristanese22; non ful’imperizia degli artigiani lagunari a preoccupare l’arcivescovado, difettotutt’altro che dimostrato, quanto l’inadeguatezza ad applicare un lessicoa loro sconosciuto. Il prelato in carica, Antonio Nin, ambiva a rinfresca-re l’immagine della mitra, promuovendo un’estetica nuova, dinamica evicina ai dettami tridentini. Per le ragioni indicate, i progettisti locali nonfornirono sufficienti garanzie a differenza dei colleghi nord-italiani, pre-scelti dalle curie sarde per la ricostruzione delle rispettive cattedrali. Co-sì, alla prematura scomparsa del muratore Salvatore Garrucho, autoredel primo modello a tre navate per il duomo arborense, subentrò il lom-bardo Giovanni Battista Reti, con il più consono impianto mono-navata.La proposta finale e la nomina del Reti rivelano la difficile convergenzaculturale tra le corporazioni sarde e i titolari delle mitre. Diversi puntiattendono una lettura più accurata: il ruolo ambiguo della commissionedi valutazione, composta dall’ingegnere militare piemontese Antonio Fe-lice de Vincenti e da altri due ufficiali del corpo d’artiglieria, nonché ilrichiamo in Piemonte dello stesso de Vincenti prima dell’ingresso in sce-na del Reti23.

La ricostruzione della cattedrale costituì il momento culminante di unprogramma edilizio complesso, inaugurato con la rifondazione del semi-nario diocesano, nel 1712. Permane il mistero sul destino dell’episcopio,

[12] Marcello Schirru

– 272 –

22 M. MANCONI DE PALMAS, La chiesa di santa Maria cattedrale di Oristano, in «QuaderniOristanesi», V-VI, Editrice Sa Porta, Oristano 1984, pp. 61-62.

23 Ivi, pp. 61-62- S. NAITZA, Architettura dal tardo ’600 al classicismo purista, Ilisso, Nuo-ro, 1992, pp. 67-77.

Le vicende legate alla ristrutturazione della cattedrale oristanese non sono chiare; così co-me l’abbandono repentino del progetto già approvato a favore dello schema planimetrico mo-nonavato. In assenza di fonti a riguardo, non è stato possibile comprendere il reale coinvolgi-mento dell’ingegnere Antonio Felice de Vincenti, il cui richiamo provvisorio a Torino anticipòla stesura del nuovo progetto e l’affidamento della fabbrica al costruttore Giovanni Battista Re-ti. L’ufficiale lasciò un’idea architettonica dettagliata, un vero e proprio progetto, o si limitò adindicare un responsabile di fiducia, le cui competenze già aveva sperimentato nella piazza diAlghero? A questi interrogativi, si aggiunga la totale assenza di informazioni sul ruolo degli al-tri componenti la commissione, il generale Castellalfiere e il conte Moreta, anch’essi progetti-sti militari.

Per la figura di Giovanni Battista Reti, cfr.: G. CAVALLO, Maestranze intelvesi in Sardegnatra il XVII e il XVIII secolo, in «La Valle Intelvi», XII, san Fedele Intelvi (Co) 2009, pp. 149-151. Nei documenti d’archivio, Giovanni Battista Reti è citato come Ariety. Il suo cognome ri-manda ad una nota famiglia di artisti, originaria della “regione dei laghi”, al confine tra Italiae Svizzera, terra natale di decine di artisti attivi in tutta Europa fin dall’alto-medioevo. La lo-ro presenza in Sardegna è registrata dalla fine del ’500. Impegnato nel ridisegno delle fortifi-cazioni di Alghero, il Reti ben conosceva i progettisti governativi, cui competevano i cantierimilitari della città catalana. Qui si distinse per la costruzione della sacrestia della cattedrale.

apparentemente ai margini dell’articolato programma edilizio concepitodall’arcivescovo Francesco Masones Nin, già fondatore del seminario diAles. Gli interventi nella cattedrale e la ricostruzione dell’istituto dioce-sano non furono iniziative disgiunte; esse denotano la volontà di pro-muovere un’immagine moderna per il capitolo arborense. Un program-ma condizionato dalla situazione finanziaria, sulla quale, è bene ricordar-lo, pesò l’assenza di finanziamenti statali. I sogni dell’arcivescovo Nin fu-rono rimandati, in attesa di tempi migliori: occorrerà oltre un secolo pervederli appagati, sotto la reggenza dell’arcivescovo Giovanni Maria Bua.

Il primo nucleo del seminario arcivescovile è, oggi, illeggibile, nono-stante l’edificio si presenti con le superfici murarie libere dagli intonaci.Ciò testimonia la probabile demolizione in occasione dei successivi am-pliamenti. Non doveva trattarsi di una sede sontuosa: le tavole del tardo’700 raffigurano un edificio modesto rispetto alla configurazione otto-centesca. Fortunatamente, le fonti d’archivio vengono in nostro soccorsodescrivendo, almeno sommariamente, l’interno dell’istituto. Secondo unarelazione descrittiva, preludio all’imminente ristrutturazione, l’edificioospitava quattro camere, tre delle quali destinate ai seminaristi ed una alrettore, oltre al refettorio; nel piano terreno, erano ubicate le officine. Visoggiornavano sei seminaristi a spese dell’istituto; gli eventuali convittoriavrebbero pagato la pigione di 25 scudi sardi annui per il vitto. Pur conquesta forma dimessa, l’istituto rispettò il noto canone tridentino dedica-to all’organizzazione dei seminari. Fino ad allora, ben pochi studenti spo-sarono l’accesso alla vita secolare, come amaramente rimarcò il compila-tore. Una nota illustrò le potenzialità economiche della diocesi, onde at-tingere fondi per la futura fabbrica del seminario: la relazione indica l’im-porto annuo delle rendite e dei benefici, pari ad 853 lire24.

Dalla relazione, emerge un quadro tutt’altro che roseo, specchio diuna povertà di mezzi presunta e di intenti vocazionali disarmanti. A que-sto, si aggiunga la nota insalubrità del clima lagunare, le cui acque sta-gnanti alimentarono il temuto pericolo della malaria. Quanto detto spie-ga perché le attenzioni riformatrici del governo si siano concentratesull’impresa oristanese. Sulla carta, la diocesi garantiva esiti ben più lu-singhieri: era la provincia ecclesiastica più estesa, con oltre sessanta par-rocchie. Se, a ciascuna di esse, fosse stata riservata una “piazza” nel se-minario, gli introiti della scuola sarebbero incrementati in modo consi-derevole. Potenziato il materiale umano e il corpo docente, con persona-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [13]

– 273 –

24 Archivio di Stato di Torino (in seguito A.S.To), paesi, Sardegna, materie ecclesiastiche,categoria 7, mazzo 2, n. 4.

le scelto ed autorevole, i programmi di studio avrebbero forgiato intel-lettuali di buona levatura.

Ecco spiegato l’arrivo ad Oristano del gesuita Emanuele Rovero, pa-dre visitatore della Compagnia di Gesù, giunto in Sardegna nel 1766. Do-po la reggenza dell’arcivescovo Luigi Emanuele del Carretto di Camera-na, al quale fu erroneamente attribuita la ricostruzione del seminario ori-stanese, è il padre Rovero la figura apicale nelle vicende architettonichedell’istituto. Colto e versato nelle discipline matematiche, il gesuita in-carna l’archetipo dell’intellettuale illuminista: distaccato dalla mondanità,quanto competeva alla veste ecclesiastica, ma attento agli sviluppi delpensiero positivista. La sua carriera di docente e confessore si svolse aTorino, tra le aule prestigiose del collegio dei nobili, dove meritò la cari-ca di rettore, e del collegio gesuitico dei santi Martiri25.

Invero, l’arrivo del padre Rovero in Sardegna coincise con un perio-do difficile per il suo Ordine religioso. Minacce di scioglimento della So-cietà di Gesù cominciavano a spirare in tutta Europa; nell’ottica di ita-lianizzazione del territorio, la provincia di Sardegna fu sottratta alla dire-zione spagnola della Compagnia e annessa all’amministrazione romana.Ciò non impedì alle autorità di governo, in primis al ministro Bogino, diintuire l’autorevolezza del personaggio e di applicarne le competenze e lapersonalità a vantaggio della monarchia.

Come gran parte dell’aristocrazia settecentesca, padre Rovero era pra-tico d’architettura; al pari della poesia e della musica, i discorsi sull’arteallietavano, di frequente, i salotti della nobiltà. Per giunta, il religiosovantava competenze matematiche riconosciute, all’epoca comprendentistudi di statica muraria, fisica dei corpi e idraulica. Non era un progetti-sta di formazione, ma, in una fase di transizione normativa, tesa a rego-lamentare l’accesso alle professioni, il suo profilo ben si adattò alla com-plessa realtà sarda; dove, per altro, il mai sopito spirito filo-spagnolo, ri-chiedeva misurate doti diplomatiche.

Il progetto del seminario tridentino delineato dal padre Rovero è notoper via indiretta, attraverso una tavola del 1779, disegnata dall’architettoGiuseppe Viana (figura 6), di cui tratteremo a breve, e i carteggi relativi allafabbrica26. Raffigurato per il solo piano interrato, l’edificio corrisponde alle

[14] Marcello Schirru

– 274 –

25 Per il profilo biografico del padre Emanuele Rovero e per il suo coinvolgimento nellarifondazione del seminario arborense, cfr.: G. PAZZONA, Giuseppe Cominotti. Architetto e pit-tore (1792-1833), Carlo Delfino Editore, Sassari 2011, pp. 99-102; 121.

26 Archivio Storico del Seminario Arcivescovile di Oristano, Pianta del piano terreno dellaFabbrica del seminario, fasc. 754, n. 1. La tavola è stata pubblicata dallo storico Giuseppe Paz-zona; cfr.: G. PAZZONA, op. cit., p. 102.

porzioni mediana ed orientale dell’attuale istituto; manca l’ala occidentale, lecui murature sono tracciate con leggero segno di matita, forse per la consa-pevolezza della loro futura realizzazione. Non conosciamo la distribuzionedegli ambienti nei livelli sovrastanti; la disposizione delle murature maestredelinea uno schema planimetrico a C, con il fronte aperto rivolto alla cam-pagna. Nonostante la veste incompleta, pare già chiara la forma finaledell’istituto, il cui compimento avrà luce nel 1829, con l’architetto Giusep-pe Cominotti.

Il padre Rovero contribuì in maniera determinante a rinnovare l’im-magine del seminario arborense. Pur non dirigendo la ricostruzione del-la scuola, il gesuita concepì il primo e vincolante nucleo del complessoecclesiastico. Le competenze architettoniche lo tennero al corrente suimoderni istituti diocesani, in Piemonte e oltre i confini del regno di Sar-degna. Le valenze paesaggistiche della forma aperta e il gusto per il pit-toresco, così vivo nell’immaginario alto-locato dell’epoca, permeanol’idea progettuale del dotto religioso. A questa vocazione sono votate laforma aperta del fabbricato e la grande terrazza retrostante, un tempo ri-volta verso il panorama. Da questo punto di vista, le campagne oristane-si offrivano un felice appagamento per la vista e per l’animo dei futuri se-minaristi. I propositi del Rovero dovettero scontrarsi con le contingenzedel cantiere e con l’imperizia dei costruttori chiamati ad attuare l’interes-sante progetto. La stessa direzione della fabbrica si rivelò un pesante far-dello per le autorità: non potendo far conto sul religioso, impegnato neldelicato incarico di visitatore, furono reclutati i pochi esperti sul campo;le carte d’epoca denunciano la preoccupante inadeguatezza dei capima-stri e l’opportunità di coinvolgere il canonico Cherchi, unico, ed ignoto,competente di fabbriche d’architettura27.

Non sappiamo come siano proceduti i lavori. Di certo, non mancaro-no gli errori costruttivi, le cui conseguenze si protrassero fino al 1778quando gli incartamenti relativi al seminario arborense furono trasmessiad uno dei più celebri progettisti piemontesi della seconda metà del ‘700:Carlo Andrea Rana28. Il Congresso degli Edili era la commissione prepo-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [15]

– 275 –

27 A.S.To, paesi, Sardegna, materie ecclesiastiche, categoria 7, mazzo 2, n. 4. Tra i capima-stri, si fecero i nomi di alcuni artigiani sassaresi: i muratori Giraldi e Santo; si parlò anche diun costruttore forestiero chiamato Gianni.

28 Non esiste alcuna biografia dedicata a Carlo Andrea Rana. Per un breve profilo del per-sonaggio, cfr.: C. BRAYDA - L. COLI - D. SESIA, Ingegneri e architetti del sei e settecento in Pie-monte, in «Atti e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e architetti in Torino», Stam-peria Artistica Nazionale, Torino 1963, p. 59; N. CARBONERI, Mostra del barocco piemontese.Architettura, in «Catalogo edito dalla città di Torino», vol. I, Arti Grafiche fratelli Pozzo, Torino 1963, pp. 79-80 e tavv. 182-183.

sta all’approvazione dei progetti di architettura civile e religiosa nel regnodi Sardegna e Rana fu un autorevole componente. In questa veste, esa-minò i progetti del seminario inviati da Oristano: il nodo ancora irrisoltoriguardava la scala di collegamento tra i vari livelli della scuola; un evi-dente errore costruttivo aveva ridotto i percorsi interni e con essi la su-perficie da destinare alle rampe.

D’altra parte, il coinvolgimento di Carlo Andrea Rana non ebbe loscopo di interpretare gli errori commessi, dei quali le autorità erano benconsce29, quanto di capire la soluzione da intraprendere. I due anni di se-de vacante, seguiti alla morte del prelato Antonio Romano Malingri, nel1777, spinsero le autorità governative ad incaricare un responsabile vici-no, per residenza e pensiero, alla corte e al Ministero. A ciò si aggiunga,il licenziamento del ministro Bogino, nel 1773, inviso al nuovo monarcaVittorio Amedeo III, dal quale non ottenne la conferma al suo dicastero.In sostanza, il periodo compreso tra il 1770 ed il 1780 inaugurò una se-quenza negativa di avvenimenti e significativi ritardi nella fabbrica del se-minario arborense.

Il primo a tentare un rimedio efficace fu lo stesso arcivescovo Malin-gri, salito al soglio arborense nel 1772, il quale nei quattro anni del suomandato, confidò nell’assistenza dei progettisti più qualificati allora pre-senti in Sardegna. La scelta, dettata dalla volontà di dare una scossa allasituazione di stasi, avrebbe forse esautorato i responsabili della fabbrica.Eppure, la ferrea determinazione del prelato aprì la strada ad un nuovointrigante progetto, inapplicabile senza l’ausilio di attori adeguati: ridise-gnare l’immagine dell’intero complesso arcivescovile, coinvolgendo il se-minario, la cattedrale e l’episcopio.

Il primo di questi protagonisti fu l’ingegnere Giovanni Francesco Da-risto, responsabile dei cantieri governativi in Sardegna. Arruolato nel cor-po d’artiglieria, con il grado di capitano tenente, l’ufficiale giunse a Ca-gliari nel 1772, in sostituzione del collega Francesco Domenico Perini30.I giudizi sulle attitudini del Daristo non furono lunsighieri, minati dal ca-rattere collerico e dalla schiettezza, mai apprezzati da quanti pretendeva-no disciplina e doti diplomatiche. Analizzando il personaggio con il di-

[16] Marcello Schirru

– 276 –

29 Si veda, a tal proposito il dispaccio del ministro Giovanni Lorenzo Bogino: A.S.Ca, Re-gia Segreteria di Stato, I serie, vol. 40, c. 188.

30 Il profilo di Giovanni Francesco Daristo è stato appena abbozzato dalla critica. Per l’uni-ca biografia del personaggio, cfr.: R. PIRAS, Ingegneri militari piemontesi in Sardegna, DaristoGiovanni Francesco, in «Professione Ingegnere. Bollettino dell’Ordine degli Ingegneri dellaProvincia di Oristano», XXXIII, XXXIV, Ordine degli Ingegneri Oristano, Oristano 1997-1998. Lo scrivente ha dedicato diversi approfondimenti all’ingegner Daristo nella sua produ-zione bibliografica, per i quali si rimanda alle note seguenti.

stacco dello storico moderno, non possiamo trascurare il contributo delDaristo alla diffusione dell’arte rococò in Sardegna. Egli dimostrò ottimequalità, come progettista, disegnatore e responsabile delle fabbriche sta-tali, non disdegnando di cimentarsi in incarichi dall’elevato tenore arti-stico. L’ingegnere sabaudo inaugurò, in Sardegna, una nuova scuola diesperti: non più votati esclusivamente al disegno e alla concezione archi-tettonica, capitoli irrinunciabili del bagaglio professionale, ma portatoridi nozioni e tecniche moderne, denotate dalla formazione da ingegnereidraulico.

In questa veste, Giovanni Daristo entrò in contatto con l’arcivescovoMalingri: nel 1773, l’ufficiale fu incaricato di consolidare gli argini del Tir-so, nel tratto prossimo all’abitato di Oristano31. Approfittando del sog-giorno in laguna, e forse su pressione del prelato, il viceré Filippo Ferrero,marchese de la Marmora, gli richiese un’ispezione nel cantiere del semina-rio tridentino32. Come detto, le mire del Malingri erano piuttosto ambizio-se; quantunque basilare, la riforma dell’istituto fu la prima fase di un am-pio programma. Nel volgere di pochi mesi, il prelato affidò al Daristo la ri-strutturazione della residenza arcivescovile e radicali interventi all’internoe all’esterno della cattedrale, tra cui il disegno del nuovo altare marmoreonel presbiterio e il disegno della nuova cella campanaria. È interessante ri-portare le raccomandazioni rivolte all’ufficiale, in procinto di recarsi adOristano: […] Li riflessi dello stesso Sig. Vicario eccitati intorno al Santua-rio e la Cappella di S. Giovanni Nepomuceno, ed alle riparazioni necessariealle altre Cappelle, li ho confidati al Sig. Capitano Ingeg.e affinché gli abbiapresenti, allor quando passerà in Oristano per le incombenze appoggiategli incoerenza del R.o Biglietto dei 2 7mbre, e della Memoria del P. Rovero [...]33.In questo contesto, l’elemento significativo è la Memoria consegnatagli dalpadre Rovero, prova del rapporto diretto tra i due personaggi e della co-mune attenzione verso i cantieri oristanesi. Guadagnati i favori del capito-lo di Oristano, le prospettive parvero rosee per l’ingegner Daristo: si pro-filò quel genere di incarichi tanto agognati dai progettisti di governo, in-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [17]

– 277 –

31 Archivio Storico di Cagliari (in seguito A.S.Ca), Regia Segreteria di Stato, I serie, vol. 45,cc. 335-338.; vol. 298; vol. 475, cc. 15, 179, 180, 215. A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II se-rie, vol. 1398 (Lavori Pubblici - Strade e Ponti, Provincia di Oristano), cc. 3-4, 10-11, 12, 20-25, 120-123, 446-447,

32 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, I serie, vol. 298, dispaccio del 4 marzo 1774. […] Nel-la settimana prossima partirà questo Sig. Cap.no Ing.e Daristo per Oristano all’oggetto di visitarela fabbrica di quel Seminario, e di concerto con Monsig.e proporre ciò, che stimerassi più conve-niente per proseguirlo in proporz.e dè fondi, che ancor vi restano […].

33 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, I serie, vol. 297, dispacci del 22 gennaio 1773 e 15 ot-tobre 1773.

trigante sfogo dalle grigie mansioni di servizio ed imperdibile occasioneper ottenere avanzamenti di grado. L’ufficiale non poté immaginare qualidifficoltà avrebbe affrontato negli incarichi oristanesi; quanta attenzioneavrebbero calamitato i precari argini del Tirso, frequente causa di esonda-zioni, o i fragili ponti di attraversamento. Poco inclini ad assecondare ledistrazioni extra governative degli ufficiali progettisti, le autorità intimaro-no al Daristo di dedicarsi al principale incarico di servizio: la manutenzio-ne delle fortificazioni sarde, relazionando un preciso consuntivo alla corte.Su queste mansioni, di per se gravose, incomberono le operazioni di regi-mentazione fluviale, ragione principale del suo invio in Sardegna. Era unfardello troppo pesante per ipotizzare la gestione in esclusiva delle rima-nenti fabbriche; occorrevano validi collaboratori. Ovviamente, la corte co-nosceva questa situazione: con notevole lungimiranza e perspicacia, le au-torità accordarono i favori a due personaggi destinati ad occupare un ruo-lo centrale nelle vicende architettoniche sarde del tardo ’700: GiuseppeViana e Carlo Maino34.

Il primo giunse in Sardegna nel luglio del 1771, con l’incarico di mi-suratore, dopo una lunga collaborazione con i progettisti di corte Bene-detto Alfieri e Ignazio Birago di Borgaro. Fu l’artista astigiano il veromaestro del Viana, ma Birago raccomandò i suoi servigi all’Azienda rea-le. L’apprendistato con l’Alfieri, in qualità di disegnatore, non impedì algiovane praticante di ampliare i propri orizzonti culturali, attingendo for-me, modelli e idee da altri personaggi. L’architettura di Giuseppe Vianaconiugò, felicemente, l’ariosa leggerezza vittoniana con la ritmica accade-mica, attinta dal maestro Alfieri, modellata sulle architetture di FilippoJuvarra. Rococò è la cifra estetica adatta a ricomprendere la sua opera,ma, sul finire di carriera, specie nell’attività piemontese, maturarono ine-dite espressioni di misurato purismo. Alle innegabili inclinazioni nel cam-po dell’architettura, unì notevoli doti grafiche, al limite del pittorico.

[18] Marcello Schirru

– 278 –

34 Sulla figura di Giuseppe Viana, esiste una corposa bibliografia; tra i numerosi testi, cfr.:G. CAVALLARI MURAT, Giuseppe Viana architetto sabaudo in Sardegna, in «Atti e rassegna tec-nica della società degli ingegneri e degli architetti di Torino», n. XII, Stamperia Artistica Na-zionale, Torino 1960. A. SAIU DEIDDA, Sull’attività ingegneristica di Giuseppe Viana, in «Ar-chivio sardo del movimento operaio, contadino e autonomistico», XVII-XIX, Editori Riuniti,Cagliari 1982. S. NAITZA, op. cit., S. MEDDE, Giuseppe Viana e l’architettura del XVIII secolo inSardegna, in «Bollettino bibliografico sardo», XVIII-XIX, Regione Autonoma della Sardegna,Cagliari 1994.

Per le uniche opere bibliografiche dedicate alla figura di Carlo Maino, cfr.: I. ZEDDA MAC-CIÒ, Su un equivoco intorno alle figure di Carlo Maino, Giovanni Antonio Maina e GiuseppeMaina, in «Archivio storico sardo», XXXIV, Editori Riuniti, Cagliari 1983; M. SCHIRRU, CarloGiuseppe Maino, Direttore di fabbriche nella Sardegna del ‘700, in «Artisti dei Laghi», I, san Fe-dele Intelvi (Co) 2011, pp. 688-735.

In Sardegna, Giuseppe Viana disegnò architetture civili e religiose:una ventata di novità nel panorama della committenza colta. Gli ornati, iprofili murari, le cornici modanate divennero gli elementi distintivi di unlinguaggio raffinato ed elegante, imitato in ogni angolo della regione. La-vorò per le curie di Cagliari, Oristano e Nuoro, partecipando al rinnovoe alla costruzione dei seminari e delle cattedrali. Gli ordini regolari gli af-fidarono prestigiosi progetti. Per i frati mercedari di Cagliari sovrintesealla costruzione della chiesa di nostra Signora di Bonaria; i carmelitanioristanesi, sotto gli auspici e le elargizioni del nobile don Damiano Nur-ra, coinvolsero il Viana nel disegno del loro convento.

Proprio i rapporti con la famiglia Nurra, titolare del marchesato d’Ar-cais, rivelano un profilo inedito del personaggio; un atteggiamento nuovoper la realtà sarda: la cura delle pubbliche relazioni. Pur legato ai cantieristatali, Giuseppe Viana non era un militare; non proveniva dall’accademiadi artiglieria e si interessò marginalmente di opere difensive. Da assistentedegli ingegneri governativi, guadagnò pian piano il consenso delle auto-rità, consapevoli delle sue qualità inespresse. Ciò spiega la folgorante asce-sa professionale, dapprima come estimatore, fino al tanto agognato titolodi “architetto per gli stati al di là del mare”, maturato nel 1776, mentre sog-giornava ad Oristano. Per Giuseppe Viana fu una svolta determinante: lapatente acquisita gli consentì di svincolarsi dal ruolo di subordine e di de-dicarsi, contemporaneamente, alle commissioni private. Di certo, non unpercorso casuale; l’appoggio delle autorità e i rapporti coltivati con l’ari-stocrazia cagliaritana e oristanese giocarono a vantaggio del progettista.Viana disegnò diversi palazzi nel Castello di Cagliari, su incarico di antichefamiglie nobiliari, dalle quali ottenne decisivi appoggi; ad Oristano, strin-se un proficuo rapporto con i Nurra, ai quali costruì la rinnovata residen-za di città e il citato convento carmelitano, prescelto come pantheon per ladiscendenza familiare. Con tutta probabilità, nelle vicine campagne di Do-nigala Fenughedu, disegnò l’elegante portale d’accesso alla tenuta agrico-la di don Antonio Vito Soto. Il tenore di questi incarichi denota quantol’aristocrazia oristanese conoscesse Giuseppe Viana all’epoca del suo coin-volgimento nella fabbrica del seminario tridentino.

Viana non vide appagate le sue ambizioni perché un antagonista inatte-so, slegato anch’esso dagli obblighi di stato, si affacciò sul panorama ar-chitettonico sardo: il gesuita luganese Carlo Maino. L’attrito fra i due fupalese, evidenziato da mordaci dichiarazioni del Viana, alle quali il religio-so mai replicò. Come è consueto in questi casi, oggi come allora, Viana de-nunciò le gravi perdite, in termini di guadagni e di incarichi, dovute all’in-gerenza professionale di Carlo Maino. In realtà, si trattò di dichiarazioni

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [19]

– 279 –

pretestuose; il prestigio delle commesse affidate ai due protagonisti pen-deva nettamente a favore del primo. Basti pensare agli incarichi già segna-lati o alla costruzione della grande collegiata di sant’Anna a Cagliari, suaprobabile opera, almeno a livello progettuale. Ciò che più suscitò le rimo-stranze di Giuseppe Viana furono i costanti rapporti tra Carlo Maino e lecurie di Cagliari e Oristano; grazie a questi rapporti, il gesuita intrapreseuna carriera più che dignitosa, dedicandosi alla ricostruzione di tante par-rocchiali nei territori delle due diocesi. A vantaggio di Maino, giovaronol’estrazione religiosa, benché da un Ordine appena soppresso, e l’ingressonella alta società sarda come assistente del padre visitatore Emanuele Ro-vero. In quest’ottica, il cantiere del seminario arborense si rivelò una vali-da palestra ove sperimentare le attitudini del religioso: un viatico per con-solidare i primi legami con la potenziale committenza. Un’arte nella qualeil padre gesuita dimostrò notevoli capacità, cui seppe unire opportune at-titudini diplomatiche, denotate dal tenore contenuto degli onorari, ragio-ne non secondaria del suo apprezzamento, e dall’aver evitato repliche disorta alle rimostranze piccate dell’antagonista. Esito sicuro in tempi brevi,senza particolari pretese estetiche: con questo slogan si potrebbero sinte-tizzare le competenze tanto ricercate del Maino35.

Come è facile intuire, le differenze culturali tra Giuseppe Viana e Car-lo Maino furono abissali; alla straordinaria e fantasiosa sperimentazionedel primo, si contrappose l’onesta, ma ordinaria, funzionalità del secon-do. L’esperienza oristanese è emblematica sotto questo profilo. Il 3 giu-gno 1778, Carlo Andrea Rana scrisse una relazione sui tre progetti esa-minati, relativi al completamento del corpo centrale e dell’ala orientaledel seminario tridentino, recanti le firme di Rovero, Viana e Maino. IlCongresso degli Edili parve apprezzare la proposta di Giuseppe Viana, alquale richiese ulteriori delucidazioni riguardo la posizione delle finestree delle murature esistenti. La necessità di ripensare la forma e la distri-buzione delle scale non poteva prescindere dall’apertura delle pareti ap-pena realizzate, sulle quali gravavano le volte di copertura36.

Alcuni mesi dopo, Carlo Andrea Rana riesaminò i tre progetti, nellaloro versione definitiva, e stilò una seconda relazione di merito37. Il pro-

[20] Marcello Schirru

– 280 –

35 Per un’analisi dell’antagonismo professionale tra Giuseppe Viana e Carlo Maino, con irelativi riferimenti documentali, e per un approfondimento dell’attività oristanese dei due pro-gettisti cfr.: M. SCHIRRU, op. cit.

36 A.S.To, paesi, Sardegna, materie ecclesiastiche, categoria 7, mazzo 2, n. 4.37 Ivi. Copia della relazione è custodita presso l’Archivio di Stato di Cagliari: A.S.Ca, Re-

gia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Affari Ecclesiastici - Seminari, Seminario Tridentinod’Oristano).

getto originale dell’istituto, verosimilmente la proposta di Rovero, subìun’attenta revisione, nel tentativo di preservarne i caratteri principali, purcon le modifiche intercorse. L’idea del Rovero continuò ad essere la scel-ta prioritaria, potendosi ricavare nuovi corpi scala in sostituzione dellerampe disegnate dal padre gesuita.

Carlo Maino concepì una scala a tenaglia, caratterizzata dalla sequen-za di rampe singole e doppie, utili a disimpegnare le diverse ali dell’isti-tuto. Pur non disponendo della tavola di progetto, possiamo intuire ilmodello della scala attraverso la relazione dettagliata di Carlo Andrea Ra-na. Come spesso accadde nella sua carriera, Maino dimostrò notevolespirito di osservazione e la capacità di attingere soluzioni architettonicheda colleghi più talentuosi. La scala non lesinò in monumentalità, conno-tazione apprezzata in un’istituzione come il seminario; la stessa relazionedel Rana elogiò i benefici della doppia rampa […] di modo che si ascen-de per un ramo, e si risvolta in due assai comodamente a tutti li piani […].Maino posizionò il nuovo corpo scale dirimpetto all’ingresso, in posizio-ne mediana, scelta aderente al modello alfieriano del seminario di Asti.Lo spostamento avrebbe richiesto la demolizione di alcune murature giàrealizzate e la costruzione di altre non ricomprese nel progetto; i costi le-gati a queste operazioni determinarono l’accantonamento della soluzioneproposta.

Di Giuseppe Viana, fu apprezzata la sensibilità paesaggistica insitanella proposta: il funzionario piemontese sistemò la scala ai margini delvestibolo d’ingresso, lasciando accesso libero alla terrazza panoramica re-trostante. Tuttavia, la soluzione si portò dietro alcune incongruenze: da-ta la ristrettezza del vano di pertinenza, la rampa sarebbe stata eccessiva-mente ripida; ai livelli superiori, il numero dei gradini in salita avrebbeobbligato a percorrere lunghe rampe di discesa. Nessun accenno al gran-de elemento di modernità introdotto dal progettista: gli alloggi indipen-denti per i seminaristi, definiti “camerelle alla cappuccina”. Impossibilenon accostare la soluzione evoluta al modello distributivo del seminariodi Asti, concepito dal maestro Benedetto Alfieri, alla cui costruzione Via-na può aver partecipato in qualità di disegnatore.

Le soluzioni proposte per la riorganizzazione del seminario di Orista-no non erano incompatibili; Carlo Andrea Rana caldeggiò una versionefinale ibrida: preservare la comunicazione e la vista dirette sulla terrazza,come previsto dal padre Rovero; adottare le dimensioni della scala sug-gerite da Carlo Maino, riducendo però il numero delle rampe, in mododa ricavare una piccola portineria; spostare la scala in un vano dedicato,assecondando in ciò l’ipotesi di Giuseppe Viana.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [21]

– 281 –

È interessante soffermarsi sulla tipologia degli alloggi contenuta neitre progetti. Il modello attuato del Rovero prevedeva, nel corpo orienta-le, una serie di cameroni comuni a tre piani; […] come sono le Cameratenel Collegio de’ Nobili in Torino […] evidenziò Carlo Andrea Rana. De-molire le murature e le volte già in opera, all’interno di questi grandi am-bienti, avrebbe richiesto un eccessivo dispendio di risorse. Il discorso re-lativo al padiglione occidentale, non ancora realizzato, era diverso. La so-luzione delle camere singole “alla cappuccina”, avanzata da Viana sareb-be stata applicabile senza problemi di sorta. A preoccupare il Congressodegli Edili non fu la paventata disposizione degli alloggi, quanto la posi-zione della cappella. Elemento fondamentale del seminario e […] abben-ché [...] egregiamente situata […], essa avrebbe occupato lo spazio degliuffici e delle camere del personale. Dopo un consulto tra i padri Roveroe Maino, fu prescelta la soluzione di quest’ultimo: la cappella avrebbetrovato spazio nel nuovo padiglione occidentale, con tanto di sacrestia.Un’ultima mesta osservazione fu riservata alla proposta di Giuseppe Via-na: pur considerati i pregi architettonici, poco si adattava alle esigenze diun seminario, luogo preposto allo studio e alla docenza, meno alla pre-ghiera. Almeno per le finestre, fu prescelto il disegno del progettista sa-baudo, in seguito non attuato: certo una magra consolazione a fronte deicontenuti innovativi della sua proposta.

L’episodio descritto é emblematico per comprendere la situazione del-le opere pubbliche in Sardegna, nel tardo ’700: risorse contenute, pro-getti funzionali e senza grandi pretese estetiche, tassativa approvazionedel Congresso degli Edili. In questo scenario, le ambizioni dei giovaniprogettisti come Giuseppe Viana, talentuosi e in costante ricerca di af-fermazione professionale, erano continuamente frustrate e riportate nelpiù consueto alveo dell’ordinarietà. Atteggiamento insopportabile per unprogettista dall’invidiabile percorso formativo, a cui, con tutta probabi-lità, fu assicurato un occhio di riguardo onde invogliarne l’arrivo in Sar-degna. Per l’ennesima volta, Viana dovette abbassarsi a più miti consigli,accettando, di buon grado, la prevalenza del collega “non patentato”Maino. Un onesto professionista, va evidenziato; qualificato, ma non ec-celso, attento ad evitare esagerazioni di sorta e a soddisfare le richiestedella committenza.

Nonostante l’ingerenza diretta del Congresso degli Edili negli svilup-pi del seminario tridentino di Oristano, la fabbrica non riuscì a prenderquota. Si preferì procrastinare la costruzione dell’ala occidentale a tempimigliori. Durante l’arcivescovado del domenicano Francesco GiovanniAstesan non si ebbero novità significative. Fu il successore alla mitra ar-

[22] Marcello Schirru

– 282 –

borense, Giuseppe Luigi Cusano, ad inaugurare l’istituto, ancora incom-pleto, nel 179438.

Dell’ampliamento del seminario, si riparlò nella prima metà dell’800.I tempi erano profondamente mutati dal progetto del padre EmanueleRovero. Una nuova cultura estetica avanzava in tutta Europa, figlia delpensiero positivista francese e della progressiva affermazione delle disci-pline scientifiche: l’avanguardia politecnica. L’architettura non più con-cepita come una forma d’arte fine a se stessa, ma rispondente ad un in-sieme di esigenze, edonistiche e sociali, insite nella società moderna. De-finire questa moda “accademica” sarebbe riduttivo. Dall’enciclopedismofrancese attinse a piene mani, come testimoniano le manifestazioni este-riorizzanti delle nuove arti applicate, ma essa non si limitò ad un meroesercizio retorico. Fu un qualcosa di più: la capacità di trasformare la so-cietà a tutto vantaggio dell’uomo, investendo il progetto nel suo com-plesso, dalla scala urbana all’architettura minore. La visione politecnicapermeò l’archetipo del progettista modello: esperto di architettura per lacommittenza colta; tecnologo nelle mansioni ordinarie.

L’arcivescovo Giovanni Maria Bua intuì queste doti nell’“aspirante in-gegnere” Giuseppe Cominotti quando, nel 1829, riportò in auge il pro-blema del seminario oristanese39. Il prelato ebbe ben chiari i limiti dellavecchia scuola40, ormai inadeguata alle potenzialità vocazionali della dio-cesi41. Ridurre, però, il coinvolgimento del Cominotti al semplice amplia-mento dell’istituto sarebbe fuorviante. Come i predecessori Nin e Malin-gri, l’arcivescovo Bua concepì un progetto grandioso, insieme architetto-nico e urbano; con una sostanziale differenza: l’essere riuscito, in buonaparte, ad attuarlo [figg. n. 7-8-9].

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [23]

– 283 –

38 G. PAZZONA, op. cit., p. 110. La notizia è riportata in: R. BONU, Serie cronologica degliarcivescovi d’Oristano, Gallizzi Editore, Sassari 1959.

39 G. PAZZONA, op. cit. Il titolo di “aspirante ingegnere”, con il quale Giuseppe Cominottigiunse in Sardegna, nel 1823, denota le profonde differenze rispetto ai colleghi settecenteschi,quasi tutti di estrazione militare, per i quali non esisteva l’accesso all’Azienda di Ponti e Stra-de, preludio all’istituzione del Genio Civile.

A Giuseppe Cominotti fu affidato il ruolo di disegnatore ed aggregato al gruppo di tecni-ci incaricati di ritracciare la strada reale tra Cagliari e Sassari, primo nucleo dell’attuale StradaStatale 131, detta anche “Carlo Felice”, in onore del monarca cui si deve questo fondamentalecantiere viario. Le qualità grafiche di Cominotti, testimoniate da un’ampia produzione di ac-quarelli, incisioni e litografie fu apprezzata dalle autorità e dal pubblico. La mano felice delprogettista ritrasse scorci di vita rurale e cittadina della Sardegna, rivelando una costante pre-dilezione per il vedutismo e gli interessi etno-antropologici.

40 Non si vuole, in questo contesto, analizzare nel dettaglio gli sviluppi ottocenteschi del se-minario tridentino oristanese, per la cui trattazione si rimanda al contributo di Giuseppe Paz-zona, inserito nei presenti atti.

41 In ciò, è possibile scorgere il felice esito delle riforme boginiane, per quanto concerne lepolitiche educative in ambito ecclesiastico.

Dopo mezzo secolo, al seminario fu aggiunta l’ala occidentale, alla cuicostruzione seguì il complessivo ripensamento della distribuzione interna(figure 7, 8, 9). Per comprendere la modernità della nuova concezione or-ganica, occorre considerare la tipologia di nuovi alloggi, suddivisi in ca-mere indipendenti per ciascun ospite; soluzione prospettata da GiuseppeViana mezzo secolo prima, ma rifiutata dal Congresso degli Edili. Per ri-sparmiare spazi interni, l’antico oratorio, adiacente il nuovo corpo, diven-ne la cappella dell’istituto.

Le aspirazioni del Bua furono ben più ambiziose di questa, pur signifi-cativa, innovazione. Nel volgere di pochi mesi, il presule affidò al Comi-notti il disegno dei nuovi ingressi monumentali alla cattedrale nonché delfronte principale della residenza arcivescovile. Pur con evidenti differenzerispetto alle idee originali del progettista, le aspirazioni del religioso trova-rono felice appagamento. Il Cominotti interpretò in maniera impeccabile idesideri del prelato, al quale non doveva mancare una raffinata cultura ar-tistica. Il centro nevralgico di Oristano acquisì una nuova veste, in lineacon i recenti sviluppi dell’estetica internazionale. Un elegante salotto clas-sicheggiante, caratterizzato dalla sequenza scenografica del palazzo arcive-scovile, dell’ingresso settentrionale alla cattedrale e del seminario appenacompletato, rivestiva di nuova luce il cuore pulsante della città arborense.Fu come un sasso in uno stagno placido, nel quale ancora splendevano i ri-flessi rococò delle architetture di Giuseppe Viana: un invito al cambia-mento, ad imboccare una nuova strada, presto raccolto dai giovani pro-gettisti. Nel volgere di pochi anni, la nuova avanguardia investì la vicinapiazza, oggi detta di Eleonora, dominata dai fronti ottocenteschi del colle-gio scolopio, della chiesa di san Francesco e del palazzo Corrias-Carta, di-segnati dal frate Antonio Cano e da Gaetano Cima.

Seminario arcivescovile di Sassari

Come per gran parte degli istituti diocesani sardi, non é noto l’annodi fondazione del seminario tridentino di Sassari. Le uniche informazio-ni a riguardo provengono da una lettera del 1759, indirizzata al ministroBogino, redatta dall’assessore di giustizia della Sardegna settentrionale,don Gavino Cocco42. Il seminario turritano sarebbe stato uno dei primiad applicare i canoni conciliari. Il suo fondatore, l’arcivescovo Salvatore

[24] Marcello Schirru

– 284 –

42 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Sassari).

Aleppo, partecipò alle sessioni del simposio ecclesiastico; sul contributoattivo del prelato scrisse il cardinale Pietro Sforza Pallavicini nella suaIstoria del Concilio tridentino43. Secondo l’assessore Cocco, il disordinenel quale versava l’archivio arcivescovile sassarese impedì di ricostruire lamemoria storica dell’istituto.

Durante l’episcopato di Matteo Bertolinis (1741-1750), promosso dal-la mitra algherese, la scuola diocesana ospitò sei seminaristi, ai quali fu ri-servata una residenza […] muy mal comoda […]. Il numero delle piazzeera minimo, ma occorre ricordare la singolarità della situazione sassare-se. Dal 1619, oltre all’istituto dell’archidiocesi, fu attivo il collegio cano-poleno, aperto all’intera cittadinanza, così chiamato in onore del fonda-tore: l’arcivescovo di Oristano Antonio Canopolo44. Amministrata dallaCompagnia di Gesù, la scuola non fu esclusiva degli aspiranti religiosi;nel tempo, assunse i connotati del collegio di nobiltà, pur assicurando trepiazze agli studenti dell’arcidiocesi arborense. Dato il prestigio di cui go-dette, fin dalla fondazione, il canopoleno fu il principale antagonista delseminario di Sassari.

Preoccupato dalla situazione d’indigenza del suo istituto, il prelatoBertolinis promosse la ricostruzione del seminario. A differenza delle al-tre diocesi, non poté sfruttare il sostegno politico ed economico del Mi-nistero per gli affari di Sardegna, dicastero non ancora istituito. Ottenu-to l’assenso del governo, l’antica sede fu demolita; il nuovo seminario,adagiato alla dimora arcivescovile, beneficiò di una superficie maggiorerispetto al primitivo insediamento. I due palazzi furono posti in direttacomunicazione tramite porte interne: l’arcivescovo si assicurò, così, ilcontrollo sull’educazione e sull’istruzione degli studenti. Bertolinis nonlesinò a spese: furono investiti circa 14.000 scudi; ampie volte, poggiantisu solide murature, coprirono gran parte degli ambienti, suddividendol’istituto in tre livelli45.

Nonostante le opere descritte, nel 1762, il ministro Bogino richiese al-la mensa turritana una relazione dettagliata sulla consistenza dell’arcidio-cesi e sulle condizioni del seminario di pertinenza. Analogo invito fu re-capitato agli altri prelati della Sardegna.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [25]

– 285 –

43 Per la biografia dell’arcivescovo Salvatore Aleppo, cfr.: M. RUZZU, La chiesa turritanadall’episcopato di Pietro Spano ad Alepus (1420-1566), Chiarella Edizioni, Sassari 1974.

44 Per la storia del collegio canopoleno, cfr.: A. CASULA - S. DELLA TORRE - S. GIZZI - E.ROSINA (edd.), Il Canopoleno di Sassari da casa professa a pinacoteca. Storia e restauri, SilvanaEditoriale, Milano 2009.

45 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Sassari).

Redatto dal successore del Bertolinis, l’arcivescovo Carlo FrancescoCasanova, il documento descrisse la distribuzione interna del nuovo se-minario: nel piano terreno, gli spazi erano occupati dalla cucina, dal re-fettorio e dai magazzini per le provviste; il livello sovrastante dagli allog-gi per il personale e gli alunni, con il fanale sempre acceso per scorgereeventuali strappi alla disciplina; l’ultimo piano, oltre alla cappella, ospi-tava otto stanze destinate ai seminaristi più anziani, prossimi all’ingressonel presbiterato. Con tutta probabilità, dato il numero esiguo degli iscrit-ti, ciascuno studente disponeva di una camera autonoma. Le renditedell’istituto ammontavano a 900 lire, sottoforma di prebende, e a due mi-sure (raseres) di grano, raccolti nei terreni agricoli appartenenti alla scuo-la. All’epoca, la diocesi era composta da 29 ville, compresi alcuni centri[…] che non meriterebbero di contarsi […], come osservò con velato di-sprezzo il prelato; ospitava 50.000 abitanti, di cui 14.666 residenti a Sas-sari, in linea con le medie demografiche delle realtà urbane settecente-sche.

Questa ed altre relazioni del Casanova furono venate da toni entusia-stici: il prelato esaltò il nuovo seminario e lo zelo del corpo docente. Difatto, beneficiò di una situazione opposta ai colleghi delle altre diocesi: ilpredecessore Bertolinis gli consegnò un istituto rifondato ed efficiente.Rimase irrisolto il nodo delle iscrizioni, non certo gradito alla corte, spe-cie in una città come Sassari, dalle profonde radici culturali, potenzialeportatrice di nuove figure intellettuali. Forse, fu questa la ragione delmalcontento suscitato tra gli uffici governativi dove le relazioni del pre-sule furono giudicate irragionevoli e poco veritiere. I resoconti dalle altrediocesi viaggiarono su binari opposti: scarsa vocazione tra i giovani e fa-tiscenza delle sedi seminariali le preoccupazioni più diffuse tra i respon-sabili delle mitre46.

Come spesso accade, la ragione sta nel mezzo: pur intuendo la scarsalungimiranza del Casanova, il governo preferì accontentarsi di un istitu-to sottodimensionato, ma nuovo. Rimandò la riforma del seminario atempi migliori, destinando il grosso delle risorse economiche ad altri isti-tuti ecclesiastici in precarie condizioni. La corte conosceva l’attività pa-rallela del collegio canopoleno, valida alternativa alle carenze formativedell’arcidiocesi, almeno fino alla soppressione della Compagnia di Gesù.

La vicenda loyolina e gli avvenimenti rivoluzionari di fine ’700 ripor-tarono all’attenzione generale l’importanza formativa del seminario sassa-rese. Tuttavia, si dovette attendere il 1828 per registrare segnali concreti

[26] Marcello Schirru

– 286 –

46 M. MASTINO, op. cit., p. 161.

quando l’allora arcivescovo, Carlo Tomaso Arnosio, incaricò il progetti-sta Giuseppe Cominotti di avanzare una proposta di ampliamento dellascuola. Il contratto d’appalto fu sottoscritto dalla nota impresa BosincoFogu, prima modernizzatrice dei sistemi produttivi edilizi in Sardegna;pregio che le valse l’affidamento di tutte le commesse statali relative allegrandi opere pubbliche e religiose del primo ’80047.

Per realizzare il nuovo braccio del seminario sassarese, l’episcopio ce-dette parte del giardino interno. Motivato da ragioni funzionali, l’inter-vento non ebbe alcuna caratterizzazione architettonica: spoglio di decora-zioni, l’edificio fu suddiviso in tre livelli, ai quali, nel ’900, si aggiunse unquarto. L’immagine originale del seminario è riprodotta in un acquarellodello stesso Cominotti: una sorta di “fotografia” dell’opera da dedicare aiposteri48 (figura 10). Con la consueta capacità introspettiva, l’autore im-mortalò la vita interna dell’istituto. Due esponenti del clero secolare, forseil direttore del seminario con un prefettino, discorrono nel giardinodell’episcopio. L’autorità del primo è denotata dal copricapo da curato, in-dossato con eleganza e contegno ieratico; con la mano alzata, impartisceistruzioni al sottoposto, il quale, cappello in mano, pare obbedire som-messamente alle indicazioni del superiore. Dal nuovo braccio del semina-rio, un giovane studente osserva la scena: le braccia conserte rivelano lospirito libero e disincantato, affievolito dal rigore della disciplina.

Ultimati gli interventi descritti, già si dovettero consolidare le nuovemurature; essendo il soglio vacante, il viceré, Giuseppe Maria Montigliod’Ottiglio, intervenne in qualità di vicario concedendo un’ulteriore por-zione del giardino arcivescovile, al fine di realizzare le necessarie opere dirinforzo49. L’ingerenza del vicario governativo, accompagnata, verosimil-mente, da una nuova iniezione di risorse, determinò l’integrazione delprogramma dei lavori. Almeno due fasi ottocentesche sono deducibilidalle fonti d’archivio: l’accennato progetto di Giuseppe Cominotti, del1828; un secondo ampliamento, diretto, nel 1832, dal frate conventualeAntonio Cano. In quest’ultima fase, affidata all’impresa dei fratelli Gavi-no e Paolo Mura, con il soglio arcivescovile vacante, si procedette ad al-largare il braccio ideato dal Cominotti, con una nuova campata per ognipiano. Recuperare gli spazi necessari non si rivelò semplice: per far posto

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [27]

– 287 –

47 G. PAZZONA, op. cit., p. 76.48 Ivi, tav. 28 – Veduta del nuovo braccio di fabbrica erettosi in ampliazione del Seminario

Tridentino di Sassari nel 1828 disegnato dal giardino di Monsignor Arcivescovo. Sassari 1828. Latavola appartiene alla collezione privata Aldo Accardo.

49 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Sassari).

alle nuove opere, fu acquistato e demolito l’oratorio cinquecentesco disanta Croce, riutilizzandone i materiali lapidei; i beni e i redditi dell’omo-nima confraternita finanziarono la fabbrica dell’istituto ecclesiastico50.

La precoce ricostruzione del seminario di Sassari denota la lungimi-ranza del promotore, l’arcivescovo Matteo Bertolinis, ma, alla lunga, si ri-velò un fattore sfavorevole. Almeno nelle fasi iniziali, il progetto anticipòla stessa istituzione del Ministero per gli affari di Sardegna e, di almenoventi anni, la riforma architettonica delle scuole ecclesiastiche della re-gione. Perse, così, il treno dei lauti finanziamenti statali, riconosciuti, tan-to per rimanere in ambito sassarese, al riformato ateneo cittadino.

Seminario vescovile di Ales

Fondato nei primi anni del ’700, dal vescovo Francesco Masones y Nin,l’istituto diocesano di Ales51 sorse accanto alla cattedrale di san Pietro, ap-pena rinnovata in forme tardo-rinascimentali e barocche (figura 11). Il me-cenatismo del presule ebbe come obiettivo principale l’istruzione del cle-ro: promosso alla cattedra arcivescovile di Oristano, nel 1704, riproposeun’analoga iniziativa nella città arborense dove fondò il seminario nel 1712.

Almeno nelle fasi iniziali della sua attività, l’istituto di Ales non ebbeuna sede definita. Fu il vescovo Antonio Giuseppe Carcassona a pro-muovere la costruzione della prima scuola, tra il 1745 ed il 1747, inve-stendo 1.000 scudi del suo patrimonio personale52. A pochi annidall’inaugurazione, il prelato dovette intervenire sul nuovo edificio per fi-nanziare alcuni restauri e ricavare un’aula destinata agli esercizi spiritua-li. L’attenzione del vescovo non si limitò all’efficienza del seminario: dotòla scuola delle necessarie Costituzioni, fedeli al modello borromaico. Ap-pena salito al soglio, il successore Giuseppe Maria Pilo si adoperò per in-crementare le iscrizioni tra i giovani della diocesi, raccogliendo un di-screto consenso53.

[28] Marcello Schirru

– 288 –

50 Archivio di Stato di Sassari, Atti Notarili, Copie, Sassari Città, 1832, vol. I. cc. 234-241.Archivio di Stato di Sassari, Atti Notarili, Originali, Sassari, notaio Gavino Lai, 1832, vol.

II, cc. 372-375. Ringrazio l’amico Giuseppe Pazzona per la segnalazione di questi preziosi do-cumenti. Per un primo accenno al secondo ampliamento ottocentesco del seminario di Sassa-ri, cfr.: E. COSTA - E. CADONI (ed.), Sassari, Gallizzi, Sassari 1909, p. 1149.

51 Fino al XII secolo, la sede vescovile si trovò ad Usellus. In seguito passò a Terralba. Al1503, risale il definitivo trasferimento ad Ales; le due intitolazioni sopravvissero fino al 1986quando fu istituita la doppia intitolazione Ales - Terralba.

52 A.S.To, paesi, Sardegna, materie ecclesiastiche, categoria 7, mazzo 2.53 M. MANCONI, op. cit., p. 147.

In una lettera del 27 gennaio 1763, il presule ribadì gli sforzi dei pre-decessori e descrisse l’interno del seminario. Nell’istituto, fu ricavato undormitorio lungo 34 passi ed ampio 5, con 6 camere per parte; al pianosuperiore, si trovava un secondo dormitorio di 12 stanze, identico al li-vello inferiore. Giuseppe Maria Pilo lamentò lo stato fatiscente dei pianialti, data la mancanza di soffitto, pavimenti e finestre54.

Nonostante queste encomiabili iniziative, il seminario di Ales rimaseai margini dei programmi riformistici governativi, forse per la scarsa den-sità demografica del territorio. Non si registrano interventi architettonicisignificativi per tutta la seconda metà del ’700 ed il primo ’800.

Fu necessario attendere il 1841 per rimetter mano all’istituto, ormai inprecarie condizioni di sicurezza. I sopralluoghi nell’istituto furono con-dotti dall’ingegner Franco55 e da alcuni muratori, i quali suggerirono lademolizione del piano superiore, onde evitarne il crollo.

Seminario vescovile di Alghero

Gli storici concordano nell’attribuire la fondazione del seminario al-gherese al vescovo Andrés Bacallar, decisione assunta durante il sinododel 1581, ma ufficializzata cinque anni dopo56. Sulle successive vicendearchitettoniche, fino alle riforme settecentesche, mancano riferimenti at-tendibili. L’istituto sorse in aderenza alla cattedrale di santa Maria, rico-struita, in forme rinascimentali, dopo l’istituzione della diocesi, nel150357. Il rapporto simbiotico tra i due edifici è testimoniato dalle aper-ture nei due piani superstiti del seminario, in parte obliterate: esse con-sentivano l’accesso al coro della cattedrale.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [29]

– 289 –

54 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Ales).

55 Ivi. Non è stato possibile intuire il nome del progettista. Il cognome richiama alcuni scul-tori della Valle Intelvi, Giovanni Battista, Santino e Domenico Franco, attivi in Sardegna dal-la seconda metà del ’700 fino ai primi decenni del secolo successivo. Nonostante le loro usua-li competenze, Giovanni Battista e Domenico riuscirono a dedicarsi all’architettura, come pro-gettisti e docenti di scuole private. Il Franco indicato nel documento potrebbe essere un loroparente diretto.

56 Sono di questo parere gli storici Raimondo Turtas e Antonio Nughes; cfr.: R. TURTAS,Storia della chiesa in Sardegna, Città Nuova, Roma, 1999, p. 406. A. NUGHES, Alghero chiesa esocietà nel XVI secolo, Edizioni del Sole, Alghero, 1990, pp. 232-235. I riferimenti sono trattida: M. MANCONI, op. cit., p. 113.

57 La nuova elevazione determinò la soppressione delle antiche diocesi di Castro, Bisarcioe Ottana. Per l’architettura della cattedrale di Alghero, cfr.: F. PULVIRENTI SEGNI - A. SARI, Architettura tardogotica e di influsso rinascimentale, Ilisso, Nuoro, 1992.

Il tema dell’istruzione nella diocesi di Alghero tornò di attualità gra-zie all’intraprendente vescovo Giuseppe Agostino Delbecchi, titolare del-la curia dal 1751 al 1763, prima della promozione alla mitra di Cagliari.Nel 1758, il padre scolopio elaborò un programma di riordino educativodella diocesi: presso ogni parrocchia istituì una scuola affidata a docentiselezionati; ai parroci richiese un resoconto mensile sul corretto svolgi-mento delle lezioni58. Per quanto concerne gli studi superiori, al presulenon sfuggì la necessità di rifondare il seminario, anticipando, come il col-lega Bertolinis a Sassari, le riforme del Ministero per gli Affari di Sarde-gna. In una relazione del 20 settembre 1759, Delbecchi attestò la recen-te ricostruzione dell’istituto diocesano, da lui promossa; inquietante ladescrizione dell’edificio prima dei lavori: […] il Vescovo presente ritrovòla fabbrica del seminario indecentissima, quanto una bettola ben vile delRegno, molto ristretta, ed inabitabile, mentre vi pioveva da tutte le parti, eminacciava rovina […]59.

Secondo lo stesso prelato, la decisione di riformare la scuola fu presadi concerto con i quattro deputati dell’istituto, con i canonici e con i rap-presentanti dell’aristocrazia cittadina. Tracciato il rilievo dell’area, unanuova pianta dell’edificio riassunse le indicazioni dell’improvvisata com-missione60. Lo zelo dei convenuti non poté sopperire alle modeste com-petenze architettoniche. Il seminario fu suddiviso in quattro livelli; unlungo corridoio, parallelo alla parete meridionale della cattedrale, disim-pegnò una duplice sequenza di ambienti. Al piano terreno, trovarono si-stemazione la cucina e il refettorio; nei livelli superiori, gli alloggi per glistudenti e il personale. La cappella, curiosamente comunicante con il co-ro della cattedrale, concluse il lungo corridoio del terzo piano. Non fuprevisto alcun giardino interno, il che lascia supporre l’assenza di spaziricreativi: tutta la vita del seminario si svolse al chiuso delle sue stanze.La forma e i caratteri distributivi dell’istituto testimoniano gli spazi ri-dotti a disposizione, condizionati dall’ingombrante presenza della catte-drale.

Permane il mistero sul mancato coinvolgimento dei progettisti di go-verno. Dato il ruolo di piazzaforte principale nel capo settentrionale del-la Sardegna, Alghero ospitò, in pianta stabile, una guarnigione di arti-glieria con un ingegnere militare. Subordinato al capitano di stanza a Ca-gliari, l’ufficiale condivise, con il diretto superiore, la direzione delle fab-

[30] Marcello Schirru

– 290 –

58 M. MANCONI, cit., p. 145.59 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,

Seminario di Alghero).60 Ivi.

briche statali occupandosi della loro gestione nell’area di pertinenza. Ilsuo contributo alla causa governativa fu sempre determinante: i due pro-gettisti, periodicamente sostituiti61, svolsero compiti improbi, consideran-do l’estensione del territorio sardo e l’indisponibilità di altre figure qua-lificate.

All’epoca della ricostruzione del seminario, la piazza d’Alghero era af-fidata al progettista Uberto Filippo Cerretti, giunto in Sardegna, nel1757, con il grado di luogotenente. L’ufficiale non poteva ignorare la fa-tiscenza dell’istituto ecclesiastico, sebbene non esistesse ancora il Mini-stero per gli Affari di Sardegna. A differenza dei successori, Cerretti do-vette attendere alcuni anni prima di intavolare il consueto rapporto epi-stolare con il ministro Bogino, limitandosi al confronto con il viceré e ilsuo ufficiale superiore. Non poté stringere rapporti professionali con lacuria, senza il parere preventivo del viceré e le istruzioni tecniche del ca-pitano ingegnere di stanza a Cagliari.

Qualcosa, tuttavia, si mosse intorno al 1764 quando il Cerretti eseguìil rilievo del seminario algherese. Non sappiamo le ragioni dell’incarico;il documento fu forse allegato ad una relazione descrittiva della scuola,analoga ai resoconti inviati al Ministero dalle altre diocesi della Sardegna.Una tavola, raffigurante la pianta e la sezione dell’istituto, è l’unico dise-gno superstite del rilievo, dalla quale sono stati desunti gli elementi ar-chitettonici appena descritti62 (figura 12). La sezione trasversale mostra iquattro livelli dell’istituto, l’ultimo dei quali incompleto; tutti gli am-bienti erano coperti con volte a botte poggiate su spesse murature peri-metrali. Qualunque fossero le ragioni del rilievo, non sortirono alcun ef-fetto: i documenti tacciono sulla programmazione di ampliamenti o re-stauri nell’edificio. L’inspiegabile disinteresse del governo regalò alla cittàdi Alghero un seminario modesto e sottodimensionato, poco confacenteal prestigio dell’antica città. Analogo discorso può esser fatto per l’epi-scopio, del quale si conosce appena una vertenza ai danni della Reale In-sinuazione, insorta nel 1776. Il prelato Gioacchino Michele Radicati cri-ticò la sopraelevazione dell’ufficio governativo, situato dirimpetto alla re-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [31]

– 291 –

61 Talvolta, il capitano ingegnere di stanza a Cagliari veniva richiamato in Piemonte e l’uffi-ciale dislocato ad Alghero, ottenuta la promozione di grado, subentrava al predecessore quale re-sponsabile dei cantieri governativi in Sardegna, liberando l’incarico nel nord della regione.

62 La tavola fu pubblicata dallo storico Daniele Pescarmona; cfr.: D. PESCARMONA, Nuovicontributi alla conoscenza dell’attività degli ingegneri militari piemontesi in Sardegna nel XVIIIsecolo, in «Bollettino d’arte», XXVIII, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1984,p. 84. Il disegno è custodito presso l’Archivio di Stato di Torino; cfr.: A.S.To, paesi, Sardegna,materie ecclesiastiche, categoria VII, mazzo II, n. 2.

sidenza vescovile, adducendo come pretesto il disturbo arrecato ai suoiappartamenti privati. Incaricato di valutare gli effettivi ingombri del pro-getto, l’ingegnere Raymondo Ignazio Cochis giudicò pretestuose le op-posizioni del vescovo, data la notevole ampiezza della strada detta “di Bo-naria”, su cui prospettavano i due edifici, dove sorsero altri palazzi diegual altezza. La situazione fu illustrata in una planimetria della piazzaantistante l’episcopio, con tutte le sue coerenze (figura 13).

La situazione rimase inalterata fino al ’900 quando l’istituto fu di-smesso ed alienato ad acquirenti laici. Nel 1986, con l’annessione dellediocesi di Alghero e Bosa, i seminari delle due mitre furono uniti nellasede di Bosa.

Seminario vescovile di Bosa

Come in altre diocesi della Sardegna, la cultura illuminista e l’intra-prendenza di un vescovo si rivelarono determinanti per la riforma del se-minario di Bosa. Giuseppe Stanislao Concas, titolare della mensa dal1759 al 1763, non si limitò a promuovere la rifondazione dell’istituto ec-clesiastico: ideò in prima persona la forma architettonica dell’edificio ediresse, per breve tempo, la ricostruzione. L’autonomia del presule bosa-no è una nota distintiva della vicenda; escludiamo paragoni diretti conl’esperienza algherese, condivisa da un nutrito consesso di personalità. Lavicinanza tra le due città e il successo riscosso dal collega Delbecchi pos-sono aver rafforzato il decisionismo di Giuseppe Stanislao Concas, indu-cendolo ad intraprendere un analogo progetto.

L’iniziativa del prelato non beneficiò di alcun sostegno governativo,come dimostra l’esigenza di richiedere una relazione al successore, Gio-vanni Antonio Borro, sulle condizioni dell’istituto. Inaugurata nel 1762,la scuola diocesana, attigua all’episcopio, rispettò le indicazioni del ve-scovo Concas. Prima di recarsi a Cuglieri, sua ultima tappa terrena, ilpresule disegnò la pianta e diresse le prime opere della nuova fabbrica.Nonostante avesse lasciato dettagliate istruzioni per il suo completamen-to, quando il Borro stilò l’accennata relazione, il seminario aveva rag-giunto appena le volte del primo livello. Delle opere eseguite, il vescovoannotò gli aspetti salienti63.

I toni preoccupati del Borro non sortirono effetti sul Bogino; l’istitu-

[32] Marcello Schirru

– 292 –

63 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Bosa).

to ecclesiastico fu lasciato in una sorta di limbo, destinato a perdurare fi-no agli ultimi anni del ’700. Situazione analoga ad altre diocesi sarde, nel-le quali l’esistenza di una scuola ecclesiastica, benché malconcia, e la bas-sa incidenza demografica distrassero l’attenzione del governo per diversotempo. Si preferì concentrare le risorse sugli istituti da rifondare o rico-struire, imprese capaci di calamitare ben altri sforzi e preoccupazioni.

A lungo andare, l’assenza di un seminario efficiente suscitò il risenti-mento della curia. Nel 1799, in una fase di soglio vacante, il capitolo evi-denziò l’esigenza di dotare la città di Bosa di un nuovo istituto64. Sop-pressa la Compagnia di Gesù, le mire delle autorità diocesane ricadderosul vecchio collegio loyolino, già acquistato dal defunto prelato AntonioCossu con fondi del suo patrimonio personale. L’edificio conserva i ca-ratteri tipici dell’architettura storica bosana, connotati dall’alternanzacromatica tra le fasce strutturali, realizzate con blocchi di trachite rossa,e le murature intonacate. Tutta la cura decorativa del disegno fu ripostanelle cornici e nei timpani delle finestre e nell’austero portale settecente-sco, ancora sormontato dallo stemma della Società di Gesù. La lunga pa-rentesi seminariale non alterò i contenuti linguistici originari.

Negli anni ’60 del ’900, il seminario di Bosa trovò una nuova e piùampia sede verso occidente, oltre la zona di espansione ottocentesca. Dal1986, in seguito alla fusione tra le diocesi di Alghero e Bosa, la città per-se l’episcopio, ma incrementò le iscrizioni al seminario dove furono ac-colti i giovani provenienti dalla città catalana.

Seminario di Castelsardo

Fu necessario attendere la nomina al soglio vescovile di Pietro PaoloCarta, nel 1764, per vedere avviata la costruzione del seminario a Castel-sardo65. Nella lunga reggenza del predecessore, Salvatore Angelo Cadel-lo, nessuna iniziativa lasciò sperare nella fondazione dell’istituto. La bre-ve vacanza del soglio, seguita alla morte del presule, fu contraddistintadalla strenua abnegazione dell’arcivescovo di Sassari, Giulio Cesare Vian-cini, il quale, incaricato di smuovere l’inerzia creatasi nella mitra di Am-purias-Civita66, affrontò, risolvendolo, il problema del seminario. Su pre-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [33]

– 293 –

64 Ivi.65 Nel tentativo di italianizzazione della cultura sarda, l’antico toponimo di Castellaragone-

se fu trasformato in Castelsardo.66 Dai primi decenni dell’800, la diocesi assunse l’appellativo di Tempio-Ampurias; è at-

tualmente in fase di studio la possibilità di ripristinare anche l’antico toponimo di Civita.

ciso incarico della corte, la supervisione del Viancini non venne meno neiprimi anni di reggenza del vescovo Pietro Paolo Carta. Questi, nel 1765,acquistò la residenza privata del canonico Bosinco onde ricavarvi la sededel nuovo istituto67.

Sulle vicende architettoniche del seminario di Castelsardo pesò la ca-renza di risorse economiche, limite acutizzato da una serie di vertenzecon l’arcidiocesi di Sassari, in merito alla spartizione di rendite e pre-bende. Si rileva un’evidente incongruenza: da un lato, il Ministero per gliAffari di Sardegna caldeggiò la pronta risoluzione del problema, tanto daincaricare un esperto supervisore, nella persona dell’arcivescovo turrita-no Viancini; dall’altro si evitò, o non vi fu modo, di metter mano alla bor-sa per finanziare la costruzione di un seminario decoroso.

Seminario di Iglesias

L’esigenza di realizzare una scuola ecclesiastica ad Iglesias si presentònel 1763 quando la diocesi omonima fu rifondata, dopo una parentesi dioltre due secoli. Per prima in Sardegna, la mensa sulcitana fronteggiòl’improba fatica di allestire, congiuntamente, l’intero complesso capitola-re: cattedrale, episcopio e seminario. La scelta della chiesa ricadde, perovvie ragioni, sull’antica parrocchiale di santa Chiara; per gli altri edifici,si procedette all’acquisto e al successivo sventramento di un intero isola-to urbano medioevale, prospiciente il sagrato della chiesa.

Il governo controllò l’intera operazione: la regia tecnica non potevaprescindere dalla direzione di un progettista competente. L’occasionenon ammetteva errori di sorta o gestioni approssimative, dato il valorepropagandistico dell’iniziativa. Pur non trattandosi di un’architetturapubblica, l’ingerenza del governo sull’impresa perdurò fino alla conclu-sione dei lavori. All’epoca, l’ingegnere Antonio Saverio Belgrano di Fa-molasco, capitano d’artiglieria, era la figura più qualificata in Sardegna.Responsabile delle fabbriche statali nella regione, l’ufficiale mantenne co-stanti rapporti con il vicario governativo e con il ministro Bogino. Bel-grano non fu l’unico progettista militare a partecipare al progetto; per ol-tre vent’anni, i successori dell’ufficiale soggiornarono ad Iglesias appor-tando i loro personali contributi estetici e tecnici.

Il ruolo determinante dell’ingegnere piemontese è noto per via indiret-ta: egli concepì la forma architettonica e l’immagine del complesso capito-

[34] Marcello Schirru

– 294 –

67 M. MANCONI, op. cit., pp. 148; 162-167.

lare, ma la sua attività non è testimoniata da alcun elaborato progettuale.Le intenzioni dell’autore sono raccolte in due tavole, disegnate dai colleghiGiovanni Francesco Daristo, nel 1773, e Raymondo Ignazio Cochis, nel177868 (figura 14). Per loro stessa ammissione, i progettisti si limitarono ariprodurre il progetto originale di Saverio Belgrano, come testimonia laperfetta corrispondenza tra i due rilievi. Dopo il breve interludio dell’in-gegner Francesco Domenico Perini, il quale, stando alle fonti d’archivio,non ebbe modo di interessarsi alla fabbrica sulcitana, Daristo e Cochis ri-cevettero espresso incarico di dirigere la costruzione dell’episcopio e delseminario.

Attorno alla corte, aperta verso meridione, l’episcopio e il seminariosuddividevano simmetricamente l’edificio, occupando ciascuno un’ala: laresidenza del vescovo, verso occidente e lungo il corpo di testata; il semi-nario ad oriente. Quando, nel 1773, Giovanni Daristo assunse la direzionedella fabbrica, i lavori languivano in una preoccupante stasi, dovuta allapartenza del precedente responsabile, Saverio Belgrano, e all’impossibilitàdi coinvolgere nel progetto il diretto successore Perini. Come d’usanza,Daristo differenziò con tinte cromatiche le diverse parti dell’edificio: perciascuna di esse, la specifica di opere da realizzarsi. Ciò dimostra l’incon-sistenza architettonica di quanto realizzato fino ad allora. D’altra parte, se,come sostenne lo stesso Daristo, la fabbrica fu inaugurata nel 1768, l’avve-nimento precedette di pochi mesi il congedo sardo di Saverio Belgrano: untempo insufficiente a consentire l’avanzamento significativo dei lavori. Lostesso Daristo, forse ripensando alle fasi pregresse del cantiere, indicò, intinta gialla, le porzioni differibili dell’episcopio e del seminario; in rosa te-nue, i locali non inseriti nella prima fase degli interventi, la cui realizzazio-ne avrebbe reso più confortevole la dimora del vescovo.

Su questo improvviso risveglio del cantiere, influì la nomina del pre-sule Giovanni Ignazio Gautier, uomo dotato di forte personalità e carat-tere. Già rettore del seminario di Mondovì, egli trascorse diversi anni ne-gli uffici della mitra cagliaritana, a stretto contatto con gli arcivescoviGiulio Cesare Gandolfi, del quale divenne “familiare”, e Tomaso IgnazioNatta69. In virtù della lunga esperienza in Sardegna, Gautier vantò ottime

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [35]

– 295 –

68 Le tavole furono pubblicate, per la prima volta, dallo storico Daniele Pescarmona; cfr.:D. PESCARMONA, op. cit., p. 85. Le tavole degli ingegneri Daristo e Cochis sono custodite pres-so l’Archivio di Stato di Torino: A.S.Ca, paesi, Sardegna, materie ecclesiastiche, categoria II,mazzo II, n. 7.

69 C. SANNA, Gautier, Giovanni Ignazio, in F. ATZENI - T. CABIZZOSU (edd.), Dizionario bio-grafico dell’episcopato sardo. Il Settecento (1720-1800), AM&D Edizioni, Cagliari 2005, pp.137-139.

credenziali per ricevere l’investitura della mensa sulcitana. Il tempera-mento del presule avrebbe certo giovato alla fabbrica del seminario igle-siente, se il destino non l’avesse chiamato a miglior vita ad appena un an-no dalla prestigiosa nomina, aprendo un inatteso biennio di vacanza delsoglio. Venuto a mancare il fautore dell’iniziativa, si scatenarono asprepolemiche tra le maestranze coinvolte nel cantiere e l’ingegner Daristo, lacui indole poco ebbe da invidiare allo spirito arcigno del defunto Gau-tier. Il progettista non perse tempo a criticare severamente i costruttori,lamentandone, in una missiva diretta al viceré Filippo Ferrero, marchesedi la Marmora, la loro incapacità nella scelta, preparazione e posa in ope-ra dei materiali. Il loro approvvigionamento non derivò dalla cernita ac-curata dei migliori filoni, bensì dal raccatto nei luoghi più vicini ed ac-cessibili, onde impiegar minor fatica. I mattoni, sempre secondo Daristo,furono impastati con argille di qualità scadente e ricche di impurità; le di-mensioni differivano dagli usuali campioni piemontesi. Parole piccate an-che per un certo Gerolamo Zedda, improvvisatosi direttore d’opera, ilquale, a detta dell’ufficiale: […] non sa cosa sia livello né piombo, né tam-poco sa discernere le buone dalle cattive qualità dei materiali di cui devesifar uso nella costruzione di fabbriche sode […]70.

Il risentimento di Giovanni Daristo toccò un nervo scoperto dell’edi-lizia sarda. Invero, la lunga lettera del funzionario testimonia il divarioculturale tra il progettista del tardo ‘700, prodotto di un’accademia scien-tifica di primo livello, e l’artigiano chiuso nel guscio del sapere corpora-tivo. Per il primo, le proprietà dei materiali sono fenomeni eminente-mente scientifici, da analizzare, come fece Daristo, fino alla scala del pic-colo grano di sabbia; per il muratore, con il costante assillo del bilanciospese-ricavi, non é neanche ipotizzabile un orizzonte logico estraneo aitrucchi della bottega.

V’é, però, un’altra componente da considerare, in soccorso degli arti-giani. Daristo proveniva da una cultura architettonica diversa. Da sem-pre, il mattone ha connotato l’estetica delle città padane e Torino non fe-ce differenza. Tale fu la specializzazione nella produzione e nell’impiegodi questo materiale, da escludere quasi altri generi di approvvigionamen-ti, ad eccezione delle opere di particolare pregio. L’arte del laterizio fuignota al panorama architettonico della Sardegna dove regnò un’incredi-bile varietà lapidea, componente fondamentale di un’estetica autoctona

[36] Marcello Schirru

– 296 –

70 A.S.To, paesi, Sardegna, materie ecclesiastiche, categoria II, mazzo III, n. 57. La rela-zione fu proposta, per la prima volta, dallo storico Daniele Pescarmona; cfr.: D. PESCARMONA,op. cit., p. 89.

di rara bellezza espressiva. Produrre, mondare e cuocere l’argilla esulòdalle specializzazioni del panorama edilizio sardo; in nessuna zona dellaregione si svilupparono attività estrattive del materiale e di produzione suscala significativa. Sono concetti universali, applicabili a qualsiasi conte-sto; presupposti fondamentali per avviare confronti estetici incondiziona-ti da fuorvianti preconcetti.

Tornando alle vicende del seminario iglesiente, occorre soffermarsi suicomplessi sviluppi del cantiere settecentesco. Presi dagli innumerevoliimpegni professionali, gli ingegneri Daristo e Cochis non poterono tra-scorrere lunghi soggiorni ad Iglesias. Alla presenza intermittente dei di-rettori di fabbrica, si aggiunse l’accennata vacanza del soglio vescovile,tra il 1773 ed il 1775, conclusa con la nomina del prelato Francesco An-tonio Deplano. L’episodio non riuscì ad assestare le sorti del cantiere, lacui principale carenza furono gli introiti economici. Nel 1784, un terzorilievo, questa volta condotto sulle murature realizzate, raffigurò l’edifi-cio per lunghi tratti incompleto. Il capitano ingegnere Giacinto Marciot,autore della tavola, differenziò, come i predecessori, le diverse porzionidella fabbrica: il palazzo vescovile, in tinta gialla, costruito fino all’altez-za del primo piano; con la tinta nera, il seminario ancora fermo alle vol-te del primo livello. I corpi architettonici retrostanti sono tracciati con li-nee di matita, a denotare profili murari ancora da realizzare. Marciot al-legò una stima delle spese necessarie ad ultimare la fabbrica, suddivisenei due nuclei dell’episcopio e del seminario. In entrambi i casi, le cifrecalcolate furono imponenti: 13.131:0:10 lire per il palazzo vescovile;12.812:9:2 per il seminario; il totale ammontò alla considerevole cifra di25.943:10 lire.

Dopo il resoconto dettagliato dell’ufficiale, il governo mise mano allaborsa, sovvenzionando i lavori. Marciot ritornò ad Iglesias in compagniadel gesuita Carlo Maino, incaricato di prestare la sua assistenza nelle ul-time fasi del cantiere. I due progettisti intervennero quali parti in causanell’ambito di una vertenza giudiziaria intrapresa dal mastro ferraio Pao-lo Antonio Marchesoli, relativa ad alcuni pagamenti rivendicati. L’arti-giano forgiò le balaustre di ferro lavorato per i balconi dei due palazzi,disegnate da Carlo Maino71. Non abbiamo elementi per confermare ilmontaggio delle eleganti ringhiere rococò o per quanto tempo esse ab-biano adornato il fronte principale del palazzo: la nuova immagine otto-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [37]

– 297 –

71 A.S.Ca, Reale Udienza, pandetta 59, busta 118, fascicolo 24, cc. 5-6; 8. Lo scrivente hapubblicato i disegni delle balaustre, soffermandosi sui termini della vertenza; cfr.: M. SCHIRRU,Carlo Giuseppe Maino da Ronco, Direttore di fabbriche ella Sardegna del ’700, in «Artisti dei Laghi», I, San Fedele Intelvi (Co) 2011, pp. 688-735.

novecentesca del complesso ha cancellato i segni dei precedenti inter-venti (figura 15).

Realizzate le opere suggerite da Giacinto Marciot, il complesso archi-tettonico fu inaugurato nel 1795, come recita una lapide murata ancoraesistente. Il legame tra l’episcopio e il seminario si rivelò indissolubile,per quasi due secoli; difficile discernere la ragione degli interventi ese-guiti nelle fasi successive. Ad esempio, non è chiaro se l’ampliamentocondotto nel 1831 fosse cagionato dall’aumento di iscrizioni nella scuolavescovile o dal desiderio di ingrandire, in forma uniforme, l’intero com-plesso72.

Comunque si siano svolti i fatti, i restauri programmati tra la fine del‘800 ed il primo ’900 conferirono un nuovo volto all’edificio. In sintoniacon l’estetica revivalistica, il fronte rappresentativo assunse linee neo-go-tiche, ingentilite dal repertorio decorativo vario e posticcio. I tre livellidel palazzo sono chiaramente differenziati: il primo ordine, rivestito dibugne, è segnato da una prima teoria di finestre; il secondo, corrispon-dente al piano nobile, ha una luce di interpiano doppia; l’altezza ridottadel livello d’attico suggerisce un’integrazione successiva. Le velette deco-rative del piano nobile, racchiuse da cornici a bilancia, richiamano gli or-nati dell’architettura civile catalano-valenzana del tardo-quattrocento, dicui si conservano pregevoli esempi a Sassari ed Alghero. Gli inserti loba-ti delle pseudo-monofore, nel piano nobile, ripresi negli angolari delle fi-nestre del primo ordine, completano il canovaccio neogotico del rinno-vato fronte.

Eppure, osservando la facciata nel suo insieme, è possibile scorgerel’antica partitura settecentesca. Come un disegno geometrico di suppor-to, la struttura compositiva del prospetto rococò traspare attraverso lamaschera neogotica. Quattro paraste a tutt’altezza percorrono il fronteprincipale, culminando, sul limitare superiore del secondo ordine, in so-bri capitelli agganciati da un’originale fibbia muraria. Sia esso originale ofrutto della libertà espressiva otto-novecentesca, il singolare elemento èun indicatore attendibile di chiusura dello spartito decorativo. Il rigoredegli ordini architettonici avrebbe richiesto un cornicione d’attico, a giu-stificare l’incremento grafico dei capitelli, laddove un terzo ordine, con-notato da ritmica e qualità decorativa proprie, evidenzia la sua naturaavulsa.

[38] Marcello Schirru

– 298 –

72 Per l’evoluzione del complesso vescovile di Iglesias, tra ’800 e ’900, cfr.: S. NAITZA, op. cit., 1992, sch. 74; F. MASALA, Architettura dall’Unità d’Italia alla fine del ’900, Ilisso, Nuo-ro 2001.

Pur estrapolando i fili strutturali, l’immagine del palazzo denotaprofonde differenze rispetto ai rilievi settecenteschi. Daristo e Cochis di-segnarono un edificio suddiviso in tre livelli di uguale altezza. Come con-sueto nella tradizione architettonica di Gian Giacomo Plantery73, ciascunpiano è ritmato da esili marcapiani gemelli per l’intera lunghezza dellafacciata; il più alto sostiene idealmente le finestre dell’ordine sovrastante.La riduzione delle luci d’interpiano avrebbe consentito l’inserimento diun piano ammezzato tra il secondo ed il terzo ordine, ben visibile nellasezione longitudinale dell’edificio, richiamato esternamente da piccoleaperture quadrate. Solitamente, le finestre erano racchiuse da cornici af-fiancate da piccole volutine ioniche; il rilievo non fornisce indicazioni alriguardo, limitandosi ad individuare i vani delle aperture. Al contrario, siscorgono le ringhiere metalliche, cui si è accennato in precedenza, da-vanti alle finestre dell’ultimo piano; la forma sobria e generica fu ridefi-nita da Carlo Maino con floreali contorsioni di ferro lavorato. Il primoordine presenta tre portali, uno per ciascuna delle due istituzioni e un in-gresso in galleria per la corte, sormontati da grandi timpani triangolari re-canti le insegne rappresentative. In luogo del segmento di fabbrica man-cante, verso meridione, compare una scenografica scala a doppia valva,con vasca incastonata, utile a superare, con cerimoniale grazia rococò, ildislivello rispetto al giardino retrostante. Sono evidenti le analogie con iportali dell’università degli studi di Cagliari, coeva al seminario di Igle-sias, concepita anch’essa da Saverio Belgrano.

Il complesso vescovile di Iglesias conservò minime tracce dell’im-pronta distributiva ed estetica settecentesca; la sbiadita scansione ritmica,comunque alterata nei suoi elementi costitutivi, fu ricondotta forzosa-mente entro la nuova immagine otto-novecentesca.

Seminario arcivescovile di Cagliari

Giuseppe Agostino Delbecchi dedicò anima e risorse alla rifondazio-ne del seminario di Alghero, ma avversò, fino all’ultimo, la rinascitadell’istituto cagliaritano. Il prelato ricevette la promozione ad una delle

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [39]

– 299 –

73 I canoni estetici elaborati da Gian Giacomo Plantery, per gli edifici civili dell’amplia-mento settecentesco di Torino, sono fondamentali per comprendere i connotati dell’architet-tura del tardo ’700 in Sardegna. Sull’argomento, cfr.: A. CAVALLARI MURAT, Gian GiacomoPlantery architetto barocco, in «Atti e rassegna tecnica della società degli ingegneri e degli ar-chitetti di Torino», XII, Stamperia Artistica Nazionale, Torino 1956. ID., Forma urbana e ar-chitettura nella Torino barocca: dalle premesse classiche alle conclusioni neoclassiche, UTET, Torino 1968. M. SCHIRRU, Palazzi e dimore signorili nella Sardegna del ’700, cit.

74 In Sardegna, esistono tuttora tre arcidiocesi: Cagliari, Sassari ed Oristano. Esse occupa-no un livello superiore nella gerarchia giurisdizionale ecclesiastica della regione, rispetto allealtre diocesi ordinarie.

75 Archivio dell’Arcidiocesi di Cagliari, Registrum Commune, vol. 7, c. 49.Il riferimento al soglio vacante è ambiguo: la cronotassi degli arcivescovi cagliaritani non

riporta interruzioni nel 1580. Gaspare Vincenzo Novella resse la mensa dal 1578 al 1586. Il do-cumento citato alluderebbe non già alla vacanza del soglio, dovuta alla morte di un prelato, maalla prolungata assenza da Cagliari, avvenimento non raro. In questo caso, permane l’interro-gativo sulle ragioni dello spoglio.

76 Lo scrivente ha dedicato diversi saggi al complesso culturale del Balice, nella sua artico-lazione generale e nelle sue parti costitutive originarie: l’università degli studi, il seminario e ilteatro regio. All’interno di questi studi sono contenute approfondite analisi estetiche del mo-numento e dettagliati regesti archivistici; cfr: M. SCHIRRU, Architettura e vicende costruttive del

– 300 –

[40] Marcello Schirru

mense più rappresentative della Sardegna nel 176374; detenne la caricaper quattordici anni. Non conosciamo le ragioni del suo disappunto perun progetto di notevole valore propagandistico e sociale: la costruzionedel nuovo seminario di Cagliari fu una delle operazioni architettonichepiù grandiose del ’700, in Sardegna.

La data di fondazione della scuola è ignota, ma prossima al 1580: inquest’anno, la mitra investì nell’istituto parte dei frutti derivanti dallo spo-glio della sede vacante75. Non vi sono dubbi sull’ubicazione dell’antico se-minario: nel rispetto dei canoni tridentini, esso sorse in prossimità dellacattedrale. Nel tempo, l’edificio assunse una anomala conformazione aponte, tra i fronti contrapposti della strada del fossario, un tempo direttaverso il cimitero del borgo (figura 17). Collegati da un portico con sovrap-passo, di ispirazione gesuitica, i due nuclei del seminario confinavano conla sacrestia dei beneficiati e con la piccola chiesa dedicata a nostra Signoradella speranza. Verso oriente, il campo santo della cattedrale ed alcune re-sidenze private posero limiti invalicabili all’istituto. L’inserimento obbliga-to, tra un isolato medioevale e le pertinenze della cattedrale, impedìl’espansione della scuola ecclesiastica. Dettate dalla repentina diffusionedegli istituti diocesani, queste contingenze economiche e logistiche svela-no un tratto comune tra i seminari europei, di cui si è già discusso nell’in-troduzione. Nonostante le ristrettezze, occorre prestare attenzione a que-sta prima sede educativa. Nel tardo ’700, l’arcivescovo Delbecchi cercò, intutti i modi, di salvaguardarne il primato culturale nella diocesi, fino adosteggiare, apertamente, la costruzione del nuovo seminario.

Sarebbe un errore accomunare le vicende architettoniche del semina-rio e dell’università degli studi di Cagliari. L’accostamento e la singolareconvivenza tra le due istituzioni originò un sontuoso palazzo settecente-sco sul bastione del Balice, connotato da uniformità di linee estetiche edequa suddivisione di spazi tra i due nuclei costitutivi76 (figura 16). La

complesso dell’universita� degli studi e del seminario tridentino di Cagliari, tesi di laurea, Uni-versita� degli Studi di Cagliari, Facolta� di Ingegneria 2002. M. SCHIRRU, Proporzioni e significa-ti semantici nella composizione architettonica barocca piemontese del Settecento in Sardegna,«Quaderni d’architettura, a cura dell’Università degli Studi di Cagliari, Dipartimento di Ar-chitettura», V, CUEC, Cagliari 2005, pp. 131-161. M SCHIRRU, Architettura e vicende costrut-tive del teatro regio di Cagliari, in «AA.VV., Ricerche di storia dell’architettura della Sardegna, acura dell’Università degli Studi di Cagliari, dipartimento di Architettura», pp. 77-130, Grafi-che Parteolla, Dolianova (Ca) 2007. M. SCHIRRU, Palazzi e dimore signorili nella Sardegna delXVIII secolo, tesi di dottorato, Universita� degli studi di Cagliari, Facolta� di Ingegneria, tesi didottorato 2008. M. SCHIRRU, L’Università degli Studi di Cagliari e il complesso architettonico delBalice, in «Annali di storia delle Università italiane», XIV, CLUEB, Bologna 2010, pp. 371-405. M. SCHIRRU, Carlo Giuseppe Maino da Ronco, Direttore di fabbriche, cit.

77 M. SCHIRRU, L’Università degli Studi di Cagliari, cit. Al saggio, è allegato il contrattod’appalto per la costruzione dell’Università.

– 301 –

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [41]

conformazione non subì variazioni significative, sebbene in luogo del se-minario, trasferito nella moderna sede ai piedi del colle di san Michele, sitrovi oggi la biblioteca universitaria.

Ateneo e seminario vissero storie indipendenti: la prima pietradell’università fu posata nel 1765, più di un anno dopo, l’istituto religio-so fece la sua comparsa sulle tavole di progetto77. Tra le due istituzioni fuprevisto un teatro, mai realizzato, a completare un’idea architettonica daicontorni monumentali, sfumati per ragioni di mero ordine tecnico edeconomico. Saverio Belgrano concepì il grandioso progetto: per il fun-zionario piemontese, un’ulteriore prova di livello, dopo l’esperienza po-sitiva del seminario di Iglesias. Il complesso culturale del Balice rappre-sentò una novità assoluta per la Sardegna. L’immagine dell’edificio, mu-tuata dall’edilizia torinese del primo ’700, insegnò agli operatori e all’ari-stocrazia della regione i contenuti dell’estetica subalpina. Dal punto di vi-sta urbano, dimostrò le potenzialità scenografiche di un esteso fronte ar-chitettonico, cono prospettico e, insieme, riplasmazione del margine me-ridionale del Castello. In pochi anni, lungo la contrada del Balice, sorse-ro l’ateneo, il seminario tridentino e il teatro regio, accanto alle preesi-stenze secentesche del convento scolopio di san Giuseppe, sede degli stu-di superiori, e del casino da gioco. Con l’eliminazione del teatro dal com-plesso culturale del Balice, alla successione di attività fu aggiunto un ul-timo, fondamentale, tassello: la sala per commedie occupò l’ultimo lottodisponibile verso oriente, prima dell’affaccio sul bastione dello sperone edella porta dell’aquila. Non è scorretto intravedere un pionieristico ten-tativo di “zonizzazione”, per usare un vocabolo caro agli urbanisti con-temporanei: le destinazioni culturali e ludiche contrapposte alle funzioniamministrative e direzionali, gravitanti attorno all’episcopio e al palazzoreale.

Le vicende costruttive del complesso culturale sono note attraverso lefonti archivistiche. Più incerta appare la regia dell’impresa. Fino a dove sispinse il ruolo di Saverio Belgrano nella concezione dell’edificio? Il pro-gettista scelse in prima persona il luogo dove realizzare l’ateneo e, in se-guito, il seminario? Si deve allo stesso progettista l’idea di integrare l’ipo-tesi architettonica originale, affiancando all’università il seminario e il tea-tro? A meno di nuove, inattese, emergenze documentarie, tali interrogati-vi sono destinati a non trovare risposta. L’unica strada percorribile è ra-gionare sulla situazione al contorno e sui personaggi attivi nello scenariocagliaritano e torinese dell’epoca, siano essi governativi o ecclesiastici.

Giovanni Battista Borra, noto progettista piemontese, esaminò il nuo-vo progetto di Saverio Belgrano, introducendo, da Torino, modifiche so-stanziali. Membro del Congresso degli edili, Borra espresse il parere dimerito sulla proposta architettonica elaborata a Cagliari; come il collegaCarlo Andrea Rana, coinvolto, come visto, nell’impresa del seminario diOristano, il Borra prestò la sua consulenza per la prestigiosa fabbrica ca-gliaritana. Dato il ruolo istituzionale, le sue indicazioni ebbero valore vin-colante. Per altro, il progettista individuò alcune incongruenze nella pro-posta architettonica di Belgrano. Monumentale e maliziosa, la composi-zione funzionale dell’edificio non incontrò unanimi consensi a Torino. IlCongresso sorvolò sull’inedito affiancamento dei saperi laico e religioso,ma non gradì l’inserimento del teatro. Il modulo architettonico della sa-la avrebbe ridotto gli spazi pertinenti il seminario, i cui introiti derivava-no, in buona parte, dall’affitto delle piazze e degli alloggi per i laici. L’eli-minazione del teatro e l’accostamento dell’istituto diocesano all’ateneoregolarizzò la forma dell’edificio, creando due nuclei simmetrici, ciascu-no racchiuso attorno alla propria corte. Allo stesso tempo, si poterono ri-solvere i problemi di smaltimento delle acque piovane, non definiti daBelgrano78.

Oltre al ruolo centrale di Giovanni Battista Borra, dettato dalle man-sioni istituzionali nell’ambito del Congresso degli edili, non possiamo tra-scurare la possibile ingerenza del padre Emanuele Rovero. Il suo nomenon compare nelle fonti archivistiche; tuttavia, è singolare la corrispon-denza tra l’arrivo in Sardegna del religioso e la rielaborazione del pro-getto con l’inserimento del seminario e del teatro.

Sul piano strettamente formale, la competenza di Saverio Belgrano nelcampo della scenografia teatrale appare modesta; inferiore alla raffina-

[42] Marcello Schirru

– 302 –

78 Per le relazioni di merito di Giovanni Battista Borra, cfr.: A.S.To, paesi, Sardegna, affa-ri ecclesiastici, categoria 7, mazzo 1.

tezza estetica e paesaggistica della proposta complessiva. Se gli ordini diarcate sovrapposte, rivolte al golfo di Cagliari, denotano l’affinità per ilpittoresco e per l’ariosità rococò, la forma del teatro ignorò gli sviluppisettecenteschi delle sale per commedie o musica. La forma ad U, è anco-rata a modelli planimetrici del primo ‘600, laddove, le sperimentazioni il-luministe, avevano già maturato l’ideale conformazione a ferro di cavallo,adeguata alla corretta fruizione visiva ed acustica. Gli spazi a disposizio-ne condizionarono le scelte di Belgrano, ma l’ufficiale non rinunciò almodello prescelto quando disegnò il nuovo teatro regio, situato di fron-te al seminario79.

L’avvenimento introduce una variabile ulteriore tra le vicende delcomplesso culturale del Balice. Verosimilmente, le autorità conoscevanole intenzioni del barone don Francesco Çapata, il quale, nel 1766, otten-ne dalla municipalità di Cagliari l’autorizzazione a costruire un teatroall’interno del suo palazzo nel Castello. L’edificio giaceva in posizione in-termedia, tra la torre dell’aquila e la contrada del Balice; la sala avrebbeoccupato uno degli ultimi lotti disponibili, completando il fronte urbanoprospiciente il seminario. La coincidenza cronologica tra l’iniziativa delnobiluomo e le variazioni progettuali richieste da Giovanni Battista Bor-ra portano a ritenere i fatti strettamente collegati. Se a ciò si aggiunge ilcoinvolgimento di Saverio Belgrano nel disegno del teatro regio, l’ipote-si acquista ulteriore valenza80.

Nonostante le correzioni apportate al complesso culturale del Balice,il progetto rimase sulla carta per diversi anni; soltanto l’Università pro-gredì, come per inerzia. Nel 1769, fu inaugurato il primo anno accade-mico, ma diverse zone dell’edificio erano ancora incomplete. La compar-sa diffusa di lesioni si rivelò l’aspetto più preoccupante; il mancato com-pletamento delle logge sovrapposte e la natura cedevole del terreno fa-vorirono il progredire dei fronti fessurativi. Gli ingegneri Perini e Dari-sto, cui competé la direzione della fabbrica dopo la partenza di SaverioBelgrano, suggerirono la chiusura delle arcate, onde frenare il progrediredelle lesioni. La soluzione adottata si rivelò controproducente: l’aumentodei carichi, dovuto alle nuove murature, incrementò i cedimenti struttu-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [43]

– 303 –

79 Per l’evoluzione dell’architettura teatrale, nell’epoca moderna, cfr.: A. PINELLI, I teatri.Lo spazio dello spettacolo dal teatro umanistico al teatro dell’opera, Sansoni, Firenze 1973. Perl’architettura del teatro dell’Università e del teatro regio, cfr.: M SCHIRRU, Architettura e vi-cende costruttive del teatro regio di Cagliari, cit.

80 Don Francesco Zapata e Saverio Belgrano erano intimi conoscenti, appartenendo en-trambi all’Ordine equestre dei santi Maurizio e Lazzaro. Nei contratti d’appalto per il teatro,il barone sottolineò la […] buena amistad […] tra i due personaggi, tale da giustificare il coin-volgimento di Belgrano nel progetto della nuova sala.

rali, ai quali si pose termine, dopo alcuni anni, con il completamento de-finitivo delle arcate81.

Gli avvenimenti descritti alterarono in modo irreparabile l’immaginedel complesso, cancellando lo spirito pittoresco dell’edificio. Le logge pa-noramiche furono obliterate; il dialogo diretto tra l’interno e il paesaggiorimase un vago ricordo. Il palazzo assunse una conformazione chiusa: lecorti dell’università e del seminario, concepite come percorsi scenograficiverso la terrazza retrostante, assunsero un’ordinaria funzione distributiva.

Per le sorti del seminario, quanto descritto rimase un puro ragiona-mento progettuale. Nei primi anni di attività dell’ateneo, la costruzionedell’istituto ecclesiastico non era stata ancora intrapresa. Inspiegabilmen-te, l’arcivescovo Delbecchi avversò l’ipotesi di trasferire la scuola sul Ba-lice. Quanto il presule incoraggiò la rifondazione dell’Università deglistudi, curandone gli interessi presso la Santa Sede e indirizzando il re-clutamento del corpo docente, tanto osteggiò il progetto promosso dalMinistero per gli affari di Sardegna. Atteggiamento, a tratti, incompren-sibile, forse dovuto al timore di perdere il controllo sulla scuola, datol’abbandono del complesso capitolare. Non si può escludere il tentativodi preservare l’intimità religiosa, minacciata dalla convivenza con i laicidell’Università, o l’antagonismo con gli Ordini regolari, titolari delle cat-tedre più prestigiose dell’ateneo. In questo turbine di ipotesi, concomi-tanti o meno, è difficile intuire i reali pensieri del presule.

Nel 1765, Delbecchi incaricò Saverio Belgrano di ispezionare l’anticoseminario vicino al capitolo, al fine di valutare i costi del restauro e delsuo ampliamento. Il progettista sconsigliò l’ipotesi; tanto meno, l’aggiun-ta di nuovi piani nella scuola: l’adiacente chiesa della speranza non avreb-be retto l’incremento di carichi portato dalle nuove murature. In ogni ca-so, gli interventi paventati non avrebbero migliorato le ristrettezze logi-stiche dell’istituto, comunque vincolato all’interno di una schiera urbanamedioevale82. In alternativa, l’acquisto delle adiacenti residenze Falqui eOtger, parve la soluzione più indicata, ma le due famiglie nobiliari si di-mostrarono restie a cedere i loro antichi palazzi, richiedendo, nel casodegli Otger, un costo esorbitante83. Analogo discorso può essere fatto perl’antico collegio dei nobili, insufficiente negli spazi e sottoposto, qualchetempo dopo, a provvidenziali opere di restauro (figure 18, 19).

[44] Marcello Schirru

– 304 –

81 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, I serie, vol. 297, dispacci del 13 dicembre 1771, 21 feb-braio 1772, 15 maggio 1772 e 10 luglio 1772.

82 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, I serie, voll. 293; 296, dispacci dell’11 ottobre 1765 edel 15 giugno 1770.

83 A.S.To, paesi, Sardegna, affari ecclesiastici, categoria 7, mazzo 1, n. 14.

Alle titubanze della mensa arcivescovile, non giovò la lunga contesacon la famiglia Sanjust, proprietaria di una carrozziera nella terrazza delBalice, prospiciente la residenza di famiglia. Il valore di acquisto frenò,per diverso tempo, l’esproprio dell’immobile, alimentando le riluttanzedella mensa arcivescovile. Il progetto rimase in sospeso per diverso tem-po; alla lunga l’arcivescovo Delbecchi accettò il progetto governativo,forse per non suscitare il malcontento della cittadinanza, cui, ormai, nondovevano sfuggire i contenuti complessivi del progetto84.

La prima pietra del nuovo seminario fu posata il 16 maggio 1771 allapresenza delle autorità ecclesiastiche, governative e municipali. Dopo il ri-chiamo in Piemonte dell’ingegner Belgrano, la supervisione tecnica sull’ini-ziativa ricadde sul collega Francesco Domenico Perini, anch’egli testimo-ne dell’evento. I presenti non poterono immaginare a quale destino trava-gliato sarebbe andata incontro la fabbrica. Già il secondo giorno dei lavo-ri si verificò un tragico episodio: lo smottamento delle trincee di fondazio-ne travolse due muratori impegnati nello scavo. Il terreno di posa del gran-de edificio fu l’ostacolo insormontabile per i progettisti e le maestranze al-ternatisi nel cantiere. Composto internamente da terreno sciolto e sterpa-glie costipate, come previsto nei manuali di architettura militare moderna,il bastione del Balice non assicurò il necessario supporto alle fondazionidel grande complesso; esperienza già sperimentata, con negative conse-guenze, nell’adiacente Università. Secondo una relazione del viceré Cais-sotti, conte di Roubion, il 16 ottobre 1772, il cantiere languiva ancora nel-le opere di scavo85. Nel frattempo, si verificò un nuovo avvicendamento al-la direzione della fabbrica, affidata alla responsabilità dell’ingegnere Gio-vanni Francesco Daristo. I noti impegni del progettista non giovarono alcantiere del seminario, costringendo l’ufficiale a prolungati soggiorni lon-tano da Cagliari. Fu necessario reclutare fidati collaboratori. Con titolo dimisuratore, Giuseppe Viana fece l’ingresso nella prestigiosa fabbrica nel177286. Gli storici concordano nell’attribuirgli il disegno del portale d’in-gresso al seminario, caratterizzato da estrosi accenti rococò, di vago sapo-re mitteleuropeo. Il raffinato ingresso è già raffigurato nel rilievo eseguitoda Viana nell’ottobre del 1773. Non pago dei primi avanzamenti della fab-brica, l’arcivescovo Delbecchi incaricò il funzionario piemontese di stu-diare la riconversione del palazzo in un [...]Ospedale di Carità[...]87. Per ra-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [45]

– 305 –

84 M. SCHIRRU, L’Università degli Studi di Cagliari, cit., p. 387.85 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, I serie, vol. 296, dispaccio del 17 maggio 1771.86 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, I serie, vol. 296, dispacci del 17 aprile 1772, 12 giugno

1772, 10 luglio 1772 e 21 agosto 1772.87 A.S.To, paesi, Sardegna, affari ecclesiastici, categoria 7, mazzo 1, n. 20.

gioni ignote, l’iniziativa del presule non ebbe seguito; le tavole di progettorimangono la più affidabile testimonianza dello stato d’avanzamento delseminario (figure 20, 21, 22, 23). Viana differenziò i piani terra e seminter-rato, accompagnati dalla specifica [...] già fatti [...], dai due livelli superio-ri, ancora […] da farsi [...]. È questo un primo indicatore fondamentaleper comprendere la genesi dell’edificio; dimostra, ad esempio, il repentinoimpulso dato ai lavori: in meno di un anno, tra il novembre del 1772 e l’ot-tobre del 1773, si riuscì ad ultimare gli scavi di fondazione e ad elevare duepiani della fabbrica. Il rilievo evidenziò l’incompiutezza dell’edificio, alquale mancava l’angolo di raccordo tra le ali meridionale ed orientale. No-nostante le dimensioni, non furono applicate le teorie borromaiche sull’or-ganizzazione interna dei seminari. La suddivisione in grandi cameroni, rei-terata nei piani superiori, allude alla tipologia distributiva tradizionale, diorigine cinque-seicentesca. Per contro, occorre valutare l’effettiva confor-mazione dell’istituto cagliaritano, massiccia e quadrilatera; impossibile pre-vedere successioni di alloggi singoli dotati ciascuno di una propria finestra.La forma adottata perseguì un duplice obiettivo: riprodurre, per simme-tria, i grandi locali dell’adiacente ateneo e garantire al loro interno un buonricambio di luce ed aria.

Giuseppe Viana non partecipò a lungo alle vicende del seminario: trail 1773 ed il 1774, ricevette l’incarico di trasferirsi nel Sulcis per assiste-re l’ingegner Daristo in alcuni delicati lavori. Si profilò un primo, sgradi-to, avvicendamento con il gesuita Carlo Maino, al quale, la soppressionedella Compagnia di Gesù regalò, nello stesso 1773, l’indesiderata indi-pendenza professionale ed, insieme, la preoccupante necessità di metter-la a frutto. Non attese a lungo: lo stesso Giovanni Daristo caldeggiò l’in-gresso del religioso nel cantiere del seminario ove avrebbe garantito unindispensabile supporto. Con grande professionalità, Maino amministròil cantiere ecclesiastico, fornendo tavole di progetto (figura 24), computispese e curando i rapporti con le maestranze. Ancora una volta, il padregesuita rivelò ottime qualità diplomatiche: non accettò di getto la propo-sta delle autorità, non volendo suscitare il malcontento del […] Secolo[…]. Per ovvie ragioni, il religioso conosceva le recenti vicissitudini delsuo Ordine e l’antagonismo diffuso tra le stanze della curia. Ben presto,però, la situazione si capovolse, come testimoniano le numerose architet-ture religiose disegnate dal progettista luganese88.

[46] Marcello Schirru

– 306 –

88 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, I serie, voll. 298, dispaccio del 14 ottobre 1774; 299,dispacci del 20 dicembre 1776 e 14 marzo 1777. A.S.To, paesi, Sardegna, affari ecclesiastici,categoria 7, mazzo 1.

Al 1776, risalgono i nuovi contratti d’appalto per ultimare la costru-zione del seminario di Cagliari, per la somma ragguardevole di 5.000 scu-di: i documenti furono siglati dai muratori Francesco Cilloco, FrancescoPorcu, Nicola Fenu, Giuseppe Piras e Giovanni Floris e dai carpentieriBattista de Giovannis, Giuseppe Ignazio Pozzo, Giuseppe Are e LuigiMura. Il maestro Giuseppe Boy, inizialmente coinvolto come fideiussoredegli impresari, subentrò nel cantiere con un nuovo contratto, stipulatoil 7 maggio 177889, con il quale, non senza ostacoli di sorta, si giunse alparziale completamento della fabbrica.

Questi interventi non alterarono l’immagine sobria ed elegante delcomplesso culturale. L’estetica planteriana, cifra linguistica dell’opera, di-venne un modello di riferimento per l’architettura civile della Sardegna,sia essa pubblica o privata.

I seminari sardi nell’’800

Quando, nei primi decenni del XIX secolo, si rimise mano alle archi-tetture dei seminari diocesani sardi, il panorama delle arti applicate eramutato profondamente rispetto all’epoca delle campagne settecentesche.Le culture politecnica e accademica investivano molteplici campi dellapratica progettuale; le avanguardie architettoniche affrontavano temi ine-diti, gettando i semi di un nuovo sistema etico e sociologico.

Anche in Sardegna, gli effetti di questo rinnovamento si manifestaro-no nella loro pienezza. Nei primi anni dell’’800, si registrò un’interessan-te fase sincretica, con personalità pronte a cogliere le nuove istanze este-tiche ed altre, per lo più impegnate nel campo delle arti plastiche, anco-rate ai canoni espressivi rococò. Fu una fase temporanea, dovuta alla pa-rabola biografica di alcuni artisti, la cui sorprendente longevità incisesull’evolversi degli avvenimenti90.

Intorno al 1830, l’intero scenario architettonico sardo aderì, con pie-na consapevolezza, alle nuove culture estetiche. Le fabbriche dei semina-ri furono tra le prime applicazioni del nuovo linguaggio. Non parliamodi iniziative paragonabili ai cantieri settecenteschi, ai quali, al massimo,seguì qualche opera di completamento. Per le curie della Sardegna, fu

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [47]

– 307 –

89 A.S.Ca, ufficio dell’Insinuazione, tappa di Cagliari, atti insinuati città, voll. 895 (febbraio1776), cc. 433-438; 896 (marzo 1776), c. 21; vol. 898 (giugno 1776), c. 76; vol. 899 (luglio1776), c. 456; vol. 900 (agosto 1776), cc. 247-248; vol. 902 (ottobre 1776), cc. 698-699; vol. 925(agosto 1777), cc. 742-743; vol. 946 (maggio 1778), cc. 357-360.

90 Cfr.: S. NAITZA, op. cit., 1992.

un’epoca di grandi novità: tre le diocesi istituite o rifondate, con la con-seguente esigenza di dotare i rispettivi capoluoghi di adeguati luoghi li-turgici e rappresentativi.

I progetti non espressero elevate qualità estetiche. Tuttavia, essi se-gnano una prima, interessante, applicazione delle nuove mode al panora-ma dell’architettura civile e religiosa.

Seminario vescovile di Ozieri

Istituita nel medioevo, la diocesi di Bisarcio fu soppressa nel 150391. Atre secoli esatti dall’avvenimento, il pontefice Pio VII la ristabilì con ilsuo antico toponimo, pur trasferendo l’episcopio e la cattedrale ad Ozie-ri. Dal 1915, il centro logudorese diede nome alla rifondata diocesi.

Per le vicende descritte, la città non partecipò alla campagna architet-tonica tridentina, tesa a promuovere la diffusione delle scuole ecclesiasti-che: fino alla rifondazione del 1803, Ozieri non ospitò un seminario. Peranaloghe ragioni, fu marginale l’applicazione delle riforme settecente-sche, alle quali, tuttavia, la città non rimase del tutto estranea92.

Quando, nel 1828, il vescovo scolopio Domenico Pes incaricò Giu-seppe Cominotti di ampliare il seminario di Ozieri, il dibattito interna-zionale ruotava attorno all’estetica politecnica, di cui si è discusso in pre-cedenza. Come visto, il giovane Cominotti incarnò l’archetipo del mo-derno progettista ed intellettuale; egli aveva fornito brillanti prove dellasua preparazione nella breve esperienza sassarese.

Il progettista ampliò il livello più basso dell’edificio e realizzò un nuo-vo piano in elevato. I contenuti dell’incarico dimostrano l’esistenza di unseminario ad Ozieri, sebbene le fonti d’archivio tacciano sulla sua co-struzione. Scarne informazioni si conservano sulle vicende93 di un istitu-to dall’architettura modesta, la cui posizione baricentrica influì, di certo,

[48] Marcello Schirru

– 308 –

91 I territori delle diocesi soppresse di Bisarcio e Ottana furono annessi alle diocesi di Alghero. Nel 1803, la rifondata diocesi di Bisarcio ereditò territori dalle diocesi di Sassari e Alghero.

92 Tra le opere pie, si segnala l’iniziativa di donna Marianna Borja, duchessa di Gandia, laquale destinò il cospicuo lascito testamentario del padre alla costruzione di un collegio gesui-tico nella regione americana della California. In seguito alla soppressione della Compagnia, nel1773, il governo propose di investire il lauto finanziamento nella costruzione di un ospedale adOzieri. L’insorgere di alcune vertenze giudiziarie determinò lo slittamento del progetto fino al-la metà del’ ’800, periodo in cui, Ozieri, ebbe il suo ospedale.

93 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Ozieri).

sulla vita della comunità ozierese. Ubicato in una delle piazze principali,l’edificio ha forma allungata; la suddivisione in due livelli denota minimiinterventi rispetto al progetto di Giuseppe Cominotti. I fronti laterali so-no segnati dalle numerose aperture, non rimarcate da cornici o elementidecorativi. Lungo il margine sud-occidentale dell’istituto, sorge la cap-pella: un piccolo corpo architettonico sporgente, realizzato con blocchilapidei a vista, sormontato da un campaniletto a vela (figura 25).

Per la realizzazione del seminario, le preferenze della mitra ozierese ri-caddero sui noti impresari Bosinco Fogu, ormai ritenuti i costruttori più af-fidabili dalla committenza governativa ed ecclesiastica. Le uniche fonti rin-venute raccontano le fasi conclusive della fabbrica, soffermandosi su unavertenza insorta tra l’impresa costruttrice e il vescovado. Alla situazione,non giovò il triennio di soglio vacante, dal 1831 al 1834; in questo fran-gente, Vittorio Fogu lamentò l’insolvenza della mensa ozierese, incerta sul-la corretta esecuzione dei lavori. Per dirimere la questione, furono nomi-nati due collaudatori: l’ingegnere idraulico Bonino, per conto della mitra,e l’architetto Giuseppe Pau94, a nome dell’impresa, a ciascuno dei quali furiconosciuto l’onorario di 70 lire. L’impresa Bosinco Fogu non fu l’unicacreditrice nei confronti del vescovado: lo stesso Cominotti attese a lungo ilpagamento di ben 114 scudi per l’elaborazione del progetto. Diretto a Sas-sari, per un breve ed ultimo soggiorno, prima del rientro in Piemonte, ilprogettista autorizzò gli stessi impresari a ritirare la somma in sua vece95.

La vertenza vide il coinvolgimento dell’ingegner Tommaso Dogliotti,forse in qualità di perito esterno, il quale stese una relazione sulle opereeseguite dagli appaltatori. I lavori iniziarono nel 1829; il credito rivendi-cato dall’impresa ammontò a 1722:1 lire96. Dopo gli interventi ottocente-schi, non si registrano avvenimenti significativi, il seminario di Ozierigiunse fino ai giorni nostro nella sua forma originale.

Seminario vescovile di Nuoro

La realizzazione dell’istituto ecclesiastico nuorese, nel 1828, é dovutaalla fruttuosa collaborazione tra l’arcivescovo di Oristano, Giovanni Ma-

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [49]

– 309 –

94 Per qualche cenno biografico ai progettisti ottocenteschi attivi in Sardegna, cfr.: A. DELPANTA, Un architetto e la sua città, l’opera di Gaetano Cima (1805-1878) nelle carte dell’archi-vio comunale, Della Torre, Cagliari 1983. F. MASALA, Architetture di carta, progetti per Caglia-ri (1800-1945), AM&D, Cagliari 2000.

95 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Ozieri).

96 Ivi.

ria Bua, e l’infaticabile Giuseppe Cominotti. Essendo vacante il sogliodella diocesi di Galtellì-Nuoro97, il prelato assunse il delicato incarico diamministratore apostolico. Cominotti non aveva ancora partecipato allacampagna architettonica promossa dal presule nella sede di Oristano98.La positiva esperienza nuorese intensificò il sodalizio tra l’arcivescovo eil giovane progettista piemontese: le qualità professionali del funzionariogovernativo spinsero Giovanni Maria Bua ad affidargli la nota risistema-zione delle architetture capitolari oristanesi.

Entrato in contatto con la città di Nuoro, il prelato rilevò la fatiscen-za del seminario barbaricino. Dopo il ristabilimento della diocesi, nel1779, la scuola occupò la sede degli esercizi spirituali gesuitici, dismessain seguito alla soppressione della Società di sant’Ignazio99. Consapevoledi queste carenze, la stessa Santa Sede accompagnò la sua nomina ad am-ministratore apostolico con una nota di preoccupazione per la crisi for-mativa dei giovani all’interno della diocesi100.

Nonostante il consueto pragmatismo, gli sforzi del Bua incontrarononon poche difficoltà. La carenza di fondi e l’esigenza di inviare il proget-to a Torino, onde ottenere l’approvazione finale, determinarono la sud-divisione degli interventi in più fasi. Affidata alla solita, intraprendente,impresa dei fratelli Bosinco Fogu, la costruzione procedette dalle muraperimetrali, lasciando la sistemazione delle strutture interne e le opere difinitura ad un secondo lotto di lavori. Avviate nel 1829, le opere si con-clusero due anni dopo101.

Analizzata nel suo complesso, l’iniziativa architettonica promossa daGiovanni Maria Bua anticipò diversi aspetti del successivo progetto ori-stanese: in un certo senso, fu una prima programmatica sperimentazione.Insieme al seminario di Nuoro (figura 26), acquisirono una nuova vestel’episcopio e la cattedrale intitolata a santa Maria della neve. Il progettotrovò piena applicazione alcuni anni dopo la costruzione dell’istituto dio-

[50] Marcello Schirru

– 310 –

97 Dalla fine del ’400, la diocesi di Galtellì fu annessa all’arcidiocesi di Cagliari. La sua nuo-va istituzione risale al 1779, con il duplice appellativo di Galtellì-Nuoro e sede episcopale aNuoro. Nel 1928, l’intitolazione fu limitata al capoluogo barbaricino.

98 Secondo lo storico Giuseppe Pazzona, l’incontro tra il vescovo Bua e Giuseppe Comi-notti avvenne a Sassari dove il prelato fu insignito del titolo di amministratore apostolico. G.PAZZONA, op. cit., p. 78.

99 R. TURTAS, op. cit., pp. 515-516.100 P. CRISPONI, Il Seminario tridentino di Nuoro in età moderna, in F. PRUNERI - F. SANI

(edd.), L’educazione nel Mediterraneo nordoccidentale. La Sardegna e la Toscana in età moder-na, Vita e Pensiero, Milano 2008.

101 Per la documentazione archivistica relativa alla costruzione del seminario di Nuoro, cfr.:A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 484 (Materie Ecclesiastiche – Seminari, Semi-nario di Nuoro). Per la collocazione dei contratti d’appalto, cfr.: G. PAZZONA, op. cit., p. 78.

cesano; l’artefice non fu Giuseppe Cominotti, partito dalla Sardegna conun carico di amarezze e acciacchi tali da indurne la prematura scompar-sa. Il compito di delineare l’immagine classicista degli edifici capitolarispettò al frate conventuale Antonio Cano, personaggio interessante, alquale la critica non ha dedicato sufficiente attenzione, destinato ad unatragica fine nei ponteggi della stessa cattedrale nuorese.

Seminario vescovile di Tortolì

Contemporanea alle imprese architettoniche di Ozieri e Nuoro, la co-struzione del seminario di Tortolì suscitò un analogo strascico di polemi-che e vertenze giudiziarie. Il progetto fu avviato nel 1828, dopo il rista-bilimento della diocesi di Ogliastra, avviata nel 1777 e conclusa nel 1825:la cattedrale e l’episcopio trovarono sede a Lanusei; il seminario a Tor-tolì. Il frate cappuccino Serafino Carchero, nei dieci anni di mandato ve-scovile, curò la costruzione della scuola. Il prelato incontrò non pochedifficoltà ad attuare il progetto: data la carenza di risorse, la diocesi ot-tenne prestiti dalle sue stesse parrocchie, non riuscendo a far fronte, so-vente, alla loro restituzione102.

L’analisi delle fonti d’archivio non ha rivelato l’identità del progettista.Forti indizi suggeriscono la mano dell’architetto Antonio Pinna, attivo an-che nel cantiere della parrocchiale tortoliese di sant’Andrea, più volte chia-mato in causa nelle diatribe conclusive della fabbrica. Nel 1828, essendo,forse, già chiara la forma architettonica del seminario, si procedette all’ac-quisto di terreni e abitazioni sorte all’interno dell’area prescelta103.

Una prima fase dei lavori si concluse tra il 1831 ed il 1832 e, subito,scoppiarono le prime polemiche. Il carpentiere Gaetano Fadda rivendicòil pagamento di alcune somme aggiuntive non previste nel programmaoriginale degli interventi, ottenendo il rifiuto perentorio della mitra oglia-strina. Alle pretese dell’artigiano, si aggiunse una relazione di AntonioPinna, incaricato di ispezionare le opere realizzate, ritenuta superficiale ediscutibile. Secondo la curia, il progettista si limitò a visitare una parte

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [51]

– 311 –

102 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Tortolì). Nel 1835, l’amministrazione civica di Talana citò in causa la diocesiogliastrina per la mancata restituzione di un prestito di 300 lire. Sul risentimento delle autoritàciviche, pesò l’obbligo di dotarsi di un campo santo, imposto per legge, per il quale si atten-deva l’incameramento del credito.

103 A.S.Ca, Regia Segreteria di Stato, II serie, vol. 486 (Materie Ecclesiastiche – Seminari,Seminario di Tortolì). Le carte d’archivio parlano di un terreno appartenente al fabbro Batti-sta Arzei.

del cantiere e ad avallare le rimostranze del carpentiere Fadda. Pressatoe criticato dalla controparte, Pinna104 stese una seconda relazione, nellaquale furono rilevati diversi errori costruttivi dell’artigiano, in particola-re la posa degli infissi. Il rifacimento delle opere respinte, tuttavia, avreb-be richiesto oneri maggiori. Si giunse, così, ad un compromesso: il car-pentiere avrebbe corretto gli errori più evidenti, accettando la riduzionesignificativa delle richieste economiche105. L’accordo raggiunto mise a ta-cere le polemiche, come dimostra la partecipazione dello stesso Fadda al-la conclusione della fabbrica.

L’insorgere della vertenza non impedì l’inaugurazione della scuola se,come conferma una memoria del vescovo Carchero: […] Nel novembre1831 furono ammessi i primi allievi in questo nuovo seminario tridentino[…]106.

L’avvenimento non decretò la chiusura dei lavori. Il cantiere subì, an-zi, rallentamenti dovuti al cedimento delle strutture realizzate. Fu neces-sario elaborare la stima dei restauri, mansione affidata al segretario delleminiere, Giovanni Sini. L’episodio denota l’assenza di progettisti abilitatinel circondario di Tortolì, tanto meno all’interno della fabbrica del semi-nario. Gli interventi di consolidamento ammontarono a 5.208 lire. Il do-cumento di calcolo e la relazione descrittiva furono inviati all’ingegnerEusebio Molinatti, responsabile del Genio Civile, al fine di ottenere l’ap-provazione. Forse preoccupati dagli inattesi cedimenti della fabbrica, iresponsabili della mensa richiesero allo stesso maggiore Molinatti l’inviodi un progettista governativo, cui affidare le ultime fasi dei lavori. Lascelta ricadde sull’esperto ingegnere idraulico Francesco Orunesu, già at-tivo nella fabbrica della cattedrale di Nuoro, le cui operazioni di collau-do risalgono al 1841107.

Oggi destinato a biblioteca, il seminario di Tortolì sorge in posizioneangolare (figura 27). Il confronto con le immagini d’epoca non rivela mu-tamenti significativi. L’edificio è suddiviso in due piani; i due fronti d’af-faccio, percorsi da una fascia marcapiano, sono scanditi da alte lesenecon capitelli e conclusi, superiormente, da un marcapiano poco pronun-ciato. Ciascuna apertura è racchiusa da una cornice in rilievo: esile nel

[52] Marcello Schirru

– 312 –

104 In alcuni documenti, Antonio Pinna è detto Mastro d’Architettura ed ornati.105 Ivi. Gaetano Fadda accettò il pagamento di 50 lire a fronte degli 80 scudi (200 lire) ini-

zialmente rivendicati.106 A. LEPORI, Tortolì e la sua gente attraverso i secoli, Edizioni Grafica del Parteolla, Do-

lianova 2005, pp. 177-178.107 Ivi. Per la figura di Francesco Orunesu, cfr.: F. MASALA, op. cit., 2000. Assente l’inge-

gner Eusebio Molinatti, impegnato in incarichi di servizio, l’autorizzazione ad eseguire il col-laudo del seminario di Tortolì fu rilasciata dal sostituto ingegnere Immeroni.

piano inferiore; spessa nel secondo livello. Il prospetto posteriore, par-zialmente privo di intonaci, mostra la tecnica muraria in opera mista, ba-sata sull’impiego frammisto di laterizi e pietre. Su di esso, nel piano su-periore, si nota la tamponatura terminale di un corridoio voltato, corri-spondente al percorso distributivo dell’antica scuola diocesana.

Benché interpretati in chiave sobria e funzionale, alcuni elementi tra-discono l’origine piemontese. Sottili marcapiani e paraste a tutt’altezzasono presenti nell’edilizia civile sabauda del tardo ’700, riproposta neicoevi palazzi pubblici e privati di Cagliari. Alla stessa tradizione subalpi-na, rimanda la tipologia delle coperture, con profilo inflesso: un prece-dente interessante si trova ad Oristano nel palazzo Flores d’Arcais e nelconvento carmelitano, opere disegnate da Giuseppe Viana.

I caratteri architettonici del seminario tortoliese rispecchiano l’imma-gine degli altri istituti ottocenteschi della Sardegna. Poca enfasi fu dataalla componente estetica, appena sufficiente a denotare la presenza di unedificio istituzionale.

Per tutto l’800 e il primo ’900, si disputò un’aspra contesa tra le cittàdi Tortolì e Lanusei sulla sede rappresentativa della diocesi di Ogliastra.Dopo lunghe discussioni e attenta valutazione delle istanze, nel 1927, unabolla del papa Pio XI decretò il trasferimento della sede a Lanusei, conl’episcopio e il seminario108.

Bibliografia

ATZENI F. - CABIZZOSU T. (edd.), Dizionario biografico dell’episcopato sardo. Il Settecento (1720-1800), AM&D Edizioni, Cagliari 2005.

BELLINI A., Benedetto Alfieri, Electa, Milano, 1978.BINAGHI R., Una fabbrica non men decorosa che comoda. Il Palazzo dell’Università, in «Annali

di Storia delle Università Italiane», V, CLUEB, Bologna 2001.BONU R., Serie cronologica degli arcivescovi d’Oristano, Gallizzi Editore, Sassari 1959.BRAYDA C. - COLI L. - SESIA D., Ingegneri e architetti del sei e settecento in Piemonte, in «Atti

e rassegna tecnica della Società degli ingegneri e architetti in Torino», Stamperia ArtisticaNazionale, Torino 1963.

BULFERETTI L. (ed.), Il riformismo settecentesco in Sardegna. Testi e documenti per la storia del-la questione sarda, Editrice Sarda Fossataro, Cagliari 1966.

BUONO R., L’antico Seminario Arcivescovile di Bari: contributo alla conoscenza di un’opera diDomenico Antonio Vaccaro, in L. MORTARI (ed.), Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia, II,Schena Editore, Fasano 1984, pp. 129-240.

CARBONERI N., Mostra del barocco piemontese. Architettura, in «Catalogo edito dalla città diTorino», vol. I, Arti Grafiche fratelli Pozzo, Torino 1963.

CASCETTA A.M. - ZANLONGHI G., Il teatro a Milano nel settecento, vol. I, V&P, Milano 2008.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [53]

– 313 –

108 A. LEPORI, op. cit., p. 192.

CASULA A. - DELLA TORRE S. - GIZZI S. - ROSINA E. (edd.), Il Canopoleno di Sassari da casa pro-fessa a pinacoteca. Storia e restauri, Silvana Editoriale, Milano 2009.

CAVALLARI MURAT A., Gian Giacomo Plantery architetto barocco, in «Atti e rassegna tecnicadella società degli ingegneri e degli architetti di Torino», XII, Stamperia Artistica Nazio-nale, Torino 1956.

—, Giuseppe Viana architetto sabaudo in Sardegna, in «Atti e rassegna tecnica della società degliingegneri e degli architetti di Torino», n. XII, Stamperia Artistica Nazionale, Torino 1960.

—, Forma urbana e architettura nella Torino barocca: dalle premesse classiche alle conclusionineoclassiche, UTET, Torino 1968.

CAVALLO G., Maestranze intelvesi in Sardegna tra il XVII e il XVIII secolo, in «La Valle Intel-vi», XII, San Fedele Intelvi (Co) 2009, pp. 149-151.

COLMUTO ZANELLA G. - DE NEGRI E., L’architettura del Collegio, in AA.VV. (ed.), Il Palazzodell’Università di Genova. Il Collegio dei Gesuiti nella strada dei Balbi, Università degli Stu-di di Genova, Genova 1987, pp. 209-275.

COSTA E. - CADONI E. (edd.), Sassari, Gallizzi, Sassari, 1909.CRISPONI P., Il Seminario tridentino di Nuoro in età moderna, in PRUNERI F. - SANI F. (edd.),

L’educazione nel Mediterraneo nordoccidentale. La Sardegna e la Toscana in età moderna,Vita e Pensiero, Milano 2008.

DARDANELLO G., Il Collegio dei Nobili e la piazza del principe Carignano (1675-1684), in G.ROMANO (ed.), Strategie e conflitti del Barocco,Torino 1675-1699. Cassa di Risparmio di To-rino, Torino 1993, pp. 175-252.

DE VECCHI P. - CERCHIARI E., I tempi dell’arte, vol. II, Bompiani, Milano 1999.DEL PANTA A., Un architetto e la sua città, l’opera di Gaetano Cima (1805-1878) nelle carte

dell’archivio comunale, Della Torre, Cagliari 1983.GUASCO M., La formazione del clero: i seminari, in CHITTOLINI G. - MICCOLI G. (edd.), La

Chiesa e il potere politico dal medioevo all’età contemporanea, Storia d’Italia, Annali, IX, Ei-naudi, Torino 1986, pp. 629-715.

ISERLOH E. - GLAZIK J. - JEDIN H., Riforma e Controriforma. Crisi - consolidamento, diffusionemissionaria XVI-XVIII secolo, JEDIN H. (ed.), Jaca Book, Milano 2001.

ISNARDI B., Regolamento in lingua italiana del 1739, Asti 1739.KIENE M., L’architettura del Collegio di Spagna e dell’Archiginnasio. Esame comparato dell’ar-

chitettura universitaria bolognese con quella europea, in «Annali di Storia delle UniversitàItaliane», I, CLUEB, Bologna 1997.

LEPORI A., Tortolì e la sua gente attraverso i secoli, Edizioni Grafica del Parteolla, Dolianova2005.

LINO A., Giuseppe Cominotti architetto neoclassico, sua attività in Sardegna (1823-1833), «Qua-derni Oristanesi», V-VI, Editrice sa Porta, Oristano 1984, pp. 99-106.

LORIGA A. (ed.), Quattro secoli del seminario turritano (1593-1993), Tipografia Moderna, Sas-sari 1993.

MADARO R., Il seminario di Asti, in M. MACERA (ed.), Benedetto Alfieri. L’opera astigiana, Lin-dau, Torino 1992, pp. 303-315.

MANCONI DE PALMAS M., La chiesa di santa Maria cattedrale di Oristano, in «Quaderni Ori-stanesi», V-VI, Editrice sa Porta, Oristano 1984, pp. 5-90.

MARCHEGIANI C., Struttura e immagine del seminario tridentino. Indicazioni sull’edificio dalleorigini al settecento, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», LII, Herder Editrice Li-breria, Roma 1998.

MARTINELLI A. - PORCU SANNA C., Maria Giovanna di Savoia Nemours: vita, ambizioni e intri-ghi di una reggente del seicento, Simonelli, Milano 2003.

MASALA F., Architetture di carta, progetti per Cagliari (1800-1945), AM&D, Cagliari 2000.—, Architettura dall’Unità d’Italia alla fine del ’900, Ilisso, Nuoro 2001.MASTINO B., Le politiche ecclesiastiche sabaude in Sardegna durante il governo del ministro Bo-

gino (tesi di laurea), Università di Roma Tor Vergata, Facoltà di lettere e filosofia, AnnoAccademico 2007-2008.

MEDDE S., Giuseppe Viana e l’architettura del XVIII secolo in Sardegna, in «Bollettino biblio-grafico sardo», XVIII-XIX, Regione Autonoma della Sardegna, Cagliari 1994.

[54] Marcello Schirru

– 314 –

MONACHINO V. - BOAGA E. - PALESE S., (edd.), Guida degli archivi diocesani d’Italia, vol. I, Mi-nistero per i Beni Culturali e Ambientali, Roma 1990.

NAITZA S., Architettura dal tardo ‘600 al classicismo purista, Ilisso, Nuoro, 1992.NUGHES A., Alghero chiesa e società nel XVI secolo, Edizioni del Sole, Alghero, 1990.PAZZONA G., Giuseppe Cominotti. Architetto e pittore (1792-1833), Carlo Delfino Editore, Sas-

sari 2011.PESCARMONA D., Nuovi contributi alla conoscenza dell’attività degli ingegneri militari piemon-

tesi in Sardegna nel XVIII secolo, in «Bollettino d’arte», XXVIII, Ministero per i Beni Cul-turali e Ambientali, Roma 1984.

PINELLI A., I teatri. Lo spazio dello spettacolo dal teatro umanistico al teatro dell’opera, Sanso-ni, Firenze 1973.

PIRAS R., Ingegneri militari piemontesi in Sardegna, Daristo Giovanni Francesco, in «Professio-ne Ingegnere. Bollettino dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Oristano», XXXIII,XXXIV, Ordine degli Ingegneri Oristano, Oristano 1997-1998.

PIRRI P., Giovanni Tristani e i primordi dell’architettura gesuitica, «Institutum Historicum So-cietatis Iesu», Roma 1955.

PULVIRENTI SEGNI F. - SARI A., Architettura tardogotica e di influsso rinascimentale, Ilisso, Nuo-ro, 1992.

QUAZZA G., Bogino Giovanni Battista Lorenzo, «Dizionario biografico degli italiani», XI, DeAgostini, Roma 1969.

RICUPERATI G., Il riformismo sabaudo settecentesco e la Sardegna. Appunti per una discussione,in G. RICUPERATI (ed.), I volti della pubblica felicità. Storiografia e politica nel Piemonte set-tecentesco, Meynier, Torino 1989.

ROGGERO M., Le scuole gesuitiche in Piemonte prima delle riforme di Vittorio Amedeo II, in «Bol-lettino della Società di studi valdesi», CXXXVIII, Claudiana Editrice, Torino 1975.

—, Scuola e riforme nello stato sabaudo. L’istruzione secondaria dalla Ratio Studiorum alle Co-stituzioni del 1772, Deputazione Subalpina di Storia Patria, Torino 1981.

—, Il sapere e la virtù. Stato, università e professioni nel Piemonte del settecento, DeputazioneSubalpina di storia patria, Torino 1997.

RUZZU M., La chiesa turritana dall’episcopato di Pietro Spano ad Alepus (1420-1566), ChiarellaEdizioni, Sassari 1974.

SACRA CONGREGATIO DE SEMINARIIS ET STUDIORUM UNIVERSITATIBUS, Seminaria EcclesiaeCatholicae, Città del Vaticano 1963.

SAIU DEIDDA A., Sull’attività ingegneristica di Giuseppe Viana, in «Archivio sardo del movimentooperaio, contadino e autonomistico», XVII-XIX, Editori Riuniti, Cagliari 1982.

SCHIRRU M., Architettura e vicende costruttive del complesso dell’universita� degli studi e del se-minario tridentino di Cagliari, tesi di laurea, Universita� degli Studi di Cagliari, Facolta� diIngegneria 2002.

—, Proporzioni e significati semantici nella composizione architettonica barocca piemontese delSettecento in Sardegna, «Quaderni d’architettura, a cura dell’Università degli Studi di Ca-gliari, Dipartimento di Architettura», V, CUEC, Cagliari 2005, pp. 131-161.

—, Architettura e vicende costruttive del teatro regio di Cagliari, in «AA.VV., Ricerche di storiadell’architettura della Sardegna, a cura dell’Università degli Studi di Cagliari, Dipartimentodi Architettura», pp. 77-130, Grafiche Parteolla, Dolianova (Ca) 2007.

—, Palazzi e dimore signorili nella Sardegna del XVIII secolo, tesi di dottorato, Universita� degliStudi di Cagliari, Facolta� di Ingegneria, tesi di dottorato 2008.

—, L’Università degli Studi di Cagliari e il complesso architettonico del Balice, in «Annali di sto-ria delle Università italiane», XIV, CLUEB, Bologna 2010, pp. 371-405.

—, Carlo Giuseppe Maino, Direttore di fabbriche nella Sardegna del ‘700, in «Artisti dei Laghi»,I, San Fedele Intelvi (Co) 2011, pp. 688-735.

SCOTH R., Gli insegnamenti matematici e fisici nell’Università di Cagliari (1764-1848), in «An-nali di storia delle Università italiane», X, CLUEB, Bologna, 2006.

SEMERIA G.B., Storie del Re di Sardegna, Carlo Emmanuele il Grande, II, Tipografia Reale, To-rino 1831.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [55]

– 315 –

TAMBURINI L., Le chiese di Torino da rinascimento a barocco, Edizioni Angolo Manzoni, Tori-no 1968.

TRIGGIANI M., Il palazzo dei vescovi: riflessioni preliminari sulle fabbriche dell’Episcopio di Bari, in L. DEROSA - C. GELAO (ed.), Tempi e forme dell’arte. Miscellanea di studi offerti aPina Belli D’Elia, Claudio Grenzi Editore, Foggia 2011, pp. 216-227.

TURTAS R., Storia della chiesa in Sardegna, Città Nuova, Roma, 1999.VENTURI F., Il conte Bogino, il dottor Cossu e i Monti frumentari. Episodi di storia sardo-pie-

montese del secolo XVIII, in «Rivista storica italiana», LXXVI, Edizioni Scientifiche Italia-ne, Napoli, 1964.

ZEDDA MACCIÒ I., Su un equivoco intorno alle figure di Carlo Maino, Giovanni Antonio Mainae Giuseppe Maina, in «Archivio storico sardo», XXXIV, Editori Riuniti, Cagliari 1983.

[56] Marcello Schirru

– 316 –

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [57]

– 317 –

Fig. 1 - Disegnato da Antonio Averlino, detto il Filarete, l’Ospedale Maggiore di Milanoadottò, per la prima volta, lo schema planimetrico con corti multiple affiancate, quali

elementi distribuitivi e armonizzanti le funzioni interne. Da www.wikipedia.it.

Fig. 2 - Le corti dell’Ospedale Maggiore di Milano sono impreziosite da loggesovrapposte. Dalla metà del ’500 i porticati divennero un elemento estetico qualificante learchitetture dei Seminari e dei Collegi, le quali troveranno, in esso, una prima espressione

della moderna logica compositiva. Da www.wikipedia.it.

[58] Marcello Schirru

– 318 –

Fig. 3 - Nell’Almo Collegio Borromeo, di Pavia, Pellegrino dè Pellegrini, detto il Tibaldi,e Francesco Maria Richino applicarono le teorie della trattatistica cinquecentesca, in tema

di architetture scolastiche religiose. Da www.wikipedia.it.

Fig. 4 - Nel Seminario Arcivescovile di Bari, il progettista Antonio Vaccaro adottò unaforma aperta, con due bracci laterali corti. Le valenze paesaggistiche, insite nella

configurazione architettonica dell’istituto, derivano dalla cultura paesaggistica e dal gustodel sublime, in auge nel ’700.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [59]

– 319 –

Fig. 5 - Il Seminario Vescovile di Asti testimonia la progressiva modernizzazione dellearchitetture scolastiche religiose, dalla seconda metà del ’700. Il progettista di fiduciadella corte sabauda, Benedetto Alfieri, adottò la consueta organizzazione attorno allacorte, ma introdusse gli alloggi singoli per studenti, corpo docente e avventori. È un

effetto tangibile delle filosofie illuministe e sociologiche, attinte dalle culture transalpine.

[60] Marcello Schirru

– 320 –

Fig. 6 - Pianta del Piano terreno della fabrica del Seminario Tridentino di Oristano,disegnata dal progettista piemontese Giuseppe Viana, nel 1779. La tavola raffigura la

forma architettonica della scuola Arborense, nel suo nucleo primitivo, prima degliinterventi ottocenteschi. Viana, insieme ai padri gesuiti Emanuele Rovero e Carlo Maino,predisposero tre distinte proposte per il completamento dell’istituto, risolvendo il nodo

strutturale della scala interna.(Su gentile concessione dell’Archivio Storico del Seminario Arcivescovile di Oristano).

Fig. 7 - Una nostalgica immagine del Seminario Arborense, nel 1854. Ripresa dalla piazzaantistante l’istituto, la fotografia appartiene al noto carnet realizzato dall’artista francese

Edouard Delessert.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [61]

– 321 –

Fig. 8 - La seconda lastra fotografica di Delessert mostra il fronte posteriore delSeminario di Oristano, ultimato da poco più di vent’anni, accanto alla cattedrale di santa

Maria. La forma aperta sul paesaggio, ad occidente della città, rivela l’adesione allecorrenti paesaggistiche settecentesche, cui Giuseppe Cominotti, ultimo progettista della

fabbrica, non arrecò sostanziali modifiche.

Fig. 9 - Il Seminario di Oristano oggi. Nel 2012, é stato celebrato il tricentenario dallafondazione della scuola diocesana.

[62] Marcello Schirru

– 322 –

Fig. 10 - Veduta del nuovo braccio di fabbrica erettosi in ampliazione del SeminarioTridentino di Sassari nel 1828, disegnato dal giardino di Monsignor Arcivescovo.

L’acquerello è una delle raffinate testimonianze pittoriche di Giuseppe Cominotti, autoredel primo ampliamento ottocentesco dell’istituto. Il progettista raffigurò una scena di vitaquotidiana della scuola, con incredibile realismo fotografico e velata, ma non polemica,

mordacità, come testimoniano gli atteggiamenti dei protagonisti raffigurati.(Su gentile concessione del prof. Aldo Accardo).

Fig. 11 - Il Seminario Vescovile di Ales, accanto alla cattedrale di san Pietro, è uno degliistituti diocesani costruiti intorno alla metà del ’700. Da www.wikipedia.it.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [63]

– 323 –

Fig. 12 - Pianta e profilo del Seminario d’Algueri. Condotto dal progettista militarepiemontese Ubaldo Cerretti, nel 1764, il rilievo dell’istituto testimonia la fatiscenza dei

locali adiacenti la cattedrale. L’intraprendenza del vescovo Giuseppe Agostino Delbecchinon riuscì a regalare alla città di Alghero un Seminario adeguato alle moderne esigenze

didattiche. (Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino - aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

[64] Marcello Schirru

– 324 –

Fig. 13 - Planimetria della piazza antistante l’episcopio algherese, disegnata dalpiemontese Raymondo Ignazio Cochis. La dislocazione sparsa delle architetture

diocesane é un’anomalia rispetto ai complessi vescovili settecenteschi della Sardegna,fedeli ai dettami tridentini. (Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -

aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Fig. 14 - Disegno di un Palazzo con Seminario unito per l’Ill[ustrissi]mo e Rev[erendissi]moMonsignore Vescovo di Iglesias. Nel 1773 e nel 1778, i progettisti militari piemontesi GiovanniFrancesco Daristo e Raymondo Ignazio Cochis ridisegnarono, consegnandone testimonianza

ai posteri, il progetto del Seminario di Iglesias, elaborato, alcuni anni prima, dal collegaAntonio Saverio Belgrano di Famolasco. Il carattere arioso e leggiadro dell’edificio raffigurato,

omologo dell’istituto cagliaritano, esprime l’adesione alla cultura rococò.(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -

aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [65]

– 325 –

Fig. 15 - Fronte principale del Seminario Vescovile di Iglesias rivolto alla piazza dellacattedrale. L’edificio subì radicali trasformazioni nel tardo ’800 e nel primo ’900.

(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino)

Fig. 16 - L’immagine raffigura il lungo fronte principale del complesso culturale delBalice, a Cagliari, nel quale trovarono sede l’Università degli Studi e il SeminarioTridentino, inaugurati, rispettivamente, nel 1769 e nel 1778. I connotati estetici

dell’edificio, ispirati alla tradizione rococò piemontese, influenzarono l’estetica dellearchitetture signorili sarde.

(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino)

[66] Marcello Schirru

– 326 –

Fig. 17 - Piano delle strade che circondano il sito del Seminario attuale per dimostrare laporzione AB del viottolo che sarebbe da fabbricarsi in vantaggio del nuovo. Redatto

dall’ingegner Saverio Belgrano, il disegno, qui riprodotto in parte, raffigura la sedecinquecentesca dell’istituto, incastonata tra le schiere medioevali del Castello. Il progettista caldeggiò l’abbandono dell’antico sito, prossimo alla cattedrale, a vantaggio della terrazza panoramica del Balice dove, nel frattempo, era sorta

l’Università degli Studi.(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -

aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [67]

– 327 –

Fig. 18 - Pianta del Collegio dei Nobili di Cagliari, disegnata dal gesuita Carlo Maino, nel1779. Il religioso curò il restauro dell’istituto e il consolidamento del costone roccioso

sottostante. (Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Fig. 19 - Sezione del Collegio deiNobili di Cagliari. Nella tavola, Carlo

Maino raffigurò le porzioni dellascarpata rocciosa sulle quali eseguire

le opere di consolidamento.(Su gentile concessione dell’Archivio

di Stato di Torino -aut. dell’11 giugno 2012, prot.

3385/28.28.00).

[68] Marcello Schirru

– 328 –

Fig. 20 - Progetto di trasformazione del Seminario Tridentino di Cagliari in Ospedale dicarità, Pianta del Piano Terra, già fatto. Nel 1773, la mensa arcivescovile incaricòGiuseppe Viana di studiare un progetto di riconversione dell’istituto in fase di

costruzione. Il presule Giuseppe Agostino Delbecchi mostrò un profondo e misteriososcetticismo riguardo l’ipotesi di inserire il Seminario Tridentino accanto all’Università

degli Studi, dando vita ad un articolato e moderno polo culturale.(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -

aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Fig. 21 - Riduzione del Seminario di Cagliari in un Ospedale di carità, progettata daquell’Arcivescovo, Piano de Sotterranei, già fatto.

(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [69]

– 329 –

Fig. 22 - Riduzione del Seminario di Cagliari in un Ospedale di carità, progettata daquell’Arcivescovo, Primo Piano, a farsi.

(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Fig. 23 - Riduzione del Seminario di Cagliari in un Ospedale di carità, progettata daquell’Arcivescovo, Piano Secondo, a farsi.

(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

[70] Marcello Schirru

– 330 –

Fig. 24 - Pianta del Seminario Tridentino di Cagliari, con le opere eseguite e da farsi. Ildisegno, risalente al 1778, fu eseguito dal gesuita Carlo Maino, sotto la cui direzione

l’istituto raggiunse la forma pressoché attuale.(Su gentile concessione dell’Archivio di Stato di Torino -

aut. dell’11 giugno 2012, prot. 3385/28.28.00).

Fig. 25 - Il Seminario Vescovile di Ozieri è uno degli istituti ecclesiastici sardiottocenteschi, realizzato dopo la rifondazione della diocesi di Bisarcio.

Da www.wikipedia.it.

Le vicende architettoniche dei seminari sardi... [71]

– 331 –

Fig. 26 - Durante la costruzioe del Seminario Vescovile di Nuoro, monsignor GiovanniMaria Bua sperimentò il sodalizio con il progettista Giuseppe Cominotti, al quale, poco

tempo dopo, affidò il completamento dell’istituto Arborense. Da www.wikipedia.it.

Fig. 27 - La fondazione ottocentesca della diocesi di Ogliastra determinò la nascita delSeminario di Tortolì, disegnato dal progettista Antonio Pinna. Da www.wikipedia.it.

– 383 –

Gli autori

CABIZZOSU TONINO,Docente di Storia Ecclesiastica, Facoltà Teologica di Cagliari

CUBEDDU SALVATORE,Sociologo, giornalista pubblicista, Cagliari

GUASCO MAURILIO,Docente di Storia del pensiero politico contemporaneo, Università del PiemonteOrientale

MELE GIAMPAOLO,Docente di Storia della Musica Medioevale e Rinascimentale, Università di Sassari

PAZZONA GIUSEPPE,Architetto, Cagliari

PORRÀ ROBERTO,Funzionario della Soprintendenza Archivistica per la Sardegna

PRUNERI FABIO,Docente di Storia delle politiche educative, Università di Sassari

SCHIRRU MARCELLO,Ricercatore di Storia dell’Architettura, Università di Cagliari

SIDDU GIUSEPPE,Direttore spirituale del Seminario di Oristano

TOSCANI XENIO LUIGI,Docente di Storia moderna, Università di Pavia

TURTAS RAIMONDO,Docente emerito di Storia della Chiesa, Università di Sassari

ZUCCA UMBERTO,Direttore di Biblioteca Francescana Sarda

Indice

Ignazio Sanna,Prefazione ................................................................................................... 3

Raimondo Turtas,La Chiesa Arborense durante i primi decenni del Settecento ................... 7

Maurilio Guasco, Formazione del Clero dal Concilio di Trento al Vaticano II ......................... 25

Xenio Luigi Toscani, Reclutamento del clero e dinamica delle ordinazioni sacerdotali in età contemporanea............................................................................................ 37

Fabio Pruneri,Le politiche educative della Sardegna Sabauda.......................................... 61

Roberto Porrà,Il Seminario di Oristano nel quadro dell’istruzione nella Sardegnacentro-occidentale nei secoli XVIII-XIX .................................................... 83

Salvatore Cubeddu,Il contributo del Seminario Arcivescovile di Oristano all’elevazione sociale del territorio.................................................................................... 101

Umberto Zucca,Il rapporto tra i Religiosi e il Seminario Arborense .................................. 117

Tonino Cabizzosu,Il Seminario Arborense nel secolo XIX tra Restaurazione e Modernismo 155

Giampaolo Mele,La vita musicale e liturgica nel seminario tridentino arborense (1712-1912). Primi cenni storici e appunti di ricerca .......................................... 183

Marcello Schirru,Le vicende architettoniche dei seminari sardi tra le carte d’archivio settee ottocentesche............................................................................................ 261

Giuseppe Pazzona,Il contributo architettonico dell’arch. Giuseppe Cominotti nella fabbricadel Seminario Arcivescovile di Oristano .................................................... 333

Giuseppe Siddu,Il Seminario Arcivescovile di Oristano dal 1912 al 2012 ......................... 351

– 385 –

Tip.: Ist. Salesiano Pio XI, Via Umbertide, 11 - 00181 Roma - Tel. 067827819Finito di stampare maggio 2013