Milano dopo Bramante : la torre di Palazzo Stampa e il tiburio di Santa Maria della Passione

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QUADERNI DELL ISTITUTO DI STORIA DELL ARCHITETTURA DIPARTIMENTO DI STORIA, DISEGNO E RESTAURO DELL’ARCHITETTURA NUOVA SERIE, FASCICOLI 60-62/2013-2014 SAPIENZA- UNIVERSITÀ DI ROMA GIORNATE DI STUDIO IN ONORE DI ARNALDO BRUSCHI VOLUME II Roma, Facoltà di Architettura, 5, 6, 7 maggio 2011 A CURA DI FLAVIA CANTATORE FRANCESCO PAOLO FIORE MAURIZIO RICCI AUGUSTO ROCA DE AMICIS PAOLA ZAMPA BONSIGNORI EDITORE 2014 DIPARTIMENTO DI STORIA, DISEGNO E RESTAURO DELL’ARCHITETTURA GIORNATE DI STUDIO IN ONORE DI ARNALDO BRUSCHI Roma, Facoltà di Architettura, 5, 6, 7 maggio 2011 BONSIGNORI EDITORE QUADERNI DELL ISTITUTO DI STORIA DELL ARCHITETTURA SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA

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QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURADIPARTIMENTO DI STORIA, DISEGNO E RESTAURO DELL’ARCHITETTURA

NUOVA SERIE, FASCICOLI 60-62 / 2013-2014

SAPIENZA- UNIVERSITÀ DI ROMA

GIORNATE DI STUDIOIN ONORE DI ARNALDO BRUSCHI

VOLUME IIRoma, Facoltà di Architettura, 5, 6, 7 maggio 2011

A CURA DI

FLAVIA CANTATOREFRANCESCO PAOLO FIORE

MAURIZIO RICCIAUGUSTO ROCA DE AMICIS

PAOLA ZAMPA

BONSIGNORI EDITORE2014

DIPARTIMENTO DI STORIA, DISEGNO E RESTAURO DELL’ARCHITETTURA

GIORNATE DI STUDIO IN ONORE DI ARNALDO BRUSCHIRoma, Facoltà di Architettura, 5, 6, 7 maggio 2011

BONSIGNORI EDITORE

QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURASAPIENZA- UNIVERSITÀ DI ROMA

DirettoreFrancesco Paolo Fiore (responsabile)

Consiglio scientifico Daniela Esposito, Paolo Fancelli, Donatella Fiorani,Francesco Paolo Fiore, Antonella Greco, Giorgio Muratore,Augusto Roca De Amicis, Paolo Rocchi, Maria Piera Sette, Alessandro Viscogliosi.

Comitato direttivo Lia Barelli, Clementina Barucci, Calogero Bellanca, Simona Benedetti,Maurizio Caperna, Tancredi Carunchio, Annarosa Cerutti, Piero Cimbolli Spagnesi,Fabrizio De Cesaris, Daniela Esposito, Paolo Fancelli, Donatella Fiorani, Francesco Paolo Fiore,Daniela Fonti, Antonella Greco, Giorgio Muratore, Susanna Pasquali,Maurizio Ricci, Augusto Roca De Amicis, Paolo Rocchi, Maria Piera Sette,Maria Grazia Turco, Alessandro Viscogliosi, Paola Zampa.

Redazione Flavia Cantatore (coordinatore)

Ogni contributo viene sottoposto ad almeno due revisori scelti fra i membri del Dipartimentoin base alle loro specifiche competenze nel settore della Storia e Restauro dell’architettura;tali pareri sono integrati da pareri di studiosi italiani e stranieri esperti nei temi affrontati.

Traduzione in inglese Erika G. Young

Grafica e impaginazione Roberto steve Gobesso

Stampa CTS Grafica S.r.l., via Vito Vincenti 23, località Cerbara 06011 Città di Castello (PG) - telefono 075.8511555

Corrispondenza e norme editorialiDipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’ArchitetturaPiazza Borghese 9, 00186 Roma - telefono 06.49918825 - fax 06.6878169 - www.uniroma1.it/storiarch

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 131/87 del 06/03/1987

Il presente fascicolo è stampato con il parziale contributo di SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA

Abbonamenti e distribuzioneBonsignori Editore s.r.l., via Giuseppe Tornielli 16, 00153 Romatelefono 06.99709447 - [email protected] - www.bonsignori.it

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

© 2014Bonsignori Editore s.r.l., via Giuseppe Tornielli 16, 00153 Roma© 2014Sapienza - Università di RomaDipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura, piazza Borghese 9, 00186 Roma

ISBN 978-88-7597-431-2ISSN 0485-4152

SAPIENZA- UNIVERSITÀ DI ROMA

NUOVA SERIE, FASCICOLI 60-62 / 2013-2014

QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURADIPARTIMENTO DI STORIA, DISEGNO E RESTAURO DELL’ARCHITETTURA

Luciano PatettaIL RINASCIMENTO: DALLA PRIMA CRITICA OPERATIVAALL’AFFERMAZIONE CHE I MODERNI EGUAGLIANOE TALVOLTA SUPERANO GLI ANTICHIFausta GualdiATTIVITÀ INEDITA PER PIO IIDEL «MINIATORE DI SUA SANTITÀ» NICCOLÒ POLANI,FORMAZIONE E TARDA OPEROSITÀSilvia CatittiBALAUSTRO E BALAUSTRATATRA METÀ QUATTROCENTO E PRIMO CINQUECENTORossana NicolòARCHITETTURA E COSTRUZIONEDEL BELVEDERE DI INNOCENZO VIII (1484-1492) IN VATICANOFernando MaríasLA FAMILIA MENDOZA Y LA INTRODUCCIÓNDEL RENACIMIENTO ENTRE ITALIA Y ESPAÑANatalina ManninoARCHITETTURE E ARCHITETTI DI CASA CHIGINEL PRIMO RINASCIMENTO ALTOLAZIALE Pier Nicola PagliaraUNA FONTE A LUNGO IGNORATAPER UN’ARCHITETTURA DI BRAMANTEFrancesco Paolo FioreBRAMANTE E LA ROCCA GIULIA DI CIVITAVECCHIALuisa GiordanoPER IL DORICO IN ACCEZIONE LOMBARDA: QUALCHE ESEMPIOMaria Cristina LoiMILANO DOPO BRAMANTE: LA TORRE DI PALAZZO STAMPAE IL TIBURIO DI SANTA MARIA DELLA PASSIONEChristoph Luitpold FrommelRAFFAELLO, ROMA E L’ANTICO Gianfranco SpagnesiNOTE SUALCUNI PALAZZI ROMANI DEL PRIMO CINQUECENTOJean GuillaumeAUTRES IONIQUES MODERNES: SANSOVINO, BULLANT, LE VAUAntonio RussoANTONIO DA SANGALLO IL GIOVANEE LA CASA «DE’ CENTELLI» A ROMA

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PAGAntonella FestaLA VILLA DI SANTA COLOMBA PRESSO SIENASandro BenedettiGIACOMO DEL DUCA:LA MANIFESTAZIONE DEL SACRO CRISTIANO Giovanna CurcioMADERNO, BORROMINI, BERNINI: I DUE PROGETTI PER I CAMPANILI DEL PANTHEONAloisio AntinoriRIFLESSI DI EDIFICI PARIGINIIN RESIDENZE ROMANE DEL TARDO SEICENTO:I PALAZZI MUTI PAPAZZURRI ALLA PILOTTA E MANCINIMichela CascasiGABRIELE VALVASSORI «ARCHITETTO DEL CONVENTO»DI SANT’ONOFRIO AL GIANICOLO Angela MarinoSTORIA DI UN GIORNO NELLA FABBRICA DI SAN PIETROSimona BenedettiL’ECO DELLA STORIANEI PROGETTI DI CHIESE DI GUSTAVO GIOVANNONIMarzia MarandolaRICCARDO MORANDI E COLLEFERRO:UNA CITTÀ OPERAIA D’AUTOREPER LA BOMBRINI PARODI DELFINO

IL RESTAURO ARCHITETTONICOStefano GizziARNALDO BRUSCHI: IDEE PER IL RESTAURO DEI MONUMENTICalogero BellancaLA FABBRICA DI SAN PIETRO.SPIGOLATURE TRA LA FINE DELL’OTTOCENTOE I PRIMI DEL NOVECENTODonatella FioraniCONSIDERAZIONISU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURONELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI

95QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014

Fig. 1 - La torredel palazzo Stampadi Soncino (Milano, CivicoArchivio Fotografico).

Quando Bramante si allontana da Mila-no nel 1499, lascia una città in cui i se-

gni di un cambiamento profondo sono or-mai radicati. L’incontro nella capitale delDucato tra l’urbinate e Leonardo, accolti eincoraggiati nelle loro rivoluzionarie ricer-che da una committenza colta e aperta al

rinnovamento, in un clima di interesse an-tiquario ormai consolidato, aveva aperto unnuovo corso nelle arti. Le opere di Braman-te sanciscono che è ormai in atto un cam-biamento irreversibile, motore di nuovi eimportanti sviluppi nel corso del Cinque-cento. Ma se è possibile tracciare le tappe

principali di queste complesse trasforma-zioni1, quanto avvenne tra il 1499 e la metàdel XVI secolo non può essere ricondotto aun processo di lineare evoluzione del lasci-to bramantesco e leonardesco, quanto a uncontinuo alternarsi di vicende in un climadi profonde contraddizioni. E pur potendo

MILANO DOPO BRAMANTE:LA TORRE DI PALAZZO STAMPA

E IL TIBURIO DI SANTA MARIA DELLA PASSIONEdi MARIA CRISTINA LOI

principali cantieri della città e del territo-rio6. Dalle prime notizie sulla sua attività,che risalgono al 1510, fino all’anno della suamorte, nel 1555, i documenti restituisconoevidenze di un’attività intensissima e conti-nua7. La figura di Cristoforo Lombardosfugge a qualsiasi definizione, in quanto lasua opera, sicuramente ampia e articolata,tende ad assumere caratteri a volte anchecompletamente contrastanti. Se la sua ope-ra sembra presentare un doppio volto,ugualmente legato alla tradizione e all’in-novazione, e se la sua incapacità, a volte, di

ormai contare su numerosi, aggiornati e ap-profonditi studi sugli avvenimenti che oc-cuparono l’arco cronologico della primametà del secolo, a tutt’oggi su questa stagio-ne rimangono più dubbi che certezze2.Disvelante di questa complessità può es-

sere l’analisi di due architetture che viderola luce in questo tempo: la torre di palazzoStampa e il tiburio di Santa Maria della Pas-sione, due opere, tra le poche superstiti delperiodo, della cui progettazione fu arteficeCristoforo Lombardo, detto il Lombardi-no, allora figura centrale sulla scena mila-nese. Attraverso l’analisi di queste architettu-

re si vogliono proporre alcune riflessioniper contribuire alla comprensione del pri-mo Cinquecento milanese, evidenziando lalezione di Bramante nella sua duplice natu-ra: un dialogo aperto fra tradizione e inno-vazione e una continua ricerca di equilibrotra caratteri comuni con altri centri artisti-ci e caratteri propri di Milano. La storia testimonia che il primo Cin-

quecento milanese è stato un periodo com-plesso e per molti versi oscuro, stretto tradue fasi altamente caratterizzate, ai cui po-li troviamo la Milano di Bramante e quelladi Alessi3. In tempi segnati da instabilità politica,

funestati da ricorrenti pestilenze, con con-seguenti battute d’arresto anche nei più im-portanti cantieri, scarsi o poco documenta-ti erano i movimenti di uomini d’arte e dimaestranze. Tale instabilità, tuttavia, nonimpedì lo sviluppo di nuove ricerche, néfrenò un’ondata di spiccato e diffuso spe-rimentalismo, un intenso fermento di ideeche portò a risultati innovativi. Allontana-tisi Bramante e Leonardo, a Milano sonoattivi Bramantino, Cristoforo Solari, Bam-baia, Cesariano.Quest’ultimo è presente in alcune fab-

briche della città e nel 1521 viene data allestampe la sua controversa edizione del trat-tato di Vitruvio, stimolando un profondodibattito sui grandi temi del Rinascimento,calati nella specificità del mondo lombar-do4, dove sono attivi l’Amadeo e l’insiemedi artisti che al suo fianco continuano aoperare secondo una tendenza “conserva-tiva”. Milano diventa un crocevia di idee,luogo di incontro di vari e differenziati“modi”. Sorge una “questione lombarda”.Temi centrali erano il contrasto tra la resi-stenza al rinnovamento – una sorta di “re-sistenza al Rinascimento” – tipica di unapermanente roccaforte della tradizione tar-dogotica e medievale quale era ancora Mi-lano, e la velocità degli aggiornamenti “al-la moderna” introdotti con un’importanteproduzione letteraria e una discreta circo-lazione di opere e “artisti forestieri”, qualiBramante e Leonardo. Cristoforo Lombardo fu per molti versi

il protagonista di questa fase5. Pervenuto al-

l’architettura attraverso la scultura, seguen-do una tradizione consolidata soprattuttonell’area padana, pur non abbandonando

mai l’attività di scultore, si dedicò prevalen-temente all’architettura, come testimonia-to dalla sua presenza in pressoché tutti i

96 Maria Cristina Loi . MILANO DOPO BRAMANTE: LA TORRE DI PALAZZO STAMPA E IL TIBURIO DI SANTA MARIA DELLA PASSIONE

Fig. 2 - Milano capitale del Regno d’Italia, 1807-1810, Corpo degli Astronomi di Brera,particolare (Milano, castello Sforzesco, Civica Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli).

Fig. 3 - Dipinto di autore ignoto, la torre del palazzo Stampa di Soncino in costruzione.Affresco rinvenuto in un salone al primo piano dell’ala ovest del palazzo.

Figg. 4 e 5 - Assetto cinquecentesco del palazzocon indicazione di alcuni punti di vista verso la torreche ne evidenziano il carattere di segno monumentale.[A DESTRA] Punti di vista verso la torre:dalla corsia di San Giorgio (1-2-3) e dal centro dell’esedra (4)(elaborazione grafica di F. Floridia e M.C. Loi).

Fig. 6 - Dipinto di autore ignoto, sullo sfondosi vede la torre di palazzo Stampa (collezione privata).

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fettiva consistenza numerica a Milano20. IlFiamma riferiva dell’esistenza di un gran-de numero di torri ma prima di lui Bonve-sin da la Riva (1240 circa-1315), nel De ma-gnalibus Mediolani. Le meraviglie di Mila-no (1288), nominava solo quelle campana-rie, quella del broletto e quelle a guardiadelle porte della città21, dacché si potrebbeconcludere, con la Rondinini, che effettiva-mente «Milano non potesse competere, nelMedioevo, con turrite città come Pavia oBologna»22. Soprattutto per quanto riguar-da l’architettura residenziale, la documen-tazione è davvero esigua e i pochi edifici su-perstiti sono stati inglobati in più modernestrutture, non lasciando traccia dell’aspet-to originario. Tra le rare eccezioni, può es-sere ricordata la torre dei Morigia23. Nonprivo di nota è il fatto che del nucleo più an-tico di palazzo Stampa facesse parte unatorre di origine medievale, di cui erano sta-te rinvenute le tracce in scavi ottocente-schi24. È stato ipotizzato che questa potes-se appartenere, insieme ad altre due torriprivate, la già menzionata torre dei Morigiae quella dei Goriani, a strutture più antichenella vasta area del Palatium imperiale diMassimiano25 e che probabilmente abbiapoi assunto la conformazione di una torreo casa-torre medievale. L’esistenza di torri in residenze private è

testimoniata anche in alcune descrizioni. IlTorre, ad esempio, riferisce di «quattro tor-ri una all’altra dirimpetto» nel grande esontuoso complesso della corte Ducale e ditorri con le loro dipendenze nel palazzoCarmagnola26. Il declino dell’edificio-torreè comunque un dato certo sullo scorcio delMedioevo27, quando «anche le torri mila-nesi, dunque, come quelle veronesi, diven-nero ‘una realtà senza importanza alcuna’,un ‘puro elemento accessorio, citato quasicasualmente’ nelle confinanze, nelle descri-zioni di botteghe; il sopirsi delle lotte citta-dine le rese inutili, il ricambio ai vertici delpotere, che chiamò tanta gente nuova, sot-trasse loro l’antico prestigio»28. Ricercando ancora fonti e suggestioni

per l’idea della torre, alcune riflessioni pos-sono essere fatte circa il viaggio del Lom-bardo a Roma. Secondo una fonte larga-mente attendibile, i registri della Fabbricadel Duomo di Milano, il Lombardo nel1514 rientrò da Roma dopo avervi trascor-so «parecchi mesi»29. È dunque plausibileche durante questa permanenza, in un pe-riodo indefinito ma che si conclude co-munque nel 1514, abbia potuto conosceredirettamente i progetti e le opere di Bra-mante. Il cortile del Belvedere potrebbeaver ispirato l’idea dell’organizzazione del“vuoto” interno con la sequenza dell’asse

esedra-giardino-torre, lasciando nella me-moria dell’architetto un’immagine che poinei decenni successivi avrebbe riutilizzato,rielaborandola e “riducendola”, per la pro-gettazione del palazzo. L’accostamento pa-lazzo-torre, del resto, non era inconsueto aRoma. Le torri di palazzo Capranica e dipalazzo Venezia potrebbero avergli offertoispirazione, anche se la loro posizione asim-metrica, la loro coerenza con il sistema fac-ciata – sia volumetricamente che linguisti-camente – la loro stessa forma, non trova-no poi corrispondenza con le scelte opera-te in seguito dal Lombardino. A colpiremaggiormente la sua immaginazione po-trebbero essere stati il progetto per il palaz-zo dei Tribunali, o la torre del palazzo delcardinal Del Monte di Antonio da Sangal-lo, descritta da Vasari30. Alla fitta serie di riferimenti cui può aver

attinto il Lombardino, devono poi essereaggiunte alcune architetture disegnate inschizzi di progetto o negli sfondi architet-tonici di dipinti, soprattutto per quanto at-tiene alla articolazione del corpo di fabbri-ca. La sovrapposizione di tre parallelepipe-di di grandezza decrescente dal basso ver-so l’alto, è infatti una forma tipica che ricor-re in un grande numero di rappresentazio-ni. Più volte è stato suggerito il nesso tral’architettura della torre di palazzo Stampa

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intervenire in prima persona nelle scelteprogettuali, o comunque la tendenza a su-bordinarle ad altri o con altri condividerle,potrebbe classificarlo come figura “mino-re”, è proprio questa ambiguità, questacommistione di orientamenti a rivelarechiaramente il clima altalenante della Mila-no del primo Cinquecento.

La torre di palazzo Stampa di SoncinoEmblematica è la torre di palazzo Stam-

pa di Soncino, realizzata da CristoforoLombardo a partire dalla fine degli anniTrenta del Cinquecento nell’ambito dei la-vori di ampliamento e ridefinizione plani-metrica della residenza del conte Massimi-liano Stampa (fig.1). Il palazzo, al centrodella città, crebbe intorno a un nucleo me-dievale e andò espandendosi per successi-ve aggregazioni di corpi di fabbrica già esi-stenti8. Con questa evoluzione per passisuccessivi l’edificio seguì una modalità co-mune ai palazzi milanesi del tempo che tar-darono, al contrario di quanto avveniva ne-gli altri principali centri artistici, da Romaa Firenze a Venezia, ad assumere una con-formazione “data” e una chiara definizio-ne. In virtù di questo processo discontinuoe di un ampliamento basato sull’acquisizio-ne di unità limitrofe già esistenti, il palazzoassunse nel corso del tempo il carattere diun complesso ampio e articolato, con cortie un grande giardino terminante conun’esedra, sul cui asse centrale era colloca-ta un’alta torre (fig. 2). Questa conforma-zione fu sostanzialmente definita già allametà del Cinquecento, e ne fu responsabi-le il Lombardo, cui è riconosciuta la pater-nità del cortile d’onore, del giardino e del-la torre (fig. 3). Quest’ultima era il vero ele-mento innovativo del palazzo, il più carat-terizzante : «l’altissima Torre, detta de’Soncini, con in cima le due Colonne del

non plus ultra, come che ella sia stata erettaad onore dell’imperator Carlo V, e per es-sere questa lavorata con insigne vago dise-gno, divisa in piani circondati di esterioriringhiere di ferro, che la rendono una del-le più ragguardevoli fabbriche della Città,abbiamo giudicato convenevole il rappre-sentarne sotto gli occhi del Leggitore l’esat-to disegno della medesima»9.Queste le parole del Latuada che, a sot-

tolinearne la bellezza e l’unicità, dedica al-la torre anche una delle poche illustrazionidella sua celebre opera a stampa. La torrecompare in molte rappresentazioni dellacittà. Ad esempio, la vediamo ergersi fiera-mente nelle piante prospettiche del Lafré-ry (1573) e del Barateri (1629)10, nelle ve-dute del Lose e del Lampugnani, mentreGiorgio Vasari la delinea chiaramente nel-l’Assedio e presa di Milano11. L’importanza della torre stava anche

nella sua “unicità”. L’inserimento di que-sto tipo architettonico in una residenza pri-vata di città costituiva infatti un’innovazio-ne, o comunque un dato inconsueto per ilRinascimento12. Nel caso di palazzo Stampa la torre va

considerata come parte di una sequenzacoerente composta da più elementi creaticontemporaneamente: torre-cortile d’ono-re-giardino, che formavano un “sistema”introverso di cui era il centro13. La torre ècostituita da tre blocchi parallelepipedi so-vrapposti, di grandezza decrescente dalbasso verso l’alto, ha una pianta rettango-lare e presenta dunque prospetti differen-ziati. Non è dato sapere con certezza quali

fossero in origine l’aspetto esterno, il rive-stimento e la decorazione. Nel 1851 il Lit-ta la rappresentava in mattoni e lavori di in-tonacatura sono testimoniati solo alla finedell’Ottocento14. Ciononostante, non sipuò escludere che l’intonacatura delle su-perfici esterne fosse prevista fin dall’inizio,mentre per quanto riguarda l’interno si puòsupporre, in attesa di ulteriori analisi, che imattoni fossero lasciati a vista15. Tre sono i temi principali proposti da

questo progetto. Innanzitutto, l’idea stessadi torre, elemento insolito in un palazzo dicittà. In secondo luogo, la doppia naturadella torre: da un lato elemento simbolicoe celebrativo rivolto alla città, “esposto”verso l’esterno; dall’altro fulcro di un siste-ma introverso, rivolto alla vita interna delpalazzo, in cui agisce da riferimento visivoe “ordinatore”. Infine, l’utilizzo di un lin-guaggio semplificato negli ordini architet-tonici in facciata16. Riguardo al primo punto, molteplici

possono essere state le suggestioni. Innan-zitutto, è d’uopo ricordare che un’idea di“Milano città turrita” è stata talvolta evoca-ta nella letteratura17. Quello della città tur-rita è un topos appartenente alla culturamedievale, testimoniato in dipinti, rilievi,vedute18. Al pari di Pavia, San Gimignano,Bologna, anche Milano nel Medioevo sa-rebbe stata una «città irta di torri»19, e que-sta immagine è stata restituita anche negliscritti di Bonvesin da la Riva e GalvanoFiamma, di Bernardino Corio e Carlo Tor-re. Ciononostante, molte sono le incertez-ze riguardo la tipologia di torri e la loro ef-

98 Maria Cristina Loi . MILANO DOPO BRAMANTE: LA TORRE DI PALAZZO STAMPA E IL TIBURIO DI SANTA MARIA DELLA PASSIONE

Fig. 7 [SOPRA] Milano, Santa Maria della Passione,veduta d’insieme della parte absidale.

Fig. 8 - Milano, Santa Maria della Passione, il tiburio.

Figg. 9 e 10 - Milano, Santa Maria della Passione,nicchia del secondo ordine decorata ad affrescocon figura femminile (foto dell’autore).Nicchia del secondo ordinedecorata ad affresco con figura femminile (foto Navone-Sganzerla).

tezza, solo con una visione di scorcio, esi-bendo gli elementi simbolici e decorativiposti alla sua sommità. Ma sul significatopolitico sembra prevalere quello più perso-nale, rivolto alla vita interna del palazzo edei suoi illustri ospiti39.Terzo tratto caratterizzante la torre è il

linguaggio adottato nelle partizioni dellafacciata, caratterizzato da un interesse perle profilature, con fasce e riquadri e un or-dine semplificato. Questo stesso motivo,che viene ripreso nelle facciate del cortiled’onore e ricorre anche in altre opere delLombardino, ad esempio nella facciata diSanta Caterina alla Chiusa, sembra deriva-re principalmente da opere romane di Giu-lio Romano e forse anche da modelli fioren-tini40. Dei 42 metri di altezza totale, 9 era-no occupati dalla successione di emblemiche rendevano omaggio all’imperatore.Sotto questi, una decorazione ridotta al mi-nimo, quel linguaggio “purista” e astrattodi cui Lombardo si fece portatore. L’atten-zione doveva essere rivolta tutta alla serra-ta sequenza di simboli, ed in questo sensopossiamo interpretare la torre come “scul-tura celebrativa” (fig. 6).

Santa Maria della Passione«Dopo il rotondo Tempio di San Loren-

zo questa Chiesa porta il Titolo della piùnobile, e della più bene intesa in Architet-tura, che vedesi in Milano»41.La storia della genesi e della realizzazio-

ne di Santa Maria della Passione è stata og-getto di importanti studi che ne hanno ri-costruito le fasi principali, individuandonei rispettivi artefici. L’attuale aspetto della chiesa, una delle

più importanti di Milano, seconda per di-mensioni soltanto al Duomo, è il risultatodi un processo costruttivo avviato nella se-conda metà del XV secolo e concluso nelXVIII secolo con il completamento dellafacciata42. Alla fabbrica, originariamenteimpostata su pianta a croce greca con brac-ci absidati ed esedre di raccordo, furonoaggiunte, seguendo le indicazioni post-tri-dentine, tre navate e le cappelle, aumentan-done in maniera sostanziale la superficie.L’originario progetto a pianta centrale è at-tribuito al lodigiano Giovanni Battagio,formatosi nella cultura umanistica di Ama-deo, Filarete, Mantegna, Foppa, e già atti-vo prima dell’arrivo del Bramante a Mila-no43. L’impianto progettato dal Battagio èpoi stato proseguito e modificato nel Cin-quecento da una sequenza di interventi,ascrivibili a Cristoforo Solari, a CristoforoLombardo, a Vincenzo Seregni e a Marti-no Bassi; il completamento della facciata fucompiuto nell’ultimo decennio del Seicen-to da Filippo Rusnati.L’imponente tiburio, realizzato intorno

agli anni Cinquanta del secolo, su solleci-tazione di Ferrante Gonzaga, è stato attri-

buito, seppur talvolta dubitativamente, aCristoforo Lombardo44 (fig. 7). Il tiburiopresenta reminiscenze bramantesche egiuliesche. È stato tuttavia osservato che«una certa esibizione di linguaggio alla ro-mana nel doppio ordine e nelle finestre aedicola leggermente incassate nella mura-tura, con il preziosismo all’antica degliechini a gola diritta come facevano soprat-tutto Bramante e Antonio da Sangallo ilGiovane, contrasta un po’ colle aperture ele nicchie a varia altezza e quella sorta dibugnato diradato del primo ordine che haben poco della eloquenza ‘rustica’ di Giu-lio Romano»45 (fig. 8).Di estremo interesse nello studio del ti-

burio si sono rivelate le importanti informa-zioni acquisite a seguito di una recente cam-pagna di restauro46. I dati emersi hanno per-messo una rilettura dell’opera e una sua in-terpretazione che avvicina il lavoro di Lom-bardo, in questa fase tarda, all’influenza diBramante47. Il restauro conservativo dei pa-ramenti esterni della chiesa ha confermatomolte delle supposizioni circa la scelta del-l’uso della pietra – o, meglio, della sua simu-lazione – per dare, da lontano, l’immaginedi un edificio “all’antica”, ricco e maestoso,veramente simbolo della volontà di emula-re la grandezza del mondo classico48. Du-rante l’intervento è stato infatti possibileesaminare con attenzione le superfici e con-fermare ciò che era già stato ipotizzato instudi recenti, ovvero che l’intera superficieesterna del nucleo a pianta centrale dellachiesa fosse originariamente ricoperta dadecorazioni ad affresco (delle quali si con-servano attualmente circa 200 mq). Il tiburio ottagono è composto da due

ordini sovrapposti interamente rifiniti a in-tonaco49 e riccamente dipinti; nelle nicchiee negli sfondati rettangolari si trovano figu-re affrescate50; sulle trabeazioni dei timpa-ni decorazioni a triglifi e metope; i cornicio-ni sono alleggeriti da balaustre o da scana-lature rudentate; inoltre si possono ancoraleggere panneggi sorretti da putti e ampiespecchiature a finto marmo dai colori acce-si. Anche nei bracci absidati e nelle esedredi raccordo si trovano fasce di coronamen-to decorate a girali che concludono ampiesuperfici a finto marmo. La possibilità di un’osservazione ravvi-

cinata ha anche permesso di verificare chele cornici modanate e le mensole, che at-tualmente si presentano quasi interamentein cotto a vista, vennero fornite in opera ri-coperte da intonaco a simulare la pietra51,utilizzando materiali oggi inconsueti comeil nero di carbone52 (figg. 9-12).La ricchezza decorativa di questi ester-

ni è già espressa dal Torre: «se mai la curio-sità vi muovesse a raffigurare gli ornamen-ti esteriori della cupola ... Osservate adun-que in qual vago disegno ... per di fuori sistiano, non mancano Colonne, Fregi, Ar-

chitravi, Portici, Finestre fasciate con lavo-rati marmi, ed all’intorno figure di chiaro-scuro»53.Dalla relazione dell’intervento di restau-

ro leggiamo: «È importante segnalare chepressoché tutti gli intonaci originali del ti-burio si sono conservati; nelle zone più ri-parate anche la pellicola pittorica era inbuono stato di conservazione, in altre man-ca la superficie dipinta ma si è conservata lafinitura e in altre solo l’intonaco senza lostrato di finitura, si presenta solo con spo-radiche zone di distacco dal supporto e inaltre con zone di rifacimento con malte ce-mentizie. L’aspetto più interessante dell’in-tervento riguarda le superfici dipinte cheprima del restauro si presentavano quasi il-leggibili per la presenza simultanea di varietipologie di fenomeni di degrado; l’inter-vento conservativo ha permesso di recupe-rare una lettura quasi completa delle con-sistenti superfici decorate. Tali superfici so-no molto differenziate: oltre alle decorazio-ni di tipo figurativo presenti nelle nicchie enegli sfondati, vanno ricordati gli elementiarchitettonici quali balaustre, triglifi, cor-nici, finti bugnati, ampie superfici a fintomarmo dalle tonalità differenti dal giallo, alrosso al violetto, e fasce dipinte a motivi flo-reali e a motivi geometrici. Inoltre sugli in-tonaci si possono notare tracce d’incisioneche hanno contribuito alla comprensionedei manufatti. Inoltre nel corso dei lavori siè potuto osservare che anche le superficimodanate di cotto erano rifinite ad intona-co e che si conservano anche tracce dellapellicola pittorica di finitura»54. A Milano, storicamente una delle “roc-

caforti” del cotto, già nel corso del primoCinquecento si manifestava dunque unaforte sensibilità verso l’uso di altri materia-li, simulati molto più spesso che reali. Unatendenza che si era andata sviluppando nel-la cultura architettonica milanese e lombar-da già dal secolo precedente, molto primadunque della realizzazione del palazzo Ma-rino, manifesto di una architettura intera-mente in pietra, momento di rottura di unalunga tradizione perpetuata nei secoli, ri-sultato di un processo artistico ed econo-mico in cui si intrecciavano nuove e molte-plici componenti. Il cotto, materiale facil-mente reperibile, plasmabile e dai costicontenuti, per secoli aveva caratterizzatol’architettura nell’area geografica della pia-nura Padana, ricca di argille di ottima qua-lità, tradizionalmente definita “regione delcotto”. Ma spesso si presentava rivestito daintonaco o comunque variamente trattatoin superficie. Nell’area milanese la finiturasuperficiale dei paramenti in mattoni è mu-tata nel tempo, passando da finto mattone,finta tappezzeria, motivi geometrici, utiliz-zati nel Medioevo55, alle finiture a finta pie-tra sempre più frequenti a partire dal Rina-scimento. Queste ultime contribuivano a

101QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014

e alcune architetture dipinte di Peruzzi, diGiulio Romano, di Bramantino. Se nellaAllegoria di Mercurio di Peruzzi (Parigi,Louvre) un paesaggio immaginario è affol-lato di torri, tutte tra loro simili e imposta-te con la sequenza di blocchi di grandezzadigradante e, ancora, una torre appare inuno schizzo di progetto per un palazzo ovilla, probabilmente dello stesso Peruzzi31,forse l’esempio più evidente della relazio-ne tra la torre del Lombardo e l’architettu-ra dipinta è costituito dalle opere del Bra-mantino. Tale nesso è ravvisato da più au-tori, soprattutto in riferimento a due operecustodite presso la pinacoteca di Brera, en-trambe databili ai primi anni del Cinque-cento: la Sacra Famiglia e la Crocifissione.Stessa concezione e organizzazione del fon-dale architettonico si ritrova nella Madon-na con il Bambino tra i Santi Ambrogio e Mi-chele Arcangelo (trittico di Michele), conser-vato presso la pinacoteca Ambrosiana, onegli Arazzi Trivulzio al castello Sforzesco,dove, in particolare, nel mese di marzo, al-te torri sono rappresentate sullo sfondo32. Riferimenti a edifici a torre, con detta-

gliate descrizioni, talvolta illustrate, sonopoi costanti nella trattatistica rinascimen-tale. La tipica configurazione a blocchi so-vrapposti, con superfici ritmate da apertu-re alternate a campi di parete disegnati dasemplici riquadrature, ovvero soluzioni piùfantasiose e riccamente decorate, si ritrova-no nelle numerose opere che videro la lucenel primo Rinascimento e la cui conoscen-za e circolazione a Milano è certa. Èproba-bile che tali riferimenti non siano sfuggiti alLombardino, o ai suoi committenti, e sipossano dunque aggiungere all’ampio re-pertorio di immagini ispiratrici della torredel palazzo Stampa33. Secondo tema. Per la sua particolare po-

sizione, per essere visibile solo di scorciodall’esterno, per la sua stessa conformazio-

ne, la torre di palazzo Stampa costituisceun caso davvero singolare e per certi versiancora poco decifrabile.Si trattava del “più squillante clamoro-

so omaggio imperiale mai eretto nell’interacittà di Milano, probabilmente l’unico so-pravvissuto fino ad oggi»34. Sulla sua som-mità si affollano elementi simbolici e cele-brativi: le colonne binate con il motto plusultra che sorreggono il globo terrestre so-vrastato da un’aquila imperiale coronata.L’aquila bicipite, caricata di uno scudo aral-dico, dispiega le ali. Erano i principali attri-buti iconografici di Carlo V, cui Lombardoaveva aggiunto, agli angoli della terrazzapiù alta, le grandi pigne sforzesche35. Il glo-bo terrestre, come apprendiamo dal croni-sta vigevanese del XVI secolo Cesare Nubi-lonio, fu fatto rimuovere dallo Stampa dal-la rocca di Vigevano: «il pomo di rame so-pra dorato, qual era nella guglia di esso tor-rione – della rocca di Vigevano – posto peril duca Lodovico il Moro suo fondatore, og-gidì è sopra la torre del conte MassimilianoStampa in Milano, qual lo tolse al Comunedi Vigevano»36. Questi stessi simboli appa-iono anche negli apparati trionfali allestitiper l’entrata in Milano di Carlo V nel 1541,e di Filippo II nel 1548. In entrambi i casi ècerto il coinvolgimento del Lombardo, pri-ma a fianco di Giulio Romano, poi di Do-menico Giunti. Soprattutto il contatto conGiulio Romano è importantissimo. Il Lom-bardo lavorò al suo fianco anche in occasio-ne del progetto di completamento dellafacciata di San Petronio a Bologna, mai rea-lizzato.Palazzo Stampa si affacciava sulla corsia

di San Giorgio, lungo cui si snodava il so-lenne corteo con l’imperatore a cavallo, nelpercorso che da San Lorenzo portava alDuomo. Una descrizione ci viene offerta daAlfonso Trotti, ambasciatore modenese, dacui apprendiamo che Massimiliano Stam-

pa accompagnò il corteo mentre la mogliedel governatore vi assisteva dalle finestredel palazzo: «Alla casa del conte Massimi-gliano Stampa si trovava essere a vedere laS.ra principessa, figli e nuora, con infinitealtre dame, et sua Altezza salutando tuttetenne sempre il capello in mano fin tantoche durò la facciata di quella casa»37. Questa descrizione suggerisce alcune

osservazioni. Ci si domanda innanzitutto seesistevano le condizioni per poter ammira-re la torre dall’esterno, dalla corsia di SanGiorgio o da altri punti privilegiati della cit-tà. La torre è di pianta rettangolare e misu-ra alla base 6,2x9,2 metri. I tre blocchi so-vrapposti sono attualmente collegati dauna piccola e ripida scala interna e da unascala esterna tra il primo e il secondo livel-lo. La balaustra che compare nell’incisionedel Latuada è ancora esistente mentre laterrazza superiore non ha alcuna protezio-ne. Evidenze del fatto che la torre non erastata concepita come spazio abitabile e uti-lizzabile, non era un “belvedere”. Più vol-te sono stati enfatizzati l’importanza dellatorre e il suo significato simbolico quale og-getto di omaggio all’imperatore. I simboliaffastellati sulla sua sommità sembrerebbe-ro una dimostrazione di questa interpreta-zione. Da una verifica eseguita sovrappo-nendo l’assetto cinquecentesco del palaz-zo alla carta ottocentesca dell’ingegnerCarlo Villani, è stato possibile stabilire chela ridottissima larghezza della corsia di SanGiorgio (in taluni punti non più di 6 metri)impediva un’agevole vista della torre du-rante il passaggio38 (figg. 4, 5). La torre non era un edificio da cui osser-

vare ma un volume da osservare. Tuttavia ilvero e più completo punto di vista era al-l’interno del palazzo, nello spazio del gran-de giardino terminante con l’esedra. Fulcrodel complesso del palazzo, la torre dialoga-va con l’esterno, in virtù della discreta al-

100 Maria Cristina Loi . MILANO DOPO BRAMANTE: LA TORRE DI PALAZZO STAMPA E IL TIBURIO DI SANTA MARIA DELLA PASSIONE

Fig. 11 - Milano, Santa Maria della Passione,capitello del secondo ordine in pietra d’Angera (foto dell’autore).

Fig. 12 - Trabeazione tra il primo e il secondo ordine,decorata ad affresco con finte scanalature rudentate;la trabeazione è racchiusafra due cornici in cottoche riportano una finitura a intonaco(foto dell’autore).

NOTE

1. Sull’argomento esiste una bibliografia vastis-sima e, per quanto riguarda i tratti generali, sostan-zialmente esauriente, seppur sempre suscettibiledi ulteriori verifiche e integrazioni. Di questa bi-bliografia è impossibile rendere conto in questa se-de; nelle note si citeranno soltanto riferimenti spe-cifici ad alcuni dei testi utilizzati per la presente ri-cerca. A questi stessi testi si rimanda per indicazio-ni bibliografiche più estese e complete.

2. Per un inquadramento generale e per la mes-sa a punto di alcuni passaggi-chiave nel primo Cin-quecento milanese, visto nel suo complesso e attra-verso i più significativi cambiamenti a partire dal1535, cfr. A. BRUSCHI, Introduzione, in Storia del-l’Architettura Italiana. Il Primo Cinquecento, a cu-ra di A. Bruschi, Milano 2002, pp. 9-33; ID., Bra-mante, Roma-Bari, 1960; B. ADORNI, L’Architettu-ra in area lombarda ed emiliana, in Storia dell’Ar-chitettura Italiana. Il Primo Cinquecento, cit., pp.272-305; A. ROVETTA, Note introduttive all’edizio-ne moderna del primo libro del Vitruvio di CesareCesariano, in Cesare Cesariano e il Classicismo diprimo Cinquecento, Milano 1996, pp. 247-308; G.AGOSTI, Bambaia e il classicismo lombardo, Torino1990; L. PATETTA, L’Architettura del Quattrocentoa Milano, Milano 1987;M. TAFURI, Cesare Cesaria-no e gli studi vitruviani nel Quattrocento, in Scrittirinascimentali di Architettura, a cura di A. Bruschi,C. Maltese, M. Tafuri, R. Bonelli, Milano 1978, pp.387-458; A. SCOTTI, Per un profilo dell’architettu-ra milanese, (1535-1565), in Omaggio a Tiziano. Lacultura artistica milanese nell’età di Carlo V, Mila-no 1977, pp. 97-121.

3. B. ADORNI, L’Architettura in area lombarda,cit., p. 272.

4. A. ROVETTA, Note introduttive, cit., 1996, p.251: «Il Vitruvio comasco, in forza soprattutto delcommento e delle illustrazioni, veniva a porsi co-me un propositivo punto di paragone per l’archi-tettura del primo Rinascimento lombardo. Forie-ro di importanti suggerimenti per il prosieguo delsecolo ... appare chiaro l’intento di Cesariano di ra-dunare passato e presente architettonico milanesesotto un unico punto di vista, che è si la norma del-le ‘simmetrie vitruviane’, ma è soprattutto un estre-mo tentativo di comprensione delle proposte bra-mantesche alla luce della straordinaria culturascientifica promossa a Milano da Luca Pacioli eLeonardo». Va ricordato anche, con Rovetta, chea Milano, rispetto ad altri centri d’arte, è la culturaumanistica e libraria a risultare preponderante. Ivi,p. 265. Cfr.. anche M. TAFURI, Cesare Cesariano, cit.

5. Sulla figura di Cristoforo Lombardo studimolto recenti hanno cominciato a fare chiarezza,offrendo un corretto inquadramento della sua at-tività di scultore e di architetto. Tuttavia il quadrorimane ancora, per alcuni versi, incerto. Già ricor-dato dal Vasari (G. VASARI, Le Vite de’ più eccellen-ti pittori, scultori ed architettori, ed. 1568, a cura diG. Milanesi, V, Firenze 1880, p. 554; VI, Firenze1881, pp. 497-516), lodato dal Lomazzo e citatonelle principali descrizioni e guide di Milano, ilLombardo sarà poi menzionato in tutti i principa-

li studi sull’architettura lombarda. Recentementesi è cominciato ad approfondirne lo studio e adaprire la strada verso una maggiore conoscenzadella sua figura. Dopo la breve voce dedicata alLombardo nel THIEME-BECKER, Cristoforo Lom-bardo, Kunsterlexicon XXIII, pp. 346-347, si sonomoltiplicati i riferimenti al suo lavoro. Per un in-quadramento generale sulla sua figura e sul perio-do di cui fu protagonista, per aggiornamenti sullasua opera, sia nel campo della scultura che della ar-chitettura, e per riferimenti bibliografici più estesied aggiornati, cfr. M.C. LOI, Lombardo (Lombardi,Lombardini), Cristoforo (Tofano), detto il Lombar-dino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 65,Roma 2005, ad vocem; A. SCOTTI TOSINI, Lombar-do, Cristoforo [il Lombardino], inThe Dictionary ofArt, a cura di J. Turner, XIX, London 1996, ad vo-cem; C. FARINA, Cristoforo Lombardi architetto:nuove acquisizioni documentarie, in «Arte Lombar-da», 116, 1996, pp. 18-28; B. ADORNI, L’architet-tura in area lombarda, cit.; A. SCOTTI, Per un profi-lo dell’architettura milanese, cit.

6. Questo anche in forza delle importanti cari-che rivestite: Architetto della Fabbrica del Duomo(dal 1526) e poi Ingegnere del Comune di Milano.

7. Se con gli studi più recenti il catalogo delleopere di Cristoforo Lombardo è andato precisan-dosi e arricchendosi, rimangono a tutt’oggi incer-tezze circa l’attribuzione di alcune opere e la valu-tazione del suo personale contributo in lavori ese-guiti a più mani.

8. Su palazzo Stampa cfr. M.C. LOI, PalazzoStampa di Soncino. Storia di una architettura mila-nese, Milano 2007, con bibliografia aggiornata. Cfr.anche M. ROSSI, Palazzo Stampa, secc. XVI-XIX, inMilano ritrovata. L’asse di Via Torino, Milano 1986,pp. 541-547; M. FORNI, La dimora milanese deiMarchesi Stampa di Soncino, in «Palladio», 12, lu-glio-dicembre 1993, pp. 25-35; R. SACCHI, Il dise-gno incompiuto. La politica artistica di Francesco IISforza e Massimiliano Stampa, Milano 2005, pp.468-474 e passim. Il palazzo è sotto vincolo dellaSoprintendenza dal 21 aprile 1911 (Decreto 21aprile 1911, legge 20-6-1909).

9. S. LATUADA, Descrizione di Milano ornata conmolti disegni in rame delle fabbriche più cospicueche si trovano in questa metropoli, 5 voll., Milano1737-1738, III, 1737, p. 146. Il Latuada fornì an-che un’immagine della torre, che ci permettere diescludere, almeno a quella data, che le superficiesterne fossero lasciate con i mattoni a vista. La tor-re è l’unico elemento del palazzo che viene men-zionato nelle altre principali guide della città.

10. A. LAFRERY, Pianta prospettica di Milano,1573, incisione su rame, Civica Raccolta delleStampe Achille Bertarelli, castello Sforzesco, Mi-lano; M.A. BARATERI, La Gran Città di Milano,1629, incisione, Civica Raccolta delle StampeAchille Bertarelli, castello Sforzesco, Milano.

11. F. LOSE, Naviglio di Via Vallone, litografia,1810 circa, Civica Raccolta delle Stampe AchilleBertarelli, castello Sforzesco, Milano; G.F. LAMPU-GNANI, Veduta prospettica di Milano, incisione su

rame, 1640. Ma numerosi altri esempi potrebberoessere citati. L’Assedio di Milano fa parte dell’ap-parato decorativo della sala di Leone X a palazzoVecchio a Firenze e fu realizzata intorno al 1560 daGiorgio Vasari insieme a Giovanni Stradano. Undisegno preparatorio è custodito presso il Gabinet-to dei Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze. Aquesta stessa opera sembrerebbe ispirata la gran-de veduta di Milano del 1583 di Giovanni Strada-no, (pubblicata ad esempio in V. VERCELLONI, Lastoria del paesaggio urbano di Milano, Milano1988). Cfr. anche R. SACCHI, Il progetto incompiu-to, cit., pp. 390-391.

12. Va comunque notato che la presenza di unatorre caratterizza anche le altre residenze della fa-miglia Stampa fuori città, a Cusago e a Monteca-stello Alessandrino. In quest’ultima fabbrica pro-babilmente Lombardo intervenne in una campa-gna di lavori negli anni Trenta del XVI secolo, co-me si potrebbe desumere dai documenti custoditipresso l’Archivio della Veneranda Fabbrica delDuomo di Milano (AVFDM, Libro Mastro 1534-35, n. 324, f.17v), che testimoniano sue assenze dalcantiere per essersi recato a Montecastello. Tutta-via, non è dato di sapere, allo stato attuale delle ri-cerche, quale effettivamente sia stato il suo speci-fico intervento in questa fabbrica.

13. A questo proposito cfr. le osservazioni inM.C. LOI, Palazzo Stampa, cit., 2007, in particola-re pp. 31-48.

14. P. LITTA, Famiglie celebri italiane, Milano1851. Sono testimoniati: «Lavori alla torre nell’in-teresse per la conservazione della torre, rispettan-dosi le ragioni dell’arte e della storia», in Atti dellaCommissione dei Monumenti e oggetti d’arte e diantichità di Milano, sedute del 28 agosto e del 14dicembre 1880, in «Archivio Storico Lombardo»,vol. 8, 1881, pp. 7, 14. Altri lavori sono testimonia-ti negli anni Trenta del Novecento, come attestatodalla relazione: «Lavori di riparazione Torre e Fac-ciata via Torino e via Soncino. Agosto 1932-Apri-le 1933» (documento conservato presso l’archivioprivato della famiglia). Senza ulteriori specificazio-ni nella relazione appare l’indicazione di «lavori dimuratura» e di un preventivo per «Parte in alto del-la torretta e precisamente MONDO in rame e CO-RONA superiore, escluso aquila. Da dorare conoro fino in foglie previa preparazione del sottofon-do in rame. Prezzo complessivo 1400 L.».

15. Di questa opinione è Marco Rossi, che nel-l’importante contributo su palazzo Stampa, scrive:«può sorgere comunque il dubbio che l’intonaca-tura fosse prevista fin dall’inizio, come testimoniail gusto dell’ultimo periodo sforzesco, rilevabilepure dal fatto che la stessa tribuna di Santa Mariadelle Grazie doveva essere ricoperta di intonaco,essendo il paramento murario caratterizzato da unuso del cotto improprio per soluzioni a vista». M.ROSSI, Palazzo Stampa, cit., p. 344. Oggi l’edificioversa in uno stato di degrado avanzato e presentapiù strati di intonaco sovrapposti, esito di numero-se campagne di intervento, anche recenti. Solo unauspicabile intervento di restauro e consolidamen-

103QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014

dare alle architetture l’aspetto di un edifi-cio “all’antica”, di pietra, coniugando allostesso tempo la possibilità di fare ricorso amateriali dai costi meno elevati e di utiliz-zare tecniche ormai collaudate dalle mae-stranze attive sul territorio, padrone di unasolida esperienza tramandata di generazio-ne in generazione56.Realizzati a distanza di poco più di die-

ci anni, la torre del palazzo Stampa e il tibu-rio della chiesa di Santa Maria della Passio-ne costituiscono due episodi particolar-mente importanti e significativi e segnanodue tappe fondamentali del processo ditransizione che attraversa la vita artisticamilanese nella prima metà del Cinquecen-to. Un esempio di “scultura celebrativa”prestata all’architettura, il primo, dove l’or-

dine architettonico viene semplificato e la-scia il posto a un vero e proprio affastellar-si di elementi decorativi e simbolici. Unedificio di grande vigore plastico e solennemaestosità, quasi sovradimensionato, il se-condo, dove invece viene esaltato il valoredegli elementi architettonici e viene evoca-ta, nei finti marmi colorati, l’immagine diun edificio all’antica.

102 Maria Cristina Loi . MILANO DOPO BRAMANTE: LA TORRE DI PALAZZO STAMPA E IL TIBURIO DI SANTA MARIA DELLA PASSIONE

to, che appare ormai urgente e necessario, potreb-be finalmente offrire l’occasione per fare chiarez-za sul rivestimento originario della torre e per trac-ciare un quadro più preciso sui vari interventi chesi sono succeduti corso del tempo. Dall’osservazio-ne diretta e dagli studi finora svolti, tra cui va men-zionato un rilievo fotogrammetrico (pubblicato inM.C. LOI, Palazzo Stampa a Milano, in Aspetti del-l’abitare e del costruire a Roma e in Lombardia traXV e XIX secolo, a cura di A. Rossari e A. Scotti,Milano 2005, pp. 297-303) è possibile avanzarel’ipotesi che la torre fosse all’origine rivestita, sututte le superfici esterne, con uno o più strati di in-tonaco. Oggi vediamo uno strato di intonacaturapiuttosto recente, che ha interessato tutte le sue su-perfici; sotto a questo, vi è traccia visibile di un ri-vestimento più antico. Ma la presenza, sopra le su-perfici in cotto, di uno strato di intonaco sottile difinitura, già accertata dalla semplice osservazione,dovrà essere indagata più a fondo con una campa-gna stratigrafica di verifica. All’interno, con ogniprobabilità, il cotto doveva essere lasciato a vista,come attesterebbe la cura nell’esecuzione, in par-ticolare nelle modanature delle basi e dei capitelli.È importante notare che anche il cortile d’onore,coevo alla torre, si presenta oggi con una sempliceintonacatura e non appaiono tracce di colore nel-le specchiature che scandiscono il ritmo delle su-perfici, alternandosi alle aperture. Ma anche inquesto caso i numerosi interventi, soprattutto ot-tocenteschi, possono aver cancellato la testimo-nianza di rivestimenti cromatici e eventualmentedi decorazioni simili a quelle del tiburio della Pas-sione, di cui si riferisce di seguito.

16. Su questo argomento ho a lungo discussocon Arnaldo Bruschi che mi ha suggerito la defini-zione di “ordine semplificato” e “ordine sintetico”per l’articolazione della torre.

17. Il tema è discusso, tra gli altri, in E. SAITA,Una città turrita? Milano e le sue torri nel Medioevo,in «Nuova Rivista Storica», anno LXXX, maggio-agosto 1996, fascicolo II, pp. 293-338. A questo in-teressante scritto si rimanda per i molti riferimentibibliografici e per il confronto con altre città.

18. A questo proposito si può ricordare l’affre-sco con Sant’Antonio abate e la veduta di Pavia, at-tribuito a Bernardino Lanzani (1522, Pavia, Chie-sa di San Teodoro), evidente testimonianza che iltema della torre, nel primo Cinquecento, era tut-t’altro che inconsueto. Nell’affresco appaionotrenta torri, di varie tipologie, in parte identificabi-li: le torri merlate del castello sullo sfondo, quellecampanarie delle chiese, quelle degli edifici civili.

19. D. ANDREWS, Aspetti urbanistici e culturamateriale, in Milano e la Lombardia in età comuna-le, secoli XI-XIII, Milano 1993, pp. 202-205. Perquanto riguarda Pavia, la Saita sostiene che l’insi-stenza, da parte della storiografia tradizionale, sulgrande numero di torri – per scopi difensivi, of-fensivi, simbolici – risponde più a uno stereotipoche a indagini oggettive. La studiosa riferisce inol-tre della torre gentilizia, ancora esistente, della di-mora della famiglia Botticella, caso assimilabile aquello della torre Gorani a Milano ma afferma che,nonostante la presenza di numerose torri in mol-te città medievali, «è necessario tenere conto del-la diversa durata e consistenza del fenomeno di cit-tà in città» (cfr. E. SAITA, Una città turrita?, cit., pp.337-338).

20. I cronisti medievali riportano cifre differen-ti, spesso riferendosi solo ad alcune tipologie di tor-re, solitamente i campanili delle chiese e le torri di-fensive lungo le mura. Più raramente venivano in-cluse torri private. Questo può spiegare le incer-tezze relative non soltanto al numero – che oscilla-va da 300 a 365 – ma anche alla destinazione delletorri, nonché alla natura stessa di questa tipologiaarchitettonica e alle sue possibili varianti. Cfr. E.

SAITA, Una città turrita?, cit., pp. 301, sgg.21. BONVESIN DA LA RIVA, De magnalibus Me-

diolani. Le meraviglie di Milano, 1288, a cura di P.Chiesa, Roma-Milano 2009. Carlo Torre scrive di«Milano la città delle Torri», riferendosi tuttavia al-le torri difensive disposte lungo le mura (C. TOR-RE, Il Ritratto di Milano, Milano, 1674, Libro I,Porta Romana, p. 3).

22. G. SOLDI RONDININI, Le fortificazioni urba-ne e medievali, in Storia illustrata di Milano, a curadi F. Della Peruta, Milano antica e medievale, vol.I, Milano 1992, pp. 301-320.

23. Cfr. E. SAITA, Una città turrita?, cit., pp. 305,sgg.

24. Anche Marco Rossi nota che «la parte piùantica del palazzo sembra essere il frammento ditorre in laterizio, di origine medievale, visibile dalvicolo di S. Maria Valle». Cfr. M. ROSSI, PalazzoStampa, cit., p. 342.

25. Cfr. S. LUSUARDI SIENA, Milano: la città neisuoi edifici. Alcuni problemi, in Milano e i Milane-si prima del Mille, Spoleto 1986, pp. 209-240.

26. L. PATETTA, L’Architettura del Quattrocentoa Milano, cit., pp. 249-251, 300-304.

27. Molte torri, già scorciate e danneggiate dal-la distruzione di Milano del 1162, furono definiti-vamente distrutte. E. SAITA, Una città turrita?, cit.,pp. 315-316, indica molti esempi.

28. La scarsa documentazione, secondo la Sai-ta, potrebbe anche derivare dal fatto che non eranecessario, negli atti notarili, riportare la specifica-zione relativa alle torri, di cui perciò si è perdutatraccia dopo l’abbattimento o la rovina dell’edifi-cio stesso. Ivi, p. 335.

29. AVFDM (Archivio Veneranda Fabbrica delDuomo di Milano), Ordinazioni Capitolari, 6, aa.1511-1518, f. 148v. La conoscenza delle opere ro-mane è fondamentale per una comprensione del-l’opera del Lombardo. Nel corso di frequenti scam-bi di opinioni con Arnaldo Bruschi, negli anni dipreparazione della tesi del dottorato, è più volteemersa l’ipotesi di più viaggi romani da parte del-l’artista negli anni successivi e comunque un sicu-ro contatto, diretto, verbale o attraverso lo scambiodi disegni e schizzi, con gli architetti attivi a Roma.

30. Il riferimento al palazzo del cardinal DelMonte è indicato da Giorgio Vasari, nella Vita diAntonio da Sangallo, come ricordava Arnaldo Bru-schi: «Il Vasari [...] cita il palazzo (poi distrutto) delcardinale Antonio Del Monte in piazza Navonache essendo ornato dallo stemma di Leone X, ol-tre che da quelli del proprietario e del comune diRoma, doveva essere stato costruito intorno al1520 o poco prima [...] In questo palazzo l’elemen-to più rilevante era una torre (studiata dal C. nel di-segno Uffizi 1898Ar, e rappresentata in vari dise-gni e vedute antiche della piazza) caratterizzata dadue piani con ordini architettonici su di un alto pia-no basamentale con angoli bugnati» (A. BRUSCHI,Cordini, Antonio, detto Antonio da Sangallo il Gio-vane, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 29,1983, ad vocem).

31. Il disegno è pubblicato, ad esempio, in A.BRUSCHI, Introduzione, cit., p. 27, come «copia daBaldassarre Peruzzi, alzato di villa o palazzo conportico. Doppia rampa e torri angolari cupolate,conservato presso la Biblioteca comunale di Siena,(BCSi, S. IV.7, f.42r)».

32. Per le opere di Bramantino, cfr. il recenteBramantino a Milano, a cura di G. Agosti, J. Stop-pa e M.Tanzi, catalogo della mostra, Milano 16maggio-25 settembre 2012, Milano, 2012, con bi-bliografia aggiornata.

33. Questo specifico aspetto merita una più am-pia riflessione, ed è oggetto di un approfondimen-to in corso da parte di chi scrive. Ringrazio moltoAnna Rosa Cerutti Fusco per avermi segnalato unatorre molto simile a quella del palazzo Stampa, e il-

lustrata nelle pagine dell’edizione francese del trat-tato dell’Alberti di I. MARTIN, L’Architecture et Artde Bien Bastir, du Seigneur Leon Baptiste Albert,Gentilhomme Florentin, divisée en dix livres, tra-duicts de Latin en Francois par Ian Martin, Paris1553.

34. S. LEYDI, Sub umbra imperialis aquilae, Fi-renze 1999, pp. 172-175.

35. Un’ampia, dettagliata discussione su questitemi è in S. LEYDI, Sub umbra imperialis aquilae, cit.In questo articolato studio Leydi affronta il temadella emblematica imperiale, analizzando in que-st’ottica anche la torre di palazzo Stampa e gli alle-stimenti degli apparati pubblici realizzati a Milanoper l’arrivo della duchessa Cristina di Danimarca,dell’imperatore Carlo V e del principe Filippo, trail 1534 e il 1548. La soluzione adottata in palazzoStampa, l’accostamento colonne binate-motto plusultra-sfera terrestre-aquila bicipite – può «essereconsiderata prettamente milanese. Certo, la neces-sità di accostare immagini così diverse tra loro siaper significato che per valore araldico (le une –l’aquila e il globo – prettamente imperiali e l’altra– l’impresa dell’ordine del Toson d’Oro personal-mente riferibile a Carlo) portò a un’infinita serie divariazioni, anche concettuali. A Milano, feudo di-rettamente dipendente dall’imperatore, sembra al-lora concretamente privilegiarsi la persona di Car-lo d’Asburgo (rappresentato attraverso le colonned’Ercole) più che l’astratta nozione di Impero uni-versale (l’aquila e il globo)» (ibidem, p. 174). Ilmotto in latino Plus Ultra in origine era in france-se, Plus Oltre. L’impresa araldica venne creata dalmedico milanese Luigi Marliani nel 1516. Leydi ri-ferisce anche che la medesima combinazione diaquila-globo-colonne d’Ercole si ritrova nel palaz-zo dell’imperatore a Granata, forse su disegno diGiulio Romano, come suggerito da Tafuri. Cfr. M.TAFURI, Ricerca del Rinascimento, Torino 1992, pp.255-304.

36. C. NUBILONIO, La Cronaca di Vigevano scrit-ta nel 1584, a cura di C. Negroni, Torino 1891. Latorre, non ancora completata nel 1541, lo era cer-tamente nel 1548. Massimiliano Stampa era statouno dei più illustri milanesi. Fino al 1535 castella-no di Milano, aveva consegnato il castello di PortaGiovia a Carlo V dopo la morte di Francesco IISforza e suo intento era rendere il palazzo il più so-lenne “monumento” all’imperatore. Su Massimi-liano Stampa cfr. R. SACCHI, Il progetto, cit., e la bi-bliografia ivi citata.

37. AsMo (Archivio di Stato di Modena), Can-celleria Ducale, Dispacci degli Oratori, Milano 31.Relazione del 20 dicembre 1548. Il documento ècitato in S. LEYDI, Sub umbra imperialis aquilae,cit., p. 174, n. 93. Importanti informazioni sullosvolgersi delle cerimonie di ingresso derivano daaltre descrizioni. Ad esempio, molto dettagliato èil racconto in M. GASPARE BUGATI, Historia Uni-versale, Venezia 1569, Libro Settimo. Per quantoriguarda nello specifico l’entrata del 1541, notissi-ma è poi la descrizione, arricchita da quattro xilo-grafie, fornita da G.A. ALBICANTE, Trattato dell’en-trar in Milano di Carlo V..., Milano MDXXXXI. Al-la progettazione di questi archi trionfali deve esse-re riferito anche un disegno custodito presso il Mu-seo del Louvre a Parigi, raffigurante un progetto diarco trionfale al Redefosso. Cfr. A. SCOTTI, Per unprofilo, cit., e S. LEYDI, Sub umbra imperialis aqui-lae, cit.

38. C. VILLANI, Eidipsometria di Milano, 1876-1883, conservata presso l’Ufficio Tecnico del Co-mune di Milano. Cfr. Cartografia per la storia. Il ri-lievo di Milano del 1876-1883, a cura di A. Pracchicon D. Zocchi, Politecnico di Milano, Dipartimen-to di Progettazione dell’Architettura, Milano 2002.

39. Parte della vicenda cinquecentesca del pa-lazzo potrebbe essere legata anche ai dettami del-

le Constitutiones Domini Mediolanensis, il corpusdi leggi redatte nel 1541 da giuristi lombardi sullabase di precedenti ordinamenti dell’epoca sforze-sca, e che prevedevano, alla specifica voce De ae-dificiis privatis, privilegi a chi volesse erigere edifi-ci monumentali. Inoltre, se la torre, come testimo-niato nelle vedute della città cui si è fatto prima ri-ferimento, voleva essere non solo un omaggio im-periale ma anche un segno visibile da più punti divista, un riferimento visivo, un richiamo da uno deiluoghi più antichi della città, sembra che sia la suadimensione più privata e personale a prevalere.Cfr. A.VISCONTI, La pubblica amministrazione nel-lo stato di Milano durante il predominio straniero,1541-1796, Roma 1913 e F. CHABOD, Lo stato e lavita religiosa a Milano nell’epoca di Carlo V, Tori-no 1971.

40. Come già ricordato (v. nota 16.) ArnaldoBruschi, nel discutere questa tendenza dell’archi-tettura milanese del primo Cinquecento, aveva de-finito l’ordine adottato dal Lombardo un “ordinesemplificato”, sottolineandone la forte affinità conalcuni esempi romani, soprattutto evidenti nellafacciata di palazzo Stati. Cfr. A. BRUSCHI, L’archi-tettura dei palazzi romani della prima metà del Cin-quecento, in Palazzo Mattei di Paganica e l’ Enciclo-pedia Italiana, Roma 1996, pp. 1-109: Cfr. anche A.SCOTTI, Per un profilo dell’architettura milanese,cit., pp. 99-100 e il punto di vista espresso in A.MARELLI, L’ordine a fasce: origini e fortuna in Lom-bardia, in «Arte Lombarda», 104, 1993, pp. 16-23.

41. C. TORRE, Il ritratto di Milano, cit., p. 293.42. Su Santa Maria della Passione cfr. C. BARO-

NI, Santa Maria della Passione, Milano 1938;AA.VV., Santa Maria della Passione e il Conservato-rio Giuseppe Verdi a Milano, Milano 1981, in par-ticolare, i saggi G.B. SANNAZZARO, Gli inizi: la tri-buna ‘stellare’ e la fondazione del monastero, pp. 26-45; A. SCOTTI, Da ‘rotonda’ a basilica longitudina-le: chiesa e convento dal Cinquecento al Settecento,pp. 46-79; C. COSTAMAGNA, L’iconografia della Pas-sione, pp. 162-169. Cfr. anche P. MODESTI, SantaMaria della Passione a Milano, in Bramante milane-se e l’architettura del Rinascimento lombardo, a cu-ra di C.L. Frommel, L. Giordano, R. Schofield, Ve-nezia 2002, pp. 299-313; B. ADORNI, L’architetturain area lombarda, cit., pp. 272-305.

43. Il Battagio operò anche a Lodi, presso laChiesa dell’Incoronata (1489) e a Crema, presso laChiesa di Santa Maria della Croce (1490).

44. L’attribuzione al Lombardo per quanto ri-guarda il tiburio, inizialmente in H. HOFFMANN,Die Entwicklung der Architektur Mailands von1550-1650, in «Wiener Jaharbuch fur Kunstge-schichte», IX, Wien 1934, pp. 63-100, è stata poiripresa dalla maggior parte degli studi successivi.

45. B. ADORNI, L’Architettura in area lombardaed emiliana, cit., pp. 284-285.

46. Il restauro conservativo è iniziato nel genna-io 2002 e si è concluso nel settembre 2005. Gli ar-chitetti Annamaria Navone e Sonia Sganzerla han-no curato il progetto e la direzione lavori; i lavorisono stati eseguiti per la parte di restauro dall’im-presa Astarte – Conservazione e Restauro, mentreper la parte edile dall’impresa Ziliani S.p.a. L’inter-vento è stato seguito dall’architetto Libero Corrie-ri della Soprintendenza per i Beni Architettonici eper il Paesaggio di Milano.

47. Ringrazio Annamaria Navone e Sonia Sgan-zerla per aver messo a mia disposizione i materialirelativi alle lunghe fasi del restauro, che hanno co-stituito una base fondamentale per avviare ulterio-ri approfondimenti, Gli esiti di questi studi sonostati presentati al convegno Architetture e manufat-ti del cotto, Ferrara, palazzo dei Diamanti, 14-15

novembre 2005. In quell’occasione è stata presen-tata da chi scrive e da Annamaria Navone e SoniaSganzerla la relazione Guardando il cotto, in cui,unitamente al tiburio della Passione, sono stati ana-lizzati altri esempi di rivestimento in cotto nell’ar-chitettura lombarda del Rinascimento.

48. L’intervento di restauro ha interessato tuttele parti cinquecentesche dell’edificio (lato est, tran-setto nord, abside e tiburio). È stato preceduto daanalisi e prove per determinare le più corrette scel-te progettuali; tutte le procedure adottate sono tra-dizionali e reversibili. L’intervento è sostanzial-mente consistito nella rimozione delle malte ce-mentizie, nella spolveratura e pulitura, nella inte-grazione cromatica, nella reintegrazione, stuccatu-ra e consolidamento di ampi tratti di superficie. Imateriali in facciata sono vari tipi di intonaco (pa-ramento cappelle lato sud; campanile; transettosud e particolari); materiale fittile (cornici, menso-le, paramenti) e materiale litoide (cornice di ceppolombardo, capitelli del tiburio in pietra d’Angera,granito).

49. Solo i capitelli delle semicolonne dell’ordi-ne gigante ionico sono in arenaria.

50. Le grandi figure degli sfondati centrali rap-presentano i Quattro Dottori della Chiesa d’Occi-dente e i Quattro Dottori della Chiesa d’Oriente, neiriquadri più piccoli e nelle nicchie sono rappresen-tati Sibille, Profeti e probabilmente Angeli che reg-gono gli otto strumenti della Passione di Cristo; pur-troppo la mutilazione delle figure dovuta al dilava-mento delle superfici, non permette un riconosci-mento puntuale. La ricostruzione di una iconogra-fia plausibile delle raffigurazioni esterne, può esse-re però guidata sia dai cicli figurativi tipici del te-ma della Passione redentrice di Cristo (così comecodificato nel periodo rinascimentale), sia dal fat-to che i documenti d’archivio sottolineano la coe-renza tra la decorazione esterna e quella interna al-la chiesa. C. COSTAMAGNA, L’iconografia, cit., 1981,pp. 162-169.

51. Nell’atto notarile redatto nel giugno del1550 per il completamento del tiburio, si appren-de che i particolari decorativi (oltre alle murature)dovevano essere in cotto intonacato e il tiburio do-veva risultare affrescato. Nel documento vengonocitati come maestri Angelo da Capriano, figlio delfu Pietro, e Francesco da Capriano, figlio del fuStefano. Cfr. F. REPISHTI, I lavori per la costruzionedel Tiburio e della cupola di Santa Maria della Pas-sione di Milano (1550): note su Martino dell’Acquaingegnere della fabbrica, in «Arte Lombarda», 112,anno 1995/1, pp. 99-101.

52. Un esempio di queste ricerche e sperimen-tazioni sui materiali può essere offerto dalla pro-posta di Alvise Cornaro per un nuovo teatro a Ve-nezia (1560): «non di pietra da scalpello ma di cot-ta ora che non costerà la metà e sarà durabile comedi pietra da scalpello perchè la cotta ora che si hatrovato il stucco se istuccherà e come si vede talestucco si converte in sasso perchè è fatto di sasso»(citato in A. FORCELLINO, Leon Battista Alberti e lanascita di una nuova cultura materiale, in La mate-ria e il colore nell’architettura romana tra Cinque-cento e Neocinquecento, in «Ricerche di Storia del-l’Arte», Roma, 1990, nn. 41-42, p. 21. A confermadell’utilizzo di questo tipo di materiali possiamo ri-ferirci alle analisi (Fotomicrografia al MOLP in lu-ce riflessa, sezione lucida trasversale N//- 80x) con-dotte su un campione prelevato da una cornice incotto del braccio meridionale del transetto, comeriferito nella relazione del restauro degli architettiNavone e Sganzerla.

53. C. TORRE, Il ritratto di Milano, cit., pp. 293-299.

54. Per il restauro cfr. note 46. e 47.55 «Il Medioevo aveva affidato all’intonaco una

semplice funzione protettiva delle murature. ...Gliintonaci medievali sono colorati secondo un gustoepisodico e singolare legato, per lo più, alle consue-tudini visive e alle caratteristiche dei materiali piùfacilmente reperibili sul luogo per il loro confezio-namento. Spesso l’intonaco medievale diventa luo-go separato di una decoratività che non ha nessu-na relazione con la fabbrica stessa, sia che alluda amateriali di rivestimento che ad astratti motivi geo-metrici. Anche se nel corso del Medioevo si era af-fermato un gusto per l’imitazione di materiali no-bili, come conci in pietra e cortine di mattoni mol-to ben apparecchiate, realizzati a fresco o a graffi-to, queste decorazioni non avevano un rapportomolto stretto e pertinente con la forma della fab-brica». A. FORCELLINO, Leon Battista Alberti, cit.,p. 11. Esempio, a Milano, del tipo di finitura dellesuperfici in cotto cui si accenna, è la Chiesa di SanCristoforo al Naviglio. Le finiture più antiche siaesterne che interne (secondo le fonti storiche data-bili tra il 1394 ed il 1404) sono costituite da un sot-tile intonaco di colore rosso con dipinte in biancofinte stilature di mattoni più grandi di quelli che inrealtà costituiscono la muratura. Finitura simile siritrova anche in alcuni lacerti superstiti nel chio-stro della Chiesa di Santa Maria del Carmine (da-tabili attorno alla metà del XV secolo). A decorogeometrico (croci concentriche bianche, blu e ros-se) sono invece i lacerti di intonaco che restano apalazzo Arcivescovile, sul fianco prospiciente viadelle Ore (precedenti al 1493).

56. P.N. PAGLIARA, Eredità medievali in pratichecostruttive e concezioni strutturali del Rinascimen-to, in Presenze medievali nell’architettura di età mo-derna e contemporanea, a cura di G. Simoncini, Mi-lano 1997, pp. 32-48. Se da un lato non sempre ve-niva riconosciuta al mattone la stessa dignità dellapietra, dall’altro «nel corso del XV e XVI secolo ilcrescente apprezzamento per il laterizio come ma-teriale da costruzione determinò significativi incre-menti della produzione che influirono sull’attivitàedilizia dei cantieri italiani e su quella di molti pae-si europei» (E. MANTELLI, Note su alcune tecnichecostruttive impiegate per l’esecuzione di accurati pa-ramenti laterizi nel cantiere romano cinquecentesco,in «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architet-tura», n.s., 32, Roma 1996, pp. 77-96, con ampiabibliografia).

Il presente scritto costituisce una tappa di unlungo cammino intrapreso in occasione della pre-parazione della tesi di dottorato L’attività architet-tonica di Cristoforo Lombardo detto il Lombardino(anni ‘90 del ‘400-1555), di cui è stato tutore Arnal-do Bruschi (VI ciclo). Il tema prescelto riguardavai rapporti tra Roma e Milano nel primo Cinquecen-to. Da subito era stata individuata in CristoforoLombardo la figura-chiave di questa complessastagione artistica e lo studio delle sue opere è di-ventato il centro delle ricerche, poi proseguite do-po il Dottorato e tuttora in corso. Ringrazio mol-tissimo Paola Zampa e Francesco Paolo Fiore peravermi offerto la possibilità di presentare questocontributo nell’importante iniziativa dedicata adArnaldo Bruschi, figura indimenticabile e impor-tantissima per tutta la comunità scientifica interna-zionale. Colgo qui inoltre l’occasione per ringra-ziare gli amici e i colleghi che nel corso di questi an-ni hanno spesso discusso dei temi della ricerca, of-frendo fondamentali suggerimenti e occasioni diriflessione, in particolare Aurora Scotti, GiovanniCislaghi, Pier Nicola Pagliara, Luciano Patetta eAttilio Pracchi.

104 Maria Cristina Loi . MILANO DOPO BRAMANTE: LA TORRE DI PALAZZO STAMPA E IL TIBURIO DI SANTA MARIA DELLA PASSIONE

MILANO DOPOBRAMANTE:LA TORRE DI PALAZZO STAMPAE IL TIBURIO DI SANTAMARIA

DELLA PASSIONEIl processo di cambiamento che caratte-

rizzò gli anni milanesi di Bramante non siinterruppe alle soglie del nuovo secolo. Apartire dal 1499 Milano, in una stagione ca-denzata da importanti avvenimenti artisti-ci, diventò un crocevia di idee, il teatro diun profondo processo di sperimentazionesviluppatosi sullo sfondo del dibattito trainnovazione e tradizione e nel crescente in-teresse verso le esperienze coeve. L’analisidella torre di palazzo Stampa di Soncino edel tiburio di Santa Maria della Passionecontribuisce a chiarire alcuni aspetti delprocesso di transizione che attraversa la vi-ta artistica milanese nella prima metà delCinquecento e testimonia la vitalità dell’in-fluenza di Bramante anche a decenni dallasua partenza. Un esempio di ‘scultura cele-brativa’ la torre, dove l’ordine architettoni-co, semplificato, lascia il posto a una serra-ta sequenza di elementi decorativi e simbo-lici. Un edificio di grande vigore plastico esolenne maestosità il tiburio, dove il valoredegli elementi architettonici viene esaltatoe, nei finti marmi colorati, è evocata l’im-magine di un edificio ‘all’antica’.

MILAN AFTER BRAMANTE:THE PALAZZO STAMPA TOWERAND THEDOMECLADDING IN THE CHURCHOF SANTAMARIA DELLA PASSIONEThe changes that characterized the period

when Bramante worked in Milan continuedafter the turn of the century. The year 1499marked a season of important artistic eventsin Milan which became the hub of ideas, thetheatre of a process of experimentationagainst the backdrop of a debate about tradi-tion and innovation and growing interest intrying to update contemporary experiences.The study of the tower in Palazzo Stampa diSoncino and of the dome cladding of SantaMaria della Passione helps to clarify severalaspects of the transition which took place inthe art world in Milan in the first half of thesixteenth century, and also testifies to theenormous influence Bramante had even de-cades after he had left the city. The simplifiedarchitectural order of the tower, an exampleof “celebratory sculpture”, gives way to a pro-fuse sequence of decorative and symbolic ele-ments. The dome, a highly plastic and solemn -ly majestic building, was embellished witharchitectural elements to enhance its impor-tance. It evokes the image of an ancient buil-ding decorated with coloured marbles.

Maria Cristina Loi[[email protected]]

QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014