Stampa e potere a Forli nell 1

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Stampa e potere a Forlì nell’età di Caterina Sforza di Paolo Temeroli Legenda IGI = Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, a cura del Centro Nazionale di Informazione bibliografica, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato-Libreria dello Stato, 1943-1972. BMC = Catalogue of books printed in the XV th century now in the British Museum, London, British Museum, 1903-1971. Edit 16 = Censimento nazionale delle edizioni del XVI secolo, Roma, Istituto Centrale per il Catalogo unico, catalogo on line (http://edit16.iccu.sbn.it ). La produzione a stampa fa il suo esordio a Forlì nel 1495, quando la signoria è retta da Caterina Sforza per conto del figlio primogenito Ottaviano Riario. Il 16 aprile viene infatti pubblicata un’opera intitolata De elegantia linguae latinae (o, più per esteso, – come si legge nell’occhietto – De elegantia linguae latinae servanda in epistolis et orationibus componendis ) dell’umanista ravennate Nicolò Ferretti. Si tratta di un in quarto, di sole 30 carte, in caratteri romani. Gli stampatori sono – come appare nella sottoscrizione finale – il forlivese Paolo Guarini e il bolognese Giovanni Giacomo de’ Benedetti (Fig. 1). Siamo ancora in epoca incunabolistica; in ordine cronologico Forlì è la settantreesima città italiana in cui viene introdotta la stampa, preceduta di soli pochi giorni da Cesena, dove il 23 marzo era uscito, ad opera degli stessi stampatori, un opuscolo in lingua volgare, il Pronosticon dialogale di Antonio Manilio da Bertinoro. 1 Più lontana nel tempo, ma – come episodio isolato – va registrata la stampa nel 1476 a Faenza, per mano di due tipografi tedeschi, di un altro manuale scolastico, il Doctrinale di Alexandre de Villedieu. 2 Se, dal punto di vista tipografico e dei costi di produzione, l’edizione del De elegantia non appare particolarmente impegnativa, il libro non doveva mancare di ambizioni culturali, come testimoniano il titolo stesso, mutuato da Lorenzo Valla, ed il pronto invio di una copia in omaggio da parte dell’autore, tramite 1 Sulla prima stampa cesenate, disponibile anche in edizione anastatica, con trascrizione e note a cura di Lorenzo Baldacchini (Cesena, “Il Ponte Vecchio”, 1995), cfr. L. BALDACCHINI, Le origini della stampa a Cesena in Il libro in Romagna: produzione, commercio e consumo dalla fine del secolo XV all’età contemporanea , a cura di L. Baldacchini – A. Manfron, Firenze, Olschki, 1998, I, pp. 47-60. 2 Cfr. A. R. GENTILINI, Un discussa edizione a stampa faentina: il Doctrinale di Alexander de Villadei, «Schede umanistiche», nuova serie 1, 1992, pp. 135-148.

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Stampa e potere a Forlì nell’età di Caterina Sforza di Paolo Temeroli

Legenda IGI = Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d’Italia, a cura delCentro Nazionale di Informazione bibliografica, Roma, Istituto Poligrafico delloStato-Libreria dello Stato, 1943-1972. BMC = Catalogue of books printed in the XVth century now in the British Museum,London, British Museum, 1903-1971. Edit 16 = Censimento nazionale delle edizioni del XVI secolo, Roma, IstitutoCentrale per il Catalogo unico, catalogo on line (http://edit16.iccu.sbn.it).

La produzione a stampa fa il suo esordio a Forlì nel 1495, quandola signoria è retta da Caterina Sforza per conto del figlioprimogenito Ottaviano Riario. Il 16 aprile viene infattipubblicata un’opera intitolata De elegantia linguae latinae (o, più peresteso, – come si legge nell’occhietto – De elegantia linguae latinaeservanda in epistolis et orationibus componendis) dell’umanista ravennateNicolò Ferretti. Si tratta di un in quarto, di sole 30 carte, incaratteri romani. Gli stampatori sono – come appare nella sottoscrizione finale – ilforlivese Paolo Guarini e il bolognese Giovanni Giacomo de’Benedetti (Fig. 1). Siamo ancora in epoca incunabolistica; in ordine cronologico Forlìè la settantreesima città italiana in cui viene introdotta lastampa, preceduta di soli pochi giorni da Cesena, dove il 23 marzoera uscito, ad opera degli stessi stampatori, un opuscolo inlingua volgare, il Pronosticon dialogale di Antonio Manilio daBertinoro.1 Più lontana nel tempo, ma – come episodio isolato – varegistrata la stampa nel 1476 a Faenza, per mano di due tipografitedeschi, di un altro manuale scolastico, il Doctrinale di Alexandrede Villedieu.2 Se, dal punto di vista tipografico e dei costi di produzione,l’edizione del De elegantia non appare particolarmente impegnativa,il libro non doveva mancare di ambizioni culturali, cometestimoniano il titolo stesso, mutuato da Lorenzo Valla, ed ilpronto invio di una copia in omaggio da parte dell’autore, tramite

1 Sulla prima stampa cesenate, disponibile anche in edizione anastatica, contrascrizione e note a cura di Lorenzo Baldacchini (Cesena, “Il Ponte Vecchio”,1995), cfr. L. BALDACCHINI, Le origini della stampa a Cesena in Il libro in Romagna: produzione,commercio e consumo dalla fine del secolo XV all’età contemporanea, a cura di L. Baldacchini –A. Manfron, Firenze, Olschki, 1998, I, pp. 47-60. 2 Cfr. A. R. GENTILINI, Un discussa edizione a stampa faentina: il Doctrinale di Alexander deVilladei, «Schede umanistiche», nuova serie 1, 1992, pp. 135-148.

allievi, al collega cesenate Francesco Uberti.3 La sua destinazionescolastica è tuttavia evidente; lo stesso Ferretti la ribadiscenella dedica ad Ottaviano Riario e l’edizione dell’opera,probabilmente in gestazione fin dall’estate precedente, va messain relazione con l’assunzione da parte del Ferretti, avvenutacirca un anno prima, dell’incarico di maestro ludorum litterarum nellascuola pubblica forlivese. Nel marzo del 1494 il Consiglio degli Anziani della Comunità diForlì si era infatti improvvisamente trovato di fronte allanecessità di sostituire nella cattedra il precedente maestro,Antonio Garsio da Parma, passato alle dirette dipendenze diCaterina Sforza quale precettore dei figli.4 Fallito il tentativodi riportare a Forlì il noto Antonio Urceo detto Codro, ormaistabilitosi a Bologna, la scelta tra quattro candidati era cadutasull’umanista ravennate, che già aveva ricoperto analoghiincarichi in altre città della Romagna ed il contratto tra lui edil Comune di Forlì, da cui dipendeva il funzionamento della scuolapubblica, era stato stipulato con decorrenza dal 20 aprile del1494.5 Si può quindi ipotizzare che la pubblicazione del De elegantia abbiacoinciso con l’inizio del secondo anno di insegnamento delFerretti e che la sua funzione principale fosse quella di libro ditesto, senza con ciò escluderne il possibile acquisto ed uso daparte di tutti coloro che volevano perfezionarsi nella lingualatina. Per quanto tardivi, a fine ‘400 Umanesimo e Rinascimentoerano ormai diffusi anche a Forlì e la padronanza del latino,innanzitutto per scrivere e comporre in bello stile lettere edorazioni, su cui vertono i primi due libri del De elegantia, unaconnotazione indispensabile dello status degli appartenenti alleclassi più elevate. Alcune lettere, conservate nell’Archivio

3 Sull’episodio, attestato dai versi di ringraziamento di Francesco Uberti, cfr.A. PASINI, Forlì nei versi degli umanisti, «La Piê», n. 7-8, luglio-agosto 1956, pp. 162-163. 4 Cfr. A. CALANDRINI – G. M. FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi. Appunti e documentazione per unastoria della Chiesa di Forlì, II, Il Secolo XV, Forlì, Centro studi e ricerche sulla anticaprovincia ecclesiastica ravennate, 1993, p. 405 e note 202, 203. 5 Tutta la documentazione in merito all’incarico al Ferretti è contenuta nelcosiddetto Libro Madonna, ovvero l’archivio del Comune di Forlì nel periododella reggenza di Caterina Sforza, oggi custodito presso l’Archivio di Stato.Cfr. in ACFO, Consigli generali e segreti, v. I: la delibera degli Anziani del 4 marzo,c. 53v; la lettera degli Anziani al Ferretti del 23 marzo, c. 54r; la sualettera di accettazione del 26 marzo, c. 58r; la nomina ufficiale ed ilcontratto del 20 aprile 1494, c. 64v; A. PASINI, Cronache scolastiche forlivesi, Forlì,Tip. Valbonesi, 1925, p. IX; CALANDRINI –FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., p. 406nota 204.

Comunale, dimostrano che la stessa scuola pubblica, almeno perquanto riguarda l’insegnamento della grammatica e della retoricalatina, che ne costituiva il secondo livello, era destinata inprimo luogo ai rampolli delle famiglie cittadine più importanti,pochissime delle quali potevano permettersi l’assunzione diprecettori privati.6 Il funzionamento della scuola, con relative spese comprensivedello stipendio del maestro e della fornitura dei locali, era acarico della Comunità.7 Non vi erano quindi oneri e ingerenze dirette della signoria. Illibro è tuttavia dedicato ad Ottaviano Riario, allora sedicenne,nella sua veste di titolare della signoria di Forlì ed Imola,come emerge sin dall’inizio della seconda carta, sul recto dellaquale è annunciato il contenuto dell’opera: «Ad IllustrissimumPrincipem et excellentissimum Ducem Octavianum Illustrissimae etexcellentissimae D. Catherinae cunctarum Sphorciadum prudentissimafilium Liviensium et Corneliorum iustissimum dominum NicolaiFeretti Ravennatis commentariola isagogica […]», e, in maniera piùformale ed estesa, sul verso della medesima, ove l’autore spiegale motivazioni che l’hanno indotto a scrivere l’operaesplicitamente destinata alla gioventù forlivese.8

In questa pagina è anche delineato un breve ritratto dellafamiglia regnante, di cui sono ricordati tutti gli altricomponenti, dalla madre Caterina Sforza, «illustrissima genitricetua. D. Catherina matronarum prudentissima favente», ai fratellinati dal matrimonio tra Caterina Sforza e Girolamo Riario: Cesare,Livio, Galeazzo e Francesco Sforza, tra cui spicca per amore dellearti – «omnium bonarum artium studiosissima» – l’unica femmina,Bianca, allora diciassettenne. Interessante è notare come, inentrambe le pagine, di Caterina Sforza si metta in lucesoprattutto la prudenza e, tenendo conto delle date, vieneimmediatamente da pensare alla grande prova di sagacia e capacitàpolitica grazie a cui Caterina, in occasione della discesa inItalia di Carlo VIII, era riuscita a mantenere a lungo laneutralità evitando il coinvolgimento diretto nella guerra dellepopolazioni e dei territori di Forlì e Imola.9

6 Si veda la lettera di Ludovico Ercolani in ACFO, Consigli generali e segreti, v. I, c.66v. 7 La più ampia trattazione sulla scuola pubblica forlivese dell’epoca si trovain PASINI, Cronache scolastiche forlivesi, cit. 8 Si tratta della carta con segnatura a2; la prima carta contiene sul rectosoltanto un occhietto con il titolo dell’opera per esteso. 9 Per le notizie storiche di carattere generale si rinvia alle fonti citate inbibliografia, omettendo le singole citazioni quando non strettamente necessarie.

Da ultimo, ma accanto ai membri della famiglia regnante, figura«Dominoque Iacobo Pheo, tutore tuo ac gubernatore dignissimo».10

Pur in assenza di documenti, sappiamo da cronisti e biografi chel’incarico di governatore era stato conferito da Caterina aGiacomo Feo, da tempo suo amante e forse marito segreto,probabilmente nell’anno precedente in vista della discesa inItalia di Carlo VIII,11 e ne aveva sancito anche ufficialmentel’ascesa al potere in una posizione dominante quasi pari a quelladella signora di Forlì. La testimonianza del Ferretti, resa nota amezzo stampa, conferma la notizia. Maggiori interrogativi suscitainvece l’altra importante informazione che la dedica ci fornisce,e cioè l’attribuzione al Feo della qualifica di tutore. Se avessevalenza giuridica, essa – non attestata da altre fonti –sembrerebbe infatti confliggere con il potere stesso di Caterina,che reggeva la signoria per conto del figlio primogenitominorenne.12 Al pari dell’altra, fornitaci nella dedica, nonabbiamo tuttavia motivo di dubitare della sua veridicità e giovapiuttosto rilevare come l’incarico – formale o meno che fosse –non dovesse risultare troppo gradito ad Ottaviano, che, se nonaveva ancora l’età per esercitare direttamente il potere, non eraperò così piccolo da disinteressarsene e accettare docilmenteordini da un patrigno con cui non mancavano occasioni dicontrasto.13

Fatto sta che nell’agosto dello stesso anno, ad appena quattromesi dalla pubblicazione del De elegantia, l’ascesa al potere – ed ilconcomitante processo di nobilitazione di Giacomo Feo, culminatocon il titolo di barone conferitogli da Carlo VIII sul finire del149414 e, sul piano culturale, con l’impresa della cappella funebre

10 N. FERRETTI, De elegantia linguae latinae, Forlì, Paolo Guarini e Giovanni Jacopo de’Benedetti, 16 aprile 1495 (d’ora innanzi De elegantia 1), c. a2v. 11 A datarlo nel settembre del 1494 è P. D. PASOLINI, Caterina Sforza, Roma,Loescher, 1893, I, p. 340. 12 Per la nomina ufficiale di Caterina Sforza a tutrice dei figli minorenni avutida Girolamo Riario si veda la sentenza del Podestà di Forlì del 19 luglio 1488in A. BURRIEL, Vita di Caterina Sforza, Bologna, Stamperia di S. Tommaso d’Aquino,1795, III, doc. LVII; e, Ivi, di seguito, il breve di Innocenzo VIII, datato 9Kl. Augusti (24 luglio) 1488, con cui si confermava la signoria di Forlì edImola in capo ad Ottaviano e agli altri figli di Girolamo Riario, con CaterinaSforza reggente in qualità di tutrice fino alla loro maggiore età. 13 Cfr. PASOLINI, Caterina Sforza, cit., I, pp. 359-360, ove si riferisce di unoschiaffo dato dal Feo ad Ottaviano.14 La notizia della nomina a barone di Francia in data 29 novembre 1494 è già inA. BERNARDI, Cronache forlivesi dal 1476 al 1517, a cura di G. Mazzatinti, Bologna, RegiaDeputazione di Storia Patria, 1895-1897, I, parte II, p. 101.

affidata ai più valenti artisti forlivesi15 – si interruppebruscamente in seguito all’assassinio dello scomodo tutore permezzo di una congiura ordita da alcuni uomini e famiglieforlivesi, forse con la complicità dello stesso Ottaviano. Ma, per tornare alla dedica, è l’autore a rivelarci i il motivoper cui l’ha destinata al titolare della signoria. Rivolgendosi adOttaviano egli lo chiama infatti «domino meo et adiutori» e piùavanti lo ringrazia per avergli fatto ottenere il titolo dimaestro nella scuola pubblica con relativo, più che dignitosostipendio (la retribuzione annua era infatti di 250 lirebolognesi): «atque uti in urbem… publico stipendio eoque condignome ascribi dignatus es».16

La competenza per la scuola pubblica spettava al Comune e airelativi organi di governo, ma evidentemente essa venivaesercitata con il beneplacito della signoria ed è quindi perringraziarlo della nomina, e non solo per un più generico eabituale atto di cortesia, che il Ferretti dedica la sua primaopera a stampa a chi ne era, almeno formalmente, il titolare,senza peraltro dimenticarsi del resto della famiglia, con in testala madre Caterina e, da ultimo, colui che – pur senza farne,almeno esplicitamente, parte – era ormai il vero esercente delpotere signorile. Alcune altre annotazioni si possono trarre dai versi diaccompagnamento dell’opera, imputabili allo stesso Ferretti, chefigurano sul recto della seconda carta. Interessanti comebiglietto di presentazione dell’autore, che si avvale del disticoelegiaco e ricalca nello stile modelli classici,17 essi delineanoun piccolo affresco del clima culturale della corte. Innanzituttoil libricino sta per entrare «in arcem», ovvero la rocca, concollegate cittadella e residenza del “Paradiso”, dove a Forlì,dopo l’assassinio di Girolamo Riario, la corte viveva ormaistabilmente. È al suo interno che fervono le attività culturali,nelle quali presumibilmente, oltre ad Ottaviano, ricordato come«caesar Aemilius», sono impegnati gli altri membri della famiglia.«Hic licet assidue numerosa volumina caesar / Aemilius spectetphilosophosque graves / Eloquium et varias divinae palladis artes./ Et fhoebi altisona carmina digna lyra».18 Nell’insieme, pur se la15 Cfr. quanto afferma S. TUMIDEI, Melozzo da Forlì: fortuna, vicende, incontri di un artistaprospettico, nel catalogo Melozzo da Forlì: la sua città e il suo tempo, a cura di MarinaFoschi e Luciana Prati, Milano, Leonardo Arte, 1995, p. 68. 16 FERRETTI, De elegantia 1, c. a2v. 17 Per la collaborazione e i preziosi suggerimenti nella lettura dei versi desidero ringraziare l’amico Augusto De Molo. 18 Ivi, c. a2r.

descrizione suona un po’ generica e non viene precisato di chelibri si tratti, il quadro è ascrivibile alla vita di una tipicacorte rinascimentale. Va tuttavia segnalato che in alcuniesemplari, al posto dei «numerosa volumina caesar / Aemiliusspectet philosophosque graves», si trova la variante: «voluminalegum / spectet: difficiles pontificumque choros», con l’omissionedel soggetto e la presenza di libri di legge e dei coripontificali al posto dei non meglio specificati volumina e dei librio discorsi filosofici.19

Accertati i legami con la corte della prima edizione forlivese acaratteri mobili, occorre porsi l’interrogativo se essi sianosufficienti per attribuire a Caterina Sforza il merito di averintrodotto a Forlì la nuova arte. Si può innanzitutto osservare che, nonostante sia proprio lanarrazione degli avvenimenti collegati al potere l’oggettoprincipale delle loro storie, nessuna notizia della pubblicazionedel De elegantia è rinvenibile nelle pagine dei cronisticontemporanei: né in quelle di Leone Corbelli, la cui narrazionearriva fino al 1498, e neppure nella monumentale e minuziosacronaca di Andrea Bernardi, detto – a causa del mestiere dibarbiere esercitato – il Novacula. In altre occasioni questi si rivelerà invece del tuttoconsapevole dei vantaggi offerti dalla stampa. Il 21 dicembre del 1500 il duca Valentino, da circa un annosignore di Forlì, concede infatti all’unico cronista forliveserimasto in attività la patente di storico, con esenzione dallegabelle, e costui decide di farne pubblicare subito 500 copie dadistribuire anche al di là dei confini locali. La stampa avviene, su sua richiesta, «per mano de uno nostrePaule Guarine e de Zoane Jacome de li Fontaneti da Regio».20

Ma, oltre a quest’episodio, assai significativo tanto per lastoria della stampa forlivese che per più generali riflessioni suirapporti tra storiografia e potere, l’attenzione del Bernardi allepotenzialità offerte dalle nuove tecniche di trasmissioneculturale, è attestata anche successivamente dai ripetutitentativi esplicati per riuscire a far stampare le sue cronache.Di uno vi è traccia nel testamento del luglio 1506. In esso ilNovacula dispone che le sue cronache manoscritte siano incatenatein perpetuo nella libreria del convento bolognese di San Domenico,

19 Cfr, GesamtKatalog der Wiegendrucke, VIII, Stuttgart-Berlin, Hiersemann-AkademieVerlag, 1978, n. 9872, colonne 322-323. 20 BERNARDI, Cronache, cit,, I, parte II, pp. 326-328. La notizia è ripresa daBURRIEL, Vita di Caterina Sforza, cit., III, docc. LXXXVI-LXXXVIII.

concedendo però al Comune di Forlì il diritto di stamparle entroquattro anni.21 Solo pochi mesi dopo, Bernardi, ancora in vita,decide poi di provvedere in proprio alla stampa. L’occasione gli èofferta dall’interesse, vero o presunto, che il nuovo Pontefice,Giulio II, con Forlì e la Romagna ormai entrate sottol’amministrazione diretta della Chiesa, nutrirebbe per la suaopera. Dopo un primo colloquio con il Papa nell’ottobre del 1506,22

il Novacula decide infatti di metter su a Forlì una nuovastamperia e per tal motivo fa venire in città un nuovo stampatore,che mette subito all’opera, tant’è che nel febbraio del 1507 è giàpronta la prima carta, con tanto d’illustrazione xilografica, dafar vedere a Giulio II in occasione di un nuovo incontro cheavrebbe dovuto svolgersi il 27. Di questa pagina, oggi purtroppointrovabile, il Bernardi ci fornisce la descrizione: «dove lui iera retracto de naturale in cadrega, et io denante a lui comel’abito della milicia della mia coronatione [quella di storicoufficiale riconosciutagli anche dalla città di Forlì nel 1504 e1505], come una mia pistola galante suota li nostri pedi, chetestifica lui eser patrone de talli libro. La quale dicea inquesto modo e forma: – Suole, Sanctissimo padre, naturalmentociaschaduno doppo el suo fine appetire comendabile memoria de suoavita…; et io più volte fra me medesimo pensando… non ho trovatocosa più coriosa et delectevole del scrivere delli tenpi».23 Conun’opera edita sotto la protezione di Giulio II il Bernardiavrebbe davvero potuto sperare di essere famoso in vita ericordato post mortem; ma l’incontro non ebbe luogo e la Cronacadel Bernardi non verrà stampata che nel 1895-97, a cura diGiuseppe Mazzatinti. Nella duplice veste di autore-editore, il Novacula si dimostraquindi pienamente consapevole dell’importanza della stampa comemezzo di diffusione dell’immagine, sia la propria che quella delpotente di turno, ed è significativo che anch’egli – come già ilFerretti – avesse pensato di dedicare la sua opera al signore delmomento, oltretutto Papa. Può quindi sembrare strano che, amico

21 Cfr. ANFO, Atti di Nanne Porzi, v. 179, cc., 76-78, 25 luglio 1506, G. MAZZATINTI,Della vita e delle opere di Andrea Bernardi in BERNARDI, Cronache, cit., I, parte I, pp. XIV-XVI. Sull’attenzione del Bernardi alla stampa come mezzo di comunicazione dimassa si è di recente soffermata L. MICHELACCI, I cronisti forlivesi della fine delQuattrocento, in Caterina Sforza una donna del Cinquecento: storia e arte tra Medioevo e Rinascimento,Imola, La Mandragora, 2000, p. 65, ricordando la stampa della patente ed iltestamento. 22 BERNARDI, Cronache, cit,, II, pp. 194-195. 23 Ivi, pp. 210-211. L’episodio è ricordato da Don Michele Fusconi in CALANDRINI –FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., pp. 396-397, nota 179.

del Guarini, a cui lo univa la comune passione per la storia,24

egli non dia notizia della prima edizione a stampa forlivese; mala dimenticanza coinvolge per quasi tre secoli anche tutti glialtri scrittori cittadini, inclusi Fabio Oliva, biografo a metà‘500 di Caterina Sforza, e Paolo Bonoli, che nella sua Istoria dellacittà di Forlì, la prima storia locale edita a stampa nel 1661, ricordain più occasioni ma per altre vicende e doti Paolo Guarini.25 Adassociare l’introduzione della stampa alla signora di Forlì,attribuendogliene il merito, sarà infatti per primo nella sua Vita diCaterina Sforza, pubblicata a Bologna nel 1795, il gesuita spagnoloAntonio Burriel. Secondo costui, è infatti la Signora di Forlì avolerne la nascita «siccome cosa più utile assai, ed universale epiù onorifica agli Stati suoi ed al suo governo»26 e nell’appendicedocumentaria sono riportate le prime due pagine del De elegantia.27 Lanotazione è ripresa un secolo dopo da Pier Desiderio Pasolini, chenel capitolo dedicato alla vita privata di Caterina, purgiudicandola in generale donna non interessata alla cultura eperciò circondata da pochi letterati, ricorda tra essi il Ferrettie la pubblicazione del De elegantia, riproducendo due tavole dellaseconda edizione dell’opera.28 Dopo la prima del 16 aprile, il Deelegantia venne infatti pubblicato una seconda volta, sempre a Forlì,il 25 maggio. Riguardo al contenuto, esso è sostanzialmente lostesso della precedente, ma da un punto di vista bibliografico sitratta a tutti gli effetti di una nuova edizione. Diversa apparesubito la veste tipografica, più elegante, con due bellexilografie, ad inizio (Fig. 2) e fine del volume,29 e l’uso neltesto di lettere iniziali ornate; diversi sono anche i caratterie la composizione, ma, soprattutto, ad essere cambiato èl’editore. Come si legge nella sottoscrizione sul rectodell’ultima carta (il verso è bianco) «Hoc opus est impressumForilivii per me Hierony / mum Medesanum Parmensem […]»30 (Fig. 3).

24 Nel testamento del 1506 Bernardi indica Paolo Guarini come suo esecutoretestamentario e gli lascia i «Ziornalia et alios libros quos ipse voluerit»;sull’attività di storico di Paolo Guarini cfr. G. ORTALLI, Gli”Annales Caeesenates” trala cronachistica trecentesca e l’erudizione storiografica quattrocentesca in «Bullettinodell’Istituto Storico italiano per il MedioEvo e Archivio Muratoriano», n. 86,Roma 1976-1977, pp. 279-386; IDEM, Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola (sec IX-XV), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 1991, pp. 107-109. 25 Cfr. P. BONOLI, Storia di Forlì, Forlì, Bordandini, 1826, II, p. 313, 368. 26 BURRIEL, Vita di Caterina Sforza, cit., II, p. 551. 27 Ivi, III, docc. LXX-LXXII. 28 PASOLINI, Caterina Sforza, cit., II, pp.384-387. 29 Cfr. M. SANDER, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu’à 1530, Milano, Hoepli, 1492-1493, I, n. 2692.

Una seconda edizione a così breve distanza di tempo sembracontrastare con quanto già si è osservato circa il legame conl’attività scolastica del Ferretti e la prevalente destinazionedell’opera ad un mercato locale di modeste dimensioni. Per questo,forse, alcuni bibliografi hanno ipotizzato che la duplice edizionefosse il risultato di una gara indetta dalla signora di Forlì.31 Macontro quest’ipotesi sta la testimonianza di un esemplare dellaprima edizione che presenta una variante quanto mai significativa.Nella sottoscrizione della copia esistente presso la BibliotecaBenedikt Peter di Salisburgo si legge infatti: «Opera et impensaPauli de Guarinis Foroliviensis et Hierony / mi de Medesanisparmensis et Ioannis Iacobi de / Benedictis bononiensisImpressoris et socii / hoc opus est Impressum Forlivii…MCCCC.LXXXXV. / XVI Kalendas Maii»32 (Fig. 4). Per ragioni logiche,la variante deve appartenere alla prima emissione dell’opera edimostra come in origine i tre editori-stampatori facessero partedi un’unica società che si ruppe solo a lavori già parzialmenteultimati. Per scoprire perché ciò avvenne – e a così brevedistanza di tempo vedano la luce due distinte edizioni – è quindinecessario indagare altrove. In mancanza di documenti d’archivioalcune ipotesi ci sono suggerite da una più accurata riflessionesu quali siano le principali differenze tra le due edizioni. Insintesi esse sono rinvenibili: 1) nella veste tipografica,decisamente migliore nella seconda edizione 2) nella presenzanella prima di un lungo errata corrige, ad opera dell’autore,assente nella seconda 3) nella menzione diretta, nellasottoscrizione dell’edizione Medesani, di Ottaviano Riario,signore del luogo, e accanto a lui, alla pari, di Giacomo Feo «[…]regnante Illustris / simo Principi nostro domino Octa / viano deRiario: ac inclito do / mino Jacobo Pheo guberna /toridignissimo». Particolarmente rivelatore è l’errata corrige, postoalla fine del secondo libro dell’edizione Guarini-Benedetti. Inesso infatti l’autore, nell’elencare i numerosi errori di stampacommessi rispetto all’archetipo da lui fornito e la mancanzadell’utilizzo di lettere greche (in questa edizione i terminigreci sono traslitterati in latino), ne imputa la colpaall’incuria o piuttosto all’avidità degli stampatori, da lui più

30 N. FERRETTI, De elegantia linguae latinae, Forlì, Girolamo Medesani, 25 maggio 1495(d’ora innanzi De elegantia 2), c. e4v. 31 Cfr. P. DESCHAMPS, Dictionnaire de géographie ancienne et moderne a l’usage du libraire et del’amateur, Paris, Firmin Didot, 1870, p. 518; G. FUMAGALLI, Lexicon typographicumItaliae, Florence, Olschki, 1905, pp. 161-162. 32 Cfr. GesamtKatalog der Wiegendrucke, cit., n. 9872.

esattamente definita come «aviditate celerandi».33 Dall’esamecomparato dell’incipit delle due edizioni si nota infatti comenella prima siano lasciati attorno alla parola “isagogica” duevistosi spazi bianchi, mentre nella seconda l’espressione è incaratteri greci senza soluzioni di continuità; segno evidente chein un primo momento, quando ancora la società era a tre, sipensava di utilizzare i caratteri greci, poi non pervenuti intempo. Non a caso nell’edizione Medesani, «noviterque per ipsum /auctorem correptum aditum et emendatum», l’errata corrige èscomparso e l’autore indica come data di composizione delle primedue parti del testo il 13 aprile del 1494,34 mentre in posizioneanaloga nell’edizione Guarini-Benedetti figura la data del 12aprile 1495,35 che appare coerente con i tempi della realizzazionea stampa. Si può quindi pensare che determinante nella nascita dellaseconda edizione del De elegantia siano state l’insoddisfazionedell’autore e del Medesani per la prima edizione. Il Ferretti erae si considerava un umanista a tutti gli effetti, per cui èlegittimo pensare che, insoddisfatto della prima edizione, si siadato da fare per averne al più presto una seconda più adatta aconsacrarne la fama. Gli stessi rilevanti miglioramenti nelparatesto di questa edizione appaiono funzionali ad assicurarne unmaggior prestigio, probabilmente anche ai fini di una circolazioneche andasse oltre i confini locali.36 Rimane da capire quale possaessere stato il ruolo del Medesani. A tutt’oggi di questomisterioso personaggio non si conoscono altre pubblicazioni, né investe di stampatore, né in quella di editore e, tenendo contodella sua partecipazione iniziale anche alla società formatasi perdar vita alla prima edizione, si pone l’interrogativo di qualeruolo egli vi svolgesse. L’aspetto tipografico ed i caratteridella prima edizione appaiono di fatto tutti legati alla figuradel terzo socio, quel Gian Giacomo Benedetti che nellasottoscrizione è l’unico ad essere definito con la qualifica diimpressore. Può essere quindi che, come Guarini, anche Medesaniavesse fin dall’inizio nell’impresa più una veste di finanziatoreche di prototipografo ed analogo potrebbe essere stato il suoruolo nella seconda edizione, tanto più se – come ho tentato didimostrare in precedenti lavori – la stampa di essa fosse avvenuta

33 FERRETTI, De elegantia I, c. e1r-e2v.34 FERRETTI, De elegantia II, c. e1v. 35 FERRETTI, De elegantia I, c. e2v. 36 Sulla figura del Ferretti cfr. G. MONTECCHI, Autori ravennati ed editoria tra XV e XVIsecolo, in Ravenna in età veneziana, Ravenna, Longo, 1986, pp. 199-201.

a Venezia su commissione.37 Non è tuttavia improbabile che nell’edizione attribuibile per la stampa al solo Medesani vi sia statoun maggiore e più diretto coinvolgimento della signoria. Va notatoinfatti come la nuova veste tipografica esalti ancor di più ilruolo di Ottaviano e di Giacomo Feo, che figurano entrambi, dopostampatore ed autore, nella sottoscrizione finale dell’opera. Inessa al Feo è nuovamente attribuita la qualifica di «gubernatoridignissimo», ma egli è equiparato nella funzione «regnante» adOttaviano e la stessa immagine classicheggiante di Teseo in lottacon il Minotauro,38 che compare nella xilografia sovrastante lasottoscrizione, potrebbe benissimo essere riferita tanto adOttaviano che a lui. L’intera pagina appare pertanto rientrare inquella funzione nobilitante della figura di Giacomo Feo, cui giàsi è accennato. Un’ulteriore testimonianza del suo potere, ma chepotrebbe meglio spiegare anche i rapporti con il Ferretti, èperaltro rintracciabile negli Archivi della Comunità di Forlì. Il22 aprile del 1495 infatti era stato nominato dagli Anziani«nemine discrepante de comissione magnifici domini Iacobi Phei»,un ripetitore, destinato a coadiuvare, a spese della Comunità, ilFerretti nell’attività di insegnamento.39

Se dunque nella nascita della seconda edizione del De elegantia ètutt’altro che improbabile un diretto coinvolgimento dellasignoria, esercitato da chi deteneva effettivamente il potere, piùdubbio è che esso fosse già operante in occasione della prima. Unindizio in questa direzione potrebbe essere il «dum tibi placerestudent», riferito agli stampatori, con cui Ferretti nella dedicaad Ottaviano sembrerebbe quasi fornire una giustificazione allaloro fretta nel concludere l’opera.40

Di qui ad ipotizzare una commissione o un intervento direttodella signoria nella nascita della prima edizione a stampaforlivese molto però ce ne corre. Sicuramente riconducibilenell’orbita della signoria è invece la stampa nel 148837 Cfr. P. TEMEROLI, Le prime due edizioni a stampa forlivesi (1495), «La Bibliofilia», XC(1988), pp. 1-19; la mia ipotesi è che essa venne effettuata presso latipografia di Giovanni Tridino; MONTECCHI in Autori ravennati ed editoria tra XV e XVIsecolo, cit., p. 200, ipotizza invece che la stamperia fosse quella di MatteoCodecà. 38 Alcuni studiosi, tra cui Montecchi, Autori ravennati, cit.,, p. 199, ritengono chel’immagine, già apparsa a Venezia fin dal 1491, rappresenti Ercole in lotta conil centauro; certa è comunque la sua ispirazione classicheggiante, cfr. A.BRIGHI, Elementi di tradizione classica dell’arte figurativa in Romagna nella seconda metà delQuattrocento in La cultura umanistica a Forlì fra Biondo e Melozzo, a cura di Luisa Avellini eLara Michelacci, Bologna, Il Nove, 1997, p. 155.39 ACFO, Consigli generali e segreti, v. I, c. 91r. 40 Cfr. FERRETTI, De elegantia 1, c. a2v.

dell’orazione funebre di Pietro Marso in onore di Girolamo Riario,il primo marito di Caterina Sforza, assassinato a Forlì il 14aprile. La pubblicazione è priva di note tipografiche, mariferibile al 1488, poiché l’orazione fu tenuta ad Imola dal notoletterato romano Pietro Marso nel mese di maggio, a seguito dellasepoltura in quella città di Girolamo Riario.41

In un intervento al Convegno su “Il libro in Romagna”, tenutosi aCesena nel 1995, Leonardo Quaquarelli indicava quest’edizione comeun probabile antecedente dell’introduzione della stampa in Romagnanel 1495, ad opera della coppia Paolo Guarini – Giovanni Giacomode’ Benedetti.42 Pur se la mancanza di note tipografiche impedisceuna sicura paternità e localizzazione dell’edizione,l’attribuzione da parte sua all’officina di Francesco aliasPlatone de’ Benedetti, e di conseguenza, la stampa in Bologna, ovePlatone operava, è assai convincente.43 L’opera ha – a mio avviso –come principale finalità, oltre all’invito alla pacificazioneindicato da Quaquarelli,44 quella di assicurare il mantenimentodella signoria alla progenie di Girolamo. In ogni caso – sia chefosse stata stampata contemporaneamente o subito dopo ilpronunciamento dell’orazione funebre – si tratta sicuramente diun’opera edita su committenza, i cui finanziatori vanno pertantoricercati nell’ambito della famiglia del conte assassinato edindividuati o nella vedova, Caterina Sforza, o nel potente zio eprotettore dei nipoti, il cardinale Raffaele Riario. Presso l’officina bolognese dei de’ Benedetti, si sviluppa, apartire dal 1492, anche l’attività di Giovanni Giacomo, quasisicuramente un membro originario o acquisito di questa importantee ramificata famiglia di tipografi,45 a cui nel 1495 si rivolgePaolo Guarini per avviare in Romagna la produzione a stampa. Come

41 Sulla figura dell’oratore cfr. S. BENEDETTI, Marso Pietro, in Dizionario Biograficodegli Italiani (d’ora innanzi DBI), vol. 71, Roma, Istituto dell’EnciclopediaItaliana, 2008, pp. 5-10; l’occasione si ricava dal titolo stesso dellapubblicazione, Oratio in funere Hieronymi Forocorneliensis et Foroliviensis comitis (IGI 6209) ela datazione, uguale o successiva, dalla cronaca contemporanea del Bernardi,secondo la quale il trasferimento della salma ad Imola avvenne il 4 maggio: cfr.PASOLINI, Caterina Sforza, cit., I, p.285. 42 Cfr. L. QUAQUARELLI, Un incunabolo dell’officina bolognese de’ Benedetti per i Riario: antefattidella stampa in Romagna in Il libro in Romagna, cit., pp. 11-46; l’autore indica comedata la fine di maggio, mettendola in relazione con la visita in quella città diRaffaele Riario: p. 37. 43 Cfr. Ivi, p. 43. 44 Cfr. Ivi, p. 41. 45 Su Giovanni Giacomo de’ Benedetti cfr. A. CIONI, DBI, 8, 1966, p. 256; A.SORBELLI, Storia della stampa in Bologna, Bologna, Zanichelli, 1929, pp. 43-45:QUAQUARELLI, Un incunabolo dell’officina bolognese, cit., pp. 43-46.

risulta dalle sottoscrizioni, tra i due dovette costituirsi unavera e propria società. Nel colophon del De elegantia si leggeinfatti «Opera et impensa Pauli guarini de guarinis Foroliviensiset Ioa / nnis Iacobi de Benedictis Bononiensis Impressoris etsocii», ma Paolo Guarini, appartenente ad una ricca famigliaforlivese e dotato di molteplici interessi culturali, era coluiche nella società metteva idee e capitali finanziari, mentre alBenedetti spettava la conoscenza e l’esercizio dell’arteimpressoria e, probabilmente, il conferimento dei materialitipografici.46 Le numerose notizie biografiche disponibili su PaoloGuarini delineano la figura di un personaggio il quale alla fortevocazione culturale univa uno spirito imprenditoriale, ed èprobabile che la decisione di avviare un’attività editoriale etipografica, in territori che ne erano stati fino ad allora privi,sia nata dall’incrocio di questi due interessi.47 A testimoniaredella volontà di dar vita ad una società destinata a durare neltempo sta l’adozione fin dalla prima edizione forlivese di unamarca tipografica connotata di una sua forte originalità. Mentrela parte soprastante richiama modelli già in uso a Bologna pressoi Benedetti, è la prima volta che nella parte inferiore vieneutilizzata l’immagine di un labirinto48 (Fig. 5). Il primo prodottodi questa nuova società era stato però la stampa a Cesena incaratteri gotici del Pronosticon dialogale, un opuscolo in volgare disole 8 cc., edito il 26 marzo del 1495. Nel saggio Le origini dellastampa a Cesena Lorenzo Baldacchini ha osservato che probabilmente almomento della pubblicazione del Pronosticon cesenate, quella del Deelegantia doveva già essere in cantiere, o comunque in fase diprogettazione.49 L’ipotesi è confortata non solo dallo strettissimolasso di tempo intercorrente tra l’edizione del Pronosticon cesenatee quella, di maggior impegno tipografico, del De elegantia, ma ancheda quanto già si è osservato circa la probabile progettazionedella stampa di quest’ultima, almeno nelle intenzioni delFerretti, fin dall’anno precedente, mentre per quanto riguarda ilPronosticon l’ideazione della stampa, se non dello stesso testo, è46 Per i caratteri tipografici rimangono fondamentali le osservazioni degliincunabolisti del British Museum, alle cui pagine pertanto si rinvia; cfr. BMC,VII, p. LXXXVII; VI, p. 835, 838-39, e sulla loro provenienza bolognese sisoffermano nei rispettivi saggi, già citati, tanto L. Quaquarelli che L.Baldacchini; per un profilo sintetico di Paolo Guarini, comprendente l’ attivitàeditoriale, si veda P. TINTI, ad vocem, DBI, 60, pp. 378-380. 47 Per le più estese notizie biografiche che supportano questa valutazione mipermetto di rinviare al mio I primordi della stampa a Forlì, cit., pp. 86-91. 48 Per le marche tipografiche dei Benedetti cfr. A. SORBELLI, Le marche tipografichebolognesi nel secolo XVI, Milano, Bertieri e Vanzetti, s.d., pp. 17-21. 49 Cfr. BALDACCHINI, Le origini della stampa a Cesena, cit., p. 58.

collocabile solo a ridosso del marzo del 1495. L’opera è infattidedicata a Nicolò Fieschi, vescovo del Frejus, divenutogovernatore di Cesena il 5 marzo.50 Il libro è di grande interesseperché rientra nel genere dei pronostici di astrologia giudiziariache – come già notato da Carlo Piancastelli – avevano una forterilevanza politica, in quanto anticipavano le sorti di città,Stati e relativi governanti.51 L’interesse è accresciuto daldecorrere il pronostico dalla primavera del 1495, anno in cui lapenisola italiana e la stessa Romagna erano ancora percorse dalletruppe di Carlo VIII, per proiettarsi – come recita la versioneper esteso del titolo stesso – in un futuro di medio-lungo periodo(di cinque anni e oltre)52 con previsioni relative non solo allepiccole città romagnole, ma a tutti i principali Stati italiani edeuropei, inclusa l’incombente e minacciosa potenza ottomana. Nellostesso 1495 il libro ebbe anche due edizioni forlivesi – sempre adopera della ditta Guarini-Benedetti e nei caratteri romani del Deelegantia -, ma con un testo raddoppiato. La prima, in latino, è del26 luglio e la seconda, in volgare, del 12 agosto, di pocoantecedente all’assassinio di Giacomo Feo. Dall’esame comparatodei testi, oltre all’ampliamento, si può notare come le edizioniforlivesi risultino aggiornate in tempo reale in base al mutaredegli avvenimenti.53 In entrambe è tuttavia mantenuta la dedica aNicolò Fieschi, governatore di una città soggetta, a differenza diForlì ed Imola, alla diretta dominazione ecclesiastica, nérisultano mutate le previsioni per Forlì. In tutte e tre leedizioni del Pronosticon si legge infatti che la città, conl’oroscopo nella ventesima parte del Capricorno, è posta sottol’influsso di Marte, ciò che rende i suoi abitanti, come peraltroquasi tutti i romagnoli, dei validi soldati. Circa le sue sorti,esse sono equiparate a quelle di Venezia, nell’immediato prospera,ma indecisa e destinata alla rovina.54 Nelle previsioni relative aForlì, a differenza che per altre signorie della Romagna, non visono riferimenti a singoli personaggi. Se dunque è senz’altro50 Cfr. Ivi, p. 57. Secondo Fusconi, il Fieschi avrebbe assunto la carica digovernatore l’8 marzo: cfr. CALANDRINI – FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., p. 395nota 176. 51 Cfr. C. PIANCASTELLI, Pronostici ed almanacchi, Roma Ed. Insubria, 1913 (reprintMilano, Syntesis Press, 1982), pp. 8-25. 52 L’oltre figura nelle sole edizioni forlivesi., ma ben corrisponde allasostanza dell’opera. 53 Per un esame più esteso e comparato del contenuto delle tre edizioni delPronosticon cfr. P. TEMEROLI, Antonio Manilio di Bertinoro: umanista e astrologo del XV secolo,«Studi Romagnoli» XLVII (1996), pp. 95-130; si veda anche BALDACCHINI, Le originidella stampa a Cesena, cit., pp. 56-60. 54 Cfr., nella già cit. edizione anastatica dell’edizione cesenate, le pp. 28 29.

lecita una lettura politica del Pronosticon, né va sottovalutatal’importanza dell’autore, titolare della commenda dell’eremo diSanta Maria di Vincareto per volontà di papa Sisto IV, di cui erastato cubiculario (e quindi quasi sicuramente ben conosciuto tantoda Girolamo Riario che da Caterina Sforza)55, ci sembra tuttavia dipoter affermare che il Pronosticon dialogale sia ancor menoriconducibile ad un’influenza diretta della signoria forlivese.Del tutto estranea alle vicende del potere appare poi una terzaopera apparentemente priva di note tipografiche, ma sicuramenteedita a Forlì dalla società capeggiata da Paolo Guarini. Essas’intitola De componendis versibus in lingua materna e ne è autore ilforlivese Guido Peppi, detto Stella. Dal punto di vistabibliografico l’opera, un opuscolo di sole 6 cc., pone moltepliciinterrogativi. La sottoscrizione è infatti data nella forma dellamarca parlante, con la consueta immagine del labirinto, che findall’aprile del 1495 aveva contraddistinto la società tipograficaforlivese, preceduta da alcuni versi che ad essa si riferiscono(Fig. 6). Il legno utilizzato per la xilografia è lo stesso delleedizioni precedenti, ma con un’alterazione per cui al posto dellaB iniziale del cognome del socio consueto di Paolo Guarini, figurauna L, da tutti i bibliografi ritenuta, proprio in ragione dellegame con la marca, l’iniziale di Laberintis.56 Rinviando ad altresedi per la disamina della questione della paternità tipografica(da alcuni attribuita, con il Guarini, al socio Giovanni GiacomoBenedetti, da altri ad un Giovanni Giacomo Fontanesi da ReggioEmilia, che molti bibliografi identificano con il precedente),57 sipuò ricordare che l’autore era un personaggio all’epoca piuttostonoto ai concittadini forlivesi.

55 La sua conoscenza da parte di Girolamo Riario è documentata nella bolla del 4settembre del 1482, con cui Sisto IV gli aveva conferito la commenda di SantaMaria di Vincareto, un eremo nei pressi di Bertinoro. Dal documento risultaanche il suo vero cognome, “de Maninis”; cfr. TEMEROLI, Antonio Manilio di Bertinoro,cit., pp. 107-109. 56 Per una disamina dei problemi posti dalla marca del De componendis cfr.TEMEROLI, I primordi della stampa a Forlì, cit., pp. 74-81. 57 Cfr. Ibidem; nello stesso volume si soffermano sul problema sia QUAQUARELLI,Un incunabolo dell’officina bolognese de’ Benedetti, cit., pp. 45-46, che BALDACCHINI, Le originidella stampa a Cesena, cit., pp. 49-50. Quest’ultimo, per spiegare i frequenticambiamenti di nome, avanza l’ipotesi che la famiglia de’ Benedetti avesseadottato, magari tramite matrimonio, un provinciale in gamba, quale potrebbeessere stato Giovanni Giacomo Fontanesi. La Cronaca del Bernardi ci attestacome un “Giovanni da Reggio”, ovvero sicuramente il Fontanesi, lavorasse agliinizi del 1500 a Forlì, per cui, nel caso si propenda per l’ipotesi dellaidentità dei due tipografi, bisognerebbe concludere che sia questi l’unicoveramente esistito.

Lettore di astrologia all’Università di Bologna, storico e poeta,fu lui a pronunciare, a nome della Comunità, l’orazione perl’ingresso in città di Girolamo Riario.58 Alla data dellapubblicazione del De componendis, senz’altro da collocare dopol’agosto del 1495, egli era tuttavia già morto e la stessapubblicazione suona quasi come un omaggio postumo. L’opera èinfatti un trattatello che verte sulla metrica da utilizzare nellacomposizione di versi in volgare, attività cara anche a PaoloGuarini, che del Peppi può considerarsi un seguace.59 L’edizione del De componendis esula quindi completamente daqualsiasi legame con il potere ed appare principalmente il fruttodegli interessi culturali del Guarini. Le altre edizioni superstiti, edite a Forlì e a luiriconducibili, sono due, entrambe in data molto più tarda e legateper il contenuto al nuovo potere stabilitosi a Forlì, quelloesercitato direttamente dalla Chiesa. La prima Bulla indulta ac privilegiaconcessa civitati forliviensi è datata «M.D.VII. Kalendis Ianuarii» (1gennaio 1507) e sottoscritta «Impressum Forlivii per PaulumGuarinum de Guarinis Forliviensis et Ioannem Iacobum deFontanetis»60 (Fig. 7). Essa, di sole 6 cc. in caratteri romani,contiene la bolla, emanata da Giulio II nel luglio del 1504, concui si sancisce il ritorno di Forlì sotto il diretto dominio dellaChiesa, concedendo però un indulto e mantenendo in vigore partedella normativa preesistente. L’ufficialità dell’atto e la suarilevanza inducono a pensare ad una pubblicazione su commissione,ma non vi sono nel testo ulteriori elementi per suffragare unatale ipotesi. Anche riguardo ad essa si può tuttavia osservarequanto già Burriel notava a proposito della patente del Bernardi:e cioè che non si può certo pensare ad una tipografia sorta per

58 Cfr. L. COBELLI, Cronache forlivesi dalla fondazione della città sino all’anno 1498, a cura diG. Carducci e E. Frati, Bologna, Regia Tipografia, 1874, p. 265; e sulla suaattività di storico la voce di G. ORTALLI, in Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola (sec IX-XV), cit., pp. 100-101. 59 Cfr. C. DIONISOTTI, Ragioni metriche del Quattrocento, «Giornale storico dellaletteratura italiana», 124, 1947, pp. 1-21; P. TEMEROLI, Editoria, cultura eumanesimo a Forlì agli inizi dell’età moderna, «Schede umanistiche”, 2, 1988, pp. 53-63: 59-61. 60 L’esistenza di questa edizione e la sua presenza nelle raccolte dellaBiblioteca “A. Saffi” di Forlì erano state segnalate già nell’ottobre del 1945nell’ «Italia che legge» dall’allora direttore Luigi Servolini. Introvabile aForlì, un esemplare di essa è stato di recente rinvenuto, con relativaregistrazione in EDIT 16, all’interno di una miscellanea di manoscritticonservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma; cfr. A. TURCHINI,Politica, società e cultura a Forlì nel primo Cinquecento, in Un giardino per le arti: “Francesco Marcolinoda Forlì”, la vita, l’opera, il catalogo, Bologna, Editrice compositori, 2009, pp. 45-47.

l’occasione. Nonostante il grande intervallo di tempo trascorsodal 1495, solo parzialmente interrotto dalla pubblicazione del Decomponendis e dalla stampa della patente, è quindi giocoforzaipotizzare che la prima tipografia forlivese sia rimasta inattività (anche se forse saltuaria) per tutto questo periodo ed èmolto probabile, a parte l’inevitabile tasso di dispersione degliesemplari superstiti comune a tutta la stampa dell’epoca, chebuona parte dell’attività tipografica fosse costituita dapubblicazioni minori, di pochissime carte, se non addiritturafogli volanti o moduli per uso amministrativo o commerciale.61 Inquest’ultima fattispecie diventerebbe predominante la stampa sucommissione e verrebbe meno quel ruolo editoriale di Paolo Guariniche abbiamo già avuto modo di evidenziare. Esso tuttavia emerge pienamente nell’ultima edizione superstite,le Constitutiones Marchiae Anconitanae del 10 dicembre 1507. L’opera, notaanche con il titolo uniforme di Constitutiones Aegidianae, raccoglie, apartire dalle statuizioni del cardinale Egidio Albornoz fino alleultime novità normative («noviter emendatae; cum additionibusnovissimis usque in presentem diem»), tutta la legislazionevigente in quella che ormai era divenuta un’unica legazione, dicui Forlì faceva parte. Si tratta quindi di un codice adestinazione pratica, come emerge chiaramente dai versi diaccompagnamento di Cristoforo Fonda, maestro di retorica nellascuola pubblica forlivese, posti alla fine dell’opera. «Si fuerispraetor.iurisque peritus in urbe / Picentum quavis: scribave.pragmaticus. / Scire velis: leges: vel reddere municipales /Impressit Paulus quod lege lector opus».62 Essi, indicando qual èil bacino su cui puntano gli editori (l’intera marca anconetana) equali sono, suddivisi per categorie, i potenziali acquirenti,hanno un chiaro scopo pubblicitario e dimostrano che ci troviamodi fronte ad un’opera frutto dell’iniziativa privata e destinataal mercato. A sottoscrivere un’edizione, che sotto il profilotipografico, un in folio di 124 cc., con una cornice xilograficache avvolge tutta la pagina iniziale, è la più impegnativadell’intera produzione forlivese, sono nuovamente Paolo Guarini e

61 Di una produzione minore, a prevalente destinazione locale e forsediscontinua, parla anche P. BELLETTINI, La produzione tipografica in Storia di Forlì. III.L’età moderna, a cura di G. Casanova e G. Tocci, Forlì, Cassa dei Risparmi diForlì, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1991, p. 152. Un esempio di produzione dimoduli a stampa ad uso amministrativo, provenienti dalla tipografia dei de’Benedetti , è stato documentato per Bologna da M. FANTI, A. M. SCARDOVI, Moduli astampa del Quattrocento bolognese nella Biblioteca dell’Archiginnasio, «L’Archiginnasio», 1987,pp. 41-58. 62 Op. cit., c. X4r.

Giovanni Giacomo de Benedetti. Nella sottoscrizione si legge chela pubblicazione è a spese di entrambi, con una formula che,eccettuate le “opera”, ricorda quella del De elegantia,63 ma anche inquesto caso emerge pienamente il ruolo editoriale di PaoloGuarini. È infatti lui a scrivere un’impegnativa dedica al vescovodi Forlì, Tommaso dell’Aste.64 Essa si apre con un elogio dell’artedella stampa: «Nihil tam utile tam proficuum tam mortalibusconducibile Reverendissime praesul excogitare potuit diligens acsollers hominum prescrutatio quam hanc divinam imprimendiartem…»,65 la cui invenzione è contrapposta a quella distruttivadelle macchine da guerra. La scoperta della stampa ha infattipermesso ad un numero assai più ampio di persone di avvicinarsi aitesti, prima riservati a pochi e difficili da rintracciare.«Quantus… quam multiplex in adiscendis litteris labor! Quaepenuria ante huius divinae artis exordium fuerat! Incultaelitterae iacebant: torpebant tamquam graviveterno perclaraingenia, pauci vix litteris tunc aspergebant. At nunc (o miramextollendamque artem) totus fere orbis libris rosertissimusubertim scatet: ut quicquid librorum exoptes quaerenti dictocitius offeratur». Ed è per tal motivo che Paolo Guarini ha decisodi dedicarsi ad essa. «Horum [i primi stampatori] igitur et nosvestigia imitati nihil ocio turpius opinantes: aliquid utilitatisposteritati tradere decrevimus». Non è chiaro se il nos siriferisca anche al socio Benedetti o – come mi sembra piùprobabile – al solo Guarini. Costui di fatto anchenell’introduzione dei suoi Annales Forolivienses aveva usatoun’espressione analoga, «vitandi otii causa», per giustificare lasua attività di compilatore di storia locale.66 In ogni caso nelseguito della dedica dal nos passa al singolare. È lui infatti adoffrire metaforicamente l’opera all’amico vescovo con questeparole: «[…] est Pauli tui munusculum: quod si sereniore te idvultu sumpsisse cognovero insurgam deinceps in aliis imprimendisalacrius» (fig. 8). Un distico di Tommaso Dall’Aste, in lodedell’opera, aveva impreziosito la prima edizione del De elegantia.67

Con l’avvento del nuovo potere il vescovo di Forlì, appartenente

63 Cfr. Ibidem. 64 Sulla figura di questo vescovo si veda il capitolo ad esso dedicato inCALANDRINI – FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., pp. 737 segg. 65 Si vedano per questa e le successive citazioni, Constitutiones Marchiae anconitanae,Forlì, Paolo Guarini e Giovanni Jacopo de’ Benedetti, 10 dicembre 1507, c. A1v. 66 [P. GUARINI], Annales Forolivienses ab origine urbis usque ad annum MDCCCCLXXIII, «RerumItalicarum scriptores», t. 22, fasc. 2, nuova ed. a cura di Giuseppe Mazzatinti,Città di Castello, S. Lapi, 1903-1909, p. 167 FERRETTI, De elegantia 1, c. e6r.

ad una delle principali famiglie cittadine, ricopre anchel’importante carica amministrativa di vicelegato della MarcaAnconetana,68 ma il tono confidenziale, con cui Guarini gli sirivolge, sembra consono più all’amico con cui si condividonocomuni interessi culturali, che di reverenza di fronte al potentedi turno di cui è necessario il favore. Nella dedica è poiannunciata l’intenzione di proseguire nell’attività di stampa conancor maggiore impegno. Di fatto vi è anzi elencato un buon numerodi forlivesi illustri, a cominciare da Flavio Biondo, di cuivarrebbe la pena di pubblicare le opere: «Et licet alienaexternaque: nostris contenti: Dimettere statuissemus: neque enimdeerant Flavii Blondi foroliviensis Historici: Guidonisque Bonattiastronomi clarissimi: necnon Iacobi medicae artis peritissimiCornelii quoque galli: Rainerii Iuriconsultissimi JacobiAllegretii medici et poetae: Nerei morandi Checchi rubei. AcFausti Andrelini poetae elegantissimi / pluriumque aliorumForoliviensium preclara monumenta formis excudenda.».69 Il fattoche di opere così prestigiose, e suscettibili di una largadiffusione anche al di fuori dei patri confini, non siano rimastiesemplari superstiti ci induce a ritenere che l’impegnativoprogramma editoriale non ebbe seguito. Uno dei motivi potrebbeessere stato il fatto che l’edizione delle Constitutiones non ebbe ilsuccesso commerciale sperato, mettendo in crisi la società. Secondo Panzer, Giovanni Giacomo Benedetti sarebbe risultatonuovamente attivo a Bologna nel 1508;70 ma si tratta di notizia nonconfermata, mentre è certa l’attività dello stesso ad Ancona nel1522 ed a Camerino nel 1523-1524.71 Forse costretto a rinunciareall’attività tipografica a Forlì, Paolo Guarini tentò però diavviare una nuova esperienza a Ravenna. Il 29 aprile del 1516 ilConsiglio comunale di Ravenna esamina ed approva un’istanzapresentata da Francesco Rosi di Ravenna e Paolo Guarini di Forlìper avviare anche a Ravenna, che fino ad allora ne era rimastapriva, un’attività di stampa, il cui primo frutto avrebbe dovutoessere un’opera di Aristotele tradotta in latino.72 Nonostantel’approvazione, la tipografia non fu impiantata e l’opera,

68 Sui tempi dell’incarico, probabilmente esercitato tra il 1507 ed il 1508, cfr.CALANDRINI – FUSCONI, Forlì e i suoi vescovi, cit., pp. 799-800 e nota 229. 69 Constitutiones Marchiae anconitanae, cit., c. a1v (7v). 70 Cfr. G. W. PANZER, Annales typographici ab artis inventae origine usque ad annum 1500,Norimbergae, J. E. Zeh, 1793-1803, VI, p. 325, n. 50; l’opera in questionesarebbe l’Expositio decretalis di Agostino Trionfi, che non figura però in Edit 16. 71 Si vedano al riguardo le opere a lui attribuite in Edit 16. 72 Cfr. su tutta la vicenda MONTECCHI, Autori ravennati ed editoria tra XV e XVI secolo, cit.,pp. 205-206; TEMEROLI, I primordi della stampa a Forlì, cit., pp.84-86.

erroneamente attribuita al filosofo greco, venne edita a Roma nel1519 da Giacomo Mazzocchi. Nell’istanza rivolta alla comunità diRavenna gli editori-stampatori non si limitano a domandare lalicenza d’impiantare la tipografia e pubblicare l’opera, machiedono alla Comunità di contribuirvi sotto forma di pagamentoper due anni dell’affitto dei locali della stamperia e l’esenzionequinquennale da dazi e gabelle per l’importazione dei materiali equanto necessario per il personale addetto.73

È la prima volta in cui risulta documentata una richiesta alpotere pubblico di un contributo economico per sostenerel’attività di stampa. Anche in altre occasioni – come abbiamovisto – si era stati attenti a ricercare la protezione deigovernanti, ma non vi sono prove di un loro coinvolgimento direttoe tutto fa ritenere che la prima esperienza di produzione a stampain Romagna sia da attribuire soprattutto allo spirito diiniziativa di Paolo Guarini, un personaggio di alto rango,sicuramente a contatto con i detentori del potere e dotato divasti interessi e conoscenze in campo culturale, ma non alieno daintraprendere molteplici attività economiche. Tra esse quelladella stampa a caratteri mobili (un nuovo modo di produzionegiunto in Italia da meno di trent’anni) rappresentava l’occasionepropizia per unire intraprendenza imprenditoriale e passione perla cultura ed è per tal motivo che nel passaggio da unadominazione all’altra l’officina tipografica, da lui promossanegli anni tra il 1494 ed il 1495, continuò a far gemere almenofino alla fine del 1507 i propri torchi.

73 Il documento integrale, pubblicato con qualche fraintendimento, da S.BERNICOLI, Librai e tipografi in Ravenna a tutto il secolo XVI, «Archiginnasio», a. XXX, 1955,pp. 171-173, è conservato presso la Biblioteca Classense nell’Archivio Storicodel Comune di Ravenna, Cancelleria, 28, c. 132.