L'elemento soggettivo nella fattispecie del riciclaggio

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1 L’elemento soggettivo nella fattispecie del riciclaggio Nicolò Rossini

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L’elemento soggettivo

nella fattispecie del riciclaggio

Nicolò Rossini

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Dedico lo scritto alla mia famiglia

La mela non cade mai lontano

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INDICE

CAPITOLO 1

IL QUADRO DI RIFERIMENTO

1. INTRODUZIONE

1.1 Premessa ……………………………………………………..……..…………. 7

1.2 Evoluzione storica del riciclaggio ………………………..…………….…...… 9

1.2.1 L’ampliamento delle condotte tipiche ……...……………..….. 15

1.2.2 L’eliminazione del dolo specifico ……………………..…..…... 17

1.3 La fattispecie

1.3.1 Gli stadi del riciclaggio: collocamento, stratificazione,

integrazione ……………………………………….…………… 19

1.3.2 Il bene giuridico tutelato ……………………………….………. 23

1.3.3 Il soggetto attivo ……………………………………………...… 27

1.3.4 L’oggetto materiale del reato ……………………………...….. 30

2. L’ELEMENTO SOGGETTIVO IN GENERALE

2.1 Esposizione della problematica …………………………...…………....…… 34

2.2 La bipartizione dell’elemento intellettivo e la possibile tripartizione …...… 35

4

CAPITOLO 2

LE CONDOTTE: LA CONSAPEVOLEZZA E LA VOLONTÀ DI FRAPPORRE

OSTACOLO

1. LE CONDOTTE E IL PAPER TRAIL

1.1 La sostituzione ……………………………………………………….……….... 40

1.2 Il trasferimento ………………………………………………...…….…………. 43

1.3 Altre operazioni …………………………………………………….………...… 45

1.4 L’idoneità ad ostacolare l’identificazione dell’origine

1.4.1 La sua centralità nel delitto e la riferibilità a tutte e tre le condotte

……………………………………………………………………….…... 47

1.4.2 Il suo rapporto con l’elemento soggettivo: dolo generico, dolo

specifico o dolo specifico implicito? ………………...………..……… 53

CAPITOLO 3

IL DUBBIO SUI PRESUPPOSTI: DOLO EVENTUALE SULLA

CONOSCENZA DELL’ORIGINE

1. LA CANCELLAZIONE DELL’ELENCO DEI PREDICATE CRIMES: EFFETTI

E CONSEGUENZE ……………………………………….…………………..... 64

2. I RAPPORTI TRA IL REATO DI RICICLAGGIO E I DELITTI

PRESUPPOSTO

…………………………………………………………………………...………. 67

5

3. IL DOLO E LA CONOSCENZA DELL’ORIGINE DELITTUOSA: POSIZIONI

PRIMA DELLA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DEL 2009

3.1 Il dubbio sui presupposti e la sua compatibilità con il dolo ….….………... 68

3.2 Il dolo eventuale e la sua compatibilità con la fattispecie del riciclaggio

…………………………………………………………………………..….…...….… 74

4. LA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE 12433/2009

4.1 Il caso e il rinvio …………………………………………………………..….... 80

4.2 La risposta delle Sezioni Unite: la “sufficienza” del dolo eventuale ……... 84

4.3 Il dolo eventuale: analisi storica-comparatistica e posizione assunta dalla

Corte ………………………………………………………………….……..…........ 92

4.4 La formula di Frank ……………….……………………………….…..…..….. 100

5. L’ESTENSIBILITÀ DEL CONTENUTO DELLA SENTENZA E LE SUCCESSIVE

DECISIONI IN TEMA DI RICICLAGGIO ………..……………………...…….…. 111

6. IL CASO DEL RICICLAGGIO NEI RAPPORTI OBBLIGAZIONARI E

FAMIGLIARI: UNA DIVERSA VALUTAZIONE DEL DOLO? ..................... 120

7. PROBLEMATICHE NELLA VALUTAZIONE DEL DOLO EVENTUALE

………………………………………………………………………...….……….… 126

6

CAPITOLO 4

LE PROSPETTIVE DI RIFORMA

1. LA POSSIBILITÀ DI UN RICICLAGGIO ‘COLPOSO’? ……….……............. 132

2. LE PROPOSTE LEGISLATIVE E L’INDIFFERENZA DELL’ELEMENTO

SOGGETTIVO: FOCUS SULLA COMMISSIONE GRECO E LA COMMISSIONE

GAROFOLI ……………………………………………….………………..……….….. 137

VALUTAZIONI CONCLUSIVE

……………………………………………….……………..………………...…... 153

BIBLIOGRAFIA

…………………………………………………………………….…….….…….. 159

7

CAPITOLO 1

IL QUADRO DI RIFERIMENTO

1. INTRODUZIONE

1.1 Premessa

Il tema del lavoro è la complicata materia dell’elemento soggettivo nella fattispecie

del riciclaggio.

Come è frequente nelle figure delittuose, il problema risiede nel labile e incerto

confine fra la colpa cosciente e il dolo eventuale.

Tuttavia, all’interno del reato qui analizzato, la questione risulta, per quanto possibile,

persino più difficoltosa rispetto alle classiche situazioni in quanto l’elemento

intellettivo si manifesta su diversi livelli che verranno, all’interno dello scritto,

analizzati nello specifico.

Verrà in primo luogo dato rilievo al dolo nel suo rapporto con le condotte, in

particolare con riferimento all’idoneità del comportamento del soggetto attivo a

mascherare l’origine delittuosa, e, in secondo luogo, verrà analizzato il vero cuore del

lavoro, cioè l’incertezza ‘interna’ all’agente sulla origine delittuosa del valore.

Si partirà dall’evoluzione della fattispecie la quale risulterà poi avere un ruolo rispetto

l’analisi dell’elemento soggettivo, influenzandone tuttora l’interpretazione.

Come secondo punto verrà brevemente analizzata la fattispecie e i suoi caratteri

fondamentali, così da poter aver un quadro, seppur generale, del delitto.

Successivamente si arriverà al core del lavoro, al punto focale, cioè la delicata

questione del dubbio sull’origine da delitto del bene.

8

Come vedremo, vi è stata una risposta della giurisprudenza con le Sezioni Unite

della Cassazione nel 20091, la quale ha affermato la possibilità di configurare il reato

anche in presenza del solo dolo eventuale rispetto la conoscenza dell’origine e di

una sua valutazione attraverso la c.d. formula di Frank.

Ciò non di meno, il problema non risulta pienamente risolto perché, anche se

astrattamente funzionante, in concreto risulta difficilmente applicabile, se non

addirittura inattuabile, dal giudice dato l’arduo compito di dover penetrare nella

coscienza del soggetto attraverso degli indizi spesso non univoci.

Potrebbe risultare così una situazione pericolosa in cui ogni organo giudicante

potrebbe leggere diversamente una medesima situazione con il rischio di una

carenza del rispetto di certezza.

Infatti l’elemento soggettivo concederebbe al magistrato un potere enorme

consistente nella possibilità di scegliere se qualificare una situazione incerta come

riciclaggio o meno tramite una ‘libera’ interpretazione della incertezza del soggetto

agente la quale potrebbe essere inquadrata come semplice colpa oppure come

un’accettazione del rischio.

Proprio per questa ragione verranno analizzate le difficoltà che persistono e le

possibili soluzioni compresa la possibilità di un ulteriore intervento del legislatore

attraverso la creazione della nuova fattispecie di riciclaggio ‘colposo’.

In aggiunta, nello svolgimento del tema, troverà spazio anche l’analisi delle proposte

legislative di riforma del delitto al fine di evidenziare la percezione da parte degli

operatori giuridici della questione e delle soluzioni a cui propendono.

1 Cass. Pen. Sez. Un., 26 novembre 2009, n. 12433, in CED Cassazione penale 2009, Rivista penale 2010, 5, 483, Cassazione Penale 2010, 7-8, 2548, Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale 2011, 1, 300;

9

1.2 Evoluzione storica del riciclaggio

La fattispecie del riciclaggio è stata preoccupazione per il nostro legislatore solo nel

periodo recente, soprattutto rispetto la trattazione di ipotesi di reato contigue come la

ricettazione e il favoreggiamento.

Infatti il delitto fa la sua comparsa nel panorama del diritto italiano solo sul finire degli

anni ’80 e non avrà, specialmente nei primi anni, un ruolo rilevante all’interno

dell’ordinamento.

In Italia il suo primo inserimento nella legislazione avviene tramite il ricorso alla

decretazione di urgenza2.

Si tratta nello specifico del d.l. 21 marzo 1978 n.59, convertito, con modificazioni,

dalla l. 18 maggio 1978 n. 191 che introduce nel nostro codice un articolo ad hoc,

l’art. 648-bis3 modellato “sui reati di ricettazione e favoreggiamento reale” 4.

In precedenza la condotta di sostituzione di denaro o valori poteva essere ricondotta

alternativamente, a seconda dell’atteggiamento soggettivo, nell’ipotesi di tentata

ricettazione o di tentato favoreggiamento5.

L’art. 648-bis c.p. riproduceva i caratteri degli artt. 648 c.p. e 379 c.p., anticipando il

momento consumativo dei suddetti delitti e comprendendo nella sfera della rilevanza

penale comportamenti che potevano sfuggire all’ambito applicativo delle fattispecie-

madri.

2 V. S. Faiella, Riciclaggio e crimine organizzato transnazionale, Giuffrè Editore, Milano, 2009, 12; 3 Nel d.l. 21 marzo 1978 n. 59 all’art. 3 viene decretato che: “Dopo l'art. 648 del codice penale è aggiunto il seguente: "Art. 648-bis - (Sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione). - Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque compie fatti o atti diretti a sostituire denaro o valori provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata o di sequestro di persona a scopo di estorsione, con altro denaro o altri valori, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto del reato, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da lire un milione a venti milioni. Si applica l'ultimo comma dell'articolo precedente"; 4 Così Cass. pen. 15 aprile 1986, CP, 1988, 859; 5 Cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio (art. 648 bis c.p.): aspetti dogmatici e problemi applicativi, Giappichelli, Torino, 2008, 2;

10

A ben vedere la ‘scoperta’ del riciclaggio6 da parte del nostro ordinamento risulta

essere il frutto di una sorta di evoluzione della fattispecie-madre di cui all’art. 648 del

codice penale.

Prima di tutto è rilevante il fatto che l’introduzione dell’art. 648-bis avvenga appena

dopo tre anni dalla modifica del reato di ricettazione avvenuto nel 19757.

A seguito di questa modificazione la norma di cui all’art. 648 c.p. inizia a svolgere

una funzione che originariamente non le competeva.

Questo snaturamento era frutto di una scelta politico criminale del legislatore di

quegli anni che voleva punire con maggior severità comportamenti valutati

particolarmente pericolosi.

In aggiunta è interessante notare che la fattispecie del riciclaggio sia stata collocata

proprio subito dopo la norma della ricettazione, all’interno del titolo XIII intitolato “Dei

delitti contro il patrimonio”, capo II, cioè quello riguardante i “Delitti contro il

patrimonio mediante frode”.

Il continuum fra le due ipotesi delittuose ha permesso anche una lettura del

riciclaggio come una “fattispecie di particolare ricettazione”8 proprio per sottolineare

lo stretto legame intercorrente fra queste due figure.

Questo stretto collegamento fra le due ipotesi delittuose ebbe, ed ha tuttora, delle

ripercussioni sulla valutazione della allora nuova fattispecie, e, in particolare, per

quello che qui ci interessa, per la valutazione degli elementi in comune, quale è il

dolo sulla conoscenza dell’origine.

6 Il termine, in questo caso e ogni volta che sarà riferito alla legge del 1978, è utilizzato impropriamente dato che la versione originale non recava la dizione di riciclaggio. Questa venne adottata per la prima volta solo nel 1990. Tale mancanza di dizione risulta essere sintomatica di un’assenza di percezione e di consapevolezza della creazione di una nuova fattispecie di reato autonoma. Difatti il nuovo articolo era visto più come una sorta di allargamento dei delitti già radicati nella nostra legislazione; 7 A seguito della l. 22 maggio 1975 n. 152, art.15; 8 Così, Cass. pen., sez II, 19 settembre 1988, GP, 1990, III, c. 94;

11

La norma originalmente era rubricata come “Sostituzione di denaro o valori

provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a

scopo di estorsione”.

Caratteristica propria della fattispecie era una sua costruzione in termini di attentato

essendo punito il semplice compimento di fatti o atti diretti alla sostituzione delle

utilità provenienti da delitto con altre utilità.

Nella sua formulazione originaria il riciclaggio prevedeva un dolo specifico

alternativo9 di ricettazione o di favoreggiamento reale.

Infatti il delitto poteva qualificarsi come tale solo se si era in presenza del “fine di

procurare a sé o ad altri un profitto” al pari della previsione dall’art 648 del codice

penale o, in alternativa, dalla finalità di “aiutare gli autori dei delitti suddetti ad

assicurarsi il profitto del reato” previsto invece dall’art. 379 del codice penale.

In aggiunta, il fatto che il reato venisse applicato solo con riferimento alla sostituzione

di “denaro o valori provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata

o di sequestro di persona a scopo di estorsione” rendeva ulteriormente limitata una

sua possibile applicazione, restringendone, ancora una volta, il campo di azione.

Questa scelta dei delitti presupposto, considerando anche la più pesante sanzione

prevista dalla normativa in questione rispetto le due ‘vecchie’ fattispecie di

ricettazione e favoreggiamento, era motivata da una valutazione di maggiore

pericolosità per la sovranità statale dei comportamenti in essa indicati, in quanto

collegati con i fenomeni di terrorismo “politico” finanziato attraverso le rapine e quello

che la cronaca soprannominava “l’industria dei rapimenti e dei riscatti”10.

9 Cfr. M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Giuffrè, Milano, 1997, 347; 10 V. R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza: normativa e prassi applicative, Giuffrè Editore, Milano, 2011, 49; v. anche M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 3;

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Non è un caso che in quel periodo l’Italia, proprio a causa del clima politico-sociale,

stava vivendo quelli definiti come gli “anni di piombo” culminati nel rapimento e

nell’omicidio dell’Onorevole Aldo Moro.

Con l’introduzione nel nostro sistema penalistico della norma sul riciclaggio si voleva

allora impedire il finanziamento delle attività terroristiche attraverso il compimento dei

reati presupposto elencati nella norma.

La funzione dell’articolo era dunque quella di rendere maggiormente afflittiva la pena

e di estendere la tutela a fatti o atti diretti a sostituire o ad aiutare, qualora tali

condotte non ricadessero già nella sfera di applicazione del favoreggiamento e della

ricettazione.

Si voleva in questo modo combattere i reati presupposto, piuttosto che la fattispecie

del riciclaggio in sé.

Ciò non di meno, la giurisprudenza colse al volo l’occasione per utilizzare al meglio le

possibilità offerte dalla nuova fattispecie.

In primis, venne data rilevanza al fatto che la nuova figura criminale anticipasse il

livello della tutela11, il che sarebbe anche elemento differenziante rispetto i delitti di

favoreggiamento e ricettazione.

In secundis, viene estesa l’operatività alle condotte di provenienza delittuosa anche a

quelle solo mediate.

Tuttavia questa seconda interpretazione è stata soggetta a forti critiche in ragione del

divieto di analogia delle norme penalistiche.

Già da questa primitiva versione del delitto era prevista l’esclusione della

responsabilità del concorrente del reato.

11 Cfr. Cass. pen., sez II, 83/160353, in Crespi-Stella-Zuccalà, Commentario breve al Codice penale, Padova, 1994, sub art. 648-bis, 1487;

13

Nonostante questa prima adozione legislativa la diffusione del fenomeno non diminuì

proprio a cause della limitata portata della norma.

Si decise allora, dopo alcuni anni, anche al fine di rispettare gli obblighi

internazionali12, per un primo intervento di modifica dell’articolo 648-bis c.p.

attraverso la L. 19 marzo 1990, n. 55.

Nello specifico fu l’art. 2313 della suddetta legge a modificare la normativa e fece per

la prima volta la sua apparizione nella rubrica il termine riciclaggio.

Oltre a questa modifica formale la legge ampliò la categoria dei reati presupposto al

fine di ricomprendervi i delitti riguardanti “la produzione e il traffico di sostanze

stupefacenti e psicotrope”; ampliamento non indifferente considerando che

specialmente lo spaccio di droga risultava essere una delle fonti principali di denaro

utilizzata per compiere il riciclaggio.

In aggiunta si affiancava alla originaria condotta di sostituzione di denaro o altre

utilità anche la condotta di chi ostacolava l’identificazione della loro provenienza da

delitto.

Di rilevanza, soprattutto per lo studio che qui viene condotto, è la riforma da parte del

legislatore del 1990 all’elemento soggettivo del delitto: viene eliminato il dolo

specifico dato dal “fine di procurare a sé o ad altri un profitto o ad aiutare gli autori

dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto del reato”.

La nuova norma aveva così perduto la tipica struttura dei reati di attentato.

12 V. Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico delle sostanze stupefacenti, adottata a Vienna il 19 dicembre 1998; 13 Il seguente articolo modifica l’allora art.648-bis c.p. come segue: "Art. 648-bis. (Riciclaggio). - Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce denaro, beni o altre utilità provenienti dai delitti di rapina aggravata, di estorsione aggravata, di sequestro di persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, con altro denaro, altri beni o altre utilità, ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza dai delitti suddetti, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire due milioni a lire trenta milioni. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. Si applica l'ultimo comma dell'art. 648";

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Oltre alla originaria condotta della sostituzione veniva aggiunta anche quella

consistente nella frapposizione di un ostacolo alla rintracciabilità dell’origine.

La pena veniva aumentata da dieci a dodici anni e veniva aggiunta una circostanza

aggravante per chi commettesse l’operazione di riciclaggio nell’esercizio di attività

professionale.

In aggiunta va segnalato che l’art. 24 della legge del 1990 ha inserito all’interno del

codice penale l’art. 648-ter consistente nel reato di “impiego di denaro, beni o utilità

di provenienza illecita”, il cd. reimpiego.

L’inserimento di questa nuova fattispecie e la differenziazione che viene compiuta fra

la condotta di sostituzione e reimpiego sottolineano la nascita di una certa

considerazione circa la pericolosità del riciclaggio in sé, ora considerato e non più

valutato solo come accertamento del reato a monte.

Il delitto inizia così ad acquistare una propria autonomia14.

Sempre su spinta dell’Unione Europea15, a causa dell’inadeguatezza della normativa

e la rapida espansione del fenomeno, a distanza di soli tre anni venne ratificata la L.

9 agosto 1993 n. 328 che attraverso l’art. 4 sostituì la vecchia formulazione del 648-

bis c.p. con la nuova e attuale disposizione.

Importanti sono state le novità introdotte dalla normativa.

Prima di tutto venne eliminato il circoscritto specifico elenco dei reati presupposto

che venne sostituito da una formula aperta: “delitto non colposo”.

Attraverso questa modifica il legislatore mirava a colpire un campo di azione di più

vasta portata rispetto alle precedenti formulazioni le quali, peraltro, tendevano a

colpire solo un scarso numero di reati, lasciando così impunite quelle situazioni,

14 Mi sembra sempre interessante notare come, con la dizione “riciclaggio”, la fattispecie acquisisce anche rispetto al suo contenuto una, almeno maggiore, autonomia che risulta indice della maggiore consapevolezza del valore della norma da parte del nostro legislatore; 15 V. Convenzione n. 141 sul “riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato” adottata dal Consiglio d’Europa di Strasburgo dell’8 novembre 1990;

15

anche di gravissima intensità criminale, in cui il denaro sporco proveniva da un delitto

non elencato come, ad esempio, da associazione a delinquere di stampo mafioso.

In secondo luogo la nuova disciplina veniva ricostruita, come nella sua prima

versione italiana, in termini di attentato a seguito della introduzione della formula “in

modo da ostacolare l’identificazione”.

In terzo luogo vengono modificate le condotte che comporterebbero la

configurazione del delitto in esame.

Alla originaria condotta della “sostituzione” si affiancano le condotte del

“trasferimento” e della generale espressione “altre operazioni”.

Questa scelta del legislatore e l’introduzione della espressione “in modo da

ostacolare” ha ampliato in misura considerevole il campo applicativo della norma,

forse in modo eccessivo dato che, con questo dilatamento, l’ambito di applicazione

della fattispecie-madre della ricettazione rischia di essere eroso16.

1.2.1 L’ampliamento delle condotte tipiche

La presenza di così limitate ipotesi di reato presupposto nell’originaria formulazione è

dovuta al carattere di urgenza con cui il legislatore nel 1978 ha adottato la normativa.

Come sopra detto, la scelta era dovuta a una specifica valutazione politico-criminale

da parte degli operatori per combattere la figura del terrorismo.

Tuttavia, il circoscritto elenco di reati presupposto creava non poche difficoltà

applicative con riferimento alla valutazione del dolo.

16 Sul punto v. U. Liguori in a cura di A. Manna, Riciclaggio e reati connessi all'intermediazione mobiliare, UTET, Torino, 2000, 83;

16

Arduo, se non impossibile, era il compito di chi doveva provare che il soggetto

agente della fattispecie di sostituzione fosse a conoscenza del fatto che il denaro o

l’utilità provenisse proprio da una di quelle fattispecie tipizzate.

In aggiunta era sufficiente una semplice errata valutazione da parte del colpevole

sulla provenienza del bene per far si che il dolo non si configurasse e che la

fattispecie non trovasse applicazione.

Per esempio ritenendo il valore proveniente da un delitto diverso rispetto a quelli

indicati nella normativa, ben il reo poteva trovare una solida difesa dalle accuse del

reato in questione.

In altre parole ci si poteva difendere dall’accusa di riciclaggio semplicemente

asserendo di conoscere della provenienza illecita dell’utilità, ma di avere, in ‘bona

fides’, creduto che provenisse da un diverso crimine.

Una possibile applicazione della fattispecie del riciclaggio poteva avvenire solo

tramite l’utilizzo del dolo eventuale che però comportava anche un rischio di

ingerenza con la ricomprensione della colpa con previsione.

Ciò nonostante una seria applicazione della norma era veramente rara come

testimoniato dalla quasi assenza di precedenti giurisprudenziali.

Proprio al fine di fronteggiare queste complicazioni, la legge del 1993 ha ampliato la

gamma dei possibili reati presupposto a tutti i delitti non colposi svincolando così la

fattispecie di cui all’art. 648-bis c.p. (e anche all’art. 648-ter) dai delitti in precedenza

specificatamente elencati.

Questo ha portato ad una maggiore somiglianza tra la fattispecie del riciclaggio e

quella di ricettazione.

Proprio questa stretta analogia tra le due norme permette di poter estendere le

conclusioni giurisprudenziali a cui si è giunti per la ricettazione anche alla fattispecie

contigua, soprattutto per quel che riguarda la prova della conoscenza delituosa.

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Dunque, sarà sufficiente la consapevolezza di porre in essere una delle condotte

previste su una utilità proveniente da delitto senza che rilevi il fatto che l’attore del

riciclaggio si configuri un delitto diverso da quello concretamente avvenuto.

Inoltre, ai fini della prova della conoscenza, ben questa si può dedurre anche da

elementi indiretti, ma comunque di non equivoca valutazione quali, per esempio, le

modalità o il comportamento dell’agente post ricezione.

Sempre sullo sfondo rimane il pericolo concreto di una possibile equiparazione del

giudice della conoscenza al mero dubbio dell’agente.

Alla riforma del 1993 va riconosciuto il merito di avere superato parte delle relative

difficoltà del passato, permettendo un enorme sgravio alle incombenze del

magistrato; ciò non di meno il problema della conoscenza della provenienza

delittuosa rimane in tutta la sua gravità, soprattutto qualora il soggetto agente si trovi

in una situazione di incertezza.

1.2.2 L’eliminazione del dolo specifico

Il vecchio articolo 648-bis c.p. richiedeva, per il configurarsi della fattispecie, la

presenza di un dolo specifico alternativo di ricettazione o favoreggiamento.

Sul piano puramente conoscitivo, la norma richiedeva la rappresentazione della

condotta diretta ad attuare la sostituzione in aggiunta alla conoscenza della

provenienza dei beni dai reati elencati, mentre, sul piano volitivo, richiedeva appunto

il dolo specifico previsto dall’art. 648 c.p. e quindi al “fine di procurare a sé o ad altri

un profitto”, o, alternativamente, quello previsto dall’art. 379 c.p. cioè quello di

“aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto del reato”.

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L’originaria formulazione aveva la funzione di punire quei comportamenti che

concretamente fossero finalizzati al raggiungimento dell’obiettivo e che quindi si

dimostravano idonei al raggiungimento dell’interesse tipizzato nello scopo17.

Il dolo specifico era stato previsto dalla normativa come guida per selezionare le

modalità della condotta, richiedendosi una certa attitudine del comportamento

dell’agente al raggiungimento dello scopo.

Non a caso anche la giurisprudenza18 riteneva il diverso contenuto del dolo quale

carattere distintivo rispetto la ricettazione e il favoreggiamento.

Il fine del soggetto dovrebbe determinare la stessa scelta dell’agente e,

successivamente, condizionare anche la sostituzione proprio per permettere che la

condotta prevista dalla norma venga posta in essere.

Era quindi lo scopo che, con la sua funzione di motore e condizionante19 del

comportamento del reo, aveva la funzione di selezionare poi quali sarebbero state in

concreto le modalità della condotta che rilevavano.

Assumendo per vero quanto sopra detto, allora il possibile scopo della scomparsa

del dolo specifico nelle successive riforme del 1990 e del 1993 dovrebbe essere

quello dell’intenzione del nostro legislatore di poter selezionare già astrattamente le

modalità del comportamento rilevanti ai fini dell’applicazione della fattispecie.

In aggiunta a questa finalità principale, l’eliminazione dello stesso aveva l’ulteriore

compito di dar maggior rilevanza allo scopo al quale l’agente mirava attraverso

l’estrinsecazione della condotta, a scapito del fine per cui ha agito.

Tuttavia, in particolar modo con l’ultima riforma e l’inserimento della espressione “in

modo da ostacolarne l’identificazione della loro provenienza”, almeno per una parte

17 V. G. Forte in a cura di A. Manna, op. cit., 178; 18 Cass. pen. 24 ottobre 1986, GI, 1988, II, 164; 19 V. G. Forte, ult. cit.;

19

dei giuristi, si potrebbe leggere una sorta di reintroduzione del dolo specifico o di una

sua forma alternativa.

Questa problematica sarà preoccupazione nei successivi capitoli, per ora rilevando

solo la possibile questione che è sorta a seguito dell’evoluzione della fattispecie.

1.3 La fattispecie

1.3.1 Gli stadi del riciclaggio: collocamento, stratificazione, integrazione

Il riciclaggio risulta essere un fenomeno molto complesso, come solo una vera e

propria attività finanziaria può essere.

Parte di questa complessità della struttura deriva dal comportamento dell’operatore

giuridico che, modificando e rendendo la norma sempre più completa e descrittiva,

spinge il criminale a sua volta ad ingegnarsi al fine di scoprire nuovi metodi per

sfuggire al suo campo applicativo.

Relativamente al lato microeconomico, il riciclaggio si configura come un’operazione

poliedrica dato che sono innumerevoli le modalità adeguate a ripulire i proventi illeciti

per poi rimetterli nel circuito economico.

Tuttavia, si possono identificare delle fasi costanti, cioè sempre presenti, o quasi,

perché funzionali allo scopo di ripulitura e riutilizzo delle utilità delittuose.

In generale, dunque, si possono identificare tre fasi20, le cd. fasi del riciclaggio che

normalmente seguono questo ordine:

20 Per la tripartizione in placement-layering-integration cfr. fra i tanti Bank of England, Guidance Notes for Banks and Buildings Societie, dicembre 1990; ma è stata anche ripresa nel primo rapporto GAFI (v. Group d’action finanziere, Le lutte contre le blanchiment de capitaux, rapport demandè par les Chefs d’Etat lors du Sommet de l’Arche, la documentacion française, Parigi, 1990, 92 ss.; v. anche Department of the Tresury, United States Custom Service. Tipology of Money Laundering, Whashington, 1989); cfr. in Italia su tutti M. Zanchetti, Il riciclaggio, cit., 14 ss. In precedenza la dottrina (v. Pecorella voce Denaro, 369) individuava due sole fasi: il money laundering consistente in operazioni a breve termine finalizzate a modificare il più possibile l’oggetto del provento ed il recycling

20

1. Placement o “piazzamento”;

2. Layering o “stratificazione”;

3. Integration o “impiego”.

La prima fase corrisponde al semplice collocamento dei beni o altre utilità provenienti

da delitto.

Il placement ha forma libera nel senso che le condotte che possono integrare questa

fase sono pari al numero di comportamenti idonei che un soggetto può immaginare,

come per esempio il deposito, l’acquisto di beni, lo smurfing21, ecc.

Solitamente l’obiettivo di questa fase è lo scambio di contanti con moneta strutturale

così da aversi un’astrazione del denaro e, di conseguenza, una maggiore difficoltà di

conoscenza circa l’origine del valore.

La seconda fase richiede che vengano compiute operazioni al fine di separare le

utilità illecite dalla loro fonte, cioè dal delitto.

Il nome ‘stratificazione’ deriva proprio dal fatto che vengono posti degli ‘strati’,

solitamente operazioni finanziarie, che si interpongono fra il bene e la sua

provenienza.

Questa fase rappresenta il cuore del riciclaggio, dato che proprio in essa, vengono

poste in essere le operazioni di ‘lavaggio’ del denaro al fine di rendere più difficoltosa

la lettura del paper trail, cioè la pista di carta la quale, ripercorsa a ritroso, dovrebbe

condurre alla origine del bene.

Quindi tramite questa fase si cerca di rendere la tracciabilità sull’origine il più incerta

possibile o, addirittura, di spingere le autorità a credere una legittima provenienza

dell’utilità.

consistente in operazioni a lungo e medio termine per collocare i fondi ripuliti all’interno del ciclo economico; 21 Per smurfing, che deriva dalla parola inglese Smurf, protagonisti della omonima serie animata dei Puffi, si intendono quelle operazioni di frazionamento dei versamenti attraverso l’accensione di una pluralità di conti correnti presso una banca o più banche, anche grazie all’aiuto di teste di legno;

21

Come per la fase del placement, anche qui il numero delle condotte atte a

‘stratificare’ sono potenzialmente infinite: si possono creare falsi paper trail al fine di

disorientare e per far credere l’origine lecita del bene, ci si può appoggiare a società

off-shore, ecc.

In aggiunta, con l’avvento della tecnologia, la velocità delle transazioni e di

conseguenza le possibilità di stratificazione aumentano esponenzialmente, rendendo

ancora più ardua la ricostruzione della pista di carta.

Infine, la terza fase richiede che, una volta che le utilità siano state ripulite attraverso

le operazioni della precedente fase, queste vengano integrate con gli altri beni di

origine lecita.

Questa fase non è che il fine ultimo, tutto ciò a cui erano diretti i comportamenti delle

fasi precedenti del riciclaggio.

Dopo essere stati ripuliti a seguito del successo delle due precedenti fasi, i proventi

del delitto appariranno al terzo stadio come di origine lecita e potranno quindi

circolare liberamente all’interno dei circuiti finanziari.

Anche in questo caso le modalità di attuazione sono pressoché infinite anche se

possono presentarsi alcune limitazioni dovute al valore dell’utilità.

Infatti, quando le cifre sono di notevole rilevanza, al fine di risultare meno vistose, ci

si avvale di intermediari come le società che possono gestire enormi patrimoni senza

dare visibilità ai movimenti.

Anche se le modalità sono innumerevoli, alcune di esse risultano più frequenti delle

altre come, per esempio, il loan back, che altro non è che un prestito a se stesso.

Va segnalato comunque che non risulta necessario stratificare al fine di dare

apparenza lecita al bene in quanto, in alternativa, si potrebbero mischiare con beni di

origine lecita così che i primi si confondano o fondino con i secondi in modo tale da

apparire essi stessi come di origine lecita (c.d. commingling).

22

Il termine riciclaggio dovrebbe riferirsi a tutte e tre le fasi e non solo alla fase del

semplice lavaggio (layering).

La fattispecie di cui al 648-bis c.p., dunque, difficilmente si esaurirebbe in un’azione,

ma sarà frutto di un processo complesso.

Questo è dato dal fatto che è difficile poter immagine una singola operazione che

possa far apparire come lecito il provento di un delitto.

Volendo definire il riciclaggio si potrebbe dire che è il “complesso di operazioni

necessarie per attribuire una origine simultaneamente lecita a valori patrimoniali di

provenienza criminosa. La singola operazione di riciclaggio dovrebbe essere

identificata come ogni passaggio di questo processo”22.

Tuttavia la definizione legislativa di riciclaggio non combacia perfettamente al

substrato economico.

Questo comporta, a livello normativo, che la definizione del reato corrisponde a

qualsiasi operazione di piazzamento o stratificazione e talvolta anche di impiego.

Ciò non di meno potrebbe accadere che il placement venga valutato come concorso

nel reato base con la conseguente esclusione dalla fattispecie del riciclaggio, oppure

che l’integration venga qualificata come impiego allo stesso modo in cui viene

considerata nella norma penale.

22 Così M. Zanchetti, Il riciclaggio, cit., 17;

23

1.3.2 Il bene giuridico tutelato

Per comprendere l’oggetto giuridico tutelato dalla normativa, bisogna partire dalla

sua collocazione all’interno della legislazione penale.

La fattispecie di cui al 648-bis c.p. è stata posizionata originariamente, e li è rimasta,

nella parte del codice dedicata ai “Delitti contro il patrimonio” di cui al titolo XIII.

Tuttavia le successive modifiche legislative hanno sempre più sottolineato i limiti di

questo posizionamento.

La ragione sistematica per cui la norma è stata posta in quella collocazione è

mantenere la vicinanza fra la fattispecie del riciclaggio e la ricettazione dalla quale è

derivata.

La dottrina maggioritaria, se non unanime, sostiene tuttavia che il carattere della

patrimonialità non sia più rilevante di altri aspetti, tanto è che, a seguito

dell’ampliamento dei reati presupposto e delle condotte, l’interesse patrimoniale

potrebbe addirittura risultare non presente come nel caso di corruzione per atti di

ufficio23.

L’orientamento a oggi maggioritario, dunque, sostiene ed è concorde nel ritenere che

il delitto in questione abbia una natura plurioffensiva.

Ciò non di meno, all’interno di questo filone, vi sono alcune discrepanze circa quale

risulta poi essere il bene principale che questa norma mira a proteggere.

Parte della dottrina e della giurisprudenza24 ritengono che la tutela è rivolta in via

principale all’amministrazione della giustizia e, in modo ancora più specifico, alle

23 V. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, 23; 24 Fra i tanti per la dottrina v. M. Zanchetti, op. cit., p. 390. L’autore afferma che “l’interesse fondamentale tutelato degli artt. 648, 648-bis, 648-ter c.p. non può che essere l’amministrazione della giustizia, intesa come impegno generale alla persecuzione di qualsiasi reato...”; Fra i tanti per la giurisprudenza v. Corte Cost., 19 luglio 2000, n. 302 in Cass. pen., 2001, 16. Secondo questa sentenza “è opinione largamente condivisa che le figure criminose di cui agli art. 648-bis e 648-ter c.p. delineino reati plurioffensivi, i quali vedono relegata in secondo piano la tutela del patrimonio

24

investigazioni circa le origini del bene da delitto, indagini attraverso cui si può

giungere all’identificazione degli autori del reato presupposto.

Questa valutazione dell’oggetto principale della fattispecie del riciclaggio

permetterebbe di evitare un dilatamento eccessivo nell’applicazione della fattispecie,

già ampliamente abusata, dato che tende a mettere in luce il fatto non si ricadrebbe

nel riciclaggio qualora la condotta dell’agente non sia idonea a interporre ostacolo

per le investigazioni25.

Ovviamente non mancano voci contrarie.

Parte degli operatori26, infatti, ritiene corretta la valutazione finale, ma errata la

premessa.

Secondo questa diversa interpretazione, il fatto della mancata applicazione della

fattispecie non sarebbe tanto dovuta al fatto che il bene tutelato dalla norma non sia

stato leso, quanto piuttosto che l’agente non ponga in essere una condotta capace di

rendere quantomeno più difficoltosa l’individuazione dell’origine e, quindi, il suo

comportamento non sarebbe idoneo a configurare il delitto.

Non di meno il riciclaggio non tutelerebbe solo l’amministrazione della giustizia, ma

anche altri interessi pubblici, su tutti l’ordine pubblico e l’ordine economico, visto e

considerando che, con riferimento al primo interesse, molti dei soggetti agenti dei

reati presupposto sono autori di delitti a forte connotazione criminale quali

l’associazione a delinquere e lo spaccio di stupefacenti e che, dal punto di vista

economico, una volta ‘lavato’, il denaro sporco torna, nella sua veste lecita, a

circolare sui circuiti economici.

individuale rispetto alla salvaguardia di interessi pubblici identificati, volta per volta, nell’amministrazione della giustizia, nell’ordine pubblico o nell’ordine economico”; 25 Cfr. Zanchetti, op. cit., 391; cfr. anche A. Palma, La fattispecie codicistica del riciclaggio, in a cura di C. Bernasconi e F. Giunta, Riciclaggio e obblighi dei professionisti, Giuffrè Editore, Milano, 2011, 103; 26 Cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 24;

25

Parte degli interpreti non si discosta pienamente da questo orientamento, ma tuttavia

individua il centro della protezione nell’ordine economico perché l’immissione di

denaro sporco comporta, come conseguenza, una falsata libertà di concorrenza a

scapito degli investitori di mercato onesti, con la possibilità di potere ampliare ancor

maggiormente gli effetti criminogeni.

Una lettura sotto l’aspetto economico evidenzierebbe che una situazione di questo

tipo comporta un ostacolo, un blocco allo sviluppo del mercato dato che i soggetti

‘premiati’ non corrisponderebbero a quelli più meritevoli, ma, piuttosto, a quelli che

hanno grosse disponibilità illecite, venendo così sacrificata la par condicio fra i diversi

operatori economici.

Attraverso questa ultima interpretazione, e in particolare tramite una sua lettura in

senso ampio, si potrebbe rivalutare, in un senso più moderno, il contenuto del bene

patrimonio.

L’ultima riforma ha comportato che il bene giuridico economico ha assunto un ruolo

fondamentale nell’art. 648-ter c.p., mentre nella fattispecie del riciclaggio rivestirebbe

un ruolo subordinato all’amministrazione della giustizia attraverso cui tutelare il buon

funzionamento del mercato.

Ciò non di meno l’ordine economico avrà una sua rilevanza nel momento della

ricollocazione sul mercato del denaro ripulito che rappresenterà un pericolo

soprattutto per i restanti investitori onesti sul mercato, i quali faticheranno a

confrontarsi con una concorrenza disonesta ricca di ampi fondi liquidi e a basso

costo.

26

Questa situazione potrebbe però essere letta in chiave diversa, cioè non come tutela

dell’ordine economico, quanto piuttosto una tutela del risparmio-investimento27 e in

generale del mercato.

Con i tempi moderni, l’accezione di patrimonio ha mutato la sua interpretazione da

una statica a una valutazione dinamica di investimento.

Inoltre, questa interpretazione potrebbe trovare un ancoraggio costituzionale e in

particolare agli artt. 42 (proprietà) e 47 (risparmio) della nostra Costituzione che

prevedono la tutela di due beni che occupano un ruolo preminente nella legislazione

nostrana.

Il risparmio-investimento sarebbe un oggetto, sia individuale che collettivo, di lettura

dinamica.

Quel che si cerca di evitare riguarderebbe la presenza di turbamenti anomali delle

pari condizioni di rischio negli investimenti dei risparmiatori e di destabilizzazioni del

mercato.

Si potrebbe così qualificare il delitto di riciclaggio come una forma di reato della

fattispecie della concorrenza sleale28.

27 Così M. Zanchetti, op. cit., 393; 28 Così M. Zanchetti, Il riciclaggio, cit., 395;

27

1.3.3 Il soggetto attivo

Entrando ora nell’analisi specifica della fattispecie, il punto di partenza, ovviamente,

deve essere un’attenta lettura della disciplina codicistica:

“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni

o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi

altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza

delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da lire

due milioni a lire trenta milioni.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività

professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il

quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applica l'ultimo comma dell'articolo 648.”

Orbene, già dalla prima riga si può identificare chi risulta essere il soggetto attivo:

“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque…”.

Nonostante l’indicazione apparentemente semplice che qualifica la fattispecie come

un reato comune, l’identificazione in concreto del soggetto agente risulta poi più

difficoltosa soprattutto a causa dalla clausola di riserva la quale tende ad escludere

dal reato di riciclaggio i soggetti che hanno concorso nel reato presupposto.

Interessante notare la scelta del legislatore italiano di escludere il concorrente dai

possibili soggetti attivi del reato, visto e considerando che la Convenzione di

Strasburgo aveva lasciato alle nazioni sottoscrittrici la possibilità di poter includere

anche questi.

28

La decisione di escludere il concorrente deriva dal fatto che le successive condotte di

investimento dei fondi illeciti costituiscono il normale sbocco della precedente azione

criminale.

In altre parole la funzionalità delle condotte di riciclaggio ai reati presupposto farebbe

si che la punizione del soggetto, sulla base di quanto previsto dal delitto antefatto,

farebbe perdere di valore la possibile successiva punibilità del delitto ex art. 648-bis

del codice penale.

Interverrebbe in questo caso una sorta di divieto di punire ripetutamente condotte

che risultano in realtà dotate un disvalore unitario29, nel senso che il disvalore

sarebbe già da intendersi incluso in una precedente azione che comporta la

realizzazione di un reato più grave.

Nel caso di concorso, l’ulteriore operazione di riciclaggio30 risulterà, come definito

dalla dottrina, un post factum non punibile.

Bisogna però qui fare una considerazione.

Con l’ampliamento dei reati presupposto si profila una criticità circa il ragionamento

appena compiuto.

Infatti accade, e non così di rado, di punire le condotte post delictum con una pena

spesso più afflittiva rispetto al reato base.

Passando a considerare le possibili condotte che integrano il reato di riciclaggio si

può notare come queste spesso finiscano, in concreto, con il confondersi nei tratti

espressivi della azione criminosa.

Per esempio, la “sostituzione” richiede un’attività negoziale che coinvolge più

soggetti, ma ciò avviene anche nella situazione di “trasferimento” sia inteso come

29 Cfr. A. Palma, op. cit., 105; 30 Qui non usato in senso proprio visto l’impossibilità di qualificarlo come tale dal punto di vista soggettivo;

29

mutamento di titolarità, sia inteso come trasporto fisico, e il medesimo discorso vale

anche per le “altre operazioni”.

In tutti questi casi si profila comunque un ruolo attivo nel reato base.

Essenziale per risolvere il problema della diversa qualifica fra concorso e riciclaggio

sarà l’individuazione di criteri interpretativi soprattutto nel caso in cui il compimento

del delitto di cui al 648-bis c.p. sia stato preceduto da un accordo tra riciclatore e

agente del reato presupposto.

Dottrina e giurisprudenza concordano nell’applicare le due possibili interpretazioni

adottate per la fattispecie di ricettazione basate una su un criterio temporale, l’altra

su un criterio causale.

Secondo la prima tesi, per distinguere il concorso dal riciclaggio, bisogna guardare al

tempo in cui vi è stato il contatto tra riciclatore e agente del delitto base; se l’intesa di

effettuare il delitto di riciclaggio è avvenuta prima o durante l’esecuzione del reato

presupposto, allora si tratterà di concorso, viceversa si tratterà di riciclaggio31.

Secondo un’altra interpretazione, il criterio discretivo non dovrebbe avere solo un

riferimento temporale, ma bisognerebbe piuttosto valutare guardando al caso

concreto: solo se la consapevolezza del futuro lavaggio del denaro abbia avuto

efficacia causale per la realizzazione del delitto presupposto si configurerà concorso,

in caso contrario, cioè dove la decisione dell’agente del presupposto prescinda dal

compimento del successivo delitto, si tratterà di fattispecie qualificabile come

riciclaggio.

31 Così G. Fiandaca ed E. Musco, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2008, 252;

30

1.3.4 L’oggetto materiale del reato

L’oggetto materiale del reato è individuato dalla formula “denaro, beni o altre utilità

provenienti da delitto non colposo”.

Anche l’oggetto materiale è stato tema di riforma degli interventi legislativi.

La versione originaria dell’art. 648-bis c.p. prevedeva solo “denaro o valori” di

provenienza da uno dei reati tassativamente elencati.

Il problema centrale risultava dalla valutazione del vocabolo “valori”, soprattutto con

riferimento ad utilità che, pur in possesso di un certo valore economico, non

costituissero in ogni caso un mezzo di pagamento strictu sensu, come per esempio

un immobile.

Proprio per le ragioni appena esposte il legislatore con le due riforme ha deciso di

ampliare l’oggetto materiale del reato.

Il fine della riforma è stato raggiunto, però ha comportato come conseguenza dei

problemi di incertezza circa la valutazione dei nuovi termini “beni” ed “altre utilità”.

La Corte di Cassazione32 ha specificato che i beni e le altre utilità possono essere

considerate oggetto materiale del delitto de quo qualora questi ricadano nella

definizione di bene di cui all’art. 810 del codice civile33.

Sono dunque da ritenersi tali tutte le entità che possono essere oggetto di diritti,

quindi sia beni materiali, mobili e immobili, sia beni immateriali come per esempio i

crediti.

Per quel che riguarda la nozione di utilità, questa risulta di più difficile qualificazione

delimitativa.

32 V. fra le tante Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2002, n. 5125, Lungaro, in Guida dir., 2003, 20, 101; 33 L’articolo così recita: “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”;

31

Dato che tale espressione è utilizzata dal legislatore anche nei delitti di concussione

e corruzione, si potrebbero allora estendere le conclusioni a cui è giunta la

giurisprudenza in tali situazioni.

In particolare, una sentenza del 198734 aveva dichiarato che per concetto di utilità si

intende “qualsiasi bene che costituisca per la persona o per il pubblico un vantaggio

economico o personale, qualsiasi cosa che rappresenti un interesse giuridicamente

valutabile: denaro, cosa mobile, e persino un comportamento del soggetto passivo

dal quale il terzo o il pubblico ufficiale ricavi un vantaggio”.

Anche la dottrina si è occupata della tematica criticando questo orientamento e

sottolineando che la nozione debba essere circoscritta nell’ambito di un’entità

economica definita qualificabile come provento35, dato che, mentre per la

concussione e corruzione una prestazione personale può avere valore di utilità, così

non sarebbe nella figura del riciclaggio, anche perché sarebbe impossibile giudicare

la provenienza da delitto.

Secondo aspetto problematico riguardante l’oggetto materiale è la definizione di

provenienza.

La prima questione riguarda la possibile configurazione di un c.d. riciclaggio indiretto

o a catena, cioè se è possibile qualificare come utilità, ai fini della configurazione del

delitto, anche la res di provenienza mediata, con ciò intendendosi quella che sia

stata già oggetto di un precedente ‘lavaggio’.

La dottrina e la giurisprudenza36 sono state concordi nel valutare positivamente una

comprensione della provenienza mediata.

34 Cass. Pen., sez. IV, 21 ottobre 1987, n.11662, Marinaro, in CED rv. 177064; 35 Cfr. A. Palma, op.cit., 128; 36 Cfr. Cass. pen., sez. II, 14 dicembre 2009, n. 47375, Di Silvio e altri, in CED Cassazione penale 2010 e in Rivista dei Dottori Commercialisti 2014, 1, 171.;

32

Tuttavia un nuovo problema si pone e cioè fino a che punto i continui e successivi

interventi per la pulizia permettono di qualificare l’oggetto come proveniente da

delitto.

Una possibile soluzione potrebbe essere quella di matrice tedesca per cui la

provenienza da delitto permane finché, nelle varie serie di ripuliture, non se ne

inserisca una compiuta da un terzo in buona fede, in tal modo conferendo al bene

una veste lecita.

Ciò non di meno un delinquente a conoscenza dell’origine delittuosa del bene

potrebbe abusare di una tale interpretazione decidendo di preordinare un passaggio

nella disponibilità di un terzo in buona fede, così da far perdere alla res il suo

carattere illecito.

Per eliminare questa possibilità, la dottrina37 ha affermato che nella valutazione del

concetto di provenienza un ruolo fondamentale è occupato dal dolo del riciclatore in

quanto si ricadrebbe nella fattispecie ex art. 648-bis c.p. in ogni caso, e fino a

quando, l’agente sia a conoscenza della provenienza da delitto del bene, nonostante

l’interposizione di un passaggio in bona fides.

La questione principale era ed è quella che riguarda la definizione di ‘provento’, cioè

se per essa debba intendersi esclusivamente le cose che costituiscono il prodotto o il

profitto o il prezzo del delitto o se invece vada interpretata latu sensu, ovvero sia

sufficiente la pertinenza al delitto medesimo.

Nonostante la giurisprudenza38 inizialmente lo interpretasse in modo restrittivo,

ritenendo ricadenti nella categoria solo il prodotto e profitto, ha successivamente

cambiato il suo orientamento valutandolo ora in senso estensivo così da conferire al

37 Così M. Zanchetti, Il riciclaggio, cit., 416 s.; 38 V. Cass. pen., Sez. III, 10 febbraio 2000, n. 661, Brunetti, In CED rv. 216455;

33

concetto di provento una definizione ampia, omnicomprensiva di tutto ciò che derivi

da reato39.

Attraverso la suddetta conclusione si rischia di incorrere in un problema speculare a

quello originario cioè di giungere ad un’equivalenza fra provenienza e pertinenza.

In conclusione si possono ritenere oggetto materiale di riciclaggio i beni costituenti il

prodotto, il profitto, il prezzo del delitto e, inoltre, i mezzi e gli strumenti utilizzati per

compiere il reato presupposto40.

Questo orientamento sarebbe anche suffragato, a livello europeo, dalla Convezione

di Strasburgo del 199041.

39 V. fra i tanti Cass. pen. Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti S.p.a. e altri, in CED rv 239924; 40 Cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 134; Cfr. anche Cfr. A. Palma in a cura di C. Bernasconi e F. Giunta, Riciclaggio e obblighi dei professionisti, cit., 132 s.; 41 In particolare cap. I, art. 1 che alla lettera a) definisce provento ogni vantaggio economico derivato da reati e può consistere in qualsiasi valore patrimoniale (“...any economic advantage from criminal offences. It may consist of any property...”). Valore patrimoniale è definito dalla successiva lettera b) della medesima Convenzione come qualsiasi valore, materiale o immateriale, mobile o immobile, nonché documenti legali o strumenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti (“...includes property of any description, whether corporeal or incorporeal, movable or immovable, and legal documents or instruments evidencing title to, or interest in such property...”);

34

2. L’ELEMENTO SOGGETTIVO IN GENERALE

2.1 Esposizione della problematica

La versione originaria dell’art.648-bis c.p. prevedeva la sussistenza di un dolo

specifico alternativo di ricettazione (“fine di procurare a sé o ad altri un profitto”) o di

favoreggiamento reale (“aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il profitto

del reato”).

Inoltre la norma prevedeva la consapevolezza della provenienza della cosa da uno

dei reati elencati, cioè da rapina aggravata, estorsione aggravata e sequestro di

persona con l’aggiunta poi della riforma del 1990 che prevedeva anche la produzione

o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Propriamente la norma risultava di difficile applicazione dato la difficoltà di dimostrare

un dolo così dettagliato.

Bastava infatti il semplice errore sulla provenienza, per esempio pensando

provenisse da un diverso delitto da quelli enunciati, per aversi un’esclusione della

fattispecie; inoltre, anche se questa consapevolezza era ben presente nella mente

del reo, una sua effettiva dimostrazione risultava, in concreto, quantomeno ardua.

In aggiunta, la prova del dolo si poteva fornire solo attraverso la dimostrazione di un

legame organico tra chi riciclava e chi l’aveva illecitamente prodotto, con il rischio di

incorrere in un concorso nel reato presupposto e, quindi, nella non applicabilità della

norma.

Con le successive riforme il dolo specifico (esplicito)42 scompare e rimane solo il dolo

generico; inoltre, con l’intervento legislativo del 1993, il ventaglio dei reati

presupposto si allarga notevolmente al fine anche di facilitare la prova del dolo, ora

42 Secondo alcuni, il dolo specifico sopravvive in una forma implicita attraverso la formula “in modo da ostacolare l’identificazione”, ma di questo si tratterà nei successivi paragrafi;

35

verificabile attraverso la dimostrazione di una generica consapevolezza dell’agente

circa la provenienza illecita.

Il problema viene così traslato sul contenuto dell’elemento soggettivo che deve

ricomprendere quantomeno la conoscenza dell’origine delittuosa della res e, in

aggiunta, anche la consapevolezza e la volontà di porre in essere operazioni idonee

ad ostacolare l’identificazione della fonte del bene.

Orbene, l’elemento soggettivo nella fattispecie de quo crea più incertezze che

certezze.

Prima di tutto ci sono due diversi orientamenti: uno che ritiene che l’elemento

intellettivo del soggetto agente debba essere scomposto in due momenti e l’altro che

ritiene invece che debba essere tripartito.

Altra questione è se per l’espressione “in modo da ostacolare l’identificazione”

sottintenda un dolo specifico oppure se serva solo a selezionare le condotte rilevanti

ai fini applicativi della norma.

Infine vi è la questione probabilmente più delicata, cioè l’intensità della conoscenza

della provenienza illecita e la sua effettiva dimostrazione.

2.2 La bipartizione dell’elemento intellettivo e la possibile tripartizione

L’attuale normativa richiede pacificamente che, in capo al soggetto attore, in

considerazione dell’elemento soggettivo, sussista almeno un duplice requisito

intellettivo:

a) La consapevolezza che il denaro, i beni e/o le altre utilità provengano da un

delitto non colposo;

b) La consapevolezza e la volontà di porre in essere, con una delle condotte

descritte dalla norma (sostituzione, trasferimento, altre operazioni), un ostacolo

36

per la ricostruzione del paper trail e, in particolare, ciò sia dovuto alla percezione

della loro origine delittuosa.

A queste due forme di dolo, parte della dottrina43 aggiunge una terza:

c) La consapevolezza che l’utilità, una volta ‘lavata’ e quindi aver ripreso una veste

lecita, ritorni nella piena disponibilità del ‘proprietario’.

La lett. a) evidenzia un atteggiamento psicologico che fa da fondamento al

compimento del delitto essendo un presupposto di fatto dato che la consapevolezza

sull’origine deve preesistere alla condotta perché questa possa poi essere qualificata

come riciclaggio.

Le condotte elencate dall’art. 648-bis c.p. di per sé non risultano essere connotate da

un elemento di illiceità, ma assumono tale veste solo ed unicamente in presenza di

una consapevolezza della origine delittuosa della res.

Nello stesso modo nella ricettazione non è semplicemente punita la condotta perché

posta in essere al fine di ottenerne un profitto, anche perché tutte le operazioni

commerciali sono evidentemente finalizzate al profitto, ma così come per il riciclaggio

e il rimpiego, tale condotte hanno rilevanza solo quando, e in quanto, vi sia la

consapevolezza della fonte illecita.

Nella fattispecie de quo quindi l’elemento di disvalore del delitto stesso è centrato

prima di tutto sul presupposto della condotta, cioè proprio di quella consapevolezza

di ricevere une bene delittuoso.

Si è persino ritenuto44 che, essendo tale requisito premessa e di conseguenza

preordinato o per lo meno concomitante alle condotte, esso possa essere oggetto

anche di semplice rappresentazione della situazione, senza la necessità della

volizione.

43 Cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 64 e 95 ss.; cfr. anche R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 51 s.; 44 Fra tanti cfr. M. Gallo, Il dolo. Oggetto e accertamento, in Studi Urbinati, Milano, 1951-1952, 185;

37

Formalmente questa valutazione risulta essere pienamente condivisibile.

A ben vedere, però, la rappresentazione della origine da delitto viene a formare un

tutt’uno con l’evento del riciclaggio e, dunque, con la volontà dell’autore del reato.

Con riferimento alla lett. b) è evidente che la volontà dell’agente sia quella di

ostacolare l’identificazione della provenienza da delitto della res e non

semplicemente quella di celare il rapporto tra questa utilità e un soggetto.

L’utilizzo per esempio delle c.d. ‘teste di legno’, al fine di schermare la riferibilità di un

bene, è legittimo se non utilizzato per finalità contra legem, tanto è che viene

normalmente impiegato nelle pratiche quotidiane.

È il presupposto, cioè il fatto di sapere che ha un origine illecita, che individua il

disvalore del fatto di reato.

Il reato avrà connotazione dolosa solo in quanto l’agente si sia rappresentato e abbia

voluto precisamente il fatto tipico descritto dalla norma incriminatrice nel suo

disvalore complessivo.

Ovviamente sarà poi compito del giudice valutare se sussisteva o meno questa

consapevolezza da parte del presunto reo sull’origine.

Anche se il suo compito è stato semplificato a seguito della riforma del 1993,

eliminando o per lo meno diminuendo la preoccupazione della dimostrazione di una

‘consapevolezza qualificata’, questa risulta, sul piano concreto, ancora di difficile

valutazione.

Con riferimento al punto c) si può prima di tutto sottolineare che parte della dottrina

non considera questo elemento come qualificante la fattispecie di riciclaggio non

essendo, nella maggior parte dei casi, preso in considerazione dagli autori giuridici e

non essendo nemmeno espressamente previsto dalla norma.

Tuttavia, parte della dottrina lo ha considerato come terzo e ultimo requisito

intellettivo necessario per la qualificazione della condotta di riciclaggio.

38

Secondo questi, la consapevolezza che il provento rimanga nella disponibilità

economica di chi ha generato tale utilità è un dato fondamentale che rappresenta

l’elemento cardine di differenziazione rispetto le fattispecie contigue45.

Infatti, unicamente nel delitto di riciclaggio, la ricezione del valore e la successiva

attività di ripulitura sono sorrette dalla consapevolezza e dalla volontà di agire su

un’utilità di cui si è consapevoli dell’altrui possesso.

Sarà perciò doveroso una sua restituzione una volta terminate le operazioni.

Questo orientamento ritiene che, seppur non enunciato direttamente dalla norma,

questo requisito intellettivo sia indefettibile sia a livello soggettivo che a livello

oggettivo46.

Il denaro, il bene o l’altra utilità entrano solo momentaneamente a far parte della

disponibilità del riciclatore che di tale possesso transitorio ne gode solo al fine di

ripulire il provento, il quale, tuttavia, resta sempre e comunque di proprietà di chi, in

modo illecito, l’ha ‘creato’.

Questa dottrina sostiene che non è necessario che tutti gli elementi di un reato

vengano descritti espressamente dall’articolo al fine di divenire necessari per una

applicazione della norma stessa.

Così, seppur non richiesto direttamente dall’art. 648-bis c.p., l’essenza stessa del

delitto richiede una consapevolezza che la res, una volta ripulita, ritorni in possesso

dell’originale proprietario.

L’orientamento minoritario qui proposto sostiene dunque che questa consapevolezza

della destinazione finale è elemento distintivo e fondamentale della fattispecie,

desumibile dalla stessa ratio del delitto.

45 Cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 99 ss.; cfr. anche R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 51 che dichiara che “questa è una caratteristica del delitto in oggetto che troppo spesso non viene tenuta nel dovuto conto e che invece rappresenta un carattere saliente e distintivo dell’art. 648-bis c.p. dal quale non si può prescindere nell’interpretazione della norma”; 46 Cfr. Marco Angelini, ult. cit.;

39

Mentre la ricettazione e il rimpiego sono accumunati con la fattispecie de quo dalla

consapevolezza sull’origine delittuosa del bene oggetto delle condotte, queste si

differenziano dalla condotta di riciclaggio proprio e in quanto quest’ultima richiede

tale ulteriore elemento intellettivo.

Ciò comporterebbe che, in assenza della consapevolezza di cui alla lett. c), la

possibile condotta criminale comporterà una diversa qualificazione rispetto a quella

di cui all’art. 648-bis del codice penale.

Questo orientamento minoritario tuttavia non risulta pienamente convincente, tanto è

che le sporadica giurisprudenza47 che si è espressa in materia ha esplicitamente

sostenuto che non viene richiesta dalla normativa “la finalizzazione della condotta del

reo al rientro del bene ‘ripulito’ nella disponibilità dell’autore del reato presupposto”.

Il ritorno di capitali nella mani dell’autore del delitto presupposto non risulta essere

elemento essenziale della fattispecie, risultando, semmai, motivo della condotta.

Anche a livello di prassi, soprattutto nei casi in cui il reato presupposto è frutto di un

attività posta in essere da organizzazioni criminali, risulta difficile per il riciclatore

accertarsi di un ritorno delle utilità nelle disponibilità dell’originario proprietario48.

Quindi, ad oggi, la tesi maggioritaria sostiene che il dolo generico si scompone nella

conoscenza della provenienza delittuosa e nella consapevolezza e volontà di

compiere condotte di ostacolo49.

47 V. Cass. pen., sez. I, 9 febbraio 1996, n. 871, Massenti, in Riv. pen., 1996; 48 Cfr. Ranieri Razzante, op. cit., 77; 49 Cfr. Cass. pen., sez. IV, 15 febbraio 2007, n. 6350 la quale afferma che “il dolo è generico e ricomprende, oltre alla volontà di compiere l’attività di sostituzione, di trasferimento o di ostacolo, la consapevolezza che i capitali da riciclare provengono da un delitto non colposo”;

40

CAPITOLO 2

LE CONDOTTE: LA CONSAPEVOLEZZA E LA VOLONTÀ DI FRAPPORRE

OSTACOLO

1. LE CONDOTTE E IL PAPER TRAIL

1.1 La sostituzione

L’art. 648-bis c.p. punisce “chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre

utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre

operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa”.

Si possono allora distintamente individuare le tre modalità per il compito del reato,

cioè la sostituzione, il trasferimento e le altre operazioni.

Il delitto di riciclaggio rappresenta un ipotesi di norma penale ‘a più fattispecie’

(alternative Mischegesetz), per cui la presenza di più condotte tipiche non elimina

l’unicità della previsione incriminatrice50.

Quindi anche il compimento di più condotte ivi elencate permette un’unica

applicazione dell’articolo.

La prima condotta prevista è quella di sostituzione che era già originalmente indicata

nel primo testo della fattispecie del riciclaggio.

Interessante notare che la condotta di sostituzione non era menzionata dalle

Convenzioni Europee che hanno poi portato alla riforma della fattispecie del 199351.

La ripulitura del denaro sporco attraverso la sua sostituzione risulta la condotta più

classica e più semplice con cui porre in essere il delitto.

50 R. Razzante, op. cit., 48 s.; 51 Infatti a livello europeo si parlava di “conversion” e non di “substitution”; il termine conversione, inoltre, forse sarebbe risultato più adatto a descrivere la condotta, richiedendo implicitamente un mutamento radicale dell’utilità, in tal modo ponendosi in maggior sintonia con l’intento della fattispecie di evitare la trasformazione del bene illecito in bene lecito;

41

Sostituire significa mettere una cosa al posto di un’altra che, tradotto all’interno della

fattispecie in commento, significa mettere denaro, beni o altra utilità lecita al posto di

quelle di origine delittuosa.

L’attività di sostituzione ricomprende pacificamente anche la situazione di deposito

bancario in quanto, una volta effettuato il deposito, la banca si impegna a restituire la

stessa quantità di denaro, ma comunque diverso da quello originariamente

consegnato all’istituto52.

La sostituzione attraverso cui si scambia il bene ricevuto con altro di veste lecita può

essere effettuato con le più diverse modalità come le sopra citate operazioni di

deposito, il gioco d’azzardo, il c.d. smurfing, …

La condotta di sostituzione risulta sovrapponibile a quella di ricettazione in cui viene

espressamente previsto che il delitto è configurato dalla ricezione della res illecita.

È proprio in questo senso, cioè nell’individuazione del carattere distintivo di condotte

simili, che si esplicano grandi sforzi da parte della giurisprudenza e della dottrina.

La soluzione alla questione ci è fornita da un’attenta lettura delle due fattispecie.

L’art. 648 c.p. mira ad evitare una dispersione della res o, per meglio dire, una sua

fuoriuscita dalla sfera di possesso dell’agente del reato presupposto al fine di

rendere più complicato un suo ritrovamento.

Diversamente, il focus della fattispecie di cui all’art. 648-bis c.p. è collocato

nell’impedimento di un possibile ritorno del bene in veste lecita all’agente del reato

presupposto53.

52 Fra le tante cfr. Cass. pen., sez. VI, 24 aprile 2012, n. 43534, in CED Cass. pen. 2012 che afferma: “Integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi deposita in banca danaro di provenienza illecita, atteso che, stante la natura fungibile del bene, in tal modo lo stesso viene automaticamente sostituito, essendo l’istituto di credito obbligato a restituire al depositante la stessa somma”. In senso conforme cfr. anche Cass. pen., sez. VI., 15 ottobre 2008, n. 495; 53 Cfr. fra le tante Cass. pen. Sez. II, 1 ottobre 1996, Pagano ed altri, in Foro.it, 1998, II, 116 che afferma che il reato di riciclaggio si configura quando l’autore “agisce con la finalità di ripulire i suddetti beni di provenienza illecita; tale finalità costituisce l’elemento di differenziazione rispetto alla fattispecie di ricettazione”;

42

Sarà dunque la finalità di ripulitura l’elemento differenziante e distintivo del reato di

riciclaggio rispetto al delitto di ricettazione.

Anche la ricezione si potrà configurare come condotta idonea a essere punita dalla

normativa sul riciclaggio, tuttavia non la mera condotta di ricezione, ma quando

questa rappresenti un primo passo finalizzato poi alla vera e propria sostituzione del

valore.

Il rischio evidente è quella di una possibile sovrapposizione fra le norme di cui agli

artt. 648, 648-bis e 648-ter del codice penale.

Al fine dell’individuazione della modalità tipica di realizzazione del reato è necessario

far riferimento anche all’elemento psicologico che guida il comportamento

dell’agente, in aggiunta al mero processo causale54.

L’elemento soggettivo svolge, anche in questo ambito, un ruolo fondamentale come

criterio che permette di individuare e qualificare la fattispecie corretta nel caso

concreto.

La condotta di sostituzione nel riciclaggio risulta simile e in parte sovrapponibile a

quella della ricettazione.

Tuttavia, è possibile distinguere le due fattispecie in base al ruolo diverso della

condotta alla luce della volontà dell’autore di ricercare una finalità piuttosto che

un’altra.

54 Cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 59;

43

1.2 Il trasferimento

La seconda condotta elencata dalla norma è quella di trasferimento di denaro, beni o

altre utilità di provenienza da delitto.

Tale comportamento è stato inserito nella fattispecie solo nell’ultima riforma del 1993,

a seguito dell’influenza dell’Unione Europea.

L’introduzione di questa nuova condotta nasce dall’esigenza di punire trasferimenti,

latu sensu intesi, che non possano essere qualificati come sostituzione, ma che

siano invece atti a ‘confondere le acque’.

Il termine è differente rispetto alla previsione di ‘acquisto’ di cui alla fattispecie di

ricettazione, in quanto trasferire richiede uno spostamento del bene nel patrimonio

altrui, mentre acquistare55 implica un trasferimento a sé.

La mera acquisizione, inoltre, non sarebbe punibile a titolo di riciclaggio neanche

come altra operazione in quanto si richiederebbe comunque il compimento di altri atti

univoci e diretti ad un unico fine di cui l’attività di acquistare potrebbe costituirne sola

una parte.

Il termine trasferimento risulta essere eccessivamente generico tanto che nella sua

definizione vi si potrebbe ricomprendere qualsiasi modificazione di luogo e soggetto.

Proprio per limitarne l’ambito applicativo si è sostenuto, secondo un orientamento56,

che la condotta implica il passaggio dei proventi dalla disponibilità di un soggetto a

quella di un altro individuo, non essendo sufficiente il mero distacco anche perché se

55 Nella ricettazione il termine viene normalmente interpretato come l’introduzione della res proveniente da delitto nella sfera giuridico patrimoniale dell’agente (Cfr. Bruno, Sulla nozione di << acquisto>> nel reato di ricettazione, in Foro.it, 1951, II, 180); 56 Cfr. F. Toschi, Le disposizioni relative ai delitti di riciclaggio, impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita, favoreggiamento e ricettazione introdotte o modificate dalle leggi nn. 55/1990 e 328/1993, in a cura di P. Conso, G. Insolera, L. Stortoni, Mafia e criminalità organizzata, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, Torino, 1995, 400;

44

bastasse lo spostamento da un luogo a un altro, sempre secondo tale

interpretazione, la scelta del legislatore risulterebbe “infelice”.

Tuttavia, soprattutto in considerazione di una motivazione così volubile, questa tesi

non sembra insuperabile57.

Al fine di dare una motivazione forte all’orientamento restrittivo si potrebbe

considerare che vi sia una sorta di sovrapposizione fra il termine trasferimento come

utilizzato nella fattispecie del riciclaggio e quello utilizzato all’interno della fattispecie

di trasferimento fraudolento di valori di cui all’art. 12-quinquies del D.L. n. 306/199258.

L’argomentazione in questione verrebbe anche rafforzata in considerazione dello

stretto legame esistente fra le due fattispecie.

Ciò non di meno vi sarebbe comunque la possibilità che il legislatore, in un altro

delitto, abbia voluto intendere un qualcosa di diverso.

Inoltre, il trasferimento di cui all’art. 12-quinquies, essendo fittizio, non richiederebbe

propriamente nessun movimento della disponibilità e, di conseguenza, non vi

sarebbe un effettivo trasferimento dato che l’agente del delitto da cui il valore

proviene è già il proprietario.

Si potrebbe quindi concludere sulla base di tale ragionamento che l’espressione

trasferimento potrebbe indicare solo uno spostamento di disponibilità, di possesso di

un bene da un soggetto all’altro, purché risulti effettivo e non fittizio come indicato

nella fattispecie di trasferimento fraudolento di valori.

Per far si che questo trasferimento risulti effettivo si richiede che vi sia stato un

pagamento o, per lo meno, una controprestazione di qualche genere.

57 In aggiunta si potrebbe considerare che, oltre al fatto che la nostra legislazione è ricca di vocaboli frutto di scelte infelici, quando l’operatore legislativo ha voluto escludere il semplice trasferimento nello spazio, questi lo ha esplicitamente indicato come nel caso di cui all’art. 1 della L. n. 197/1991; 58 L’articolo citato punisce “chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter del codice penale”; quindi verrebbe in questo modo sanzionato il trasferimento inteso come cambio di possessore del bene, anche se in via solo fittizia;

45

Questa effettiva modifica dell’appartenenza, in virtù del ricevimento di una

controvalore equivalente, sarebbe da qualificare più come condotta di sostituzione

che di trasferimento, proprio in ragione del fatto che il provento illecito verrebbe

sostituito dal valore lecito della controprestazione59.

Risulta dunque difficile trovare delle ragioni ferree che permettano di giustificare

l’interpretazione del termine in senso restrittivo.

D’altra parte però una sua lettura lata potrebbe portare ad includere in essa

qualunque tipo di attività.

Proprio per limitare l’eccessiva applicazione della norma, va tenuto in considerazione

che è stata prevista l’espressione “in modo da ostacolare”.

La condotta di trasferimento va quindi interpretata alla luce della idoneità di questa di

interporre ostacolo all’identificazione dell’origine delittuosa.

1.3 Altre operazioni

L’ultima condotta prevista dall’art. 648-bis c.p. sono le “altre operazioni”.

Questa scelta del legislatore ha suscitato forti critiche soprattutto in ragione della sua

indeterminatezza e assenza di tassatività.

Secondo un primo orientamento ‘costituzionalista’, il rispetto del principio di

tassatività dovrebbe imporre una lettura del termine in senso stretto e, in particolare,

in senso tecnico cioè con riferimento ad “operazioni aventi di per sé rilevanza

giuridica economica e finanziaria” 60.

59 Cfr. M. Angelini, op. cit., 67; 60 Fra i tanti cfr. R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 65;

46

Tuttavia l’esigenza di permettere alla norma di colpire tutte le ingegnose modalità

con cui può esplicarsi il riciclaggio non permette una lettura strictu sensu del termine

operazione.

Un'interpretazione in senso stretto comporterebbe una selezione oggettiva delle

condotte che possono rilevare ai fini dell’applicazione della fattispecie, selezione che

sarebbe contraria alla finalità del legislatore di creare una valvola di chiusura del

sistema proprio al fine di non far trionfare l’ingegnosità criminale.

Il legislatore, attraverso l’uso di tale espressione, mirava ad evitare delle lacune di

tutela che sarebbero potute essere oggetto di abuso.

Il termine operazione non avrebbe una funzione selettiva, caso mai avrà la funzione

di ‘spostare in avanti’ il momento consumativo del reato61.

Con il termine si dovrebbe intendere un insieme di atti tra loro coordinati e diretti ad

un unico scopo, così come viene inteso nel linguaggio comune.

Infatti, come in precedenza sottolineato, la realizzazione della fattispecie di cui all’art.

648-bis c.p. si scompone in diverse fasi e, solo al termine della condotta composta

da una pluralità di atti, si potrà parlare di operazione di riciclaggio.

Prima del compimento di quella serie di atti ci si troverà ancora nella fase esecutiva

del delitto e, di conseguenza, l’agente potrà, in caso di presenza dei requisiti di cui

all’art. 56 c.p., essere punito solo a titolo di tentativo.

Alla carenza descrittiva del termine è posto freno, ancora una volta, dalla normativa

stessa attraverso la specificazione che le condotte devono essere poste in modo da

ostacolare l’identificazione della provenienza illecita.

Non ogni operazione, quindi, risulta adatta a qualificare la fattispecie di riciclaggio,

ma si richiede un’idoneità delle operazioni, da valutare ex ante, ad ostacolare

l’identificazione dell’origine delittuosa del valore.

61 Cfr. M. Angelini, Il reato di riciclaggio, 74;

47

1.4 L’idoneità ad ostacolare l’identificazione dell’origine

1.4.1 La sua centralità nel delitto e la riferibilità a tutte e tre le condotte

Nella sua versione originale la norma non presentava nessun riferimento all’ostacolo

all’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità

e questa assenza conferma come il legislatore abbia inteso concepire l’allora nuovo

delitto come un derivato della ricettazione piuttosto che come autonoma figura

criminale.

Solo a seguito della riforma del 1990 la previsione dell’ostacolo verrà inserita

all’interno della fattispecie, la quale verrà nuovamente modificata con l’ultimo

intervento del 1993.

Per via di questa nascita ed evoluzione del reato de quo è stato complicato e lento il

concepimento del ruolo centrale che l’inciso svolge all’interno della figura criminosa.

Come in precedenza evidenziato, questa formulazione ha permesso di limitare

un’applicazione della fattispecie del riciclaggio a quelle condotte che posseggono

tale idoneità, così da evitare un eccessivo dilatamento delle maglie del delitto.

Secondo una parte della dottrina62, l’inciso “in modo da ostacolare l'identificazione

della loro provenienza delittuosa” non è da riferirsi a tutte le condotte descritte, ma va

riferito solo alla formula di chiusura “altre operazioni”.

Secondo questo orientamento, infatti, siamo in presenza di una norma a più

fattispecie che sono fra loro alternative e, in particolare, vi sono le condotte di

sostituzione e di trasferimento da una parte e quella di ostacolo dall’altra63.

62 Cfr. V. Plantamura, Riciclaggio e reimpiego, in a cura di A. Manna, Corso di diritto penale dell’impresa, CEDAM, Padova, 2010, 580 ss.; cfr. anche S. Faiella, Riciclaggio e crimine organizzato transnazionale, Giuffrè Editore, Milano, 2009, 115 ss.; 63 Questa tesi sembra ragionare sulla evoluzione compiuta dalla normativa e, in particolare, considera il delitto strutturato nella sua formulazione attuale come nella versione del delitto post riforma del 1990; infatti la legge 55/1990 prevedeva una formulazione del reato in questi termini: “... chiunque

48

La suddetta tesi limita fortemente il ruolo che l’ostacolo occupa all’interno della

fattispecie e in particolare delimita un suo utilizzo alle sole condotte aspecifiche, cioè

quelle diverse dalla sostituzione e dal trasferimento.

Attraverso questa valutazione le due condotte esemplificate dalla norma

risulterebbero slegate dal vincolo teologico di ostacolo all’identificazione della

provenienza in quanto non verrebbe a loro richiesta nessuna idoneità decettiva.

Viceversa, ritenere che l’inciso vada riferito a tutte le ipotesi ivi indicate, subendo una

reductio ad unitatem, comporterebbe che non ogni trasferimento o ogni sostituzione

sia punibile dalla norma, ma solo quando e in quanto il loro compimento comporti

un’idoneità ad ostacolare.

In realtà fra le condotte del riciclaggio non sussisterebbe un’alternatività quanto

piuttosto una continuità che può essere apprezzata a pieno solo ritenendo l’idoneità

ad ostacolare come carattere distintivo anche delle due condotte specificate.

La mera sostituzione o il mero trasferimento difettano di capacità lesiva in sé proprio

perché le condotte punibili, per risultare tali, devono essere connotate di lesività la

quale risiede nell’inciso “in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza”

che deve dunque riguardare tutte le condotte64.

L’idoneità ad ostacolare risulta dunque essere l’elemento caratterizzante della

condotta del delitto di cui all’art 648-bis del codice penale.

Soprattutto dopo la riforma del 1993, da cui non risulta più possibile una distinzione

fra delitto di ricettazione e quello di riciclaggio sulla base dei reati presupposto,

queste si distinguono, oltre che sotto l’aspetto del dolo di profitto65, per l’elemento

sostituisce […] ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza”; questa formula sottolineava una certa alternatività proprio per la presenza dell’avverbio ovvero; 64 Cfr. M. Zanchetti, op. cit., 365; Cfr. anche E. Cappa e L. D. Cerqua, Il riciclaggio del denaro: il fenomeno, il reato, le norme di contrasto, Giuffrè Editore, Milano, 2012, 70 ss.; R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 78; M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 78; 65 Infatti la fattispecie di cui all’art. 648 c.p. richiederebbe un dolo specifico di profitto, mentre per quella di riciclaggio risulta sufficiente la minore intensità del dolo generico;

49

materiale, cioè, in particolare, l’idoneità a ostacolare l’identificazione della

provenienza del bene66.

A sostegno della tesi, sicuramente maggioritaria in dottrina e giurisprudenza,

secondo cui l’idoneità di ostacolare va riferita a tutte e tre le condotte si possono

individuare alcune forti motivazioni.

Prima di tutto la collocazione sintattica, appunto parentetica, successiva alle

indicazioni delle tre situazioni.

Come secondo punto a favore si può evidenziare come, per esempio, non venga

considerato riciclatore il soggetto che pone in essere una sostituzione di denaro

qualora, sospettandone l’origine delittuosa, segnali tale sospetto alle autorità.

Argomentando a contrario, non sarebbe possibile punire una condotta totalmente

inidonea ad ostacolare le indagini.

A tutto ciò deve aggiungersi che anche in giurisprudenza, in particolare la Suprema

Corte di Cassazione, individua il comun denominatore delle tre condotte di cui all’art.

648-bis nel “rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni, e

delle altre utilità”67.

Inoltre la conclusione per cui l’inciso vada riferito a tutte e tre le condotte comporta

un triplice vantaggio.

Prima di tutto viene soddisfatto il principio di tassatività.

66 Cfr. Cass. pen., sez. II, 17 febbraio 2012, n. 19504, in Riv. Pen. 2012, 9, 864, CED Cass. pen. 2012; il caso rivolto alla corte riguardava l’aperura di conti correnti sotto falso nome del beneficiario degli assegni di provenienza delittuosa, senza nessuna manomissione sui titoli, ma presentando documenti falsi recanti le generalità del titolare effettivo degli assegni. La Corte qualificò la situazione come ricettazione e non come riciclaggio sulla base dell’assenza di un’idoneità ad impedire la conoscenza della provenienza del bene, essendo gli assegni facilmente tracciabili e, di conseguenza, permanendo intatto il paper trail. In particolare la Corte dichiarò che, proprio per assenza di manomissioni sui titoli, “in realtà è rimasto molto agevole verificare da parte dell’istituto bancario, come in concreto avvenuto, la provenienza furtiva dei titoli in questione”. Specifica inoltre che l’utilizzo di falsi documenti abbia comportato solo incertezza sull’identità del soggetto percettore del titolo e non sulla tracciabilità della disponibilità economica; 67 V. Cass. pen., sez. II, 12 gennaio 2006, Caione, in C.E.D. Cass. 232869, in Mass. dir. pen., 2006;

50

Infatti le condotte a forma libera acquisteranno rilevanza sotto il profilo penale solo e

in quanto risultino idonee a generare une effetto dissimulatorio68.

Secondariamente l’inciso rappresenta un criterio per accertare l’offensività della

condotta e l’elemento soggettivo del delitto69.

Infine costituisce ulteriore elemento differenziante rispetto alle fattispecie similari di

reimpiego e di ricettazione70.

Da segnalare anche l’orientamento che potremmo definire intermedio71 secondo cui

le prime due condotte generalmente si presentano come idonee ad ostacolare di per

sé dato che, rispetto tali ipotesi, vi è una sorta di presunzione relativa circa la loro

idoneità a configurare il delitto di cui all’art. 648-bis del codice penale.

Come in precedenza evidenziato, il dolo generico richiesto dalla figura del riciclaggio

dovrebbe allora ricomprendere sia la consapevolezza della provenienza delittuosa,

sia la conoscenza e la volontà di porre in essere condotte che risultino

concretamente idonee ad ostacolare la tracciabilità del bene e, per una parte

minoritaria della dottrina, l’ulteriore volontà di far riacquistare la disponibilità della res

all’agente del delitto presupposto.

68 Cfr. S. Faiella, op. cit., 135 s.; per l’autore il riferimento all’ostacolo alla ricostruzione del paper trail rappresenta “l’unico riferimento capace di rendere autonoma e, allo stesso tempo, sufficientemente determinata, la figura criminosa”. Viene inoltre proposta dall’autore un’eliminazione delle condotte di sostituzione e trasferimento le quali avrebbero solo un effetto di zavorra. Tramite tale elisione la fattispecie risulterebbe maggiormente intellegibile e l’elemento di ostacolo occuperebbe con maggior nitidezza il ruolo centrale che gli è stato affidato. La condotta non sarebbe rilevante per il fatto di aver posto in essere operazioni di trasferimento o di sostituzione, ma piuttosto perché questi atti risultano idonei a dare una parvenza lecita a una ricchezza non formatasi legittimamente. Sempre secondo l’autore, il riferimento alle prime due condotte specificate è dovuto semplicemente alla genesi ed evoluzione della norma; 69 Per quel che riguarda l’elemento soggettivo la dottrina appare divisa in chi crede che l’inciso in questione debba essere riferito anche a tale elemento e chi invece ritiene che potrebbe anche prescindere dalla volontà del soggetto purché risulti poi in concreto idoneo ad ostacolare; si veda infra per specificazioni; 70 Cfr. Cass. pen., sez. II, 9 maggio 2012, n. 35828, in CED Cass. pen. 2012; in sentenza è affermato che “il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all’elemento materiale che si caratterizza nel primo per l’idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza del bene …”; in senso conforme cfr. Cass. pen., sez II, 12 novembre 2010, n 43730, in CED Cass. pen. 2010, Cass. pen. 2011, 11, 2881; questa afferma che “sussiste relazione di specialità fra il delitto di riciclaggio e quello di ricettazione, poiché il primo si compone della stessa condotta di acquisto o ricezione di denaro o altra utilità, arricchita dall’elemento aggiuntivo del compimento di attività dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa”; 71 Cfr. R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 65;

51

La concreta idoneità deve essere valutata ex ante essendo, secondo la prevalente

dottrina72, il delitto di riciclaggio un reato di pericolo concreto73.

Nessuna condotta sarebbe punibile ex art. 648-bis c.p. se non in quanto idonea ad

ostacolare la ricostruzione del paper trail, cioè la pista di carta la quale permette di

ricostruire a sua volta tutte le operazioni di ripulitura che hanno portato il bene ad

acquistare la veste lecita.

Il paper trail ha un ruolo centrale nella lotta alla criminalità essendo proprio il grande

volume di patrimoni illeciti non solo il nucleo della pericolosità, ma, allo stesso tempo,

il tallone di Achille che permette di individuare i delitti.

Risulta infatti quantomeno sospetto la comparsa dal nulla di ricchezze rilevanti

apparentemente lecite.

L’insinuazione di questo dubbio dovrebbe richiedere la ricostruzione della pista di

carta la quale, ripercorsa a ritroso, condurrà alla fonte del bene.

È da sottolineare che viene sanzionato specificatamente l’ostacolo all’identificazione

della provenienza delittuosa e non un generico ostacolo alle indagini che potrà caso

mai essere punito come diverso delitto, per esempio come ricettazione o incauto

acquisto74.

Proprio questo vincolo di idoneità ad ostacolare permette di risolvere spinose

situazioni che preoccupano il giurista americano: il rischio che un droghiere venga ad

essere punito di money loundering in seguito alla vendite di prodotti alimentari ad un

noto criminale la cui unica fonte di guadagno è proprio la sua professione illecita.

72 Cfr. su tutti M. Zanchetti, Il riciclaggio, cit., 368; in tal senso anche S. Faiella, Riciclaggio, cit., 145; Faiella evidenza che nelle azioni deve risultare rinvenibile l’idoneità a generare all’esterno un alone di liceità; 73 In senso contrario M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 78 ss.; l’autore ritiene che l’inciso non indichi una finalità, quanto piuttosto un predicato delle condotte. Non potrebbe per tanto essere sufficiente la mera idoneità astratta a qualificarla come fattispecie di riciclaggio. Di conseguenza Angelini qualifica il reato come un reato di evento di danno. In modo da ostacolare indicherebbe il vero e proprio evento naturalistico del delitto. Le condotte della fattispecie sarebbero penalmente rilevanti solo e se il loro perfezionamento comporti un ostacolo; 74 Cfr. M. Zanchetti, op. cit., 368 s.;

52

Orbene, nel nostro ordinamento, un simile comportamento del venditore non sarebbe

sanzionato in quanto, essendo ogni transazione commerciale, in linea teorica,

debitamente registrata, non vi sarebbe un ostacolo alle indagini sulla provenienza del

denaro e di conseguenza non vi sarebbe una situazione punibile ex art. 648-bis del

codice penale.

Allo stesso modo non dovrebbe assumere rilevanza penale, o per lo meno non con

riferimento alla norma de quo, la situazione in cui un avvocato riceva come

remunerazione della propria attività professionale un corrispettivo derivante da fondi

illeciti qualora l’accettazione del pagamento avvenga con modalità tali per cui il

compenso sia documentato e trasparente e, dunque, in modo che la pista di carta

non ne risulti dissimulata.

L’inciso “in modo da ostacolare” non è di univoco significato: si potrebbe interpretare

come il fatto che questo pericolo si sia poi concretizzato in un effettivo ostacolo o

potrebbe ritenersi sufficiente il compimento di un’operazione concretamente idonea

ad ostacolare anche se i soggetti indaganti siano riusciti comunque a ricostruire il

paper trail.

Guardando alle vecchie formulazioni della norma è chiaro che in quella del 1973 il

delitto era strutturato in forma di attentato e dunque di pericolo, probabilmente di

pericolo astratto, mentre la successiva versione del 1990, con l’aggiunta della

condotta di ostacolo alla identificazione del bene, acquistava la qualifica di delitto di

evento e di danno.

La versione attuale dell’articolo sancisce un suo ritorno alla forma di delitto di

pericolo, in particolare di pericolo concreto (di mera azione)75, attraverso

l’introduzione dell’inciso in commento.

75 V. M. Zanchetti, op. cit., 385; contra v. M. Angelini, op. cit., 78; l’autore inquadra l’attuale assetto normativo come reato di evento di danno. L’evento tuttavia non deve essere letto in senso proprio,

53

Ciò non di meno non sono presenti riferimenti che indichino quanto debba essere

d’ostacolo per risultare penalmente rilevante.

Il problema si sarebbe dunque spostato su una valutazione, da farsi caso per caso,

sull’importanza dell’ostacolo, inteso nel senso di valutare se possiede una idoneità

sufficiente a meritare l’applicazione della pena prevista dalla normativa de quo o se,

invece, la condotta debba essere qualificata come altro reato.

Quindi, in conclusione, l’ostacolo alla ricostruzione del paper trail finisce per

svolgere, senza tuttavia individuare delle soglie di rilevanza, la funzione selettiva

della norma, la quale mira ad evitare un allargamento eccessivo delle maglie della

giustizia al fine di non ricomprendervi quelle condotte definibili come ordinary

commercial transactions.

1.4.2 Il suo rapporto con l’elemento soggettivo: dolo generico, dolo specifico o dolo

specifico implicito?

In dottrina incerto è anche il ruolo che l’espressione ricopre nella fattispecie.

Nello specifico ci si domanda se questo occupi anche una funzione all’interno

dell’elemento soggettivo sotto forma di dolo specifico.

In giurisprudenza è stata data risposta negativa in modo abbastanza deciso da parte

della Suprema Corte di Cassazione penale76 che ha ritenuto per il delitto di

riciclaggio sufficiente il dolo generico77.

quanto piuttosto dovrebbe qualificarsi come una sorta di ostacolo temporaneo. Infatti qualora l’ostacolo risultasse insormontabile questo comporterebbe l’impossibilità di accertare il reato; 76Cfr. Cass. pen, sez. II, 7 gennaio 2011, n. 546, in CED Cass. pen. 2011, Cass. pen. 2012, 2, 579; la Corte afferma “l’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di beni o altra utilità …”; Cfr. anche, in senso conforme, Cass. pen., sez VI, 24 aprile 2008, n. 16980; in questa sentenza viene affermato che “… la formula “in modo da ostacolare”, contenuta nel testo della disposizione incriminatrice, non può essere interpretata come indicatrice di specifiche

54

Ciò non di meno vale la pena compiere un’analisi più attenta del problema, visto e

considerando che della questione si è largamente occupata la dottrina.

Nell’originaria previsione normativa era limpida la presenza del dolo specifico

alternativo di ricettazione (“… al fine di procurare a sé o ad altri un profitto …”) o di

favoreggiamento reale (“… di aiutare gli autori dei delitti suddetti ad assicurarsi il

profitto del reato …”).

Sul piano volitivo si richiedeva per la configurazione del delitto il fine di profitto o il

fine di aiutare.

Con la successiva modifica del 1990 alla fattispecie veniva aggiunta quale modalità

tipica di compimento del delitto la condotta di ostacolo all’identificazione della

provenienza delittuosa (“… ovvero ostacola l'identificazione della loro provenienza

dai delitti suddetti …”).

La Convenzione di Strasburgo dell’8 novembre 1990 sul “Riciclaggio, identificazione,

sequestro e confisca dei proventi da reato” all’art. 6 prevede il dolo specifico di

ostacolo (“occultare o dissimulare”) della provenienza78.

A questa parte dell’articolo si accompagna una seconda lettera che prevede la

punibilità di comportamenti79 che sono in re ipsa in possesso di questo effetto

finalità, per cui, l’elemento soggettivo deve ritenersi integrato dalla coscienza e volontà di ostacolare l’accertamento della provenienza dei beni, del denaro o di altra utilità”; 77 In questo senso anche Cass. pen., sez. IV, 30 gennaio 2007, n.6350, Cazzella; cfr. anche Cass. pen., sez. II, 11 novembre 2013, n. 50950, in CED Cassazione penale 2013; in questa ultima sentenza, la Suprema Corte, parlando di differenze tra il reato de quo e la fattispecie di ricettazione, evidenzia il fatto dell’ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa, qualificandolo come elemento materiale del delitto; 78L’art. 6 della Convenzione così recita: “1. Ciascuna Parte prende le misure legislative e di altra natura eventualmente necessarie per prevedere come reato secondo la propria legge interna, quando il fatto è commesso intenzionalmente: a. la conversione o il trasferimento di valori patrimoniali, sapendo che essi sono proventi, allo scopo di occultare o dissimulare l’illecita provenienza dei valori patrimoniali stessi o aiutare persone coinvolte nella commissione del reato principale a sottrarsi alle conseguenze giuridiche dei loro atti;”; 79 Sempre l’art. 6 co. 1 alla lett. b prevede: “b. l’occultamento o la dissimulazione della natura, dell’origine, dell’ubicazione, di atti di disposizione o del movimento di valori patrimoniali, nonché dei diritti di proprietà e degli altri diritti ad essi relativi, sapendo che detti valori patrimoniali sono proventi;”;

55

dissimulatorio e dunque, per questa ragione, per essi non viene previsto una

valutazione del dolo specifico.

Ciò non di meno il legislatore italiano ha decido di rinunciare, oltre che alla

distinzione dei comportamenti sanzionati, anche all’esplicito riferimento al dolo

specifico.

L’attuale versione prevede che alle tre condotte di per sé prive di pregnanza venga

aggiunto il riferimento alla dissimulazione così anticipando la soglia di rilevanza

penale alle operazioni in possesso della mera idoneità ad ostacolare.

L’orientamento prevalente, sia in dottrina che in giurisprudenza, ritiene che l’inciso

descriverebbe una particolare attitudine della condotta e non il profilo della

proiezione soggettiva dell’agente.

Quindi, sulla base di queste motivazioni, la fattispecie richiederebbe il semplice dolo

generico.

Recente dottrina80 ritiene possibile una compatibilità del riciclaggio con la figura del

dolo specifico, tuttavia ha sottolineato la necessità di un sostrato materiale in modo

tale da conferire al dolo stesso una consistenza anche oggettiva81.

In assenza di questo sostrato il dolo specifico non sarebbe finalizzato

all’individuazione dell’offesa82 come per esempio nella ricettazione dove il fine di

profitto non incide sulla quantità o qualità della lesione.

80 Cfr. S. Faiella, Riciclaggio, cit., 204; 81 Cfr. A. R. Castaldo e M. Naddeo, op. cit., 113; secondo l’autore “A garantire l’effettiva ‘ri-determinazione’ della norma è posta la scelta linguistica (“in modo da”) che, distinguendosi da quella propria dai delitti di attentato (“atti diretti a”), appare focalizzata su elementi obiettivi in grado di rendere l’ostacolo all’identificazione della illecita provenienza parametro di valutazione della lesività delle condotte e, contestualmente, strumento idoneo all’accertamento dell’oggetto del dolo, oltre che degli elementi differenziali rispetto alle fattispecie limitrofe”; 82 Cfr. E. Dolcini e G. Marinucci, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2004, 187 ss. e 264 ss.;

56

Nel reato di cui all’art. 648-bis c.p., la proiezione dell’agire non potrebbe avere un

valore puramente soggettivo dato che è l’idoneità ad ostacolare ad essere il centro

del disvalore del fatto.

Ne consegue che, anche qualora si volesse valutare la formula de quo come

qualificante un dolo specifico, si necessiterebbe comunque un riconoscimento di

sostrato obiettivo essendo proprio questo, e non il dolo, a comportare il disvalore

penale.

In altre parole non è possibile agganciarsi alla semplice proiezione della volontà di

occultare perché così l’offesa sarebbe collegata unicamente al foro interno del

soggetto che pone in essere la condotta con la conseguente violazione del principio

di materialità e, ancor più gravemente, del principio di offensività.

Il dolo specifico si caratterizza sotto l’aspetto volitivo da un fine che guarda oltre la

materialità immediata del fatto.

Sulla base di questi motivi, secondo tale orientamento, si ritiene che non sia del tutto

errato affermare che sussista pure nella attuale formulazione del delitto un dolo

specifico, ove con ciò non se ne disconoscesse il sostrato materiale ed obiettivo83.

Non di meno ci si domanda il valore che questo poi ricopra all’interno della norma

visto che, a conti fatti, quello a cui propriamente si guarda ai fini della punibilità non

sarà tanto il dolo dell’agente, quanto piuttosto il sostrato materiale.

Prescindendo dal discusso problema se il dolo specifico trovi la sua collocazione

nella definizione del fatto tipico84 o al suo esterno85, risulta in ogni caso evidente che

una formulazione in termini di dolo specifico sarebbe meno idonea a sanzionare

condotte inoffensive.

83 V. S. Faiella, op. cit., 205; 84 V. fra i tanti L. Picotti, Il dolo specifico. Un’indagine sugli ‘elementi finalistici’ delle fattispecie penali, Giuffrè, Milano, 1993, 505 ss.; 85 V. fra i tanti F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 12esima ed., Milano, 1991, 317;

57

Si è sostenuto86 che le fattispecie che prevedono il dolo specifico sono

costituzionalmente compatibili solo con i reati di danno proprio perché la specificità

del dolo svolge la funzione di limitare la punibilità ad un particolare fine a cui tende la

condotta, mentre un suo utilizzo dovrebbe essere escluso nelle fattispecie di pericolo

in cui lo scopo dell’azione ne connota fortemente, se non interamente, il disvalore.

Altra dottrina87, sicuramente minoritaria, ritiene sempre possibile una lettura

dell’inciso sotto forma di dolo specifico, ma con alcune puntualizzazioni.

Questa dottrina parte dall’idea che il reato di riciclaggio sarebbe qualificabile non

come reato di pericolo concreto, quanto piuttosto di evento di danno in cui l’ostacolo

rappresenta proprio l’evento naturalistico (latu sensu) il cui compimento porta al

perfezionamento del delitto.

Si vuole in questo modo ovviare alla critica, già in precedenza riportata, secondo cui

un reato di pericolo concreto con la presenza di dolo specifico comporterebbe la

contrarietà ai principi di offensività e di materialità in quanto lo scopo dell’azione

finirebbe con il connotarne il disvalore.

Secondo punto di specificazione della dottrina in questione è la critica alla classica

definizione di dolo specifico.

Il dolo specifico è definito come “elemento soggettivo costitutivo della fattispecie

legale, ma che sta oltre il fatto materiale tipico, onde il conseguimento di tale fine non

è necessario per la consumazione del reato”88.

In primo luogo con riferimento a questa definizione viene criticato che, essendo il

dolo consapevolezza e volontà di una conclusione che si realizza, quello che

fuoriesce dalla corrispondenza tra voluto e realizzato non potrà essere considerato

come appartenente alla sfera dell’elemento soggettivo.

86 Così M. Zanchetti, op. cit., 386 s.; 87 M. Angelini, Il reato di riciclaggio, cit., 109 ss.; 88 Così testualmente F. Mantovani, Diritto penale, IV ed., CEDAM, 2001, 337;

58

In secondo luogo viene evidenziato come un fatto meramente interno, come

potrebbe essere uno scopo, non può di per sé incidere sulla realtà.

Ciò comporta che, se i fini menzionati espressamente dalla normativa indicassero

solo ragionamenti intellettivi, la punibilità sarebbe data dalla mera presenza di

‘pensieri cattivi’.

In questo modo l’autore del delitto non sarebbe punito in forza di quello che ha fatto,

ma per quello che voleva fare; non per la lesione o l’esposizione a pericolo dei beni

giuridici, ma per la sua volontà di lederli.

Si è di conseguenza cercato di obiettivizzare il fine per dargli spazio anche sul piano

della tipicità.

Parte della dottrina sostiene la necessità di un requisito oggettivo di idoneità

materiale rispetto al fine.

Consegue che, sempre secondo tale scuola di pensiero, un reato che prevedesse il

dolo specifico deve perfezionarsi attraverso atti idonei a raggiungere il fine a cui

l’agente tende.

In aggiunta viene criticato che questa tesi finisce per confondere qualcosa previsto

come soggettivo con il momento finalistico dell’azione.

La definizione di dolo specifico in questi termini risulterebbe quindi quanto meno

imprecisa, nel senso di essere fin troppo riduttiva.

In tal senso, questa forma di elemento psicologico dovrebbe rappresentare un

fenomeno ben più ampio.

In particolare ricomprenderebbe tutti gli elementi soggettivi del reato che la dottrina

tedesca ha ritenuto fondamentali ai fini dell’integrale ricostruzione del delitto.

Per esempio, i termini allo ‘scopo di’, ‘al fine di’, ‘in modo da’ farebbero tutti da

richiamo a un elemento psicologico.

59

Tutte queste espressioni avrebbero in sostanza un ruolo segnaletico del relativo dolo

specifico del reato.

Secondo questa dottrina, dunque, per dolo specifico si dovrebbe intendere “qualsiasi

forma di esplicazione normativa dell’elemento soggettivo la cui funzione è proprio

quella di concorrere alla delimitazione della fattispecie criminosa e di caratterizzare il

suo particolare tipo di criminosità”89.

La definizione che ha in mente l’autore è chiaramente molte ampia e proprio per

questa ragione criticabile visto la sua scarsa selettività degli atteggiamenti

psicologici.

Questa dottrina finisce per ricomprendere nelle fattispecie connotate da questo

elemento anche il delitto di cui all’art. 648-bis del nostro codice, pur con la

consapevolezza che l’ostacolo non sia tanto uno scopo a cui tende l’azione

dell’agente quanto piuttosto il risultato della condotta stessa.

Il dolo specifico fungerebbe così da caratterizzante del delitto e, allo stesso tempo,

avrebbe un ruolo fondamentale nel distinguerlo da fattispecie similari.

Infine va segnalata la posizione di una interpretazione intermedia90 la quale qualifica

la formula “in modo da ostacolare” né come dolo generico né come dolo specifico

strictu sensu inteso, ma come una forma di dolo specifico “implicito”.

La dottrina in questione reputa che il reato de quo non possa richiedere il dolo

specifico propriamente detto, necessitandosi ai fini della punibilità della norma un

quid pluris rispetto alle mere intenzioni dell’agente, quel qualcosa in più che risiede

nella necessità che l’operazione risulti poi in concreto effettivamente idonea ad

ostacolare la ricostruzione del paper trail.

89 Così testualmente Marco Angelini, op. cit., 114; 90 Cfr. G. Forte in A. Manna, Riciclaggio e reati connessi, cit., 202 ss.;

60

In sostanza l’agente sarà punibile sia se gli investigatori siano riusciti a superare, con

le difficoltà del caso, l’ostacolo, sia se il soggetto abbia agito con un fine diverso,

come per esempio per profitto.

In questo senso l’inciso farebbe allora riferimento ad una qualità della condotta

piuttosto che a un risultato.

Non è il mero trasferimento o la sostituzione che vengono puniti, quanto il fatto che

tali condotte risultino essere concretamente idonee ad ostacolare la conoscenza

dell’origine delittuosa della res.

Tuttavia una tale interpretazione potrebbe generare alcune problematiche soprattutto

in riferimento al rapporto fra il delitto di riciclaggio e quello di ricettazione.

Infatti, sempre secondo tale dottrina, si ritiene che, a meno di una eliminazione del

reato di cui al 648 c.p., l’elemento differenziatore fra le due fattispecie risulta essere

la finalità di ripulitura del denaro o altra utilità nel delitto di riciclaggio, mentre nella

ricettazione l’agente è mosso dal fine di profitto.

Ovviamente anche il riciclatore potrebbe agire con una finalità di profitto, ma non

sarebbe questo lo scopo diretto e principale delle sue azioni.

Questa tesi sostiene che tale tipologia di delitti non è stata sviluppata pensando che

la finalità dell’agente possa dedursi da particolari locuzioni quali ‘al fine di’, ‘in modo

da’, ma piuttosto lo scopo del soggetto dovrebbe desumersi dalla interpretazione

dell’intera norma.

Dunque, anche se il fine dell’agente non viene espressamente indicato dalla legge,

questo potrebbe essere sottointeso, incluso implicitamente nelle parole dell’articolo e

tale scopo non espresso sarebbe da intendersi, ai fini della punibilità, come la finalità

che ha mosso l’agente.

Si genera così una nuova forma di dolo specifico, una sua nuova interpretazione

svincolata da una espressa decisione dell’operatore legislativo.

61

Viene dunque a crearsi una nuova figura dell’elemento intenzionale: un dolo

specifico riscontrabile in tutte quelle fattispecie di delitti in cui la particolare tendenza

della condotta polarizza in termini di intenzionalità il modo di comportarsi

dell’elemento soggettivo91.

Seguendo tale scuola di pensiero si dovrebbe individuare una sorta di dolo specifico

in tutti i reati di tendenza o soggettivamente orientati.

Ovviamente anche una tale lettura del dolo sarebbe oggetto di forti critiche proprio

per la sua ampiezza che farebbe perdere parte della sua funzionalità nell’economia

del delitto.

In aggiunta si è spesso sostenuto che il dolo specifico, per ritenersi tale, dovrebbe

essere esplicitato92.

Per tali ragioni questa dottrina ritiene che non bisognerebbe equiparare e porre sullo

stesso livello le situazioni in cui il dolo specifico è espresso esplicitamente dalla

norma e le ipotesi in cui invece rimane inespresso e semplicemente orienta la

condotta.

Il fatto che alcuni delitti prevedano una particolare tendenza del comportamento che

guida, orienta l’azione non permette una loro qualificazione come dolo specifico

propriamente detto.

Ciò non di meno questi reati posseggono quello che la dottrina definisce come dolo

specifico ‘implicito’, essendo comunque caratterizzati da una forma di dolo

particolarmente qualificato.

91 Così G. Forte, op. cit., 205; cfr. anche F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 12esima ed., Milano, 1991, 184 ss.; l’autore affianca alle situazioni in cui il dolo specifico è esplicito, diverse ipotesi in cui acquista rilevanza una tendenza dell’azione, che andrebbe oltre la mera volontà del fatto e che si dovrebbe intendere dalla stessa natura intrinseca del delitto; 92 Cfr. M. Gelardi, Il dolo specifico, CEDAM, Padova, 1996, 164-165; secondo l’autore il dolo specifico presuppone “la scelta del legislatore di tipizzare un rapporto di strumentalità tra una condotta e un fine, ricorrendo alle locuzioni della lingua italiana che lo significano”;

62

Tali reati, seppur senza richiedere un dolo specifico in senso proprio, risulterebbe

comunque incompatibili con il dolo eventuale proprio a causa della maggior

pregnanza dell’elemento soggettivo.

I c.d. reati a dolo specifico ‘implicito’, essendo caratterizzati da un modo d’essere del

fatto tipico, presentano di conseguenza un’analoga correlazione del dolo.

Si richiede, in altri termini, la consapevolezza e la volontà di guidare l’azione verso la

finalità implicita in aggiunta a una conoscenza dell’esatto significato che essa

assume rispetto allo scopo.

In conclusione, secondo tale dottrina, l’inciso “in modo da ostacolare” non

indicherebbe un dolo specifico in senso proprio, ma questo non impedisce che il fatto

tipico sia contraddistinto da una tendenza soggettiva che si accompagna alla

realizzazione della condotta.

Esiste allora astrattamente un rapporto di strumentalità tra l’azione dell’agente e il

risultato.

Per essere punito a titolo di riciclaggio l’agente non dovrebbe solo porre in essere le

condotte di sostituzione o trasferimento, ma il soggetto dovrebbe volere che queste

siano realizzate con l’intenzione di ostacolo.

Si dovrebbe quindi intendere, secondo questa dottrina intermedia, la configurazione

del dolo specifico ‘implicito’.

Si può osservare comunque come da tutte le analisi compiute sulle diverse tesi del

dolo con riferimento all’idoneità ad ostacolare, nessuna di queste tende a qualificare

la formula in commento come un dolo specifico propriamente detto, ma ritengono

invece la sussistenza di una sorta di sostrato materiale, un elemento oggettivo.

C’è chi dilata il concetto e chi invece crea figure intermedie di dolo e di conseguenza

non pare possibile una sua qualificazione nell’accezione classica.

63

Si dovrebbe quindi ritenere quanto meno non ricorrente il dolo specifico strictu sensu

inteso nel delitto de quo.

Prima di tutto sarebbe impossibile punire, qualora poi la condotta non si esplichi in un

effettivo ostacolo, un mero atteggiamento interno, un mero intento che tale è rimasto.

In senso speculare qualora invece sussista l’evento naturalistico dell’ostacolo,

difficile sarebbe da parte dell’agente dimostrare un’assenza della sua volontà in

questo senso.

Sembra quindi corretto, e maggiormente pratico ai fini della dimostrazione giudiziaria,

poter qualificare l’ostacolo alla ricostruzione del paper trail non come indice di un

dolo specifico, quanto piuttosto come idoneità della condotta in sé, come descrittivo e

selettivo dei comportamenti dell’agente, come indice di offensività della condotta,

visto e considerando la natura di reato di pericolo.

La questione e il problema a questo punto sarà piuttosto quello di valutare caso per

caso se la condotta posta in essere abbia concretamente costituito ostacolo o

comunque abbia reso più difficoltosa la ricostruzione della pista di carta e, di

conseguenza, la conoscenza della provenienza della res.

64

CAPITOLO 3

IL DUBBIO SUI PRESUPPOSTI: DOLO EVENTUALE SULLA

CONOSCENZA DELL’ORIGINE

1. LA CANCELLAZIONE DELL’ELENCO DEI PREDICATE CRIMES: EFFETTI E

CONSEGUENZE

L’espansione dei delitti presupposto in seguito alle riforme ha comportato un effetto

anche sull’elemento psicologico della condotta.

Nello specifico ha condotto a una sensibile alterazione dell’elemento rappresentativo

del dolo da una parte e una almeno apparente semplificazione di carattere probatorio

dall’altra.

L’eliminazione del tassativo elenco di reati presupposto, con la successiva

dilatazione dell’applicazione della fattispecie di riciclaggio aperta ora ad ogni delitto

non colposo, mirava a trovare la soluzione del problema della prova del dolo.

Per far si che il reato si possa configurare è necessario dimostrare la conoscenza,

anche se non piena, dell’agente circa la provenienza delittuosa del bene.

In precedenza una prova in tal senso risultava quantomeno complessa, se non

impossibile.

Bisognava infatti dimostrare che l’autore aveva la consapevolezza della provenienza

della res da uno dei predicate crimes, potendo sfuggire all’applicazione della norma

semplicemente asserendo di pensare che l’oggetto non provenisse da uno di quei

delitti, ma da un altro diverso, anche qualora questo fosse stato di pari o maggior

offensività e gravità.

65

Considerando in aggiunta che oltre a ciò si doveva dimostrare anche lo

sdoppiamento soggettivo fra l’agente del delitto a monte e l’autore del reato di

riciclaggio, l’applicazione della norma risultava in concreto fortemente limitata.

In sintesi ci si trovava di fronte a una situazione di impasse applicativa quasi assoluta

dovuta all’impossibilità, o quantomeno alle enormi difficoltà, di provare

adeguatamente il dolo.

La riforma del 1993 è il momento da cui il dolo del delitto de quo appare limitato alla

volontaria esecuzione di un’operazione unita alla generica consapevolezza della

provenienza della res da delitto non colposo in aggiunta alla idoneità93 della condotta

di ostacolare la ricostruzione della pista di carta94.

Sebbene con la modifica sia stato eliminato il riferimento rappresentativo del reato a

monte è comunque rimasto il riferimento alla provenienza da delitto non colposo del

bene.

Dunque, seppur vi sia una semplificazione per quel che riguarda l’accertamento

giudiziario, non di meno rimane poco agevole la prova della provenienza illecita del

bene o, per meglio dire, la consapevolezza dell’agente della sua origine delittuosa.

Questa provenienza da delitto è un connotato essenziale dell’oggetto giuridico; è da

esso che dipende e acquista valore l’intero impianto della norma.

Le condotte in sé sarebbero condotte neutre, lecite con riferimento all’art. 648-bis

qualora il provento non abbia natura delittuosa.

L’origine è la base, il pilastro portante su cui poi viene costruito l’edificio del delitto de

quo.

93 O consapevolezza dell’idoneità secondo alcuni autori; cfr. supra; 94 Cfr. A. R. Castaldo, M. Naddeo, Il denaro sporco, cit., 182;

66

Ci si chiede allora come sia possibile una valutazione di quella consapevolezza della

provenienza delittuosa e, soprattutto, come compiere una sua seria analisi al riparo

dalle debolezze della prassi.

Vero che sarebbe impossibile tentare un’indagine personalistica interior homine, ma

questo non deve significare un abbandono della dimostrazione del dolo o, ancor

peggio, una sua confusione con dati oggettivi esterni.

Bisogna, in altre parole, evitare di considerare il dolo in re ipsa o a culpa iuris, ma

bisognerebbe piuttosto assicurargli un contenuto autentico di consapevolezza.

A questo problema si deve aggiungere l’ulteriore questione della difficoltà oggettiva

della riconducibilità della res e, in particolare, del denaro vista la sua fungibilità al

delitto presupposto.

L’eliminazione dell’elenco dei reati presupposto ha sì comportato uno sgravio

investigativo, ma, allo stesso tempo, ha comportato anche effetti collaterali.

In particolare l’estensione della fattispecie a tutti i delitti dolosi offre possibili

disarticolazioni, non solo con riferimento all’elemento soggettivo, ma addirittura

all’intera costruzione giuridica.

A tutto ciò si aggiunge che, in alcune occasioni, risulta addirittura punito con maggior

severità l’autore del delitto di riciclaggio rispetto all’autore del reato presupposto.

Talvolta, a causa del rinvio all’ultimo comma dell’art. 648 c.p., può accadere persino

che il reato base rimanga impunito, mentre l’agente del delitto di riciclaggio, godendo

tale reato di una sua propria autonomia, potrebbe essere punito.

Con l’indiscriminata estensione della fattispecie si è persa quella precisa

individuazione dei tratti somatici dei nemici che la norma intende contrastare.

67

Una più precisa demarcazione del perimetro applicativo dell’articolo, con la possibile

depenalizzazione a sanzione amministrativa dei reati presupposto meno gravi,

potrebbe restituirle un maggior grado di efficacia ed efficienza alla norma95.

2. I RAPPORTI TRA IL REATO DI RICICLAGGIO E I DELITTI PRESUPPOSTO

Fra il reato di riciclaggio e il delitto presupposto esiste un legame stretto, così stretto

che senza quest’ultimo il primo non esisterebbe; potremmo allora definirlo come un

rapporto di esistenza.

Il reato di cui all’art. 648-bis c.p. esiste in quanto preesiste il delitto non colposo.

Il prius costituisce antecedente logico e giuridico del posterius e, proprio per questa

ragione, la dottrina tende a ricondurre la fattispecie di riciclaggio nell’ambito dei c.d.

reati accessori96, cioè in quei reati caratterizzati dal rapporto di

presupposizione/accessorietà che si instaura con l’altro delitto (detto reato principale

o presupposto).

Ciò non di meno il delitto de quo ha una sua autonomia rispetto al reato base,

autonomia che si fonda sia sul dettato dell’art. 170 co. 1 c.p.97, sia sul rimando

dell’art. 648-bis c.p. all’ultimo comma della norma sulla ricettazione98.

Secondo il primo la causa di estinzione del prius non si estende al posterius, mentre

per quel che riguarda il rinvio all’art. 648 c.p., questo comporta la configurabilità del

95 Cfr. A. R. Castaldo, M. Naddeo, op. cit., 187-188; 96 Il termine accessorietà non deve indurre in errore il lettore. In questa situazione non viene usato nel suo significato semantico, anche perché il reato di riciclaggio ha una propria autonomia rispetto a quello principale, tanto è che può risultare ben più afflittivo rispetto al reato presupposto. Piuttosto il termine accessorio indica l’accessorietà del legame nel senso che se il primo delitto non sia stato compiuto il posterius non potrebbe esistere. Proprio per questo possibile fraintendimento parte della dottrina tende a criticare questa qualificazione del delitto; 97 Il citato comma così recita: “Quando un reato è il presupposto di un altro reato, la causa che lo estingue non si estende all'altro”; 98 L’ultimo comma dell’art. 648 c.p. così recita: “Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l'autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”;

68

delitto di riciclaggio anche qualora l’agente del reato da cui proviene il bene illecito

non sia imputabile o punibile.

Alla fine, dunque, il legame, per il tramite delle due norme sopra citate, risulta

attenuato.

Questa autonomia non è però assoluta, avendo comunque il reato presupposto una

certa influenza sul reato presupponente, dato che l’oggetto materiale della fattispecie

di riciclaggio deve necessariamente provenire da un delitto non colposo.

In altre parole, un delitto non colposo, indipendentemente dalla sua punibilità, deve

sussistere, per lo meno allo stadio di tentativo, per far si che possa configurarsi il

riciclaggio.

3. IL DOLO E LA CONOSCENZA DELL’ORIGINE DELITTUOSA: POSIZIONI PRIMA

DELLA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DEL 2009

3.1 Il dubbio sui presupposti e la sua compatibilità con il dolo

Per una attenta analisi della questione dell’elemento soggettivo bisognerebbe

preliminarmente chiedersi se il dubbio sulla provenienza illecita del bene possa o

meno rientrare nella categoria del dolo eventuale.

Lo studio del dubbio sui presupposti, per lo meno in Italia, non ha avuto grande

interesse seppur in concreto abbia una certa rilevanza99.

Probabilmente la scarsa trattazione è dovuta al fatto che la dottrina spesso ha

avallato la valutazione per cui se il soggetto dubita dell’esistenza del presupposto

questo significherebbe che l’agente si è rappresentato la sua esistenza.

99 La mancanza di interesse è stata in particolare evidenziata da S. Prosdocimi, Dolus eventualis: il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali, Giuffrè, Milano, 1993, 50; l’autore è colpito e sorpreso di come la tematica del dubbio sui presupposti sia scarsamente trattata in tutte le trattazioni che si occupano della materia dell’errore;

69

Non di meno servirebbe una maggior attenta analisi dell’elemento psicologico del

soggetto, specialmente qualora questi si trovi in una situazione di incertezza.

Inoltre l’incompatibilità fra il dolo diretto e lo stato di dubbio sottolineerebbe proprio

l’impossibilità di equiparare sempre e comunque una rappresentazione non dotata di

certezza a un elemento intellettivo di forte intensità quale è il dolo.

Se la realizzazione della fattispecie appaia all’agente solo come possibile, qualora

l’agente mirava a realizzarla100 ci si troverà in una situazione psicologica di dolo

intenzionale, oppure, come è più probabile che sia, qualora non mirava a realizzare

la fattispecie bisognerà invece compiere una valutazione.

Tale valutazione sarà necessaria al fine di poter rilevare se l’elemento psicologico si

presenti nella forma del dolo eventuale o, in alternativa, della colpa cosciente.

Il presupposto in questione svolge una funzione indispensabile in quanto individua il

disvalore del fatto di reato concorrendo a descrivere l’evento e finendo con il

descriverne la stessa essenza.

È logico che il presupposto della provenienza illecita finisca con l’influenzare lo

stesso oggetto del delitto.

In tale prospettiva, il reato sarà considerato doloso in quanto l’agente si sia

rappresentato e abbia voluto esattamente l’intero fatto tipico nel suo intero

disvalore101.

Si ritiene che il dolo sia escluso alla radice solo in presenza di ignoranza o errore del

presupposto dato che in questi casi mancherebbe la sua componente

rappresentativa.

Il problema si fa ancor più complicato con riferimento al dubbio sui presupposti.

100 Il che pare fortemente improbabile nel delitto di riciclaggio dato che chiunque sia in una situazione di dubbio preferirebbe sempre ottenere un facile guadagno onesto piuttosto che sperare della provenienza delittuosa; 101 Così G. Forte in a cura di A. Manna, Riciclaggio e reati connessi, cit., 183;

70

In particolare, mentre per i reati di evento il dolo eventuale si esprime come

‘accettazione del rischio’, ci si dovrebbe quanto meno interrogare se il medesimo

discorso possa essere compiuto con riferimento ai reati accessori.

Il dolo eventuale può configurarsi come accettazione del rischio di cagionare l’evento

o come dubbio sull’esistenza di un elemento essenziale del fatto di reato102.

Secondo parte della dottrina103 l’incertezza della provenienza sarebbe di per sé

insufficiente a configurare il dolo eventuale.

L’incertezza sul presupposto sarebbe, di conseguenza, sempre attratto nella colpa,

salvo nella situazione in cui il soggetto si configuri interiormente un collegamento sul

piano della volontà fra lesione e vantaggio, cioè se il comportamento non sia dovuto

a un sacrificio ragionato del bene giuridico.

Secondo tale pensiero, il dolo eventuale sarebbe presente solo in quanto ricorra

“l’immissione del dubbio nella prospettiva dell’intenzione”104.

Questa impostazione risulta fortemente criticabile in quanto basare la distinzione fra

colpa cosciente e dolo eventuale sulla base delle sole motivazioni che hanno guidato

la condotta dell’agente conduce l’operatore giuridico a compiere un’impossibile

indagine introspettiva nell’intimo sentire del soggetto.

In aggiunta non si può ritenere corretta l’idea di un carattere volitivo su questioni che

in realtà sono preesistenti o per lo meno concomitanti.

102 V. S. Prosdocimi, Dolus eventualis, cit., 56; l’autore specifica che, mentre il dubbio sull’incertezza dei presupposti riguarderebbe un dubbio rispetto un fatto già accaduto e sarebbe qualcosa di meramente soggettivo dato che, in linea teorica, con opportune indagini l’agente potrebbe affrontare e risolvere le sue incertezze, questa potenziale conoscibilità mancherebbe invece nell’accettazione del rischio di un evento futuro poiché questa tende a qualcosa che deve ancora avvenire e di cui non si potrebbe avere un pieno controllo. Bisognerebbe dunque verificare il motivo dell’assenza di indagini volte a risolvere l’incertezza. Nello specifico bisognerebbe appurare se questa motivazione vada, nel caso concreto, collocata fra quelle rimproverabili a titolo di colpa o se viceversa vi sia un quid pluris che qualificherebbe il fatto come elemento soggettivo più intenso. Si è nel caso di semplice colpa nella situazione in cui “non sia stato instaurato un preciso collegamento, sul piano della volontà, fra lesione e vantaggio, un sacrificio calcolato del bene giuridico in gioco, che appaia all’agente come possibile risultato collaterale di un intento perseguito con determinazione”; 103 Cfr. S. Prosdocimi, op. cit., 51 e 57; 104 Così S. Prosdocimi, op. cit., 57;

71

Infatti l’elemento soggettivo, per quel che riguarda la conoscenza della origine

delittuosa della res, abbraccia solamente la sfera rappresentativa, mentre nulla

avrebbe a che fare con la sfera volitiva.

Il reato presupposto è indipendente dalla condotta di sostituzione, di trasferimento o

di altra operazione dell’agente e, di conseguenza, è anche estranea alla sua volontà.

L’attore del reato di riciclaggio non può far altro che prendere atto della provenienza

da delitto non colposo, essendo questo oggetto di pura attività intellettiva cioè di

mera rappresentazione.

Secondo altra dottrina105, il dolo eventuale risulterebbe configurabile ove ricorra

l’accettazione del rischio di commettere il fatto illecito106.

Bisogna difatti considerare che, seppur sussista l’incertezza della provenienza

delittuosa, il soggetto ha presente, anche se non con piena certezza, la

prospettazione del compimento del delitto.

Di conseguenza l’agire nonostante la rappresentazione della possibile provenienza

illegale non risulterà sempre e comunque attratta in un’imputazione meramente

colposa.

Tale conclusione si raggiunge anche ragionando sugli aspetti afferenti all’errore, cioè

con riferimento all’art. 47 del codice penale107.

Risulta evidente che l’incertezza della provenienza, riguardando la sola sfera

rappresentativa, sia strettamente legata ad errori sulla rappresentazione.

105 Cfr. S. Faiella, Riciclaggio, cit., 181; 106 Anche la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione penale n. 12433 del 2009, di cui si tratterà in seguito, ha seguito questa impostazione; 107 L’art. de quo così recita: “L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. L'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso. L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato”. In particolare, si obietta che l’art 47 c.p., riferendosi solo all’errore, in realtà si riferisca solo alla assenza o falsa rappresentazione della realtà, mentre non riguarderebbe altre situazioni;

72

Nel momento in cui l’autore si rappresenti, seppur in forma dubitativa, la possibilità di

compiere il delitto, il rimprovero che gli si muove non è di non aver riflettuto

adeguatamente prima di porre in essere la condotta, quanto piuttosto quello di averla

compiuta con dolo eventuale, salvo non abbia rimossa tale rappresentazione con

una diversa di segno opposto.

Si potrebbe dunque escludere il dolo e la sua compatibilità con lo stato di mero

dubbio solo in quanto l’autore non si sia rappresentato la provenienza illecita o, in

alternativa, superi l’incertezza con una rappresentazione contraria.

Si deve concludere che, al di fuori di queste situazioni, il dubbio potrebbe configurare

il dolo eventuale e il problema sarà piuttosto quello di distinguerlo dalla colpa

cosciente.

Si è anche argomentato a favore della non possibile configurazione del dolo in

presenza del dubbio che l’incertezza, riguardando una realtà antecedente rispetto la

condotta, riguarderebbe a sua volta la condotta e il risultato a cui questa è rivolta.

Lo stato dubitativo del presupposto influenzerebbe dunque anche il momento volitivo

e, presentandosi il dubbio come omnicomprensivo, si configurerebbe solo la mera

colpa108.

Altra dottrina precisa che l’accettare il rischio sarebbe proprio “dell’imprudenza o

temerarietà e non del dolo”109.

Accettare il rischio vorrebbe dire rischiare e di conseguenza sarebbe un

atteggiamento colposo, difettando l’agente della percezione del significato del suo

comportamento.

Non si potrebbe dunque, secondo tale teoria, configurare il dolo eventuale in

situazione di dubbio.

108 V. S. Faiella, op. cit., 185 s., che cita ex multis G. Pecorella; 109 Così G. Forte, op. cit., 191;

73

Tuttavia questa impostazione risulta fortemente criticabile sotto più aspetti.

Prima di tutto bisogna considerare che il dubbio su un accadimento preesistente non

esclude nei reati di evento la configurabilità del dolo.

Per esempio, se il proprietario di un ristorante incendiasse il proprio locale al fine di

ottenere un indennizzo assicurativo rappresentandosi che l’incendio possa

coinvolgere dei soggetti e mettere a rischio le loro vite, seppur sperando che questo

non accada, nel caso in cui lo sciagurato evento si realizzi non vi sarà alcun dubbio

circa la configurabilità del dolo di omicidio110.

110 In particolare, nell’esempio il titolare del locale sarà punibile a titolo di dolo intenzionale per il reato di truffa dato che la volontà del soggetto è quello di ingannare l’assicurazione al fine di ottenere il premio della polizza; rispetto all’evento di morte, invece, il soggetto risponderà a titolo di dolo diretto qualora si rappresenti l’evento come certo, mentre qualora si sia rappresentato la dipartita di persone solo come mera possibilità risponderà di omicidio a titolo di dolo eventuale; infine, se l’intenzione del soggetto sia quella di provocare la morte, anche qualora l’agente versasse in una situazione di dubbio si configurerebbe allo stesso modo il dolo intenzionale. Spesso per poter distinguere tra colpa cosciente, dolo eventuale e dolo diretto vengono erroneamente utilizzati indici quantitativi per misurare la capacità di una condotta di essere causa di un certo evento. La necessità di valutare in termini di probabilità l’idoneità di un comportamento si sente ogni volta che l’evento non sia il risultato a cui miri l’agire del soggetto. Nel dolo intenzionale la coincidenza tra voluto e realizzato è di massima intensità, anche qualora l’agente era incerto di raggiungere il risultato con la sua condotta. I problemi veri di valutazione sorgono nel momento in cui si realizzi un fatto che non risulti essere il primo oggetto della volizione. In questo caso la gradazione dell’elemento soggettivo si estenderà dalla colpa cosciente fino al dolo diretto. Il difetto di volizione rappresenta in questi casi il massimo comun denominatore e in una tale situazione rileverà la condotta e la sua capacità di porre in essere il fatto non voluto per misurare quanto questo fosse presente o rappresentabile (possibile, probabile, altamente probabile) nella psiche del soggetto nel momento in cui poneva in essere la condotta. Per quel che riguarda la parte più delicata, cioè la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente, l’utilizzo di indicatori quantitativi di possibilità-probabilità si concretizzerebbe nel trapiantare aspetti che riguardano la materialità del fatto nella valutazione dell’elemento soggettivo. Questo non significherebbe confondere il carattere oggettivo di un reato (nesso di causalità, evento, …) nella analisi dell’elemento soggettivo, quanto piuttosto di scoprire le tracce oggettive che indichino il pensiero del soggetto nel momento in cui ha posto in essere la condotta. Tale ragionamento, seppur semplifichi l’indagine introspettiva del giudice, risulta errato dal momento che spesso e volentieri la misurazione con gli indici di probabilità-possibilità non implica una perfetta corrispondenza fra il livello soggettivo e oggettivo. A fronte di un’alta probabilità di causazione del fatto vi potrebbe essere una contro rappresentazione del soggetto in termini di bassa possibilità o addirittura l’agente potrebbe per nulla percepire il pericolo. Si potrebbe quindi, a fronte di un evento altamente probabile, persino configurare una colpa incosciente. La valutazione della intensità dell’elemento soggettivo basandosi su indici di possibilità, probabilità o alta probabilità sarebbe inadeguato e spesso inveritiero, operando una sorta di commistione tra regola e prova. Il livello di rappresentazione del fatto è una questione di qualità e non di quantità. La distinzione deve basarsi sul livello di rappresentazione. Se, per esempio, un soggetto agente si configuri due possibili diversi svolgimenti futuri dei fatti, ambedue credibili, non ha rilevanza se uno sia più probabile rispetto all’altro (a meno che non si tratti di mera prevedibilità dell’alternativa illecita) ad

74

Non si trovano ragioni contro per cui tale ragionamento valido per i reati di evento

non possa essere esteso anche ai reati accessori e neppure si potrebbe contro

argomentare che il delitto di riciclaggio non è un reato di evento, ma di mera

condotta.

Infatti anche in questi tipi di illeciti si può versare in una situazione di

rappresentazione dubitativa di accadimenti passati.

Si potrebbe pensare al reato di furto, reato di mera condotta, che ricorre anche nel

dubbio di proprio possesso della res111.

Si deve dunque ritenere che il dolo eventuale (e anche la colpa cosciente) possano

trovare spazio anche al di fuori della sola categoria dei reati di evento e in particolare

il dubbio potrebbe configurare il dolo eventuale nel reato di riciclaggio.

3.2 Il dolo eventuale e la sua compatibilità con la fattispecie del riciclaggio

Il delicato problema della punibilità di un soggetto agente in presenza del solo dolo

eventuale, qualora questi non abbia la certezza della illecita provenienza, è stata

questione di cui si sono occupati, seppur limitatamente, gli operatori giuridici fin dai

primi anni della nascita della fattispecie e ha acquisito ancora maggior rilevanza

successivamente alla riforma che ha ampliato il ventaglio dei reati presupposto.

Spesso il ragionamento è stato compiuto con riferimento alla ricettazione, ma i

risultati ottenuti si possono estendere sicuramente anche alle limitrofe fattispecie di

riciclaggio e reimpiego visto e considerando che tutti e tre i delitti hanno come

ogni modo si configurerà il dolo eventuale. Bisogna dunque compiere un maggiore sforzo e non fermarsi al livello oggettivo, quanto piuttosto impegnarsi di guardare con gli occhi di colui che ha posto in essere la condotta (cfr. sul punto S. Faiella, op. cit., 187 ss.); 111 Semmai si potrebbe argomentare che si configuri la colpa cosciente ove l’agente ritenga proprio il possesso della res, superando così il dubbio dell’altrui possesso (cfr. S. Prosdocimi, Dolus eventualis, cit., 55);

75

presupposto il fatto della provenienza illecita della res, oltre alla somiglianza

strutturale.

Prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 12433 del 26 novembre del 2009112, si

discuteva della possibile punibilità a titolo di dolo eventuale.

C’era chi dava risposta affermativa e chi, invece, riteneva che, in caso di dubbio, si

configurasse solo la contravvenzione di incauto acquisto113 di cui all’art. 712 del

codice penale114.

In particolare si riteneva configurabile il reato di acquisto di cosa sospetta ogni volta

che ci si trovava di fronte a una situazione colposa.

Di contro ogni volta che si versava in una situazione di dolo, anche nella sua forma

eventuale, si sarebbe allora configurato il delitto di riciclaggio (o ricettazione).

Avverso tale ragionamento si argomentava che in realtà la contravvenzione sarebbe

punibile anche qualora si fosse in presenza di un elemento soggettivo di maggiore

intensità quale il dolo.

Infatti, da una lettura sistematica del reato di cui all’art. 712 c.p. con la fattispecie di

cui all’art. 648 c.p., si può notare come alcuni comportamenti, seppur connotati da un

certo carattere di lesività, sfuggirebbero all’applicazione della norma di ricettazione e,

di conseguenza, si renderebbe necessaria l’applicazione a talune ipotesi di dolo della

fattispecie dell’incauto acquisto proprio al fine di colmare le lacune normative che

diversamente farebbero la fortuna del criminale.

Per esempio, si potrebbe pensare al caso di incauto acquisto doloso di beni

provenienti da contravvenzione oppure di beni provenienti da delitto colposo.

112 Anche questa sentenza riguarda il delitto di ricettazione e non di riciclaggio; 113 Cfr. M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro, cit., 420 ss.; 114 L’articolo così recita: “Chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato, è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a euro 10. Alla stessa pena soggiace chi si adopera per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza.”;

76

Questa argomentazione dunque non appariva per nulla soddisfacente.

Si motivava a favore della tesi della esclusione della punibilità a titolo di dolo

eventuale sostenendo che sono presenti degli indicatori che impongono una

limitazione allo spazio applicativo dei delitti di ricettazione ai soli casi di dolo

intenzionale e diretto.

Un esempio di indicatore può essere quello della previsione di una sanzione molto

gravosa115 la quale richiede necessariamente un insieme di norme al fine di punire

con la pena inferiore della contravvenzione comportamenti che hanno un’intensità

criminogena minore.

Si può in tal senso compiere un raffronto fra la norma di ricettazione e quella di furto.

Il furto si realizza quando l’autore si appropria di un bene con il fine di profitto.

Il reato si configurerebbe anche qualora il soggetto agente si trovi in una situazione

di dubbio sul possesso proprio o altrui dell’oggetto.

Ciò non di meno il furto viene punito con una sanzione di gran lunga inferiore a

quella prevista per la ricettazione116.

In aggiunta non è previsto nessun reato contravvenzionale che miri a punire i furti

commessi con colpa.

Questo sarebbe indice del fatto che la previsione normativa del furto mira a

sanzionare anche i comportamenti a dolo meno intenso117.

Allora, sempre secondo questa interpretazione, la ricettazione, risultando

particolarmente grave e afflittiva, richiede appunto altre norme per punire i

comportamenti caratterizzati da una minor intensità dell’elemento soggettivo.

115 Il discorso allora avrebbe ancora maggior forza con riferimento al delitto di riciclaggio vista la maggior pena con il quale viene sanzionato. Inoltre la fattispecie di cui all’art. 648-bis c.p. non permetterebbe neanche una sospensione condizionale della pena visto che il minimo edittale di reclusione risulta di quattro anni; 116 Infatti, mentre il furto è punito ex art. 624 c.p. “con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516”, la ricettazione è punita “con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10329 euro”; 117 Una punibilità a titolo di colpa per il reato di furto è invece esclusa;

77

In aggiunta se l’agente si impossessasse di un bene altrui ritenendolo proprio e solo

in un momento successivo si avveda della reale proprietà, ciò nonostante decidendo

di tenerselo, egli non sarà più punibile a titolo di furto, ma sarà sanzionato per

appropriazione indebita.

Invece, qualora l’autore avesse avuto il dubbio dell’altruità al momento

dell’impossessamento, egli sarebbe stato condannato per furto a titolo di dolo

eventuale.

Allo stesso modo per la ricettazione, se il soggetto riceve un valore senza

conoscerne la provenienza illecita (e senza sospettarne) e solo in un momento

successivo scoprisse la natura illegale del bene, sarebbe punibile solo con la

contravvenzione di omessa denuncia di cose provenienti da delitto ex art. 709 del

codice penale118.

Si potrebbe applicare unicamente tale contravvenzione (e non i delitti di ricettazione

e incauto acquisto) in virtù del principio del nemo tenetur se detegere.

Dunque l’art. 709 c.p. si applica solo al soggetto che, al momento della ricezione,

non conosceva l’origine illecita della res, né sospettava di tale provenienza e

neppure era in colpa.

Sarebbe allora quantomeno iniquo che il primativo impossessamento venga punito

solo come contravvenzione di omessa denuncia mentre il dolo eventuale al momento

dell’acquisto è sufficiente a far si che l’agente venga punito per il delitto ben più

grave di ricettazione.

118 L’art. 709 c.p. così recita: “Chiunque, avendo ricevuto denaro o acquistato o comunque avuto cose provenienti da delitto, senza conoscerne la provenienza, omette, dopo averla conosciuta, di darne immediato avviso all'Autorità è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a cinquecentosedici euro”;

78

Queste tipi di reato basati su azioni di per sé neutre, quali l’impossessamento o la

ricezione, acquistano valore criminale solo in quanto sussista il presupposto

dell’azione cioè l’altrui possesso o la provenienza illecita.

La situazione di dubbio sul presupposto che non venga in qualche misura risolto

prima di porre in essere la condotta rilevante, con la conseguente accettazione del

rischio, viene equiparata a una situazione di piena conoscenza.

Il fatto che ambedue le condotte meritino il medesimo trattamento sanzionatorio,

seppur la situazione di dubbio sia di intensità soggettiva molto minore rispetto ad una

piena consapevolezza, potrebbe essere considerato quanto meno criticabile.

A ciò si aggiungono argomentazioni di natura politico criminale; la possibilità di

punire l’agente anche in una situazione di mero dubbio, anche in presenza di una

sorta di ‘conoscibilità oggettiva’ (il soggetto ‘avrebbe dovuto rappresentarsi la

provenienza illecita’), vorrebbe dire degradare la ricettazione a delitto

contravvenzionale119, finendo così per punire a titolo di dolo eventuale soggetti che in

concreto avevano un elemento intellettivo di minor intensità.

Volendo traslare il discorso nel riciclaggio si potrebbe affermare che a causa

dell’esistenza nel nostro codice penale della norma sull’incauto acquisto, in caso di

dubbio sulla origine illecita della res riciclata, si dovrebbe allora preferire

l’applicazione della contravvenzione.

La situazione di dubbio risulta incompatibile con il dolo diretto, ma potrà casomai

configurare il dolo eventuale o la colpa cosciente.

119 Cfr. M. Donini, Il delitto contravvenzionale. ‘Culpa iuris’ e oggetto del dolo nei reati a condotta neutra, Giuffrè, Milano, 1993, 255; l’autore evidenzia che in caso di decisione di punibilità anche a titolo di dolo eventuale si dovrebbero affrontare le difficoltà nel distinguere le situazioni di dolo da quelle di colpa, soprattutto in considerazione che in un delitto che non richieda il verificarsi dell’evento le difficoltà sarebbero persino maggiori. In aggiunta il dolo della provenienza illecita del bene non può essere voluto, ma può essere oggetto solo di rappresentazione, il che non fa altro che incrementare le problematiche;

79

Altra argomentazione contraria a ritenere il dolo eventuale sufficiente per punire

l’agente a titolo di riciclaggio risiede nel fatto che il confine fra colpa cosciente e dolo

eventuale risulta di difficile interpretazione, soprattutto nei delitti che non richiedano il

verificarsi dell’evento, ma per cui basterebbe il porre in essere la condotta120.

Per di più il fatto che il riciclaggio sia un reato di pericolo concreto non fa altro che

rendere più incerto il confine fra colpa e dolo.

Quindi, essendo il riciclaggio un delitto di azione e pericolo concreto, il dolo diretto

dovrebbe essere descritto come “l’agire in modo consapevolmente idoneo a

concretare (con ragionevole certezza) il pericolo, ma non per cagionare il pericolo

stesso”121.

Per contro in tali reati il dolo eventuale dovrebbe descriversi come “rappresentazione

del fatto che si sta ‘probabilmente’ agendo in modo da cagionare un pericolo per il

bene tutelato (situazione, pertanto, di dubbio, di sospetto), unita all’accettazione del

rischio connesso all’azione: vale a dire all’agire nell’indifferenza del risultato

lesivo”122.

Per la punibilità a titolo di dolo eventuale bisognerebbe provare un quid pluris rispetto

il semplice dubbio.

Il mero stato di incertezza sarebbe indice semmai di colpa.

Non sarebbe dunque punibile l’agente solo perché ‘avrebbe dovuto sospettare’ della

provenienza delittuosa.

120 Cfr. M. Zanchetti, op. cit., 432 s.; secondo l’autore sarebbe persino legittimo dubitare che tali delitti possano essere puniti a titolo di dolo eventuale perché questa forma di elemento soggettivo è frutto di un’elaborazione dei giuristi costruito sul modello dei reati di evento. Nei reati di mera condotta, o di evento di difficile individuazione, il soggetto valuterebbe come eventuale non l’evento, ma un presupposto. Si applicherebbe quindi tutta la costruzione del dolo indiretto per analogia; 121 Così M. Zanchetti, op. cit., 434; 122 Così M. Zanchetti, op. cit., 435;

80

Nei reati di condotta risulta quantomeno complicato fornire la prova di questo quid

pluris per cui bisognerebbe sostenere, a maggior ragione, una esclusione della

punibilità a titolo di dolo eventuale.

Proprio per queste ragioni, sempre secondo tale orientamento, si dovrebbe preferire,

nelle situazioni di colpa e di dolo eventuale, l’applicazione della norma dell’incauto

acquisto, se non per punire con una sanzione più lieve un atteggiamento psicologico

di minor intensità, quantomeno per risolvere situazioni complesse dovute al labile

confine tra la colpa con previsione e la forma di dolo meno intenso.

4. LA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE 12433/2009

4.1 Il caso e il rinvio

Nello studio della tematica dell’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio con

riferimento alla conoscenza della origine delittuosa la sentenza principe risulta

essere quella delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione penale del 26

novembre 2009 n. 12433.

Il caso tuttavia non riguarda il reato ex art. 648-bis c.p., ma è attinente un caso di

ricettazione.

Ciò non di meno il discorso compiuto dalla Sezioni Unite ben può essere adattato ed

esteso alla fattispecie di riciclaggio proprio per la sua struttura similare al reato

contiguo e per la sua originaria previsione da parte del legislatore come particolare

fattispecie di ricettazione.

Il caso concreto riguarda N. M., indagato e condannato nei precedenti gradi di

giudizio.

Il soggetto aveva utilizzato per pagare il pedaggio del casello autostradale una

tessera Viacard del valore nominale di L. 50.000.

81

Questo strumento di pagamento aveva una provenienza illecita in quanto la carta era

stata rigenerata e, di conseguenza, il suo utilizzo123 da parte di N. è risultato a sua

volta illecito.

L’agente si era giustificando asserendo di averla acquistata da uno sconosciuto

all’interno di un’area di servizio, il quale gliel’aveva offerta in cambio di denaro per

ottenere i contanti necessari a fare rifornimento visto che si trovava in assenza di

liquidità.

A seguito di giudizio abbreviato N. era stato ritenuto responsabile per i reati di

ricettazione e di indebito utilizzo della Viacard.

La Corte di Appello confermava la condanna ritenendo che, in base alla situazione

nel momento dell’acquisto, vi erano delle circostanze che indicassero quanto meno

l’esistenza del dolo eventuale per cui era configurabile il delitto di ricettazione e non

quello di incauto acquisto.

La Corte aveva richiamato inoltre, in risposta alla difesa del soggetto che sosteneva

le circostanze incontrollabili, una giurisprudenza consolidata la quale affermava che

“la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto

costituisce prova della conoscenza della sua illecita provenienza”.

L’imputato decide allora di ricorrere per Cassazione contestando, fra i vari motivi, la

non applicazione del delitto di ricettazione sulla base di un mero dolo eventuale,

sostenendo inoltre che le circostanze in cui era avvenuto l’acquisto della Viacard non

erano tali da segnalarne una possibile provenienza illecita.

Il ricorso arriva alla Sezione II della Corte di Cassazione la quale, ex art. 618 c.p.p.,

decide di rimettere la questione alle Sezioni Unite.

123 In totale la carta è stata utilizzata indebitamente sette volte;

82

In particolare dovranno stabilire se sussiste o meno “la configurabilità del reato di

ricettazione quando l’agente non conosce la provenienza delittuosa della cosa ma se

ne rappresenta la probabilità o possibilità”124.

La Sezione II non si limita a rinviare, ma compie anche un utile sforzo in cui si

preoccupa di ricordare alle Sezioni Unite i diversi orientamento presenti in

giurisprudenza attinenti l’argomento.

Secondo un primo orientamento, nel delitto di riciclaggio è ravvisabile il dolo

eventuale quando la situazione fattuale, la quale deve essere valutata dal giudice di

merito conformemente alle tradizionali regole di logica ed esperienza, possa far

ragionevolmente dedurre che non vi sia stata solo mera mancanza di diligenza nel

controllare l’origine del bene, ma che invece vi sia stata una consapevole

accettazione del rischio.

Al contrario, secondo altro orientamento, il dolo eventuale mai sarebbe compatibile

con il reato di ricettazione dato che la rappresentazione dell’eventualità della illecita

provenienza della res equivarrebbe al dubbio, mentre il delitto di cui all’art. 648 c.p.

richiederebbe una piena consapevolezza dell’origine delittuosa e conseguentemente

non sarebbe sufficiente che il soggetto si sia solo rappresentato tale possibilità.

Sempre secondo tale scuola di pensiero, nel caso in cui l’agente si trovasse in una

situazione di perplessità si ricadrebbe nell’applicazione dell’incauto acquisto ex art.

712 del codice penale, il quale punisce a titolo di colpa l’acquisto o la ricezione di

beni che, per obiettive condizioni, appaiono quantomeno di sospetta provenienza da

delitto o da contravvenzione, imponendo così all’acquirente, in via indipendente

rispetto al reato presupposto, l’obbligo di compiere adeguati accertamenti sulla

provenienza lecita o meno dell’oggetto.

124 Così testualmente la sentenza de qua;

83

A quest’ultimo indirizzo parte dei giuristi ritiene necessaria un’aggiunta cioè che la

certezza dell’origine delittuosa, la quale permetterebbe la qualificazione del ben più

severo delitto di ricettazione, possa essere desunta anche dalla qualità della res o da

altri elementi sintomatici valutati dall’art. 712 c.p.125, solo però a condizione che “tali

sospetti siano così gravi e univoci da generare in qualsiasi persona di media levatura

intellettuale e secondo la comune esperienza la convinzione che non possa trattarsi

di cose legittimamente detenute da chi le offre”.

L’ordinanza di remissione evidenzia come la Suprema Corte di Cassazione, nelle

diverse decisioni che aveva in precedenza affrontato sulla tematica, abbia aderito

alternativamente al primo e al secondo orientamento sempre però senza fornire

argomentazioni convincenti a favore della propria scelta.

Per riassumere, si richiede alle Sezioni Unite di pronunciarsi sulla compatibilità del

dolo eventuale nella fattispecie di ricettazione, sul rapporto tra l’art. 712 c.p. e 648

c.p. e, infine, se la formula del dolo eventuale (accettazione del rischio) elaborata per

i reati di evento possa valere anche per il presupposto del fatto (la provenienza

illecita) il quale può si essere oggetto di vari gradi di rappresentazione, ma non

sarebbe né imprevedibile né inevitabile.

125 L’articolo de quo indica quali elementi sintomatici della possibile provenienza illecita dei beni la loro qualità, la condizione di chi le offre e l’entità del prezzo;

84

4.2 La risposta delle Sezioni Unite: la “sufficienza” del dolo eventuale

La questione dunque riguarda la compatibilità del dolo eventuale con il delitto di

ricettazione.

Preliminarmente le Sezioni Unite superano agevolmente il quesito se il dolo

eventuale, il quale è stato creato da giurisprudenza e dottrina pensando ai reati di

evento, possa riguardare anche i presupposti.

Al riguardo viene data risposta affermativa proprio in ragione della sua natura

artificiale e della assenza di motivazioni contrarie ad un’analogia del ragionamento.

La Corte evidenzia come l’elemento soggettivo sia composto, ancor prima che da

una componente volitiva, da una rappresentativa che investe l’intero fatto, cioè non

solo gli effetti del suo agire, ma anche gli altri elementi della fattispecie.

La rappresentanza da la piena ragione alla colpevolezza dell’agente.

Di conseguenza, se il dolo risulta composto da un momento rappresentativo e uno

volitivo del fatto antigiuridico, non si riesce a trovare una valida motivazione per

distinguere la situazione in cui il dubbio ricada sulla verificazione dell’evento da

quella in cui l’incertezza riguardi il presupposto.

Infatti, sia nel primo caso che nel secondo, l’agente si rappresenta la possibilità di

commettere un reato e, sempre in ambedue i casi, qualora non si astenesse dal

porre in essere l’azione ne accetterebbe la possibile realizzazione, anche qualora

l’illecito non fosse direttamente voluto.

La Suprema Corte di Cassazione riporta la dottrina secondo cui l’esistenza dei

presupposti deve essere rappresentata come certa o come possibile, così

accettando l’eventualità della loro esistenza.

Solo in tale situazione è possibile configurare il dolo eventuale qualora l’agente si

rappresenti come seriamente possibile, anche senza la piena certezza, l’esistenza

85

del presupposto e, piuttosto che rinunciare a porre in essere la condotta e i vantaggi

da questa derivanti, accetta che il fatto possa realizzarsi: “il soggetto decide di agire

costi quel che costi, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto”.

Si evidenzia, per contro, come la giurisprudenza contraria alla possibilità del dolo

eventuale nel delitto di cui all’art 648 c.p. non si riferisca all’eventualità di una

configurabilità di tale elemento soggettivo rispetto ai presupposti, ma piuttosto è

combattuta rispetto la qualificazione del reato di incauto acquisto invece che di quello

di ricettazione e, dunque, il dolo eventuale potrebbe anche tranquillamente

riguardare i presupposti.

Questa ultima argomentazione fornisce alla Corte il punto di partenza per la

successiva analisi della questione cioè se il dolo eventuale configuri il delitto di cui

all’art. 648 c.p. o, in alternativa, il reato ex art. 712 del codice penale.

La Corte dimostra di essere ben informata riguardo l’argomento tanto è che cita le

principali sentenze a favore e contro la sufficienza del dolo eventuale ai fini della

configurabilità del delitto de quo.

Fra le motivazioni dell’orientamento che ritengono la necessità del dolo diretto ai fini

della punibilità a titolo di ricettazione si riportano la sua strutturazione giuridica e la

sua correlazione logica con la contravvenzione di incauto acquisto126.

126 V. Cass. pen., sez. II, 2 luglio 1982, n. 1180/83, Blanc; in particolare nella sentenza si afferma che, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, “occorre, oltre al presupposto di fatto dell'effettiva esistenza di un delitto da cui il denaro o le altre cose provengano, che l'agente, al momento dell'acquisto o della ricezione, pienamente consapevole dell'origine delittuosa delle cose, volontariamente e coscientemente le abbia trasferite nella propria disponibilità, non essendo sufficiente che egli si sia rappresentata la possibilità di tale origine delittuosa per circostanze idonee a suscitare perplessità sulla lecita provenienza delle cose stesse” dato che, in quest’ultimo caso “ricade invece nell'ambito della specifica previsione dell'art. 712 c.p., che punisce a titolo di colpa l'acquisto o la ricezione di cose che, per le obiettive condizioni stabilite nello stesso disposto di legge, denuncino, di per sé, il sospetto di un'origine di natura delittuosa ovvero anche solo contravvenzionale e impongano all'acquirente, indipendentemente anche dall'effettiva sussistenza di un reato presupposto, l'obbligo di ragionevoli accertamenti sulla liceità o meno della provenienza”; in senso conforme v. anche Cass. pen., sez. II, 14 maggio 1991, n. 9271, Castelli; secondo questa sentenza il dolo eventuale non è compatibile con il delitto di ricettazione poiché la rappresentazione dell'eventualità che la cosa che si acquista, o comunque si riceve, provenga da delitto equivale al dubbio, mentre l'elemento psicologico della ricettazione esige la piena consapevolezza della provenienza delittuosa dell'oggetto. Per contro il dubbio motivato dalla rappresentazione della possibilità dell'origine

86

La Corte non dimentica di menzionare la giurisprudenza che aggiunge e precisa che

questa certezza dell’agente circa la provenienza delittuosa può essere desunta

anche dagli elementi delineati dall’art. 712 c.p. purché gravi e univoci tali da

ingenerare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale e secondo la più

comune esperienza, la certezza che non possa trattarsi di res legittimamente

detenuta127.

Invece l’orientamento128 a favore di una ricomprensione del dolo eventuale nella

fattispecie di cui all’art. 648 c.p. motiva sul fatto che non emerge dalla normativa

della ricettazione una richiesta di intensità di dolo maggiore.

In particolare si ritiene che la norma punisca non chi “sospetti” della origine

delittuosa, ma piuttosto mira a punire l’agente che acquista o riceve quando “si abbia

motivo di sospettare” la provenienza illecita129.

delittuosa dell'oggetto per circostanze idonee a suscitare perplessità sulla lecita provenienza dello stesso, integra la specifica ipotesi di reato prevista dall'art. 712 c.p., che punisce l'acquisto di cose di sospetta provenienza”; 127 La Suprema Corte cita le seguenti sentenze: Cass. pen. sez. II, 3 aprile 1992, n. 2/93, Nicoletti; Cass. pen., sez. II, 21 febbraio 1995, n. 3237, Quasdallah; Cass. pen., sez. II, 20 giugno 1996, n. 8072, Coletto; Cass. pen., sez. VI, 4 giugno 1997, n. 6753/98, Finocchi; Cass. pen,. sez. IV, 12 dicembre 2006, n. 4170/07, Azzaouzi; 128 Per questo orientamento la Corte riporta le seguenti sentenze: Cass. pen., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, Conti; Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2001, n. 14170, Macchia; Cass. pen., sez. II, 22 novembre 2007, n. 45256, Lapertosa; Cass. pen,. sez. II, 28 novembre 2008, n. 46966, Gorgoni; Cass. pen., sez. II, 17 dicembre 2008, n. 2807/09, Dragna; Cass. pen., sez. II, 18 febbraio 2009, n. 13358, Rubes; Cass. pen., sez. II, 2 aprile 2009, n. 17813, Ricciardi; 129 Cfr. Cass. pen., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 3783, Conti; la sentenza citata ritiene il reato di incauto acquisto punibile solo a titolo di colpa dato che “emerge chiaramente da tale formulazione della norma che il legislatore con l'art. 712 c.p., ha inteso punire la mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res quando vi sia una oggettiva ragione di sospetto in ordine a detta provenienza. Ciò vale a dire che del reato di cui all'art. 712 c.p., si risponde essenzialmente per colpa consistente appunto nella suddetta mancanza di diligenza” e, di conseguenza, “quando invece la situazione fattuale, nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell'esperienza, sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, del tutto corretta risulta la configurabilità dell'elemento soggettivo del delitto di ricettazione. Quest'ultimo infatti come ogni delitto, è punibile a titolo di dolo, e il dolo di regola può assumere anche la forma del c.d. dolo indiretto o eventuale, salvo che ciò sia escluso dalla particolare struttura della fattispecie incriminatrice”;

87

Sempre secondo tale pensiero si ritiene che concretamente possano presentarsi due

possibili situazioni in caso di dubbia provenienza da delitto:

I. Il soggetto si è domandato circa la possibile legittimità del bene, rispondendosi nel

senso della indifferenza delle alternative;

II. Il soggetto si è comportato negligentemente in quanto, anche qualora avrebbe

dovuto sospettare della origine illecita, non si è posto il quesito.

Nel primo caso “sussiste il dolo eventuale, poiché il soggetto ha affrontato

consapevolmente il rischio di violare il codice penale, ricevendo una cosa che può

provenire da delitto e d'incorrere nelle conseguenti sanzioni”, mentre nel secondo

caso la condotta risulterà come meramente colposa, in quanto l’agente non ha

utilizzato gli ordinari criteri di prudenza e diligenza ai fini dell’accertamento130.

Orbene, di fronte a questi due possibili orientamenti, le Sezioni Unite della Suprema

Corte di Cassazione penale optano per una diversa ed ulteriore posizione criticando

le precedenti direzioni intraprese dalla medesima Corte ritenendo che queste non

possano essere pienamente condivise.

Per quel che riguarda il secondo indirizzo risulta eccessivo non ricomprendere nella

contravvenzione di cui all’art 712 c.p. anche le situazioni di mero sospetto dell’origine

delittuosa del bene.

Infatti, seppur è vero che la fattispecie di incauto acquisto si riferisce a un’oggettiva e

non soggettiva situazione di sospetto, allo stesso modo è vero anche che non viene

vietata l’applicazione della norma nelle situazioni in cui gli elementi oggettivi elencati

dall’articolo abbiano determinato un sospetto del soggetto.

Ragionando diversamente si finirebbe con un’irrazionale e immotivata limitazione del

campo applicativo della contravvenzione.

130 Cfr. Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2001, n. 14170, Macchia;

88

Non di meno anche il primo orientamento, sempre secondo la Corte, non può essere

pienamente condiviso.

Difatti ritenere che in una situazione di sospetto sia configurabile l’incauto acquisto

comporta l’errata conclusione per cui si esclude l’applicazione del delitto di

ricettazione in tutte le situazioni in cui si configuri il dolo eventuale, con la

conseguenza che l’art. 648 c.p. sarebbe applicabile solo in caso di certezza

dell’agente della provenienza illecita, così escludendo persino i casi in cui il soggetto

sia ben consapevole della concreta possibilità dell’origine della res.

L’orientamento in questione difetta di due importanti considerazioni.

Prima di tutto non considera che il dolo eventuale non investe solo le situazioni

soggettive che riguardano il mero sospetto, bensì può riguardare anche forme più

impegnative senza che si configuri il dolo diretto.

Secondariamente non viene considerato che la fattispecie di cui all’art. 712 c.p.,

differentemente dalla ricettazione, non mira a punire l’acquisto o la ricezione di cosa

di provenienza delittuosa, ma piuttosto punisce il semplice acquisto o ricezione di

cose di cui si abbiano motivi di sospetto e per cui non si siano svolti gli adeguati

accertamenti.

Quindi l’elemento soggettivo dell’incauto acquisto non investe l’origine delittuosa, ma

piuttosto riguarda gli accertamenti relativi alla possibile provenienza illecita che

dovevano essere compiuti e le motivazioni che avrebbero dovuto spingere l’agente a

sospettare di tale situazione.

In atre parole, l’art. 712 c.p. non necessiterebbe espressamente che la res provenga

da delitto, tanto è che parte degli operatori giuridici131 ritiene che tale provenienza

131 Per la giurisprudenza vengono riportate le seguenti sentenze: Cass. pen., sez. III, 15 aprile 1994, n. 5361, La Grutta; Cass. pen., sez. II, 2 luglio 1982, n. 1180/83, Blanc; Cass. pen., sez. II, 1 ottobre 1980, n. 2232/81, Acquafredda; Cass. pen., sez. VI, 9 febbraio 1971, n. 162, Langella; in senso contrario, Cass. pen., sez. II, 7 luglio 1994, Manduano;

89

non dovrebbe nemmeno essere oggetto di accertamento visto che la norma non lo

richiede.

Infatti sono i motivi di sospetto tipizzati dalla previsione normativa e non il sospetto

che caratterizzano la contravvenzione.

Nel soggetto si potrebbe anche ingenerare un sospetto, ma esso è semplicemente

un fatto fortuito che rimane comunque estraneo alla struttura del reato.

Quindi, riassumendo, non sussisterebbero argomenti convincenti tali da motivare una

collocazione di ogni possibile caso di dolo eventuale nella contravvenzione

dell’incauto acquisto, sia perché questo elemento soggettivo non è incompatibile con

la ricettazione, sia perché tale forma non integra tipicamente il reato di cui all’art 712

del codice penale.

La Suprema Corte riporta il caso del collezionista d’arte che si trovi di fronte a

un’opera artistica di cui però sospetta la provenienza e si rappresenti, a seguito delle

spiegazioni fornite dall’offerente, la probabilità che tale bene abbia un’origine illecita,

senza però averne piena certezza.

Ciò non di meno l’amante dell’arte non rinuncia a questa occasione dato che il suo

interesse per l’opera è tale che la acquisterebbe anche qualora sapesse che il

soggetto offerente abbia commesso un delitto per ottenerla.

Orbene, in un atteggiamento del genere nulla potrebbe definirsi come ‘incauto’ dato

che si decide di dare soddisfazione ai propri desideri nonostante vi sia un’elevata

consapevolezza della possibile configurabilità del delitto ex art. 648 del codice

penale.

Sfortunatamente, e qui forse risiede il problema maggiore, il dolo eventuale, salvo

dichiarazioni del soggetto, verrebbe desunto dalle sole circostanze del caso, le quali

indicherebbero la possibilità che la res abbia origine delittuosa.

90

Questi indici inoltre molte volte coincidono con i motivi di sospetto indicati dall’art.

712 c.p. e, di conseguenza, il giudice non potrebbe dalla semplice presenza di questi

desumere il dolo eventuale altrimenti si correrebbe il rischio che la fattispecie di

incauto acquisto venga assorbita da quella di ricettazione.

Partendo dal fatto che la ricettazione possa essere sorretta anche dal semplice dolo

eventuale, bisogna comunque ricercarne le caratteristiche che lo qualificano come

tale e le modalità di accertamento.

Ecco che allora la Suprema Corte arriva al cuore della questione.

Per il configurarsi della ricettazione si necessitano di circostanze più consistenti, più

importanti di quelle che ingenerano un semplice motivo di sospetto della provenienza

delittuosa.

Un ragionevole convincimento del fatto che il soggetto accetti il rischio potrebbe trarsi

solo in presenza di dati di fatto inequivoci tali da far apparire palese la concreta

possibilità di un’origine illecita del bene.

Dunque l’elemento psicologico non si deve porre in termini di piena conoscenza della

provenienza da delitto non colposo, ma per la configurazione del dolo eventuale

risulterebbe sufficiente un livello di certezza che sia un “gradino immediatamente più

alto di quello del mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da

parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto”132.

In altre parole, ai fini della configurabilità del dolo eventuale e di conseguenza del

delitto di ricettazione, è necessario un quid pluris rispetto il mero sospetto cioè un

qualcosa in più rispetto alla semplice poca attenzione o noncuranza del soggetto che

pone in essere la condotta.

132 Così testualmente la sentenza de qua;

91

Si richiede, insomma, una situazione fattuale inequivoca che mette l’agente di fronte

ad una scelta alternativa consapevole fra l’agire, in questo modo accentando la

possibilità della configurabilità del delitto ex art. 648 c.p., e il non agire.

Per riassumere, il dolo eventuale nella ricettazione è “ravvisabile quando l’agente,

rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe

agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza”.

In conclusione le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione penale criticano

la sentenza impugnata che aveva confermato la condanna del ricorrente sulla base

di due motivazioni:

I. Presenza del dolo eventuale;

II. La mancanza di giustificazione da parte del soggetto per il possesso della Viacard

che, evidenzia la Corte, parte della giurisprudenza ritiene quale indice rilevatore

della volontà di occultare che si spiega logicamente con un acquisto in mala fede.

La Corte attacca specialmente quest’ultima ratio valutandola come apodittica e

ingiustificata, mostrando la sentenza della Corte d’Appello, al pari della sentenza di

primo grado, di aver dato rilevanza alle dichiarazioni del ricorrente sulle sue

motivazione dello sciagurato acquisto e da queste abbiano dedotto il dolo eventuale.

Però, come sopra ben evidenziato dall’iter argomentativo della Corte, non può

risultare sufficiente un mero dubbio per integrare la forma del dolo eventuale del

delitto di cui all’art. 648 c.p. e, come conseguenza, le Sezioni Unite decidono per

l’annullamento della sentenza impugnata richiedendo al giudice del rinvio di fornire

un nuovo giudizio focalizzandosi specialmente sull’elemento intellettivo utilizzando i

principi sopra citati.

92

4.3 Il dolo eventuale: analisi storica-comparatistica e posizione assunta dalla Corte

La categoria del dolo eventuale, intesa come espressione giuridica, fece la sua prima

apparizione in Germania, ma in Italia comparve solo verso il finire dell’Ottocento.

Questa forma dell’elemento psicologico nasce in seguito a continue critiche al dolo

indiretto il quale imputava come volute conseguenze solo prevedibili e risultava

dunque contrario al principio di colpevolezza.

Il dolus eventualis evidenzia nella prassi una sorta di necessità di attenzione

psicologica alla colpevolezza del soggetto.

Non si tratta più di una nozione oggettiva come nel passato133, ma di una vera

nozione soggettivistica.

Nei sistemi anglosassoni le situazioni che per noi ricadrebbero all’interno del dolo

eventuale sono ricomprese nell’istituto della recklessness134, cioè di una

colpevolezza che si trova a metà strada fra la colpa e il dolo.

In particolare, essa farebbe riferimento a tutti i casi in cui il soggetto si trovi

psicologicamente in una forma di intensità più bassa rispetto al dolo, ma più elevata

rispetto la colpa.

Tale forma di imputazione soggettiva si esprime in una tanto consapevole quanto

insensata assunzione di un certo rischio, sia con riferimento ad una certa situazione

passata, sia con riferimento alla possibilità di un evento futuro.

133 Fra le più importanti si possono ricordare la doctrina Bartoli che prevedeva un’imputazione a titolo di dolo delle conseguenze prevedibili scaturite da una precedente condotta dolosa e la doctrina Cavarruvias per cui la volontà della causa comporta anche in automatico la volontà delle conseguenze che fossero immediate e non accidentali o dei pericoli a cui tende l’atto voluto. Come si può facilmente notare queste tesi tendono a comportare un’imputazione oggettiva (conseguenze prevedibili, conseguenze immediate non accidentali, pericoli a cui tende) senza considerare l’aspetto soggettivo, cioè senza valutare una corrispondenza tra voluto e realizzato, ma imputandolo al soggetto sulla base di una certa prevedibilità; 134 Cercando di fornire una traduzione per meglio comprendere il significato si potrebbe tradurre come non curanza o temerarietà, ma forse conviene riassumerlo con una frase del calibro ‘consapevole e irragionevole assunzione di rischio’;

93

Il problema maggiore di questo istituto è la sua lettura che, di volta in volta, deve

essere compiuta in termini soggettivi qualora l’agente reckless sia consapevole di

assumere un rischio ingiustificato, ovvero in termini oggettivi qualora il rischio è tale

che qualsiasi individuo ragionevole ne sarebbe stato consapevole.

Proprio tale incertezza fra oggettivazione e soggettivazione della forma soggettiva

non permette un suo trapianto in diversi ordinamenti, soprattutto in quello italiano che

esige, almeno in linea teorica, un certo livello di certezza.

Tornando all’interno dei confini nostrani, nella sua versione più classica e

maggiormente utilizzata il dolo eventuale si esprime nella cosiddetta ‘accettazione

del rischio’ da parte del soggetto agente.

Nella giurisprudenza le sentenze più importanti si ebbero intorno agli anni 90.

Di rilevante importanza è la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 3571 del

1996135 la quale sottolinea la differenza tra dolo eventuale e dolo diretto.

La fattispecie concreta riguardava un rapinatore imputato di tentato omicidio in

quanto, a seguito della rapina, dopo aver esploso alcuni colpi di arma da fuoco

mirando verso il basso, una volta raggiunto sparò mirando al busto dell’inseguitore

più prossimo che comunque riuscì ad evitare il proiettile.

Nel caso in esame la Corte ha sostenuto che “sussiste il dolo eventuale quando

l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta la

concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria azione e,

nonostante ciò, agisce accettando il rischio di cagionarle; quando invece l'ulteriore

accadimento si presenta all'agente come probabile, non si può ritenere che egli,

agendo, si sia limitato ad accettare il rischio dell'evento, bensì che, accettando

135 Cass. pen., Sez. Un., n. 3571, 14 febbraio 1996, in ass. pen. 1996, 2505, in Riv. polizia 1996, 800, in Giust. pen. 1996, II, 449, in Cass. pen. 1997, 964, in Giust. pen. 1997, II, 54 e in Dir. pen. e processo 1997, 55; in Giur. it. 1997, II, 135;

94

l'evento, lo abbia voluto, sicché in tale ipotesi l'elemento psicologico si configura nella

forma di dolo diretto e non in quella di dolo eventuale”.

L’imputo venne alla fine condannato a titolo di dolo diretto.

Altra sentenza della Cassazione penale del 1997136 evidenzia invece la distinzione

tra il dolo eventuale e la colpa cosciente.

Il caso concreto riguardava un soggetto, poi condannato per omicidio a titolo di dolo

eventuale, il quale, sparando per scherzo in stato di ubriachezza all’interno di un

locale di dimensioni limitate, uccide involontariamente la figlia.

La Corte ha ritenuto che il dolo eventuale e la colpa cosciente si differenzierebbero

“per l'elemento della volontà, in quanto in entrambe le ipotesi il soggetto si

rappresenta l'evento antigiuridico che è conseguenza della sua azione o omissione,

ma mentre nel primo caso agisce, accettando il rischio che l'evento possa verificarsi,

nel secondo caso agisce, nella certezza che l'evento non si verificherà ed, in ogni

caso, egli non vuole, neanche per ipotesi, che l'evento si verifichi. Per poter accertare

l'elemento soggettivo del reato occorre valutare le circostanze di fatto esistenti e note

all'agente nel momento in cui la condotta è stata posta in essere, desumendone dalle

stesse l'atteggiamento psichico”.

Di centrale importanza poi la sentenza della Sez. I della Cassazione penale n. 30425

del 2001137.

Il caso, che fece molto scalpore all’epoca, riguardava il contagio del partner da parte

di un soggetto sieropositivo attraverso molteplici rapporti sessuali non protetti e

senza l’adeguata informazione circa il proprio stato di salute.

Tali continui rapporti condussero alla morte del compagno.

136 Cass. pen, sez. I, n. 5969, 23 ottobre 1997, in Riv. pen. 1998, 342; 137 Cass. pen., sez. I, n. 30425, 14 giugno 2001, in Studium Juris 2002, 799;

95

La Corte ha ritenuto sussistente il delitto di omicidio e non solo quello di lesioni dato

che l’evento, prima esplicatosi nel contagio e poi successivamente nella morte-

conseguenza, si riconduce alla continuata condotta omissiva dell’agente, il quale con

il suo comportamento non ha permesso al partener di curarsi, così accelerandone il

processo letale138.

La Sezione I ha affermato che si configuri il dolo eventuale qualora “vi sia stata

nell'agente la rappresentazione della probabilità o della semplice possibilità del

verificarsi dell'evento letale come conseguenza della propria condotta ed il rischio di

quella verificazione sia stato accettato. Qualora, invece, un soggetto pur essendosi

rappresentato l'evento come possibile, abbia agito nella convinzione, giusta o

sbagliata che sia, che l'evento non si sarebbe comunque verificato, esso non può

essere attribuito alla sua sfera volitiva e si cade nel versante della colpa cosciente, in

cui il verificarsi dell'evento rimane un'ipotesi astratta non concretamente realizzabile”.

Guardando a sentenze più recenti non ci si può esimere dal classico caso di scuola

dell’attraversamento della strada con semaforo rosso a cui è seguito un incidente.

Un tale caso risulta più facilmente esportabile nell’argomentazione de quo dato che

una tale situazione richiede un presupposto che non è conosciuto all’agente, ma è

qualcosa di storico al pari della provenienza da delitto della res: la presenza di uno o

più soggetti volti ad attraversare l’incrocio.

Analizzando una delle sentenze più recenti in tema si riporta la n. 42973 del 2012139.

La fattispecie concreta era relativa ad un conducente il quale, nel tentativo di fuggire

dalle polizia, attraversa a gran velocità un incrocio provocando così la morte di uno

degli occupanti.

138 Il caso, oggi ben più limpido a seguito dell’aumento di coscienza rispetto la malattia dell’HIV, risultava forse

meno rimproverabile all’epoca dei fatti in quanto la malattia non era percepita con la dovuta attenzione che

meriterebbe; 139 Cass. pen., sez. V, n. 42973, 27 settembre 2012, in Diritto & Giustizia 2012, 8 novembre;

96

Questi verrà in seguito condannato per omicidio doloso sussistendo il dolo eventuale

qualora l’agente “si rappresenta come seriamente possibile (ma non come certa)

l'esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell'evento come

conseguenza dell'azione e, pur di non rinunciare all'azione e ai vantaggi che se ne

ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi, decidendo di agire ‘costi quel che

costi’, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto”.

Passando ora alla dottrina, nelle teorie contemporanee del dolo eventuale

solitamente si fa riferimento a nozioni volontaristiche e soggettivistiche pure, come,

per esempio, quelle che parlano di ‘consenso’, ‘accettazione’ o ‘indifferenza’.

Tali dottrine si focalizzano principalmente su un criterio psicologico-soggettivo senza

nessun tipo di selezione oggettiva del fatto.

Il rischio sarebbe quello di uno svuotamento di tali nozioni.

Tuttavia, esigendosi come prova del fatto doloso la presenza di un coefficiente di

pericolosità o di indicatori dai quali si possa dedurre una decisione del soggetto, tali

scuole di pensiero non risulteranno essere né completamente normative, né

meramente soggettive, ma resteranno legate ad un fatto commesso.

Si individua, o per lo meno si cerca di individuare, un fatto che risulti essere sia

soggettivo che oggettivo e non qualcosa che sia un mero interior dell’agente.

Sono da segnalare anche altri orientamenti140 che prevedono solo parametri

oggettivistici ‘ammodernati’141, i quali sembrano rinunciare totalmente a coefficienti

psicologici o volitivi, strictu sensu intesi.

140 Si possono qui ricordare le teorie del dolo come decisione ‘sotto rischio’, del ‘dolo di rischio’, del ‘pericolo di dolo’ e del rischio come oggetto del dolo; 141 Cfr. M. Donini, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione. Le sezioni unite scoprono l’elemento psicologico, nota a Cass. Pen. Sez. Un., 26 novembre 2009, n. 12433, in Cass. pen. 2010, 7-8, 2555;

97

Queste teorie, utilizzate spesso nelle situazioni di dolo diretto, deducevano il dolus

dal fatto che si agisse in una situazione di rischio elevato senza la necessità di

un’indagine dell’interior dell’agente.

Inoltre queste nozioni tendono a confondere il dolo eventuale con quello diretto,

richiedendosi soglie di pericolosità eccessivamente univoche per il primo e/o

eccessivamente basse per il secondo.

In aggiunta non veniva considerato che un certo rischio, seppur di elevata caratura,

potrebbe non essere percepito dal soggetto agente, il quale si potrebbe trovare in un

momento di cecità (psicologica) temporanea dovuta a una sconsiderata convinzione

di riuscire nell’impresa, così rimuovendo insensatamente il pericolo.

A questi due tipi di teorie si aggiungono alcune miste oggettivo-soggettive che

utilizzano ambedue i parametri.

Questo orientamento sente l’esigenza di una selezione del fatto commesso con dolo,

anche nella forma meno intensa dell’eventuale, già sulla base del livello di rischio

con riferimento al tipo di condotta, così da non limitare il suo accertamento a una

mera indagine della psiche dell’agente e in modo completamente avulso dal fatto.

Essendo la volontà interna percepibile tramite dati esterni, risulta importante che il

giudizio non sia ancorato alla mera possibilità dell’evento o del fatto, altrimenti si

finirebbe con il ritenere che lo stesso livello di pericolo o di rischio sia sufficiente per

delineare la scelta dell’agente di agire comunque.

Nel dolo eventuale si necessita di ricercare la prova di tale decisione in elementi

volontaristici molto forti (per esempio tramite la formula di Frank).

Allo stesso modo il livello di rischio deve essere obiettivamente rilevante così da

controbilanciare la preoccupazione, più che plausibile, di tentazioni probatorie

deficitarie in assenza degli elementi volontaristici sopra citati.

98

Quel che si cerca di evitare sono considerazioni del calibro che chi agisce in

situazioni lecite è sempre e solo in colpa, mentre chi agisce in situazioni illecite è

sempre e comunque in dolo.

Con un tale ragionamento l’automobilista, per esempio, sarebbe ogni volta in colpa,

mentre il rapinatore si troverebbe sempre in dolo.

Ciò sarebbe evidentemente contrario al principio di colpevolezza che il diritto penale

esige.

Queste impostazioni ‘da tipo di autore’142 sono ai giorni nostri fortunatamente meno

frequenti e praticabili, grazie alla consapevolezza che anche chi è in colpa viola delle

cautele nel momento in cui supera la soglia del rischio consentito, la quale spesso

viene penalmente qualificata.

Dunque, anche chi agisce colposamente potrebbe trovarsi in re illecita versatur ancor

prima di causare un danno.

Allo stesso modo colui si trovi in una situazione dolosa, qualora l’agente produca

volontariamente il risultato, ha spesso e volentieri violato obiettivamente delle cautele

e, di conseguenza, il suo comportamento, al pari della colpa, partecipa di un livello di

definizione della prevedibilità caratterizzato da normative e consuetudini che

regolano l’attività143.

La violazione di una cautela è spesso molto distante dall’evento, soprattutto dove le

regole precauzionali siano molto arretrate e astratte al fine di poter maggiormente

difendere un bene giuridico, per cui da una seppur consapevole inosservanza

spesso non consegue necessariamente la presenza di un dolo.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione penale basano la propria

decisione sul fatto oggettivo che le circostanze del caso da cui si potrebbe desumere

142 Così M. Donini, ult. cit.; 143 Si pensi, per esempio, alla circolazione stradale o alla sicurezza sul luogo di lavoro o ancora ad ‘incauti acquisti’…;

99

l’origine delittuosa della res “normalmente coincidono con quelle che l’art. 712 c.p.

individua come motivi di sospetto”.

Allo stesso tempo, per quel che riguarda l’elemento soggettivo, “si richiede di più di

un mero motivo di sospetto”, si necessita cioè di una “scelta consapevole” desunta

“da una situazione fattuale di significato univoco” che si potrebbe concretizzare

tramite l’utilizzo della formula di Frank.

La Corte sembra dunque abbracciare la teoria mista del dolo eventuale.

Si è così compiuta una svolta volontaristica in cui il rispetto del principi di

imputazione soggettiva e quello di colpevolezza non sono più investiti e sminuiti nella

loro funzione dalle necessità probatorie.

Viene affermato che la colpa cosciente e il dolo eventuale possono avere elementi di

rappresentazione in comune.

La differenza non risiede nella rappresentazione di per sé, ma piuttosto nella volontà

non sempre desumibile a livello fattuale, ma riscostruita tramite un processo

motivazionale.

Il problema si sposta così sulla colpevolezza.

Ciò non di meno si richiede una selezione obiettiva fattuale da cui si possa desumere

la decisione dell’agente, la quale deve pur da qualche parte essere estrapolata.

Tuttavia ora si tratta di una colpevolezza per il fatto e non più d’autore.

In questo modo la sentenza de qua ha fermato “quella lunga eclissi, riconducendo

dolo e colpa, insieme, a elemento psicologico”144.

144 Così M. Donini, op. cit.;

100

4.4 La formula di Frank e l’analisi del dubbio

Le Sezioni Unite decidono di percorrere una terza via rispetto i due precedenti

orientamenti.

Questa consiste nella possibilità della realizzazione del reato di cui all’art. 648 c.p.

anche in presenza del solo dolo eventuale con la necessità di individuare in concreto

sul piano oggettivo “dati di fatto inequivoci che rendano palese la concreta

possibilità” della origine delittuosa della res oggetto del comportamento del soggetto

agente.

La Corte tuttavia non si ferma qui e specifica che il dubbio sulla provenienza illecita

sarebbe anche compatibile con la colpa e, di conseguenza, si potrebbe configurare

la contravvenzione di incauto acquisto.

Per aversi la configurabilità della ricettazione, qualora vi sia una situazione di dubbio,

bisognerebbe fornire la prova dell’accettazione da parte dell’agente la quale

consisterebbe, secondo la sentenza in esame, nella dimostrazione che, anche

qualora il soggetto avesse avuto la certezza della provenienza illecita, non avrebbe

comunque agito diversamente valutando i benefici derivanti dall’azione superiori ai

costi.

Tale trade-off soggettivo sarebbe compiuto nella mente del criminale.

Quello che le Sezioni Unite compiono è l’adattamento della cosiddetta ‘formula di

Frank’ al caso concreto.

Reinhard Frank fu un penalista tedesco divenuto famoso proprio per la formulazione

del dolo eventuale o, per meglio dire, per le formule per la valutazione della presenza

di tale elemento soggettivo

In particolare, il giurista propose due possibili soluzioni.

101

La prima, maggiormente affermata e dibattuta, richiede ai fini della configurabilità del

dolo eventuale l’accertamento145 che l’agente, anche qualora avesse avuto la

certezza del presupposto, avrebbe agito egualmente.

Specularmente, il dolo eventuale si dovrebbe escludere qualora il soggetto, avendo

la certezza dell’esito del suo agire, si sarebbe astenuto dal porre in essere la

condotta illecita.

La seconda formula invece afferma che sussisterebbe il dolo eventuale nel caso in

cui l’agente ben consapevole del rischio, così si dice: “le cose possono stare così o

altrimenti, andare così o altrimenti, in ogni caso io agisco”146.

In sostanza questa seconda formulazione si distingue dalla precedente perché non

richiede di provare il dolo eventuale mediante decorsi ipotetici su ciò che lo stesso

agente avrebbe fatto.

Le due formule sono invece accumunate dal fatto che non forniscono una definizione

del dolo eventuale, ma indicano dei criteri per la sua prova.

Inoltre ambedue erano state costruite e pensate sia relativamente alla condotta, sia

con riferimento alle conseguenze indirette dell’azione.

Da queste due formule si può dedurre come il coefficiente di colpevolezza e di

rimproverabilità del dolo consisterebbe nella scelta di farsi guidare (o non farsi

guidare), astenendosi o meno dal porre in essere la condotta, della rappresentazione

delle possibili conseguenze antigiuridiche del proprio agire.

Il giudizio ipotetico, in una tale situazione, avrebbe il compito di indice per lo stato di

dubbio, nel senso cioè se per l’agente sarebbe stato comunque indifferente la

conoscenza certa o probabile del presupposto.

145 Tale accertamento dovrebbe avvenire successivamente alla verifica della effettiva rappresentazione da parte dell’agente delle circostanze che indicherebbero il possibile compimento del reato; 146 R. Frank, Das Strafgesetzbuch für das deutsche Recht18, Mohr, 1931, 190 s.;

102

Unendo le due formule si può dire che il dolo eventuale sussiste allorquando l’agente

è determinato ad agire ad ogni costo, ovvero ‘costi quel che costi’.

Frank, nella sua opera, confrontava due casi.

Il primo era quello di un delinquente abituale che, al fine di provare la gittata della

sua pistola, spara mirando verso un gruppo di persone situate a una ragguardevole

distanza dal punto in cui si trova pronto a compiere il collaudo.

Il secondo caso riguarderebbe quello di un soggetto che fuma nel letto seppur questo

si configuri la possibilità di provocare accidentalmente un incendio.

La differenza risiede nel fatto che, mentre quest’ultimo, qualora avesse saputo che la

cenere cadendo dalla sua sigaretta avrebbe provocato un incendio, si sarebbe

astenuto, il malvivente avrebbe sparato ugualmente, anche con la consapevolezza di

provocare la morte di un altro essere umano.

Come evidenziato dall’esempio, la previsione dell’evento ha sì valore per la

configurabilità del dolo, ma non sarebbe di per sé sufficiente

Serve un’ulteriore condizione per cui si possa affermare che la certezza del futuro

evento (o del presupposto) non avrebbe comunque distolto il soggetto.

La Suprema Corte di Cassazione penale utilizza la prima delle due formule riportate

e l’adotta in forma negativa147, che non di meno ha il medesimo valore della

formulazione positiva.

Il pericolo, di cui le Sezioni Unite paiono ben consce, è che la formula de qua è una

definizione connotata fortemente dal carattere psicologico del dolo.

Queste aspettative, tuttavia, vengono ridimensionate in parte dalla decisione dato

che appare come voler limitare la gittata della stessa formulazione ai presupposti del

delitto di cui all’art. 648 del codice penale148.

147 “Non avrebbe agito diversamente” anziché “avrebbe agito egualmente”; 148 In questo senso cfr. M. Donini, Dolo eventuale, cit.;

103

Ciò sarebbe dovuto alla immediata delimitazione compiuta attraverso l’individuazione

di una definizione ‘applicata per fattispecie’.

Infatti la sentenza in esame afferma che “il dolo eventuale non forma oggetto di una

testuale previsione legislativa: la sua costruzione è rimessa all'interprete ed è ben

possibile che per particolari reati assuma caratteristiche specifiche”.

Della parte riportata bisogna in particolare focalizzarsi sulla espressione “per

particolari reati”.

Le Sezioni Unite sembrano dunque non attribuire significato unitario alla definizione

di dolo eventuale.

Partendo dal distinguo fra il delitto di cui all’art 648 c.p. e la contravvenzione ex art.

712 c.p., bisogna evidenziarsi come gli accertamenti relativi all’incauto acquisto, a

parere della Corte, riguardino non la provenienza illecita, ma i relativi accertamenti

che sono stati omessi quando si era in presenza dei motivi di sospetto tipizzati.

Il sospetto sarebbe un mero fatto accidentale e, di conseguenza, estraneo alla

struttura della contravvenzione.

In breve, al fine di distinguere fra i due reati, “il sospetto soggettivo diventi

indifferenza al presupposto e decisione di acquistare comunque, sì che si sarebbe

agito allo stesso modo sapendo della provenienza illecita, secondo le Sezioni Unite

si passa al delitto, mentre il sospetto rimasto nello stadio dell'indecisione, della

superficiale transazione, è ancora reato contravvenzionale, perché è obiettivamente

colposo e ‘non ancora doloso’”149.

Il problema è che la Suprema Corte non si è preoccupata nella sentenza de qua di

spiegare come poi effettivamente dare esplicazione alla formula di Frank.

149 Così M. Donini, Dolo eventuale e formula di Frank, cit.;

104

Il rischio sullo sfondo è sempre quello che i giudici compiano l’accertamento del dolo,

che dovrebbe avere natura psicologica, a schemi di rischio estranei alla psiche del

soggetto.

Proseguendo nel ragionamento delle Sezioni Unite, viene giustamente sostenuto che

i presupposti sono oggetto di rappresentazione e di volontà essendo al massimo

verificabili e non modificabile dal soggetto agente.

Ciò non di meno la loro conoscenza deve essere considerata insieme all’ulteriore

parte del fatto tipico, cioè la condotta del soggetto agente che realizzerà l’offesa.

Si può evidenziare come il carattere fondamentale del dolo risieda quindi nello stretto

rapporto della condotta con tutti gli elementi del fatto e, di conseguenza, anche con i

presupposti.

È il presupposto, la conoscenza della provenienza delittuosa, che permetterebbe, a

seconda della intensità dell’elemento psicologico, una distinzione fra ricettazione e

incauto acquisto.

Il principio di diritto affermato in termini impliciti dalla Suprema Corte è che il dubbio

sul presupposto non è sempre e comunque in modo automatico dolo eventuale, ma

potrebbe essere comunque compatibile con la colpa.

Non sarebbe dunque vera l’affermazione per cui nella colpa cosciente il dubbio sia

necessariamente superato dal pieno convincimento positivo.

In altri termini, può essere che il dubbio permanga, ma può accadere che l’agente si

sia convinto che l’evento non si verificherà o che non ritenga presente un

determinato elemento del reato.

Il soggetto agente cioè potrebbe rimuovere la questione senza superare

completamente l’incertezza per i più disparati motivi come superficialità, ignoranza,

disattenzione per interessi pubblici che spesso e volentieri vengono facilmente

offuscati dai desideri e aspirazioni dell’essere umano.

105

Difatti il dubbio, al pari dell’errore, dell’ignoranza et simili, è solitamente parte di un

reato colposo e fa riferimento al momento rappresentativo, ancora prima di quello

volitivo.

Questo non risulta sempre vero in quanto il dubbio può ben qualificarsi come dolo

eventuale, ma non ogni tipo di dubbio.

La soluzione per cui bisogna qualificarlo come colpa cosciente o dolo eventuale è un

qualcosa di soggettivo, essendo ambedue le forme di elemento psicologico

compatibili con lo stato di incertezza.

Infatti la classica critica alla formula di Frank è che essa richiederebbe di verificare

un comportamento alternativo ipotetico non conoscibile, non essendo possibile

sapere quale sarebbe stato.

La Suprema Corte, nella motivazione della sentenza de qua, utilizza correttamente la

prima formula di Frank nel senso che non viene abusata sotto forma di criterio di

essenza, ma viene riportata giustamente, mi ripeto, come criterio di accertamento.

L’essenza concettuale del dolo risiede difatti, anche per le Sezioni Unite, nella scelta

consapevole per l’illecito, il quale si manifesta sotto forma di accettazione del fatto

antigiuridico.

Infatti, qualora la prima formula di Frank venisse utilizzata al fine di connotare il

concetto, significherebbe che l’unica possibile forma del dolo sarebbe quella della

certezza, un dolo che si esprimerebbe in modo virtuale150.

Ciò sarebbe evidentemente sbagliato dato che, come più volte ripetuto, anche il

dubbio sulla origine illecita del bene potrebbe essere qualificato come dolo

(eventuale), ma solo a condizione che di questo dubbio ci si fa carico, nel senso che

150 Cfr. G. P. Demuro, Il dolo eventuale: alla prova del delitto di ricettazione, nota a Cass. Pen. Sez. Un., 26 novembre 2009, n. 12433, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2011, 1, 308;

106

lo si accetta piuttosto di ottenere il conseguimento dell’obiettivo primario che, nella

ricettazione, risulterà essere il profitto.

In sostanza, per soddisfare quanto richiesto dalla formula di Frank, e di conseguenza

ritenere configurabile il dolo eventuale, bisognerebbe rispondere alla domanda:

l’agente, conoscendo i presupposti e le conseguenze del suo agire, avrebbe

comunque posto in essere la condotta?

Interessante notare come una tale analisi dell’elemento psicologico non viene

richiesta nemmeno nel dolo intenzionale.

Se l’agente, seppure a conoscenza di tutti gli elementi di fatto, avrebbe agito

ugualmente ciò significa che avrebbe agito ‘a tutti i costi’ o ‘costi quel che costi’ e

quindi la configurabilità del dolo sarebbe certa.

Diversamente, in caso di risposta negativa, cioè che l’agente si sarebbe astenuto

conoscendo il risultato della propria condotta, non è decisivo per escludere la

configurabilità del dolo, o meglio della configurabilità del dolo ex ante.

Infatti, una tale risposta potrebbe riguardare semplicemente un calcolo opportunistico

valutato ‘col senno di poi’.

Il classico esempio di Lacman151 può spiegare meglio il concetto.

Un ragazzo in una fiera di paese scommette venti marchi con un suo amico di

riuscire nell’impresa di colpire, sparando con un arma da fuoco, una biglia di vetro

tenuta in mano da un’ignara ragazza.

Nello stesso momento si prefigura la possibilità di una fuga tra la folla qualora

sebbene non volutamente colpisca la signorina, essendo il giovane conscio di non

essere un tiratore provetto ed essendo la ragazza un bersaglio mobile.

151 W. Lacmann, Die Abgrenzung der Schuldformen in der Rechtslehre und im Vorentwurf zu einem deutschen Strafgesetzbuch, in ZStW, 31, 1911, 159;

107

La vicenda si conclude con l’esito non desiderato, ma previsto come reale possibilità

di colpire la mano della ragazza.

Ovviamente qualora il giovane avesse saputo del risultato non avrebbe agito allo

stesso modo.

Allo stesso tempo, tuttavia, non sarebbe corretto qualificare il suo agire come colpa

cosciente, ma piuttosto si tratterebbe di piena accettazione dell’evento data la sua

più che possibile alternativa alla vincita scommessa.

A ben vedere infatti si potrebbe notare che il giovane si sarebbe astenuto o avrebbe

agito diversamente solo e unicamente perché non avrebbe alcun interesse né

beneficio a colpire la signorina e non perché gli interessi realmente l’integrità fisica

della fanciulla.

“Non è la leggerezza che lo spinge a sparare […], ma solo un brutale disprezzo

dell’altrui integrità fisica rispetto alla prospettiva del suo guadagno”152, o, in altre

parole, l’egoismo.

Consegue che, con riferimento ad azioni compiute per scommessa in cui l’evento ha

in concretamente causato un danno al soggetto che ha posto in essere l’azione, la

perdita di tale gioco, con la conoscenza ex ante della futura mancata vincita, avrebbe

comportato un’astensione o comunque un diverso comportamento da parte del

soggetto agente.

Ciò non di meno il dolo sussisterebbe egualmente.

Inoltre ci si potrebbe anche domandare se la formula di Frank non richieda di provare

più del necessario dato che, come sopra accennato, neppure nel caso di dolo

intenzionale si richiede al soggetto di agire ‘ad ogni costo’.

152 W. Lacmann, Die Abgrenzung, cit., 160;

108

A posteriori, tante decisioni prese intenzionalmente fra due o più possibile alternative

non sarebbero state compiute, ma questo non escluderebbe il dolo che, quantomeno

ex ante, sussisterebbe senza il minimo dubbio.

Sarebbe quindi rischioso affermare l’assenza del dolo qualora l’agente, conoscendo

del futuro esito, non avrebbe agito.

Ciò non spiegherebbe realmente ciò che si prefigurava nella mente del soggetto nel

momento in cui pone in essere la condotta.

Sfortunatamente la formula di Frank, per lo meno nella sua accezione negativa, non

comporterebbe a risultati indiscutibili.

Tale formula rappresenterebbe, piuttosto, un Erkenntnismittel, come affermato

successivamente dallo stesso penalista, cioè un mezzo, fra i tanti, di conoscenza.

Vi è la necessità di individuare un qualcosa che si possa tradurre come prova della

decisione del soggetto di voler compiere ugualmente l’azione nonostante la possibile

realizzazione del fatto tipico, piuttosto di seguire il sentimento che dentro lo animava.

Una volta che si è compreso che la sedes materiae della prima formula di Frank

risiede nell’accertamento, bisogna accertarne l’effettiva portata.

Essendo il dolo non più in re ipsa, non si è più in presenza di prove legali e

l’accertamento è di conseguenza non vincolato.

Le situazioni più problematiche sono quelle in cui il rischio del presupposto (o

dell’evento) è ad alta probabilità, ma, allo stesso tempo, nell’interior dell’agente

sussiste una diversa percezione dovuta, per esempio, ad ignoranza o immaturità.

È proprio questa la situazione di cui deve occuparsi la Suprema Corte di Cassazione,

un caso al limite della credibilità storica: il signor N. M. utilizza ripetutamente una

tessera per il viaggio autostradale di illecita provenienza di cui ne giustifica il

possesso affermando di averla acquistata per aiutare uno sconosciuto rimasto senza

contante in una stazione di rifornimento.

109

Così letta, sul piano oggettivo, risulta configurabile la contravvenzione dell’incauto

acquisto.

Anche se forse di scarsa credibilità, la versione non poteva essere valutata

necessariamente come impossibile.

Le Sezioni Unite non hanno accettato i giudizi precedenti delle corti di merito per cui

il mero dubbio del ricorrente è risultato sufficiente a prefigurare il delitto di

ricettazione, essendo la vicenda, come percepita dall’agente, forse maggiormente

compatibile con il reato di cui all’art. 712 del codice penale.

I rischi speculari e contrapposti dovuti all’utilizzo della formula di Frank sono quelli di

una sua eccessiva oggettivazione o soggettivazione.

Per quel che riguarda il primo pericolo si potrebbe pensare che, essendo a

disposizioni del giudice solo dati oggettivi ed esterni, questi sia spinto a motivare la

propria decisione in ragione del fatto che, per esempio, il rischio corso dall’agente

era irragionevole e, visto che il soggetto ha agito in quelle (pessime) condizioni,

questi avrebbe agito a qualunque costo.

Specularmente, la seconda critica, cioè la possibilità di un eccesso di

soggettivazione, è dovuta al fatto che il giudice dovrebbe compiere un giudizio

ipotetico basato solo su un indicatore, la potenza del movente, che sarebbe qualcosa

di intimo del soggetto, qualcosa di difficilmente raggiungibile e percepibile da un

esterno.

Nel caso riportato dalla Suprema Corte, quello del collezionista, è per l’appunto la

qualità del soggetto che fa da indice del fatto che sarebbe indifferente una

provenienza illecita rispetto a una lecita del bene, nel senso che, anche qualora

l’autore conoscesse della sua origine delittuosa, agirebbe comunque.

In aggiunta, è sempre in qualità di intenditore che si può dare maggior significatività

agli indicatori elencati dall’art. 712 c.p., cioè il fatto di non essere un soggetto

110

qualunque, ma trattandosi di un vero amante del genere, darebbe di conseguenza

maggior pregnanza agli indici dato che una tale persona potrebbe meglio

comprendere la situazione che gli si presenta.

In altre parole, un vero amante dell’arte dovrebbe, almeno in teoria, insospettirsi più

facilmente del profano, qualora, per riprendere gli indici tipizzati dell’incauto acquisto,

la qualità dell’opera, le condizioni di chi la offre o l’entità del prezzo risultino difformi

rispetto gli standard da lui più probabilmente conosciuti.

È logico aspettarsi che i fattori diagnostici ex art. 712 c.p. possano essere individuati

con maggior semplicità da colui che abbia una particolare competenza nel settore.

L’esempio riportato dalla Suprema Corte di Cassazione penale è un’ipotesi

semplificata in cui dimostrare che l’agente avrebbe agito costi quel che costi.

Tuttavia una simile situazione non risulta allo stesso modo, o comunque non nella

medesima intensità, nel caso concreto.

Infatti, né la qualità di automobilista, né la qualità di acquirente, possono aiutare la

valutazione in tal senso.

Detto ciò, gli indicatori sottesi alla formula di Frank possono contribuire, seppur

senza una pretesa esaustività, all’accertamento del dolo.

111

5. L’ESTENSIBILITÀ DEL CONTENUTO DELLA SENTENZA E LE SUCCESSIVE

DECISIONI IN TEMA DI RICICLAGGIO

Ci si potrebbe interrogare se il ragionamento compiuto della Cassazione penale con

la sentenza n. 12433 del 26 novembre 2009 possa essere esteso anche alla

fattispecie del riciclaggio.

Con tale pronuncia la Corte ha raggiunto alcuni punti fermi che possono essere

trasposti anche nel delitto di cui all’art. 648-bis del codice penale153.

Questo è dovuto principalmente alla similitudine di struttura fra i due reati,

sintetizzata dalla espressione “fattispecie di particolare ricettazione” riferita al delitto

di riciclaggio, la quale ne evidenzia il continuum fra le due ipotesi delittuose.

Le due fattispecie hanno iniziato, col passare del tempo, a occupare spazi propri

all’interno del diritto penale.

Ciò non di meno alcune caratteristiche, tra cui per l’appunto l’origine delittuosa della

res oggetto dei due reati, sono permase in entrambe le fattispecie di reato.

La conclusione del ragionamento delle Sezioni Unite è che il dolo eventuale risulta

essere compatibile con il reato ex art. 648 c.p., ma non risulta sufficiente il mero

dubbio a qualificare tale forma, necessitandosi “un atteggiamento psicologico che,

pur non attingendo il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente

più alto di quello del mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da

parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto”.

Detto questo si specifica che il sospetto non possa essere presunto, ma al contrario

debba essere desunto attraverso una precisa analisi degli elementi probatori.

153 Cfr. R. Razzante, Il riciclaggio nella giurisprudenza, cit., 79; in tal senso cfr. anche C. Bernasconi e F. Giunta, Riciclaggio, cit., 144;

112

Trapiantando il ragionamento compiuto dalla Cassazione penale all’interno del delitto

di riciclaggio si potrà sostenere la compatibilità del dolo eventuale con la fattispecie

in esame.

Questo si traduce nella non necessità di una piena consapevolezza della illecita

provenienza del bene, essendo sufficiente una situazione di dubbio.

Tuttavia non basta un mero sospetto, ma si necessita un quid pluris cioè un qualcosa

in più che faccia ritenere che, prima di tutto, si sia generata questa situazione

dubbiosa nella psiche dell’agente e, secondariamente, che tale soggetto abbia

deciso comunque di agire accettando il rischio e la possibilità che il valore su cui sta

operando possa essere di origine delittuosa.

La giurisprudenza successiva, soprattutto in tema di phishing154, ha esteso

l’orientamento della Corte in tema di ricettazione anche alle situazioni di riciclaggio.

Fra le varie sentenze si possono ricordare quelle della Cassazione penale n. 8330

del 2013155, n. 25960 del 2011156 e quella della Corte d’Appello di Milano n. 1031 del

2012157.

In particolare nella decisione del 2013 la Suprema Corte, con riferimento a proventi

derivanti da contrabbando, afferma che “in tema di riciclaggio, si configura il dolo

154 Tale espressione indica un’attività consistente in diversi espedienti (come per esempio spamming, programmi informatici, malware, …) con i quali un soggetto (cosiddetto phisher) riesce nell’intento di ottenere dei codici elettronici. Tipico esempio di phishing è quello dell’invio di un enorme numero di messaggi di posta elettronica che simulino lo svolgimento di un’attività lecita (come per esempio attività di vendita acquisto od offerte di lavoro) o una finta comunicazione da parte di enti di fiducia (ad esempio le banche). Con l’invio di tali e-mail si richiede all’utente-vittima di inserire alcuni dati personali e/o anche password, in cambio, per esempio, della possibilità di vincite o benefici di altro genere. Una volta ottenute le informazioni desiderate il phisher le utilizza per accedere ai conti online dell’ingenua vittima al fine di appropriarsi dei fondi ivi presenti. Ultimamente risulta una prassi consolidata quella di usufruire di un intermediario, spesso ignaro, al fine di evitare un proprio diretto coinvolgimento nel reato. Proprio per questa ragione le sentenze di riciclaggio nei confronti degli intermediari sono aumentate esponenzialmente. Di conseguenza non ci si è potuti esimere dalla analisi dell’elemento soggettivo in tali situazioni con riferimento alla consapevole provenienza delittuosa del denaro; 155 Cass. pen., sez. II, n. 8330, 26 novembre 2013, in CED Cassazione penale 2014; 156 Cass. pen., sez. II, n. 25960, 17 giugno 2011, in Guida al diritto 2011, 44, 76; 157 Corte d’Appello di Milano, sez. II, 11 maggio 2012, in Giur. merito 2012, 11, 2394

113

nella forma eventuale quando l'agente si rappresenta la concreta possibilità,

accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito”.

In aggiunta, per fugare ogni dubbio circa la possibile estensibilità della conclusioni a

cui si è giunti nella sentenza delle Sezioni Unite del 2009, viene affermato che, al

pari della ricettazione, il delitto di riciclaggio “può essere sorretto anche da un dolo

eventuale che si configura in termini di rappresentazione da parte dell'agente della

concreta possibilità della provenienza del denaro da delitto”.

La Corte di Cassazione riconferma la decisione della Corte d’Appello e, in

particolare, viene sottolineata l’adeguatezza dell’analisi degli elementi probatori che

hanno permesso di desumere l’elemento psicologico in questione.

Per quel che riguarda la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 2011, si

afferma che il delitto di riciclaggio può configurarsi anche con riferimento al dolo

eventuale.

Il caso concreto riguarda un funzionario di banca il quale, pur in presenza di elevati

indici di anomalia, ha acconsentito, per mezzo di sigle di autorizzazione su assegni di

traenza, a cospicui prelievi di contante con la consapevolezza della provenienza da

delitto fiscale delle somme prelevate, in questo modo non rispettando la normativa in

materia di segnalazione di operazioni sospette158.

158 Occorre specificare tuttavia una discrasia tra la definizione penale di riciclaggio e la stessa di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2007, specificando che tale normativa trova applicazione solo in materia di obblighi di segnalazione per i professionisti. L’art. 2 co. 1 del decreto de quo così recita: “Ai soli fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio: a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l'occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c) l'acquisto, la detenzione o l'utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un'attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l'associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l'esecuzione”.

114

Infine la sentenza della Cassazione penale n. 25960 del 2011 riguarda un caso

concreto del delitto di cui all’art. 648-bis c.p. in cui il presupposto risulta essere il

sopracitato phishing.

Di questa ultima sentenza risulta interessante, sia per la sua collocazione diacronica

rispetto alla decisione delle Sezioni Unite che per il contenuto, una priore analisi della

decisione del GUP dell’Ufficio Indagini preliminari di Palermo159.

Il caso concreto ha il suo inizio nel novembre 2007 quando l’amministratore di una

società sportiva denunciò che sul conto della medesima azienda da lui amministrata

erano stati effettuati tre bonifici non autorizzati.

Dopo alcuni giorni il padre del titolare del conto bancario sul quale era stata ricevuta

la somma presentò una denuncia rappresentandosi che il proprio figlio aveva

risposto a un messaggio di posta elettronica di una società spagnola, la quale

risulterà, a seguito di indagini, essere fittizia.

Questa, affermando di operare nel settore assicurativo e nella vendita di automobili,

aveva proposto, sempre tramite e-mail, una prospettazione di facili guadagni a fronte

di una semplice attività consistente nel porre all'incasso e successivamente trasferire

verso l'estero somme di denaro.

In sostanza il soggetto riceveva sul proprio conto corrente bancario alcuni bonifici e

successivamente disponeva parte di quei fondi (l’intestatario del conto tratteneva una

provvigione pari all’8% del depositato) in favore di, poi si scoprirà, due cittadini russi,

in tal modo ponendo in essere operazioni atte ad ostacolare la ricostruzione della

provenienza delittuosa del denaro.

Si noti, in particolare, il termine intenzionalmente il quale incentra la configurabilità della fattispecie solo sul dolo intenzionale; 159 Ufficio Indagini preliminari Palermo, 21 aprile 2009, in Giur. merito 2009, 11, 2825;

115

È interessante comprendere la valutazione della problematica del dolo eventuale in

tema di riciclaggio visto che la pronuncia anticipa di poco la più famosa sentenza

delle Sezioni Unite del 2009.

In particolare vorrei evidenziare la discutibile differenziazione compiuta dal GUP in

tema di dolo eventuale fra il delitto di riciclaggio e quello di ricettazione.

Viene infatti affermato che “mentre nel delitto di ricettazione il dolo eventuale non è

sussumibile nello schema tipico previsto dall'art 648 c.p. ‘poiché la rappresentazione

dell'eventualità che la cosa che sia acquista o comunque che si riceve provenga da

delitto equivale al dubbio mentre l'elemento psicologico della ricettazione esige la

piena consapevolezza della provenienza delittuosa del bene’; nel riciclaggio

l'elemento soggettivo del delitto può essere sicuramente integrato dall'accettazione

del rischio che la propria condotta possa ostacolare l'identificazione della

provenienza delittuosa del denaro, dei beni o di altre utilità. La rappresentazione

dell'evento come certo o solo come possibile rileva, infatti, non ai fini dell'esistenza o

meno dell'elemento soggettivo, ma solo in ordine alla valutazione dell'intensità del

dolo: il dolo eventuale si colloca infatti ad un livello minore di adesione della volontà

dell'agente”160.

In sostanza si giungerebbe allo stesso risultato fin qui sostenuto, cioè la possibile

configurabilità del delitto ex art. 648-bis c.p., anche in presenza del mero dolo

eventuale.

Diverso è però il ragionamento compiuto dal giudice in quanto parte dalla premessa

erronea, anche in considerazione della futura sentenza della Cassazione penale, che

il delitto di ricettazione necessiti di un elemento psicologico più pregnante richiesto

dallo schema tipico della fattispecie, la quale esigerebbe la piena consapevolezza

della provenienza delittuosa del bene.

160 Così la sentenza dell’Ufficio Indagini preliminari di Palermo;

116

Ciò non di meno la lettura del dolo eventuale nel delitto di riciclaggio compiuta dal

G.U.P. ha sicuramente, in parte, una sua valenza.

Viene affermato dal giudice che la rappresentazione dell'evento come certo o solo

come possibile rileverebbe, non ai fini dell'esistenza dell'elemento soggettivo, quanto

piuttosto in ordine alla valutazione dell'intensità di questo.

Il dolo eventuale collocherebbe la volontà del soggetto ad un livello minore di

adesione interiore al delitto e, di conseguenza, alla verificazione dell'evento.

Il rischio con tale formula è quello che basterebbe un mero dubbio, una mera

rappresentazione di una possibilità, per far sussistere il dolo eventuale e configurare

il riciclaggio.

Questo, anche alla luce della decisione delle Sezioni Unite, non appare corretto.

Il fatto che un soggetto si sia rappresentato la possibilità non risulta sufficiente, si

necessita il solito ‘gradino in più’, una sorta di accettazione di tale possibilità che

invece potrebbe essere eliminata da contrari convincimenti.

Tuttavia il fatto che il G.U.P. parli di “livello […] di adesione della volontà dell'agente”

sembra indicare una corretta intuizione.

Bisogna infatti indagare nell’interior del soggetto, indagine che può essere compiuta

anche desumendo l’atteggiamento dell’autore da elementi esterni, ma non

presumibile dalla possibilità o probabilità, seppur elevata, dell’evento.

Dall'analisi di una serie di indizi161 aventi un valore sintomatico per la ricostruzione

dell'atteggiamento psichico degli imputati sono emersi sufficienti elementi probatori

che hanno indirizzato il G.U.P., il quale si è avvalso delle classiche regole di

esperienza secondo il criterio dell'id quod plerumque accidit, ad affermare la

consapevolezza e colpevolezza dei due soggetti padre e figlio.

161 In particolare, “il contenuto e la forma della mail, le condizioni del contratto ed in particolare la richiesta del numero del conto corrente, non potevano indurre gli O. a ritenere che la proposta contrattuale avesse una dignità giuridica e non celasse un'operazione dai connotati illeciti”;

117

Tale decisione inoltre troverebbe un’ulteriore conferma nella condotta susseguente

degli imputati, i quali, pur rappresentandosi di porre in essere una condotta

potenzialmente qualificabile come riciclaggio tanto da minacciare una denuncia alle

autorità in caso di mancate chiarificazioni, avevano, ciò non di meno, deciso di

effettuare il secondo trasferimento di denaro.

Altra buona intuizione del giudice è quella anticipatrice della successiva sentenza n.

12433 del medesimo anno.

Infatti, come quest’ultima riporterà l’esempio del collezionista al fine di meglio

spiegare la percezione del pericolo e l’accettazione del rischio, il G.U.P. guarda alla

natura degli agenti, nel caso concreto definiti giustamente “uomini di normale

esperienza”.

Infatti l’indagine sulla percezione del rischio deve essere compiuta sulla base delle

effettive conoscenze e cognizioni del singolo e sulla base delle circostanze a lui note

immediatamente prima della esecuzione della condotta.

Il rischio quindi, oltre a non essere consentito, deve essere anche riconosciuto come

tale dall’agente.

Una tale valutazione potrebbe essere compiuta comparando il comportamento del

soggetto con quello di un eventuale agente modello che, trovandosi nelle medesime

circostanze e con le medesime conoscenze, rigetterebbe l’offerta, consapevole che

una sua accettazione potrebbe comportare la volontà di accettare a sua volte il

rischio di porre in essere l’evento.

La difesa dei due imputati che hanno sostenuto di essere vittime della truffa del

phishing non ha distolto il giudice, il quale ha ritenuto che poteva e doveva essere

immediatamente rilevato dal contratto l’illecita provenienza delle somme di denaro162.

162 Cfr. L. Ferreola, Il riciclaggio da phishing: tra vecchie e nuove questioni interpretative, in Giurisprudenza penale, n.11, 2009, 2831;

118

La vera questione però non sarebbe tanto quella della rappresentazione della

possibilità, in quanto è lampante il fatto che i due soggetti si siano rappresentati tale

eventualità visto il contenuto di alcune loro e-mail163.

Piuttosto il punctum dolens sarà l’accettazione del rischio di porre in essere il reato di

riciclaggio.

Infatti, dopo aver sospettato di essere stati utilizzati come intermediari al fine di

interrompere il paper trail, i due hanno compiuto altri bonifici in favore della fittizia

società.

Per contro dal contenuto delle e-mail traspare la volontà dei due indagati di affrontare

i dubbi e, qualora i chiarimenti indichino il compimento di un’operazione illecita,

probabilmente i due soggetti non avrebbero continuato l’attività.

Sarà questa la principale tematica poi affrontata dalla Suprema Corte di Cassazione

penale con riferimento al medesimo caso.

Passando all’analisi della decisione della corte di legittimità, si può affermare che la

Sezione II si dimostra ben conscia della decisione del 2009 infra avvenuta,

affermando che l'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio può sì essere integrato

dal dolo eventuale per quel che riguarda la provenienza illecita del denaro, ma ciò

nonostante “non è sufficiente che l'imputato abbia agito sulla base di un mero

sospetto, ovvero di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse verso la

provenienza illegale delle somme ricevute e trasferite”.

Il ricorrente sosteneva l’assenza dell’elemento psicologico atto a qualificare le

condotte come riciclaggio, avendo gli agenti compiuto le operazioni con un

163 Chiarissima, in tal senso, è il seguente messaggio di posta elettronica: “ho effettuato il primo bonifico sempre in attesa della documentazione necessaria ed adesso mi trovo sul tavolo un secondo bonifico senza sapere a quale titolo. Il reato configurabile dalla legge italiana è quello di riciclaggio di denaro ed io non desidero avere conseguenze penali; aspetto vostri chiarimenti o denunzio tutto alle autorità competenti”;

119

atteggiamento di colpa con previsione essendo stati tratti in inganno da una società

fittizia.

Questa azienda, tramite l’invio di e-mail, gli aveva rappresentato la possibilità di

assumere l’incarico di "rappresentante commerciale".

L’indagato aveva ‘abboccato’ al trucco come dimostrato dal fatto che gli aveva inviato

i documenti necessari e aveva anche manifestato l'intenzione di recarsi a Madrid al

fine di partecipare a un corso di preparazione per il futuro impiego.

Le Corti di merito164 avevano ritenuto invece configurato il delitto di riciclaggio a titolo

di dolo eventuale a causa della decisione degli imputati che, trovandosi in una

situazione di dubbio circa la liceità dell’attività a loro richiesta, avevano compiuto

comunque un’ulteriore transazione.

La Corte di Cassazione decide di annullare il precedente giudizio sulla base della

errata applicazione della sentenza delle Sezioni Unite del 2009 dalla stessa Corte

d’Appello richiamata165.

Nello specifico viene sottolineato che la decisione citata ha “chiaramente escluso il

mero sospetto dalla latitudine del dolo eventuale”.

La Suprema Corte di Cassazione ha annullato il precedente giudizio in quanto, dal

tenore del contenuto dello scambio di posta elettronica fra la sedicente società e

l’indagato166, si è ritenuto non sussistere il dolo eventuale, bensì una minore intensità

rappresentativa configurabile semmai nella forma della colpa con previsione.

164 Sia la sentenza di primo grado che quella di fronte alla Corte d’Appello, oltre alla supra analizzata decisione di fronte all’ Ufficio Indagini preliminari di Palermo; 165 In questo modo confermando, ancora una volta, l’estensibilità delle conclusioni di cui alla sentenza 12433/2009 in tema di ricettazione anche alla contigua fattispecie di riciclaggio; 166 Dalla principale e-mail, riportata nella nota supra, la Corte di Cassazione ha ritenuto che: “1. O.F. ha nutrito il sospetto che l'attività che gli veniva richiesta fosse illegale; 2. che egli ha lasciato chiaramente intendere al suo interlocutore di non aver alcuna intenzione di compiere attività illegali; 3. che - ove avesse acquistato la certezza dell'illegalità del trasferimento di fondi che gli veniva richiesto, non avrebbe adempiuto alle disposizioni impartitegli ed avrebbe denunziato il fatto alla polizia”;

120

Ciò sarebbe dato dal fatto che “dagli elementi istruttori presi in considerazione dalla

Corte d'Appello non emerge che l'elemento soggettivo, in testa agli agenti, si collochi

un gradino al di sopra del mero sospetto”.

Tale conclusione è supportata dalla mancanza di dati processuali dai quali si possa

desumere (e non presumere) che l’agente avesse un’effettiva conoscenza

dell’illiceità delle operazioni bancarie, il che si tradurrebbe, per quel che riguarda

l’elemento soggettivo, nel fatto che la condotta non possa essere collocata “un

gradino al di sopra del mero sospetto” e, dunque, il dolo eventuale non sarebbe

configurabile.

6. IL CASO DEL RICICLAGGIO NEI RAPPORTI OBBLIGAZIONARI E FAMIGLIARI:

UNA DIVERSA VALUTAZIONE DEL DOLO?

Ci si potrebbe domandare se il discorso sopra compiuto possa valere anche nei

rapporti fra famigliari e più in generale obbligazionari nel caso di conoscenza, non

della illecita provenienza del bene o denaro, quanto piuttosto della qualità di

criminale abituale della controparte.

Della questione se ne è occupata una recente sentenza della Corte di Cassazione

penale167.

Il caso concreto riguardava, ancora una volta, un’ipotesi di ricettazione

La compagna di un trafficante (risultante come nullatenente) ha utilizzato parte dei

fondi derivanti dalla attività illecita del partner al fine di acquistare un’abitazione in

comune.

167 Cass. pen., sez. VI, n. 33131, 20 giugno 2013, in CED Cass. pen. 2013 e in Riv. pen. 2013, 10, 998;

121

Le Corti di merito decidono per una sua colpevolezza in quanto non poteva che

avere la piena cognizione della provenienza delittuosa del denaro, visto e

considerando la ‘professione’ del consorte, unica fonte di denaro.

La giovane donna decide allora di ricorrere per Cassazione la quale coglie

l’occasione per esprimersi con riferimento all’elemento soggettivo rispetto a situazioni

in cui, proprio per i stretti rapporti intercorrenti fra chi ha commesso il reato

presupposto e il ricettatore, sorgono obbligazioni di diversa natura (civilistiche,

naturali, …).

Nella prima parte della sentenza la Corte valuta se la controprestazione, in quanto a

natura obbligazionaria, possa ex sé essere considerata come profitto o meno e

dunque, essendo la ricettazione delitto a dolo specifico di profitto, se vi sia la

configurabilità del reato.

Per essere breve, non essendo questa una conclusione rilevante ai fini del

riciclaggio, la Sezione VI afferma che, qualora si conosca l’illecita origine della res, il

delitto di cui all’art. 648 c.p. non sarebbe escluso dal fatto che sia stata ricevuta a

titolo di prestazione o controprestazione in un rapporto sinallagmatico168.

Passando a quello che qui maggiormente ci interessa, la sentenza parte dalla

conclusione a cui erano giunte le Sezioni Unite nel 2009: al fine della configurabilità

del dolo eventuale non è sufficiente un semplice motivo di sospetto rispetto al quale il

soggetto potrebbe non dare rilevanza per i più diversi motivi, come ad esempio per

disattenzione, noncuranza o semplice disinteresse, ma si necessita una situazione

168 La Suprema Corte di Cassazione nello specifico afferma che “laddove vi sia adempimento di una obbligazione mediante consegna di cosa di cui è ben chiara al ricevente la provenienza delittuosa, ricorre il reato di ricettazione; il fatto che la cessione del bene venga fatta in occasione di un adempimento dell'obbligazione, e che il creditore abbia di mira l'ottenere ciò che gli spetta, non ha certo efficacia scriminante e ricorre comunque il dolo intenzionale di trarre profitto dalla provenienza delittuosa - ancorché l'azione sia finalizzata anche al ricevere la prestazione dovuta” perché, “anche a fronte di un lecito rapporto fonte di obbligazioni (che sia il rapporto tra i congiunti o un contratto di prestazione d'opera o di vendita, come è il caso del difensore o del commerciante), in caso di consapevolezza della provenienza delittuosa, la consegna del bene non avrà effetto di regolare adempimento”, opponendosi a ciò l’art. 1153 c.c.;

122

fattuale di carattere inequivoco, la quale mette l’agente di fronte alla scelta fra l’agire,

accentando di porre in essere il delitto, e il non agire.

La Corte evidenzia che è bene distinguere la situazione in cui la res è individuata e

non fungibile rispetto al caso in cui il provento del reato risulta essere il denaro.

In quest’ultimo caso, infatti, non sarà mai la cosa in sé a giustificare un serio dubbio

dell’illecita origine.

Anzi, in tali situazioni il confine tra semplice sospetto e la consapevolezza della

provenienza delittuosa risulta ancor più labile e di difficile individuazione.

Di conseguenza anche la decisione del soggetto fra la scelta dell’agire e porre in

essere la ricettazione (o riciclaggio) e il non agire sarà più difficile che avvenga.

Invero talvolta accade che il soggetto abbia comunque una certa consapevolezza

della fonte illecita.

Fra queste la Corte esclude alcune ipotesi fatte rientrare dalla casistica giudiziaria

come il caso in cui un’organizzazione criminale fornisca una retribuzione a soggetti

diversi dagli affiliati come l’ex associato detenuto.

Tali situazioni sarebbero escluse dalle valutazioni in esame perché appare

impossibile definire il rapporto in questione come valida obbligazione, avendo questo

una causa illecita.

Ritornando a quello che qui ci interessa, dai principi già affermati dalle Sezioni Unite,

e ivi ripresi, non è sufficiente la conoscenza dell’attività criminale a cui è dedito il

soggetto per affermare che chi riceva il bene sia ritenuto consapevole di porre in

essere il delitto di cui all’art. 648 del codice penale.

Al contrario si necessita la certezza che nell’interior dell’agente non sussista un mero

dubbio, ma che piuttosto in lui risieda una certa consapevolezza della seria

possibilità dell’illecita origine del bene.

123

I casi che possono interessare in tale ambito sono: “il caso della cessione di beni di

provenienza delittuosa nell'ambito ed a causa dei rapporti tra familiari, la cessione di

bene di illecita provenienza a soggetti con i quali il soggetto criminale abbia comuni

scambi di prestazioni per acquisto di beni o servizi, tra cui- caso di facile

prospettazione, proprio perché si discute di soggetti stabilmente dediti ad attività

criminale - i rapporti con il difensore.

In quest'ultimo caso, difatti, come per il coniuge/convivente, non si porrebbe neanche

il problema di accertare la consapevolezza del creditore che il suo debitore vive di

attività illecite”169.

Anzi, se ci riferiamo all’ultimo caso nello specifico, cioè il rapporto fra indagato in un

processo penale ed il suo difensore, vi è persino un riferimento normativo170

attraverso cui si può sostenere che colui il quale riceva una retribuzione, o in

generale dei pagamenti, da parte di un individuo di cui si conosce la qualifica di

criminale di professione ciò non si tradurrebbe automaticamente in un reato di

ricettazione.

In base a tale disposizione, si prevede che, qualora il professionista criminale abbia

un adeguato reddito, seppur interamente illecito, debba utilizzarlo per pagare la

propria difesa, non potendo accedere al gratuito patrocinio171.

169 Così la sentenza in commento, la quale, ai fini dell’elencazione dei casi, riprende le ipotesi citate nella sentenza 177/1984; 170 La disposizione è contenuta nel T.U. spese di giustizia la quale prevede l’ammissione al patrocinio per soggetti responsabili di reati di criminalità organizzata disponendo però un più attento esame della loro impossidenza perché nel caso in cui si trovassero in possesso di fondi sufficienti per coprire la spesa del difensore, anche qualora il reddito abbia una provenienza non lecita, questo dovrebbe essere utilizzato per la propria difesa; 171 Un discorso simile si potrebbe compiere anche con riferimento all’art 12 co. 2 del d.lgs. 231/2007 il quale prevede: “L'obbligo di segnalazione di operazioni sospette di cui all'articolo 41 non si applica ai soggetti indicati nelle lettere a), b) e c) del comma 1 per le informazioni che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso”. Anche in questo caso la normativa, sebbene si conosca la possibile illecita provenienza del valore, esonererebbe la segnalazione in quanto non sarebbe da intendersi come riciclaggio strictu sensu inteso;

124

È logico che tuttavia la norma escluda solo il mero sospetto della illecita provenienza

perché, in caso contrario, la disposizione avrebbe dovuto avere ben diversa

formulazione, dato che il soggetto con disponibilità economiche illecite ovviamente

non potrebbe retribuire l’avvocato con denaro lecito.

Quanto qui affermato vale anche per i rapporti sopra citati nei quali vi sia un individuo

che riceva una certa disponibilità economica o diversa utilità nell’ambito di un

rapporto obbligazionario.

Diversamente si giungerebbe a una conclusione inaccettabile: il fornaio che conosce

la caratura criminale e la fonte reddituale illecita di un suo cliente dovrebbe rifiutarsi

di vendergli i suoi prodotti senza una vera e propria oggettiva giustificazione per

rifiutare la transazione.

La Corte afferma che si deve escludere la configurabilità del delitto in assenza della

prova piena della colpevolezza qualora il valore ricevuto, specialmente se si tratti di

denaro, sia derivante da un diritto ad una prestazione e la ragione del sospetto non

derivi dalla cosa in sé, quanto piuttosto dalla qualità soggettiva del possessore.

Per far si che in una tale circostanza si possa affermare sussistente il quid pluris

rispetto al mero sospetto, cioè che l’agente si sia rappresentato la ragionevole

probabilità dell’illecita origine del denaro, si dovrebbe valutare se il soggetto abbia

“specificatamente valutato la situazione”.

Questo si tradurrebbe, nel caso concreto, in un certo tipo di controllo sul famigliare o

sul cliente.

Solo ove vi sia stato un tale controllo si potrà affermare che vi sia un apprezzabile

grado di consapevolezza della provenienza delittuosa atta a qualificare il reato di

ricettazione (o riciclaggio).

125

Tuttavia, considerando le circostanze complessive in cui tali rapporti si sviluppano,

risulta insostenibile imporre a tali soggetti di compiere un’indagine, un controllo sulla

provenienza di ogni singolo bene che ricevono in una situazione simile.

Dunque alla fine di tale iter argomentativo può concludersi che, “fuori dei casi di

dimostrazione della specifica consapevolezza della provenienza delittuosa, colui che

riceve beni nell'ambito di un rapporto familiare o nell'ambito di rapporti obbligazionari

(anche da obbligazioni naturali tutelate ai sensi dell'art. 2034 c.c.) con la

consapevolezza non della illecita provenienza dei beni ma solo della qualità criminale

del suo congiunto - debitore che ne abbia il possesso, per ciò solo non possa versare

nella condizione di dolo eventuale di ricettazione”.

La sola conoscenza delle qualità dell’offerente configurerebbe piuttosto un mero

dubbio.

Ci si chiede, leggendo tale sentenza, se la Corte, con riferimenti ai rapporti famigliari

e quelli obbligazionari, ritenga ancora sufficiente il dolo eventuale ai fini della

configurabilità del delitto di cui all’art 648 (648-bis e 648-ter) del codice penale o se,

viceversa, la decisione sia una mera esplicitazione dei principi già contenuti nella

precedente valutazione delle Sezioni Unite.

In favore della prima ipotesi si può innanzitutto segnalare che la Corte sembra

richiedere un’intensità maggiore del dolo eventuale sulla base di alcune affermazioni

quali: “va esclusa la configurabilità, senza la prova della consapevolezza piena, della

ricettazione quando i beni vengano ricevuti dal soggetto che può vantare un diritto ad

una prestazione”, o la richiesta di una specifica valutazione della situazione per poter

ritenere superata la soglia del mero sospetto.

Per quel che riguarda la seconda possibilità depone in favore la continua citazione e

il riporto di parti della sentenza del 2009.

126

In ogni caso, qualunque delle due interpretazioni si decida di seguire, non di meno

nei rapporti obbligazionari e famigliari bisogna prestare ancor maggior attenzione

all’elemento soggettivo in virtù del rapporto sottostante fra i due soggetti.

In particolare l’elemento probatorio da cui si potrà desumere una consapevolezza del

soggetto che superi il mero sospetto, non potrà essere dedotta dalla sola

conoscenza da parte dell’agente della qualità di criminale professionale.

7. PROBLEMATICHE NELLA VALUTAZIONE DEL DOLO EVENTUALE

Una volta compresa la possibilità di configurare il delitto di riciclaggio a titolo di dolo

eventuale, con le opportune puntualizzazioni, ci si deve soffermare sulle

problematiche e sui rischi che tale soluzione comporta.

Un primo pericolo sarebbe quello di un indebolimento del momento della volizione

con possibile successivo sgretolamento dell’elemento psicologico e il conseguenziale

sfaldamento della tipicità della fattispecie ormai privata dal collante volitivo172.

A questa carenza della funzione selettiva si aggiungerebbe poi la problematica delle

difficoltà probatorie.

Ci si dovrebbe chiedere quale prova possa essere sufficiente a dimostrare che

l’agente avrebbe agito indifferentemente dal risultato lesivo.

Il labile confine fra colpa cosciente e dolo eventuale, nella fattispecie de quo,

risulterebbe ancor più assottigliato, se non perso.

Il delitto, reato di pericolo concreto, legando l’aspetto volitivo alla realizzazione della

condotta tipizzata dalla norma, finisce con la confusione, sovrapposizione della forma

172 In tal senso cfr. A. R. Castaldo, M. Naddeo, Il denaro sporco, cit., 179;

127

di minor intensità del dolo a una sorta di colpa aggravata di rappresentazione

dell’evento173.

Il fatto che nel delitto de quo il dolo eventuale abbraccia elementi esterni e

precostituiti, riguardando la sola parte rappresentativa dell’elemento psicologico

piuttosto che quella volitiva, aumenterà le incertezze e gli aspetti problematici.

Un altro dei principali pericoli, sempre con riferimento al tema probatorio, è che la

giurisprudenza potesse accettare una sorta di prova per presunzioni.

Questo ha indotto parte della dottrina ad escludere il dolo eventuale ai fini della

qualificazione del delitto.

Il classico esempio è quello dell’operatore finanziario il quale, omettendo di effettuare

la segnalazione di un’operazione di cui dovrebbe sospettare sulla base agli indici di

sospetto (o indici di anomalia)174, venga condannato a titolo di riciclaggio per

l’omissione solo per aver operato all’interno di una situazione anormale.

Ciò si tradurrebbe nel senso che, dato la presenza dell’anomalia, l’operatore sapeva,

o comunque avrebbe dovuto sapere, e di conseguenza ha posto in essere la

condotta accettandone il rischio.

In tali situazioni è ancora più facile e pericoloso compiere una perequazione tra

un’obiettiva presenza di indici di sospetto e dubbio soggettivo.

In teoria, a seguito della sentenza n. 12433/2009 delle Sezioni Unite, si

richiederebbe un quid pluris e quindi, pur ammettendo la configurabilità a titolo di

173 Cfr. A. R. Castaldo, M. Naddeo, op. cit., 180; 174 Questi indici di anomalia sono indicati da un provvedimento, opportunamente aggiornato, della Banca d’Italia. Fra i tanti si possono ricordare: “il cliente si rifiuta o si mostra riluttante a fornire le informazioni richieste, ovvero fornisce informazioni false o contraffatte ovvero varia ripetutamente e senza apparente giustificazione le informazioni fornite”, “operazioni con configurazione illogica, soprattutto se economicamente o finanziariamente svantaggiose per il cliente, che non risultano in alcun modo giustificate”, “utilizzo ripetuto e ingiustificato di denaro contante, specie se per importi rilevanti o qualora implichi il ricorso a banconote di elevato taglio”, “operazioni in strumenti finanziari incoerenti con il profilo economico, finanziario o patrimoniale del cliente ovvero, nel caso di persone giuridiche, del gruppo di appartenenza, oppure effettuate con modalità inusuali o illogiche, soprattutto se di ammontare complessivamente rilevante, non adeguatamente giustificate da specifiche esigenze”, “operazioni che, per il profilo soggettivo di chi le richiede ovvero per le modalità inusuali della movimentazione, appaiono riconducibili a fenomeni di finanziamento del terrorismo”;

128

dolo eventuale, non di meno si esigerebbe il rispetto della garanzia posta dal

principio di colpevolezza.

Per riprendere l’esempio sopra riportato l’operatore potrà essere punito per l’omessa

segnalazione solo in base a quanto previsto dal d.lgs. 231/2007.

Per la punibilità ex art. 648-bis c.p. l’accusa dovrebbe riuscire a dimostrare, tramite

elementi probatori, che l’operatore abbia percepito l’anomalia e che il soggetto si sia

configurato un dubbio circa la provenienza delittuosa della res, scegliendo di

omettere la segnalazione e, in questo modo, accettando concretamente il rischio di

porre in essere una condotta configurabile come riciclaggio.

Il problema allora si sposta sul fatto che bisogna ragionare sulla psiche del soggetto,

su qualcosa che è interno e non si può vedere all’esterno se non cogliendo alcuni

indizi che non di meno potrebbero poi risultare fuorvianti rispetto la volontà del

soggetto.

Alla fine la formula di Frank utilizzata dalla Corte di Cassazione sembra essere una

costruzione vuota.

Seppur in linea teorica corretta, poi una sua effettiva concretizzazione appare quanto

meno complessa.

Un medesimo indizio potrebbe essere letto in differenti modi in base al giudice che lo

analizza.

Per dirlo con le parole di Immanuel Kant, l'uomo potrebbe conoscere le cose solo

come appaiano a lui, quasi come se avesse delle lenti colorate non rimuovibili che gli

fanno vedere il mondo in un determinato modo.

Per tradurlo nell’ambito giuridico, un giudice potrebbe valutare un elemento

probatorio in maniera differente rispetto a un suo collega e ciò nonostante entrambe

le posizioni potrebbero apparire plausibili.

129

Si potrebbe pensare alla sentenza supra della Cassazione penale n. 25960 del 2011,

la quale ha letto in differente modo la medesima e-mail rispetto alle Corti di merito.

I precedenti giudizi avevano letto il messaggio-minaccia di posta elettronica come

prova della consapevolezza dell’indagato, il quale, ponendo in essere la successiva

transazione, ha dimostrato la propria accettazione del rischio.

La Corte di Cassazione invece aveva interpretato la stessa e-mail come una prova

del fatto che, qualora dalle spiegazioni fornite dalla società fittizia risultasse con

certezza o altissima probabilità la configurabilità del delitto, l’agente avrebbe fatto un

passo indietro, non avrebbe cioè accettato il rischio derivante dalla condotta

rinunciando così al beneficio da questa derivante.

Appare complicato accertare se gli indicatori di sospetto, quali quelli contenuti

nell’art. 712 c.p., nel concreto abbiano effettivamente generato un sospetto in capo

all’accipiens o, diversamente, questi li abbia ignorati per colpa (incosciente) o,

ancora, se la loro considerazione sia stata poi in concreto superata da una errata

controrappresentazione (colpa cosciente).

L’unico accertamento praticabile risulterebbe allora essere una valutazione del grado

di conoscibilità, ma ciò rischierebbe di fuorviare l’effettiva rappresentazione

nell’interior dell’agente.

La psiche del soggetto potrebbe allora solo essere dedotta attraverso un

accertamento deduttivo.

Il problema è che gli indizi, oltre a poter essere letti diversamente a seconda del

soggetto che li valuta, in concreto potrebbero non dire nulla o addirittura il contrario

rispetto al pensiero dell’agente.

A ben vedere però la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12433/2009, avrebbe

fornito una definizione più intensa rispetto alla classica forma del dolo eventuale

come viene intesa per i reati di evento.

130

In questo senso, l’agente, anche qualora avesse saputo, avrebbe non di meno posto

in essere la condotta piuttosto di non rinunciare ai benefici.

Sembra quasi che le Sezioni Unite dicano che il dolo eventuale è sufficiente, ma

richiedono poi in concreto un livello più intenso che “si colloca su un gradino

immediatamente più alto”, una forma di dolo che si ponga tra l’eventuale (come

inteso per i reati di evento) e il diretto175.

In tal modo si richiederebbe un maggior sforzo probatorio tale da non permettere una

qualificazione di riciclaggio sulla base della sola presenza di anomalie.

Non di meno rimarrebbe sempre il problema di come individuare la prova.

Bisogna ricordarsi che, qualora si permanga a fronte di un accertamento giudiziale in

una situazione di incertezza rispetto il ricorrere del dolo eventuale, il giudice deve, ex

art. 530 co. 2 c.p.p., assolvere l’imputato secondo il principio del in dubio pro reo.

Facendo poi riferimento all’esempio riportato dalle Sezioni Unite del collezionista si

corre il rischio che taluno degli operatori giuridici possa interpretarlo come una sorta

di colpevolezza d’autore

Il rischio sarebbe quello di ritenere la qualifica di esperto d’arte sufficiente a

configurare il delitto a titolo di dolo eventuale sul presupposto che, ben conoscendo

l’ambito in cui opera, allora questi dovrebbe accorgersi della illecita provenienza o, in

alternativa, proprio perché amante della materia, allora avrebbe deciso di agire costi

quel costi.

Vero è che la qualifica possa essere un serio indicatore, ma, ciò non di meno, il

collezionista potrebbe essere stato acciecato nelle sue valutazioni dalla sua stessa

175 Cfr. A. R. Castaldo, M. Naddeo, op. cit., 214; nel libro si sostiene che “il discrimine tra delitto di ricettazione e contravvenzione di incauto acquisto deve essere, quindi, individuato, ‘ad un livello più alto’ e, cioè, tra dolo eventuale e diretto. Deve, infatti, ritenersi che la fattispecie di ricettazione riguardi i casi in cui ricorra la sicura consapevolezza della provenienza delittuosa della cosa, mentre quella dell’incauto acquisto i comportamenti coscientemente sospettosi, adombrati da ragionevole dubbio. Come è stato osservato, ritenere altrimenti conduce a degradare detta fattispecie a ‘delitto contravvenzionale’, e, allo stesso tempo, limita oltremodo l’ambito operativo della previsione di cui all’art 712 c.p. alle sole ipotesi di mancata percezione degli ‘elementi di sospetto’”;

131

bramosia di ottenere l’opera o, ancora, non è detto che questi ami più l’arte di quanto

possa amare la libertà o il desiderio di non subire condanne penali.

Con questo non sostengo che allora è impossibile provare l’elemento psicologico,

piuttosto voglio focalizzare l’attenzione sulle problematiche, sulle difficoltà e sulla

possibile disparità fra giudizio e accadimento.

Difatti alcuni indici, fra cui per l’appunto quello della professionalità dell’agente,

hanno sì una valenza, in quanto è logico che un esperto del settore ha

potenzialmente maggiore probabilità rispetto al profano di fiutare la provenienza

delittuosa, ma questo non comporta automaticamente che in ogni singola situazione

concreta ciò avvenga.

Poi nei rapporti commerciali e famigliari, come sopra detto, la situazione si

arricchisce e si complica nel senso che non si possono controllare tutte le situazioni

in ambiti governati dal principio dell’affidamento e dove la rilevante quantità di

transazioni risulta essere poi effettivamente incontrollabile.

Ritenendo diversamente si rischierebbe di subire enormi costi per condurre indagini

spesso inconcludenti a fronte di bassi benefici.

In tali legami sinallagmatici allora l’attenzione deve, se possibile, essere ancora

maggiore nel compiere un’analisi degli elementi indiziari dell’origine da delitto della

res.

132

CAPITOLO 4

LE PROSPETTIVE DI RIFORMA

1. LA POSSIBILITÀ DI UN RICICLAGGIO ‘COLPOSO’?

La difficile distinzione fra colpa cosciente e dolo eventuale, ancor più ardua nel delitto

di cui all’art. 648-bis c.p., ha portato la dottrina a ricercare diverse soluzioni al

problema.

Molti autori176, anche in chiave comparatistica, hanno ipotizzato la creazione di una

fattispecie di ‘riciclaggio colposo’.

Prima di tutto è interessante notare che la Convenzione n. 141 del 1990177, a seguito

della quale si deve l’attuale formulazione dell’art 648-bis c.p., abbia previsto la

possibilità per gli Stati Membri di inserire un tale tipo di reato nei propri ordinamenti.

Tuttavia lo Stato italiano ha ritenuto di non dover prevedere alcuna misura in ordine

al contrasto del reato in forma colposa.

Solo pochi paesi decisero di introdurre fattispecie colpose del delitto.

Fra questi si possono segnalare la Spagna178 e la Germania179 e l’Australia.

176 Fra i tanti cfr. G. Forte, in a cura di A. Manna, Riciclaggio e reati connessi, cit., 199 ss.; Cfr. anche M. Zanchetti, Il riciclaggio, cit., 188 ss.; 177 In particolare l’art. 6 co. 3 della citata Convenzione prevede: “Each Party may adopt such measures as it considers necessary to establish also as offences under its domestic law all or some of the acts referred to in paragraph 1 of this article, in any or all of the following cases where the offender: a. ought to have assumed that the property was proceeds”; La quale è così tradotta: “Ciascuna Parte può prendere le misure che ritiene necessarie per conferire carat­tere di reato, secondo la propria legge interna, alla totalità o a una parte degli atti di cui al paragrafo 1 del presente articolo, in uno o in tutti dei seguenti casi: a. quando l’autore avrebbe dovuto ritenere che i valori patrimoniali costituivano proventi”; quello a cui mirava il legislatore tedesco era quello di colmare possibili lacune normative; non di meno questa scelta comporta anche degli inconvenienti: la redazione delle regole di diligenza per l’operatore finanziario da seguire se non vuole incorrere nel reato viene lasciata agli stessi istituti finanziari, i quali dispongono le misure interne al fine di evitare il concretizzarsi di fenomeni di riciclaggio. Vi è cioè una corrispondenza tra chi redige le regole di diligenza e i soggetti che possono rispondere della versione colposa quando queste non vengano rispettate; 178 Art. 344-bis, h), 3 c.p., introdotta con Ley Organica 19/1993;

133

In tali nazioni è presente la distinzione tra il soggetto consapevole della illecita

provenienza, ovviamente punito più gravemente, e il soggetto che si trova

semplicemente in possesso di denaro o beni di cui la provenienza illecita dovrebbe

essere ragionevolmente sospettata180.

La decisione di non punire il riciclaggio a titolo di colpa da parte di paesi come l’Italia

in cui comunque vi è una forte repressione del fenomeno è dovuto a scelte politico

criminali.

Nello specifico appare incongruo punire un atto meramente colposo che coopera ex

post con un precedente delitto di natura dolosa.

Sotto un altro punto di vista, si sottolinea però come, con la limitazione della

punibilità a solo titolo di dolo, lo spazio applicativo di tale delitto potrebbe essere

svuotato, azzerato a causa della impossibilità di provare l’elemento soggettivo del

delitto.

A ciò si può obiettare che, seppur vero che l’accertamento ne risulterebbe in parte

alleggerito, ciò non di meno permarrebbero le stesse esigenze probatorie del dolo

intenzionale.

Infatti, in questo modo, i giudici non dovrebbero più accertare il dolo, ma dovrebbero

accertare che ci siano stati sufficienti elementi sospetti tali da superare, con la loro

gravità, il confine della colpa lieve.

Con riferimento alla punibilità a titolo di dolo eventuale, alcuni paesi hanno previsto

delle formulazioni specifiche delle fattispecie in modo tale da fugare ogni dubbio sulla

loro punibilità o meno a tale titolo.

179 § 261 StGB Ab s. 5 il quale prevedeva: “Colui che, nei casi previsti dal co. 1 o dal co. 2 non riconosce, per colpa grave, che l’oggetto proviene da un fatto illecito altrui indicato dal co. 1, è punito con la pena detentiva fino a due anni o con la pena pecuniaria”. La colpa in tale caso inciderebbe solo e unicamente sulla conoscenza del presupposto non intaccando gli altri elementi della fattispecie che dovrebbero comunque essere coperti da dolo; 180 Anche in questo caso, ovviamente, l’imputato ha sempre la possibilità di dimostrare di sospettare, nel caso concreto, tale provenienza;

134

Ad esempio, la Svizzera ha previsto all’art. 305-bis c.p. la punibilità di chi pone in

essere atti idonei a vanificare l’accertamento della provenienza, il ritrovamento o la

confisca di valori patrimoniali “sapendo o dovendo presumere”181 che provengono da

un crimine.

Nei primi anni successivi alla Convenzione europea anche in alcune fattispecie di

money laundering inglese veniva esplicitato la sufficienza di una forma dell’elemento

psicologico che potrebbe equivalere, nel nostro ordinamento, alla figura del dolo

eventuale182.

Con specifico riferimento all’ordinamento italiano, non è mancato chi si è posto in

contrasto della possibilità di introdurre una fattispecie colposa sulla motivazione che

una tale formulazione contrasterebbe con la tradizione secondo cui i reati contro il

patrimonio sono connotati esclusivamente dal dolo183.

Avverso tale pensiero si è espressa altra dottrina184, la quale ha giustamente

sottolineato che non è l’oggettività giuridica tutelata nei reati contro il patrimonio a

costituire un elemento ostativo all’introduzione del reato de quo in versione colposa,

essendo presenti fattispecie contravvenzionali che hanno lo scopo di tutela del

patrimonio.

Per restare in tema si può pensare alla contravvenzione di cui all’art. 712 c.p. la

quale punisce l’incauto acquisto di res di cui si sospetti l’illecita origine.

Come già sopra riportato, è un reato che, differentemente dalla ricettazione e dal

riciclaggio, punisce il soggetto il quale, senza avere la certezza della provenienza dei

181 In lingua originale: “weiss oder annehemen muss”; 182 Sect. 50 Drug Trafficking Act 1994: Assisting another person to retainthe benefits of drug trafficking; sect. 93° Criminal Justice Act 1988, modificato poi nel 1993: Assisting another to retain the benefit of criminal conduct; le citate normative puniscono l’agente il quale partecipa consapevolmente ad un arrangement “knowing or suspecting” che la controparte abbia compiuto un reato. Interessante notare che non si punisce l’intermediario perché coinvolto in operazione sospetta, ma perché l’ha compiuta con persona sospetta (cfr. M. Zanchetti, op. cit,, 194) 183 Cfr. G. Forte, in a cura di A. Manna, Riciclaggio e reati connessi, cit., 201; l’autore cita fra i tanti in dottrina Mazzacuva e Pecorella; 184 Cfr. G. Forte, ult. cit., il quale riporta come autore Ambrosetti;

135

valori, ometta, anche per colpa, di effettuare l’accertamento richiesto in presenza

degli indici tipizzati nella medesima norma.

L’elemento psicologico di tale contravvenzione prescinde totalmente dal fatto della

ricezione del bene, ma si esplica in un comportamento colposo il quale si trova a

monte dello stesso acquisto o ricezione, in quanto consiste nel fatto di non aver

effettuato l’accertamento della legittimità di tale res nei casi in cui lo richieda la

norma.

Per via della presenza nel nostro ordinamento di una tale fattispecie di reato

nell’ambito nel quale potrebbe operare la condotta del soggetto incerto della

provenienza lecita del bene, al pari dei reati di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter del

codice penale, potrebbe dubitarsi dell’opportunità di introdurre nella nostra

legislazione una normativa volta a punire il riciclaggio colposo.

Difatti con la previsione di cui all’art. 712 c.p. non dovrebbe riscontrarsi alcun vuoto di

tutela almeno non negli ambiti più delicati dove l’illiceità del bene o il dubbio in tal

senso dovrebbero essere evidenti.

Se infatti nel caso concreto l’agente non risultasse punibile a titolo di riciclaggio,

versando semplicemente in colpa, questo non vorrà dire che andrà esente da pena.

Il soggetto potrà, qualora ne ricorrano le condizioni, essere punito a titolo di incauto

acquisto ex art. 712 c.p. aggravata ex art. 61 n. 3 del codice penale.

Il problema in questo caso sarà piuttosto quello della congruità della pena in rapporto

al disvalore della condotta, cioè quello di un eccessivo scarto di pena che è solito

formarsi tra ipotesi dolose e corrispondenti ipotesi colpose.

Allo stesso modo bisognerebbe evidenziare la non perfetta sovrapponibilità dei due

reati in quanto la contravvenzione ha una gittata, un ambito applicativo meno ampio

rispetto al delitto di riciclaggio, nel senso che l’opportuno accertamento deve essere

compiuto in presenza di circostanze indizianti tipizzate di natura meramente

136

oggettiva (“per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per la entità del

prezzo”).

Invece il reato di riciclaggio non specifica quali debbano essere questi indici, per cui

ben potrebbero rilevare i medesimi previsti dell’acquisto di cosa sospetta, ma anche

altri rispetto questi.

Inoltre le due norme puniscono due fatti diversi in quanto, mentre la contravvenzione

punisce il mancato accertamento dell’origine in una situazione in cui

oggettivamente185 si dovrebbe sospettare, il delitto punisce chi pone in essere

condotte in grado di ostacolare la ricostruzione del paper trail accettando il rischio di

una illecita provenienza del bene su cui opera.

Tuttavia, ben consci che il reato di cui all’art. 712 c.p. non è una riproduzione colposa

di quello di cui all’art. 648-bis c.p., non di meno il primo potrebbe svolgere un ruolo di

supplenza nelle situazioni non coperte dal secondo.

185 In quanto è lo stesso legislatore che indica le situazioni a rischio in cui l’agente dovrebbe indagare;

137

2. LE PROPOSTE LEGISLATIVE E L’INDIFFERENZA DELL’ELEMENTO

SOGGETTIVO: FOCUS SULLA COMMISSIONE GRECO E LA COMMISSIONE

GAROFOLI

La materia del riciclaggio e il suo contrasto è un argomento in continua trattazione al

fine di raggiungere un risultato più soddisfacente e migliorare gli obiettivi già

raggiunti.

Negli ultimi anni ha avuto centralità soprattutto con riferimento agli obblighi dei

professionisti, ambito in cui la materia risulta essere ancora più delicata.

Sia a livello europeo, sia a quello nazionale, si stanno compiendo alcuni sforzi al fine

di aumentare la certezza nella sua applicazione e, specularmente, si cerca di

diminuirne le lacune.

A livello europeo si segnalano i lavori preparatori186 diretti a porre le basi per una IV

direttiva in materia di antiriciclaggio, in sostituzione della 2005/60/CE.

In particolare le raccomandazioni GAFI e gli studi della Commissione Europea hanno

riportato la necessità di dare maggior chiarezza e consistenza alle regole in vigore,

specialmente per quel che riguarda i professionisti, promuovendo l’armonizzazione

fra gli Stati.

Oltre che a livello europeo, anche a livello nazionale si muovono in tal senso

attraverso la composizioni di diverse commissioni.

Fra le molte, si possono ricordare la commissione Greco187 e la commissione

Garofoli188.

186 La Commissione Europea ha difatti adottato, sulla base delle raccomandazioni del GAFI (organismo internazionale per la lotta contro il riciclaggio) e degli studi della medesima Commissione, la proposta di direttiva in materia di antiriciclaggio; 187 La commissione risulta così composta: il presidente Francesco Greco della Procura di Milano da cui peraltro deriva il nome della commissione stessa, Giuseppe Bottillo del Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di Finanza, Angelo Carmona, Claudio Clemente della UIF, Gianfranco Donadio della Direzione investigativa antimafia, Antonio Martino dell’Agenzia delle Entrate, nonché, in qualità di

138

Purtroppo devo partire dal presupposto che nessuna delle due ha trovato una degna

conclusione nel nostro ordinamento, sperando che il ritardo nell’agire sia solo dovuto

all’attesa di un risultato in materia a livello europeo.

Partiamo dalla commissione Greco per lo studio sull’autoriciclaggio del 23 aprile

2013.

A seguito dei lavori preparatori e di accurate analisi il Gruppo ha sostenuto “di

suggerire l’introduzione nell'ordinamento dei reati di autoriclaggio e di una fattispecie

che ‘sanzioni’ l’abuso dei beni sociali, nonché di valorizzare il reato di false

comunicazioni sociali” e, inoltre, ha ritenuto necessaria l’introduzione di “norme che

incentivassero la collaborazione con lo Stato da parte degli autori di certi reati, a

condizione di poter recuperare integralmente, a seconda dei casi, l'importo evaso

ovvero il profitto/prezzo del reato”189.

Queste scelte sono dovute principalmente alla acquisita consapevolezza che per

realizzare gran parte dei reati economici si necessita, ancor prima delle operazioni di

riciclaggio, una rappresentazione contabile falsa o fittizia la quale risulta idonea a

dissimulare lo stesso delitto, il quale, a sua volta, mira a dissimulare l’origine.

Si è deciso in questo senso di prevenire prima ancora che sanzionare i

comportamenti illeciti e si è richiesto di porre attenzione, più che sulle condotte in sé,

sulle fonti illecite della res.

componenti della segreteria tecnica, Maria Raffaella Falcone del Ministero della Giustizia e Marco Pacini della Banca d’Italia. Partecipano, altresì al Gruppo, con voto deliberativo, Filippo Grisolia, Capo di Gabinetto, Gabriele Iuzzolino, Vice Capo dell’Ufficio legislativo vicario, Eugenio Selvaggi, Capo Dipartimento per gli Affari di Giustizia, Luigi Birritteri o Francesco Mele, rispettivamente Capo e Vice Capo Dipartimento dell'Organizzazione giudiziaria, del Personale e dei Servizi. Hanno preso parte ad alcune riunioni del Gruppo Antonino Gullo, sottosegretario alla Giustizia e Chiara Mancini, Capo della Segreteria tecnica del Ministro 188 La commissione risulta così composta: il presidente, da cui deriva poi il nome della commissione, Roberto Garofoli, magistrato del Consiglio di Stato, Magda Bianco, dirigente Banca d’Italia, Raffaele Cantone, magistrato di Cassazione, Nicola Gratteri, procuratore aggiunto Reggio Calabria, Elisabetta Rosi, magistrato di Cassazione, Giorgio Spangher, professore ordinario di procedura penale; 189 Le parti virgolettate sono testualmente riportate dalla relazione della Commissione Greco in esame;

139

Si vuole, in seno alla commissione, puntare i fari alle condotte le cui finalità sono

quelle di rendere tracciabili sia i flussi di capitali e di valori, sia la loro

rappresentazione contabile.

Proprio per questa ragione si vogliono creare e rafforzare dei baluardi che presidino i

confini e cioè, da un lato i reati di riciclaggio e autoriciclaggio, dall’altro i reati di falso

in bilancio e abuso fraudolento dei beni sociali

Logicamente, in questa sede, ci occuperemo solo dei primi due essendo attinenti al

tema in esame.

Primo argomento affrontato dalla commissione riguarda la valutazione

dell’eventualità di punire il cosiddetto autoriciclaggio.

Per autoriciclaggio si intende la condotta di riciclaggio posta in essere dallo stesso

autore del reato presupposto anche in concorso.

Il soggetto che nel caso interessa è allora lo stesso che apporta un rilevante

contributo al compimento del prius, o autonomamente o in concorso, e, in un

successivo momento, pone in essere un trasferimento, una sostituzione o un’altra

operazione sul bene di origine illecita.

Tale condotta appare specialmente diffusa nei fenomeni di appropriazione di beni

sociali, evasione fiscale e corruzione.

Dunque accade spesso che tali reati si consumino all’interno dell’ambito societario.

Un esempio potrebbe essere quello del proprietario d’azienda che, d’accordo con un

terzo riciclatore, distoglie parte dei beni tramite l’emissione di fatture false, così da

sottrarle alla stessa azienda e alla tassazione.

In seguito, colui che ha fatto fuoriuscire parte dei valori societari potrà, per esempio,

destinare tali beni a finalità corruttive.

Come nei primi capitoli riportato, l’attuale disciplina non prevede la punibilità

dell’autoriciclaggio a causa della formula “fuori dai casi di concorso nel reato”.

140

Quindi con l’attuale formulazione rimarrebbero impuniti sia il riciclatore che ha

autonomamente posto in essere il reato presupposto, sia quello che vi ha

semplicemente concorso.

La commissione si auspica, in questo senso, un’introduzione de jure condendo di

simile forma di riciclaggio.

Viene evidenziato che, seppur né nelle convenzioni internazionali né nelle 40

raccomandazioni del GAFI venga richiesto espressamente un simile reato, ciò non di

meno una sua introduzione è sollecitata tanto dall’OCSE190 quanto dal Fondo

Monetario Internazionale191.

La commissione è allo stesso modo conscia che l’attuale formulazione della norma di

riciclaggio genera alcune problematiche per il raggiungimento dello scopo a cui mira

il Gruppo.

La prima è la constatazione che le successive condotte poste in essere dall’autore

del delitto presupposto risulterebbero come la naturale prosecuzione dello stesso

reato-madre.

Esso sarebbe allora un semplice post factum non punibile in quanto non in possesso

di un autonomo disvalore oppure, risultando come parti del prius, non potrebbero poi

essere puniti nuovamente per il successivo reato di riciclaggio in forza del principio

del ne bis in idem sostanziale.

Altra difficoltà è che l’autoriciclaggio contrasterebbe col principio del nemo tenetur se

detegere in quanto si richiederebbe all’autore del delitto base di astenersi dal porre in

essere condotte volte ad ostacolare l’origine illecita della res.

190 L’OCSE ha evidenziato che una tale lacuna indebolisce la legislazione anticorruzione e, in aggiunta, non appaia giustificata dai principi di diritto; 191 Nel rapporto sull’Italia del 2006, il Fondo Monetario Internazionale ha evidenziato come le 40 raccomandazioni GAFI, seppure non lo prevedessero come necessario, ne raccomandavano l’introduzione;

141

Terza problematica è il rischio di assoggettare l’agente dell’autoriciclaggio a

un’irrogazione di pena non correlata alla gravità del reato presupposto.

Ciò sarebbe dovuto al fatto che il riciclaggio può essere punito molto più gravemente

rispetto al reato presupposto e, per via dell’effetto della continuazione, la pena

potrebbe persino essere triplicata.

In aggiunta si tenga conto che, per via della previsione dell’art. 648-bis c.p. delle

condotte di sostituzione e di trasferimento, vi è una più agevole percezione

dell’autore del delitto come terzo rispetto al reato presupposto.

A questo punto la Commissione evidenzia come, in realtà, tutte queste difficoltà

siano dovute ad un’errata formulazione della norma incriminatrice.

Il Gruppo decide, di conseguenza, di fornire alcune possibili formulazioni con lo

scopo principale di prevedere un’autonoma fattispecie di reato al fine di punire

l’autoriciclaccio192.

Si giunge, in conclusione, a due possibili formulazioni del nuovo articolo in materia di

riciclaggio.

Prima di tutto giova evidenziare lo spostamento che il Gruppo vorrebbe compiere

dall’attuale 648-bis c.p. (il quale verrebbe abrogato) all’articolo 517-sexies del codice

penale.

Verrebbe dunque inserito nel capo II bis, dedicato ai delitto contro l’ordine economico

e finanziario.

192 La commissione ritiene necessario che la nuova fattispecie possegga particolari caratteri. Nello specifico: “i) da includere, unitamente alla fattispecie di riciclaggio, in apposito capo dedicato ai delitti contro l’ordine economico e finanziario ovvero contro l’amministrazione della giustizia; ii) che valorizzi, sotto il profilo materiale della condotta, la natura essenzialmente finanziaria e la connotazione intrinsecamente fraudolenta delle operazioni, se del caso anche attraverso l’inclusione di apposite norme definitorie all’interno della stessa fattispecie; iii) che attribuisca centralità, sotto il profilo teleologico della condotta, non tanto e non solo alla finalità di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni quanto soprattutto a quella del loro investimento in attività economiche o finanziarie, essendo il vero disvalore della condotta rappresentato dalla "concorrenza sleale" derivante dall’impiego di capitali illeciti; iv) che escluda, conseguentemente, la punibilità degli autori del reato presupposto per i comportamenti diretti a consentire loro il godimento dei relativi proventi riducendo entro limiti ragionevoli il rischio di essere scoperto; v) che conduca all’applicazione nei confronti degli autori dell’autoriciclaggio di pene proporzionate alla gravità delle condotte”;

142

Il fatto che non si trovi più all’interno dei delitti contro il patrimonio mediante frode

appare una scelta interessante, in quanto si evidenzia prima di tutto che il riciclaggio

si staccherebbe completamente dall’albero della ricettazione da cui è nato e, in

secondo luogo, si sottolineerebbe il diverso bene principale che si intenderebbe

tutelare mediante la nuova disposizione.

La prima ipotesi di proposta di modifica legislativa risulta così testualmente:

“1. E’ punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 a

50.000 euro chiunque impiega in attività economiche e finanziarie denaro, beni o

altre utilità provenienti da delitto non colposo.

2. Alla stessa pena soggiace chiunque sostituisce, trasferisce, attribuisce

fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità

provenienti da delitto non colposo, ovvero compie altre operazioni in modo

ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

3. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il

quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si

applica l'ultimo comma dell'articolo 648.

4. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di una attività

professionale.

5. La pena è diminuita fino a due terzi per chi si adopera per evitare che l'attività

delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente

l'autorità giudiziaria e di polizia nella sottrazione di risorse rilevanti per la

commissione dei reati e nell'individuazione di denaro, beni e altre utilità provento di

reato.

6. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma

dell'art. 444 del codice di proceduta penale, è sempre ordinata la confisca delle cose

che servirono o furono destinate alla commissione del reato e delle cose che ne

143

costituiscono il prezzo, il prodotto e il profitto salvo che non appartengano a persona

estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca dei beni, di cui il

reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore corrispondente a

tale prezzo, prodotto e profitto”.

La seconda ipotesi a cui è giunta la commissione risulta così testualmente formulata:

“1. Fuori dai casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro,

beni o altre utilità provenienti da reato doloso ovvero compie, in relazione ad essi e

fuori dai casi previsti dall'art. 648, altre operazioni in modo da ostacolare

l'identificazione della loro provenienza criminosa, ovvero li impiega in attività

economiche o finanziarie è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la

multa da Euro 10.000 a Euro 100.000.

2. Si applica l'ultimo comma dell'art. 648.

3. La stessa pena prevista dal primo comma si applica nei confronti di chi ha

commesso o ha concorso nel reato presupposto, il quale sostituisce o trasferisce

denaro, beni o altre utilità, provenienti da reato doloso, per finalità speculative,

economiche o finanziarie, ovvero li impiega nelle medesime attività.

4. La disposizione di cui al comma precedente non si applica se il fatto consiste nel

mero godimento dei beni, o nell'utilizzo del denaro o delle altre utilità provento del

reato, con finalità non speculative, economiche o finanziarie.

5. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di una attività

professionale.

6. La pena della reclusione è diminuita fino a due terzi per chi si adopera per evitare

che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando

concretamente l'autorità di polizia e giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per

la commissione dei reati e nell'individuazione di denaro, beni e altre utilità provento di

reato.

144

7. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma

dell'art. 444 del codice di proceduta penale, è sempre ordinata la confisca delle cose

che servirono o furono destinate alla commissione del reato e delle cose che ne

costituiscono il prezzo, il prodotto e il profitto salvo che non appartengano a persona

estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca dei beni, di cui il

reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore corrispondente a

tale prezzo, prodotto e profitto”.

In aggiunta si prevedono delle depenalizzazioni nella materia degli obblighi dei

professionisti di cui al d.lgs. 231/2007.

La differenza sostanziale fra le due proposte è che, mentre nella prima viene

eliminata la congiunzione “fuori dai casi di concorso”, nella seconda questa permane

e viene aggiunto un diverso comma in cui si prevede la punibilità per il soggetto che

ha commesso il reato presupposto o vi abbia concorso.

Mi pare che l’ultima formulazione sia la più adatta ad evidenziare lo scopo a cui la

commissione mira, cioè la punibilità dell’autoriciclaggio.

Ulteriore differenza è che nella seconda ipotesi la pena pecuniaria della multa risulta

essere raddoppiata rispetto la prima proposta.

Le due formulazioni non di meno hanno in comune diversi punti tra cui l’inserimento

nelle medesime proposte di un regime di premialità193, della previsione della

confisca, al momento materia dell’art. 648-quater c.p., e della unificazione con la

fattispecie del reimpiego, attualmente prevista dall’art. 648-ter del codice penale.

Ci si dovrebbe domandare come tali ipotesi possano allora riguardare il tema de qua

dell’elemento soggettivo.

Ebbene la risposta è: in nessun modo, o meglio, non viene direttamente trattato.

193 Nell’ipotesi 1 si ritrova nel co. 5, mentre nell’ipotesi 2 nel co. 6;

145

Appunto, l’argomento dell’elemento soggettivo del delitto non è stato affrontato dalla

commissione, non essendo nelle formulazioni neanche stato previsto qualche

generico termine quale ‘intenzionalmente’, ‘consapevolmente’, et simili.

Piuttosto è stato cercato di dare maggior pregnanza alle condotte e alle circostanze

del delitto.

Non si è invece cercato in alcun modo di chiarificare l’intensità e la forma che

l’elemento intellettivo debba avere.

Passando alla Commissione Garofoli, conclusasi nel gennaio 2014, anche in questa

il tema principale risulta essere quello dell’autoriciclaggio (e dell’autoreimpiego).

La loro analisi merita un ruolo centrale rispetto le altre possibili riforme in quanto

riporta diligentemente tutte le principali proposte legislative attinenti il delitto di cui

all’art. 648-bis c.p., così da evidenziare le principali scelte degli operatori giuridici e le

esigenze in materia da questi percepite.

Nella relazione de qua si parte dal presupposto che la fattispecie di autoriciclaggio

avrebbe un proprio autonomo disvalore sociale rispetto il reato base in quanto non è

semplicemente diretta ad assicurare il profitto lecito all’autore, bensì “reca autonoma

offesa all’ordinamento dal momento che turba l’amministrazione della giustizia,

l’ordine pubblico, quello economico nonché la correttezza delle relazioni

finanziarie”194.

Viene inoltre evidenziato come, a seguito della crisi finanziaria, il fenomeno risulta

persino acutizzato.

Difatti risulta frequente che operatori economici, richiedendo il credito bancario

importanti garanzie, preferiscano o siano costretti a rivolgersi ad organizzazioni

criminali, le quali spesso chiedono in cambio tassi usurari.

194 Così testualmente la stessa commissione Garofoli;

146

Questo vantaggio si aggiunge a quello della ripulitura del denaro proveniente da

attività illecite attraverso l’utilizzo di società legalmente formate.

Il gruppo riporta anche le diverse soluzioni al problema già formulate in precedenti

proposte legislative.

Una prima impostazione195 propende per una mera elisione della clausola di riserva,

cioè per una semplice abrogazione dell’inciso “fuori dai casi di concorso”.

Una differente soluzione è stata individuata da chi196 ritiene di inserire la fattispecie

del reimpiego all’interno della normativa del riciclaggio e, allo stesso tempo, si

propende per una cancellazione della clausola iniziale al fine di rendere punibile

anche la condotta dell’autoriciclaggio.

In aggiunta si propone di modificare la ragione sottostante alla circostanza

attenuante, ora risiedente nell’entità della pena del reato presupposto, per collegarla

alla “particolare tenuità” del fatto.

Questi appaiono i due rami principali in cui poi si indirizzano le scelte di modifica

legislativa.

Non di meno, all’interno di questi due gruppi si sono sviluppati altri approcci.

195 In tal senso: A.C. 3145 (Bersani e altri), nello stesso senso A.S. 1454, A.S. 1629, A.C. 3986, A.C. 3872: “Art. 1 - 1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 648-bis, primo comma, le parole: «Fuori dei casi di concorso nel reato,» sono soppresse; b) all’articolo 648-ter, primo comma, le parole: «dei casi di concorso nel reato e» sono soppresse”; 196 In tal senso: A.C. 5573 (Di Pietro), nello stesso senso A.S. 1445: “Art. 1 (Modifiche al codice penale) - 1. L’articolo 648- bis del codice penale è sostituito dal seguente: “Art. 648-bis. – (Riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita). Chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, ovvero, fuori dei casi previsti dall’articolo 648, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale. La pena è diminuita se il fatto è di particolare tenuità. Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648”. 2. L’articolo 648-ter del codice penale è abrogato. 3. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 379, primo comma, le parole: «articoli 648, 648-bis e 648-ter» sono sostituite dalle seguenti: «articoli 648 e 648-bis»; b) all’articolo 648-quater, al primo comma le parole: «dagli articolo 648-bis e 648-ter» sono sostituite dalle seguenti: «dall’articolo 648-bis» e al terzo comma le parole: «di cui agli articoli 648-bis e 648-ter» sono sostituite dalle seguenti: «di cui all’articolo 648-bis». […]”;

147

Per esempio viene riportata dalla Commissione Garofalo la proposta197 che prevede

l’elisione della formula di apertura degli artt. 648-bis c.p. e 648-ter c.p., con la

conseguente estensione della punibilità all’agente del reato presupposto e, in

aggiunta, l’introduzione di un ulteriore comma nel solo delitto di riciclaggio

contenente l’esclusione dell’applicazione “per gli atti di godimento che non eccedano

l’uso dei beni secondo la loro naturale destinazione ovvero in caso di utilizzo del

denaro, dei beni o delle altre utilità provento del reato presupposto per finalità non

speculative, imprenditoriali o commerciali”.

La medesima delimitazione non varrebbe invece per la fattispecie di cui all’art. 648-

ter del codice penale.

La proposta dunque interviene, ancora una volta, solo sulla condotta, escludendo

dalla punibilità i casi di mero godimento dei proventi illeciti.

Viene riportata anche l’allora testo di proposta della legislatura in corso198, la quale

propone l’introduzione di una fattispecie unificata di riciclaggio ed impiego mediante

197 In tale senso la proposta: A.S. 733-bis (Berlusconi, Maroni, Alfano): “Art. 1 - 1. All’articolo 648-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: «Fuori dei casi di concorso nel reato,» sono soppresse; b) dopo il quarto comma è aggiunto il seguente: «Le disposizioni di cui ai commi che precedono si applicano anche nei confronti della persona che ha concorso nel reato presupposto, salvo che per gli atti di godimento che non eccedano l’uso dei beni secondo la loro naturale destinazione ovvero in caso di utilizzo del denaro, dei beni o delle altre utilità provento del reato presupposto per finalità non speculative, imprenditoriali o commerciali». 2. All’articolo 648-ter, primo comma, del codice penale, le parole: «dei casi di concorso nel reato e» sono soppresse”; 198 Tale proposta risulta essere: A.S. 19 (Grasso e altri): “[…] Art. 9 (Introduzione del capo III- bis nel libro secondo, titolo VIII, del codice penale in materia di riciclaggio e impiego dei proventi di reato da parte dei concorrenti nel medesimo) - 1. Nel libro secondo, titolo VIII, del codice penale, dopo il capo III è aggiunto il seguente: «Capo III-bis - Dei delitti contro l’ordine economico e finanziario - Art. 518-bis (Impiego e riciclaggio di denaro, beni ed altre utilità) -- È punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da 2.500 a 25.000 euro: 1) chiunque impiega in attività economiche e finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; 2) chiunque sostituisce, trasferisce, attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; 3) chiunque compie altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo. Se il denaro, i beni e le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni le condotte di cui al comma che precede sono punite con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale, nell’esercizio di registri o ad altro titolo abilitante, nell’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, nonché ogni altro ufficio con potere di rappresentanza dell’imprenditore. Le pene previste dai commi che precedono sono diminuite dalla metà ai due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove

148

la creazione dell’art. 518-bis, il quale introdurrebbe i due delitti all’interno capo III-bis,

cioè nei delitti contro l’ordine economico e finanziario del codice penale.

Oltre al più volte citato autoriciclaggio, verrebbe inserita, tra le condotte già

sanzionate, quella nuova della attribuzione fittizia della “titolarità o disponibilità” della

res.

Si prevedono inoltre modifiche per le attuali circostanze199.

Si segnala, fra queste, al pari del Gruppo Greco, la possibile introduzione di una

clausola di premialità nel caso di collaborazione del riciclatore “nell’assicurare le

prove del reato o l’identificazione dei beni, del denaro e delle utilità oggetto, profitto,

prezzo o prodotto del delitto”.

A questo punto il Gruppo riporta anche i risultati a cui si è giunti nella supra

analizzata relazione della Commissione Greco.

Si giunge, in conclusione, ad una propria proposta legislativa di riforma.

Si parte dalla collocazione e, in particolare, il Gruppo sostiene che l’art. debba essere

disposto nell’attuale Libro II, Titolo XIII, dedicato ai delitti contro il patrimonio,

ritenendo “opportuno mantenere la centralità dell’offesa arrecata al patrimonio”, sulla

base dell’assunto che “il riciclaggio integra ipotesi speciale del reato di ricettazione”.

In aggiunta, la Commissione Garofoli propende per conservare la distinzione tra il

delitto di riciclaggio e reimpiego.

del reato o l’identificazione dei beni, del denaro e delle utilità oggetto, profitto, prezzo o prodotto del delitto. Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista nel comma che precede e dagli articoli 62, numero 6), 98 e 114, concorrenti con l’aggravante di cui al terzo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e la diminuzione di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alla predetta aggravante”; 199 In particolare: “la trasformazione della circostanza attenuante di cui al vigente comma 3 dell’art. 648-bis in circostanza ad effetto speciale (analoga a quella attualmente prevista dall’art. 648-bis, comma 3)la trasformazione della circostanza aggravante di cui all’art. 648-bis, comma 2, in circostanza ad effetto speciale, con estensione dell’ambito applicativo; l’inserimento, al comma 4, di una nuova circostanza attenuante ad effetto speciale per la collaborazione del reo con l’autorità inquirente; l’introduzione, al comma 5, di deroga ai principi di cui all’art. 69 c.p., con riferimento alle circostanze previste dai commi precedenti”;

149

Questa opzione non è solo dovuta alla consapevolezza della diversità nella

materialità e nell’elemento psicologico fra i due reati, sebbene spesso sovrapponibili

per via della realizzazione di una finalità criminale ed economica unitaria, ma

soprattutto perché il Gruppo ritiene che debbano essere trattate in diverso modo le

ipotesi di autoriciclaggio e autoimpiego.

Tale differenziazione sarebbe necessaria rispetto al rischio che la fattispecie

dell’autoimpiego finisca per punire l’agente del reato presupposto che semplicemente

si limita ad utilizzare la res con finalità di mero godimento, quando di fatto si

dovrebbe intendere come mera conclusione dell’originaria condotta delittuosa.

Verrebbe in tal modo violato il già citato principio del ne bis in idem sostanziale.

Tali preoccupazioni, viceversa, non trovano luogo nel discorso del delitto

dell’autoriciclaggio vista la non sussumibilità di chi utilizzi il provento al fine del mero

godimento.

Per quel che riguarda l’art. 648-bis c.p., la Commissione ipotizza la riformulazione

della norma come segue:

“Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni

o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi

altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza

delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro

10.000 a euro 100.000.

La stessa pena prevista dal primo comma o, se minore, quella prevista per il reato

presupposto, si applica nei confronti di chi ha commesso o ha concorso a

commettere il reato presupposto, il quale sostituisce, trasferisce denaro, beni o altre

utilità, provenienti da delitto non colposo, o compie altre operazioni in modo da

ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

150

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività

bancaria, finanziaria o di altra attività professionale, nonché nell’esercizio dell’ufficio

di amministratore, sindaco, liquidatore, ovvero di ogni altro ruolo con potere di

rappresentanza dell’imprenditore.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il

quale è stabilita le pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applica l’ultimo comma dell’articolo 648.

La pena è diminuita fino alla metà per chi si chi si sia efficacemente adoperato per

evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le

prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle utilità oggetto, profitto,

prezzo o prodotto del delitto”.

In sostanza il primo comma rimane immutato, prevedendosi solo l’aumento della

pena pecuniaria.

Viene invece inserito al secondo comma l’ipotesi dell’autoriciclaggio, il cui

trattamento sanzionatorio prevede l’applicazione della pena di cui al primo comma

del medesimo articolo o, nel caso risulti minore, quella prevista per il reato

presupposto.

In questo modo si risolverebbe la possibile discrasia per cui, nell’attuale

formulazione, si possa applicare una pena maggiore a chi compie delitto di

riciclaggio, piuttosto che all’autore del reato presupposto di non particolare gravità.

Si prevede, allo stesso modo della Commissione Greco, l’attenuante ad effetto

speciale la quale incentiva le condotte collaborative da parte degli autori del reato

(cd. clausola di premialità).

Orbene, ancora una volta non risulta, né nella conclusione raggiunta dal Gruppo

Garofoli, né dall’analisi delle precedenti proposte, un’attenzione rivolta

specificatamente al tema dell’elemento soggettivo.

151

Questo atteggiamento di indifferenza dovrebbe essere indicativo e sintomatico delle

scelte e delle necessità percepite dagli operatori.

In particolare tale noncuranza potrebbe indicare o un’accettazione delle conclusioni

raggiunte degli operatori, ovvero una diversa e indiretta risoluzione del problema

attraverso una maggior precisione della descrizione di condotte e circostanze.

Pare che l’analisi della Commissione avalli quanto fino a ora raggiunto da dottrina e

giurisprudenza, con la conseguente accettazione del fatto della sufficienza del dolo

eventuale come sopra inteso e dell’approvazione degli attuali metodi di ricerca di

elementi indiziari.

Il problema non è stato individuato nell’elemento psicologico o, per lo meno, non

principalmente in questo.

L’elemento soggettivo avrà ancora un ruolo comprimario, ma la sensazione è quella

che ci si muova verso una sorta di oggettivazione, seppur non pura, nel senso che la

precisione delle condotte e delle circostanze comporterebbe, come conseguenza, un

minor peso dato alla volontà, latu sensu intesa, del soggetto.

Il rischio sarebbe quello che le maggiori preoccupazioni dei giudici siano attinenti ad

elementi storici facilmente provabili, così trascurando la preoccupazione di un’analisi

dell’interior dell’agente difficilmente provabile e rispetto cui spesso non si giunge a un

risultato.

Ci si dovrebbe comunque quantomeno domandare se questo potenziale sacrificio del

principio della colpevolezza possa portare a maggiori benefici rispetto ai costi, se la

questione probatoria abbia nel processo più peso rispetto alla rimproverabilità.

L’unica certezza al momento sembra quella che non si possano conciliare ambedue

le esigenze che spesso e volentieri tendono ad escludersi a vicenda.

152

Viene scelta una soluzione plausibile e condivisibile cioè quella di scegliere di ‘non

taccare’ l’elemento psicologico e, per contro, arricchire la fattispecie.

Tutto ciò ha il sapore di un’occasione persa.

153

VALUTAZIONI CONCLUSIVE

In conclusione la materia dell’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio, o per

meglio dire del fenomeno del riciclaggio, risulta essere materia tanto complessa

quanto affascinante.

Come più volte evidenziato la questione sembra rimanere, nonostante le numerose

sentenze e tentativi sia da parte della giurisprudenza che della dottrina, un cantiere

aperto in cui le certezze sono numericamente inferiori rispetto i dubbi.

Con questo scritto non si è cercato di trovare soluzioni, piuttosto si è voluto mettere

in luce un problema, stimolare un dialogo.

La questione del dolo eventuale, materia del diritto penale già in sé complessa, trova

nella fattispecie de qua nuove complicazioni, nuove difficoltà con cui misurarsi.

La scarsa chiarezza espositiva di alcuni elementi dell’art. 648-bis c.p. influisce su

diversi aspetti del delitto e i riflessi si riverberano anche sull’elemento intellettivo.

Si è giunti, successivamente a vari sforzi da parte degli operatori giuridici, a delle

conclusioni, fatiche che però potevano essere risparmiate se, nel momento della

stesura della norma, si fosse prestata una maggior attenzione alla scelta dei

vocaboli.

Dettagli all’apparenza, ma che in concreto potrebbero fare la differenza fra una

condanna e un’assoluzione.

Prima di tutto ci si dovrebbe chiedere se l’inciso “in modo da ostacolare” vada riferito

a tutte e tre le condotte riportate o se riguardi le sole altre operazioni.

Orbene, sebbene qualche voce contraria in dottrina, si dovrebbe ritenere corretta la

prima soluzione in quanto nell’ostacolo, o meglio nel possibile ostacolo, risiede il

disvalore della condotta ed è ciò che permette di distinguere il delitto di riciclaggio da

quello di ricettazione.

154

Sempre con riferimento a tale inciso ci si potrebbe domandare come poi in concreto

tale espressione si traduca all’interno dell’elemento soggettivo del fatto.

Taluni ritengono che esso possa essere letto come una sorta di dolo specifico

‘allargato’ e altri che invece ritengono debba trattarsi di un dolo specifico implicito.

Il minimo comun denominatore delle varie ipotesi risulta comunque essere nella non

configurabilità del dolo specifico, quanto meno strictu sensu inteso.

La specificazione riguarderebbe invece sicuramente una caratteristica obiettiva della

condotta, un dato oggettivo che si traduce nell’aver reso più complessa la

ricostruzione della provenienza del bene.

Anche in questo senso è consigliabile una riforma, o meglio, una riformulazione

come già qualcuno in dottrina si auspica.

Questa avrebbe effetti benefici sulla chiarezza espositiva della norma.

Tuttavia il vero cuore della questione è quello attinente la consapevolezza

dell’agente circa la provenienza delittuosa del bene o del denaro su cui opera.

Mentre prima della sentenza delle SS.UU. del 2009 si discuteva circa la sufficienza

del dolo eventuale a fini della configurabilità del delitto in esame, successivamente a

questa si può affermare che per il delitto di riciclaggio basti anche tale forma di

elemento psicologico, specificando però che non è sufficiente un mero dubbio, un

semplice sospetto, quanto piuttosto si necessita un quid pluris, un gradino in più.

In questo modo il problema non è stato totalmente risolto, per lo meno sul piano

pratico.

Piuttosto la questione è stata spostata ad un diverso livello: come ricercare questo

qualcosa in più.

La Suprema Corte ha individuato nella prima formula di Frank una possibile

soluzione.

155

Tale formula richiede per il configurarsi del dolo eventuale che, anche qualora

l’agente avesse saputo (ex ante) della illecita origine del bene, ciò non di meno,

ponendosi di fronte alla scelta fra l’agire con il rischio di porre in essere il reato e il

non agire, tale soggetto sceglierebbe la prima soluzione.

Ora, tale formula è di per sé perfetta, risolutiva di ogni problema, splendida nella sua

costruzione, ma nella realtà risulta vuota, una splendete custodia riempita d’aria, per

lo meno nella maggior parte delle situazioni.

Difatti questa richiederebbe di sapere ipoteticamente cosa avrebbe fatto un individuo.

Probabilmente neanche il soggetto medesimo potrebbe sapere come avrebbe agito

in una tale situazione e, in ogni caso, mi appare alquanto difficile che, qualora

avesse saputo che avrebbe accettato costi quel che costi, il soggetto confesserebbe

tale scelta.

Ciò non di meno ci possono essere degli indicatori quali la qualifica e la professione

del soggetto che aiutano in tale valutazione, ma questi non sono esenti da errori.

Questo sarebbe dovuto al diverso modo di percepire la realtà da parte degli individui

e alla straordinaria diversità di ogni essere umano che spesso e volentieri sembra

agire insensatamente, quasi mai compiendo valutazioni d’opportunità sull’agire o il

non agire.

È il cosiddetto animal spirit, lo spirito animale che gran parte delle volte spinge

l’essere umano a comportarsi in modo non razionale.

Un evidente indizio di illiceità potrebbe essere percepito come insignificante o

addirittura non percepito dal soggetto e, per contro, un minimo indizio potrebbe

essere letto come una certezza della illecita provenienza.

In tale aspetto, a mio parere, risiede la principale criticità dell’istituto.

156

Con ciò non sostengo che certe condotte dovrebbero rimanere impunite, piuttosto

voglio evidenziare una problematica, sollecitare un dialogo, valutare le possibili

soluzioni.

Il discorso poi si complica e arricchisce nei vari ambiti in cui opera il riciclaggio e, in

particolare, in quelli in cui non si può rinunciare, per diverse ragioni, al principio di

legittimo affidamento.

Fra questi sono stati riportati gli esempi dei rapporti famigliari e obbligazionari, ma

l’idea di fondo avrebbe una potenziale estensibilità ad altri ambiti.

In tali situazioni si è specificato che la conoscenza dell’origine delittuosa non possa

derivare dalla sola natura di professionista criminale del soggetto offerente, quanto

piuttosto si richiede una consapevolezza della illecita provenienza della res.

Questo è vero in ogni situazione, ma in questi casi acquisisce forse una ancor

maggior importanza, richiedendosi la non punibilità della condotta qualora il dubbio

derivi in concreto solo dalla conoscenza della ‘professione’ dell’individuo.

Il discorso non è semplice.

È il dubbio, il sospetto che si presuppone per la valutazione del dolo eventuale.

È l’elemento necessario, ma non sufficiente.

Serve perché poi il soggetto, percependolo, possa compiere le sue valutazioni,

minimizzandolo, gigantizzandolo, escludendolo o accettandolo.

Orbene, solo nel caso di una sua percezione e successiva accettazione si potrà

parlare di dolo eventuale.

Qualora questo non venga percepito non potrà neanche essere affrontato.

Dire che il dubbio, o meglio la conoscibilità, non possa derivare dalla semplice

conoscenza della natura criminale del soggetto vuol dire che, anche qualora sia sorto

il sospetto che derivi da un delitto, questo ragionamento non potrebbe qualificare il

157

dolo eventuale in quanto si richiede che l’incertezza sorga da altri elementi perché

bisogna affidarsi alla possibilità che provenga una fonte lecita.

Inoltre, in tali contesti, il soggetto sarebbe esentato dal ricercare prove della illeceità

del valore che riceve.

Tuttavia, qualora le compia e queste portino ad un risultato positivo, il soggetto potrà

incorrere nel reato.

Se non venisse compiuta alcuna indagine, non si creerebbe la base, cioè il

sufficiente sospetto su cui poi fondare la scelta dell’accettazione del rischio, non

potendo questo risiedere nella natura criminale dell’offerente.

Questa soluzione è frutto di una consapevolezza della lentezza e dei costi che una

diversa scelta comporterebbe.

Si rischierebbe persino di scambiare la semplice disattenzione, frequente in un

ambito famigliare o lavorativo specialmente quando si è a contatto con una

numerosa clientela, per un atteggiamento psicologico più intenso.

Il discorso in esame ha davvero un enorme fascino e avrebbe importanti

conseguenze, seppur non trova lo spazio che merita.

Al momento, sia a livello europeo, sia a livello dell’ordinamento italiano, le acque

iniziano a muoversi.

Come è stato sottolineato, le proposte legislative in materia non sono mancate, ma

nessuna si è occupata direttamente dell’elemento soggettivo della fattispecie.

Tale scelta pare sintomatica della via che si è deciso di percorrere: dare maggior

pregnanza alle condotte, arricchire le circostanze al fine di meglio commisurare la

pena, aumentare gli strumenti di incentivazione alla collaborazione e, principalmente,

punire le condotte che si insinuano nelle lacune normative quali quelle di

autoriciclaggio.

Ci si sta muovendo nella direzione della prevenzione e della differenziazione.

158

Purtroppo, nessuna proposta ha trovato la meritevole e auspicabile conclusione,

rimanendo per ora confinate nella penna del legislatore.

Ben presto verrà emanata una nuova direttiva europea, la IV in materia di

antiriciclaggio, e mi auspico si possa cogliere l’occasione per una seria e

chiarificatrice riforma della norma.

159

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