Immagini e Testi dello Spazio Geografico nella Mesopotamia del III Millennio

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Capitolo 1 Introduzione La storia dell'archeologia altro non è che la storia di un'indagine; negli ultimi centocinquanta anni gli studiosi hanno cercato di ricostruire la storia delle civiltà del passato partendo da quel poco che di esse ci resta. Dopo una prima fase in cui l'archeologia cercò di confutare, attraverso la ricerca, quei pochi dati che ci erano pervenuti dallo studio dei miti e delle leggende che di quelle civiltà ancora riecheggiavano nel presente, gli studiosi tentarono di andare più in profondità. Guardandosi intorno, nel mondo contemporaneo, era chiaro che la vita umana era fatta di centinaia di elementi differenti, ognuno particolare ed ognuno importante per il corretto funzionamento della civiltà. Ben presto si comprese che tale complessità andava ricostruita anche nell'ambito della teoria se si voleva che quelle civiltà rivivessero nella loro complessità anche nella mente degli archeologi e degli storici. Dopo che l'attenzione si era concentrata per un lungo periodo solo sulle classi dominanti delle varie civiltà e sulle opulenti opere che esse avevano lasciato, si decise di cercare anche le poche informazioni che era possibile desumere dalle spesso fragilissime

Transcript of Immagini e Testi dello Spazio Geografico nella Mesopotamia del III Millennio

Capitolo 1

Introduzione

La storia dell'archeologia altro non è che la storia di un'indagine; negli

ultimi centocinquanta anni gli studiosi hanno cercato di ricostruire la storia

delle civiltà del passato partendo da quel poco che di esse ci resta.

Dopo una prima fase in cui l'archeologia cercò di confutare, attraverso la

ricerca, quei pochi dati che ci erano pervenuti dallo studio dei miti e delle

leggende che di quelle civiltà ancora riecheggiavano nel presente, gli

studiosi tentarono di andare più in profondità. Guardandosi intorno, nel

mondo contemporaneo, era chiaro che la vita umana era fatta di centinaia

di elementi differenti, ognuno particolare ed ognuno importante per il

corretto funzionamento della civiltà. Ben presto si comprese che tale

complessità andava ricostruita anche nell'ambito della teoria se si voleva

che quelle civiltà rivivessero nella loro complessità anche nella mente

degli archeologi e degli storici. Dopo che l'attenzione si era concentrata per

un lungo periodo solo sulle classi dominanti delle varie civiltà e sulle

opulenti opere che esse avevano lasciato, si decise di cercare anche le

poche informazioni che era possibile desumere dalle spesso fragilissime

tracce lasciate dalle classi più umili. Quando si iniziò ad avere un quadro

completo della composizione sociale delle antiche civiltà si aprì allora un

vero e proprio universo per la ricerca e molti altri settori dello scibile

furono esplorati: la religione, l'economia, la politica interna ed esterna e

poi ancora qualsiasi categoria umana esplorabile. Punto di partenza di

questi studi sono sempre stati i reperti ed è incredibile pensare quanto è

stato ricavato da poco, talvolta pochissimo. Lo stesso reperto è stato spesso

sottoposto a più indagini che di volta in volta cercavano di ottenere anche

solo briciole di dati su di un argomento differente: un osso, un frammento

di tavoletta o un coccio di in un vaso sono diventati spesso un tesoro

inestimabile anche grazie alle continue innovazioni della tecnica di ricerca

archeologica e grazie anche alle continue innovazioni nell'ambito

dell'informatica applicata all'archeologia.

In questa sede l'obbiettivo che ci si è prestabilito è quello di continuare il

lavoro nel solco lasciato dagli studi precedenti, di continuare ad esplorare

nuove categorie mentali e sociali per ottenere un quadro ancora più preciso

della civiltà in esame.

In questo caso la cultura che esamineremo è quella mesopotamica del III

millennio a.C. e la categoria mentale che vogliamo esplorare è lo spazio

geografico.

La geografia e lo spazio geografico, intese come un insieme complesso di

idee che definiscono non solo la nostra posizione nel mondo ma anche la

posizione del mondo rispetto a noi, è un compagno insidioso della nostra

società. L'uomo contemporaneo che si rapporta alle antiche

rappresentazioni del cosmo e del mondo spesso è portato a sorridere

beffardamente quando osserva mappe che mostrano la capitale di un

impero immensa rispetto a mari e monti ridotti a semplici accenni sulla

mappa, o quando crede di poter osservare delle marcate imprecisioni in

mappe che sembrano ridurre il mondo ad una semplice combinazione di

elementi geometrici; in realtà l'uomo che fa questo dimentica che anche

nel nostro mondo “l'idea geografica” e la concezione della spazio

geografico influenzano profondamente il nostro modo di rappresentare e

vivere il mondo. Pensiamo in primis alle mappe geografiche per le quali

l'uomo comune non si è mai posto il problema della centralità,

assolutamente arbitraria, dell'Europa; oppure riflettiamo all'influenza

epocale che termini come Occidente e Oriente, di cui l'espressione “mondo

occidentale” è diretta discendente, hanno avuto nella formazione del

pensiero contemporaneo. Ma lo spazio geografico non si limita ad

influenzare il macroscopico, ed anzi è presente, in maniera palese e

nascosta al tempo stesso, nella vita quotidiana: palese per un osservatore

esterno, nascosta per chi come noi condivide quell'idea geografica. Un

esempio piuttosto semplice è dato dalle mappe e le cartine stradali nelle

quali le chiese sono indicate semplicemente con una croce. E' incredibile

pensare a quanti meccanismi logici, per noi oramai completamente

automatizzati, si mettono in modo nel momento in cui, con certezza

dogmatica consideriamo quel semplice poligono sulla mappa come una

chiesa: il nostro cervello considera il simbolo, lo contestualizza, lo associa

all'edificio sia perché lo stesso simbolo è presente sempre ben visibilmente

esposto sul quel tipo particolare di edificio sia perché il simbolo richiama

ad un gruppo di insiemi sociali, culturali e cultuali legati a quel particolare

tipo di edificio. Nessuno di noi è convinto realmente che su ogni chiesa ci

sia incisa una grossa croce, ciò nonostante l'uomo comune che si rapporta

alle mappe e agli strumenti geografici dell'antichità lamenta sempre la

totale assenza di mimesis.

Come però uno studioso del futuro potrà ottenere un bagaglio complesso

di informazioni dal semplice studio di una piantina turistica, allo stesso

modo l'archeologo può, e deve, partire dai reperti e deve quindi

confrontarli con i dati precedenti raccolti da altre branche dello stesso

studio, come i testi e l'architettura, ed infine dovrà decontestualizzare i

dati. Una volta in possesso dei dati essi andranno filtrati e trasformati per

permettere la comunicazione dell'informazione a partire da uno studioso o

un burocrate mesopotamico vissuto cinquemila anni fa, fino ad uno

studioso contemporaneo. Affinché l'informazione possa percorrere questo

lungo viaggio sono ineludibili dalla ricerca tre punti fondamentali: lo

studioso deve ricercare la più completa obbiettività ricordando che, in un

modo o nell'altro, le sue personali categorie mentali lo influenzeranno in

corso d'opera; la quantità dei reperti raccolti deve essere sufficiente al fine

di ottenere un fascio di dati coerenti che escluda il caso eccezionale; i

reperti vanno contestualizzati, tipologicamente, geograficamente e

cronologicamente, poiché le idee nel corso di mille anni mutano

notevolmente e con esse i simboli che vengono trasformati o caricati di

messaggi completamente diversi da quelli originali.

La Storia degli Studi

L'indagine dello spazio geografico nel III millennio a.C., obbiettivo

principale di questo elaborato, può essere compiuta in maniera esaustiva

solo alla luce di uno studio di quei lavori precedenti che hanno creato le

premesse per il presente lavoro e per tale ragione un breve excursus

attraverso la storia degli studi nell’ambito della geografia in Mesopotamia

è d'uopo.

Consideriamo ora non solo gli studi che hanno trattato quei documenti che

hanno permesso la ricostruzione della cosiddetta geografia mesopotamica,

attraverso l’analisi dei toponimi e l’identificazione della posizione di

località antiche note solo da fonti epigrafiche, ma anche, e soprattutto, tutti

quegli studi che si sono rivolti alle opere geografiche prodotte dalle stesse

culture mesopotamiche, nel tentativo di riappropriarsi di quei concetti che

erano sottesi a quei modelli geografici ideali.

La storia degli studi, però, si muoverà attingendo anche da quelle opere

che non nascono in origine come uno studio della geografia mesopotamica

in quanto tale, ma che ad essa apportano nuove ed importanti

considerazioni partendo dall'analisi di uno dei grandi temi che ha

appassionato gli studiosi della Mesopotamia: l’astronomia.

La nostra storia degli studi si apre con il lungo studio relativamente

l'astrologia mesopotamica effettuato da Virolleaud fra il 1907 e il 1912 e

raccolto nella raccolta “L'astrologie chaldéenne”.

Una delle prime opere citate in questa storia degli studi è un testo che

apparentemente non appartiene alla categoria dei lavori che si sono

occupati della geografia nel mondo mesopotamico: si tratta di “Pantheon

Babylonicum. Nomina Deorum e textibus cuneiformibus excerpta” di

Antonius Deimel, edito nel 1914. Quest’opera si caratterizza, come del

resto tutti i primi lavori rivolti al vicino oriente antico, per

un’impostazione spiccatamente teologica e l’impianto del lavoro si iscrive

nel contesto della storia delle religioni. Nonostante ciò è proprio in un

capitolo di tale opera, nel paragrafo denominato De natura deorum, che

osserviamo per la prima volta come l’analisi teologica si confronti con

l’elemento reale, ed in questo caso, con l’elemento naturalistico e

paesaggistico. In un breve elenco troviamo il sole, la luna, le stelle ed altri

elementi del mondo materiale e come essi erano, secondo Deimel, inserite

nel contesto mesopotamico. Di questi elementi viene mostrato come essi si

incastonavano nella mappa mentale complessiva di quegli antichi uomini.

Lo studio di Deimel, pur nella profonda differenza metodologica rispetto ai

lavori successivi, di seguito citati, trattandosi comunque di un testo di tipo

religioso, getta le basi proprio per quegli studiosi che dalla relazione fra lo

spazio mitico e quello naturalistico partiranno all’esplorazione di quello

amministrativo ed infine geografico. Successivo è l’articolo di Thorkild

Jacobsen del 1946 “The cosmos as state” pubblicato nel lavoro di

Frankfort “The Intellectual Adventure of Ancient Man: An Essay on

Speculative Thought in the Ancient Near East”. In tale brano, Jacobsen,

pone in relazione non solo la struttura del cosmo con la struttura sociale,

ma dimostra come buona parte delle decisioni politiche nel mondo

mesopotamico fossero influenzate dall’interpretazione di quegli astri che

altro non erano se non parte integrante del grande meccanismo del mondo;

nel lavoro di Jacobsen l’aspetto geografico, inteso come “Scienza che

studia l'aspetto della superficie terrestre e i fenomeni fisici, biologici e

umani che in essa si verificano ”1, è presente nella sua forma più

totalizzante, con la forma del mondo che è forma dell’uomo, in ogni suo

aspetto, e viceversa. Proseguendo lungo la nostra ricostruzione citiamo

“Ancient Cosmologies” edito nel 1973 da C. Blacker e M. Loewe, frutto

del lavoro dei grandi studiosi dell’università di Cambridge di quegli anni,

ognuno dedicato ad un’area ed ad un popolo dell’antichità. Per l’analisi

della concezione mesopotamica del mondo abbiamo il contributo di W. G.

Lambert il quale, dovendo tracciare un’immagine della “forma” del mondo

Sumero-Accadico e poi Assiro-Babilonese, decide di porre in relazione i

dati relativamente alla superficie terrestre, i corpi celesti, il ruolo degli dei

e quello dei demoni, per creare, infine, un’immagine complessiva, e

conclusiva, coerente. Il nostro viaggio attraverso la storia degli studi

geografici del vicino oriente antico continua toccando il lavoro del 1991 di

Ignace J. Gelb “Earliest Land Tenure System in the Near East: ancient

Kudurrus”, metodologicamente affine a quello di A. George “Babylonian

1- Sabatini 1997

Topographical Texts” del 1992, di seguito citato. Quest’opera è il frutto di

un lungo lavoro iniziato dallo stesso Gelb nel 1952 con “Old Akkadian

Writing and Grammar”, culminato in quest'opera che punta alla

definizione di tutte quelle linee generali che permettono di tracciare degli

insiemi categoriali che possono essere ritrovati nell'analisi delle pietre di

confine (i Kudurru per l’appunto). Gelb ha quindi ricercato quei caratteri

comuni che permettessero di ricostruire l’andamento dell’evoluzione non

solo di tali reperti, ma anche di tutte quelle forme di registrazione scritta,

in special modo testi amministrativi, che vanno dal periodo proto dinastico

a quello di Ur III. Il lavoro di A. George . In comune con il lavoro di Gelb,

quello di George ha una puntuale fedeltà al dato attinto direttamente dai

documenti originali, ma si discosterà dal lavoro di Horowitz, citato di

seguito, per la speculazione di natura interpretativa che tende a preferire

uno studio più mirato su una particolare tipologia di testi. Si tratta della

serie Tintir ben noto agli assiriologi come i “Stadtbeschreibung von

Babylon” (La Topografia di Babilonia), come del resto ben noto anche agli

scribi antichi essendo una delle serie dei testi scolastici più ricopiate nei

periodi tardi. Relativo ad un periodo storico che esula dalla nostra ricerca

ma ugualmente importante per le informazioni che desume, e che possono

celare dati formatisi nel III millennio a.C., è il lavoro di Erica Reiner

“Astral Magic in Babylonia” del 1995.

Un'analisi ugualmente esaustiva, ma invece di tutt’altra natura, è quella

effettuata nell’opera di W. Horowitz, l'opera presa in esame è

Mesopotamian Cosmic Geography del 1998. Horowitz traccia una

definizione esaustiva della concezione cosmologica della Mesopotamia,

analizzando tanto l’aspetto geografico quanto quello astronomico,

prendendo le mosse da quei testi e quei documenti chiave che permettono

una ricostruzione di quegli elementi fondanti che lo compongono. La

geografia, nel lavoro di Horowitz, viene finalmente trattata come la

summa di analisi relativamente allo spazio celeste2; lo spazio politico, con

lo studio della “Mappa Babilonese del Mondo” e la “Geografia di Sargon”,

e lo spazio mitico. Sempre del 1998 e di approccio solo parzialmente

filologico è l'opera di Pettinato “La scrittura Celeste” importante per il

puntuale lavoro sui testi che punta alla ricostruzione della weltanschauung

mesopotamica in ambito celeste. Il lavoro di Hunger, H. e D. Pingree del

1999 “Astral Sciences in Mesopotamia” rappresenta un sunto delle

ricerche effettuate da questi due studiosi nel corso degli anni precedenti, in

special modo relativamente allo sviluppo delle scienze astronomiche in

ambito assiro e babilonese. Come più volte si è ricordato nel corso nel

2- Attraverso lo studio dei documenti KAR 307 e AO 8196

presente lavoro, la nostra ricerca non può fare a meno di giovarsi di tutti

qui testi che, pur non essendo propriamente dei testi di archeologia o di

storiografia , possono contribuire alla formazione di un'idea esaustiva dello

spazio geografico. Per una simile ragione, e ai fini di una ricostruzione

dello spazio mitico in Mesopotamia si ricordano i due lavoro di Abush

“Riches Hidden in Secret Places” del 2002 e “Biblical Accounts of

Prehistory: Their Meaning and Formation” del 2007.

Spazio amministrativo, spazio geografico e spazio mitico nella

Mesopotamia del III Millennio a.C.

Lo spazio geografico è un elemento intrinsecamente legato alla società che

lo produce e lo vive; per questa ragione, è necessario presentare la realtà

mesopotamica del III millennio a.C. così come ci è dato conoscerla

attraverso gli studi archeologici e storici.

Amministrazione e politica

Il III millennio a.C. è un lungo lasso di tempo che vede prima il fissarsi di

quelle realtà sociali ed economiche nate nella seconda metà del IV

millennio, e poi la lenta nascita di quelle peculiarità socio- amministrative

che esploderanno prima con l’impero di Sargon e poi ancora con l’età neo-

sumerica.

Nei primissimi anni del III millennio a.C. osserviamo il consolidarsi delle

realtà amministrative delle città stato sumeriche. In principio si osserva un

travolgente exploit legato alla diffusione della cultura Uruk e dei suoi

modelli organizzativi urbani, per cui qualcuno parla di colonizzazione3:

con il Tardo Uruk, infatti, osserviamo una vera e propria diffusione

espansiva di un modello economico comune che interessa un’area molto

vasta, comprendente i territori che rientreranno poi nelle realtà di Sumer,

Akkad e l’Elam. Le elite locali, stimolate a prendere il controllo delle

risorse primarie dal potere acquisito dalle realtà limitrofe, contribuiranno

alla creazione di un firmamento di città e proto città che costituiranno la

creazione di uno spazio amministrativo composto da varie comunità

urbane che sembrano galleggiare in un vuoto economico ed ideologico.

A questa fase fa seguito un periodo in cui il mondo mesopotamico conosce

una violenta contrazione sociale ed economica: le città stato della

Mesopotamia meridionale si rinchiudono in una realtà tutta regionale e

fortemente conflittuale, legata al controllo dei canali e dei principali

accessi alle fonti d’acqua. Durante questo periodo, noto come

Protodinastico, la realtà amministrativa non subisce sostanziali mutamenti

3 G. Algaze 2002Algaze, G. 2002, The Prehistory of Imperialism, in Uruk, mesopotamia and its neighbors, Santa Fe, School of American Research Press pagg. 27-83

qualitativi rispetto a quanto osservato per la fine del IV millennio, al

contrario è il valore quantitativo a influenzare lo sviluppo

dell’amministrazione: il tempio continua a svolgere una funzione

redistributiva della ricchezza, con la figura del re sacerdote/organizzatore

preminente e legato alla struttura templare; al contempo però tale entità

religiosa/amministrativa è oramai capace di appropriarsi di risorse e

lavoro. E' probabilmente in questa fase che nello spazio amministrativo

percepito dal popolo Sumero e Accadico si è già formata la ben nota diade

concettuale di centro e periferia. Il centro, rappresentato dalla città, è un

polo di attrazione di risorse e lavoro per la periferia, rappresentata dalle

campagne circostanti. Tale distinzione, che ritroveremo nello spazio mitico

specialmente con la nascita dei primi imperi, dopo che essa venne caricata

di significato fondante per la società stessa, nasce in seno ad

un’amministrazione precapitalista che fa della periferia la fonte del surplus

necessario allo sviluppo e al sostentamento della città/centro.

Wallerstein4 osservò come, a differenza delle società capitaliste, il mondo

del vicino oriente antico non fa della produzione di surplus il motore della

propria economia, al contrario, fondamentale è che lo stesso surplus

economico, ma soprattutto produttivo, venga attinto e trasportato nella

4 Wallerstein, I. 1974 The Modern World-System, vol. I: Capitalist Agriculture and the Origins of the European World-Economy in the Sixteenth Century. New York cap. 1

città.

Ultima e fondamentale unità dello spazio amministrativo della

Mesopotamia del III millennio a.C. è la divisione nord/sud, che, se sul

piano storico assume per noi caratteri maggiormente definiti solo con

l’avvento dell’impero Accadico, è già ravvisata da quelle distinzioni

interne che accompagnano l’avvento della società urbana già nel Medio

Uruk. Quanto poi questa divisione sia coincidente con la realtà etnica, che

vedrà poi distinti Akkad al nord e Sumer al sud, non ci è dato saperlo. Ciò

che è certo è che fin dall’inizio lo studio del dato amministrativo ci mostra

un sud maggiormente legato al potere del tempio, e alla redistribuzione

della ricchezza mediante esso, mentre il nord vede fin da subito l’emergere

di elite legate alla dinastia e alla gens, per quanto comunque

profondamente inquadrate nella struttura redistributiva templare5. Tale

distinzione, che si conferma con i primissimi anni del protodinastico,

diverrà essenziale al momento della formazione dei due grandi imperi che

si faranno garanti ora dell’uno, ora dell’altro sistema economico; difatti

l’impero Accadico risentirà delle influenze delle economie del nord come

l’impero Neosumerico dell’economia templare. Tale differenziazione

porterà ad un mutamento profondo dello spazio amministrativo ed 5 Frangipane, M 2002, Centralization Processes in Greater Mesopotamia in Uruk, mesopotamia and its neighbors School of American Research Press pagg. 307-347

economico, e all’apertura estrema dell’impero sargonico, legato alla

continua ricerca di nuovi nodi da aggiungere alla rete commerciale che

regge l’impero, si contrapporrà la forte chiusura interna dell’impero

Neosumerico che, dopo la crisi del periodo Isin-Larsa, rivolge tutte le sue

attenzioni esclusivamente sulla Mesopotamia.

Lo spazio geografico nel III millennio risente delle oscillazioni di carattere

economico di cui fino adesso abbiamo parlato, anche se lo stadio degli

studi su tale argomento è ancora troppo “in itinere” perché lo si possa

riassumere in questa sede, rinviando quindi tale trattazione al capitolo

specifico ove si affronterà la questione attraverso un confronto diretto con

le fonti.

La religione e il mito

Lo spazio mitico mesopotamico è il frutto di un'operazione complessa

effettuata nel corso dei secoli dalla Weltanschauung dei popoli della

Mesopotamia del III millennio. Esso è il risultato del modo in cui la

religione, e gli elementi che la compongono, vengono collocati nel mondo,

sia fisicamente, con l'edificazione di templi e strutture religiose di varia

natura, sia concettualmente assegnando un valore religioso a certi luoghi

specifici o stabilendo i limiti e i confini del mondo mitico.

Ma il mito e la religione nel mondo mesopotamico non sono un

monolitico blocco sempre uguale a se stesso nel corso dei secoli. Essi,

difatti, non furono mai costanti, ma continuamente soggetti alle

innovazioni apportate da tutti quei popoli, o classi sociali, che si

avvicendarono al potere in Mesopotamia. Nonostante ciò, lo spazio mitico

si identificò grossomodo fin dagli albori come un insieme coerente che si

rifaceva al primigenio passato sumerico.

Lo spazio mitico si componeva di due assi6, uno verticale e l'altro

orizzontale. Il primo rappresentava la connessione fra i cieli, il mondo

terrestre e il regno sotterraneo, il secondo asse, che abbiamo già incontrato

nello spazio amministrativo, divideva invece il centro dalla periferia, gli

spazi interni da quelli esterni. Esso aveva come suo punto di propagazione

ideale la casa, considerata come entità cellulare di base che componeva la

città, la quale a sua volta rappresentava il secondo cerchio di propagazione

dell’asse orizzontale che si allargava dalla città alle terre intorno alle città

ed infine i mari (superiore e inferiore) e le grandi catene montuose

(idealmente comprese fra il Caucaso e gli Zagros). Lungo l'asse verticale

troviamo il mondo suddiviso in sei unità principali. La zona posta

maggiormente in profondità è il Kur per i sumeri o irkallu per gli accadi.

6 Mander, P. 2005, All'origine delle Scienze 1. Medicina ed Esorcistica in "quaderni Napoletani di Assirologia", Napoli, Aracne pagg. 38

Questa regione è ampiamente descritta da vari miti di età successive al III

millennio a.C., ma che in questo periodo si formano o si canonizzano; un

esempio è dato dal mito di Ghilgameš, laddove si parla del defunto

compagno del re di Uruk, Enkiddu, che descrive al protagonista

dell'epopea il triste destino di coloro che albergano nella terra dei defunti;

lo stesso luogo che Inanna raggiunge solo dopo aver superato i sette portali

che la spogliano dei suoi divini poteri7. Ma nella definizione sumerica il

Kur non è solo il punto più profondo della Terra, è anche tutto ciò che

posto oltre le catene montuose che delineavano così un mondo dalla forma

grossomodo di una scodella al cui centro era posto l’alluvio

mesopotamico; il Kur era in sostanza l’ignoto, ciò che si trovava oltre la

Grande Mesopotamia. Risalendo lungo l’asse verticale troviamo l’Abzu

(per gli accadi) detto anche Nammu (per i sumeri) ovverosia l'oceano

sotterrano delle acque dolci, la residenza del grande dio Enki. L’Abzu era a

sua volta sovrastato dalla superficie terrestre, il luogo abitato dagli uomini.

Lo spazio mitico di tale regione non era solo mero scrigno dell’umanità,

ma ospitava una grande quantità di luoghi mistici o sacri, mitici essi stessi,

non localizzati in luoghi distanti e inaccessibili, a parte rari casi, ma

disposti lungo tutto il vicino oriente. Dalla Montagna dei Cedri all’Eabzu

7 Bottèro, J. 1992, Uomini e Dei della mesopotamia, Einaudi, Roma 168-169

di Eridu, erano tutti luoghi ugualmente mitici che non ponevano il dio e la

sua attività in un altrove di fondazione intoccabile e irripetibile; al

contrario ogni sovrano che, come il divino Ghilgameš, attingeva legno

dalla montagna dei cedri rifondava il mito esigendolo per se stesso, così

come ogni qual volta il tempio veniva restaurato, tale attività aveva lo

stesso valore fondante dell’atto di creazione del dio che si era costruito la

sua prima casa al tempo del mito. Lungo l’asse verticale si collocano poi il

cielo inferiore, quello mediano e quello superiore. La loro funzione, il loro

colore e quali dei lo abitassero sono ancora motivo di dibattito presso gli

studiosi.

Horowitz8 raccoglie due distinte tradizioni: la cosiddetta fonte A

(rintracciabile sia nel KAR 307 che nell’AO 8196) e la fonte B

(riconducibile solo al KAR 307), che così descrivono i differenti cieli: nel

cielo inferiore si collocano le stelle e le costellazioni; nel cielo mediano,

per la fonte A, si trova la sede degli dei minori detti Igigi, mentre la per

fonte B la residenza di Bel. Nel cielo superiore invece la Fonte A colloca la

sede di Anu mentre la fonte B colloca qui gli Igigi in numero di 300.

Differente è l’approccio di P. Mander9 che colloca nel cielo inferiore la

8 Horowitz, W. 1998, Mesopotamian Cosmic Geography, Atlanta, Eisenbrauns pagg. 3-19

9 Mander, P. 2005, All'origine delle Scienze 1. Medicina ed Esorcistica in "quaderni Napoletani di Assirologia", Napoli, Aracne pag. 35

volta celeste, in quello mediano il cielo meteorico e la sede degli dei, e nel

cielo superiore la sede di Anu, il luogo delle stelle immobili.

Svolgimento del lavoro e osservazioni sul catalogo.

Il presente lavoro parte quindi dall'esplorazione delle “Immagini, testi e

mappe della rappresentazione spaziale della Mesopotamia del III millennio

a.C.”. Tale operazione verrà effettuata scevrando i suddetti argomenti

seguendo una metodologia che punterà alla progressiva messa in luce delle

differenti categorie secondo una prospettiva amministrativa, poi geografica

ed infine mitica. Solo in un secondo momento verrà compiuta un’analisi

delle categorie concettuali che componevano il mondo speculativo dei

popoli mesopotamici, che venne poi espresso attraverso quelle immagini,

quei testi e quelle mappe. Al termine del lavoro, dalla sovrapposizione dei

dati raccolti verrà proposta un'analisi sperimentale di un documento del I

millennio a.C., frutto dell’elaborazione di quei dati, analizzati in corso

d’opera, prodotti dalle culture del III millennio a.C.

Nel corso della presente introduzione si è tornati di sovente su un ostacolo

fondamentale che ha incontrato l’autore del presente lavoro: la geografia

mesopotamica del III millennio non è mai stata indagata in quanto tale.

Tale tema è sempre stato relegato al ruolo di mero corollario di altri studi,

dando adito implicitamente alla convinzione che fosse possibile desumere

l'ideologia geografica dei popoli mesopotamici partendo dal semplice

studio di altri ambiti; e tale procedimento logico, se non lo si vuole

considerare errato, è sicuramente incompleto. Esistono però studiosi, fra

cui quelli già citati, che hanno comunque contribuito alla creazione di

un'idea complessiva di cosa dovesse significare “geografia” per i popoli

della mezzaluna fertile; ciò nonostante non esiste un unico lavoro specifico

sull'argomento, né sotto forma di libro né di articolo, il che ci spinge ad

operare in maniera complessivamente nuova nel tentativo di creare uno

sguardo di insieme esaustivo. Il punto di partenza è quindi una

metodologia puntuale che continui a giovarsi degli insegnamenti degli

studiosi precedenti, ma che dia la precedenza al dato in sé, in questo caso i

reperti.

Considero importante una piccola digressione relativamente al concetto di

“dato in sé”, e nel fare ciò mi riferisco agli studi di statistica informatica

applicata all'archeologia del prof. D'Andrea10 e le osservazioni, più

prossime all'archeologia in quanto tale, del prof. Ramazzotti11. Il dato in sé,

da un punto strettamente ontologico, si può dire che è una pura costruzione

10 D'Andrea, A. 2006 Documentazione Archeologica, Standard e Trattamento informatico, Budapest, Centro Interdipartimentale di Servizi di Archeologia dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, in collaborazione con il progetto europeo Rete di Eccellenza EPOCH cap. 1

11 Ramazzotti, M. 2010, Archeologia e Semiotica, Settimo Torinese (TO), Bollari Bolinghieri pagg. 33-76

mentale, e come tale non esiste. Difatti, se è vero che il supporto materiale

è reale, al contempo una volta decontestualizzato dai suoi produttori e

fruitori originali e successivamente reinserito in un nuovo contesto di

mediatori e fruitori, rischia di venire completamente travisato, a causa di

una cesura profonda dal dato così come veniva inteso dai suoi produttori.

Volendo fare un esempio pratico prendiamo in esame una tavoletta che

riporti un racconto mitico; scomparsa oramai da tempo la classe di scriba

che l'ha prodotta, si necessita l'intervento di uno specialista che, partendo

da un processo di lenta sedimentazione degli studi, interpreterà la scrittura

della tavoletta. Questo primo passaggio presenta notevoli difficoltà e il

rischio di una propagazione dell'errore è sempre in agguato; ma il vero

problema si presenta solo in un secondo momento, quando il racconto

mitico deve essere interpretato, non più da persone che ascoltandolo lo

inseriscono naturalmente in un complesso logico-culturale familiare, bensì

da studiosi che nonostante tutti gli sforzi possibili saranno sempre intrisi

della loro cultura d'origine, in quanto è stata la loro stessa cultura madre a

spingerli verso lo studio della suddetta tavoletta. Con tale ragionamento

non si vuole sostenere un sofistico principio di indeterminabilità del dato,

ma soltanto ricordare la cautela con la quale bisogna apprestarsi ad ogni

singolo reperto, laddove il puzzle complessivo dell'ambito che si vuole

ricostruire non è composto solo dal reperto in sé, ma anche, e soprattutto,

dalla fitta bibliografia che lo accompagna e che ne garantisce la

contestualizzazione in un quadro che, nonostante ci sia distante nel tempo

e nello spazio, grazie proprio a quella lenta e professionale sedimentazione

degli studi di cui prima accennato, ci è sempre più chiaro. In un'epoca in

cui gli addetti ai lavori devono soffrire quotidianamente la diffusione da

parte dei media di dati palesemente falsi o contraddittori, questa piccola

digressione era più che doverosa. Per non tradire i principi ora esposti si è

preferito quindi stilare ex novo un catalogo dei reperti, che non sarà solo

una risorsa consultabile in appendice al presente lavoro, bensì sarà il punto

di partenza dell'opera stessa. Considerando la grande difformità dei reperti

presi in esame, si è cercato di stabilire delle classi di catalogazione

ugualmente valide per ogni caso per trarre dei dati che, se possono

apparire ad una prima analisi fin troppo vacui, sono in realtà il frutto di

una metodologia che non vuole assolutamente influenzare il dato finale

stabilendo classi troppo specifiche. Una prima distinzione è rintracciabile

già nel titolo: sono infatti le Immagini e i Testi le tipologie di partenza del

nostro lavoro. A queste prime tipologie se ne deve aggiungere una terza

composta dai reperti di natura mista, ovverosia quei reperti che presentano

caratteri sia iconografici e rappresentativi, sia testuali. All'interno di questi

principali insieme si andranno poi definendo altre distinzioni, la prima di

natura propriamente materiale, distinguendo cioè cinque sottoinsiemi che

raggruppano reperti tipologicamente simili. Tale distinzione, se può

sembrare superflua ad un primo sguardo, è in realtà già un modo per

compiere delle osservazioni iniziali fondamentali, in quanto da una parte

tale classificazione ci permette di stabilire delle piccole tabelle che ci

informeranno relativamente al supporto più diffuso, o che semplicemente

si conserva meglio, e in secondo luogo in che modo il supporto influenza il

contenuto. Volendo fare un esempio pratico, e anche piuttosto banale, il

materiale amministrativo sarà sempre grossomodo veicolato dalla

tavoletta, poche volte dalla statuina e talvolta dal sigillo. Fin da adesso si

chiarirà che anche la formazione di questo catalogo ha confermato il trend

caratteristico dell'archeologia mesopotamica, ovverosia la dominanza delle

tavolette e dei sigilli nella casistica di ritrovamento, confermando le une

come la principale fonte di informazioni scritte e gli altri di quelle

rappresentate per mezzo di immagini. Le stesse immagini e testi verranno

sottoposti ad un ulteriore confronto incrociato basato su altri sotto insiemi

categoriali, in questo caso generati dallo studio dei materiali che

componevano il supporto dell'informazione. Tale dato non è assolutamente

da sottovalutare e non può essere grossolanamente né ascrivibile o

sottointendibile alla tipologia precedente, né sottovalutato in quanto

apparentemente non prettamente legato ai fini del presente lavoro. Nella

realtà dei fatti la scelta, da parte dei popoli mesopotamici, di veicolare un

messaggio attraverso l'argilla, la pietra nera (spesso la diorite) o il calcare

definisce un elemento fondamentale del documento: il suo valore.

Sappiamo infatti che l'argilla era relegata al ruolo di supporto povero,

utilizzabile esclusivamente per documenti ritenuti temporanei e che quindi

dovessero essere prodotti o archiviati da parte di un privato o nei grandi

archivi dei palazzi e dei templi. La ragione per cui, proprio questo

particolare sottoinsieme, domini il catalogo, nonostante il valore

assegnatogli dalle popolazioni mesopotamiche, è dovuta ad una semplice

ragione, di natura numerica e pratica: in quanto prodotti di uso quotidiano,

i documenti in argilla venivano prodotti giornalmente ed in grandissima

quantità e sarebbe interessante, per quanto forse impossibile, quantificare

il numero di atti di proprietà, documenti giuridici, vocabolari bilingui,

quaderni di studio di lingua e matematica, attestazioni di transazioni

economiche di variegata natura, appunti di preghiera giornalmente prodotti

in tutta la Mesopotamia. Siamo comunque nell'ordine delle centinaia, se

non forse delle migliaia, e ciò spiega l'abnorme quantità di questi

documenti a noi pervenuta.

Oltre a definire il valore del reperto, il materiale trasmette un'informazione

ulteriore: la relazione fra messaggio e materiale. Tale argomento è stato in

parte già esplorato in special modo nell'ambito dei documenti prodotti ad

uso e consumo della classe dominante. Conosciamo così il legame fra

pietra nera, in special modo la già citata diorite, e la regalità, essendo

questo un materiale piuttosto raro in Mesopotamia e di conseguenza il suo

utilizzo attestava la capacità di dominare quelle reti commerciali che ne

permettevano l'approvvigionamento; tratto distintivo dei regni accadici

prima e neo-sumerici dopo12. In corso d'opera si tenterà di distinguere, nel

caso se ne dovessero intravedere i presupposti, gli ulteriori legami che

possono intercorrere fra il materiale ed un'informazione specifica. Un altro

insieme fondamentale è di natura prettamente geografica, ovverosia i

luoghi in cui sono stati prodotti i reperti. Tale classe è la più semplice da

definire quanto forse la più importante, in quanto osservando la

distribuzione dei luoghi che hanno prodotto i differenti documenti si

possono creare mappe che permettono di isolare le aree più produttive e in

un secondo momento quelle zone che hanno prodotto una specifica

categoria di documenti. Il quadro fino ad ora esposto mostra un gruppo di

reperti, suddivisi in tre tipologie differenti, Immagini, Testi e Testi e

12 Matthie, P. 1997, La Storia dell'Arte dell'Oriente Antico,Roma, Electa pagg. 31-45

Immagini, i quali vengono trasversalmente attraversati da tre sottoinsiemi

principali: materiale, luogo di ritrovamento e tipologia morfologica.

Quello che hanno in comune tutte queste categorie è che sono “suggerite”

dal documento stesso. I vari gruppi tematici vengono via via ampliati dal

dato raccolto, ed in questo modo, se un documento appartiene ad una

tipologia materiale non ancora considerata o è composto da un materiale

non ancora classificato o infine proviene da una zona non ancora presa in

esame dal catalogo, quest'ultimo si aggiorna al fine di includere il nuovo

insieme. I sottoinsiemi trattati di seguito sono, al contrario, il frutto di una

costruzione mentale effettuata a priori: si tratta di caselle nelle quali in vari

documenti vengono di volta in volta inseriti e, per quanto si è diffidato fin

dall'inizio della nostra trattazione di questa forma di preconcetto, tale

veicolazione è purtroppo imprescindibile essendo l'unico strumento a

nostra disposizione. Il paragone con lo scavo archeologico è calzante: per

definizione lo scavo archeologico è un'esperienza distruttiva, ma al

momento delle nostre conoscenze tecniche il piccone e la traul sono tuttora

gli unici strumenti validi a nostra disposizione per raggiungere i reperti

ancora intrappolati nel terreno. Il primo di questi sottoinsiemi “arbitrari” è

forse il più caratteristico di questo genere di cataloghi e si colloca a metà

strada fra una categoria osservabile obbiettivamente nel reperto ed una

completamente arbitraria: si tratta della cronologia. Tale categoria assume i

connotati di un insieme non obbiettivo ma frutto di opinioni condivise,

laddove non è intesa come tabella che assegna ad ogni reperto un valore

numerico in anni calcolato dagli studiosi sulla base di studi epigrafici,

materiali e contestuali, bensì come una catalogazione che, per collocare

cronologicamente un reperto, lo assegna ad un “periodo culturale”. La

divisione della storia della Mesopotamia in periodi culturali si è rivelata

una necessità da parte degli studiosi che, approcciandosi ad una storia

lunga sei millenni, se consideriamo anche le fasi protostoriche, hanno

creato un sistema nominale che mettesse subito in evidenza i principali

mutamenti della storia Mesopotamica. Queste distinzioni non sono celle a

tenuta stagna e la maggior parte dei mutamenti macroscopici sono

avvenuti nel corso di molti secoli, ma è possibile comunque operare delle

distinzioni principali. I periodi del catalogo sono quelli della distinzione

classica, ovvero sia Tardo Uruk, Jemdet Nasr, Protodinastico I,

Protodinastico II, Protodinastico IIIa, Protodinastico IIIb, Età Accadica . Il

lettore attento avrà notato come in realtà il presente lavoro non si occupi

del III millennio da un punto di vista pragmaticamente cronologico, bensì

da un punto di vista culturale. Si è scelto come punto di inizio il Tardo

Uruk e l'Età Accadica come punto di fine (sulla presenza di reperti

appartenenti all'età NeoSumerica-PaleoBabilonese tornerò in un secondo

momento), perché entrambi questi periodi rappresentano una cesura

profonda con il passato, sono la condicio sine qua non per i contesti

socioculturali successivi. Il Tardo Uruk è la fine della grande koinè

culturale che ha di fatto fondato la Grande Mesopotamia e l'impero

Accadico è il punto più alto di un processo statale e culturale parcellizzato

che dopo secoli si riunisce creando qualcosa, però, di mai visto prima. Il

III millennio è l'età dei templi, sia culturalmente che economicamente,

mentre con l'età Accadica si può dire che si entra nell'età dei re. Sulla

presenza nel catalogo di reperti indicati genericamente come NeoSumerici-

paleobabilonesi, va spesa qualche parola di chiarimento in quanto questa

definizione cronologica di periodo è, di per sé, errata. In realtà ciò che è

stato considerato è che il periodo neo-sumerico è stato escluso dal presente

lavoro poiché, nonostante sia cronologicamente compreso nel III

millennio, esso si colloca in un contesto culturale nuovo, e l'analisi

dell'ideologia geografica nell'ambito del rinnovamento e del recupero

ideologico operato dai regnanti di Ur III merita un lavoro dedicato;

ciononostante alcuni reperti provenienti dall'età neosumerica, di Isin-

Larsa, fino ai primi anni dell'età Paleobabilonese, riflettono le ultime

influenze di un'ideologia più antica e in via di estinzione, quella del III

millennio, e per questa ragione sono stati presi in considerazione. Per

questa ragione si è scelto di definire questo ultimo periodo NeoSumerico-

Paleobabilonese che ha ragione di essere solo in relazione al ragionamento

sopra esposto e al fatto che si ricolleghi, culturalmente, al III millennio

a.C. . L'ultimo sottoinsieme del catalogo è probabilmente il più arbitrario,

ma al contempo il più necessario ai fini di una comprensione finale: si

tratta del “soggetto” del reperto (amministrativo, mitico-sacro, geografico-

rappresentativo, geometrico-matematico ed infine politico, dove spesso

questa parola indica, un tempo come oggi, propaganda) , ovverosia la

natura del messaggio che ci proviene dal dato in esame. In altre parole è

quando si compila questo insieme categoriale che si tenta di scomporre

un'ideologia e di ricomporla in categorie familiari al fine di renderla

comprensibile. Le categorie, come si è già detto, sono un male necessario:

se da un lato influenzano il dato, dall'altro sono l'unico strumento a nostra

disposizione e l’unica risorsa realmente attuabile per difendersi sia da un

eccessivo relativismo che da una pedissequa coincidenza fra dati e

categorie. La metodologia più sana è probabilmente quella di utilizzarle

presupponendo un pacato dubbio. Tale dubbio intellettuale si riversa sul

catalogo che, quindi, segnalerà lo stesso reperto in più categorie della

tipologia “soggetto” qualora si fosse poco certi della sua collocazione o nel

caso in cui tale collocazione in una sola categoria non fosse esaustiva.

Capitolo 2

Spazio amministrativo nella Mesopotamia del III millennio a.C.

La struttura economica della Mesopotamia del III millennio a.C.

Il primo argomento del nostro lavoro che verrà di seguito indagato è quello

relativo all'amministrazione mesopotamica, e come essa abbia prodotto

un'idea geografica non solo originale, ma ascrivibile esclusivamente al

contesto amministrativo stesso. Indubbiamente se lo si osserva dal punto di

vista della produzione burocratica, il mondo Mesopotamico risulta essere

un caso eccezionale per quel che concerne il mondo antico e la produzione

amministrativa risulta essere non solo copiosa ma anche variegata e

specializzata. Tale idea viene indubbiamente suggerita

dal grande numero di documenti ad argomento amministrativo che è

giunto fino a noi, ciò in parte dovuto alle considerazioni già fatte in

precedenza, relativamente alla incredibile resistenza del mezzo argilloso,

ma anche e soprattutto perché è innegabile che la produzione burocratica

in Mesopotamia fu realmente abbondante. Tale ricchezza di dati è lo

specchio di una società economica che fondava le sue stesse basi su una

burocrazia efficiente o per lo meno molto puntuale, e per poter

comprendere tale connessione a maglie strette fra economia e burocrazia è

necessaria una digressione nella storia economica della Mesopotamia. Il

quarto millennio a.C. Fu indubbiamente il momento di formazione delle

realtà economiche che poi si affermeranno nel millennio successivo,

queste ultime saranno il risultato di una fusione fra il modello Tardo

Calcolitico del nord e quello Medio e Tardo Uruk del sud. La prima grande

abbondanza di dati che attestano la registrazione di dati economici è

riscontrabile proprio al nord. Questa informazione potrebbe stupire

considerando che il sud già nel IV millennio presenta uno sviluppo

economico, sociale e demografico, più incisivo, ma la necessità di

registrare, nel caso del nord sotto forma di cretule, il passaggio di proprietà

o l'attestazione di proprietà su di un dato magazzino, nasce dalla struttura

economica delle società in esame. Le elite del Tardo Calcolitico dovettero

fronteggiare la crescita delle loro comunità in relazione ad un modello

economico che è già attestato nel periodo Halaf, ovvero sia quello di

un'economia differenziata e specializzata13. Volendo semplificare al

massimo tale modello, si può dire che esisteva una rete di villaggi ognuno

dei quali specializzato di una data attività (caccia all'onagro, raccolta di

cereali, produzione tessile, etc.) e che provvedeva alla propria sussistenza

dallo scambio continuo di beni. I continui spostamenti di merci e di

persone crearono la necessità di un qualche tipo di garanzia sui magazzini

13 Frangipane, M. 1996, La nascita dello stato nel Vicino Oriente, Laterza pagg. 69-74

che venivano quindi sigillati con l'argilla e sui sigilli veniva inciso un

simbolo personale. Nel sud invece osserviamo un andamento differente.

Fin dalla cultura Samarra si inizia ad osservare la nascita di grandi

strutture abitative, piuttosto isolate rispetto all'abitato e sede di una

famiglia che deteneva da una parte il potere politico e dall'altra qualche

attività di culto (come ad esempio il compito di ospitare l'inumazione dei

bambini all'interno delle mura domestiche). Tale processo subirà

un'accelerazione improvvisa con il periodo Uruk nel quale si osserva come

la casa della famiglia dominante diventi la casa del dio, e infine come il

fenomeno si concretizzi, a livello sociale, con la nascita della casta

sacerdotale. Il modello verrà esportato con l'espansione Uruk verso il nord

e verso l'Elam, adattando i sistemi di gestione dei beni sviluppati altrove,

ad un sistema centrale redistributivo che con l'inizio del III millennio a.C.

sarà perfettamente formato. Per società redistributiva in ambito

mesopotamica si intende indicare un tipo di società dove il tempio svolge

un ruolo centrale di raccolta e gestione della ricchezza per mezzo di un

sistema burocratico che permetta di reindirizzare il prodotto della

comunità verso i settori che ne necessitino. Le terre sono, in questo

contesto, proprietà del dio, e pertanto sono “affidate” al tempio che è

garante del processo di comunicazione fra il divino e l'umano. In un

secondo momento il tempio poteva assegnare le stesse terre ai contadini, i

quali potevano così garantire la propria sopravvivenza e produrre il

surplus che veniva restituito al tempio. Ma il ruolo del tempio non si

esauriva qui: le caste sacerdotali difatti erano anche responsabili della

gestione dei magazzini di cereali, inoltre era loro il compito di vendere o

semplicemente assegnare le sementi, e sempre loro il compito di

distribuire gli attrezzi per la lavorazione dei campi e i mangimi per gli

animali14. Infine, il tempio svolgeva il ruolo chiave di luogo ove venivano

assegnati i compiti di ciascun cittadino, in quanto tecnicamente tutta la

cittadinanza era parte del meccanismo templare che come tale garantiva

che gli uomini svolgessero il loro compito principale: servire gli dei

compiendo il lavoro che essi avevano assegnato all'umanità all'alba dei

tempi. Il sistema prevedeva che, in alternativa a quote dei prodotti del loro

lavoro, i cittadini potessero offrire prestazioni a corvèe intese sia da un

punto di vista civile, quindi la partecipazione alle grandi opere pubbliche,

sia da un punto di vista militare. Dal canto suo, il tempio, oltre a offrire la

gestione dei campi, garantiva lo sviluppo e la cura delle grandi opere

idrauliche, vero motore portante dell'economia mesopotamica, e la difesa

militare della città stessa15.Fatte queste premesse si potrebbe commettere

14 Liverani, M. 1988, Antico Oriente, Roma, Laterza pag. 13615 Liverani, M. 1988, Antico Oriente, Roma, Laterza pag. 176

l'errore di considerare la società mesopotamica simile ad altri sistemi

economici redistributivi come ad esempio l'Egitto dinastico; ma ciò non è

possibile a causa del ruolo peculiarissimo svolto dal commercio e dal

denaro16. In Egitto infatti osserviamo come tutte le attività non solo erano

gestite dal potere centrale ma anche pianificate dallo stesso e l'intero

prodotto veniva integralmente redistribuito dalle strutture templari.

I templi delle città mesopotamiche invece svolgevano un ruolo molto

originale, essi erano infatti anche delle vere e proprie banche che potevano

garantire ai cittadini prestiti di varia natura; tali prestiti non erano soggetti

a interesse se non nella misura in cui si ritardava col pagamento, nel qual

caso si incorreva nel pagamento di una mora17. Fu questa attività a esigere

la creazione di una contabilità puntuale e precisa la quale doveva gestire

l'ingresso e l'uscita di queste risorse, le quali si

presentavano sotto forme variamente differenziate, dalla lana all'orzo, e

proprio tale difformità nel prodotto richiesto richiese l'uso di un artificio,

anch'esso assolutamente originale: la creazione in un sistema di valore

condiviso e che svolgesse il ruolo parametro di riferimento; tale compito

era svolto dal siclo di argento (shekel) e da una misura di grano (il gur) che

erano vere e proprie monete 16 Einzig, P. 1949, Primitive Money, Londra pag. 21117 Davies, G. 1994, A History of Money, From Ancient Rimes to the Present Day, Cardiff,

University of Wales Press pag. 49

scritturali18. Il tempio era il cuore di un economia che possiamo definire

quindi plurale da un punto di vista prettamente economico nominale ma

tuttavia ancora rinchiusa nell'ambito delle economie redistributive a causa

della presenza monopolistica della struttura templare stessa; difatti la casta

sacerdotale era al contempo garante dei cambi nonché il più grande, se non

in qualche caso l'unico, proprietario terriero. Dal punto di vista

internazionale poi la situazione era ancora più inflazionata, essendo tutto il

commercio estero gestito unicamente dal tempio, e non a caso, i mercanti

che animavano tale movimento di merci, erano detti “messageri del re/gran

sacerdote”19. Tale sistema economico, plurale ma monopolistico, unitario

ma diversificato, proprietaristico ma collettivista mostrò la debolezza dei

paradossi insiti in esso a partire dal 2500 a.C. ; da questa data in poi si

osserva un progressivo indebitamento della classe contadina nei confronti

di quella sacerdotale, con un coincidente aumento del numero di schiavi

per debiti rispetto a quello dei contadini liberi. E' molto importante non

commettere l'errore di credere che tale trasformazione del tessuto sociale

fosse in qualche modo incentivata o voluta dalla casta sacerdotale: gli

schiavi infatti sono meno produttivi dei contadini e soprattutto tendono a

scappare. Se quindi ci fu un vantaggio sul breve periodo, sul lungo periodo

18 Crump, C. 1981, The Phenomenon of Money, Londra, Routledge & Kegan Paul pagg. 6-719 Pettinato, G. 1986, Ebla,Nuovi orizzonti della storia, Milano, Rusconi pagg. 177-179

le problematiche di questo sistema divennero palesi. Una conseguenza

naturale alla crisi dei debiti fu l'alienazione completa dalla proprietà

terriera da parte della classe contadina, il che ebbe come unico risultato

quello di accelerare un processo di potenziamento delle famiglie nobiliari,

già in atto da secoli. Tale processo sarà assai più preponderante al nord e

contribuì ad aumentare il divario fra i due sistemi, quello meridionale

ancora di matrice marcatamente templare e quello settentrionale invece di

tipo palazziale, in ogni caso, entrambi ancora redistributivi. La crisi si

trascinerà fino ai decenni successivi alla caduta dell'impero accadico,

quando il fenomeno toccherà il suo acme e costringerà, intorno al 2100

a.C. i regnanti mesopotamici ad emettere gli editti di liberazione, ovvero

sia veniva ordinata la rottura dei contratti e annullata periodicamente la

schiavitù per debito. E' piuttosto interessante osservare come già nel 1800

a.C. iniziarono ad essere prodotti dei documenti nei quali i contraenti si

impegnavano a non rispettare gli editti di liberazione. Questo tipo di

contrattodimostra due aspetti interessanti, motivo per cui ci siamo

permessi di spingerci oltre il limite del III millennio a.C. : da una parte

infatti dimostra che la soluzione ciclica del sintomo non aveva intaccato la

causa del problema, che continuava a colpire l'economia mesopotamica;

dall'altra parte dimostra che il contratto in se aveva una forza superiore

all'editto reale stesso. Tale superiorità del contratto rispetto all'autorità del

governo mi permette di introdurre una tesi proposta da Andrea Zohk20 il

quale pone i contratti stessi come la causa ultima della crisi dei debiti del

2500 a.C.; egli ha infatti osservato come a questo periodo corrisponda la

coincidenza oramai completa fra linguaggio scritto e parlato il che avrebbe

prodotto una maggiore facilità nella creazione di variazioni, aggiunte e

precisazioni al contratto, smantellando, di fatto, il principio del dono,

insito nel debito. In quest'ottica il tempio non aveva più modo di cancellare

i debiti contratti guadagnandone fama e rispetto, essendo stato alienato

dalla burocrazia dal rapporto tempio-contadino. Finisce il potere sociale ed

inizia quello contrattuale economico. “L'oggettività contrattuale, definendo

implicitamente i due contraenti come eguali non si presta ad adattamenti

personalizzati che compensino la realtà di fortune e forze economiche

difformi”. In sostanza dal contratto come mero supporto di un rapporto

personale fra i due soggetti si passa ad un contratto che è esso stesso il

rapporto e quindi inappellabile essendo sufficientemente esaustivo nel

definire i rapporti fra i due contraenti. Quanto questa tesi sia corretta non

ci è dato saperlo, ma indubbiamente essa presenta un approccio

metodologico che è lo stesso che si vorrebbe seguire in questa sede:

20 Zhok, A 2006, Lo spirito del denaro e la liquidazione del mondo, Milano, Jaka Book pagg. 37-38

partendo dal dato, se ne osservano le trasformazioni nel tempo e si cerca di

comprendere i motivi di queste trasformazioni.

Passando ora all'analisi dei documenti amministrativi in quanto tali

bisogna tenere presente quanto osservato da Piotr Steinkeller, secondo cui

il numero di questo tipo particolare di reperti è “virtualmente illimitato”21 e

per tale ragione è bene scegliere con cura le categorie di reperti da porre

sotto analisi. L’amministrazione territoriale è indubbiamente una sezione

importante di questo universo ed anche la più vicina ai fini ultimi di questo

lavoro: i campi rappresenteranno sempre un bene di prima necessità nella

mezza luna fertile e di conseguenza sono spesso al centro di dispute

militari o più semplicemente di transazioni economiche e compravendite;

eppure paradossalmente proprio lo studio di questo aspetto amministrativo

deve essere compiuto con la massima attenzione: anche in questo ambito

bisogna sempre ricordare che non è mai esistita una scissione totale fra

aspetto religioso e aspetto civico il che significa, come ricordato da Piotr

Michalowski22,che se è vero che i nomi di città o semplicemente di

località, nel momento in cui compaiono in documenti ufficiali svolgono la

semplice funzione di termini referenziali, ed è quindi possibile per noi

21 Gelb, I. 1991, Earliest Land Tenure System in the Near Est: Ancient Kudurrus, Chicago, Oriental Institute Pubblications volume 104 pag. 1

22 Michalowski, P. 1986, Mental Maps and Ideology: reflections on Subartu in The origins of cities, Londra pagg. 129-156

anche ricollocarli su una mappa odierna, al contempo essi sono inseriti in

un contesto che li carica di significati aggiunti. Ciò significa che, nel

momento in cui i testi amministrativi sono anche testi politici, essi

travisano completamente la reale natura del toponimo in quanto non lo

considerano più come punto di riferimento di un luogo materiale ma come

punto di una mappa mentale condivisa.

Gli Antichi Kudurru

I documenti dell’amministrazione territoriale nel III millennio sono detti in

assiriologia “antichi kudurru”. Tale definizione è utilizzata in

contrapposizione ai kudurru, le cosiddette pietre di confine, di età Cassita.

A differenza dei Kudurru cassiti e post-cassiti gli “antichi kudurru” non

hanno alcun valore sacro, inoltre non è possibile osservare, nell’evoluzione

degli “antichi kudurru, un momento in cui su di essi sia indicata la dicitura

ina muhhi eqlišu ovvero sia “collocato nel campo (a cui si riferisce)”,

assumendo così il valore di vere e proprie pietre di confine.

Al contrario gli “antichi kudurru”, come del resto anche quelli di età

Cassita nelle fasi iniziali, saranno collocati nel tempio svolgendo in questo

modo una triplice funzione: garantire per essi e per il contratto la

protezione degli dei, rendere possibile a tutti la consultazione del contratto

stesso, ed infine assumere, una volta giunti nel tempio, lo scopo di ius

pubblicitatis l’equivalente dell’odierna pubblicazione ufficiale dell’atto23.

Gli assiriologi distinguono anche fra “antichi kudurru” e semplici contratti

di vendita; a differenza dei primi, quest’ultimi possono contenere anche

informazioni su transazioni relativamente a beni mobili o immobili mentre

la caratteristica principale degli antichi kudurru sembra essere quella di

occuparsi di campi coltivabili.

Inoltre essi si distinguono dai semplici contratti di compra/vendita anche

per un’altra ragione: il materiale che li componeva. Gli“antichi kudurru”

erano, insieme ai sigilli e ai piccoli oggetti votivi, fra i pochi oggetti iscritti

in pietra; essi erano quindi pensati per durare in “eterno” ed essere

“indistruttibili” o, per essere più puntuali, “inviolabili” come sancito dal

termine sumerico Nadua. Gli “antichi kudurru” svolgono una funzione

insostituibile permettendoci di ricostruire la struttura della famiglia/clan e i

sistemi di misurazione dei terreni.

Un kudurru di base riporta le seguenti informazioni: le dimensioni del

campo venduto, il prezzo d’acquisto, il nome del compratore e del

venditore; a queste talvolta se ne aggiungono altre quali la specifica del

pagamento di un dono, la presenza di un venditore secondario, la presenza

23 Cuq, E. 1929 , Etudes sur le droit babylonien, Parigi pagg. 343-346

e i nomi dei testimoni.

Nei documenti dell’amministrazione territoriale il compratore è sempre

uno, al contrario i venditori possono essere vari anche se di solito, specie

nei documenti più antichi, sono pochi se non uno. Un’altra caratteristica

degli “antichi kudurru” è la possibilità che essi non fossero conservati

presso il tempio. Una particolare categoria di questi documenti, come è il

caso del reperto analizzato nella Scheda Testi 8, riporta la dicitura kagbi

egarra bidu ibi zaggi biag cioè “colloca questo cono nel muro e spargi olio

sul lato”. L’operazione descritta era svolta a transazione compiuta e

prendeva il nome di cerimonia del kag, tenuta dal venditore assistito dal

nigiruru, una sorta di araldo dell’autorità cittadina.

Il punto di partenza per uno studio degli antichi kudurru è indubbiamente

l'opera di Ignace J. Gelb “Earliest Land Tenure System”, l'opera infatti,

curata anche da Steinkeller e Robert Whiting Jr., si presenta come la più

accurata raccolta di antichi kudurru. L'opera infatti è il frutto di un lavoro

trentennale iniziato da Gelb nel 1952 con “Old Akkadian Writing and

Grammar” nel quale l'autore, raccogliendo le iscrizioni di età Sargonica e

Pre-Sargonica, iniziò ad identificare ed isolare quei primi documenti che

poi sarebbero entrati nella lunga raccolta degli Antichi Kudurru.

Nella presente raccolta non abbiamo potuto considerare tutti i reperti

dell'opera di Gelb, alcuni poiché esulavano dal periodo in esame, altri

invece poiché non necessari per i fini di questo lavoro. La nostra analisi

procederà dai reperti più antichi fino a quelli più recenti spingendosi da

nord a sud e lasciando per ultimi, periodo per periodo, quei reperti di cui

l'origine è ignota.

Un primissimo esempio di antico kudurru ci è dato dalla cosiddetta

Tavoletta Hoffman (Scheda Testi 1) proveniente da Uruk ed ascrivibile al

Tardo Uruk. In essa ritroviamo in nuce quanto espresso relativamente alla

struttura economica anche se in maniera ribaltata: si attesta infatti

l'acquisto di un terreno da parte dell'autorità templare probabilmente da

venditori privati. La tavoletta è in pietra nera ed incisa solo su una faccia

dimostrando di essere un documento considerato di eccellenza. Tutti gli

altri reperti del Tardo Uruk sono purtroppo di origine ignota.

Il primo documento posto in analisi è la Tavoletta Walters (Scheda Testi 2),

una piccola tavoletta in pietra rossa che attesta ancora una volta un

acquisto da parte dell'autorità templare, indicata questa volta dalla

semplice menzione della divinità come nome del compratore.

Già con i documenti riportati di seguito il quadro cambia completamente a

dimostrazione di come il modello redistributivo non debba essere applicato

pedissequamente immaginando un mondo mesopotamico arcaico privo di

una vera e propria proprietà privata; difatti tutti e tre documenti attestano

compravendite di terreni fra privati, uno spostamento di proprietà tutto

interno ai singoli cittadini.

Il primo esempio è una piccola tavoletta sferica nota, dai testi di Gelb,

come Tavoletta del Louvre (Scheda Testi 3), scritta su tutti i lati che riporta

un acquisto di terreno fra due privati; il secondo esempio è tratto dalla

Tavoletta di Yale II (Scheda Testi 4) ed attesta l'acquisto di 1 bur (circa 14

ettari) da parte di un privato del quale il nome è purtroppo frammentario.

L'ultimo documento posto in esame per quest'epoca presenta una

caratteristica che lo rende unico nel suo genere: si tratta della tavoletta

Leiden (Scheda Testi 5), in essa le misure del campo non sono state

ritrovate, o perché contenute nella parte frammentaria o perché mai

riportate, ma al contempo vengono indicati 10 schiavi come parte

dell'acquisto. Ciò è molto interessante in quanto il documento è un vero e

proprio kudurru, come indicato dalla formula del testo e dal materiale,

utilizzato per la tavoletta, pietra nera, il che indica che il concetto

amministrativo di campo era qualcosa di più ampio di quanto si potesse

pensare. Il fatto che i 10 schiavi siano riportati in questo documento fa

supporre che la loro proprietà sia intrinsecamente legata a quella del

campo e che forse erano dediti ad attività di coltura relative al terreno in

vendita il che farebbe pensare di conseguenza che gli schiavi, in

quest'epoca, siano dei veri e propri “optional” aggiuntivi del campo atti

forse ad alzarne il valore.

Il periodo Jemdet Nasr non ci ha restituito veri e propri kudurru il che è

molto interessante considerando che a questo periodo si ascrive una vera

propria recessione del grande sistema centralizzato del Tardo Uruk che

difatti sfocerà nelle epoche successive nella nascita delle varie città stato

mesopotamiche. Naturalmente tale assenza potrebbe essere spiegata con

l'assenza di ritrovamenti ma resterebbe da capire perché la quantità e la

distribuzione dei kudurru segua, alla luce dei dati disponibili, lo sviluppo

politico della Mesopotamia del III millennio.

Il primo kudurru che ritroviamo, dopo la pausa del periodo Jemdet Nasr, è

anche l'unico rappresentante del Protodinastico I nonché un documento

peculiare in ogni suo aspetto. E' la cosiddetta stele di Ušumgal (Scheda

Immagini e Testi 3) proveniente da Umma: si tratta di una piccola stele in

pietra, alta 22 centimetri, che presenta una sezione iscritta che avvolge il

documento, tralasciando tutte le aree occupate dalle raffigurazioni che

avvolgono anch'esse il documento. Il testo non riporta una compravendita

bensì un passaggio di proprietà da un privato ad un altro privato,

interessante è che beneficiaria del contratto sia una donna la quale risulta

in qualche modo supportata dai suoi parenti, riportati nel testo e nella

rappresentazione dell'immagine. Quale sia stata la ragione di un passaggio

di proprietà di questo tipo non ci è dato saperlo. Gelb24 propone che la

scelta della donna sia stata fatta dal proprietario del terreno in assenza di

eredi maschi. Da interpretare sono anche le immagini rappresentate: in una

di essa si vede il proprietario del terreno che stringe un cono innanzi ad un

edificio. In questa sede possiamo proporre che il donatore abbia voluto

rappresentare se stesso

mentre consegna la stele ad un edificio pubblico garantendo così la

registrazione del documento; possiamo inoltre supporre che per documenti

di questo tipo, in cui si registra il passaggio di proprietà molto vaste, la

registrazione fosse un passaggio inalienabile per garantirne la validità.

Questa tesi potrebbe aprire scenari di studio nuovi in cui si analizzano i

testi in cerca di una qualche

attestazione di un “massimo areale” oltre il quale era richiesto un

procedimento legale differente. Naturalmente è valida anche

l'interpretazione di Gelb che vede nel cono mantenuto dal donatore il

tipico cono di fondazione delle rappresentazioni di quest'epoca.

Con il Protodinastico II torniamo nella categoria più classica dei kudurru

24 Gelb, I. 1991, Earliest Land Tenure System in the Near Est: Ancient Kudurrus, Chicago, Oriental Institute Pubblications volume 104 pag. 44

che tornano ad essere documenti incisi su tavolette di pietra per quanto

attraverso tipologie peculiari. Il primo documento in esame è la “Figura

con Piume” (Scheda Immagini e Testi 4) proveniente da Girsu.

Essa presenta un punto di contatto con il documento dell'epoca precedente,

per la scelta di associare al documento una rappresentazione iconografica.

Essa è assente nei kudurru più antichi ed in quelli delle epoche successive.

Non sappiamo da cosa nasca questa necessità di coadiuvare al documento

una rappresentazione grafica e se essa indichi la natura eccezionale del

contratto o se invece sia una scelta stilistica di questa particolare epoca.

L'iscrizione della “figura con piume” è ancora dibattuta, si considera che

essa sia scritta in sumerico e che descriva l'acquisto di un terreno. Difficile

stabilire se l'acquirente o il proprietario originario sia l'autorità templare.

Fonte di dibattito è anche la relazione che potenzialmente intercorre fra

l'iscrizione e l'immagine rappresentata: in essa infatti osserviamo una

figura, forse femminile, dotata di due piume che le partono dal capo che

regge un'asta dotata di una grossa testa di mazza che sembra stare innanzi

ad altre due aste simili.

Il secondo documento del Protodinastico II è il reperto noto come

“l'uccello di Khafaja” (Scheda Immagini e Testi 2) proveniente da una

località presso Eshnunna; esso si presenta come una statuina di uccello,

secondo Gelb leontocefala, iscritta per ogni suo lato.

L'iscrizione in sumerico riporta l'acquisto di un terreno da parte di un

privato, aspetto peculiarissimo

di questo contratto, sul quale torneremo nell'ambito delle conclusioni finali

del presente lavoro, è la resa del terreno il quale viene presentato non,

come di sovente, attraverso la sua superficie, ma considerandolo come

un'insieme di circonferenze, cinque per l'esattezza, delle quali è indicato il

diametro. Tale scelta risulta anomala nell'ambito dei kudurru, ma

l'interpretazione dello spazio piano non attraverso un sistema di tipo

lineare ma con l'uso di un insieme di circonferenze è ben attestato

nell'ambito della speculazione geometrica, come poi analizzeremo nel

capitolo dedicato allo spazio geografico.

Il baricentro geografico dei nostri documenti si sposta verso nord con il

passaggio al Protodinastico IIIa ed anche in questo caso tale distribuzione

dei reperti deve farci riflettere anche perché il primo dei due documenti

proviene da Nippur (Scheda Immagini e Testi 6)e pur essendo scritto in

accadico sembra riallacciarsi ad una tradizione che ci sembra in questa

sede di poter proporre sia attestata a partire dalla fine del periodo di

Jemdet Nasr in cui il kudurru diviene qualcosa di differente, perdendo il

suo connotato di puro documento e venendo iscritto su statuine o

comunque oggetti dotati di una importante sezione iconografica.

Al contrario il secondo documento, proveniente da Kish (Scheda Testi 6),

sembra riallacciarsi ai kudurru del tardo Uruk, quasi che la tradizione

precedente, che vedeva il kudurru come qualcosa di molto simile ad un

semplice atto notarile, si sia semplicemente spostata in ambito

settentrionale poiché la tipologia dei kudurru meridionali di questo

periodo, sarebbero automaticamente ascrivibili fra le tipiche statuine o

placchette offertorie dell'epoca se non fossero dotate delle iscrizioni di

natura contrattuale che li definiscono come kudurru.

Naturalmente se da una parte queste considerazioni possono essere messe

anche in relazione con i

differenti modelli sociali ed economici presenti al nord e al sud, e quindi

ad esempio un maggiore senso estetico delle opere del sud potrebbe essere

legato ad un loro valore sacrale, va tenuto comunque presente, d'altra

parte, che queste tesi si basano su pochi reperti e possono essere confutate

da nuovi ritrovamenti.

Tornando ai due documenti di questo periodo, definiamoli con maggiore

precisione: il primo, come abbiamo visto proviene da Nippur ed è noto

come Statua di Nippur nella raccolta di Gelb, e si presenta come una tipica

statua di offerente del periodo presargonico, molto curata come è attestato

dai resti di bitume e steatite sulla superficie. Sulla schiena della statuina è

presente una iscrizione che riporta la vendita o il passaggio di venti campi

ad un privato.

Il kudurru proveniente da Kish è noto come “Frammento della Pietra di

Kish II” e riporta in accadico alcuni frammenti di iscrizione relativamente

all'acquisto di un terreno.

Il Protodinastico IIIb vede la progressiva estinzione dei kudurru-offerte al

tempio, come proposto in precedenza, anche nella zona meridionale. A

questo periodo si ascrive il “frammento di Argilla da Adab I” (Scheda Testi

11) il quale pur non essendo in pietra, come tradizionalmente tutti gli

antichi kudurru, presenta la tipica formula dei kuddurru: in questo reperto i

venditori del terreno sono due famiglie a favore di un soggetto il cui nome

è andato perduto nella parte frammentata. La vendita è piuttosto rilevante e

riguarda, oltre che le due famiglie, anche alcuni “venditori secondari” e

ben 22 testimoni.

Della stessa epoca ma proveniente da Sippar è il “DP 2 (ELT)” (Scheda

Testi 12) il quale oltre a riportare la parte relativa al contratto vero e

proprio menziona alcuni particolari del rituale del šadādum è indicato che

a presenziare al rituale e al banchetto successivo all'ufficializzazione del

contratto è presente il governatore a riprova della funzione ufficiale del

documento.

Ultimo reperto di questo periodo è di provenienza ignota e purtroppo al

momento il reperto stesso è smarrito, si tratta del “Disco di Nippur”

(Scheda Testi 10). E’ per l'appunto un disco di pietra il cui diametro

stimato è di 67 cm, e che quindi si presenta come un prodotto eccezionale

per dimensioni ma non per contenuto, in quanto dalla esigua parte

frammentaria rimasta e analizzata risulta essere un normale contratto di

acquisto di un terreno.

Il reperto, proveniente da Sippar, che ci introduce all'età accadica

nell'ambito degli antichi kudurru, è il celeberrimo Obelisco di Manishtushu

(Scheda Immagini e Testi 7). L'obelisco, che si presenta oggi alto 144 cm

ma che in origine era più alto, è il trionfo dell'autorità regia in epoca

accadica: si presenta come un vero e proprio kudurru per quel che

concerne la formulazione dei venditori e dei testimoni ma se ne discosta

per tre ragioni fondamentali: in primis colui che acquista i terreni nominati

non è né l'autorità templare, né un cittadino, bensì il re in persona il che ci

conduce al secondo punto ovvero sia la funzione di questo particolarissimo

kudurru il quale non è localizzato nel tempio per una semplice funzione di

registrazione ma in funzione chiaramente propagandistica. Tale funzione è

testimoniata anche dalla struttura del reperto, un obelisco, quasi

racchiudesse in se le due nature prima osservate del kudurru assolvendone

una terza completamente nuova: il kudurru come semplice contratto

ufficiale incontra il kudurru come “offerta alla divinità” e diviene

celebrazione del sovrano. L'ultimo aspetto particolare di questo documento

è di tipo quantitativo: la quantità di terre acquistate dal re è infatti senza

precedenti, registrando il documento una transazione di 9723 iku pari a

3430 ettari.

L'ultimo kudurru del nostro breve excursus è considerato non tanto per il

suo contenuto o per una sua peculiare caratteristica morfologica,

trattandosi di un minuscolo frammento che attesta una classica

compravendita, ma per il luogo di provenienza. Il reperto infatti (Scheda

Testi 14)

proviene da Assur. Il documento attesta la diffusione anche in piena zona

settentrionale degli antichi kudurru.

Gli Antichi kudurru non esauriscono certamente l'argomento dello spazio

amministrativo in ambito mesopotamico ma sicuramente rappresentano

uno sguardo preferenziale in quanto diretto sulla tematica dello spazio, in

questo caso il territorio. Il territorio mesopotamico che emerge dallo studio

dei kudurru è uno spazio inserito nel concetto di proprietà in maniera

complessa: proprietà nominale e reale. Un paesaggio articolato dove al

fianco delle grandi proprietà terriere quali il tempio e il palazzo si inserisce

una fitta rete di piccole proprietà capaci di relazionarsi fra di loro e con i

grandi proprietari. Per la civiltà cereagricola mesopotamica il territorio è

una proprietà e come tale è alienabile o è possibile appropriarsi di altri

territori, senza che tali mutamenti di proprietà rappresentino un trauma che

vada in qualche modo giustificato, come invece osserveremo nell'ambito

della geografia politica e religiosa.

Il territorio, vissuto da un punto di vista amministrativo, presenta

numerose variabili: il terreno può essere dotato di braccianti inclusi

(Scheda Testi 5), può essere pagato in argento o rame (rispettivamente

Scheda Testi 10 e Scheda Immagini e Testi 6) ma anche in abiti (Scheda

Testi 11), ma soprattutto può essere misurato come la superficie di un

poligono o come il diametro di una circonferenza (Scheda Immagini e

Testi 2).

Il risultato di questa prima analisi dei kudurru sembra dimostrare che il

mondo geografico amministrativo mesopotamico non è soggetto, a

differenza di quello politico e religioso, a particolari regole culturali, ma

piuttosto a stringenti necessità pratiche.

Gli altri documenti dell'amministrazione territoriale.

Naturalmente gli antichi kudurru non esauriscono la grande e variegata

produzione amministrativa mesopotamica del III millennio, anche

rimanendo limitati ai parametri temporali che ci siamo prefissati. Se è vero

infatti che gli antichi kudurru erano, come abbiamo visto, documenti

investiti di una qual certa ufficialità e riportanti sempre transazioni

secondo formule ben definite e standard a riprova della loro importanza, va

anche detto che esisteva un insieme di documenti atto a gestire le

transazioni economiche quotidiane, alcune delle quali riguardavano anche

terreni. Abbiamo già spiegato come l'evoluzione della pratica di

registrazione delle operazioni economiche ed amministrative sia

intrinsecamente legata allo sviluppo dello stato in Mesopotamia e quindi

prima ancora dei miti e delle scene di natura politica, le prime

rappresentazioni delle glittica riguardano proprio attività di natura

economica, di certo investite anche di carattere sacro, ma soprattutto

sociale. Eppure le nostre nozioni riguardo a transazioni di proprietà terriere

e quindi relative alla gestione dello spazio, che è l'argomento che ci

interessa, sembrano dover partire solo dall'avvento della scrittura. Solo con

i testi abbiamo le prove di un'alienazione sostanziale, anche se non ancora

formale, dei terreni da parte dell'autorità templare a favore di quella

privata, o viceversa l'appropriazione di una proprietà privata da parte del

tempio, o infine le tracce di un passaggio di terreni da privato a privato.

Come si è già detto la quantità di documenti a riguardo è virtualmente

illimitata, ed avendo già approfondito l'argomento degli “antichi kudurru”

si è pensato di considerare un'area campione e di osservare il cambiamento

dei documenti amministrativi nel corso del tempo. L'area in questione è la

città di Ur e i tempi presi in considerazione sono il Tardo Uruk, la Prima

dinastia di Ur e la Seconda dinastia di Ur. Il primo reperto preso in

questione è proprio il più antico (Scheda 1 Immagini) e si tratta, come

spesso accade per reperti così antichi, di un'impronta di sigillo. In essa

troviamo la rappresentazione di un uomo seduto fra due strutture

probabilmente templari intento a lavorare vicino ad un vaso e ad un bovino

che fuoriesce da una delle due strutture. Dougherty propone che in questo

sigillo venga riportato lo svolgimento di un qualche tipo di attività lattiera-

casearia. Lo spazio amministrativo qui è solo accennato ed è percepibile

dall'analisi del reperto in sé e dell'immagine che esso riporta. Essendo un

sigillo la sua funzione era naturalmente quella di garantire la paternità

delle azioni svolte dal proprietario dello stesso in ambito economico e

sociale, allo stesso modo l'attività svolta dalla figura rappresentata nel

sigillo ne identifica un ruolo economico legato alla gestione e al possesso

dei bovini. Lo spazio amministrativo inteso come gestione dello spazio in

ambito economico qui non è ancora espresso o se lo è, ciò avviene in

maniera appena accennata di modo che non ci sia possibile comprendere

realmente in che modo l'attività svolta nella rappresentazione di questo

sigillo, come di altri simili, abbia influenzato lo spazio circostante. Con

l'avvento della scrittura la situazione cambia radicalmente e, come

abbiamo già visto per gli antichi kudurru, la gestione dello spazio diviene

una fetta importante dell'amministrazione. Il primo reperto risalente alla I

dinastia di Ur è stato ritrovato nel cimitero reale di Ur e si tratta di una

tavoletta d'argilla piuttosto frammentaria (Scheda 21 Testi). A causa dello

stato del reperto l'interpretazione di Burrows è piuttosto scarna ma è chiaro

che il reperto riporta l'acquista di un terreno, anche se non è chiaro chi sia

l'acquirente e chi il venditore, anche se, considerando la semplicità del

reperto, siamo spinti a credere che si tratti di un documento redatto per una

transazione fra due privati. Va anche osservato però che il reperto presenta

una curiosa anomalia: la parte centrale del reperto è stata intenzionalmente

lasciata vuota il che apre un ventaglio di ipotesi da formulare: potrebbe

darsi che il reperto sia rimasto incompleto ed il contratto non fu mai

terminato, allo stesso modo può darsi che lo scriba non avesse considerato

bene lo spazio sulla tavoletta e semplicemente le righe mancanti sono

“avanzate”, può anche darsi che il documento sia solo un appunto per la

stesura di un documento ufficiale su materiale più resistente (il che lo

collocherebbe nell'ambito degli antichi kudurru). Allo stato delle nostre

attuali conoscenze è comunque prudente formulare l'ipotesi che si tratti di

un documento semplice per una piccola transazione fra privati, similmente

ad un odierno scontrino fiscale. Lo spazio amministrativo assume sempre

più l'aspetto di un puzzle dinamico, sottoposto a numerose sollecitazioni e

trasformazioni, in evidente contrasto con il monolitico mondo dello spazio

mitico e politico, come vedremo nei capitoli successivi. Anche il prossimo

reperto, risalente sempre alla I dinastia Ur (Scheda 19 Testi), è infatti il

frammento di un contratto molto elementare che attesta l'acquisto di un

terreno. Il reperto successivo (Scheda 20 Testi) è ancora un contratto di

acquisto di terreno e proviene anch'esso dal cimitero reale di Ur e risale

alla I dinastia di Ur. In questo caso l'acquisto è sicuramente fra due privati

ed anche in questo caso il materiale del documento è semplice argilla. Va

notata una particolarità. Esattamente come il reperto analizzato in

precedenza (Scheda 21 Testi), anche in questo caso è stata lasciata una

parte della tavoletta intenzionalmente vuota, in questo caso l'ultima riga.

Pur considerando la natura similare contenutistica dei due elementi è

azzardato ipotizzare una relazione fra questa mancanza e quella del reperto

precedente, per quanto tale vuoto preparato va segnalato. Con il prossimo

documento (Scheda 11 Immagini e Testi) ci spostiamo avanti nel tempo, al

tempo della II dinastia di Ur, e osserviamo come il documento di acquisto

e vendita di terreno sia ora complesso ed articolato e intorno alla semplice

transazione si sia sviluppata tutta la struttura economica e sociale ad essa

connessa. Appaiono ora i nomi degli acquirenti e dei venditori, appare il

potere templare che garantisce la transazione per mezzo di un suo

rappresentante (il giudice del re), appare il giuramento innanzi agli dei,

appaiono anche i testimoni, appare un'indicazione temporale ben precisa

che si allaccia alla classificazione degli anni secondo le gesta del re.

Soprattutto appare una definizione più precisa del campo al centro del

contratto. Ne viene indicata con precisione l'estensione e la spesa

necessaria all'acquisto, e quindi implicitamente il suo valore. Inoltre viene

indicata la natura, difatti il campo non è anonimo ma sappiamo che si

trattava di un palmeto. Comprendiamo quindi che, anche fuori dall'ambito

dell'ufficialità degli antichi kudurru, almeno a partire da quest'epoca, anche

le transazioni economiche relative alla gestione dei campi, fra privati, sono

giunti ad un livello di complessità pari a quelle fra istituti pubblici, segno

di una maggiore complessità della gestione dello spazio privato e di

maggiori garanzie richieste dal privato cittadino.

Capitolo 3

Spazio mitico nella Mesopotamia del III millennio a.C.

La Religione e il Mito

Lo studio della percezione dello spazio geografico in ambito mitico si

presenterà come un lavoro trasversale che indagherà diversi ambiti. Come

più volte ricordato nei capitoli precedenti nel mondo mesopotamico non

esisteva una distinzione categoriale marcata fra magia, scienza, politica e

religione. Il tempo del mito presso i popoli della mezzaluna fertile non era

solo, come per la cultura Greca prima e Romana poi, un momento arcaico

di fondazione degli elementi cruciali della realtà, da un punto di vista

ontologico e sociale25. In Mesopotamia il tempo del mito era

continuamente scandito dalla vita quotidiana e le feste pubbliche, i riti e gli

incantesimi rifondavano in continuazione la realtà. Un esempio piuttosto

lampante di questo continuo processo di rinnovamento cultuale era dato

dai confini politici che si consideravano fossero stati stabiliti dagli dei in

persona. Tali delimitazioni erano naturalmente soggette alle continue

fluttuazioni della storia ed il mito si adattava di conseguenza. Bisogna

sempre tenere presente che la religione politeistica mesopotamica non era

25 Eliade M. 1957, The Sacred and The Profane: The Nature of Religion, New York, Harvest/HBJ Publishers pagg. 34-36

una religione “rivelata” e non vi erano testi che dessero un'univoca

interpretazione del mito, e di conseguenza degli spazi del mito. Lo stesso

concetto di “canonizzazione” dei testi è qualcosa di molto tardo e che non

si affermerà prima del II millennio a.C. in ambito babilonese26. Se si vuole

quindi elaborare un approccio scientifico al concetto di Mito, Tradizione e

Religione bisogna tenere presente la loro natura culturale, la loro funzione

sociale, ed anche, si ritiene in questa sede, il loro rapporto con la Storia. In

primis bisogna tener presente che troppo spesso si tende a dimenticare che

la parola Mito è nata nell'ambito dello studio delle religioni del mondo

classico, un mondo che non solo aveva prodotto un termine per designare

con esattezza il mito, ma che ben presto gli aveva contrapposto il concetto

di Storia e di storiografia: istoria. La storia era il frutto di osservazioni

veritiere mentre il mito ben presto venne relegato al ruolo di favole dal

valore sacro 27. Nel mondo mesopotamico tale distinzione non è mai

esistita, l'unico concetto simile, e che riassume quello di mythos e di

istoria è temu šakanu, traducibile con notizia, informazione.

Paradossalmente il termine più vicino a tale concetto è una parola nata

nell'ambito dell'informatica: il dato28. I dati, nelle raccolte mesopotamiche,

26 Mander, P 2005, All'origine delle Scienze 1. Medicina ed Esorcistica in "quaderni Napoletani di Assirologia", Napoli, Aracne pagg. 48-52

27 Luciano di Samostata 2001 Come si deve scrivere la storia, Roma, Liguori Editori pag. 1528 Huehnergard J. 2005, A Grammar of Akkadian, Charlottesville, Eisenbrauns pag. 568

venivano raccolti in fasci per ottenere da essi un insieme coerente.

Naturalmente i dati erano di varia natura e le nostre categorie mentali

attuali li dividono in dati storici e mitici. La Storia, o per meglio dire la

Tradizione, era qualcosa di complesso che non aveva in sé, come abbiamo

già detto, un confine ben preciso rispetto alla sfera del sacro, secondo un

procedimento ben noto anche per la medicina mesopotamica, laddove le

pratiche scientifiche si mischiavano e si integravano con atti di natura

magica e rituale. Solo alla luce di una simile prospettiva quanto anticipato

diviene chiaro e si comprende perché ogni re che abbia lasciato traccia di

se e delle sue gesta, non si limitò a dichiarare solennemente il suo atto di

fondazione o di conquista, bensì collocò quella data azione nella sfera del

sacro, rifondando in continuazione il mito. Allo stesso modo ogni qual

volta un re si riforniva di legname presso la foresta dei cedri egli

ripercorreva l'antica strada già percorsa dal divino Ghilgamesh, ogni qual

volta il tempio veniva restaurato esso era stato rifondato così come quando

il dio, al tempo delle origini, si era costruito la sua prima casa, ed

addirittura abbiamo il caso di un mito, “Viaggio di Nanna a Nippur” che

altro non è che la trasposizione sacra dello spostamento del re UrNammu

alla sacra città di Nippur per ragioni politiche29. La storia quindi era

29 Biga M. G. 2008, Il Politeismo Vicino-Orientale,Roma, pag. 216

sempre legata alla sfera religiosa e collocava quegli avvenimenti sempre

nuovi, in un ambito che se per noi è alieno, favolistico e lontano, era per

l'uomo mesopotamico, quotidiano e sentito. E' probabile, ma non sicuro,

che gli stessi uomini mesopotamici avessero ben presente il significato

simbolico di molte di quelle espressioni e che semplicemente le

contestualizzassero.

Un primo punto obbiettivo di questo lavoro è la messa in luce di quei

simboli ricorrenti nell'ambito dello spazio geografico in ambito mitico.

L'elasticità della religione mesopotamica comporta che il mondo

macroscopico potesse essere visto in più modi. Già nell'introduzione, nel

paragrafo titolato “La Religione e il Mito”, è stata esposta la forma del

mondo mesopotamico secondo i maggiori studiosi. In questa sede si

cercherà di trovare gli elementi ultimi che componevano quella visione del

mondo nei reperti del nostro catalogo partendo dai più antichi fino a quelli

più recenti.

Le Immagini dello spazio mitico in Mesopotamia

Il primo reperto analizzato mostra una scena molto ricorrente

nell'iconografia mesopotamica e che pone in risalto la funzione principale

del tempio come perno della società e centro ideale della città e della sua

articolazione sociale (Scheda 20 Immagini).

Si tratta di una cretula ritrovata ad Uruk ed ascrivibile al 3200 a.C. ca.; su

di essa, fortemente frammentaria e danneggiata riconosciamo un tempio,

rappresentato mediante la raffigurazione della facciata e delle porte,

intorno al quale si collocano alcuni uomini nudi che probabilmente stanno

portando doni presso la struttura sacra.

La scena pone in risalto la funzione economica/sacra del tempio già

presentata nel primo capitolo: la popolazione offre dei doni al dio, che

risiede nella sua casa posta nel cuore del città, e da lì i suoi servitori

redistribuiscono la ricchezza a tutta la comunità. La cretula mostra in

sostanza il cuore dell'asse orizzontale di cui già sia è parlato in precedenza,

e come esso lavori affinché l'opera del dio, attraverso l'azione dei

sacerdoti, si propaghi lungo tutto l'asse orizzontale fino alla periferia della

città.

Similmente al reperto sovra esposto anche quello successivo (Scheda 4

Immagini) mostra una scena che pone in risalto la funzione fondamentale

del tempio come cuore pulsante della società ma in questo caso la funzione

economica sembra espressa con maggiore chiarezza.

Si tratta di un sigillo proveniente da Ur che si colloca fra il 3100 a.C. ed il

2900 a.C. . Su di esso troviamo rappresentati due uomini collocati di

fianco al tempio che lavorano alcuni vasi, dal tempio stesso esce un

bovino.

Troviamo, quindi, riassunti in maniera stilizzata le due principali

operazioni svolte dal tempio: la fissazione dei ruoli dei vari cittadini

nell'ambito della vita in città, rappresentato dai due uomini che lavorano, e

la distribuzione del cibo e della ricchezza, rappresentato invece dal bovino

che esce dal tempio.

Una menzione particolare va al tempio stesso rappresentato in questo caso

come una capanna dotata di due grosse paia di corna che fuoriescono dal

tetto. Sul tempio è possibile distinguere un simbolo che Legrain30 ha

interpretato come un serpente dal valore apotropaico, forse indicante anche

a quale divinità fosse assegnato il tempio e comunque prova del valore

sacro della struttura rappresentato.

La rappresentazione del tempio in associazione ad un simbolo sacro, atta

alla valorizzazione della struttura e ad un riconoscimento immediato dello

stessa nell'ambito cittadino, la ritroviamo nel reperto seguente (Scheda 5

Immagini).

Si tratta di un sigillo proveniente da Ur e contemporaneo a quello

precedente; su di esso vediamo rappresentato il tempio come una capanna

30 Legrain, L. 1936, Archaic Seal-Impressions in Ur Excavations Volume III, Philadelphia The Trustees of the Two Museum pagg. 18-33 Tavola 17

di cui è mostrato anche il soffitto mediante un gioco di prospettiva che

schiaccia il soffitto aprendolo a ventaglio sopra la facciata del tempio.

Sulla destra del tempio intravediamo la parte posteriore di un toro, che

richiama ancora una volta l'attività economica svolta dal tempio. Sulla

sinistra invece osserviamo il simbolo sacro di cui si è parlato prima che in

questo caso è un aquila raggiante le cui dimensioni sono di poco inferiori

al tempio a cui si associa.

Il reperto successivo (Scheda 7 Immagini) è stato scelto per il suo valore

semantico. Si tratta di un altro sigillo proveniente sempre da Ur e sempre

ascrivibile ad un intervallo di tempo che va dal 3100 a.C. al 2900 a.C. . In

esso vediamo rappresentate, in maniera stilizzata, tre città fortificate ed

ecco che possiamo osservare come il valore del tempio, come centro della

città e si potrebbe dire come vera e propria anima della comunità, assuma

in questo caso una funzione di vera e propria identificazione.

L'autore del reperto, infatti, per distinguere le tre città, ha assegnato ad

ognuna di esse un simbolo: un avvoltoio, un simbolo non ancora

identificato che in questa sede proponiamo essere una barca, ed un

serpente. Il simbolo del tempio, e del dio che esso ospita, diviene qui

simbolo della città, che Legrain31 ha interpretato essere Larsa, Adab e Der.

31 Legrain, L. 1936, Archaic Seal-Impressions in Ur Excavations Volume III, Philadelphia The Trustees of the Two Museum pagg. 18-33 Tavola 22

L'ultimo reperto (Scheda 6 Immagini) proveniente da Ur e relativo al

3100-2900 a.C. è un sigillo che mostra una scena dove l'elemento

simbolico ha preso completamente il sopravvento su quello

rappresentativo al punto da indurre Wolley32 a suggerire che si tratti di una

proto-iscrizione o di un insieme di immagini che richiamino dei

logogrammi atti a indicare una frase di senso compiuto.

Al centro della scena osserviamo il tempio, rappresentato oramai solo

come un grande cancello in pannelli di fibbie dove le corna laterali sono

appena accennate. Ai lati di questo troviamo due stelle a rosette a 8 punte.

Una rosetta molto più grande, probabilmente anch'essa ad 8 punte, delle

stesse dimensioni del tempio, è posta alla sua sinistra.

Gli elementi sopra il cancello e alla sua destra sono di difficile

interpretazione. Forse è possibile vedere un sole che sorge fra alcune foglie

e più in là due scimmie accovacciate. I simboli sopra il tempio sono

talmente stilizzati da sembrare aniconici.

Il prossimo sigillo (Scheda 11 Immagini) è probabilmente di un'epoca

successiva, collocandosi non prima del 3000 a.C. e proveniente

probabilmente da Susa.

Il tempio è ancora, in questo reperto, il centro della vita economica della

32 Wolley, L. in Legrain, L. 1936, Archaic Seal-Impressions in Ur Excavations Volume III, Philadelphia The Trustees of the Two Museum Tavola 22

città ma i simboli sacri che lo caratterizzano vengono esternati da esso,

moltiplicati e posti in processione insieme agli elementi relativi alle attività

gestite dal tempio, in questo modo le due realtà sfumano confondendosi e

compenetrandosi l'un con l'altra.

Vediamo così come di fianco ai grandi portoni della facciata del tempio si

collochi un gruppo di elementi quali alcuni caprovini, pentole per le

libagioni al tempio, e poi ancora scorpioni ed un serpente. In particolare

Borowski33 ha interpretato la presenza di questi animali come l'indicazione

della consacrazione del tempio rappresentato alla dea Inanna.

Se il tempio è il centro dell'asse orizzontale è, naturalmente, anche un

punto attraverso il quale passa l'asse verticale di cui già si è parlato nel

primo capitolo, e che connette il mondo degli abissi alla terra degli uomini

e quest'ultima ai cieli abitati dalle divinità. Anzi il tempio è il punto di

partenza preferenziale attraverso cui l'uomo può aspirare di risalire,

spiritualmente parlando, la strada che conduce agli dei.

Nel reperto successivo del nostro catalogo (Scheda 18 Immagini),

proveniente dal Dyala e prodotto intorno al 2900 a.C., tale concetto è

espresso in maniera chiarissima: il tempio è rappresentato canonicamente

attraverso la sua facciata, sopra di esso si distingue la curva della volta 33 Borowski E. 1993, "Introduction" in J G Westenholz Seals and Sealing in the Ancient Near East

- Proceedings of the Symposium held on September 2, Gerusalemme, Bible Lands Museum pag. 21

celeste e sopra di essa tre stelle, di fianco ad esse è rappresentato un

grande volto, espresso mediante gli occhi, le ciglia, il naso e la bocca, che

sembra guardare il tempio. Simile reperto, così esplicativo e al contempo

così enigmatico non ha confronti nell'arte del Dyala.

In precedenza abbiamo spiegato come lo spazio geografico mitico

mesopotamico non investa solo le zone inaccessibili del reale quali la volta

celeste o le profondità abissali. Il mito, il sacro, investivano luoghi

quotidiani.

Oltre alle regioni ben note caricate di un significato mistico come la

foresta dei cedri o le montagne degli Zagros, ce ne sono altre i cui echi ci

giungono attraverso pochi accenni nei testi o, come nel caso seguente, da

rappresentazioni di carattere mitologico collocato però in un ambiente

reale il cui significato ci sfugge e la cui identificazione è ardua.

Il reperto in questione (Scheda 15 Immagini) è un sigillo del 2900 a.C.

proveniente sempre dalla zona del Dyala. In esso troviamo rappresentato

un edificio a cinque piani dotato di tre torri, che sembra richiamare ad un

ambiente cittadino, di fianco ad esso però la scena è chiaramente di stampo

mitico. Su alcuni flutti, rappresentanti probabilmente il fiume, è

rappresentato un uomo dalla testa di leone, o un leone dritto sulle zampe

posteriori, stante fra due alberi attorniati da caprovini e un uccello fra le

sue fronde.

Non ci è dato sapere se questa immagine richiama ad un mito in

particolare o ad un'iconografia sacra condivisa; una difficoltà che

incontriamo in molti altri reperti come un sigillo (Scheda 8 Immagini) del

2600 a.C. ca dove la scena mitologica ha preso il sopravvento

sull'elemento reale e diventa per noi di difficilissima interpretazione.

In altri casi invece la rappresentazione è ugualmente ermetica ma grazie al

confronto con testi noti alcuni studiosi si sono spinti verso

un'interpretazione più precisa, come il sigillo del 2500 a.C. ca proveniente

dalla zona del Dyala, che mostra un uomo barbuto fra gli stipiti di un

portone sotto il quale giace uno scorpione che Frankfort34 ha interpretato

come il guardiano del portale, considerandolo una versione alternativa del

celebre uomo scorpione che nell'epopea di Ghilgamesh è posto a difesa dei

cancelli del sole.

L'uomo scorpione, associato alla figura del sole, lo ritroviamo anche in un

altro sigillo (Scheda 13 Immagini), proveniente da Tell Brak e da

collocarsi intorno al 2400 a.C. ca. , anche se in questo caso è iscritto in una

scena la cui interpretazione è ardua. Difatti esso rappresentato mentre

viene atterrato da un uomo armato di lancio e dotato di coda.

34 Frankfort, H. 1951, Stratified Cylinder Seals from the Diyala Region, Chicago, University of Chicago Oriental Institute Publications Volume LXXII pag. 88

Il reperto ora citato e i due successivi ci permettono di ricordare che

naturalmente, nello studio dell'iconografia mesopotamica, oltre alla

collocazione del mito in ambiti reali ben precisi, ritroviamo anche la

trasposizione del mito in quanto tale, nel quale lo spazio geografico

diviene semplice scenario stilizzato, ovvero sia un richiamo non ad una

specifica montagna o uno specifico bosco bensì al concetto di montagna e

di bosco, con tutte le implicazione cultuali del caso.

Il primo reperto (Scheda 9 Immagini) risale al 2300 a.C. ca. e mostra un

dio, accompagnato da un demone dal volto di leone, mentre uccide un

toro. L'animale è collocato sulla montagna così come essa veniva

canonicamente rappresentata nell'arte mesopotamica, e se ci sfugge il mito

in particolare che l'immagine richiama, conosciamo le implicazioni

concettuali che il simbolo della montagna richiama.

La montagna è infatti il confine fra il il mondo civilizzato e quello

nomade, nonché la principale forma di demarcazione fra il centro e la

periferia, essa è inoltre il luogo attraverso cui l'uomo può incontrare il dio

e le stesse zigurat non sono che un richiamo a questa imponente struttura

naturale35.

Il secondo reperto (Scheda 10 Immagini) , avente come soggetto un

35 Mander, P. 2005, All'origine delle Scienze 1. Medicina ed Esorcistica in "quaderni Napoletani di Assirologia", Napoli, Aracne pag. 32

racconto prettamente mitico, è un sigillo proveniente da Sippar e posto al

limite cronologico del nostro lavoro essendo stato prodotto intorno al 2250

a.C. . In esso vediamo rappresentato il celebre mito di Etana.

Aldilà della rappresentazione del re pastore che si leva in volo a dorso di

aquila, ciò che ci interessa è la presentazione dello spazio intorno ad essa.

Concordemente alle versioni del mito che ci sono pervenute, il sigillo ci

riporta un paesaggio pastorale presentato nei minimi dettagli come se

l'autore del sigillo avesse collocato il mito in una scena a lui familiare: il

pastore che osserva Etana levarsi in volo è posto fra le sue pecore e

accompagnato dal suo cane mentre impugna la frusta e trasporta a spalla

una staffa. Vicino a lui un uomo lavora ad un vaso e sopra di loro,

stilizzati, sono presentati dei formaggi posti ad asciugare al sole.

In chiusura di questo paragrafo dedicato alle immagini dello spazio mitico

in Mesopotamia nel III millennio poniamo un reperto più antico dei

precedenti ma che abbiamo preferito presentare solo ora a causa del suo

significato. Abbiamo infatti mostrato come l'uomo mesopotamico abitasse

lo spazio intorno a sé dei simboli sacri del mito, abbiamo anche visto come

i luoghi della sacralità erano anche il centro di un rapporto inscindibile fra

culto e ordine sociale, ed abbiamo infine osservato il mito riportato nella

sua genuina sostanza. Ma l'uomo mesopotamico era anche impegnato nella

creazione dei luoghi sacri e indubbiamente fra tutti i templi il più sacro nel

corso dei secoli si definì essere la zigurat. La costruzione della zigurat

doveva essere un momento fondante della società mesopotamica: il mito

della fondazione della casa del dio e della città intorno ad essa veniva

rinnovato, lo spazio sacro per eccellenza veniva creato con la stessa

sacralità assegnata al periodo delle origini e assumeva la forma imponente

e sacra della montagna. L'intera comunità si riuniva per questa opera sotto

la guida della casta sacerdotale e si dava per scontato che anche il mondo

divino facesse lo stesso. La centralità della zigurat, la comunità riunita per

la costruzione della stessa e la presenza rassicurante degli dei, è tutto

riassunto in un sigillo del 2500 a.C. ca. proveniente dal Dyala e

commentato da Frankfort36 che mostra proprio questo momento

fondamentale per la società mesopotamica e per la definizione dei suoi

spazi sacri.

La nostra dissertazione sullo spazio mitico in Mesopotamia nel III

millennio a.C. non ha fatto affidamento sui testi ma in larga parte sulle

immagini e la ragione è semplice: se esistono numerosi testi che trattano

della mitologia in quanto tale non ne esistono altrettanti che permettano

riflessioni sullo spazio mitico in Mesopotamia.

36 Frankfort, H. 1951, Stratified Cylinder Seals from the Diyala Region, Chicago, University of Chicago Oriental Institute Publications Volume LXXII pag. 48

Riportare nella nostra ricerca i testi che parlavano specificatamente di miti

sarebbe stato improprio e fuorviante essendo questo elaborato un lavoro di

archeologia e non di storia delle religioni. Inoltre miti che permettano essi

stessi di analizzare come lo spazio era percepito in ambito mitologico per

via dei loro contenuti non verranno prodotti che a partire dall'inizio del II

millennio a.C. ed esulano quindi dal nostro ambito di ricerca.

Ciò nonostante esiste un reperto del nostro catalogo che può essere

ascritto al gruppo dei reperti che trattano dello spazio mitico. Si tratta di

una tavoletta (Scheda 18 Testi) che riporta la descrizione di una

purificazione effettuata su di un terreno contro locuste e bruchi.

Colui che ha effettuato tale operazione è un sacerdote o comunque un

uomo del culto ed infatti alla descrizione delle tecniche usate per purificare

il campo segue una purificazione rituale del terreno. In questo caso è la

gestione pratica di un campo il luogo dove l'aspetto economico, il danno

effettivo provocato dall'infestazione del campo e le contromisure adottate,

e quello religioso, il sacrificio rituale al termine delle operazioni di pulizia,

si mischiano, si compenetrano e si confondono facendo sfumare il reale

confine fra queste due realtà nella percezione dello spazio presso gli

abitanti della Mesopotamia del III millennio a.C.

Capitolo 4Spazio politico nella Mesopotamia del III millennio a.C.

Nel confrontarsi con la percezione dello spazio politico della mesopotamia

del III millennio a.C. non si può fare a meno di di constatare quanto

l'invenzione della scrittura abbia influenzato la nostra conoscenza di

questo particolare settore della società. Se l'archeologia e la storia delle

religioni permettono di indagare numerosi e fondanti aspetti di una società,

molti dei quali non trasparirebbero dal solo dato scrittorio, al contempo il

mondo politico di un popolo si compone di nomi, date precise, e

propaganda, tutti elementi che possono essere trasmessi, alla luce delle

nostre attuali tecniche archeologiche, solo attraverso la scrittura37. Ciò non

significa che il dato archeologico sia irrilevante, ma esso va collocato in

un'impalcatura desunta da dati trasmessici dai testi.

Affinché tale procedimento di sistemazione dei reperti in un quadro

coerente possa essere compiuta nel massimo rispetto di una metodologia

storica e archeologica seria bisogna considerare che il dato testuale è, nella

maggior parte dei casi, propagandistico. Ciò comporta che l'informazione

trasmessa sia deformata e capziosa, ma al contempo dallo studio di queste

deformazioni è possibile desumere altre informazioni, come quali fossero i

37Liverani, M 1988, Antico Oriente, Roma, Laterza pagg. 191-193

veri interessi che la propaganda cercava di soddisfare e chi fosse il

pubblico di riferimento.

Le nostre informazioni sull'assetto politico, più che strettamente

territoriale, non possono essere raccolte per un periodo precedente al

Protodinastico II, almeno nella misura in cui si vogliono seguire le strade

tracciate dalla storiografia. Questo perché, è solo dal Protodinatico II che i

testi iniziano a delineare una situazione politica ben definita.

Dal Protodinastico II al Protodinastico IIIa

Il lungo periodo che va dal 2750 ca. a.C. fino al 2450 a.C. presenta una

serie di caratteristiche comuni dal punto di vista politico per tutti i secoli

presi in considerazione. Con la fine del Protodinastico I osserviamo una

vera e propria esplosione culturale, sociale ed economica che si

caratterizza per un accentuato policentrismo. Il potere politico più che

parcellizzarsi sembra moltiplicarsi con una trasformazione e strutturazione

di tipo complesso di nuovi centri al fianco di Uruk, Ur ed Eridu. Ad oriente

osserviamo emergere centri come Lagash ed Umma, nell'area centrale

Adab, Shurrupak e Nippur e a nord Kish ed Eshnunna38.

Ognuna di queste città è inserita al centro di un sistema radiale la cui

estensione è sempre di circa 30 chilometri, che vede la grande città posta al

38Landsberger, B. 1976, The Conceptual Autonomy of the Babylonian World, Malibu

centro di una maglia di centri intermedi, intorno ai quali si sviluppano i

piccoli villaggi39.

La composizione etnica di queste città è fin dall'inizio mista per quanto

nell'origine dei termini linguistici si intravedono le antiche distinzioni e i

differenti ruoli che sono stati alla base della nascita della grande città

mesopotamica, laddove i termini presumerici ed iranici sembrano connessi

con le funzioni produttive di base, i termini sumerici con quelle

amministrative e burocratiche ed infine quelli semitici con tutte quelle

attività legate alla mobilità ed al trasporto40.

Inoltre una qualche distinzione etnica per area sopravvisse anche in epoca

storica con il gruppo sumerico maggioritario al sud e quello semitico più

diffuso al nord41.

Incarnazione del potere nelle varie grandi città era una figura centrale la

cui titolatura cambiava di città in città e tradiva una differente natura del

potere esercitato.

Ad Uruk troviamo l'En, ovvero sia il gran sacerdote, tale nomenclatura

regale non poteva che segnalare una grande continuità con il potere

templare classico.

A Lagash invece il signore della città era detto Ensi, cioè fattore del dio. 39Gelb I. 1969 in Studi E. Volterra, VI, Milano, pagg. 137-15440Foster B.R. 1982, Orientalia 51, Roma pagg. 297-354 41Diakonoff I. 1969, Ancient Mesopotamia, Mosca

Questa titolatura è già molto differente in quanto il re formalmente era

sottoposto alla figura del dio cittadino ma di fatto si collocava già fuori

dalla struttura templare canonica.

I titoli di En ed Ensi sono già attestati dal periodo Tardo Uruk.

Completamente diverso è il significato politico che traspare dal nome del

re ad Ur e Kish, ovvero sia Lugal, poiché questa parola è l'unica che può

essere realmente tradotta con re, e indica il monarca, uomo fra gli uomini

privo di alcuna investitura sacra42.

Un simile scenario provocò la nascita di numerosi conflitti, la maggior

parte dei quali legati al controllo dei canali, questo per due ragioni.

Da una parte, molto spesso, gli stessi canali approvvigionavano aree

controllate da differenti città o le stesse erano in qualche modo collegate

trovandosi l'una a valle e l'altra a monte dello stesso canale con tutti i

vantaggi e gli svantaggi che la differente posizione provocava e le naturali

influenze dell'una sull'altra.

In secondo luogo il possesso dei canali, e dei relativi territori coltivati, era

l'unico modo per tentare di espandere l'influenza della città.

Come già esposto nell'introduzione, tali conflitti erano inseriti in un

contesto culturale che vedeva tali scontro come un confronto fra le varie

42Cooper J. 1973, Orientalia 42, Roma pagg. 239-242

divinità cittadine laddove gli ensi e gli en altro non erano che semplici

intermediari dell'agire dei loro numi tutelari. La propaganda quindi, in

questo periodo, era tutta tesa a creare un immagine di un re nemico

ingiusto e tracotante che con il suo agire aveva offeso gli dei attirando su

di se la collera degli stessi43. Altra caratteristica del programma

propagandistico era il dimostrare che non si stava attaccando, ma ci si

stava difendendo; per fare ciò, anche laddove era palese che ci si era presi

l'onere dell'attacco, si tendeva a riportare esempi passati che dimostrassero

come, in un primo tempo, si fosse ricevuta l'offesa dell'attacco e che

l'azione che si intraprendeva ora altro non era che un modo di ripagare il

torto subito.

Un esempio caratteristico di questi confronti è il conflitto decennale che

vede contrapposte Umma e Lagasg per il controllo del gu-edinna, un

campo posto in mezzo delle aree di influenza di queste due città44. Lo

svolgersi del conflitto ci è riportato in quello che può essere considerato il

primo grande impianto propagandistico mesopotamico, cioè la grande

Stele degli Avvoltoi, voluta dal vittorioso Eannatum di Lagash. Aldilà dei

fatti in essa narrati, che presentano comunque una Lagash sempre pia e

giusta contrapposta ai re di Umma tracotanti e aggressivi, possiamo da 43Pettinato, G. 1970, Mesopotamia 5, Roma pagg. 281-32044Cooper J. 1983, Reconstructing history from ancient inscriptions : the Lagash-Umma border conflict, Los

Angeles, Source of the Ancient Near Est

essa desumere due informazioni importanti.

In primo luogo essa ci da un'idea di cosa dovessero essere i conflitti

intercittadini protodinastici, che concretizzavano in una serie di

rappresaglie e battaglie campali svoltesi fuori dall'abitato; in secondo

luogo ci trasmettono un dato importante che ci preannuncia il tema del

seguente paragrafo: arbitro della prima fase del conflitto è il Mesilim di

Kish (2550 ca. a.C.) il quale viene chiamato a dirimere i primi contenziosi

sul campo in questione. Il ruolo del quale viene investito il re di Kish ci

lascia intuire che in quel periodo la città dovesse ricoprire un ruolo

predominante nel meridione mesopotamico, preannunciando, in forma

ancora piuttosto superficiale l'anelito delle epoche successive alla

formazione di uno stato unitario che raccogliesse l'intera Mesopotamia o

per lo meno il sud urbanizzato.

Ma i conflitti per il controllo dei canali non esaurivano le azioni di politica

estera delle città mesopotamiche. Oltre ad una fitta rete di commerci che si

estendeva fino ai limiti del mondo mesopotamico e anche oltre, e che

contribuì alla creazione di un'idea di mondo compreso fra il mare superiore

ed inferiore oltre il quale non valeva la pena spingersi, di cui già si è

parlato nell'introduzione, le grandi città del meridione organizzavano di

sovente spedizioni a lungo raggio in Susania e Mesopotamia Centrale. Tali

razzie avevano il compito di raccogliere ingenti quantità di quelle materie

prime difficili da reperire in patria e molto costose da percepire con il

commercio convenzionale45.

Dall'idea di Impero Universale all'Impero Accadico

Con la fine del Protodinastico IIIa si fa sempre più prepotentemente largo

l'idea di un impero universale che raccolga in sè tutto il mondo.

Un altro tipo di unificazione e di accentramento era del resto stato attuato

anche se in un ambito molto diverso.

La città Nippur era infatti unanimamente riconosciuta come la città sacra

per eccellenza, sede del dio supremo Enlil, superiore, in tutto l'alluvio, a

tutte le divinità cittadine. Non c'è da stupirsi quindi se la formazione di

un'ideologia politica di unità universale partì proprio da questo concetto

unificante già presente: il primo dei traguardi ideologici verso l'impero

universale divenne infatti avere l'avallo della santa città di Nippur.

Nel Protodinastico IIIb altri due titoli divengono tappa fondamentale di

questo processo ideologico e politico: il re che aspirasse ad essere il

signore dell'alluvio doveva ricoprire la carica di en di Uruk e lugal di

Kish46.

Osservando il dato storico possiamo dire che la città di Kish già nel

45Lipinski E. 1979, State and Temple Economy in Ancient Near East, Leuven pagg.56546Falkenstein A. 1954, Cahiers d'Histoire Mondiale,Parigi pagg. 784-814

Protodinastico IIIa ricoprì un ruolo di predominanza per quanto esso non si

esercitò mai nelle forme e nei modi dei grandi imperi territoriali delle

epoche successive. Nel Protodinastico IIIb osserviamo già qualcosa di

profondamente differente: Lugalennemundu di Adab si fregia già del titolo

di signore della totalità, per quanto questa sua affermazione vada

profondamente ridimensionata. Difatti è plausibile pensare che egli ebbe

un ruolo egemonico nella fascia meridionale della Mesopotamia ed

esercitò la sua influenza anche sulla Susania, ma il suo potere non si spinse

oltre.

Eppure questo modello ideologico preannuncia il modello reale e ne getta

le basi. Dopo di lui infatti Lugalzaggesi di Umma sottomise Uruk, Larsa,

Umma, Nippur e Lagash intessendo poi rapporti commerciali che

arrivavano fino al Mediterraneo: il confine del mare superiore veniva ora

sfiorato, seppur in maniera ancora prettamente politica e propagandistica.

L'ultimo personaggio della vecchia tradizione politica e che preannuncia le

novità del periodo Accadico è indubbiamente Urukagina di Uruk. Egli,

come sarà per i re accadici, è un usurpatore, ovvero sia non si aggancia alla

antica tradizione dinastica, ed il suo programma propagandistico si rivolge

al popolo. Egli è completamente slacciato dal mondo templare e si propone

come sovrano mortale fra i mortali.

Un uomo nuovo, il cui passato oscuro alimentò leggende e tradizioni molto

successive, è il fondatore della dinastia Accadica, Sargon. Con questo re,

esponente di un nuovo modo di concepire la regalità che vede il palazzo

come unico centro del potere, si apre la stagione dei grandi imperi

territoriali.

Pur essendo originario di quella che sarà la capitale dell'impero, Akkad, la

figura politica di Sargon emerge nel momento in cui egli ricopre la carica

di re di Kish.

Egli, come prima manovra politica e militare, attuerà la completa

sottomissione del sud sconfiggendo Lugalzaggesi arrivando a “lavare le

armi nel mare inferiore”. Sargon si fregia quindi del titolo di signore della

totalità, ma riconosce che il suo controllo reale si estende solo al sud e che

ancora gli si contrappongono l'Elam e Mari.

La seconda fase politica di Sargon è incentrata su di una grande

riorganizzazione economica e territoriale dell'impero. Melukhkha (valle

dell'Indo), Magan (Oman) e Dilmun (Bahrein) vengono collocate in una

rete commerciale che pone al centro dei traffici la capitale Akkad. Le

operazioni militari riprendono e si spingono verso nord attuando la reale

unificazione fino alla città di Tuttul (odierna Ar-Raqqah in Siria) e se pur

le grandi potenze di Ebla e Mari restano indipendenti esse dovranno

dividere le loro risorse territoriali con l'impero sardonico; inoltre il

Mediterraneo e l'Anatolia verranno introiettate nel sistema economico

come già era successo per le estreme regioni meridionali.

Il nipote di Sargon, Naram-Sin, conclude l'opera iniziata dai suoi

predecessori e dopo secoli di gestazione ideologica crea veramente

quell'impero universale che va da mare a mare, riunendo in sè “tutto il

mondo”. Grazie infatti alle precedenti espansioni di Rimush e Manishtutu,

che avevano ampliato l'impero a oriente inglobando anche la parte

occidentale della confederazione elamica, Naram-Sin, in una prima fase

conquisterà la zona del Khabur ed il Medio Eufrate, inoltre imporrà il suo

predominio su tutto l'arco montano dell'Amano, del Tauros e degli Zagros.

La seconda fase espansionistica di Naram-Sin lo spinge alle porte di Ebla e

con la distruzione della grande città siriana il programma di unificazione

dal mare superiore al mare inferiore può dirsi concluso.

Passo decisivo e celebrazione di questo avvenuto sforzo militare e

politico, fu l'autoproclamazione di Naram-Sin come divinità.

L'acquisizione degli elementi divini, seppur osteggiata dal clero Sumerico,

si rivelerà un percorso vincente, caratteristico poi di molti sovrani degli

imperi successivi.

I reperti dello spazio politico

Come si è fatto presente nel corso del presente capitolo, la storia politica

della Mesopotamia del III millennio ha bisogno di essere corroborata da un

corpus di testi tali da ricostruire le vicende caratteristiche di quest'area. Ciò

nonostante, fra i reperti presi in esame in quest'ambito non figurano solo

testi, e se comunque tale categoria fornirà gli esempi più chiarificatori

sulla nozione dello spazio politico, va altresì detto che, alla luce dello

scenario delineato in precedenza anche altri tipi di documenti, talvolta di

contenuto esclusivamente figurativo, possono risultare utili nei termini di

un'analisi più vasta.

Il nostro studio procederà seguendo una direttiva principale di carattere

cronologico, procedendo dal reperto più recente fino a quello più antico.

Tale scelta metodologica è stata effettuata sulla base di considerazioni di

natura tipologica, storica ed infine categoriale. Tipologica in quanto,

essendo i testi i reperti più ricchi di informazioni, si è preferito dare un'idea

di quelle tipologie di reperti storici che hanno permesso di delineare un

quadro preciso della storia politica della Mesopotamia del III millennio e

chiaramente i testi sono i reperti più recenti. Considerazione storica, in

quanto i dati, via via che si procede a ritroso nel tempo, divengono sempre

più nebulosi e diviene necessario formulare ipotesi sempre meno

avvalorate dal riscontro obbiettivo, per questa ragione è bene procedere

tenendo a mente quali siano i reperti che invece portano in sé un bagaglio

sufficiente di informazioni e utilizzarli come linee guida. Infine la

considerazione di carattere categoriale è frutto di semplicemente di una

semplicità di indagine desunta dalle osservazioni sovraesposte e che

diviene comoda ai fini di una comprensione maggiore qual ora si volesse

mettere a confronto il dato esposto con quanto presentato nella prima parte

del capitolo.

Il primo reperto analizzato in questa sede è un frammento di stele in

calcare nota come “Stele di Vittoria” (Scheda 9 Testi). Il reperto, oggi

conservato al Louvre, risale al periodo accadico. La stele è spezzata e

l'iscrizione è frammentaria ma Foster, che ha interpretato il testo, ha

riconosciuto le prove di una confisca di terreni ai danni di Lagash a seguito

di una sconfitta, probabilmente a causa dell'esercito accadico. La stele è un

oggetto particolarissimo per comprendere l'idea dello spazio politico. In

primis essa racchiude in sé stessa il concetto di propaganda, tanto per il

messaggio trasmesso, tanto per il veicolo che trasmetteva il messaggio. La

stele era probabilmente esposta in un tempio affinché i visitatori potessero

osservarla, visitatori che erano cittadini di Lagash e quindi coloro che

avevano subito la sconfitta. In secondo luogo la segnalazione della

confisca di territori su di una stele esposta in un tempio aveva il valore di

registrazione ufficiale: il potere politico si appropiava così ufficialmente, e

religiosamente naturalmente, dello spazio dello città. Tale rivendicazione

si colloca probabilmente nell'ampio progetto di conquista, o controllo di

una città ribellatasi, difficile desumerlo dalla sola osservazione della stele,

effettuato nel sud dall'impero accadico. Altro aspetto interessante, che si

colloca sempre nel progetto di propaganda, è la scelta della lingua della

stele: il sumerico. La stele, esposta a Lagash, era stata formulata e

indirizzata direttamente alla popolazione di Lagash. Lo spazio politico era

stato ufficialmente conquistato.

Proveniente da un'epoca subito precedente, ed ascrivibile in quel

complesso di conflitti che videro impegnate Lagash ed Umma, è il

prossimo reperto del catalogo (Scheda 15 Testi). Anche in questo caso

siamo in presenza di un testo, in questo caso iscritto su di un cono di

argilla. Risale al 2400 a.C. e proviene da Lagash. Nell'ambito di una

visione complessiva del conflitto fra le due città purtroppo il testo non

contribuisce di molto essendo ancora una volta un testo di parte e che non

ci permette di conoscere il vero punto di vista della città di Umma. Se da

una parte il testo non aggiunge nulla alla lunga tradizione di accusa nei

confronti dei sovrani di Umma di aver peccato di tracotanza nei confronti

degli dei e dei sovrani di Lagash, d'altra parte ai fini della nostra ricerca,

questo reperto si rivela fondamentale. Lo spazio politico infatti è il vero

protagonista del racconto e svolge molte funzioni che ora andremo ad

elencare. Il brano si apre proprio con una definizione dello spazio che è

religiosa solo in apparenza: si fa menzione del dio Enlil che in principio ha

fissato il confine fra Ningirsu (divinità tutelare di Lagash) e Shara (sua

controparte di Umma). Si fa menzione dello spazio politico delle due città,

ponendo questo momento come un punto di partenza fondamentale, dando

implicitamente per assunto che esista uno spazio assoluto per ogni città

che sia stato definito ab origine. L'elemento divino e mitico però viene

mitigato e al contempo corroborato da quello umano e politico: Mesalim,

re Kish misura il campo che divide i territori delle due città e ne stabilisce i

confini. Ancora una volta osserviamo la presenza del re di Kish come

arbitro di una disputa, ed in questo caso addirittura come responsabile

della creazione di un confine, a riprova del ruolo egemonico di questa città

in questo momento storico. Lo spazio politico è per il momento una

premessa fondante ma diviene subito il simbolo delle relazioni fra le

diverse entità politiche se, qualche rigo dopo, troviamo indicato che il re di

Umma, nel momento in cui decide di marciare verso Lagash “strappa le

pietre di confine”. Quello che possiamo desumere da una simile

descrizione è che lo spazio politico, come quello mitico, si basa su una

serie di regole interdipendenti: il cambiamento di una di queste regole

richiede uno stato di caos, quindi le pietre che sancivano i confini stabiliti

un tempo, andavano rimosse. Inoltre, proponiamo in questa sede, che l'atto

di strappare le pietre avesse un carattere ufficiale, una vera e propria

consegna dell'atto di dichiarazione di guerra: il re attaccante non

riconoscendo più quei confini strappava la pietra per comunicare questa

sua posizione al suo avversario.

Seguendo il filo del racconto, al termine di questo primo conflitto,

troviamo lo spazio politico in una veste nuova. Fra le due città è stato

infatti posto un terreno di 1290 metri “concepito (come) un campo senza

proprietario”. Una terra di nessuno. E' chiaro che una simile

classificazione esula dall'ambito religioso (che considera ogni territorio

assegnato ad una divinità) ed è completamente immersa in un'utilità

politica la creazione di una zona “cuscinetto” fra due aree calde. Il confine

politico però, anche in questo caso, si dota della sua controparte religiosa

anche se la funzione cultuale è solo apparente. Lungo il confine infatti i re

di Lagash dichiarano di aver costruito dei santuari. In quest'ambito non va

dimenticato che i templi erano poli economici e non deve essere un caso

che il re di Umma, sempre a detta dei re di Lagash riprende le ostilità per

un mancato pagamento di un debito e non a caso il primo bersaglio della

sua attività bellica sono proprio i templi di confine. La collocazione

strategica dei templi coincideva con la creazione di una rete economica sul

territorio e la loro distruzione vuol dire scardinare tale struttura. Infine il

cilindro assolve un'importante funzione propagandistica, tanto nel corpo

centrale del testo, dove Umma presentata sempre come tracotante e mal

guidata, quanto nella conclusione, dove le maledizioni sono tutte rivolte a

chi oserà violare lo spazio politico della città, i campi intorno da essa

controllati. L'appropiazione di un terreno da parte di un sovrano aveva,

abbiamo visto, una triplice natura: personale, in quanto il re si poteva

fregiare dell'acquisizione di un nuovo territorio; religiosa, in quanto il

campo entrava a far parte dei “domini del dio” come il resto della città;

pubblica, in quanto la città allargava i propri territori e le risorse di quel

terreno divenivano un bene fruibile per tutta la popolazione. Abbiamo

anche osservato le forme dell'acquisizione politica di un territorio: la

semplice conquista o la confisca a seguito di vittoria militare. Il reperto

che segue ci permette di analizzare una nuova forma di acquisizione di

terreno da parte del potere centrale. Si tratta di una tavoletta iscritta

(Scheda 7 Testi) proveniente da Lagash e risalente al 2500 a.C. ca. La

struttura di questa tavoletta e la sua morfologia sono quelle di un classico

“antico kudurru”, così come abbiamo esposto nel capitolo relativamente

allo spazio amministrativo. Ciò che rende differente questo reperto è uno

dei due acquirenti del terreno, in questo caso il re di Lagash. Il sovrano

quindi, come strumento di acquisizione politica, poteva sfruttare anche le

norme di transazione economica usate dai singoli cittadini. Purtroppo il

testo non ci da sufficienti informazioni affinché si possa comprendere quali

siano le premesse di questo acquisto. Non sappiamo se la vendita è legata

al pagamento di un debito, ascrivibile a quel processo di progressivo

indebitamento della classe contadina esposto nel capitolo 3, o se invece si

tratti di una sorta di donazione. Quello che è interessante notare è che il re,

aldilà della semplice indicazione del titolo di re, è collocato nel contratto

esattamente con un qualsiasi acquirente su un qualsiasi kudurru, in questo

caso è anche affiancato da un certo Sidu che non è presentato con titoli

particolari. Ciò sta ad indicare, che almeno da un punto di vista formale, e

per questo tipo di acquisizione politica, il re non era diverso da un altro

cittadino. Continuando il nostro percorso a ritroso nel tempo ci lasciamo

alle spalle il mezzo scrittorio ed affrontiamo il primo reperto di

quest'ambito che richiede un'interpretazione più ancorata a quanto desunto

fino ad adesso che non al dato obbiettivo. Si tratta di un sigillo ritrovato

ad Ur e risalente al 2900 a.C. ca. (Scheda 1 Immagini e Testi).

L'immagine in esso rappresentata è piuttosto complessa e racchiude una

serie di rappresentazioni caratteristiche dell'arte glittica: in alto a destra

troviamo le capanne con le corna, segno evidente del santuario, in basso a

destra due uomini, l'uno di fronte all'altro intenti in una qualche attività,

una struttura complessa, forse un portale o un palazzo sormontato da

alcune figure umane, ed infine una grossa capanna alle cui spalle si

intravedono altre strutture. Sotto la capanna, o per meglio dire avvolto da

essa, si trova un simbolo molto particolare. Si tratta di un cerchio diviso in

quattro parti da quattro coni rivolti il centro. Legrain propose nel 1936

un'interpretazione che se non è stata più corroborata da nuove ricerche

d'altra parte non ne è stata neanche smentita. Pose in relazione questo

simbolo, che riferì essere riportato anche su altri reperti nello stesso scavo,

con logogramma sumerico UB, e si riferirebbe ad un potere “che si estende

ai quattro angoli del mondo”. Se tale interpretazione fosse valide si

sarebbe trovata una traccia di quel concetto ideologico-spaziale di

controllo del mondo che si crede originatasi o comunque consolidatosi in

età protodinastica II, in un periodo di molto precedente, addirittura nel

Jemdet Nasr. Considerando poi che tale periodo è un momento di grande

recessione politica ed economica, la tentazione di collocare la

formulazione di tale concetto, sempre considerando corretta

l'interpretazione di Legrain, che comunque andrebbe riconfrontata con le

odierne conoscenze in materia, in età Tardo Uruk, quando cioè la struttura

politica centralizzata era tale da giustificare una simile elucubrazione

politica, è piuttosto forte. Di sicuro il reperto è molto interessante poiché in

ogni caso mostra una rappresentazione dello spazio, fatta di elementi

compositi, completa. La città è rappresentata infatti come un'insieme di

elementi fondanti e fondamentali. Tutte queste parti, che concorrono a

creare il tutto, sono il tempio, il palazzo, le abitazioni, ed è probabile che

nella mente dell'osservatore mesopotamico questo sigillo richiamasse

immediatamente il concetto di città. A ciò si aggiunga che Legrain

interpretò tre segni appena accennati nelle torri rappresentate, ma anche

questa interpretazione andrebbe sottoposta a nuove e approfondite analisi,

come gli ideogrammi DUL, AB e UNU, tutti tre utilizzati di norma, nelle

epoche successive, per indicare nomi di città o di edifici dalle funzioni

abitative o più genericamente sociali.

Il prossimo reperto è di tutt'altra natura per quanto morfologicamente

affine a quello presentato in precedenza. Si tratta ancora di un sigillo in

pietra e risale al 3000 a.C. ca. (Scheda 24 Immagini) In questo manufatto

proveniente da Ur troviamo una tipica rappresentazione di uomini posti di

profilo intenti in un'attività di natura economica, in questo caso la cura di

alcuni bovini. Il disegno è molto schematico e ci si potrebbe chiedere

come mai esso non sia stato trattato nel capitolo relativamente allo spazio

amministrativo o tralasciato essendoci nel catalogo altri pezzi

rappresentativi della categoria. Ciò non è stato fatto perché, pur nella sua

semplicità, il reperto presenta una caratteristica molto importante: mentre

gli uomini sono posti su delle strutture accennate da 3 linee parallele la cui

interpretazione è molto difficile, i bovini sono localizzati sulle montagne, o

per meglio dire sulla canonica rappresentazione mesopotamica delle

montagne, ovvero sia la successione schematica di dunette sovrapposte. Le

osservazioni da fare sono molte. In primis si noti come solo i bovini sono

posti sui monti ma non gli uomini, e alla luce di quanto esposto nei capitoli

precedenti ciò non ci stupisce, in quanto un abitante dell'alluvio

mesopotamico difficilmente avrebbe potuto identificarsi con un abitante

delle montagne. Ciò nonostante la relazione con i bovini è lineare e non

disturbata da tale differenza di base, sottostante. Nel nostro catalogo,

nell'ambito mitologico, abbiamo già incontrato reperti nei quali un dio si

rapportava alla montagna, ma ciò che osserviamo qui è differente, non è un

dio ma il semplice uomo rappresentato in maniera stilizzata, quindi l'uomo

“generico”, che si rapporta ai bovini. Bovini sono che sono rappresentati

volutamente su di una montagna. Sarebbe quindi possibile ipotizzare che il

reperto segnali la volontà, da parte dell'autore, di mostrare come le attività

della comunità, in questo caso la cura dei bovidi, si estendesse fin sopra le

montagne, riallacciandosi al concetto religioso di centro ordinato che

sottomette la periferia caotica. Una simile rappresentazione, se tale ipotesi

è corretta, esula dall'ambito religioso, pur derivandone, divenendo atto

politico comune di rivendicazione di uno spazio, in questo caso, la

montagna.

L'ultimo reperto analizzato in questo capitolo è sempre un'impronta di

sigillo e risale al periodo Tardo Uruk (Scheda 21 Immagini). Proviene da

Jebel Aruda e mostra la facciata di un tempio, rappresentata secondo il

canone della decorazione a sporgenze e rientranze. Sopra di esso si

distingue la figura di un uomo che indossa la tipica gonna sumerica. La

possibilità che tale reperto rappresenti non un luogo dello spazio religioso

ma dello spazio politico è data dal periodo a cui essa risale. In questo

momento storico è il tempio il centro del potere e l'Ensi il sovrano della

città. Altra caratteristica è che, seppur il sigillo è frammentario sembra

chiaro che la figura sia solitaria e quindi non si tratti della tipica

rappresentazione di uomini intenti in attività produttive e potrebbe trattarsi

proprio della rappresentazione dell'ensi (o en) associato al luogo centro del

suo potere. Un'altra caratteristica interessante è il simbolo posto di lato al

tempio. Esso è piuttosto frammentario ed è stato interpretato come uno

stendardo dotato di riccioli laterali da Van Driel. In questa sede però

proponiamo un'interpretazione differente. Gli stendardi a riccioli laterali

infatti, talvolta rappresentati lateralmente a templi o palazzi sono dotati

sempre di riccioli da ambo le parti ed in questo caso invece il ricciolo è

presente solo da un lato (difatti tale parte del sigillo si è conservato ed è

rovinata solo la parte inferiore dello “stendardo”) inoltre esso

rappresentato in solitario senza alcuna associazione con il terreno, quasi

fosse sospeso, un simbolo per la precisione. Confrontando tale immagine

con reperti più recenti, tale simbolo è presente molte volte su molte

rappresentazioni come un dono che gli dei fanno al sovrano, o come

“scettro” retto dal sovrano stesso, in funzione di simbolo del comando

(Stele di Susa con il dio Shamash; Stele di Un-Nammu ricostruzione del

museo di Philadelphia; Codice di Hammurabi ) . L'interpretazione di tale

simbolo è ancora controversa anche se è stato proposto che si tratti proprio

di un mezzo di misurazione il che starebbe ad indicare che la definizione

dello spazio pubblico, e quindi politico, è la caratteristica principale del

sovrano, sia stato esso investito di tale compito dalle divinità o per diritto

di nascita [per questa parte devo consultare ancora il biblico e controllare

bene delle cose aggiungerle] . Se tale interpretazione di questo sigillo

dovesse rilevarsi esatta essa celerebbe la più antica rappresentazione di un

sovrano che rappresenta se stesso con i luoghi del potere (il tempio) ed il

simbolo del potere stesso (lo “scettro”).

Capitolo 5

Spazio geografico nella Mesopotamia del III millennio a.C.

Il presente capitolo chiude questo elaborato, configurandosi come l'ultima

parte di questo progetto di ricerca. Esso però non si tratta di una semplice

chiusura bensì si presenta come la parte più complicata, e probabilmente

interessante, del lavoro. In essa, infatti, dovranno confluire i dati, le teorie,

gli studi, raccolti nei capitoli precedenti e dovranno contribuire alla

formulazione di una amalgama coerente che tenga presente di quanto

esposto e non esuli mai dal dato ma da esso parta e ad esso ritorna. Anche

per questo nel corso del capitolo verranno presentati ancora altri reperti, i

quali, per la loro specifica natura non sono stati ascritti né all'ambito

religioso, né a quello amministrativo, né a quello politico ma

specificatamente all'ambito geografico. Già nei capitoli precedenti

abbiamo affrontato il problema della definizione di spazio geografico e

anche dal confronto con il presente ci siamo resi conto che se non è

impossibile è sicuramente un concetto complesso composto da poliedrici

elementi: geografico è lo studio del territorio e degli elementi antropici che

lo occupano, lo trasformano, lo reinterpretano; geografico è anche lo

studio delle relazioni fra le varie entità sociali (siano esse città, regioni,

stati o continenti) che si distribuiscono sul territorio, così come geografico

è lo studio delle risorse e dei modi sviluppati dalle comunità dell'area per

sfruttarle. Geografica è l'immagine del mondo che ogni uomo ha nel

momento in cui si colloca nello spazio. Se è vero che l'idea geografica è

composta da elementi molto diversificati, va anche detto che essa si

caratterizza da nozioni che producono, pur nella sua complessità,

un'immagine lineare e coerente. Facciamo due esempi in ambito

macroscopico e microscopico con il mondo moderno e cerchiamo di trarre

conclusioni che si rivelino utili per il nostro studio. In ambito

macroscopico si prendano in esame un'immagine tridimensionale della

terra, come può essere quella prodotta da software come google earth, una

piantina politica di un atlante degli anni 80 del secolo scorso e un tabellone

di Risiko. Un osservatore moderno non solo riconosce tutte le regioni su

tutte le mappe, ma riesce ad individuare numerose corrispondenze. Eppure

le tre mappe pur rappresentando la stessa cosa sono molto differenti tra

loro sia per la loro funzione, che per il supporto che, naturalmente per la

tecnica di riproduzione usata: la mappa in 3d ricerca una fedele

rappresentazione della Terra, inseguendo un effetto di mimesis che però

non la esula da modifiche di carattere culturale e pratico: la Terra è

rappresentata come una sfera e non come un geoide per motivi di carattere

pratico legati alla gestione del software e i territori risultano quindi

leggermente modificati di conseguenza inoltre i programmatori non hanno

resistito alla tentazione, questa volta di carattere culturale, di porre sempre

al centro, al momento dell'accensione il Nord America. Può sembrare una

banalità ma nel momento in cui ci spostiamo alla cartina degli anni 80 ci

rendiamo conto di come, un punto di vista formale stabilito, influenzi

notevolmente la rappresentazione laddove il supporto non possa garantire

la stessa “elasticità” del supporto informatico. Essendo la cartina centrata

sull'Europa osserviamo come, per ottenere una rappresentazione veritiera

di questa regione, si attui una necessaria deformazione dei territori

all'estremità della mappa risultato non di un'ignoranza in materia, ma dello

schiacciamento del geoide su di una superficie piana. Il risultato è quindi è

un'Oceania ed un Sud America che sembrano vorticare verso un

supercontinente creato da questa deformazione: l'Antartide. Anche la

Groellandia risulta risulta innaturalmente grande e schiacciata. E

naturalmente ci sono i colori, che occupano un ruolo fondamentale in una

piantina politica: il blocco sovietico è rappresentato sempre in tonalità

simili mentre i paesi della Nato e quelli dei Non Allineati con altri colori,

spesso di tonalità opposte (la soluzione più adottata è rosso l'uno e azzurro

l'altro). A colpo d'occhio, ignorando deformazioni e imprecisioni, un uomo

moderno raccoglie tutti i segnali politici, geografici e culturali della

cartina. Ci spostiamo ora al tabellone di Risiko il quale è il forse il vero

trionfo della mentalità geografica: la mimesis infatti qui non è ricercata, in

quanto non è questa la funzione del tabellone, quindi l'idea geografica è

conservata in nuce, ovvero sia, per i suoi elementi fondanti. Osserviamo

allora che nonostante in questo caso non sia necessaria una reale

corrispondenza con l'estensione dei territori la Groellandia è comunque

immensa e schiacciata segno che l'idea Geografica si è oramai radicata e

anche quando lo scopo della rappresentazione muta essa risente comunque

del suo sostrato. Anche se questa digressione può sembrare prolissa

proprio la scelta del tabellone del Risiko non è casuale e ci torneremo

quando analizzeremo una tavola da gioco di età neosumerica. Dal

macroscopico al microscopico. Consideriamo un cartello, il disegno di un

bambino e una possibile foto scattata ad una casa in una delle nostre città.

E' interessante osservare come l'idea dello spazio, specialmente quello

nucleare come può esserlo una casa, perduri nel tempo e resista a

variazioni di carattere storico anche per molto tempo prima di venirne

modificato. Se osserviamo una tipica abitazione urbana o rurale moderna

essa non rassomiglia per niente, se non in taluni casi specifici, alle tipiche

case europee con tetto spiovente, a un piano. Ciò nonostante la

rappresentazione tipica di una casa da parte di un bambino è proprio quella

della casetta con tetto, di solito rosso, che richiama le tegole, un piano o al

massimo due, segnalato dalle finestre appena accennate e intorno un

elemento che caratterizzi lo spazio circostante, che dia il senso del fuori:

che sia un prato o un albero o un fiore, difficilmente la casa fluttua nel

vuoto del foglio, essa è sempre collocata nello spazio. Come una forma

può persistere per ragioni culturali, allo stesso modo può essere scelta per

la sua capacità intrinseca di richiamare, nell'occhio dell'osservatore, un

simbolo. In questo modo se in un bosco troviamo un cartello che

rappresenta, stilizzata in poche linee nere, la sagoma di un quadrato

sormontato da un triangolo e con qualche piccolo rettangolo inscritto nel

quadrato, sappiamo per certo che siamo in prossimità di un rifugio: non

importa che esso abbia realmente quella forma, né l'osservatore lo

pretende, quel che conta che il simbolo della “casetta” ha richiamato

automaticamente alla mente il modello di casa/riparo/rifugio/ostello. Oggi

come nel III millennio a.C. lo spazio geografico è il frutto di un'insieme di

elementi che come abbiamo visto compongono ancora oggi questo vasto

ambito della cultura umana. Considerando questi esempi sarà ora forse più

chiara la scelta di presentare prima separatamente le relazioni fra lo spazio

e il mito, la politica e l'amministrazione, per poi analizzare solo ora lo

spazio nel suo insieme. Prima di fare ciò verranno presi in esame i reperti a

carattere strettamente geografico che concluderanno la nostra raccolta.

Quindi seguirà una scomposizione dello spazio in termini modulari e

concatenati, cercando di ricostruire l'immagine mentale che avevano

presente i mesopotamici del III millennio nel rapportarsi ai concetti di

mondo, regione, città, casa.

Lo Spazio Geografico e i suoi documenti

Nel corso del presente lavoro abbiamo analizzato numerosi reperti raccolti

nel nostro catalogo e tale analisi va tenuta presente ora che ci si spinge

verso quei documenti considerati utili esclusivamente per la ricostruzione

dello “spazio” in quanto tale. Senza tale considerazione i reperti di seguito

esposti apparirebbero incompleti e non esaustivi. Nel presente paragrafo

essi verranno esposti dal più antico al più recente e dal più semplice al più

complesso. Pur considerando che questi reperti sono dei campioni di

categorie assai più ampie, è forte la tentazione di immaginare uno

sviluppo della rappresentazione dello spazio che vada dal semplice al

complesso. Tale procedimento è, alla luce delle nostre attuali conoscenze,

azzardato, e probabilmente conviene non sbilanciarsi nell'interpretazione

della caratterizzazione del fenomeno analizzato. Simili errori sono stati

fatti nell'interpretazione dell'arte preistorica e medievale ed è bene fare

tesoro degli errori passati.

Il primo reperto che analizziamo è un'impronta di sigillo (Scheda 2

Immagini) proveniente da Ur e risalente al 3100-2900 a.C.. In essa è

rappresentata una capanna. La capanna è il nucleo centrale dello spazio, in

essa si trova la famiglia, il nucleo centrale della società, e rappresenta

anche il primo nodo della rete economica che converge poi al tempio. In

questa immagine la capanna è rappresentata di faccia, ed è disegnata la

sagoma curva delle canne che ne compongono la struttura. Al centro della

facciata si nota una struttura che si potrebbe interpretare molto

semplicemente come la porta della capanna. Legrain propose però

un'ipotesi più suggestiva, del resto mai smentita da studi successivi.

Basandosi sull'osservazione delle capanne di canne che sorgevano ancora

in Iraq nei pressi dello scavo archeologico da lui svolto, dedusse che

quello rappresentato non era la porta della capanna ma il tetto a cassettoni.

Come se gli elementi prospettici fossero stati osservati entrambi di faccia,

smontati dal loro contesto e rimontati insieme. Se tale teoria fosse vera, ma

purtroppo ricordiamo non sono stati fatti nuovi studi a riguardo, in quel

piccolo sigillo si celerebbe un'intuizione “picassiana”.

Cilindro invece che probabilmente mostra il portale della capanna/tempio

nella facciata della stessa, è quello considerato di seguito ( Scheda 3

Immagini). Nel reperto, ascrivibile allo stesso periodo di quello

precedente, osserviamo, di fianco alla struttura, accovacciato, un uomo

probabilmente intento in una qualche attività lavorativa. Come è facile

osservare tale reperto non è molto dissimile da altri che abbiamo già

analizzato in precedenza e viene preso in considerazione proprio per

questa ragione. Esso infatti è qui a modello di una categoria, quale è quella

dei sigilli che mostrano un'attività lavorativa in rapporto all'edificio

templare (in questo caso segnalato dalla presenza delle due volute sul

soffitto della capanna), che vuole essere qui osservata in un'ottica

prettamente semantica e geografica. Abbiamo già esposto nel capitolo 1 il

concetto di centro e periferia e di asse orizzontale, quel principio cioè, che

in un gioco di cerchi concentrici, mette in relazione il tempio con la città,

la città con la campagna, la campagna con la periferia, la periferia con le

lontane terre ignote. Il tempio è il centro di tale asse, nonché punto di

congiunzione fra l'asse orizzontale e quello verticale. Se mai si dovesse

avere un dubbio sulla tesi di asse orizzontale non bisognerebbe fare altro

che osservare la categoria di reperti a cui il sigillo, ora esaminato,

appartiene: in queste rappresentazioni il tempio è sempre il centro della

scena e da esso, mai contrapposto ad esso o verso di esso, partono uomini

e animali quasi come se il reale stesso venisse propagato dal tempio. Certo,

una volta “fuoriusciti” dal tempio uomini e animali possono disporsi

liberamente ma il momento dell'uscita o comunque della relazione di

dipendenza è sempre reso in maniera chiara: come in quest'immagine, essi

danno le spalle al tempio, in quanto se lo sono appena lasciato alle spalle.

Passando a reperti più recenti (e quindi ascrivibili al periodo Jemdet Nasr)

il concetto non perde la sua forza propulsiva ma anzi viene rafforzato in

reperti come i due sigilli del nostro catalogo (Schede 22 e 25 Immagini)

che se differiscono per un aspetto sono uniti al contempo dalla resa del

rapporto con lo spazio del tempio. In essi ci vengono mostrati due templi

molto diversi, sia nella struttura architettonica che nella resa stilistica.

Eppure entrambi i sigilli mostrano una teoria di bovini che riempono la

scena su due fasce. I bovini marciano ordinatamente in una direzione

slegata da qualsiasi elemento geografico, eppure, nella fascia inferiore si

vede chiaramente il tempio (nella scheda 22) o i templi (nella scheda 25)

dai quali i bovini escono; concetto reso con molta forza e semplicità con la

rappresentazione dei mezzi busti dei bovini seduti che si affacciano dalla

struttura templare.

Rimanendo ascritti al periodo subito precedente all'inizio del cosiddetto

protodinastico osserviamo ora ora un reperto proveniente dal cimitero

reale di Ur (Scheda 19 Immagini). Si tratta di un manufatto molto piccolo

(2,9 cm) e destinato ad un pubblico di elitte: è una placchetta in conchiglia

sulla quale sono state tracciate delle dunette disposte su tre file. Per meglio

esaltare la forma stessa di queste piccole curve e, come noi crediamo, per

meglio definire cosa esse indicassero, la fila centrale è stata colorata di

nero ed il bordo di rosso. Quando Wolley lo trovò all'inizio del secolo

scorso, interpretò il disegno come una rappresentazione schematica di una

scala. Alla luce invece degli studi attuali, non puntuali sul reperto che

come molti altri reperti del nostro catalogo sembrano essere stati ignorati

dalle grandi pubblicazioni, e dall'osservazione di tutti gli altri reperti del

nostro catalogo siamo spinti a credere invece che siano rappresentate le

montagne. Le stesse montagne così fondamentali nell'ambito religioso e

politico, e così schematiche e canoniche nella rappresentazione, non solo

nel III millennio ma per tutta la storia della cultura Mesopotamica,

un'immagine così' ricorrente e standardizzata che anche noi, dopo aver

preso visione di molti reperti riconosciamo immediatamente le montagne.

Ecco un caso di riuscitissima formazione e sopravvivenza di un'idea

semantica geografica.

Il prossimo reperto è un'anomalia dal punto di vista della ricerca

archeologica di periodi storici in quanto appartiene ad una categoria spesso

non considerata o comunque sottovalutata nell'ambito della ricerca per

questi periodi. Si tratta infatti di un vaso (Scheda 23 Immagini) risalente

sempre al periodo Jemdet Nasr, e il fatto che esso sia l'unico reperto di

questa categoria della nostra raccolta è dovuto non ad una scelta

intenzionale o ad un appiattimento su metodologie pregresse ma è

piuttosto la dimostrazione di quanto povera sia la storia degli studi a

riguardo. Non sono infatti stati rintracciati studi che mettano in relazione la

pittura vascolare con la produzione artistica della glittica o l'architettura

dell'epoca a cui il vaso si riferisce, quasi come se due civiltà differenti

producessero i grandi monumenti, la documentazione scritta da una parte,

e i vasi dall'altra. Per questo reperto è stato quindi adottato un metodo

sperimentale che tende a trattare la pittura vascolare e le sue forme come

quelle degli altri reperti. Lungo la parte superiore del reperto si dispone

una fascia dipinta, in essa troviamo varie fasce con motivo intrecciato

intervallate da punti vuoti o in alcuni casi con linee ondulate. In uno degli

spazi vuoti troviamo rappresentato un animale, forse un uccello, in un altro

un segno che sembra il risultato di un triangolo posto su di un altro

triangolo sormontato da un rettangolo, sempre di un motivo intrecciato.

Proprio questa immagine potrebbe essere interpretata, anche secondo

Lloyd, come un portale. Alla sua considerazione in questa sede ne

vogliamo aggiungere un'altra nata dal confronto con gli altri reperti: la

rappresentazione a intrecciata sembra richiamare l'incannucciato delle

capanne rappresentato di sovente nella glittica. Se questa considerazione

fosse esatta, nella parte alta di questo vaso avremmo una rappresentazione

di una capanna con le pareti ed il portale. A questo punto resta comunque

difficile l'interpretazione delle linee ondulate o degli animali rappresentati

in alcuni spazi vuoti, anche se essi potrebbero assumere un senso se si

considerasse che la capanna sia rappresentata dall'interno e quindi gli

animali sono collocati all'esterno e visti dall'interno e le linee ondulate

siano una qualche forma di decorazione. Naturalmente, allo stato attuale

delle nostre conoscenze, questa è solo una congettura.

Con il reperto successivo abbandoniamo il periodo Jemdet Nasr

spingendoci al 2600 a.C. Abbandoniamo anche l'accidentato ambito delle

immagini e della loro interpretazione con il seguente reperto che si ascrive

ad una categoria della rappresentazione dello spazio più puntuale e più

pratica. Si tratta (Scheda 23 Testi) della prima tavola metrologica nota. La

tavoletta si compone di un lungo elenco di unità di misura tenendo conto

dei vari rapporti di uguaglianza, naturalmente sempre secondo il sistema

sessagesimale tipico delle unità di misura mesopotamiche. Questo

documento è fondamentale in quanto svolge, nello studio e nella

percezione dello spazio, lo stesso ruolo svolto in ambito linguistico dai ben

noti dizionari bilingui. In questo caso i rapporti di uguaglianza e

similitudine sono considerati con le varie unità di misura lineari. Lo stesso

reperto ci permette di introdurre un piccolo sunto delle unità di misura in

uso in Mesopotamia così come sono state riassunte nel lavoro di Robson47.

Naturalmente in 3 millenni di storia mesopotamica queste misure non

coincidono sempre con gli stessi valori e quelle riportate sono quelle più

antiche:

1 grosso dito: 3,1 cm

1 cubito-arà, equivalente a 24 “grosse dita”: 75 cm.

1 asta, equivalente a 12 cubiti: 9 m

1 asta moltiplicata per un'asta equivale a 1 sar: 81mq

1 ubu equivale a 50 sar: 0,4 ettari

1 iku equivale a 2 ubu: 0,81 ettari

1 eše equivale a 6 iku: 4,86 ettari

1 bur equivale a 3 eše o 18 iku: 14,6 ettari

1 šar equivale a 60 bur: 875 ettari

1 qŭ: 270mq

1 sŭtu equivale a 10 qŭ: 0.27 ettari

47 Eleonor Robson Matematics in ancient Iraq, 2008, Princenton pagg. 295-296

1 pànu equivale a 6 sŭtu o 2 iku: 1,62 ettari

1 kurru equivale a 5 pànu o 10 iku: 8,1 ettari.

Lo spazio che si desume da questo documenti, e dagli studi di Robson, è

uno spazio standard, puntuale, uno spazio che sia fruibile da tutti nella

stessa maniera e archiviabile in maniera certa. L'importanza di simili

documenti può essere percepita solo considerando l'impatto che ha avuto

sul mondo contemporaneo l'introduzione del sistema metrologico decimale

standard.

L'ultimo reperto analizzato in questa categoria è forse il più importante

dell'intero catalogo poiché in esso lo spazio geografico viene riassunto,

reinterpretato e reso sotto forma di mappa producendo un documento che

si colloca a metà strada fra la mimesis spaziale e l'ideologia geografia: si

tratta della cosiddetta mappa di Nuzi (Scheda 9 Immagini e Testi). Questo

fondamentale reperto venne ritrovato nel 1930 a Gar-Sur vicino Harran a

200 miglia a nord di Babilonia. Si tratta di una piccola tavoletta di argilla

quadrangolare di 7cm nella quale è riportata una raffigurazione schematica

di un territorio. Di esso si riconosce la sagoma di un fiume che dal bordo

in alto a destra della tavoletta discende diagonalmente dividendosi in due

rami, il primo prosegue quasi parallelo al bordo destro, il secondo invece

procede orizzontalmente diramandosi infine sul limite del bordo sinistro in

altri tre rami. Sia in alto a sinistra che in basso a sinistra il territorio

rappresentato è delimitato da due catene montuose. Tutta la

rappresentazione è arricchita da didascalie indicative che ci permettono di

assegnare dei significati precisi alla zona rappresentata, fra cui i 3 punti

cardinali indicati ai margini della tavoletta. Lungi dall'essere la prima

mappa vera e propria con rappresentazioni grossomodo veritiere degli

elementi geografici, si pensi all'antichissima mappa di Catal Hoyuk

risalente al 6400 a.C.48, è sicuramente un reperto unico per la Mesopotamia

del III millennio che precede le ben note mappe del I millennio prodotte in

ambienti Assiri e Babilonesi. Le didascalie ci informano che l'area al

centro della mappa si estende per 354 iku ed è di proprietà di un certo

Azalan49, difficile dire se si tratti di una persona o di un dio poliade.

L'angolo in alto a sinistra riporta una didascalia, l'unica che riporta un

toponimo che sia stato riconosciuto: Mashken-dur Ibla50; le altre iscrizioni

simili sono quasi tutte illeggibili ma quelle inscritte nei cerchi sembrano

possano essere riferite a delle città51. Il fiume mostrato è probabilmente

l'Eufrate rappresentato mentre confluisce in un mare/lago nell'area nord

48 Mellaart, J, 1998 Çatal Hüyük: the 1960’s seasons, in Ancient Anatolia: fifty years work by the British Institute of Archaeology at Ankara (ed R Matthews), 35–41 (London: British Institute at Ankara).

49Bogrow, L. 2009, The History of Cartography, Harward, pag. 3150Freedman, N. 1977, The Nuzi Ebla in Archeology of Moab Biblical Archeologist n°72 pagg. 104-110

51Brown, L. 1979 The Story of Maps, Dover, pagg. 33-37

della Mesopotamia con un delta trilobato; in alternativa esso potrebbe

essere associato al Wadi Harran, un tributario dell'Eufrate52. Questo reperto

è fondamentale per due ragioni. La prima è che rappresenta un'importante

documento storico che può contribuire alla localizzazione di toponimi

geografici antichi in una realtà cartografica attuale. La seconda è che ci

mostra come, parallelamente ad una gestione ed una rappresentazione

dello spazio soggetta a dettami prettamente ideologici e simbolici, esisteva

una produzione geografica per noi, ad un livello di lettura più semplice si

intende, più comprensibile, una rappresentazione dello spazio che per la

lunga tradizione antecedente (la già citata mappa di Catal Hoyuk) fino alle

odierne rappresentazioni, sembra essere iscritta nella naturale percezione

dello spazio di ogni uomo.

Geometria e Spazio

La geometria, nell'accezione moderna del termine, direttamente

discendente da quella greca, indica la “misurazione della Terra”, quella

scienza cioè che riconduce lo spazio fisico ad elementi matematici e

trasformandole in forme astratte permettendo poi di trasferire le stesse

forme astratte nella realtà fisica. Oggi si è soliti considerare che la

52Harley, J.B. 1992 The History of Cartography, Volume I, Chicago, pagg. 113-115

geometria sia stata inventata proprio in ambito sumerico in relazione alla

gestione dei campi arati53 anche se in questa sede ci sembra lecito proporre

cautela a riguardo e probabilmente scoperte successive dimostreranno

come la formalizzazione di una geometria se non canonizzata sicuramente

condivisa va fatta risalire agli albori della civiltà neolitica, quando cioè la

relazione con lo spazio, e la gestione dello stesso, cambia radicalmente. La

nascita della geometria in Mesopotamia e della resa dello spazio in

maniera geometrica è probabilmente legata alla nascita della matematica o

per lo meno alla sua formalizzazione in età Tardo Uruk. A riguardo ci

sembra doveroso fare una piccola digressione sulla matematica

mesopotamica. I numeri sono sempre stati facilmente riconoscibili nelle

tavolette del III millennio poiché sono scritti in maniera radicalmente

diversa; difatti essi venivano incisi con uno stilo ricurvo inoltre essi

mantengono le stesse forme, a differenza della scrittura vera e propria, per

secoli. Assai più difficoltosa è stata per molti anni la loro interpretazione in

quanto essi non sembrano avere gli stessi valori in tutti testi: per spiegare

tale apparente irregolarità sono state proposte differenti teorie fino ad

un'incapacità cronica dei matematici del III millennio a gestire calcoli

complessi. In realtà il lavoro di Nissen, Damerow ed Englund ha spiegato

53 Boyer, C. B. A History of Mathematics, 2nd ed. rev. by Uta C. Merzbach.1991 New York

che tali differenti sostanziali e non formali sono spiegabili se si considera

che gli stessi simboli venivano utilizzati per differenti sistemi matematici54.

Nella Mesopotamia del III millennio infatti sono stati identificati diversi

sistemi matematici, sessagesimali, decimali e misti, utilizzati in diversi

ambiti. I cosiddetti sistemi S1 ed S2, sessagesimali, utilizzati per il

conteggio delle pecore, degli animali e per tutte le merci di natura animale.

Il sistema bisessagesimale B per il calcolo dei cereali e il sistema

bisessagesimali B2 per il calcolo delle merci ittiche. Il sistema DUG per il

calcolo delle quantità di latte e i quattro sistemi ŠE per il calcolo delle

quantità di grano. Esistono infine altri tre sistemi matematici, il primo, il

sistema EN rintracciabile solo nel Tardo Uruk la cui funzione ci sfugge, il

secondo, il sistema U4 usato per il calcolo del tempo ed in ambito

calendariale ed infine il sistema GAN, in parte sessagesimale in parte

decimale, usato per il calcolo delle distanze. Lo spazio quindi, la sua

gestione e la sua fruizione, era affidato ad uno specifico sistema

matematico. In realtà il legame di questo sistema con la realtà geografica

potrebbe essere ancora più stringente. Secondo infatti taluni studiosi, fra

cui Robson55 , la matematica in Mesopotamia sarebbe nata proprio dallo

studio della geometria. Sembra infatti dimostrato che la puntualizzazione

54Nissen, J. H., Damerow, P., Englund, R. K. 1993 Archaic Bookkeeping, Chicago pagg. 25-3255 Robson 2008 pagg. 45-50

delle quantità, e le relative regole per gestirle in maniera ottimale,

deriverebbe dallo studio delle distanze e delle aree e solo in un secondo

momento questi valori, questi numeri, abbiano assunto un livello di

astrazione indipendente dalla forma geometrica. Le regole geometriche e

matematiche prodotte in Mesopotamia nel III millennio sono tante e tali e

gli studi a riguardo sono così abbondanti che una digressione su di essi

rischia di essere superficiale in quanto sarebbe necessaria una monografia

sull'argomento. In questa sede consideriamo i reperti del catalogo

ascrivibili alla cultura geometrica e che ci permettono di avere un ulteriore

punto di vista sulla percezione dello spazio geografico e rimandiamo, per

ulteriori approfondimenti ai lavori di Friberg56 e Dauben57.

Prima dell'età sargonica, pur esistendo tavolette metrologiche e

matematiche, già analizzate nei precedenti paragrafi, non abbiamo prove

riguardo alla produzione di vere e proprie tavolette geometriche, ovvero

sia di documenti dove il dato matematico è riferito ad una figura nello

spazio. Tutt'al più abbiamo tavolette di varia natura (matematiche,

letterarie, amministrative) in cui, negli spazi vuoti, vengono incisi dei

segni che sembrerebbero astratti ma che qualcuno ha voluto vedere come i

56 Friberg, J. (1982). A survey of publications on Sumero-Akkadian mathematics, metrology and related matters (1854--1982). Preprint 82-17, Chalmers University of Technology.

57 Dauben, J.W. (1985). The History of Mathematics from Antiquity to the Present. A Selective Bibliography. Garland Publishing, Inc., New York.

primi segni geometrici58. In questa sede non abbiamo voluto considerare

tali documenti in quanto si è considerata l'associazione di queste immagini

alla sfera degli studi geometrici, troppo arbitraria per quanto suggestiva.

Il primo reperto del nostro catalogo è una tavoletta in argilla iscritta

(Scheda 22 Testi) che pur non rappresentando lo spazio geometrico lo

descrive in maniera esaustiva. In essa infatti troviamo descritto, in

maniera piuttosto chiara, un problema di matematica. Ciò che rende tale

reperto così interessante è che la soluzione del problema è suggerita per

mezzo di un ragionamento che sfrutta concetti di geometria, difatti

attraverso una spiegazione metrica, avendo dato il lato lungo di un

rettangolo e la sua area viene chiesto di ottenere il lato corto. Tale reperto,

riportato e analizzato nel lavoro di Foster e Robson59 e posto al centro della

tesi, esposta da Frieberg60 che riprende le teorie di Powel61 e Whiting62,

secondo cui per cui in una prima fase il pensiero logico matematico in

Mesopotamia fosse espresso solo in relazione ad una rappresentazione

58Deimel, A. 1923, Die Inschriften von Fara in Deutshe Orient-Gesellschaft, Berlino Tav. 75-77Biggs, R. D. 1974 Inscription from Tell Abu Salabik, Chicago pag. 42

59Foster B. R. , Robson E. 2004, A New Look at the Sargonic Mathematical Corpus in Zeitschrift für Assyriologie n°94 pagg. 56-7660Friberg J. 2005, Mathematical Cuneiform Texts (Pictographic and Cuneiform Tablets in the Schøyen Collection 1), Oslo, Hermes Academic Publishing cap.A6

61Powell M. A. 1976, The Antecedents of Old Babylonian Place Notation and the Early History of Babylonian Mathematics Historia Mathematica n°3 pagg. 417-43962Whiting, R. 1984, More Evidence for Sexagesimal Calculations in the Third Millennium B.C. in Zeitschrift für Assyriologie n°74 pagg. 59-66

geometrica senza una reale presenza di numeri astratti indipendenti che si

relazionassero fra di loro secondo una logica esclusivamente matematica.

Secondo tale teoria solo dal periodo neosumerico in poi si svilupperà una

matematica sciolta dal ragionamento geometrico. Corretta o meno che sia

tale tesi indubbiamente, con il periodo accadico, assistiamo alla grande

produzione dei tipici documenti di natura geometrica a cui appartiene il

prossimo reperto (Scheda 10 Immagini e Testi). Si tratta del più classico

problema di geometria in ambito mesopotamico, atto alla esposizione di

tutte le informazioni desumibili da un trapezio isoscele suddiviso in due

trapezi isosceli. In questo caso le didascalie sono fortemente danneggiate e

non potremmo conoscere tutte le informazioni necessarie se non grazie al

confronto con altri reperti giunti a noi in condizioni migliori come ad

esempio il prossimo reperto (Scheda 8 Immagini e Testi) risalente sempre

al periodo accadico. Si tratta anche in questo caso di una piccola tavoletta

ed è facile immaginare come questi documenti fossero utilizzati dagli

studenti delle scuole per scribi per lo studio delle forme geometriche e

delle regole matematiche desumibili da esse.

In chiusura del presente paragrafo si è voluto riportare un reperto che è

cronologicamente allogeno alla presente ricerca ma che ci permette di

creare un punto di collegamento con i primi studi di geometria del III

millennio con la copiosa produzione nello stesso ambito delle epoche

successive. Si tratta di una tavoletta d'argilla (Scheda 14 Immagini)

proveniente da Kisurra prodotta nel periodo paleo-babilonese. In essa non

sono riportate didascalie ma è chiaro che rappresenta un problema di

geometria, in questo caso reso attraverso l'iscrizione di quattro cerchi in un

quadrato. Tale documento poggia le sue basi negli studi delle superfici

delle epoche precedenti e si colloca come antesignano di quegli studi di

geometria del periodo babilonese e assiro le cui risoluzioni troveranno

applicazioni nell'arte e nell'architettura: lo spazio geometrico, desunto

dallo spazio geografico, ritorna infine nello spazio geografico reale.

Sistemi Alternativi di Misurazione dello Spazio

Che cosa si intende per sistemi di misurazione alternativi? Come abbiamo

visto, sia il calcolo delle distanze e delle superfici nello spazio reale,

quanto la loro trasposizione nell'astrazione geometrica, erano parametri

perfettamente canonizzati e standardizzati nel III millennio a.C. I campi e i

territori, sia che ci si riferisse ad essi in ambito amministrativo e storico

con il toponimo di riferimento, sia che essi venissero resi in maniera

geometrica attraverso l'indicazione delle misure dell'appezzamento di terra

in questione, erano rapportabili a categorie mentali ben precise ed

impostate. Tali sistemi però non esauriscono le possibilità della resa dello

spazio geografico e, parallelamente a quelli esposti, ne esistettero altri, la

cui natura ci è possibile intravedere laddove siano sopravvissuti documenti

che attestano l'uso di questi principi spaziali minoritari. Nel nostro caso

sono stati presi in considerazione due reperti presenti nel nostro catalogo

che presentano simili sistemi alternativi di misurazione dello spazio. Il

primo è una stele in calcare grigio proveniente da Lagash e risalente al

periodo Protodinastico I-II (Scheda 5 Immagini e Testi). Purtroppo tale

reperto è oggi smarrito ma dagli studi di Gelb63 sappiamo che la stele

descrive tre terreni. Tali terreni sono resi come delle circonferenze e come

tali trattate. Ciò che rende ancora più interessante tale reperto è che,

trattandosi di una stele di pietra in origine piuttosto grande, esso va ascritto

alla categoria degli antichi kudurru, ed in questo caso diviene piuttosto

chiaro che tali sistemi non classici di rappresentazione dei terreni, pur non

essendo molto diffusi, dovevano comunque appartenere ad un bagaglio di

conoscenze condivise tali da permettere, all'autore del kudurru, di

utilizzare tale sistema su di un documento ufficiale. Proprio tale ufficialità,

e l'antichità del documento, potrebbe spingerci a mettere in relazione tale

reperto con i succitati esempi di documenti Protodinastici o Tardo Uruk

63Gelb I. 1991, Earliest Land Tenure System in the Near Est: Ancient Kudurrus, Chicago, Oriental Institute Pubblications volume 104

che presentano delle rappresentazioni astratte, di difficile interpretazione,

negli spazi lasciati vuoti dal testo. Ancora una volta è difficile dire se tale

direzione di indagine sia corretta, ma indubbiamente uno studio mirato

effettuato su tali documenti e sulle poche informazioni in nostro possesso

sulla stele di Lagash potrebbero risultare illuminanti da questo punto di

vista, ma fino a quel momento è bene non sbilanciarsi troppo e tenere solo

considerazione dei dati in nostro possesso. Il secondo reperto che presenta

una misurazione dello spazio non convenzionale è una tavoletta di età

accadica oggi conservata al British Museum (Scheda 5 Testi). Il

documento è stato analizzato commentato da Archi64 il quale per primo ha

notato l'eccezionalità del reperto. Il testo tratta di acquisti di prodotti e

trasporto degli stessi, effettuati da privati, da e attraverso un dato terreno.

Data la natura del documento e il suo utilizzo, l'autore utilizza i costi di

trasporto come unità del campo stesso coniando l'espressione “da x a y

misura X litri di grano”. In questo caso lo spazio geografico non viene più

ricondotto quindi a valori metrici assoluti bensì a concetti di spesa legati al

campo stesso. Per comprendere meglio questo procedimento mentale si

pensi oggi all'espressione utilizzata per alcuni autoveicoli per cui, per

indicarne la capacità di serbatoio, non si dice la quantità effettiva del

64Archi, A. 2003, Cuneiform Digital Library Initiative , Los Angeles/Berlino, Sommerfeld pag.121

serbatoio, che comunque sarebbe relativa in base al consumo stesso del

veicolo ma la perifrasi “x chilometri con un pieno”. Tale documento,

ritrovato a Nagar, ha anche una grande rilevanza in quanto si lega alle

indagini relativa all'occupazione accadica nella piana dell'Habur e viene

considerato dallo stesso Archi come uno dei documenti che fonda la

presenza accadica sul territorio talvolta messa in discussione. Cosa sia

incluso e a quale spesa in particolare si riferisca l'autore della tavoletta nel

momento in cui definisce che il campo “misura 40000 litri di grano” è

difficile dirlo. Probabilmente, pur trattandosi di un documento di privati ad

uso privato, e non quindi legato alla produzione burocratica regia, si

riferisce anche alla tassazione accadica che grava sul terreno. Weiss65 ha

anche proposto che il documento, nel momento in cui descrive la quantità

di grano che “delinea” qualitativamente e quantitativamente il campo,

tenga presente al costo del grano trasportato fino alla capitale Akkad.

Il Gioco

Nel corso del presente lavoro si è utilizzato di sovente il mondo

contemporaneo come confronto o come esempio nell'esposizione di un

dato o una teoria relativamente alla Mesopotamia del III millennio. Ciò è

65Weiss, H. Rova, E. 2003 The origins of north Mesopotamian civilization: Ninevite 5 chronology, Subartu, Vol. 9, cap. 3

stato fatto in parte per rendere più comprensibili alcuni esempi, ma anche

perché si considera che esistano aspetti della vita, come ad esempio il

gioco e la sua relazione con lo spazio mentale e reale, universali e comuni

a tutti gli uomini di tutte le epoche pur considerando i dovuti distinguo

dettati dal contesto culturale e sociale. Se questa affermazione può

sembrare azzardata si consideri che, secondo Derrida66, il gioco in quanto

tale, estrapolato dal suo tempo e dal suo contesto, reinterpreta la realtà,

indagando tutti i mondi possibili senza contrapporsi ad essa. Inoltre il

gioco diviene strumento preferenziale per l'analisi dello spazio e di come

esso viene percepito da coloro che producono il gioco, come anche

riportato da Frobenius67, secondo cui il gioco deve essere analizzato come

portatore e summa dei valori di spazio e tempo della società che “gioca”.

Tali considerazioni assumono un valore sottilmente, quanto potentemente,

esplicativo qualora le si osservino relativamente ad un gioco moderno,

come il Risiko, o un gioco del III millennio come il reperto analizzato nel

presente paragrafo (Scheda 12 Immagini). Il gioco si compone di una

tavola da gioco in legno suddivisa in 20 caselle, divisa in due zone, una di

12 caselle collegata all’altra, con due caselle, di 6 caselle. Le 20 caselle

66 Derrida, J. 1967 La structure,le signe, le joeur dans le discours des sciences humaines in L'écriture et la différence, Parigi pag. 360

67 Frobenius, L. 1933 Kulturgeschichte Afrikas orischen Gestaltlehre, Berlino cap.4

sono variamente intarsiate con placche di conchiglia quadrate; i bordi sono

composti da piccole placche e strisce. Alcune caselle riportano la

rappresentazione di un occhio, altre invece con rosette; sul retro è

possibile osservare tre linee di conchiglia triangolari e intarsi ornamentali.

Le regole del gioco sono state parzialmente desunte da una tavoletta

d'argilla risalente al 177-176 a.C. ora conservata al British Museum68 (la

quale attesta anche la incredibile longevità di questo gioco) e sembrano

essere simili a quelle del ben noto Senet o all'odierno Backgammon69. Una

versione graffita della tavola da gioco è stata anche ritrovata nel palazzo di

Korsabad (721-705 a.C.)70. Le regole precise del gioco sono ancora fonte

di dibattito ma gli studiosi sembrano concordare, aldilà della precisa

funzione dei 2 dadi piramidali e delle 7 pedine a giocatore e delle 4

bacchette comprese nella scatola, che scopo del gioco fosse far percorrere

a tutte le proprie pedine tutto un bordo della plancia di gioco partendo da

un angolo in basso del rettangolo lungo, arrivando all'altra estremità di

quello piccolo, per poi tornare indietro passando per i tasselli centrali e far

“uscire” le pedine, proprio come nel backgammon, dalla casella centrale in

basso del rettangolo di partenza, di fianco al punto di partenza; sembra

68 Weidner, E. 1956 Ein Losbusch in Keilschrift aus der Seleudikenzeit, Syria 33, Berlino69 Becker, A. 2008 The Royal Game of Ur, Londra pag. 11-1570 Finkel, I. 2008 Ancient Board Games in Persective: Papers from 1990 British Museum Colloquium with additional

contributions, Londra

inoltre ugualmente condiviso che le caselle con il simbolo della rosetta

avessero un ruolo di “caselle sicure” dove le proprie pedine non potessero

venire mangiate71. Alla luce di quanto esposto diviene chiaro quale

universo di considerazioni possano essere fatte se collochiamo questo

gioco, e tutte le tesi su di esso profuso, nell'ambito della percezione dello

spazio geografico. Ma allora, se il gioco è, come sostiene Gargano72

citando e commentando Eraclito, un simbolo cosmico, il tabellone del

gioco reale di Ur, come è soprannominato questo gioco, non può

rappresentare simbolicamente uno spazio geografico noto e condiviso, né

più né meno dell'odierno Risiko? La suggestione di leggere, nel

movimento delle pedine, e nella forma del tabellone, la rappresentazione

del mondo Mesopotamico, disegnato e racchiuso dai due fiumi e dai mari

inferiore e superiore, che definiscono i due alluvi, quello meridionale e

quello settentrionale, seguendo le reali sporgenze e rientranze dei fiumi, è

molto forte, forse azzardata. Eppure, considerando l'importanza di questo

gioco, tale da sopravvivere nei secoli e di renderlo degno di essere

seppellito nelle tombe reali, viene in mente la definizione che Wittengtein

da degli scacchi nel momento in cui dice che essi sono una struttura

idealmente costruita che, attraverso una rete di parole (le regole) e

71 Lhote, J. M. 1994 Histoire des jeux de sociéte, Parigi pag. 36-4972 Gargano, M. 1991 Il gioco e il tragico, Napoli pagg. 81-85

significati simbolici decostruisce un lembo di realtà dandogli,

arbitrariamente, una fine ed un inizio. Se tali considerazioni fossero esatte,

prima ancora dei trattati politici, questo gioco può aver rappresentato

l'antico sogno, realizzato solo in Età Accadica e poi sempre inseguito nella

storia Mesopotamica, della riunificazione delle 4 parti del mondo.

Ricostruzione dell'idea di spazio in Mesopotamia dal Tardo Uruk al

periodo Accadico.

Ricostruire l'idea dello spazio geografico per un millennio di storia

mesopotamica non deve essere inteso, in questa sede, come il punto di

arrivo di questo elaborato. E' più un aspirazione, e le seguenti conclusioni

sono soltanto un primo passo in questa direzione. Al fine di non risultare

ridondanti non verranno ora ripetute le considerazioni riportate nei capitoli

precedenti ma si tenterà di aggiungere qualche considerazione di carattere

generale. I popoli mesopotamici intorno alla metà del IV millennio a.C.

fino alla fine del III millennio a.C. danno vita ad una serie di

trasformazioni radicali della loro società che cambieranno per sempre il

volto del pianeta. Concetti come lo stato, la religione, la scrittura, la

burocrazia, il lavoro, assumono in questo periodo quei connotati che

ancora oggi, nelle loro forme basilari, caratterizzano il nostro mondo. Con

il mutare della società, che si lascia per sempre alle spalle la tradizione

neolitica, rielaborandola e trasformandola in qualcosa di assolutamente

nuovo, muta anche la percezione dello spazio. Il rapporto e la dicotomia

fra uomo e ambiente, già caratterizzatesi con la rivoluzione neolitica,

conoscono ora una rafforzamento ontologico che diviene irreversibile. La

definizione dello spazio come centro e periferia poi spoglia il mondo della

sua natura selvaggia e autonoma e nell'attimo in cui l'uomo popola il

mondo di toponimi e lo abita con la sede dei suoi dei se ne appropria,

anche nel momento in cui definisce dei luoghi distanti e periferici. Lo

spazio del caos e dell'ignoto si ritrae sempre di più ad ogni decade di

questo millennio di storia e la periferia storica, mitica e sociale va

sostituendo questo topos non definito che viene infine confinato nello

spazio irraggiungibile immaginario del sottosuolo e degli spazi aerei.

Anche questi luoghi però non vengono a lungo risparmiati dall'opera

organizzatrice delle società mesopotamiche. Divinità e demoni e miti

abitano i luoghi irraggiungibili, e pur rappresentando essi stessi tal volta il

caos e il disordine, essi sono canonizzati ed inseriti in un complesso

cultuale, e sociale, ben definito. Nel momento in cui i sovrani accadici si

autodefiniscono divinità tutelari del loro stesso impero l'ultima barriera

viene valicata e formalmente anche gli spazi irraggiungibili sono

sottomessi. La riunificazione amministrativa e politica delle 4 parti del

mondo vede la totale riunificazione di ogni spazio geografico, reale e non,

un'opera di controllo del reale totale e totalizzante di un compendio di

società coscienti di essere il frutto di un'alchimia storica eccezionale e

irripetibile. Queste le considerazioni di natura cultuale e filosofica, ma se

volessimo indagare le implicazioni di natura più prettamente geopolitica?

In questo caso, l'autore di questo elaborato, ha ritenuto ricercare

un'interpretazione esauriente non fra le già citate opere archeologiche e di

assiriologia ma nell'opera di una grande esperto di diritto internazionale

del calibro di Carl Schmitt73. Nella sua opera Il nomos della terra, Schmitt

analizza il concetto di proprietà in relazione allo spazio, e l'influenza di

tale concetto semantico e ontologico sulla realtà che lo circonda. Partendo

dalla definizione giuridica che vede la terra, intesa come territorio ma

anche come suolo, come la madre del diritto, Schmitt cerca di corroborare

tale definizione scevrando i tre elementi fondamentali che la caratterizzano

come unità computabile, facendo desumere dalla misurabilità il concetto

stesso di diritto e organizzazione sociale complessa74. In primo luogo la

terra costringe l'uomo, fin dalla rivoluzione neolitica, ad un rapporto di

lavoro/retribuzione dove ad uno sforzo fisico ben preciso corrisponde la 73Schmitt, C. 1974 Il nomos della terra, Milano, Adelphi Editore (ed. 1991) pagg. 20-6374 Argomento che abbiamo già trattato nel presente capitolo come in quello relativo allo spazio politico a riprova della

convergenza del nostro elaborato con le considerazioni di Schmitt.

nascita, anch'essa piuttosto precisa, di prodotti e quindi di ricchezze. Il

secondo aspetto analizzato da Schmitt è sempre relativo all'ambito della

coltivazione: sulla terra infatti, nel momento in cui l'attività agraria traccia

le sue linee, vengono altresì tracciati dei limiti e delle delimitazioni che

sono palesi a tutti i soggetti della società. Infine la terra è la tavolozza su

cui l'uomo sedentario disegna la mappa dei suoi rapporti sociali e culturali,

lascia la sua tradizione e organizza il suo futuro: le case, le mura, i templi e

i palazzi del potere sono i segni di questa opera. L'opera di analisi della

terra come base del diritto però non si ferma a queste considerazioni. Egli

infatti osserva come, al momento dell'occupazione di un territorio da parte

di un popolo, si creino immediatamente due tipi di relazioni. La prima

interna, con riguardo all'ordinamento del suolo e della proprietà entro un

territorio, la seconda esterna, nei confronti di altri popoli. Questo è,

secondo Schmitt, il vero archetipo di un processo giuridico costitutivo. Ed

infine il nomos, argomento centrale dell'opera del filosofo e parola, che pur

nascendo in un ambito greco, quindi ben distante dalla Mesopotamia del

III millennio, cela in sé concetti che abbiamo già incontrato nella nostra

opera: il nomos è ordinamento della terra, divisione, gestione dello spazio,

ma col tempo, e non per caso, nomos diviene semplicemente norma, legge.

Prima ancora di Schmitt, sempre nell'ambito dello spazio amministrativo, è

importante, o quanto meno deve spingere a considerazioni di natura

generale sull'argomento, un passo del Decretum Gratiani75 nel momento in

cui definisce il concetto di diritto: “Jus gentium est sedium occupatio,

aedificatio, munitio, bella, captivitates, servitutes, postliminia, foedera

pacis, induciae, legatorum non violandorum religio, conubia inter

alienigenas prohibita. “. Come si può osservare il diritto si compone in

primo luogo da elementi relativi allo spazio fisico: l'occupazione di terra

(sedium occupatio), fondazione di città (aedificatio), fortificazione

(munitio). Così come una considerazione non dissimile è rintracciabile

nella definizione di Locke76 “Government has a direct jurisdiction only

over the Land”.

Tutte le osservazioni ora riportate sono ben distanti non solo dall'ambiente

storico che stiamo analizzando, ma anche dall'ambiente degli studi a cui

sovente ci si riferisce. Eppure questa scelta è stata effettuata sulla spinta di

una considerazione di fondo. Le similitudini fra quanto desunto in questo

lavoro, dallo studio dei reperti archeologici, puntualmente contestualizzati

e storicizzati, e gli studi di geopolitica dal medioevo a oggi, devono essere

interpretate non come un tentativo di forzare il concetto dello spazio

mesopotamico del III millennio con quello odierno, ma come la prova di 75 Graziano 1080 ca. Decretum Gratiani in Papa Gregorio 1591 Decretales D. Gregorii Papae IX, Roma Cpitolo I, paragrafo I, capoverso 976 Locke, J. 1689 Civil Government II, Rockville (ed. 2008 Wildside Press) paragrafo 12

come le innovazioni prodotte dalle società mesopotamiche del III

millennio a.C. siano state radicali e profonde e che anche in questo ambito,

vivano ancora oggi nel mondo che viviamo.

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