Roger Ballen: Immagini dal Sudafrica attraverso l'ambigua lente della Fotografia

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1 | Pag. A Elisabetta e Flavio. A chi crede.

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A Elisabetta e Flavio.

A chi crede.

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GLI UOMINI DI ROGER BALLEN:

Immagini dal Sudafrica attraverso la lente ambigua della fotografia

Indice degli argomenti:

0. Introduzione………………………...……………………………………….……………………….. pag. 2

I. Conoscere:

1.1 Chi è Roger Ballen? L’uomo, il fotografo e la sua fotografia……………………….pag.3

1.2 I primi lavori: Le serie Dorps: Rural town of South Africa e Platteland: Images from

rural South Africa………………………………………………………………….…………pag. 6

1.3 Sorpassare un orizzonte fotografico: Il progetto Outland e i successivi Boarding

House e Shadow Chamber…………………………………………...………………………pag.8

1.4 Afrikaaner: L’influenza dal contesto sociale e il confronto con i fotografi sudafricani

David Goldblatt e Santu Mofokeng…………………………………………………...…pag. 13

II. Capire:

2.1 I ritratti di Roger Ballen: surreale realismo…………………………………...………..pag. 18

2.2 L’immaginario simbolico: linee, maschere, bambole e zoomofismo……………..pag. 23

2.3 Scelte stilistiche: Il formalismo tecnico di Ballen………………………………...…..pag. 27

2.4 Roger Ballen e Diane Arbus: estetiche ‘freaks’ a confronto……………………......pag. 29

III. Guardare: Analisi visuale

3.1 Immagine 1: Sickroom; 2000……………………………………………………………...pag. 33

3.2 Immagine 2: Loner; 2001…………………………………………………………………..pag. 34

3.3 Immagine 3: Alter Ego; 2010. ……………………………………………………………pag. 35

3.4 Immagine 4: Die Antwoord; 2012………………………………………………………..pag. 36

IV. Vedere:

4.1 Asylum of the Birds: Roger Ballen oltre la sua fotografia…………………………..pag. 38

4.2 Intervista con Roger Ballen. Roma, 25 Settembre 2014. …………………….……..pag. 43

V. Lista delle immagini ……………………………………………………………………............pag. 46

Bibliografia…………………………………………………………………………………......pag. 47

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Introduzione

Questo progetto di ricerca su Roger Ballen

nasce, paradossalmente alla sua fotografia, in

piena Europa e quasi accidentalmente.

Ricordo che verso la fine del 2013, durante

un periodo di studio all’estero, volli assistere

0.Shadow Chamber, Apparences, 2003 ad un’esposizione personale dell’artista presso

la Nikolaj Kunsthallen di Copenhagen dopo aver visto i manifesti pubblicitari con l’immagine

Apparences (2003) sparsi per tutta la città. Questa composizione bizzarra e straniante aveva per me

qualcosa di assolutamente intrigate e scioccante allo stesso tempo, aveva un punctum come

direbbe Barthes.

Le pagine che seguono cercano dunque di tracciare l’evoluzione della ritrattistica e più in generale

del ruolo della figura umana all’interno della fotografia di Roger Ballen ed insieme di

contestualizzarli. La ricerca bibliografica si è basata fondamentalmente sulle pubblicazioni ed i

cataloghi dello stesso Ballen, fortunatamente reperibili quasi tutti tra la provincia di Bologna, Forlì-

Cesena e Modena, e su di un cospicuo numero di articoli. Essendo la lingua inglese utilizzata in

buona parte delle letture, si è resa necessaria una mia traduzione per procedere poi con la stesura

scritta. Parallelamente, il fortunato contatto tramite posta elettronica con Roger Ballen e il suo

assistente Sami Modli mi ha consentito un avvicinamento maggiore alla materia, nonché la

possibilità di un incontro ed intervista in occasione dell’esposizione personale del fotografo presso

il MACRO di Roma, all’interno del festival FOTOGRAFIA: PORTRAIT.

Se Ballen ha affermato che la fotografia è stato un medium per esplorare il suo Io e la psiche

umana, questo progetto è stato per me un modo per tentare di andare in profondità nel significato

delle sue immagini e della fotografia stessa.

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Conoscere

1.1 Chi è Roger Ballen? L’uomo, il fotografo e la sua fotografia.

“Apprendere il mondo attraverso la fotografia può avere risultati felici o disastrosi:

dipende solo da come un semplice fatto verrà mostrato:

isolato, staccato o no dal suo contesto di tempo, di luogo e di umanità.”

Henri Cartier-Bresson

Il 1973 è l’anno dall’effimera tregua all’interno del sanguinoso conflitto tra Vientnam e

U.S.A., della nascita della musica Punk sudafricana in risposta all’ Apartheid e delle proteste dei

giovani Hippies negli Stati Uniti. Il 1973 è anche l’anno in cui il ventitreenne Roger Ballen, fresco

di una Laurea in Psicologia presso la Berkley University (California), perde prematuramente la

madre, decide di impegnare sé stesso con la fotografia e di partire per il viaggio che definirà la

prima parte della sua produzione fotografica, riassunta nella serie Boyhood (1979). Così come Henri

Cartier-Bresson aveva fatto nel 19311, anche Ballen sceglie l’Africa quale meta del viaggio di

iniziazione verso il medium fotografico, e nell’arco di quattro anni attraversa il continente da Il

Cairo a Cape Town, salvo poi spostarsi da Istanbul alla Nuova Guinea, ritornando e soggiornando

infine per un periodo più lungo in Sud Africa.

“Ho ricevuto una vera introduzione alla Fotografia e ho sviluppato una passione per qual

campo dall’età di 23 anni. C’erano tutte queste foto appese alle pareti dateci da vari fotografi o che

mia madre aveva comprato. Ho finito per assimilarle e quando ho iniziato a fare fotografia

seriamente, avevo una specie di subconscia idea del livello a cui aspiravo ”2, ha dichiarato Ballen.

La “vera introduzione” a cui fa riferimento è quella regalatagli dalla madre, editrice per l’agenzia

Magnum Photography nonché fondatrice di una delle prime gallerie d’arte fotografica negli Stati

Uniti, grazie alla quale il giovane Ballen entra in stretto contatto visivo con i lavori di Cartier-

Bresson, Eliott Erwitt e soprattutto André Kertesz, artisti che per sua stessa ammissione influenzano

profondamente la sua poetica e sguardo fotografico.

Instaurando nuovamente un’analogia con la figura istrionica di Henri Cartier-Bresson, anche

Roger Ballen si interessa brevemente alla pittura sempre a ridosso del 1973, guardandosi bene però

dal mantenere l’arte quale dimensione parallela al suo percorso accademico e di vita. La pittura di

Ballen, composta essenzialmente disegni e schizzi a matita, sembra preparare ulteriormente il

terreno per la sua fotografia, defilandosi in un primo momento e riaffiorando, come vedremo,

soltanto in seguito sotto forma di elemento delle sue composizioni fotografiche più mature. La

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fotografia per Roger Ballen rappresenta quindi inizialmente una fidata compagna di viaggio, un

medium per catturare esperienze bizzarre ed extra-ordinarie attraverso le quali “darsi un senso di

compiacimento” e “tuffarsi dentro sé stessi”2.

Il fuoco dell’arte si rende inevitabilmente visibile già nei primi lavori: l’approccio di Ballen è

istintivo ma lucido e attento allo stesso tempo e riesce così a cogliere le sfumature della realtà

nell’ istante decisivo, così come Cartier-Bresson e a seguire Hine, Evans e Frank l’avevano inteso.

Le numerose immagini in bianco e nero scattate a molteplici soggetti ma in particolare a giovani

incontrati in wasteland3 tra Africa, Asia e Stati Uniti, si trasformano infine, a distanza di tempo e

spazio, in un libro fotografico, Boyhood appunto, nel biennio 1977 – 1979 al ritorno di Ballen in

America.

Nelle parole dello stesso Ballen il progetto Boyhood è una sorta di tentativo di ritrovare l’infanzia o

più probabilmente di elaborarla. I ragazzini qui ritratti appaiono sorridenti e giocosi, ma non sono

semplici passanti della fotografia di strada (Immagine 1 e 2). Il fotografo inizia già qui a gettare le

basi della sua interazione con coloro che vengono ritratti, basti vedere lo sguardo fisso in camera

del bambino in Blown up boy, East Malesia (1976), oltre a non distaccarsi dall’uso del bianco e

nero. In Ceylon (1979) appare poi evidente come la composizione, intesa come ritmo di superfici,

linee e valori da cogliere nella realtà (Cartier Bresson,

2006),sia già insita nell’occhio di chi scatta.

Nel 1982, dopo aver conseguito un Phd in Geologia,

Ballen torna definitivamente in Sud Africa, paese nel quale

si era sentito “a proprio agio nonostante i problemi legati

alla politica dell’Apartheid”4. Questo ritorno, seppur spinto

da motivi lavorativi legati alla sua attività di geologo e di

natura personale, segna definitivamente il suo sguardo di

fotografo ed in particolare la scelta dell’elemento umano da

cogliere. I biografemi di cui ha scritto Barthes5, si instillano

così nella sua attività fotografica che si lega

indissolubilmente alla sua vita e di conseguenza al

contraddittorio contesto sudafricano.

1. Boyhood, Blown up boy, Malesia 1976

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Nel corso degli ultimi trent’anni perciò

Roger Ballen, dopo aver scelto di vivere

stabilmente in uno dei paesi

antropologicamente più stratificati e

artisticamente più indipendenti, ha iniziato

un viaggio fotografico che come vedremo,

ha modificato gradualmente il suo sguardo

dapprima influenzato dalla neutralità

scientifica del suo lavoro di geologo.

Verrebbe quasi da dire che la fotografia sia

stata per Ballen una sorta di vocazione

illuminata. Un’epifania, come .

2. Boyhood, Ceylon, 1979 scriverebbe Joyce, e che il Sud Africa, libero dai

condizionamenti dell’arte contemporanea occidentale, sia stato lo specchio più adatto per riflettere

la sua mente di uomo e di artista.

La visibilità delle immagini di Ballen è in costante crescita soprattutto dall’inizio degli anni

Duemila, dalla pubblicazione cioè del suo quarto libro Outland, grazie alla relativa espansione del

mercato dell’arte contemporanea extra occidentale e alle sua collaborazione con la popolare band

sudafricana, non a caso composta da discendenti di etnia boera, Die Antwoord. Negli ultimi anni la

sfera artistica di Roger Ballen ha prevalso ed è finalmente diventata l’unica occupazione del

fotografo.

Recentemente Ballen ha istituito una sua Fondazione5 al fine di dare spazio al campo dell’

educazione e della cultura fotografica contemporanea in Sud Africa, ed affianca sempre più alla

pubblicazione dei suoi volumi fotografici numerose esposizioni personali in gallerie e musei di tutto

il mondo.

1. Nel 1931 Henri Cartier-Bresson, a 22 anni, viaggia in Africa acquistando in Costa D’Avorio la

sua prima Leica ed avvicinandosi definitivamente alla tecnica del reportage fotografico. Nel

1947 invece insieme ai colleghi Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William

Vandivert fonda l’ agenzia Magnum Photography, per la quale la madre di Ballen lavorerà in

qualità di editore (Henri Cartier Bresson, 2005).

2. Roger Ballen intervistato da Jonathan Blaustein per la rivista Photo Editor, Marzo 2013.

Trad.mia.

3. Wasteland, tradotta in Italiano come “Terra desolata”, è qui usata nella sua duplice accezione,

fisica e psicologica, originaria dell’omonimo romanzo di T.S. Eliott.

4. Vedi nota 2.

5. Roland Barthes ,“La Camera Chiara” ,Einaudi editore 1980. p.38

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1.2 I primi lavori: Le serie Dorps: Rural town of South Africa e Platteland

“Vedere non è abbastanza, devi sentire quello che fotografi.”

André Kertesz

“ Credo che il periodo dal 1982 al 1986, quando

ho lavorato alla serie Dorps, sia stato il

momento più importante nella mia carriera

fotografica. È coinciso con la definizione di me

stesso. A causa del fortissimo sole sudafricano

ero impossibilitato a fare fotografie in esterno,

così fui costretto a spostarmi dentro le

abitazioni, andai all’interno sia fisicamente che

metaforicamente”6 ha affermato Roger Ballen. È

infatti dopo il definitivo trasferimento in Sud

Africa che la sua fotografia riconosce la sua

vera materia: bussando alla porta di isolate case

3. Dorps, Bedroom of a railway worker, De Aar, 1984 ai margini delle metropoli, Ballen scopre un

universo fatto di cavi elettrici penzolanti, segni incisi sui muri e in ultimo, introduce i soggetti

umani tipo con i quali collaborerà da lì in avanti. In Bedroom of a railway worker, De Aar (1984)

Ballen, senza interagire o modificare lo scenario, immortala per la prima volta quei fili elettrici che

diventeranno parte inscindibile del suo bagaglio simbolistico. Il risultato è un ambiente pregno di

storia di “vita vissuta” ma al contempo quasi surreale per la sua stranezza.

Mentre lo stile dell’autore rimane e rimarrà fedele all’uso della pellicola in bianco e nero e

dell’obbiettivo 80 mm, è evidente come in Dorps e Platteland il fotografo si sia trovato interessato

da due opposti modus operandi fotografici: il reportage documentario, con soggetti “trovati” nei

loro movimenti naturali o immagini di quotidiane abitazioni, e le foto innegabilmente pensate in

posa di Sudafricani inquieti e inquietanti in stile Arbus, scattate all’interno di abitazione sghembe e

sperdute.

I soggetti umani, per lo più Afrikaaner, e più in generale i luoghi del Sudafrica che Ballen decide di

ritrarre in questa prima fase vengono sempre definititi geograficamente, temporalmente e

sociologicamente. Platteland in lingua Afrikaans significa appunto “terra piatta” , in riferimento

alle realtà pianeggianti ad ovest di Johannesburg con cui Ballen si scontra grazie al suo lavoro di

geologo. I “Poor Whites” che le abitano vengono inseriti dall’autore in un preciso contesto sociale e

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temporale. Ballen ha ancora il bisogno di specificare l’occupazione lavorativa del Sergente F. de

Bruin , un po’ come aveva fatto August Sander nel sua collezione antropologica Uomini del XX

Secolo , seppur senza le stesse pretese di accuratezza scientifica.

La serie Dorps. Small towns of South Africa (1986) e Platteland (1994), entrambe pubblicate

in volumi fotografici, esprimono quindi la necessità di Ballen di catturare la natura espressiva di

piccoli e marginali villaggi del Sud Africa e dei suoi abitanti, di definire un’ estetica dell’inusuale

prima che di compiere un analisi psicologica su se stesso. In questo senso Ballen adempie ai

requisiti dell’instancabile fotografo documentario, sulle orme di Walken Evans, Robert Frank e

altri, ma “diversamente da Evans, Ballen intuisce che la realtà documentaria è più mutevole che

stabile”7.

4. Platteland, Sergeant F de Bruin, Orange Free State, 1992

6. Roger Ballen Foundation :

http://www.rogerballen.org/

7. Robert A. Sobiezek su Ballen, prefazione del volume Boarding House, 2005.Trad. mia.

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1.3 Sorpassare un orizzonte fotografico: Il progetto Outland e i successivi Shadow Chamber

e Boarding House

“Mi è sempre parso che un’ambiguità veramente artistica e veritiera - se mi è concesso usare una frase

così paradossale - sia la più perfetta forma di espressione. Nessuno vuole sapere nulla in realtà…oserei

dire che l’ambiguità nasca dall’evitare scontate e superficiali verità.”

Stanley Kubrick8

Dopo una pausa durata tutta la seconda metà degli anni Novanta, nel 2001 Ballen

pubblica per la prima volta con la casa editrice Phaidon il volume Outland valicando quello che

era stato il suo personale orizzonte fotografico di stampo documentario sino a quel momento. Le

sue fotografie continuano ad essere contingenti 9

, il fotografo persiste nell’ usare un

apparecchio analogico e perciò quello che lo spettatore vede è realmente presente, ma le

immagini non sono più facilmente codificabili perché l’autore inizia ad intervenire sui soggetti

fotografati: Persone, oggetti o animali che essi siano.

Non è forse un caso che ciò avvenga dopo la fine del regime dell’Apartheid: La materia

fotografica che prima Ballen si premurava di cogliere ed esprimere, ovvero la condizione

isolata, di estrema povertà e soprattutto taciuta di bianchi sudafricani ora non ha più ragione

d’essere. Con l’apparente rottura della segregazione sociale dei suoi soggetti il fotografo è in un

certo senso libero di porre se stesso al centro della opera e di creare “immagini sempre più

complesse e sempre più chiare in termini di intensità di visione”10

, in quella che può essere vista

come una discesa psicologica nella mente di chi scatta.

Come in Blow Up di Michelangelo Antonioni, anche nelle fotografie di Roger Ballen ora

lo spettatore attento si trova a domandarsi dove risieda la verità nei frammenti di realtà

fotografica che gli vengono proposti, ma invano. Nella serie Outland, come nelle successive

Shadow Chamber (2005) e Boarding House (2009) la rassicurante realtà documentaria del

medium viene a mancare, sostituita invece da un surreale iper-realismo di un mondo duplicato e

“teatralizzato” come lo definirebbe Susan Sonntag.L’immaginario del fotografo si arricchisce

così di oggetti carichi di simbolismo, ma non modificati essi stessi come facevano i primi

surrealisti sulla scia di Breton: stratificazioni di primordiali disegni appaiono sui muri, i cavi

elettrici si moltiplicano, gli animali vengono inseriti con pari notabilità degli esseri umani, in

funzione di una definizione dell’universo interiore di Ballen così come, per riflesso, di

qualunque altro fruitore.

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5. Outland, Portrait of sleeping girl, 2000

6. Outland, Puppy between feet, 1999,

Nello specifico, Portrait of a sleeping girl del

2000, contenuto nella serie Outland incarna perfettamente il passaggio di transizione di Ballen

dall’impronta documentaria dei primi lavori all’elaborazione di una visione fotografica strettamente

personale che può essere definita surreale, iper-reale, o oltre-reale. Nell’immagine infatti sono

presenti per la prima volta i tipici disegni ricreati sulla parete in secondo piano e al contempo il

volto della bambina. Nei lavori successivi invece, questa doppia presenza tautologica volti-segni

non Si ripresenterà praticamente più.

In un’altra fotografia-chiave della serie invece, Puppy between feet (1999), è racchiuso il

passaggio di Roger Ballen verso una più variegata vicinanza focale con i propri soggetti. In

quest’immagine infatti il fotografo si avvale di una macro lente da 90mm, anziché quella utilizzata

fino ad allora da 80mm, in modo da potersi avvicinare di più, sia fisicamente che concettualmente.

La “giusta distanza” imposta dalla fotografia di reportage svanisce gradualmente per lasciare spazio

all’immaginario mutevole e ambiguo di Ballen.

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Se Outland assume i tratti di un progetto di transizione, appare coerente ciò che Robert A.

Sobiezeszek scrive nel’introduzione della successiva pubblicazione di Ballen, Shadow Chamber

(2005):

“Un fotografo come Roger Ballen è portato a smettere di pretendere che il suo compito sia quello

di rappresentare il mondo; lui sa, ora più di prima, che il suo compito è quello di crearne

uno…Così come il romanziere crea parole partendo da quello che è il linguaggio, il fotografo

modella la realtà attraverso le immagini, compiendo un’ azione ancora più sconcertante,

disturbatrice e radicale”11

.

In termini visivi, questo si traduce con una riflessione sul ritratto e lo still-life, con una crescente

attenzione alla composizione e con la scomparsa o modifica dell’elemento umano. I soggetti di

Ballen, ancora per lo più Afrikaner, ora non forniscono più al fruitore alcuna indicazione sulla loro

reale condizione, ma iniziano a coprirsi con maschere o ad essere sostituiti da inquietanti manichini

e bambole (vedi immagine 7). Al contempo le immagini iniziano ad arricchirsi di quelli che

diverranno i suoi riconoscibili stilemi: cavi elettrici, animali e disegni stilizzati impressi sulle pareti.

Il tutto fotografato in ambienti chiusi, ma assolutamente non in studio, abitazioni private

probabilmente di cui però non ci è dato sapere e che l’autore è solito chiamare “The Shadow

Chamber Building”.

È il principio del distaccamento di Ballen dalla realtà del Sudafrica e dell’avvicinamento ad

un tipo di surrealismo che riflette la realtà interiore di chi fotografa. Allo stesso tempo la storia e

l’impronta del contesto sociale faticano a staccarsi del tutto dale sue fotografie e sfogliando

Shadow Chamber ancora si trovano immagini

ambigue con una forte impronta di reportage, come

nel caso di Lunchtime (2001, vedi immagine 8). La

difficile codifica di queste immagini porta quindi il

fruitore di esse a porsi sempre più domande

riguardo la loro origine, significato e locazione

spazio-temporale.

7. Shadow Chamber, Chamber of the Enigma,2003

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8. Shadow Chamber, Lunchtime, 2001 9. Shadow Chamber, Head inside a shirt, 2001

L’evoluzione fotografica di Roger Ballen prosegue con la pubblicazione di Boarding House

nel 2009. In questo progetto l’immaginario di Ballen si arricchisce ulteriormente intensificando la

consistenza delle superfici, accentuando i giochi di luci in bianco e nero e curando la composizione

fino a giungere ai picchi di astrattismo propri di Kertesz, dichiarata fonte d’ispirazione. Anche i

soggetti perdono il loro ruolo centrale per diventare parte di un tutto, smettono di guardare in

camera ed anzi i loro volti si oscurano quasi del tutto: nascosti da mani, rifugiati dentro abiti

consunti, fasci di ombre o sostituiti da disegni e animali sovrapposti ad essi in un sapiente gioco di

accumulo di feticci. Le immagini diventano sempre più disturbanti per lo spectator12

perché

l’operator12

Ballen instilla sempre più la sua visione nella realtà che ritrae, ma per contro la

presenza umana si universalizza diventando traccia di emozioni e paure condivise.

Anche i titoli dei lavori di questa serie si semplificano da un lato, ma assumono valenze

vaghe e doppie dall’altro: “Imitazione” (orig. Inglese = Mimicry), “Elogio funerario” (orig. inglese=

Eulogy), “Nascosto” (orig. inglese=Concealed), “Metamorfosi”(orig. Inglese=Metamorphosis),

“Rovistando tra i rifiuti” (orig. inglese= Scavenging) sono parole emblematiche della fotografia di

Ballen e al contempo fanno riferimento al contenuto delle relative immagini senza appesantirle di

una dimensione morale e supplementare.

Le immagini di Ballen che coprono l’arco temporale 1999-2009 appaiono in conclusione

estremamente coerenti dal punto di vista formale e mostrano l’evoluzione di una fotografia basata

sul contrasto a livello contenutistico tra il reale “vissuto” e l’ esplicitazione, sempre più

predominante, di un mondo interiore ricreato e surreale. Il passaggio che avviene è inoltre quello

lento e graduale che dal canone del ritratto arriverà a quello dello still life. È sufficiente porre a

confronto due immagini proprio di Boarding House: Metamorphosis (2006) e l’omonima Boarding

House (2008), per notare la crescente tendenza alla mis-en-scène e progressiva esclusione

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dell’uomo in quanto unico referente delle immagini

(vedi immagine 10 e 11). Tralasciando i risvolti

psicologici, che tratteremo più avanti, è indubbio

che in questa evoluzione creativa Ballen scolpisca in

modo intellegibile una sintassi fotografica legata al

contempo alla psiche umana e allo specifico

ambiente del Sud Africa.

10. Boarding House, Metamorphosis, 2006

11. Boarding House, Boarding House, 2009

8. Stanley Kubrick in un intervista con Robert Emmet Ginna per Horizon Magazine, 1960. Trad.

mia.

9. Barthes definisce tutta la fotografia contingente ovvero fuori senso e bisognosa di una maschera

per individuarlo.

10. Robert A.Sobieszek su Ballen nell’introduzione del volume Boarding House, 2005 Trad. mia

11. Robert A.Sobieszek citando parzialmente lo scrittore W.H. Glass a pag. 10 dell’introduzione di

Shadow Chamber, Phaidon, 2005. Trad. mia.

12. Secondo Roland Barthes una foto può essere l’oggetto di tre pratiche differenti: L’opearator è il

fotografo, lo spectator è chi fruisce le immagini e lo spectrum è chi è fotografato. Citato da

Alfredo de Paz in Fotografia e Società, Liguori editore,2001. Pag.36

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1.4 Afrikaaner: L’influenza dal contesto sociale e il confronto con i fotografi sudafricani

David Goldblatt e Santu Mofokeng

“Check it,

I represent South African culture.

In this place you get a lot of different things:

Blacks, Whites, Coloured, English, Afrikaans, Xhosa, Zulu, watookal.

I'm like all these different things,

all these different people,

fucked into one person.”

Whatever man, Die Antwoord

13

“Non si può parlare del Sud Africa senza parlare della politica sudafricana”. Esordisce con

queste parole Roger Ballen nel suo cortometraggio documentario Platteland (1995), ed in effetti

tutta la sua attività fotografica si attua all’interno di un contesto antropologico molto complesso, o

“stratificato” per usare una definizione a lui cara, come quello della società sudafricana.

Quest’ultima appare infatti profondamente segnata dal sistema politico dell’ Apartheid e prima

ancora dalla lunga serie di guerre civili, in particolare, per citarne una su tutte particolarmente

inerente alla poetica del fotografo, quella tra i bianchi boeri o Afrikaans e i bianchi inglesi,

conclusasi agli inizi del secolo scorso con la vittoria dei secondi e la relativa annessione delle

repubbliche boere ai territori britannici.

Quando Ballen si stanzia stabilmente in Sudafrica agli inizi degli anni ottanta infatti la

situazione nel paese è ai picchi massimi di tensione e la popolazione sottoposta ad una quotidiana

violenza sia fisica e che psicologica, vedasi ad esempio l’incarcerazione di Nelson Mandela,

perpetrata dal National Party (NP)14

. Le molteplici etnie, citate nel brano dei Die Antwoord posto

all’inizio di questa pagina, convivono all’interno degli stessi confini politici e geografici ma sono

sottoposte ad un regime segregativo che, ormai dalla fine del secondo dopoguerra, influenza la

politica, la cultura, l’economia e l’urbanizzazione.

In generale, il governo del NP si propone di controllare i flussi di popolazione e il mercato

del lavoro in toto isolando i Blacks all’interno delle cosiddette Homeland o Bantustan (letteralmente

“terre del popolo”), aree desertiche e inospitali a ridosso dei giacimenti minerari, rispetto ai bianchi

residenti negli agglomerati urbani, nelle zone residenziali delle grandi metropoli o in fattorie delle

floride campagne ad ovest del paese. Conseguentemente, soprattutto nel corso degli anni ’60 e ’70,

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milioni di persone sono costrette allo sfratto e al ricollocamento forzato gestito in toto dal governo

allo stesso modo delle occupazioni lavorative, con cospicue falle.

Un clima politico così denso ed instabile non può che condurre ad una cultura basata su

principi xenofobi, sulla paura del diverso, e ad un settore artistico sterile se non inesistente. Non a

caso, escludendo Ballen, l’unica fotografia a fiorire in quel periodo in Sud Africa è quella di

reportage improntata alla denuncia. Fotografi come David Goldblatt prima e Santu Mofokeng poi,

entrambi nati in Sudafrica, scelgono di ritrarre il dramma di una società basata sulla contraddizione

mostrando la difficile quotidianità a partire da ambienti a loro vicini: quello della nuova piccola

borghesia bianca per Goldblatt e dei neri esclusi o in rivolta per Mofokeng.

12. David Goldblatt, A land owner, his wife and his son having lunch, Wheatlands Randfonteein, Transvaal, 1962

13. Santu Mofokeng, Afoor family bedroom, 1986

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Roger Ballen decide invece, con la prima parte della sua produzione fotografica, di mettere a

fuoco una crepa del sistema Apartheid: Afrikaans dimenticati dal governo che avrebbe dovuto

garantire loro il privilegio del benessere, abitanti dei Bantustian, lavoratori minerari o contadini. Dal

punto di vista di una fotografia sociale, il primo Roger Ballen sceglie quindi di ironizzare sul

fallimento di un regime insensato incapace persino di adempiere alle proprie promesse fatte ad a

meno del 10 della popolazione totale del tempo15

.

Prima di intraprendere qualunque genere di confronto fra le tre personalità della fotografia

sudafricana, è necessario ricordare che a differenza di Goldblatt e Mofokeng, Ballen non è un

autoctono e si inserisce in una relazione maggiormente distaccata e neutrale con il contesto che lo

circonda. Lo statunitense di nascita inoltre, come già postulato in precedenza, non abbraccia mai

totalmente la fotografia di stampo documentario e, sempre a differenza dei colleghi che

sperimentano invece la fotografia commerciale, mantiene la sua attività fotografica libera da vincoli

editoriali ed economici, indirizzandosi da subito verso un’ottica maggiormente artistica. Va infine

sottolineato che per quanto poveri possano risultare agli occhi di uno spectator occidentale, i

soggetti delle immagini di Ballen restano comunque incasellati nella middle-class sudafricana sulla

base del reddito medio pro capite.

Rispetto a Roger Ballen Santu Mofokeng, anche se suo coetaneo, risulta apparentemente

distante a causa della sua scarsa attenzione all’estetica e alla composizione dell’immagine oltre che

alla scelta dei soggetti. Anche lui però dichiara di essere stato influenzato dalla lezione di August

Sander e di Diane Arbus, oltre che dallo stile documentario di Goldblatt e quando afferma che

“Documentare è raccontare la verità ma alcune verità sono soppresse dalla storia”16

si avvicina in

un certo senso all’universo degli esclusi ritratti dal nostro fotografo.

Con David Goldblatt invece Ballen condivide la ricerca di un ritmo formale all’interno delle

proprie immagini e l’interesse per la minoranza rappresentata dagli Afrikaans. Uno delle prime

raccolte fotografiche di Goldblatt è infatti intitolata Some Afrikaners photographed (1975) ed

anticipa di circa una decade Platteland di Ballen, progetto con il quale condivide innegabilmente il

punto e le impostazioni di partenza: entrambi dichiarano infatti nei titoli delle loro immagini a chi,

dove e quando esse sono state scattate . Dove si trova il bivio tra i due fotografi allora? La risposta

può essere trovata forse nella giustapposizione di una fotografia di Goldblatt con una di Ballen

scattata con contesto e soggetti simili (vedi immagini 14 e 15, pagina successiva).

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14.David Goldblatt, A plot helder with the daughter of a Servant, Wheatlands Randfonteein, Transvaal, 1962

15. Roger Ballen, Man and maid in northern cape, 1992

Se nell’immagine di Goldblatt ciò che si vede appare perfettamente coerente con il sistema

Apartheid: l’anziano bianco seduto in poltrona, la servetta nera che si copre in parte il viso per

timidezza verso l’apparecchio fotografico, i fiori soprammobili, la fotografia sullo sfondo dello

stesso anziano in gioventù e abiti militari; in quella di Ballen riecheggia una certa dissonanza:

anzitutto i ruoli sono invertiti ed è la giovane nera ad essere seduta in posizione predominante sulla

poltrona mentre il bianco adulto sta ora in piedi a fatica sorretto da una stampella, sullo sfondo non

si trovano più foto di un passato perduto ma poster, di propaganda militare e di stampa

pornografica. In parole Barthiane, si osserva nel primo caso di un immagine studium e nel secondo

di un punctum. La stranezza che riesce a cogliere Ballen è l’elemento che rimarrà impresso lo

spettatore perché differente, è la questione sociale che diventa estetica. Sia Goldblatt che Ballen

comunque vengono guardati con sospetto da afrikaans, bianchi, neri poiché mettono in luce,

volontariamente o meno, una verità minore e scomoda su di una nazione che cerca di rimanere

defilata dalla ressa mediatica occidentale.

Per concludere, sia Goldblatt che Mofokeng che Ballen si sono trovati nella situazione di

confrontare la propria fotografia con un contesto frammentato e disomogeneo. Non è quindi un caso

se tutti e tre i fotografi ampliano il loro raggio d’azione fotografico dopo la fine della segregazione

18 | P a g .

imposta dall’Apartheid, nel 1994: Goldblatt passa alla fotografia a colori, Mofokeng inizia ad

inserire brevi essay a spiegare le sue immagini e Ballen vira verso le surreali profondità della psiche

umana.

Il critico Joan Fontcuberta ha scritto che “la fotografia non impone solo una nuova estetica

nel modo di raffigurare il mondo ma stabilisce anche nuove categorie etiche come la precisione e

l’obbiettività, sottolineando la differenza tra veridicità storica e veridicità percettiva”17

. Risulta

quindi legittimo, seguendo questo filo logico, il ricorso di Ballen a alla trasmutazione della

veridicità storica sudafricana in una realtà percettiva influenzata dalla complessità di una nazione

estremamente difficile, in un processo creativo post-moderno.

.

13. Testo dal brano Whateverman (trad. “Un uomo qualunque”) della band Die Antwoord, con la

quale Ballen ha collaborato alla realizzazione di un progetto fotografico e video nel 2012.

14. National Party: partito nazionalista sudafricano (NP), fondato su principi ideologici vicini al

nazionalsocialismo e composto principalmente da bianchi Afrikaner. Prende il potere

ufficialmente nel 1948 attraverso elezioni politiche a cui solo i bianchi, e parzialmente i coloured

potevano prendere parte.

15. Percentuali tratte da: David M. Smith, The Apartheid city and beyond, 1992 pag. 59

16. Santu Mofokeng in Chasing Shadow, 2011. Pag.16 Trad. mia.

17. Joan Fontcuberta, La (foto)camera di Pandora, Contrasto, 2012. pag.117

19 | P a g .

II. Capire

2.1 I ritratti di Roger Ballen: Surreale realismo

“L’assurdo dipende tanto dall’uomo quanto dal mondo, ed è, per il momento,

il loro solo legame.”

Albert Camus

Nel film Nymphomaniac (2013), un numero di personaggi disturbati vengono ritratti dal

regista Lars von Trier in maniera realistica, attraverso la successione di nove episodi all’interno

di quttro ore di lungometraggio. Se si azzardasse a paragonare queste quattro ore di immagini ai

40 anni di produzione fotografica di Roger Ballen, risulterebbe evidente come in tutti e due i

casi si tratti di un viaggio all’interno della contorta psiche umana, sia nel caso della protagonista

del regista e dei suoi personaggi, sia per quando riguarda il fotografo Ballen. Altra analogia tra i

due prodotti artistici risulterebbe il dramma creato dal contrasto fra la volontà di chi crea,

ovvero Ballen e Von Trier, di imprimere una propria visione e la discontinuità che invece

emerge naturalmente dai soggetti ritratti. È chiaro per il regista danese si tratti di finzione pura,

una realtà angosciante ricreata con attori professionisti, ma anche nel caso delle immagini di

Ballen, soprattutto quelle comprese tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, troviamo un

numero crescente di soggetti messi “in posa” e in ambienti reali ma teatralizzati, più vicini

perciò ad un set cinematografico che alla fedele documentazione di tipi in stile Sander.

A differenza del predecessore fotografo tedesco infatti, la ritrattistica Ballen non vuole

giungere ad una “schedatura di tipi”, a degli archetipi bensì, per usare le sue stesse parole, egli

vuole “trasformare un individuo in uno statement fotografico”1 attraverso il suo occhio “trans-

psicologico”2. Stravolgendo così la retorica del ritratto fotografico, forzatamente legata

all’istituzionalità. Ballen vuole cioè utilizzare gli archetipi per esprimere le profondità della

psiche umana attraverso di essi. Questo processo avviene soprattutto nella sua produzione

fotografica fino ad Outland, e definita face-centric3.La fotografia Woman, man and dog (1995)

mostrata nella pagina successiva ad esempio, incarna alla perfezione l’archetipo della donna

pazza, o della strega, e al contempo enfatizza la situazione di isolamento nella quale vivono gli

Afrikaans di Ballen: le spalle dell’uomo sono voltate verso la figura femminile e persino il cane

sembra ridere di lei. L’unica azione che rimane da compiere alla donna è aprire la bocca in una

risata forzata ed isterica.

20 | P a g .

La scelta del fotografo di focalizzarsi

solo su una parte ristretta della

popolazione sudafricana è prima di

tutto ovviamente personale ma può

essere forse intesa attraverso una frase

del sociologo francese Jean Baudrillard

(1990) :

“Gli esseri che possono essere

meglio fotografati sono quindi quelli

per cui l’altro non ha esistenza o non ha

più esistenza. Sono i non civilizzati, i

reietti, le vittime, gli oggetti o ciò che è

ridotto allo stato di oggetto… è tale il

prezzo da pagare affinchè sia operante

una sorta di sbigottimento

reciproco…”4

16. Outland,Woman, man and dog, 1995

In quest’ottica prima gli Afrikaans, e poi i manichini e i disegni di astratte figure umane

vengono a ricoprire un ruolo di soggetto ideale per Ballen e per lo spettatore poiché mettono in

luce una realtà sconosciuta e scioccante che può quindi assumere qualunque valore con cui si

decida di caricarla.

Appare inoltre fondamentale l’approccio esplicito che il fotografo ha con i propri soggetti:

Ballen non ruba fotografie ai passanti per strada, ma bussa alle loro porte chiedendo il

permesso, li conosce e frequenta, li fotografa nel corso del tempo e li coinvolge. Come Diane

Arbus aveva fatto in precedenza, l’apparecchio fotografico gli da una sorta di licenza per

integrarsi con personalità uniche e “diverse” e confondere così ulteriormente, oscillando tra un

estremo e l’altro, il labile confine tra identificazione poetica o identità documentaria del ritratto.

Della realizzazione di Prowling (2001), il cui titolo significa letteralmente “aggirandosi

furtivamente”, Ballen racconta di aver conosciuto per lungo tempo sia il ragazzo mascherato da

gatto che la madre, di averli persi a causa dei loro continui spostamenti e ritrovati solo nel 2001

quanto fece questo scatto al ragazzo allora convinto di essere un gatto. Se prima della

spiegazione dell’autore il fruitore si poteva porre in questione l’autenticità dell’immagine,

ovvero se Ballen avesse fatto indossare appositamente la maschera al ragazzo, ora il dubbio è

svelato. L’ambiguità dell’immagine invece resta, destata soprattutto del palmo della mano del

ragazzo intonso dalla vernice di cui invece appaiono impronte sul muro in secondo piano.

21 | P a g .

17. Shadow Chamber, Prowling,

2003

Se in La camera chiara

(1980) Roland Barthes scrive

che “la semiologia della

fotografia è legata ai

ritrattisti”, asserendo quindi

che il ritratto possieda una

capacità verbale oltre che

visuale, nei ritratti di Ballen

questa affermazione viene

capovolta: un po’ come aveva

fatto Mac Adams nella serie

Mysteries (1973-1980), in queste immagini nulla appare esplicito ma tutto risulta ambiguo e

tendente ad una dimensione surreale. Ad ogni modo, nonostante i ritratti di Ballen si evolvano

nel tempo e paradossalmente si svuotino dell’elemento umano, ma le sue immagini continuano a

permeare di un messaggio ed un valore denotativo, legato cioè al vero, oltre che connotativo5.

Per concludere il discorso sulla ritrattistica di Roger Ballen, nei progetti più recenti,

dopo la fine dell’apartheid la figura umana si è come liberata dalla referenza obbligata che

aveva prima nei confronti di ruolo e contesto sociale ed ora si “frammenta”. Forse

inconsciamente il fotografo non ha più la necessità di inserirsi all’interno di un sistema sociale

segregativo: ecco allora che i soggetti non guardano più in macchina ed appaiono mani, piedi,

teste senza corpo che prendono parte a composizioni più ampie.

Non vi è tuttavia disperazione o richiesta di aiuto in questi gesti, vi à piuttosto la

creazione di un rapporto tra un essere animato e altri elementi della composizione, siano essi

animali viventi o esseri inanimati.

22 | P a g .

Si veda a questo proposito un'opera come Bite (2007),dove il braccio, la mano e il dito dello

18. Shadow Chamber, Bite, 2007

spectrum si prolungano nella forma del serpente e trovano il loro corrispettivo nel filo del telefono

e nella cornetta che li sovrastano: una sintesi di tre elementi assurdamente collegati tra loro ma

paradossalmente coerente. Il corpo del soggetto diviene quindi una parte, spesso minoritaria, di un

equilibrio compositivo e bizzarro in grado di donare una ragion d'essere all’immagine. Se il

fotografo sia intervenuto fisicamente sull’animale non ci è dato sapere ma certamente ciò che

rimane dell’uomo è soltanto una sua traccia. L’elemento umano fotografato da Roger Ballen

diviene ancora più universalizzante e denso di stratificazioni ed interpretazioni psicologiche, ed

egli raggiunge così una fotografia unaria, in grado cioè di plasmare il reale senza altresì

sdoppiarlo.

23 | P a g .

Per concludere, se David Goldblatt aveva in precedenza affermato:

“Prima pensavo di voler fotografare gli Afrikaner. Mi ci volle tempo per capire che un progetto del

genere sarebbe stato terribilmente pretenzioso e probabilmente impossibile da realizzare in tutti i

sensi”6

Ballen invece sembra essere riuscito nell’impresa distaccandosi dalla realtà e superando la distanza

sociale e la distanza del tempo, attraverso una personale visione che valica i limiti del reale.

1. Roger Ballen, dichiarazioni rilasciate nel video Platteland (1995). Trad. mia.

2. Ibidem.

3. Ibidem.

4. Alfredo de Paz cita Jean Beaudrillard in, Fotografia e società, 2001, pag. 40

5. Roland Barthes nella sua prospettiva critica strutturalista definisce due impressioni possibili a livello

di ricezione fotografica: quello denotativo, cioè oggettivo, legato alla tecnica e quello connotativo,

cioè di senso intrinseco all’immagine stessa.

6. David Goldblatt, Fotografie, 2006, pag.13

24 | P a g .

2.2 L’immaginario simbolico: Linee, maschere, bambole e zoomorfismo

“…Il fotografo creativo libera i contenuti umani degli oggetti e

conferisce umanità al mondo inumano che lo circonda.”

Charles John Laughlin

Il termine “feticcio”, ovvero un oggetto inanimato al quale viene attribuita un invisibile

forza extra-umana, e in ambito psicoanalitico un significato sessuale acquisito attraverso il

meccanismo di simbolizzazione, aderisce perfettamente alla più recente fotografia di Roger

Ballen, intrisa com’è di oggetti ambigui ed animali enigmatici.Nelle le immagini di Ballen

ricorrono in particolare alcuni oggetti: cavi elettrici, giocattoli, disegni appesi ai muri e

maschere che poi evolveranno in manichini a partire da Shadow Chamber.

Le bambole rotte, pupazzi ed automi angoscianti che si ritrovano nella fotografia di

Ballen sono in realtà oggetti già indagati dall’arte dada, promotrice delle marionette in quanto

veicoli di giochi di ruolo e più ancora dal Teatro del Bauhaus fondato a metà anni venti e

improntato alla “trasfigurazione della forma umana” e alla rivelazione delle “fantasie più

audaci”7. Il denominatore comune delle tre esperienze l’unheimelich freudiano, il perturbante,

ovvero quella “quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che

ci è familiare”8

ma allo stesso tempo estraneo perché generato da una situazione nuova, che crea

una scissione disarmante all’interno del fruitore. Le bambole e i pupazzi che Ballen utilizza

sono infatti un doppio dei suoi soggetti umani, una sorta di sosia, che lo spettatore ricollega alla

fantasia infantile di possibile immortalità non più accettata nella sfera adulta. In aggiunta Ballen

riesce a creare una sensazione di ulteriore disagio

emotivo frammentando i corpi delle bambole e

dei pupazzi in modo da creare nuove forme

compositive e semi-umane sculture da

immortalare poi. Si veda a questo proposito

Kitchen counter (2001), immagine in cui una

testa di bambola è crudamente poggiata su dei

detriti e ospita un inquietante insetto sulle proprie

guance . La percezione di questi assemblaggi

umani possiede forse per Ballen anche un risvolto

19. Shadow Chamber, Kitchen Counter, 2001

25 | P a g .

perversamente erotico ed un richiamo alla paura

della mutilazione e della perdita, ma senza calcare

troppo la mano si può tranquillamente affermare che

un’azione del genere richiama una sorta di memento

mori per lo spettatore.

In realtà un’operazione del genere era già

stata affrontata dal fotografo Hans Bellmer con le

sue Poupeée intorno al 1938 ma con risultati molto

più eroticamente orientati e per nulla legati al

contesto esterno (vedi immagine 20), come invece

continua ad essere Ballen. Per il momento il

fotografo sudafricano d’adozione non ha ancora

esaurito gli stimoli ad utilizzare bambole e pupazzi e

forse la sua prossima evoluzione sarà avvicinarsi a

Bellmer nell’aprire questi feticci giocattolo per

mostrarne l’interno. 20. Hans Bellmer, Anxiety, 1938

Non lascia così tanto spazio di movimento invece l’uso che Ballen fa delle maschere,

dato che in ogni caso, volti dei suoi soggetti assumono la funzione di maschera in senso

mitologico in quanto trasposizione di

turbamenti psicologici. Questi oggetti

possono quindi essere un richiamo all’arte

tribale così come un gioco psicologico:

usare una maschera è per lui il primo passo

per universalizzare il corpo umano e quindi

aprire le porte degli scavi nel subconscio.

Allo stesso tempo il fotografo ne fa talvolta

un uso quasi ironico e giocoso.

Maschere posizionate male o indossate

parzialmente, esattamente come avviene al

protagonista della novella Doppio Sogno di

Arthur Schnitzler durante il fatidico ballo

mascherato8, liberano l’inconscio sia dell’

21.Shadow Chamber, Room of ninja turtles, 2003 operator che dello spectator.

26 | P a g .

Anche per quanto riguarda i disegni sui muri, che Ballen spesso commissiona ai suoi soggetti ,

appare evidente l’influenza dell’arte tribale ed anche dell’art brut, o outsider art , di Jean Dubuffet.

Si tratta spesso di visi e uomini stilizzati, che fungono ancora così da iniettori di sentimento del

perturbante nelle immagini e più in generale rafforzano il senso d’isolamento e degrado che trasuda

dalle pareti delle abitazioni della campagna sudafricana.

I cavi elettrici, in principio presenti a vista in tutte le abitazioni sudafricane, con il passare

del tempo si moltiplicano sempre più prepotentemente nelle fotografie di Ballen ed altro non sono

se non trasportatori di energia, di materia. Come lo erano stati per Joseph Beyus fungono da

metafora per la vita umana aiutando ancora una volta ad abbattere le confuse barriere tra arte e vita

reale. Il fatto che in Cut Loose (2005) i fili sembrino soffocare il soggetto centrale può essere inteso

come un ulteriore spunto di riflessione e introspezione.

. 22. Shadow Chamber, Cut loose, 2005

Questo accumulo di materia inanimata nelle immagini di Ballen crea il nesso con il Nouveau

Realisme di Arman , Gérard Deschamps e Daniel Spoerri . Tutti accomunati dalla volontà di

conferire una nuova identità e significato agli oggetti materiali della vita quotidiana e da un “nuovo

approccio percettivo al reale” come lo definiva il fondatore del movmento Pierre Restany10

. In

27 | P a g .

Ballen manca però la critica al consumismo borghese che avevano mosso i francesi, motivata in

parte dalla sua appartenenza a una generazione successiva o più semplicemente da un suo maggiore

interesse all’universo freudiano del subconscio piuttosto che ai malanni della società post-moderna.

Infine, Roger Ballen inserisce nelle sue fotografie anche “oggetti animati”, come l’uomo

appunto, ma anche piccoli animali: cani, gatti, ratti, conigli… manifestando la sua volontà di porli

sullo stesso piano dialettico della presenza umana. Il suo obbiettivo è dunque creare una

connessione tra l’uomo e l’animale, costruendo una composizione in cui entrambi abbiano

comportamenti analoghi ed interscambiabili, similarmente a quello che aveva fatto una delle sue

influenze fotografiche Eliott Erwitt. È il “divenire animali” descritto da Gilles Deleuze11,

e la sua

accettazione. A questo proposito Ballen dedica un intero libro Animal Abstraction (2011)

raccogliendo solo le immagini in cui sono le figure animalesche, reali o posticce, ad essere soggetti.

23. Shadow Chamber, Trails, 2003

7. Hal Foster, Arte dal 900, 2011. Cap. 1925c pag.214

8. Sigmund Freud, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio. Cap. Il perturbante (1919)

9. In Doppio sogno di Arthur Schnitzler…

10. Kerstin Stremmel, Realismo, 2004, pag.13

11. Gilles Deleuze, Abecedario, Ediz. Deriveapprodi, 1996

28 | P a g .

In generale quindi, Roger Ballen sembra riuscire a cogliere la “bellezza lirica”, come l’aveva

definita Kértesz, degli oggetti animati o non, trasformandoli in segni e riuscendo ad incastrare i vari

elementi in composizioni che ben presentano un punctum, e sono in grado quindi di smuovere

emozionalmente chi osserva.

2.3 Scelte stilistiche: Il formalismo tecnico di Roger Ballen

“Tutto, al mondo, esiste per finire in un libro.”

Stephane Mallarmè

Se la scrittrice Susan Sontag ha saggiamente contraddetto la citazione dell’esteta

ottocentesco Mallarmé posta all’inizio di questa pagina, affermando che oggi “tutto esiste per finire

in una fotografia” a causa della coazione alla fotografia12

, Roger Ballen è apparentemente riuscito a

conciliare i due estremi critici. Da una parte infatti, come abbiamo visto, la sua materia fotografica è

disturbante e bizzarra ai limiti dell’osceno, dall’altra il suo approccio estetico e stilistico è

incredibilmente rigoroso: Gli obbiettivi utilizzati sono quelli da 80mm e 90mm, la stampa è

rigorosamente in formato quadrato e Bianco/Nero. Mentre il canale di fruizione preferito è proprio

quello del libro fotografico, come istituito da Henri Fox Talbot con The Pencil of Nature nel 1844.

Dunque riprendendo le fila del discorso lo statement di Ballen risulterebbe “Tutto, al mondo oggi,

esiste per finire in una fotografia, che esiste per finire in un libro”.

Il formato quadrato, usato tra gli altri anche da Diane Arbus, ha successo , così come il

sonetto in poesia, solo quando riesce a mantenere l’equilibrio tra le restrizioni formali e la libertà

concettuale. In Ballen la forma quadrata fa convogliare più facilmente il significato all’interno della

sua struttura, e sfrutta la naturale simmetria visuale. Basti vedere l’immagine Trails (2003) nella

pagina precedente, in cui le figure di una lucertola e un pesce rosso sono immortalate esattamente al

centro dell’immagine, circoscritte in un cerchio. Il quadrato permette al fotografo di prestare

attenzione estrema ai dettagli e all’equilibrio compositivo, considerando che l’occhio dello

spettatore non avrà la possibilità di muoversi sul piano spaziale, e lo spinge ad utilizzare i suoi

“segni” per rafforzare ulteriormente l’immagine dal punto di vista formale.

Per quando riguarda la scelta di Ballen di servirsi di una palette di colori che va dal bianco al

nero, essa presenta una duplice funzione: da una parte l’effetto puramente estetizzante di immagini

de-saturate giocate su contrasti di luci ed ombre, e dall’altra l’affermazione dichiarata dello

specifico fotografico della riduzione della realtà. Rifiutando in toto il colore infatti, il fotografo

29 | P a g .

compie un primo distaccamento dalla realtà e in un certo senso circoscrive il suo campo d’azione

senza tuttavia trasformare ciò che viene fotografato. Si veda ad esempio Study of a boy and plant

(1999) in cui elementi compositivi che nulla avrebbero in comune si conciliano in modo bizzarro

ma credibile grazie all’attenta struttura compositiva e al gioco di luci ed ombre. Va aggiunto che

questo ha un effetto di “strano rovesciamento nella percezione”13

per il fruitore delle immagini,

predisponendo così chi guarda alla stranezza perturbante del contenuto.

Per concludere, sottolineando l’uso costante e fedele di una fotografia analogica, Ballen ha

affermato che usare la fotografia digitale e per poi modificare le proprie immagini sia un po’ come

comprare vestiti della taglia sbagliata per poi cercare di aggiustarli una volta a casa14

. Risiede in

queste parole dunque la ragione del formalismo inaspettato di Roger Ballen.

24. Outland, Study of a boy and plant,1999

12. Susan Sontag, Sulla fotografia, pag.57

13. Elio Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, 1998, pag. 291

14. Intervista dell’autore con Roger Ballen, Roma Settembre 2014, Trad.mia

30 | P a g .

2.4 Diane Arbus e Roger Ballen: Estetiche Freaks a confronto

“Io non dubito che la maestà e la bellezza del mondo

siano latenti in qualunque loro particella…

Io non dubito che nelle banalità, negli insetti, nelle

persone volgari, negli schiavi, nei nani, nei rifiuti

ci sia molto più di quanto ho immaginato…”

Walt Whitman15

25.Diane Arbus, A young brooklyn family going 26. Roger Ballen. Scrapyard Worker and Family, Central

For a Sunday outing, N.Y.C., 1966 Transvaal, 1993

Siamo già a conoscenza del fatto che sia Diane Arbus che Roger Ballen siano degli

affezionati dello square format, ma le analogie tre i due fotografi si intrecciano ben al di là della

scelta del formato fotografico. Quest’ultimo può essere comunque considerato un punto di partenza

per osservare come entrambi i fotografi preferiscano operare una riduzione di campo spaziale e

analogamente di soggetti.

Come si può osservare nelle immagini sovrastanti, Diane Arbus trova la materia fotografica

ideale negli ambienti urbani di N.Y.C, o comunque degli Stati Uniti perché brulicanti di soggetti

scarsamente adattati alla società, di deformi, di reietti o finti normali, in una sola parola di “freaks”.

Questa categoria di “ultimi uomini”, per usare la schedatura alla Sander, sono scelti anche da Ballen

per i suoi scatti che però traspone il tutto in una nazione a lui estranea ma ricca di “diversi” come

quella sudafricana. Questo spostamento forse permette al fotografo di mantenere un punto di vista

più distaccato e neutrale rispetto a quello più empatico della Arbus. In entrambi i casi comunque i

lavori fotografici che ne risultano sono privi di qualunque sentimentalismo ma estremamente

31 | P a g .

toccanti per l’osservatore. L’obbiettivo comune dei due è quello di proporre un livellamento

dell’umanità, paradossalmente accentuandone le diversità, con la sola postilla che nel caso di Ballen

il procedimento di introspezione psicologica dell’autore risulta molto più esplicito.

Se però Arbus afferma che “il soggetto della fotografia sarà sempre più importante

dell’immagine”16

per Ballen non è esattamente così: rispetto alla Arbus infatti egli non è uno street

photographer puro, e presta molto più attenzione alla composizione formale, intervenendo anche

manualmente sull’ambiente e i soggetti dei propri scatti. Egli non vuole fare “brutte fotografie” in

favore della novità di rappresentazione ma cerca di conciliare i due estremi poetici.

Rimane indubbio comunque che entrambi, almeno per una parte dei loro lavori, abbiano

sperimentato la fotografia di posa. La differenza principale tra i due sta nel fatto che la modifica

di Arbus al contesto ante-scatto rimane legata alla posizione delle figure umane che , nella

stragrande maggioranza dei casi vengo fatti posizionare immobili e goffi precisamente di fronte

all’obbiettivo, mentre Ballen si distacca da questo modello ed interviene ad un livello più

profondo. Nella sua fase più matura infatti, a partire da Outland cioè, Ballen ritrae gli Afrikans

nelle pose più disparate ed innaturali quasi fossero delle One-minute-sculpture di Erwin Wurm

ed inserisce nell’ambiente surreali oggetti-simbolo.

27. Diane Arbus, Identical twins, Roselle, N.J., 1967 28. Roger Ballen, Dreasdie and Cassie, 1993

Come dimostrano le celebri coppie de gemelli in foto, i due condividono uno spiccata

tendenza nel proporre immagini perturbanti basate sul concetto di sosia ed infatti utilizzano

spessissimo coppie di figure come soggetti. Il risultato è spaventoso e grottesco allo stesso tempo

ma i soggetti ritratti sembrano ignorarlo.

32 | P a g .

29. Diane Arbus, Child with a hand toy grenade in Central Park, 1962 30. Roger Ballen, Roar, 2002

Un aneddoto di Ballen sul suo scatto in questione, ovvero la sorpresa nello scoprire il

secondo gemello uscire da una stalla mentre stava per scattare una fotografia al primo, riconduce al

curioso ed aperto approccio dei due nei confronti dei loro spectrum. E per entrambi, come scrive

Susan Sontag, “la rivelazione dell’io si manifesta con ciò che è strano, insolito, sghembo” e che fa

apparire questa folla di freaks in posa “immagini di se stessi”. Per questa ragione identificativa forse

i due fotografi sembrano coltivare la stessa passione nell’immortalare bambini e giovani, che

facilitano un’ immedesimazione introspettiva da parte del fruitore e donano un risvolto naif ed

inaspettato all’estetica dei freaks.

In conclusione, dati i recenti sviluppi di Roger Ballen verso lo still life e la fotografia di

luoghi personificati (vedi Asylum of the birds) è interessante notare come anche Diane Arbus alla

fine della sua carriera si fosse concentrata sull’immortalare vecchi ospedali psichiatrici o manicomi

abbandonati. Sarebbe stato l’inizio per un processo creativo simile a quello di Ballen? Forse,

guardando le ultime immagini di Arbus in cui appaiono sempre più maschere ma non ci è dato

sapere. Quello che ci è dato sapere, o meglio vedere, è l’affermazione di due artisti nel creare una

fotografia che non rifletta un immagine, ma ne colga una per sempre.

33 | P a g .

31. Diane Arbus, Untitled III, 1970-1971

15. Walt Whitman nell’ introduzione al catalogo sulla retrospettiva personale di Walker Evans presso il

MoMa, 1971.

16. Susan Sontag, Sulla fotografia, 1973, pag.33

34 | P a g .

III. Guardare : Analisi Visuale

“La verità si troverebbe nel mezzo? Nient’affatto. Solo nella profondità.”

Arthur Schnitzler

3.1 Sickroom, 2000

Un bambino paffuto e sghignazzante occupa la posizione centrale della disarmante Sickness.

Sotto di lui è disteso un vecchio scarnificato, già protagonista di altre fotografie di Ballen, che tiene

nonostante tutto una sigaretta tra le labbra. Il bambino tiene le braccia aperte creando una croce col

proprio corpo pingue e facendo intuire un presagio di morte per l’altro soggetto. Nell’equilibrio

compositivo che viene retto da questa strana coppia bianca si viene dunque a creare una situazione

di forte contrasto: tra la fisicità del bambino e quella del vecchio, tra l’espressione gaudente di uno e

moribonda dell’altro che riflette gli enormi contrasti della società sudafricana. Non sono presenti

segni evidenti dell’intervento del fotografo ma l’effetto prodotto da quest’immagine è quello di uno

still-life composto da figure animate, profondamente metaforico e perfettamente architettato.

35 | P a g .

3.3 Loner, 2001

In Loner una spoglia croce fatta con sottili rami secchi è appesa in posizione centrale al muro in

secondo piano. La figura di Cristo normalmente annessa ad essa è qui sostituita da una disturbante

bambola dalle fattezze umane il cui collo penzola angosciantemente. Un pezzo di carta sotto questa

composizione reca la scritta “God”, Dio appunto, ed ancora più in basso un uomo senza maglietta e

dai piedi tanto sporchi da essere neri, giace disteso su un letto di fortuna con il volto rivolto verso il

muro. Inaspettatamente, un piccolo cane bianco è appoggiato al fianco dell’uomo e guarda

esattamente in camera fissando chi sta dall’altra parte. Ballen è evidentemente riuscito a catturare

questo momento fugace creando così una scena in cui l’animale sembra guardare con compassione

all’esperienza umana. Il fatto che gli occhi del cane, e del pupazzo-Dio abbiano la stessa

inclinazione e forma e che la parola “dog”, cane in inglese, sia “God” scritto al contrario, rafforzano

questa tesi. La composizione risulta improntata verso la verticalità ma bloccata dal formato

quadrato della foto a marcare l’effetto di trascendenza fallita.

36 | P a g .

3.3 Alter Ego, 2010

Un uomo in piedi, imprigionato nel mezzo di quello che sembra un angolo di una stanza ricoperta

da innumerevoli fili elettrici cascanti. Le mani dell’uomo sono legate ai lati del corpo verso l’alto, a

formare ancora una volta una sorta di crocefisso. Il volto si scopre per metà dietro un’imponente

maschera di una bestialità non ben definita. Lo straniamento provocato dall’immagine deriva dal

fatto che la reale testa dell’uomo sembra non appartenere più al suo corpo, sostituita dal feticcio

maschera. Così come le mani imprigionate del soggetto creano una figura ossimorica con le due

colombe bianche racchiuse in esse, e simbolo di pace e libertà nell’immaginario collettivo.

L’attenzione dello spettatore si trova inoltre distratta da una smisurata quantità di disegni che

ricoprono le pareti, così come dal corpo dell’uomo ricoperto di striature più scure. Quest’immagine

presenta dunque una composizione zoomorfa difficilmente inquadrabile e per questo perturbante.

37 | P a g .

1.4 Die Atwoord, 2012

I due componenti della band sudafricana, Die Antwoord, uomo e donna, siedono palesemente in

posa davanti all’obbiettivo di Roger Ballen. Il fotografo però, anziché porre il centro spaziale

dell’immagine sulla coppia, lo pone su di una bambola-manichino della grandezza di un bambino

che fa appoggiare nel mezzo delle due figure umane a formare una composizione piramidale. La

bambola assume ruolo predominante quindi, e crea un effetto di doppio con la figura femminile per

l’impressionate somiglianza espressiva ma allo stesso tempo con quella maschile per la fisionomia

38 | P a g .

analoga. Lo spectator dell’immagine è dunque portato a chiedersi se sia il fantoccio ad imitare vero

o viceversa, stravolgendo l’ordinaria azione fruitiva e creando un effetto di angosciante

straniamento. In secondo piano, coerentemente con gli ultimi lavoro del fotografo, disegni stilizzati

di volti vagamente umani ricoprono le pareti e dei pezzi di cartoni ritagliati su misura e sparsi per la

stanza. In questo caso i disegni sembrano anche espandersi sui corpi dei due soggetti umani

attraverso stampe e tatuaggi, inglobandoli ulteriormente in una ricreata atmosfera surreale e

disturbante. “I fink u freaky (and I like you a lot)”1, ovvero “penso che tu sia bizzarro( e mi piaci un

sacco)” è non a caso il testo di un brano dei Die Antwoord per cui Ballen ha curato la regia del

relativo video, e che calza perfettamente quest’immagine. Il bizzarro crea dunque una nuova

estetica che non può essere comunemente racchiusa nei macro-contenitori del bello o del brutto.

Ultima nota da tenere in considerazione è il formato della fotografia: rettangolare e non quadrato, ad

indicare forse che quello rappresentato non è una pura trasposizione dell’inconscio di Ballen ma una

collaborazione tra diversi immaginari artistici.

Note III:

1. Testo dal brano I Fink U Freaky della band Die Antwoord, dall’album Tension, 2012

39 | P a g .

IV. Vedere

4.1 Asylum of the birds: Roger Ballen oltre la sua fotografia

“Negli ultimi quarant’anni il mio obbiettivo nel fare fotografia

è stato in definitiva mettere a fuoco me stesso.

Si è trattato fondamentalmente di un viaggio psicologico ed esistenziale.”1

Roger Ballen

Riprendendo la

citazione dello stesso Ballen

riportata all’inizio di questa

pagina, i suoi lavori

fotografici più recenti che

egli ha scelto di riunire sotto

il titolo di Asylum of the

birds, rappresentano

l’ennesima evoluzione di un

percorso che dalla realtà

sudafricana hanno portato il

fotografo verso gli abissi più

oscuri dell’Io e dal ritratto

verso lo still life attraverso

l’uso della mise-en-scène.

Proprio come accade nella

prima scena di Blue Velvet di

David Lynch, in cui con una

32. Asylum of the birds, Place of the eyeballs, 2012 carrellata si passa dalla placida

quotidianità del vicinato di periferia alle viscere brulicanti del terreno2. Nel film fa da tramite il

malore mortale dell’anziano che così come per Ballen è il costante memento mori suscitato dal

Sudafrica post-Apartheid a spingerlo ad indagare la psiche e le sue paure universali.

Se di prende in considerazione l’immagine Place of the eyeballs (Immagine 32 in questa

pagina) ad esempio, risulta evidente come l’intervento dell’artista, attraverso l’uso di biglie al posto

degli occhi, sia applicato all’unica figura umana così come ai manichini e ritratti pittorici appesi alle

40 | P a g .

pareti. Sembra di assistere ad una rivisitazione del ritratto di famiglia, nel quale però il padre è un

fantoccio che segue le mimiche di una madre umana ma simile ad una strega, il figlio è un

bambolotto abbandonato a se stesso su di una sedia mentre i genitori tengono in mano corvi

impagliati. Alle spalle di questo ensemble, due ritratti dipinti ricordano appunto le due figure in

primo piano in tempi forse più giovani.

Il titolo di questa serie mette in luce il ruolo centrale degli uccelli, in quanto creature in

grado di toccare picchi inaccessibili all’uomo, ma contemporaneamente, nelle parole dello stesso

autore, difficili da fotografare perché incessantemente in movimento e liberi di volare in qualunque

direzione. In effetti la prima fotografia in cui Ballen ritrae una colomba, Five Hands (2006), scattata

in una casa di Johannesburg dove cinque persone condividevano lo stesso letto e risalente alla serie

Boarding House, può essere considerata come l’inizio della passione del fotografo per queste

creature e della loro integrazione nel suo immaginario

personale. Gli uccelli assumono così un significato enigmatico,

diventano quasi mentori nel viaggio fotografico di Ballen,

poiché spesso si trovano nella posizione di testimoni di questa

esplorazione. Essi sono presenti in ogni immagine della serie in

forma reale, di feticcio o anche solo di disegno o stampa.

Ricongiungendosi poi al titolo di questo capitolo, nei

suoi ultimi lavori Roger Ballen sembra oltrepassare il medium

della fotografia perché crea delle vere e proprie installazioni che

poi immortala. Questi scenari ricordano le angoscianti installazioni 33. Five Hands, 2006

di Ed Kienholz, e proprio come quest’ultimo nel video documentario di Asylum of the birds il

fotografo rende palese la sua inquieta ricerca di oggetti bizzarri, bambole, manichini, quadri feticci

da inserire nelle sue composizioni.

Questi objet trouvé provengono da mercatini, catasti, aste e discariche e contengono perciò

una ricerca accurata da parte di Ballen, il quale pur dislocando la sua produzione sul territorio dello

still life continua a mantenere l’approccio curioso che aveva avuto nella suo periodo più ritrattista e

ancor prima nella sua attività di geologo: Ballen sembra possedere la capacità di “scavare”, tra

rocce così come nella psiche umana, utilizzando tutti i mezzi possibili ma mantenendo il medium

fotografico come suo unico e vero strumento. Lo “scavare” operato dal fotografo è dimostrato a

livello metaforico anche dal crescente utilizzo di richiami alla sessualità umana e quindi

freudianamente più vicini alle profondità del subconscio (si veda Immagine 34, pagina successiva).

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34. Asylum of the birds, Crucified, 2009

Nell’ambiguità di simboli e metafore questa raccolta di fotografie di Ballen, propone un una

sorta di realismo onirico. Come conferma Didi Bozzini nell’introduzione del libro Asylum of the

Birds3, non ci troviamo mai a dubitare della verità di ciò che vediamo pur essendo di fronte ad una

realtà ricreata. La condizione umana rappresentata da Ballen, proprio come le omonime tele di Renè

Magritte5, è così ambigua e complessa da diventare universale, proprio perché si trova ad oscillare

tra realtà e immaginazione, tra bene e male, bello e brutto. Proprio come il pittore belga, anche nella

fotografia di Roger Ballen le illusioni ottiche sono svelate, le finzioni dichiarate ma si mantiene

presente il labile confine tra mondo immaginato e mondo esistente per lo spettatore. Se in Magritte

si può parlare di meta-quadro poiché la tela dipinta rappresenta al sua interno un’altra tela, Ballen

non solo pone numerose fotografie, soprattutto ritratti di famiglia, all’interno delle suoi scatti ma

sovrappone anche una sua immagine del mondo all’immagine che si trova nella realtà. Riportando

una celebre dichiarazione dello stesso Magritte, appare chiaro come Roger Ballen sembri averla

assorbita a perfezione:

“Misi di fronte a una finestra, vista dall’interno d’una stanza, un quadro che rappresentava

esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista del quadro. Quindi l’albero rappresentato nel

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quadro nascondeva alla vista l’albero vero dietro di esso, fuori della stanza. Esso esisteva per lo

spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente, come dentro la stanza nel quadro, e fuori

nel paesaggio reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è

solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi”4

Non sembra per nulla fuori luogo il parallelismo che le riflessioni di Magritte vengono a

creare con i lavori più recenti di Ballen non solamente per il tautologico gioco con la realtà che

entrambi, anche se con medium diversi attuano, ma anche per la concezione dell’umanità che tutti e

due gli artisti sembrano condividere: L’uomo vede la realtà attraverso la propria mente. Per usare le

parole di Roland Barthes quindi, nel caso di Ballen il reale viene trasformato, non sdoppiato, fino al

raggiungimento della cosiddetta

fotografia “unaria”5.

Nella fase di elaborazione di

Asylum of the birds è interessante

notare infine come Ballen si sia

aperto a diverse collaborazioni

come quella già citata con la band

Die Antwoord e quella, sicuramente

più interessante dal punto di vista

fotografico, con l’artista danese

Asger Carlsen6. La commistione

delle opere dei due ha creato uno

straordinario ibrido tra le figure

digitalmente modificate e mutanti di

Carlsen e i simboli feticci di Ballen,

riuscendo tuttavia a farne risultare

una fotografia credibile grazie

all’attentissimo formalismo tecnico

ed estetico. L’importanza di questa

collaborazione per Ballen sorpassa

in un certo senso il medium

fotografico ed apre le porte a sue

nuove ed inaspettate evoluzioni

artistiche. 35. Roger Ballen & Asger Carlsen, Untitled, 2013

43 | P a g .

Con Asylum of the birds l’opera di Roger Ballen diventa in sintesi una sorta di rito

sciamanico, che mira a rivelare ciò che ogni fotografia occulta dietro il proprio aspetto di

riproduzione oggettiva della realtà. Talismani, feticci, manichini ed animali prendono prima parte

ad un rito funebre, ed in seguito celebrano magicamentela rinascita. Proprio come gli uccelli

simboleggiano la caduta e il volo, la fotografia dell’artista ondeggia tra il paradiso e l’inferno delle

sue visioni.

36. Asylum of the birds, Caged, 2011

1. Roger Ballen in conversazione con Doug McClemont, Saatchi - Gallery.uk, 31 marzo 2009. Trad.

mia.

2. Particolare carrellata con steady-cam dall’alto verso il basso, nella sequenza iniziale di Blue Velvet,

regia di David Lynch (1986).

3. Didi Bozzini, intoduzione di Asylum of the birds, Thames and Hudson, 2012. Pag.9 Trad. mia.

4. Renè Magritte da:

http://www.tuttomagritte.altervista.org/

5. Roland Barthes, La camera chiara, 1980 pag. 42

6. Asger Carlsen & Roger Ballen :

http://www.asgercarlsen.com/index.php?/projects/collaboration-ballencarlsen/

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4.2 Intervista con Roger Ballen. Roma, 25 Settembre 2014

In occasione dell’esposizione presso Macro, museo di arte contemporanea di Roma, all’interno di

FOTOGRAFIA: Portrait XIII Festival internazionale di fotografia, incontro Roger Ballen. Ecco di

seguito il resoconto della nostra piccola intervista1.

ZP : Henri Cartier-Bresson ha scritto che ha imparato a “vedere” grazie al cinema di Ejzestejn,

Dreyer, Griffith e personalmente le sue opere mi hanno ricondotto a Von Trier, Kubrik, Lynch.

Qual è la sua relazione con il cinema? Si sente influenzato da registi o film in particolare?

RB : Devo dire che quand’ero più giovane, intorno ai vent’anni ero molto interessato al cinema e

quindi c’erano molti registi al tempo che mi ronzavano per la testa: Fellini, Bresson,

Ejzenstejn…Non sono però esattamente sicuro che questi registi abbiano influenzato la mia

fotografia. Oserei forse dire di no. La mia fotografia al momento è il risultato di 64 anni di vita e di

alcuni miliardi di anni di evoluzione sul nostro pianeta. Sai, il cervello è qualcosa di veramente

misterioso e complicato, è formato da un numero spropositato di cellule e non sappiamo

esattamente come interagiscono ed operano tra di loro per creare connessioni.

ZP : Lei è qui a Roma per un’esposizione in occasione del Festival di fotografia. Ho letto che però

che è molto legato alla pubblicazione dei suoi volumi fotografici perché ritiene che siano qualcosa

di permanente. Con il successo degli ultimi anni sta forse cambiando il suo atteggiamento verso le

esposizioni d’arte o considera ancora il libro il canale fruitivo più adatto a lei?

RB : Sì, vorrei sempre produrre un libro

per le mie fotografie ma le mostre in un

certo senso riflettono le mie pubblicazioni.

I libri sono alla base della catena tra una

serie e l’altra, concatenati tra loro e sì, sono

stati una parte fondamentale della mia

carriera. I libri sono più permanenti, gli

show vanno e vengono, al massimo

possiamo trovare un articolo a proposito

della tal mostra ma questo è tutto. Le

esposizioni non hanno memoria, il libro si.

. 37. Ballen presenta Asylum of the birds , MACRO 26 settembre 2014

45 | P a g .

ZP : Questo è assolutamente vero, però io credo che le esposizioni permettano di impressionare

maggiormente gli spettatori e di raggiungere un pubblico più vasto, mentre una pubblicazione

risulta più selettiva.

RB : Sì è vero, hai ragione. Le immagini stampate così come i video hanno sicuramente un impatto

maggiore dei libri, ma i libri sono un altro tipo di medium. Le persone interessate alla mia

fotografia dovrebbero provarli tutti.

ZP : Ho notato che i suoi ultimi lavori sembrano essere più focalizzati sugli oggetti che sull’uomo,

come lo erano una volta. Mi domandavo se ci fosse una ragione specifica per ciò o se lei stia

seguendo solamente la sua naturale evoluzione.

RB : Credo che questo sia avvenuto per piccoli passi in un lungo periodo di tempo. Ho fatto quello

che ho fatto e poi ho cercato nuove sfide. Non credo abbia molto senso continuare a fare la stessa

cosa, fotografare lo stesso soggetto, ancora e ancora. È stata un’evoluzione dal 1995 al 2003. Nel

2003 ho iniziato a fotografare still-life che sono poi diventati sempre più predominanti.

ZP : Esattamente. Questo progresso ed evoluzione nella sua fotografia è forse quello che la

differenzia così tanto. Insieme al fatto che ha mantenuto il sua professione di geologo per lungo

tempo e ha fotografato per passione. Forse è per questo che il pubblico rimane così impressionato,

perché vede qualcosa di autentico.

RB : Si è corretto. Non ho mescolato la fotografia commerciale con quello che amavo fotografare.

Ho fotografato focalizzandomi su passione e disciplina. Questo vuol dire impegnare se stessi con la

fotografia e non lo si può fare con nient’altro legato al mercato. Quindi questo credo che abbia

davvero giocato un ruolo fondamentale. E anche il fatto che abbia lavorato per trent’anni in

Sudafrica, che è un luogo abbastanza isolato dal mercato dell’arte contemporanea. Perciò quando le

persone mi chiedono cosa mi ha ispirato io rispondo “il muro bianco di fronte alla mia scrivania”.

Una buona fotografia viene da dove ci sei tu, da dove vivi tu.

ZP : Dunque da questo punto di vista sembra che il contesto sudafricano l’abbia influenzata ma al

contempo no. Crede che potrebbe iniziare a fotografare in una paese occidentale?

RG : Tutto reagisce a livello cinetico e ambientale. Sono diverso da qualunque altra persona al

mondo ma vivo in una cultura uguale a quella degli altri che mi influenza. Vivo in Sudafrica da 32

anni ormai e certamente se avessi vissuto in un altro paese la mia fotografia sarebbe differente ma è

piuttosto imprevedibile come processo.

46 | P a g .

ZP : La mia ultima domanda è puramente un mio interesse personale. Provando io stessa a

fotografare e usando una macchina fotografica analogica, mi chiedevo se anche lei usasse ancora il

rullino o fosse passato alla fotografia digitale.

RB : Utilizzo solo i rullini. Ho usato la stessa macchina per 32 anni, una Rollflex 6x6.

ZP : E per quanto riguarda il formato quadrato delle sue immagini? Credo sia sicuramente un

formato interessante ma scivoloso allo stesso tempo.

RB : Amo il formato quadrato, tutto deve essere perfettamente calibrato perché non si ha molto

spazio. Inoltre non ci sono macchine digitali con cui ottenere il formato quadrato.

ZP: Bisognerebbe intervenire a posteriori e ritagliare l’immagine, ma non è la stessa cosa.

RB : Esatto. Non è la stessa cosa. Sarebbe come comprare un vestito di una taglia sbagliata per poi

tentare di aggiustarlo a casa. Non credo sia una buona idea. Abbiamo l’infinito davanti a noi e

sarebbe un peccato perdere l’occasione di estrapolare un’immagine viva da esso.

Dopo l’intervista, che ha avuto

luogo nel bookshop del

MACRO di via Nizza, Roger

Ballen mi ha cortesemente

chiesto di parlare con

l’assistente alla vendita per

chiedere informazioni riguardo

i suoi cataloghi mancanti

nell’esposizione. Era

preoccupato che i suoi amati

libri non arrivassero.

38. Roger Ballen durante l’allestimento della sua sezione espositiva per FOTOGRAFIA.

1. Intervista originale tenuta in lingua inglese, Trad. mia.

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Lista delle immagini :

0. Shadow Chamber, Apparences, 2003

1. Boyhood, Blown up boy, Malesia 1976

2. Boyhood, Ceylon, 1979

3. Dorps, Bedroom of a railway worker, De Aar, 1984

4. Platteland, Sergeant F de Bruin, Orange Free State, 1992

5. Outland, Portrait of sleeping girl, 2000

6. Outland, Pupy between feet, 1999

7. Shadow Chamber, Chamber of the Enigma,2003

8. Shadow Chamber, Lunchtime, 2001 9. Shadow Chamber, Head inside a shirt, 2001 10. Boarding House, Metamorphosis, 2006

11. Boarding House, Boarding House, 2009

12. David Goldblatt, A land owner, his wife and his son having lunch, Wheatlands Randfonteein, Transvaal, 1962

13. Santu Mofokeng, Afoor family bedroom, 1986

14. David Goldblatt, A plot helder with the daughter of a Servant, Wheatlands Randfonteein, Transvaal, 1962

15. Roger Ballen, Man and maid in northern cape, 1992

16. Outland,Woman, man and dog, 1995

17. Shadow Chamber, Prowling, 200

18. Shadow Chamber, Bite, 2

19. Shadow Chamber, Kitchen Counter, 2001

20. Hans Bellmer, Anxiety, 1938

21. Shadow Chamber, Room of ninja turtles, 2003

22. Shadow Chamber, Cut loose, 2005

23. Shadow Chamber, Trails, 2003

24. Outland, Study of a boy and plant,1999

25. Diane Arbus, A young brooklyn family going For a Sunday outing, N.Y.C., 1966

26. Roger Ballen. Scrapyard Worker and Family, Central Transvaal, 1993

27. Diane Arbus, Identical twins, Roselle, N.J., 1967

28. Roger Ballen, Dreasdie and Cassie, 1993

29. Diane Arbus, Child with a hand toy grenade in Central Park, 1962

30. Roger Ballen, Roar, 2002

31. 31. Diane Arbus, Untitled III, 1970-1971

32. Asylum of the birds, Place of the eyeballs, 2012

33. Boarding House, Five Hands, 2006

34. Asylum of the birds, Crucified, 2009

35. Roger Ballen & Asger Carlsen, Untitled, 2013

36. Asylum of the birds, Caged, 2011

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Bibliografia:

1. Boarding House. Introduction by David Travis. Phaidon Press, London 2009

2. Shadow Chamber. Introduction by Robert A Sobieszek. Phaidon Press, London 2005

3. Outland. Introduction by Peter Weiermair. Phaidon Press, London 2001

4. Boyhood. Introduction by Roger Ballen. Chelsea House Publishers, New York-London 1979.

1. Roger Ballen: Fact of Fiction. Galerie Kammel Menour, Introduction by Serge Guibourgé, pp.1-10

2. On Photography. Susan Sontag, Picador USA, 1973 (ediz.2006)

3. Camera Lucida: Reflections on Photography. Roland Barthes, FGA Books, 1980

4. Fotografia e Società. Alfredo de Paz, Liguori editore, 2001

5. Della fotografia trasgressiva, saggio su Diane Arbus. Pino Bertelli, prefazione di Alfredo de Paz,

NdA Press, 2006

6. La (foto)camera di Pandora. Joan Fontcuberta, Contrasto, 2012

7. La fotografia. Illusione o rivelazione?. Claudio Marra Francesca Alinovi, Il Mulino, 1981 (parte I

capitolo VI, parte II capitoli II e IV)

8. Corpo e figura umana nella fotografia, Elio Grazioli, Mondadori ,1998

9. L’immaginario dal vero , Henri Cartier-Bresson, Abscondita Edizioni, 2005

10. The Apartheid city and beyond : urbanization and social change in south Africa edited by David M.

Smith London ; New York : Routledge ; Johannesburg : Witwaterstand university press, 1992

11. Arte dal 900, Foster-Krauss-Bois-Buchloh, Zanichelli, 2011

12. La trasparenza impossibile. Aforismi e riflessioni, Arthur Schnizler

13. Saggi sull'arte, la letteratura e il linguaggio, Sigmund Freud, Bollati Boringhieri, Torino 1990

14. Chasing Shadow, Santu Mofukeng Thirty years of photographic essays, Santu Mofokeng, Prestel,

2011

15. David Goldblatt, Fotografie. Edizione Contrasto, Roma , 2006.

16. Realismo, Kerstin Stremmel, a cura di Uta Grosenick, Taschen, 2004

Articoli:

Disturbing, potent lens of Ballen in mid-life, Marc Corrigal, Sunday Indipendent South Africa, 13

Marzo 2007

The Roger Ballen Strategies, Walter Guadagnini, Giugno 2010

Roger Ballen Interview, Jonathan Blaustein per A photo Editor, Marzo 2013

Zooning in. An Interview with Roger Ballen, Robert Enright per Mois de la Photo 2011

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Roger Ballen: The asylum, Walter Guadagnini, 2012

Roger Ballen: uncanny animals, Anne Biroleau, Robert Cook e Giovanni Aloi, Antannae

Magazine, 2008

David Goldblatt: Photographer bears witness to Apartheid, Dianne McCarthy e Lauren Said-

Moorhouse, CNN, 8 Novembre 2013

Roger Ballen in Conversation with Doug McClemont, Saatchi-Gallery.uk, 31 marzo 2009

Video:

Dorps (1986)

Platteland (1995)

Conversations with Photographers: Roger Ballen –Lens Culture

Roger Ballen – ARTE Channel

Roger Ballen's Asylum of the Birds, diretto da Ben Crossman (2012)

Sitografia:

Phaidon online: Roger Ballen, The journey to Boarding House

http://it.phaidon.com/agenda/photography/picture-galleries/2010/july/01/roger-ballen-the-journey-

to-boarding-house/?idx=3

www.roger-ballen.com

www.tuttomagritte.altervista.org

www.asgercarlsen.com