La posizione del manoscritto Didot nella tradizione della lirica trobadorica

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1 LA POSIZIONE DEL MANOSCRITTO DIDOT NELLA TRADIZIONE DELLA LIRICA TROBADORICA 1. Introduzione Fra i testimoni stravaganti della lirica trobadorica 1 figura il ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. fr. 4232, chiamato comune- mente manoscritto Didot dal cognome del libraio che lo acquistò alla fine del secolo XIX e noto soprattutto per essere l’unico relatore della gesta occitana Daurel et Beton. Si tratta di un codice miscellaneo cartaceo (ad ec- cezione delle carte 14r-17v, che sono pergamenacee) di mm. 205x104, copia- to nel tolosano da copisti guasconi nel secolo XIV 2 . Relatore di opere mol- to eterogenee, con una preponderanza di testi religiosi in versi 3 , sembra essere stato composto in fasi e luoghi distinti per accumulo non sistematico di materiali testuali, come testimoniano: il considerevole numero di mani che lo ha esemplato (almeno dodici); la presenza di un colofone e altre annotazioni cronologiche che ne certificano l’accrescimento progressivo e la sua circolazione geografica 4 ; la patina linguistica guascone che permea in maniera disomogenea le varie opere 5 . 1. Sulle dinamiche e sulle particolarità della tradizione stravagante nella lirica medievale si veda, da ultimo, C. Di Girolamo, Un testimone siciliano di ‘Reis glorios’ e una riflessione sulla tradi- zione stravagante, « Cultura Neolatina », lxx 2010, pp. 7-44. 2. Per una descrizione esaustiva del codice si rimanda a P. Meyer, Daurel et Beton, Paris, Champion, 1880, p. lxix. 3. Esse sono state edite da Meyer, op. cit., pp. lxix-cxx. 4. Meyer, op. cit., pp. lxx-lxxii; alla stessa conclusione giunge W.P. Shepard, La Passion provençale du manuscrit Didot: mystère du XIV e siècle, Paris, Champion, 1928, pp. x-xi. 5. Si veda Meyer, op. cit., p. lxxii. C. Chabaneau, recensione a M. Sepet, La passion du Saveur, mystère provençal du XIII e siècle, « L’union », 28 mars 1880, in « Revue des Langues Roma- nes », xvii 1880, pp. 301-5, a p. 302, e Le role de sainte Marie Madeleine dans le mystère provençal de la Passion, « Revue des Langues Romanes », xxviii 1885, pp. 5-23 e 53-65, a p. 5 n. 1, afferma che la lingua del codice non è affato pura e la identifica col linguadociano, « écrit seulement […] dans le voisinage des pays gascons »; nello specifico dei guasconismi, concorda con Meyer nel rile- vare che non tutte le opere del ms. ne sono provviste nella medesima quantità. Il Mistero della Passione, in particolare, è stato ricondotto al dominio linguisitico catalano da numerosi studio- si (si veda, da ultimo, S. Asperti, Flamenca e dintorni. Considerazioni sui rapporti tra Occitania e Catalogna nel XIV secolo, « Cultura Neolatina », xlv 1985, pp. 59-103, alle pp. 91-93, con pregevo- le ricostruzione del dibattito critico) che hanno cosí confutato il risultato dell’analisi liguistica di Shepard, op. cit., pp. xxii-xxvii., il quale, pur rilevando la presenza di numerosi catalanismi, identifica la lingua dell’opera col gallo-romanzo meridionale. Asperti, art. cit., p. 93, opera una felice sintesi di queste posizioni, collocando il Mistero della Passione in quella zona letteraria

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LA POSIZIONE DEL MANOSCRITTO DIDOT NELLA TRADIZIONE DELLA LIRICA TROBADORICA

1. Introduzione

Fra i testimoni stravaganti della lirica trobadorica1 figura il ms. Paris, Bibliothèque nationale de France, nouv. acq. fr. 4232, chiamato comune-mente manoscritto Didot dal cognome del libraio che lo acquistò alla fine del secolo XIX e noto soprattutto per essere l’unico relatore della gesta occitana Daurel et Beton. Si tratta di un codice miscellaneo cartaceo (ad ec-cezione delle carte 14r-17v, che sono pergamenacee) di mm. 205x104, copia-to nel tolosano da copisti guasconi nel secolo XIV2. Relatore di opere mol-to eterogenee, con una preponderanza di testi religiosi in versi3, sembra essere stato composto in fasi e luoghi distinti per accumulo non sistematico di materiali testuali, come testimoniano: il considerevole numero di mani che lo ha esemplato (almeno dodici); la presenza di un colofone e altre annotazioni cronologiche che ne certificano l’accrescimento progressivo e la sua circolazione geografica4; la patina linguistica guascone che permea in maniera disomogenea le varie opere5.

1. Sulle dinamiche e sulle particolarità della tradizione stravagante nella lirica medievale si veda, da ultimo, C. Di Girolamo, Un testimone siciliano di ‘Reis glorios’ e una riflessione sulla tradi-zione stravagante, « Cultura Neolatina », lxx 2010, pp. 7-44.

2. Per una descrizione esaustiva del codice si rimanda a P. Meyer, Daurel et Beton, Paris, Champion, 1880, p. lxix.

3. Esse sono state edite da Meyer, op. cit., pp. lxix-cxx.4. Meyer, op. cit., pp. lxx-lxxii; alla stessa conclusione giunge W.P. Shepard, La Passion

provençale du manuscrit Didot: mystère du XIVe siècle, Paris, Champion, 1928, pp. x-xi.5. Si veda Meyer, op. cit., p. lxxii. C. Chabaneau, recensione a M. Sepet, La passion du

Saveur, mystère provençal du XIIIe siècle, « L’union », 28 mars 1880, in « Revue des Langues Roma-nes », xvii 1880, pp. 301-5, a p. 302, e Le role de sainte Marie Madeleine dans le mystère provençal de la Passion, « Revue des Langues Romanes », xxviii 1885, pp. 5-23 e 53-65, a p. 5 n. 1, afferma che la lingua del codice non è affato pura e la identifica col linguadociano, « écrit seulement […] dans le voisinage des pays gascons »; nello specifico dei guasconismi, concorda con Meyer nel rile-vare che non tutte le opere del ms. ne sono provviste nella medesima quantità. Il Mistero della Passione, in particolare, è stato ricondotto al dominio linguisitico catalano da numerosi studio-si (si veda, da ultimo, S. Asperti, Flamenca e dintorni. Considerazioni sui rapporti tra Occitania e Catalogna nel XIV secolo, « Cultura Neolatina », xlv 1985, pp. 59-103, alle pp. 91-93, con pregevo-le ricostruzione del dibattito critico) che hanno cosí confutato il risultato dell’analisi liguistica di Shepard, op. cit., pp. xxii-xxvii., il quale, pur rilevando la presenza di numerosi catalanismi, identifica la lingua dell’opera col gallo-romanzo meridionale. Asperti, art. cit., p. 93, opera una felice sintesi di queste posizioni, collocando il Mistero della Passione in quella zona letteraria

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Al suo interno risulta abbastanza peculiare la trasmissione di quelle ope-re che potremmo definire di matrice cortese, un frammento di novas e tre componimenti trobadorici. Come si è rilevato in uno studio recente, il primo è andato a riempire un foglio rimasto in un primo momento privo di scrittura fra i due poemi religiosi intitolati da Meyer Les sept joies de Notre Dame e Les quinze signes de la fin du monde6. Dal canto loro, le tre liriche sono copiate nel senso inverso di scrittura rispetto agli altri testi, come se il ma-noscritto al momento della copia fosse posizionato al contrario: questa par-ticolarità lascia pensare che esse siano state trascritte solo in un secondo momento su due carte lasciate originariamente bianche7. Questo stato di cose induce a ipotizzare che il gruppo di testi piú propriamente cortesi trasmesso dal ms. Didot sia servito da riempitivo di spazi probabilmente destinati ad altro. In questo studio ci occuperemo dei tre componimenti trobadorici, un sirventese di Pons Fabre d’Uzes, una canzone religiosa di Falquet de Romans e una cobla anonima8, cercando di far luce sulle dinami-che della loro trasmissione e sull’apporto del ms. al complesso della tradi-zione della lirica trobadorica.

2. Trascrizione interpretativa

Per comodità e chiarezza espositiva i testi vengono divisi e numerati con cifra romana progressiva che riflette l’ordine in cui sono copiati nel codice; ad essa segue, tra parentesi, il numero con il quale vengono comunemente identificati dalla BdT9.

I componimenti sono esemplati rispettivamente su dodici, ventuno e sei

di confine, dai contorni spesso labili, venutasi a creare fra Occitania e Catalogna a partire dal secolo XIII, e segnalandolo come esempio del « cogente influsso esercitato dalla cultura lette-raria occitanica anche in territori lontanissimi dalla lirica trobadorica » (p. 93).

6. Si veda P. Di Luca, Le ‘novas’ del manoscritto Didot, « Cultura Neolatina », lxxi 2011, pp. 287-312.

7. Si tratta di un chiaro indizio di trasmissione stravagante. Un altro caso in ambito troba-dorico è rappresentato dal sirventese Si tots temps vols viure valents e pros (BdT 335.51a), attribuito dubitativamente a Peire Cardenal. È stato trasmesso dal ms. VeAg e, secondo le medesime modalità dei nostri testi (ossia capovolto), dal ms. 850 della Biblioteca de Catalunya, un volu-me miscellaneo contenente note e ricette in catalano: si vedano I. Frank, Nouveau manuscrit catalan du sirventès ‘Si tots temps vols’, « Romania », lxxi 1950, pp. 393-96, e, per l’edizione critica, S. Vatteroni, Un sirventese catalano-occitanico falsamente attribuito a Peire Cardenal, « Studi medio-latini e volgari », xlviii 2002, pp. 203-27.

8. Già editi anch’essi da Meyer, op. cit., pp. lxxxvii-xc.9. Qui e altrove la sigla BdT rimanda al repertorio di A. Pillet, Bibliographie der Troubadours,

ergänzt, weitergeführt und herausgegeben von H. Carstens, Halle, Niemeyer, 1933.

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righe piene. Si distinguono due mani: la prima ha copiato i, ii, e l’inizio di iii; la seconda, che si caratterizza per una scrittura molto piú disordinata, l’impiego di un modulo di scrittura piú grande, il mancato incolonnamento delle maiuscole e una non adeguata gestione dello spazio di scrittura, il re-sto di iii, a partire da tolges, e un colofone trascritto subito dopo che recita: « Iste liber e(st) Arnadi glibi detogete e de lasportas et de Anxe ». i e ii sono separati da uno spazio lasciato vuoto; l’inizio di ii, in particolare, è reso esplicito dalla presenza dell’iniziale di capotesto. Meno netta la separazione fra ii e iii: i testi sono copiati uno di seguito all’altro e l’unico indizio che ci fa capire che ci troviamo di fronte a un nuovo componimento è il fatto che il copista non completa la riga, ma va a capo; iii e il colofone sono chiusi dal segno ~ che di norma indica la fine del testo10.

Non si rileva alcuna partizione all’interno dei componimenti, né si indi-viduano segni interpuntivi di natura metrica o sintattica, se non l’indicatore di paragrafo § che dovrebbe di norma separare le varie porzioni testuali: in tutti e tre i componimenti esso ricorre in maniera meccanica mediamente ogni quattro righe, senza nessuna corrispondenza con l’andamento sintatti-co o la divisione strofica; è presente, in modulo minore, anche all’interno di alcune righe, dove indica congruamente, salvo in un caso, l’inizio del verso.

Entrambe le mani confondono sistematicamente u ed n, mentre y è qua-si sempre sormontata da un apice. Per la trascrizione si adottano i seguenti criteri: si disciplina secondo l’uso moderno la divisione delle parole; si re-golarizza l’uso di u e v e si discerne fra u ed n secondo il senso; si mantiene l’alternanza i/y, ma si distingue i da j, utilizzando il secondo grafema per l’affricata palatale; si distinguono secondo le convenzioni moderne le mi-nuscole e le maiuscole; si sciolgono le rare abbreviazioni senza segnalarle a testo; si introduce la punteggiatura interpretativa; il simbolo […] indica una lacuna; fra parentesi quadre si segnalano le espunzioni e fra parentesi unci-nate le integrazioni, mentre sono in corsivo gli altri emendamenti, che vengono anche registrati in apparato assieme agli altri interventi non ricon-ducibili a quelli qui sopra elencati.

i (BdT 376.1) [6r]

Lo Faure d’Uzeste

i Lox es que hom se deu alegrar: (+1)

10. Si veda M. Careri, Interpunzione, manoscritti e testo. Esempi da canzonieri provenzali, in Mi-scellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, 4 voll., Modena, Muc-chi, 1989, vol. i pp. 351-69, a p. 352.

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sitot no suy amaire, (–1)

en bulh eu eser chantaire 4 e a lox mo[s] saber mostrar; que ey say que gran‹s› ni pauc‹s› aver‹s› (+1)

no val saver qui savie, pero aprende pot tot die (+1)

8 e creyser al‹s› plus savis lo‹r› poder‹s›. (+2)

ii Casqus devem entendre en plazer‹s›, (+1)

10 si gardam de bilanie, e que fasam cascut die de ben[t] segont sos poder‹s›; (–1)

car, si·l vol desmesurar, (–1)

14 sont pretz no pot durar gaire, car mesura [e]ensenhe a fayre so per que bont […] pot durar.

iii Qui gran cor a de largeya‹r› 18 saber deu dont ho pot trayre: no dic que hom se deyha estraire (+1)

de ben, ny no tan a far, (–1)

car gran‹s› efors es lo conquerer‹s›, (+1)

mas lo gardar‹s› es maestrie, (+1)

e qui pert per sa folie 24 no sab quey maltrayt‹z› es quer[…]

iv Ses mezure sen‹s› ni saber‹s› no bal, ni gran‹s› mastria, (–1)

per ho lox es que farie 28 dant trop guardar‹s› e retener‹s›; lox que hom deu hotra pasar (+1)

lox de parlar […] […] 32 lox de sen lox de folie.

v Qui son bon pret‹z› bol tenir […] guardes no sia f‹o›ls ni guabayre (+2)

ni bulha dir ni retrayre (+1)

36 tot cant sab ni fay a selar, car fols es qui ditz tot‹z› sos ber‹s›, e fols qui en fols se fiza, (+1)

e fols qui es fols e no·s castia, (+1)

3 chantaire] è preceduto da amat biffato 10 ny] y corr. su o 12 sos] sonent con le tre ultime lettere biffate 19 deyha] y è aggiunta nell’interlinea 23 pert ripetuto due volte 24 quey] è se-guito da am biffato 28 reteners] retinir 37 qui ripetuto due volte; sos] son

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40 guan e fols qui sec tot‹z› sont boler‹s›. (+1)

vi De mezure nays fin‹s› pret‹z› e boler‹s› e cortezia, ho qui ab mezura lauza Dieu e fay son plazer.

ii (BdT 156.10) [6r-5v]

i Quant ben me suy apesat‹z› totz l’aus es nient mas Dieus, c’om layse teres e fieus e las autres eritatz; 5 ricor‹s› del segle malvat‹z›, non es mas trespaçamen[t]‹s› per que hom deu eser temen‹s› (+1)

e leyal‹s› ses tot‹z› enguan‹s›, car cascus em biandans.

ii 10 E tu caytieu, que faras, que no coneyses mal[s] e be[s]? (+1)

Si doncas no ti sobe[s] dont es bengut‹s› ni hon bas ni en ta bite ben no fas, (+1)

15 tu mitis t’es escarnit‹z›, car si s’en part l’esperit‹z› carguat‹z› de pecat‹z› mortals, ta mort‹z› es perpetuals.

iii E dont guarde com hobraras, (+1)

20 mentre bite te soste, qu’en breu d’ore s’endebe […] en un trespa‹s›; per que non deu hom eser las (+1) de ben far, car ades es auzit‹z›; (+2)

25 qu’en breu d’ore es fenit‹z› lo joy‹s› de quet segle fals: a tos es mort‹z› cuminals.

5 coneyses] y corr. su o 6 trespaçamens] trespacamen 10 trespa] t calcato su ?; una macchia al termine della parola nasconde s 11 yoy] o corr. su y con punto di espunzione 12 doncas] dont cas corr. Meyer 17 mortals] è preceduto da mobca biffato 25 qu’en] quem

iii (BdT 461.215a) [5v]

Rayson fore, si fos costume,

1 queal] l intersecata da un tratto veticale

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que al malvat filh hom la tere tolges, et al valent, qui n’a valor conquese, que hom la[c] dones, ab que [a] ren no‹·l› tanges; 5 e greu per dret jutjaria que hom ‹non› dones ‹ad› aquel qui valdrie, ‹e› a[l]quel ric loc laisses hom decaser.

3 n’a] è preceduto da a biffato; conquese] conquece 4 lac] è preceduto da cr biffato; ab que] ba-que 5 dret] precede d seguito da due lettere depennate; jutjaria] iuraria corr. Meyer in nota 7 laisses] lauses

2.1 Fonetica

– Il fenomeno piú diffuso, da far risalire alla patina linguistica guascone11, è sicuramente il betacismo: bilanie (i:10), bal (i: 26), bol (i:33), ber (i:37), boler (i: 40), bulh (i:3, 35), biandans (ii:9), sobes (ii:12), bengut (ii:13), bas (ii:13), bite (ii:14, 20), endebe (ii:21).

– Altro fenomeno guascone12 ampiamente attestato nel componimento è la chiusura di /a/ finale atona in /e/: savie (i:5), die (i:7, 11), bilanie (i:10), ensenhe (i:15), maestrie (i:22), folie (i:23, 32), mezure (i:25, 41), farie (i:27), guardes (i:34), layse (ii:3), teres (ii:3), autres (ii:4), bite (ii:14, 20), guarde (ii:19), ore (ii:21, 25), fore (iii:1), tere (iii:2), conquece (iii:3), valdrie (iii:6).

– Interessante è l’esito di /t/ in posizione intervocalica a ii:14, 20 (bite) e 15 (mitis). La mancata sonorizzazione della consonante potrebbe essere un tratto riconducibile alla scripta guascone13. Nello specifico del nostro testo,

11. Si vedano a tal proposito A. Luchaire, Études sur les idiomes pyrénéens de la région française, Paris, Maisonneuve, 1879, pp. 203-4; J. Ronjat, Grammaire istorique des parlers provençaux moderns, Montpellier, Société del langues romanes, 1930-1941, vol. ii, p. 6; E. Bourciez, Le domaine ga-scon, « Revue de Linguistique Romane », xii 1936, pp. 1-9, a p. 3; K. Baldinger, Le gascon entre la Galloromania et l’Ibéroromania, « Revue de Linguistique Romane », xxii 1958, pp. 241-92, alle pp. 261-63; G. Rohlfs, Le Gascon. Études de philologie pyrénéenne, Tübingen, Niemeyer, 19702, p. 128.

12. Si veda Rohlfs, op. cit., pp. 125-26.13. Il fenomeno, tipico, ancora una volta, della variante bearnese del guascone, è tuttavia

meno generalizzato dei precedenti: le forme non sonorizzate convivono con forme regolar-mente sonorizzate, dovute, queste ultime, all’influsso di una pronuncia piú aulica, propria della piana di Pau, centro politico e culturale del Béarn. Si vedano J. Saroïhandy, Vestiges de phonétique ibérienne en territoire roman, « Revue Internationale des Études Basques », vii 1913, pp. 475-97; R. Menéndez Pidal, Orígines del español: estado lingüístico de la península ibérica hasta el siglo XI, Madrid, Espasa-Calpe, 198610, parr. 46 e 55; W.D. Elcock, De quelques affinités phonéti-ques entre l’Aragonais et le Béarnais, Paris, Droz, 1938, pp. 33-76; Rohlfs, op. cit., p. 135.

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tuttavia, bite sembra essere un cultismo di matrice religiosa14: una rapida disamina del corpus trobadorico ci conferma che le rarissime occorrenze di vita si ritrovano quasi sempre nella locuzione vita eterna15 o in altre ad essa affini. Da par suo, la forma mitis non sembra essere esclusiva del guascone, giacché richiama l’occitano meteis e il catalano mateix, forme derivate da *mettipse16 rispetto all’etimo *metipse / *metipsimum che è alla base degli altri esiti romanzi in cui la /t/ è regolarmente sonorizzata; in antico guasco-ne sono attestate entrambe le forme17.

– Per le forme mitis, eritaz (ii:4) e retinir (i:28) bisogna presupporre un passaggio di /e/ protonica (< /e \/, / i ¨/, /e/) ad /i/; nelle forme prefissate trespacament (ii:6) e trespas (ii:22) si ha il passaggio di /a/ (< /a\/) a /e/, atte-stato in occitano specie se la vocale è seguita da nasale, mentre in cuminals (ii:27) un passaggio di /o/ (< /u/) a /u/, giustificabile grazie all’alternanza delle due vocali in sillaba iniziale protonica18.

– A ii:3 e iii:2, teres testimonia un insolito scempiamento della consonan-te geminata latina /rr/, unica, peraltro, ad essersi mantenuta in guascone19. Un normale scempiamento di /ss/ avviene in coneyses (ii:11).

– In i si rileva una discreta presenza di /n/ seguita da /t/ non etimologi-ca in posizione finale: bent (v. 12), segont (v. 12), sont (vv. 14, 40), bont (v. 16), cascut (v. 11), dant (v. 28). Il grafema ‹t› preceduto da /n/ si ritrova in nume-

14. Si veda Ronjat, op. cit., vol. ii p. 84, il quale asserisce che la particolare evoluzione di vi \tam con la conservazione di /t/ sorda in Guascogna, ma anche in altre aree di pertinenza linguistica occitano-romanza, come il Limosino, l’Alvernia, la Dordogna, le Alpi, sia da ricon-durre a espressioni come vitam aeternam, mors et vitam.

15. Aimeric de Peguilhan, Li fol e·il put e·il filol, « Dieus lor done vita eterna » (BdT 10.32, 32); Bertran de Born, Molt m’es dissendre car col, « tuich venran a vita eterna » (BdT 80.28, 16); Uc de Saint-Circ, Peire Guillem de Luserna, « per q’ill perdet vita eterna » (BdT 457.28, 6). Qui e altrove le edizioni dei trovatori sono citate secondo la COM: Concordance de l’occitan médiéval; COM 2: Les troubadours, Les textes narratifs en vers, direction scientifique P.T. Ricketts, CDrom, Tur-nhout, Brepols 2005.

16. G. Millardet, Linguistique et dialectologie romanes. Problèmes et méthodes, Paris, Champion, 1923, p. 7. La tesi di Millardet è sostenuta e ripresa da W.D. Elcock, The Romance Languages, Faber & Faber, London, 1975, p. 107; A.M. Espinosa, metipsimus in Spanish and French, « Publi-cations of the Modern Language Association of America », xxvi 1911, pp. 356-78; J. Rini, On the Etymology of Spanish ‘mismo’, « La corónica », xxvi 1997, pp. 141-56. Per la forma catalana ma-teix, A.M. Badia i Margarit, Gramàtica històrica catalana, Valencia, Eliseu Climent, 19943, p. 311, propone l’etimo *mettipsu.

17. A. Luchaire, Recueil de textes de l’ancien dialect gascon, d’après des documents antérieurs au XIVe siècle, Paris, Maisonneuve, 1881, gloss. s. v. medis.

18. J. Anglade, Grammaire de l’ancien provençal, Paris, Klincksieck, 1921, pp. 101-3 e p. 107.19. Rohlfs, op. cit., p. 169.

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rosi testi occitani20 e sembra dovuto alla perdita della sibilante /z/: la marca flessionale -s, combinata con la nasale finale, sarebbe divenuta -z e successi-vamente -tz, per ridursi infine a -t21. Alcuni dei lemmi sopraelencati hanno perduto il segnacaso a causa della suddetta riduzione e al suo posto conser-vato una -t22; per le altre occorrenze si può ipotizzare un livellamento ana-logico. L’intero ms. Didot è permeato in diversa misura da questo tratto fonetico23.

– Le forme ey (i:5), quey (i:24) possono essere giustificate, secondo Meyer, in base alla tendenza, tipica del primo copista, di sostituire u con y nel dit-tongo eu24.

2.2 Morfologia

– Retto singolare asigmatico (l’asterisco indica le occorrenze in rima): pauc (i:5), aver* (i:5) gran (i:5, 21, 26), poder* (i:8), conquerer* (i:21), maltrayt (i:24), sen (i:25), saber* (i:25), fin (i:41), pret (i:41), boler (i:41), apesat* (ii:1), ricor (ii:5), malvat* (ii:5), trespacament*, temen* (ii:7), leyal (ii:8), tot (ii:8), enguan* (ii:8), bengut (ii:13), escarnit* (ii:15), esperit* (ii:16), carguat (ii:17), mort (ii:18, 27), auzit* (ii:24), fenit* (ii:25), joy (ii:26).

– Obliquo plurale asigmatico: al (i:8), son (i:12, 37), poder* (i:12), ber* (i:37), boler (i:40), pecat (ii:17).

– Obliquo singolare sigmatico: mos (i:4).– A i:26, quet è forma tipica del dimostrativo in guascone, che, alla stregua

delle lingue iberiche, dispone di tre voci distinte a seconda della distanza che intercorre fra l’interlocutore e l’oggetto determinato; aquet, in partico-lar modo, esprime il grado intermedio di distanza25.

20. Si tratta generalmente di testi molto antichi, fra i quali il piú noto è lo Sponsus, e localiz-zabili in un’area geografica molto vasta. Per un elenco piú o meno esaustivo si veda E. Brayer et J. Monfrin, « Un fragment du Breviari d’amor conservé aux archives municipales de Vien-ne », in J. Monfrin, Études de philologie romane, Genève, Droz, 2001, pp. 237-74, alle pp. 253-58, con puntuali rimandi bibliografici.

21. Sull’argomento si veda P. Meyer, D’un emploi non étymologique du ‘t’ final en provençal, « Romania », vii 1878, pp. 107-8; C. Chabaneau, ‘T’ final non étymologique en langue d’oc, « Roma-nia », viii 1879, pp. 110-14; C. de Lollis, Trattato di penitenza, « Studj di filologia romanza », v 1891, pp. 273-40, alle pp. 332-35.

22. Si veda W.D. Paden, Declension in Twelfth-Century Occitan: On Editing Early Troubadours, with Particular Reference to Marcabru, « Tenso », xviii 2003, pp. 67-114, alle pp. 71-74.

23. Meyer, op. cit., pp. lvi-lx e p. lxxviii; Shepard, op. cit., p. xxii.24. Meyer, op. cit., p. lxxviii.25. Rohlfs, op. cit. p. 188.

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3. Il ms. Didot e la tradizione di BdT 376.1

3.1 La trasmissione manoscritta

Ben quindici testimoni26, oltre al ms. Didot, che sigleremo da ora con Di, hanno trasmesso il componimento Locx es c’om se deu alegrar (BdT 376.1). In CDMURTTof è attribuito a Pons Fabre d’Uzes, cosí come nei florilegi DcF, dove è uno di quei pochi componimenti a essere copiati per intero27. In a2 figura nella sezione dedicata a Uc Brunec; in Sg risulta adespoto, ben-ché esemplato nella sezione di Pons de Capduelh; in P è anonimo e copia-to nella carta in cui termina, a causa di una lacuna, la silloge poetica vera e propria del codice, dopo la quale troviamo una raccolta di vidas.

Una versione priva della cobla i e assegnata a Gaucelm Faidit è presente nell’antologia di liriche trobadoriche pubblicata in appendice alla seconda e terza edizione delle Vite de’ piú celebri poeti provenzali di Giovan Mario Cre-scimbeni28. I testi confluiti nel florilegio furono selezionati, come è noto, da Anton Maria Salvini, che utilizzò come fonte i canzonieri PU29. Il compo-nimento di Pons Fabre d’Uzes deriva sicuramente da P30; l’erronea attribu-zione sarà con ogni probabilità dovuta al fatto che nel ms. Locx es è sí ade-spoto, ma immediatamente preceduto dalla sezione dedicata a Gaucelm Faidit: Salvini avrà dunque supposto che anche esso dovesse farne parte.

26. Per la segnatura, la localizzazione geografica, la datazione e la bibliografia essenziale relativa ai canzonieri occitani qui e in seguito citati si rimanda a d’A. S. Avalle, I manoscritti della letteratura in lingua d’oc, nuova edizione a cura di L. Leonardi, Torino, Einaudi, 1993; S. Asperti, La tradizione occitanica, in Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo volgare. ii La cir-colazione del testo, a cura di P. Boitani, M. Mancini, A. Varvaro, Roma, Salerno Editrice, 2002, t. ii pp. 521-54; BEdT. Bibliografia elettronica dei trovatori, a cura di S. Asperti, www.bedt.it.

27. Si veda a tal proposito S. Asperti, Carlo I d’Angiò e i trovatori. Componenti ‘provenzali’ e an-gioine nella tradizione manoscritta della lirica trobadorica, Ravenna, Longo, 1995, pp. 141-47. In Dc, in particolar modo, sono solo due i componimenti trasmessi per intero, il sirventese di Guilhem de Montanhagol Qui vol esser agradanz e plazenz (BdT 225.13) e il testo di Pons Fabre d’Uzes, esemplati in successione nella parte finale del codice; anche in F Locx es figura nella sezione finale, dove, tuttavia, si riscontra un maggior numero di testi integri.

28. G.M. Crescimbeni, Commentari del canonico G. M. Crescimbeni intorno alla sua Istoria della Volgar Poesia, vol. ii parte i. Le Vite de’ piú celebri Poeti Provenzali, tradotti dalla lingua franzese nella toscana, Venezia, Basegio, 17222 e 17303, p. 232.

29. Si veda E. Vincenti, Bibliografia antica dei trovatori, Milano-Napoli, Ricciardi, 1963, pp. xlviii-lii.

30. Come sottolinea G. Contini, Sept poésies lyriques du troubadour Bertran Carbonel de Mar-seille, « Annales du Midi », xlix 1937, pp. 5-41, 113-52, 225-40, a p. 237; rist. in Id., Frammenti di fi-lologia romanza: scritti di ecdotica e linguistica (1932-1989), a cura di G. Breschi, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2006, pp. 762-70, da cui si cita, a p. 763.

paolo di luca

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L’antologia pubblicata da Crescimbeni è a sua volta una delle fonti del ma-noscritto e, che parimenti conserva la canzone di Pons Fabre d’Uzes priva della cobla i e attribuita a Gaucelm Faidit. Le testimonianze di e e di Cre-scimbeni sono pertanto da ritenersi descriptae.

Due coblas, la iii e la v, sono citate nel Breviari d’amor di Matfre Eremen-gau31, mentre solo l’incipit, assegnato tuttavia a Folquet de Marselha, è cita-to nel primo dei due trattati di erudizione poetica contenuti nel ms. Ripoll 12932: si tratta di un caso isolato, giacché gli altri componimenti menzionati nei trattati sono correttamente attribuiti 33.

Il v. 30, infine, è ripreso testualmente nel v. 2 del sonetto Tempo vene che sale chi discende di Re Enzo: « e tempo da parlare e da tacere » (PSs 20.4, 2)34. È bene precisare che si tratta di una formula molto diffusa, risalente al biblico « Tem-pus tacendi, et tempus loquendi » (Ecclesiaste 3,7) e utilizzata in ambito siciliano anche da Stefano Protonotaro nella canzone Assai cretti celare: « ca lo troppo tacere / noce manta stagione, / e di troppo parlare / può danno adivenire » (PSs 1.1, 3-6)35. Il fatto che le prime due quartine del sonetto di Re Enzo rie-cheggiano l’impianto retorico degli ultimi versi della cobla iv del sirventese di Pons lascia credere, tuttavia, che il poeta italiano abbia tenuto presente pro-prio l’antecedente occitano nel riproporre questo celebre topos.

3.2 Il testo

Elenchiamo di seguito i testimoni che hanno trasmesso il componimen-to:

C 381v (pons fabre duzes); D 83r (Fabre duisel); Dc 260r (Lofabre dusses); Di 6r (Lofaure duzeste); F 40r (Lo frabre duses); M 36v (Fabres duxell); P 38v (anonimo); R 52v (fabre duzest); Sg 94r (anonimo); T 190r (Fabre d’uçet); To 13 (Lo fabre du-

31. Edite in R. Richter, Die Troubadourzitate im Breviari d’Amor. Kritische Ausgabe der proven-zalischen Über-lieferung, Modena, Mucchi, 1976, pp. 378-79.

32. Si veda l’edizione di J.H. Marshall, The Razos de Trobar of Raimon Vidal and Associated Texts, London - New York - Toronto, Oxford University Press, 1972, p. 218.

33. Si veda C. Pulsoni, Repertorio delle attribuzioni discordanti nella lirica trobadorica, Modena, Mucchi, 2001, p. 107.

34. C. Calenda, « Re Enzo », in Poeti della Scuola siciliana. Edizione promossa dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani: vol. i. Giacomo da Lentini, edizione critica con commento a cura di R. Antonelli; vol. ii. Poeti della corte di Federico II, edizione critica con commento di-retta da C. Di Girolamo; vol. iii. Poeti siculo-toscani, edizione critica con commento diretta da R. Coluccia, Milano, Mondadori, 2008; vol. ii p. 747.

35. M. Pagano, « Stefano Protonotaro », in Poeti della Scuola siciliana, op. cit., vol. ii p. 327 e n. 3-6 a p. 331.

la posizione del manoscritto didot

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ses); U 135r (Fabre dusest); a2 359r (enugo brunecs de rodes); e 210v (Anselm Faidit); f 7v (Fabre duzes); Crescimbeni II:232; α 32018, 32488; τ42 (En Folquet de Mascey-la); Re Enzo 20.4, 2.

Esso è composto da cinque coblas retrogradadas con schema a8 b7’ b7’ a8 c8 d7’ d7’ c8 (Frank 624:70)36. Dall’ordine delle strofe vulgato si distaccano M (i iv v ii iii) e f (i ii v iv iii). DiRf presentano delle tornadas avventizie; trala-sciando quella di Di, per cui si rimanda alla trascrizione interpretativa e su cui si tornerà a breve, ecco quanto si legge negli altri due codici:

R De bona dona vuelh que aya perdut laun huelh e s’es bela ni pros aia·ls perdutz amdos s’amic no fai ioios

f Del comte plai sos captners de Proensa e sa paria e car ergueilh humilia plas mi car creis sos grans poders

Nei versi di R, palesemente spuri, si nota la mancanza di qualsiasi conti-nuità tematica e formale col resto del componimento: essi costituiscono un ironico anatema nei confronti di una dama riottosa ad appagare l’amante. In f i versi addizionali si strutturano in una vera e propria tornada: viene ri-presa la forma metrica e rimica di Locx es e formulata una dedica a un conte di Provenza, identificato da Stefano Asperti con Raimondo Berengario V37. Anche in questo caso si tratta di materiale testuale apocrifo; la sua presenza è, tuttavia, giustificabile tenendo conto della particolare sezione del codice in cui il componimento è esemplato: essa raccoglie quasi esclusivamente testi di poeti vissuti ed operanti in Provenza fra i secoli XIII e XIV; assume, dunque, una « forte connotazione regionale »38, di cui l’envoi personalizzato è una delle espressioni piú tangibili.

Ricordiamo, infine, che in T vengono saldate alla fine del testo due stro-fe di Eu chantera de gaug e volontos (BdT 345.2), un sirventese morale attribui-to a Peire Guillem de Toloza, alcuni versi del quale vengono citati come opera di Pons Fabre d’Uzes nella Doctrina d’acort di Terramagnino da Pisa39:

36. I. Frank, Répertoire métrique de la poesie des troubadours, 2 voll., Paris, Champion, 1953-1957, vol. i, s.n.

37. Asperti, Carlo I d’Angiò, cit., p. 22.38. Ibid., p. 22 e pp. 20-23 per una descrizione della prima sezione del codice.39. « Encara dis Fabres d’Uzes le bos: / “No·m platz rics hom si no es amoros, / ni·m plai

domna si gent no acuellis, / ni·m plai donzelz si de gauch no servis” » (II:21-24). Terramagni-

paolo di luca

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è chiaro che questa falsa attribuzione dipende dall’errore materiale occorso in T, dove i due testi sono stati fusi in uno.

L’unica edizione critica del componimento è quella realizzata da Gian-franco Contini, che impiega M come manoscritto base per il testo critico ed R per la grafia40. Essa viene qui riproposta con alcune modifiche e corre-data di un nuovo apparato. Rigettiamo le seguenti lezioni messe a testo dall’editore: al v. 2 s’ieu tot, trasmessa dal solo M (nella forma s’ie·us tot) rispet-to alla totalità dei codici che legge si tot; al v. 5 ricors ni avers, trasmessa da DcFM, alla quale preferiamo paucs ni grans avers, attestata (con varianti: cfr. infra) nel resto della tradizione; al v. 37 e fols qui vol dir, presente solo in CM, laddove gli altri codici tramandano (anche qui con varianti: cfr. infra) e fols n’es qui ditz. Tutti i testimoni sono stati ricontrollati su eccellenti riprodu-zioni fotografiche ad eccezione di To che, essendo di proprietà di un priva-to, risulta inaccessibile in qualsiasi forma41.

i Locx es c’om se deu alegrar, e si tot no soi amaire, si vuelh ieu esser chantaire et a loc mo saber mostrar; 4

qu’ieu dic que paucs ni grans avers no val saber, qui l’avia, car d’apenre cascun dia creis als plus savis lor volers. 8

ii Cascus deu entendr’en plazers, gardan se de vilania, e que fassa cascun dia de be segon qu’es sos poders; 12

pero, qui·s vol desmezurar, sos pretz non pot durar gaire, car mezur’essenh’a faire so per que bos pretz pot durar. 16

no da Pisa, Doctrina d’acort, edizione critica introduzione e note a cura di A. Ruffinatto, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1968.

40. Contini, art. cit.41. Il ms. è stato trascritto da G. Gasca Queirazza, che ne ha fornito esclusivamente la

descrizione in Un nouveau fragment de chansonnier provençal, in « Marche Romane », xxxiii 1983 [Actes du viiie Congrès international de langue et littérature d’oc et d’études franco-provençales (Liège, 2-9 août 1981)], pp. 93-99, e Exercises d’interprétation du texte d’un sirventes inédit, in Actes du premier Congrès international de l’Association internationale d’études occitanes (Southampton, 4-11 août 1984), éd. par P.T. Ricketts, Aieo - Westfield College, London 1987, pp. 213-17.

la posizione del manoscritto didot

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iii Qui gran cor ha de larguejar saber deu don o pot trayre: non dic c’om se dei’ estraire de valer, ni no·s tanh a far. 20

Grans afans es lo conquerers, mas la gard’es maistria, e qui pert per sa fulia no sap quals maltraitz es querers. 24

iv Ses mezura sens ni sabers no val, ni grans manentia, pero locx es que seria dans trop gardars e reteners: 28

locx es c’om deu otrapassar, locx de parlar, locx de taire, locx de donar, locx d’estraire, locx de sen, locx de foleyar. 32

v Qui son bon pretz vol tener car no sia fols ni gabaire, car fols es qui vol retraire so que sap e fai a selar; 36

e fols n’es qui ditz totz sos vers, e fols qui en fol se fia, folhs qui falh e no·s castia, e fols qui sec totz sos volers. 40

i. 1 locx] loc T, tems f; c’om] que hom Di; alegrar] alegrat Dc 2 e] manca Di; si tot no] si tot nom C, sieus tot non M, si tutç no T; amaire] uanaire R 3 uelh e. ieu c. U; ieu manca DR; chantaire] chataire Dc, gantaire f 4 a loc] aluecx CDDiU, en loc PT, en luecs a2, e uuelh R; mo] mos Di; mostrar] mostrat Dc 5 qu’ieu dic] que ey say Di, q(e)u sai DUa2f, qeu uei (uez P) PSgT; paucx ni grans auers] ricors ni avers DcFM, pauc ni grans auers RT, pauc ni grans auer SgU, gran ni pauc aber Di, pauc neguns auers a2 6 no val] non ual non ual Sg; saber] saber mostrar D, sabers Sg; qui l’avia] qui sauie Di, qui podia CRU, q(ue) podia D, qi auer lo podia a2, qui co dia f 7 car] per que CDDcFPRSgTUa2, pero Di; d’apenre] penre D, apren-de Di, de penre Pa2, p(er) apenre f; cascun] tot Di, q(ue)c DDcFP, quex a2f, qe qe U, con T; dia] die Di 8 creis] creyser Di, crec R; als plus] al plus DiPSgT; lor] lur C, lo Di, lurs MUa2f; volers] uoler RU, uale(r)s P, poder Di, sabers a2f

ii. 9 cascus] chascus hom Sg; deu] deuem Di; entendr’ en] entendre en DiPf, e. em DU, e. in a2, intendre Sg; plazers] plazer DiMSgTU 10 gardan se] ga(r)dar sen Dc, si gardam Di; vilania] uilanie Di 11 e que fassa] e de faire C, fasam Di; cascun dia] tota uia Dc, cascut die Di 12 de bent segont Di; qu’es] manca CDi, q(ue)r DPU, quers f; sos] manca D, son DiR-Sg, sus T; poders] poder DiRSgU 13 pero] p(er)so DT, p(er) ho f, car Di, qan pos M, mas P, pois a2; qui·s] sil Di, sis CR, qe(s) M, qius U, quil f; desmezurar] desmesurat D 14 sos] sont Di, so(n) RSgf; non pot] ges no pot Sg 15 car] mas DDcFUa2f; mezur’ essenh’a f.] mesura

paolo di luca

14

ensenhe f. Di, mezuræssenha f. CM, mesura enseigna f. (faira Sg) DDcFPRSgTU, mesuren seigna f. a2, mezur em seinan af. f 16 so] manca DcF; per que] per qem U, don PT; bos] sos bos DcF, bont Di, bo(n) RSgUf; pretz] manca Di; pot] uol M

iii. 17 gran] manca D; cor] cura R; ha de l.] ada l. D, ai adelargear Sg 18 deu saber DcF; saber] sabs Sg; don o pot trayre] dom (don a2) o deu t. Da2, on don deu t. U, de don el deu t. Sg 19 c’om] que hom Di, con f; se dei’ estraire] se (si T) deyha e. DiSgT, si deiæstraire CM, se deg e. DU, se deja e. f 20 valer] be CDiα, ualor DFUf; ni] e T; no·s] non DDiSgUf; a far] defar DcF 21 grans afans es] car gran efors es Di, greus (greu U) es lafans (la fan U) DUa2, breu (leu f) es ab affan Dcf, viles ab auols F, g. es lafans Sg; lo conquerers] al conquerer DUa2, al conquerir Sg, lo conquerer DiR, lo manca DcFf 22 la gard’ es] lo gardar es DiP, en gardar es Cα, agardar es U, li gard es M, loagart es T, la garda es DDcFRSg; maistria] maestrie Di 23 e qui] qar qui DcF, selh quo Cα, e q(u)i o Rf; pert] pert pert Di; sa] soa Sg 24 quals] quey Di, qei(n)gz DcF, cal TUf, que Sg; maltraitz] afans Cα, traich P, mal trayt DiU, maltrach M, mal-trag RSg, mal trac T, maltratz f; es] ses DDcFUR; querers] quer Di

iv. 25 sens nimesura ni sabers DU, sens m. sens e s. Sg; ses] car Di; sens] cor R, sen Dia2; sabers] saber DiSga2 26 grans] gran DDiRSgf; manentia] mastria Di 27 pero ho lox es que farie Di; pero] p(er) so D; es] manca a2 28 gardars] gardar DDiRSgUa2f, cardir T; e] en U; reteners] retener DDiRSgUa2 29 es] manca D; c’om] que hom Di, don PT, con f; otrapassar] i traspassar Sg, entrapassar T, doutra passar a2 30 in f il verso è invertito col successivo; manca C; l. de t. manca Di; loc de t. loc de p. Sg; locx de calar loc de braire R; e lioc ces don deu parlar e lioc es detraire T, luecs de p. luecs de callaire a2; locx] loc D 31 manca Di; l. des. l. de d. (invertito col verso successivo C) CSg; l. d’e. manca D; in f il verso è invertito col precedente; locs de s(er)ui(r) locs destraire DcF; lioc es dedonar lioc es de. T 32 lucx de dar luecx de follejar C, invertito con verso precedente; lox de sen lox de folie Di; l. de sen e l. de f. U; sen] sens f

v. 33 tener] tenir DiSg; car] manca Di 34 guardes no sia fls ni guabayre Di; fols] fals Ua2; ni] manca Sg; gabaire] galiaire a2 35 ni bulha dir ni retrayre Di; car folia es a retraire P; qe fols es ciuol recraire T; que f. es que uol r. f 36 so que] tot qan DcDiF; sap e fai] s. ni fa DDcDi-

FUa2, plus fai PT, se sai R, que f. Cf; a] manca D 37 e fols] car fols Di, e fol U, ez es fols DcF, fols es P, e fols es f; n’es qui ditz] qui vol dir CM, es qui ditz (qui ripetuto Di) Dif, ney pus ditz R, qui diz DcF; totz sos vers] tot son uer DDiU, tot son uoler a2, tutç sos uolers T 38 eplus fol qenfol sefia DcF; uers es fols cifol sefia T; e fols est qui en fols se fia U; e fols] e fol Sg; qui en] qin P; en fol] en fols DiUa2, e fol R; fia] fiza Di 39 folhs] e fols DiPRSgTa2, fols es DcF; qui falh] quis fals C, qui es fols Di, qui foleia Sg; no·s] nis F, nous f 40 e] manca F, gua(n) e Di; sec] fai F, trop sec DUa2, seguis Sg; totz] tot Dc, manca DUa2; sos volers] sos lezers DcFP, son lezer a2, sos uers R, son uoler U

vi. de mezure nays fin pret eboler ecortezia ho qui ab mezura l auza dieu e fay son plazer Di; De bona dona vuelh q(ue) aya. p(er)dut lau(n) huelh e ses bela ni pros. aials p(er)dutz amdos samic no fai ioios R; Del comte plai sos captners. de proensa esaparia. ecar ergu eilh humilia. plas mi car creis sos gra(n)s poders f

3.3 Nota al testo

A ragione Contini aveva ravvisato nel v. 5 un luogo critico cruciale per de-lineare i raggruppamenti dei testimoni. Ecco la situazione che si prospetta:

la posizione del manoscritto didot

15

quieu dic que paucx ni grans auers CQ(e)u sai q(e) paucs nigrans auers DQeu dic qericors niauers Dc

que ey say que gran ni pauc aber Di

Qeu dic qe ricors ni auers Fqieu dic q(ue) ricors ni auers MQeu uez qe paucx ni granz auers Pqui dic que pauc ni grans auers Rqueu uei que pauc ni grans auer Sgqeu uei qepauc nigrantç auers Tqieu sai qe pauc ni granz au(er) Uquieu say que paucs ni gra(n)s auers fqieu sai qe pauc neguns auers a2

Alla lezione tràdita da DcFM, q’eu dic qe ricors ni avers, si oppone il resto dei mss., i quali al posto di ricors ni avers leggono paucs ni grans avers. Questi codi-ci si suddividono a loro volta in tre gruppi, poiché CR tramandano, in ac-cordo con DcFM, qu’ieu dic (qui dic R), laddove PSgT hanno q’eu vei e DDiUa2f q’eu sai; da quest’ultimo sottogruppo si distaccano, a loro volta Di, che legge isolatamente gran ni pauc aver, e a2, che tramanda la lezione erronea pauc ne-guns avers.

L’analisi del v. 21 mostra, tuttavia, come tali raggruppamenti si manten-gono costanti solo in parte:

grans afans es lo conquerers CGreus es lafans al con querer Dbreu es ab affan c(on)qerers Dc

car gran efors es lo conquerers Di

viles ab auols conqerers Fgrans afans es lo conqerer MGranz affanz es lo conqerers Pgra(n)s afans es lo co(n)querer Rgrans es lafans al conquerir Sggrantç afanç es locon qerers TGreu es la fan al conqerer Ugrieus es lafans al conqerer a2

leues aba fan conquer ers f

Rispetto al verso precedentemente analizzato, qui si delineano i seguen-ti rapporti: greus (greu U) es l’afans (afan U) al conquerer di DUa2 si oppone alla lezione messa a testo da Contini, grans afans (efors Di) es lo conquerers (con-querer DiMR, al conquerir Sg) CDiMPRSgT. DcFf leggono rispettivamente

paolo di luca

16

breu, viles, leu es ab affan (auols F) conquerers. I suddetti raggruppamenti riaffer-mano il rapporto fra DUa2 e la separazione da questi codici di PSgT, oltre a certificare il distacco di M da DcF.

Un terzo luogo critico, al v. 37, oppone CM (qui vol dir) al resto della tra-dizione (qui ditz, ma pus ditz R). All’interno del gruppo DDcDiFPSgTUa2f si distinguono DcF (ez es fols contro e fols n’es), Dif (es qui ditz contro n’es qui ditz). Il resto del verso è uguale in tutti i testimoni, ad eccezione di Ta2 che leggono voler (volers T) al posto di vers. Si mantiene costante il raggruppa-mento DDiU, qui unito dalla lezione tot son ver, che è presente al plurale nel resto dei codici.

In questo quadro cosí composito, il rapporto meglio delineato è quello, peraltro scontato, fra DcF: si vedano le lezioni dei vv. 16 (per que contro so per que; sos bos pretz contro bos pretz), 18 (deu saber contro saber deu), 20 (de far con-tro a far), 23 (qar qui contro e qui), 24 (qeignz contro quals), 31 (locs de servir contro locs de donar), 37 (ez es fols qui diz contro e fols qui vol dir), 38 (e plus fol contro e fols), 9 (fols es contro e fols). DcF si accorda con Di al v. 36 (tot qan contro so que), con DUR al v. 24 (s’es querers contro es q.), con P al v. 40 (lezers contro volers). Lezioni separative di Dc rispetto a F sono presenti ai vv. 1 (alegrat contro alegrar), 10 (gardar sen contro guardan se), 11 (tota via contro cha-scun dia); di F rispetto a Dc ai vv., 20 (valor, in accordo con DUf, contro valer) e 40 (fols qui fai contro e fols qui sec).

Limitato al v. 5 appare l’accordo di M con DcF: al v. 7 la lezione cascun lo separa infatti dai suddetti mss., che tramandano quec, in accordo con DPa2f (qecs a2f), cui forse si può aggiungere U, che legge qe qe; allo stesso modo, al v. 15, M legge, in accordo con CDiPRSgT, qar contro mas di DDcFUa2f. Al v. 2 M è concorde con P nel trasmettere s’ie·us tot (s’eu tot P), laddove il resto dei testimoni legge si tot. Al v. 7, M è l’unico a trasmettere car, contro il resto della tradizione, che legge per que (pero Di).

Raramente attestato è anche il gruppo CR, che, oltre al v. 5, appare al v. 6 (podia, in accordo con DU, contro avia), e al v. 13, dove si·s si oppone a qui·s del resto dei codici (si·l Di, qe·s M, qi·us U, qi·l f). Sono numerosi i casi in cui C diverge da R: quest’ultimo trasmette svariate lezioni isolate (vv. 2, 4, 8, 17, 25, 30, 36, 37, 38, 40).

Il gruppo DUa2f: oltre al v. 5 lo si ritrova ai vv. 7 (quec, in accordo con DcF, contro cascun CM, tot Di, con T), 15 (mas, con DcF, contro car), 28 (gardar e re-tener, con DiRSg, contro gardars e reteners), 36 (sap ni fai, con DcF), 37 (qui ditz contro qui vol dir). Altrettanto frequenti gli accordi fra tre o due testimoni di questa costellazione: DUa2 è presente ai vv. 18 (deu, con Sg, contro pot), 21 (greu es l’afan) e 40 (qui trop sec); DUf al v. 12 (qu’er, con P, contro qu’es), al v. 20

la posizione del manoscritto didot

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(valor, in accordo con F, contro valer; e non, con DiSg, contro no·s); DU ai vv. 4 (a luecx, con CDi), 9 (entrendre em plazer), 19 (deg estraire), 24 (ses querers, con DcFR), 25 (sens ni mesura ni sabers); Ua2 al v. 34 (fols contro fals); a2f al v. 8 (sa-bers contro volers).

PSgT, raggruppamento certificato dal v. 5, riappare al v. 8 (al plus, con Di, contro als plus) e al v. 39 (e fols, con DiRa2, contro fols), ma quello maggior-mente delineato è il rapporto che lega PT: si vedano i vv. 4 (en loc contro a loc), 16 (so don contro so per que), 29 (don contro c’om), 36 (plus fai contro sap e fai).

A causa della ripetizione anaforica di lox es gli ultimi tre versi della cobla iv sono fortemente perturbati in molti testimoni: si rilevano, infatti, lacune per saut du même au même, inversioni di versi e di sintagmi, varianti. Di omet-te parte del v. 30 e l’intero v. 31; il v. 32 diventa lox de sen lox de folie. Stessa cosa avviene in C, dove la lacuna comprende il v. 30; i vv. 31 e 32 sono inver-titi e quest’ultimo diventa luecx de dar luecx de follejar. f inverte i vv. 30 e 31. Sg legge il v. 30 loc de taire loc de parlar e il v. 31 loc d’estraire loc de donar. Il v. 30 è trasmesso da R come locx de calar lox de braire, da T come e lioc c’es don deu parlar e lioc es de traire, da a2 come luecs de parlar luecs de callaire. DcF leggono il v. 31 locs de servir locs d’estraire, mentre D omette la seconda parte dello stesso verso, leggendo solo luoc de donar.

Il medesimo artificio retorico, che prevede la ripetizione di e fols ai vv. 37, 38 e 40, induce DiPRSgTa2 a inserire la congiunzione e anche all’inizio del v. 39, causando ipermetria.

3.4 La posizione di Di

Commentando i rapporti fra i vari testimoni, Contini definisce giusta-mente la posizione di Di « intermédiaire »42: in effetti esso intrattiene legami con piú di una famiglia di mss. Al v. 5 Di, assieme a CDUa2f, legge, al posto della generica dittologia sinonimica ricors ni avers (DcFM), gran ni pauc aver, invertendo tuttavia i due attributi rispetto agli altri codici; la variante que ey say, che concorre con le adiafore qu’eu dic (CDcFMR) e q’eu vei (PSgT), rin-salda il legame con DUa2f. I punti di contatto coi mss. afferenti a questo raggruppamento sono molteplici: al v. 36 il gruppo si ritrova compatto, con DcF, nel leggere sap ni fai; inoltre, al v. 37 Di è concorde con f nel leggere es qui ditz e con DU nel trasmettere tot son ver, mentre al v. 36 concorda nuo-vamente con DcF nel tramandare tot qan rispetto a so que.

42. Contini, art. cit., p. 766.

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Non mancano, tuttavia, convergenze ben piú significative con gli altri testimoni, come certifica il v. 21, dove Di legge in accordo con CMPRSgT gran contro greus DUa2, leu f, vil F, breu Dc. Il rapporto meglio delineato è quello con C: al v. 12 i due codici sono congiunti dalla comune omissione di qu’es, che rende il verso ipometro; al v. 20 dalla lezione be, trasmessa an-che da α, che parimenti causa ipermetria; al v. 39 da qui es (qui·s C) fols (fals C); al v. 22 dalla lezione gardar, condivisa anche da PUα; al v. 13, con R, da si·l (si·s CR).

Si elencano di seguito le piú signficative lezioni singolari di Di.Al v. 7 legge qui savie, al posto di qui l’avia, errore indotto con ogni proba-

bilità dalla ripetizione del saber che precede immediatamente il sintagma; da notare che Di non è l’unico ms. a sostituire il verbo aver con un modale: CRU leggono qui podia. Una situazione simile si presenta al v. 8, dove al posto di volers, Di legge poder, mentre P valers e a2f sabers.

Il valore partitivo conferito a casqus, cui viene sottinteso il pronome nos, induce a una serie di variazioni nelle forme verbali rispetto al resto della tradizione: al v. 9 devem contro deu, al v. 10 si gardam contro gardan e al v. 11 fasam contro fassa.

Al v. 21 Di è l’unico ms. a trasmettere efors al posto della lezione meglio contestualizzata – giacché riflessa nel maltraitz del v. 24 – afans; al v. 26 si riscontra un’erronea ripetizione del maestria del v. 22, laddove gli altri codi-ci hanno manentia; al v. successivo farie sostituisce seria; al v. 35 il probabile tentativo di non ripetere il fols del v. precedente genera lezione ni bulha dir ni retrayre che si oppone a car fols es qui vol retraire.

Il contenuto dei versi avventizi si attaglia perfettamente all’assunto enu-cleato nel componimento: ne vengono ripresi i temi cardine, ossia l’esalta-zione in chiave cristiana del pregio e della continenza. Da un punto di vista formale essi costituiscono una tornada poiché vengono riprese, seppur non perfettamente, le rime degli ultimi due versi della cobla finale; il metro in-vece non è rispettato: lo schema che si ricava è d14’ c14.

4. Il ms. Didot e la tradizione di BdT 156.10

4.1 La trasmissione manoscritta

Oltre che da Di, la canzone Quan ben mi soi apensatz (BdT 156.10) è stata trasmessa da altri quattordici testimoni. È esemplata nelle sezioni d’autore dedicate a Falquet de Romans nei canzonieri CEPRSc (in EPRc la si ritro-va in apertura di sezione); in J è l’unica del trovatore a esservi conservata.

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Kp la attribuisce a Folquet de Marselha, laddove f a un non meglio definito En Folquet; è adespota in DiGMhY.

Se ne conserva, inoltre, una redazione intercalata nel livre de raison di Étienne Benoist, un esponente dell’alta borghesia di Limoges, dove sono registrati eventi di tenore esclusivamente familiare accaduti fra il 1426 e il 1454; per questa versione, siglata x dagli editori precedenti, ci si basa comu-nemente sull’edizione critica del livre, approntata da Louis Guibert nel 1882, essendo indisponibile, poiché di proprietà di un privato, il manoscritto ori-ginale dell’opera43; secondo l’editore, il componimento sarebbe stato tra-scritto a memoria dall’autore del livre a titolo di insegnamento morale44.

Un’ulteriore testimonianza, benché di natura del tutto diversa, è rappre-sentata dalla traduzione, che sarebbe meglio definire un perfetto adatta-mento linguistico e formale, di Quan ben mi soi apensatz da parte dell’Ano-nimo Genovese (da ora AnGen): la canzone di Falquet è notoriamente la fonte del componimento 139, rubricato nel codice Molfino sotto il titolo, quanto mai indicativo, De quodam provinciali translato in lingua nostra45.

Abbiamo infine una ripresa, piú o meno letterale, dei primi versi di Quan ben mi soi apensatz nella prima strofa di una canzone religiosa composta da un poeta anonimo catalano e tràdita dal ms. 105 della Biblioteca nazionale di Madrid, Quant ay lo mon consirat (Rialc 0.118)46. L’impiego a mo’ di farcitura dei versi incipitari della canzone di Falquet è reso evidente nel testo catalano anche da una variazione di struttura metrica, situata proprio al limitare della

43. Le Livre de Raison d’Étienne Benoist, édité par L. Guibert, Limoges, Ducourtieux, 1882, pp. 35-36.

44. Guibert, op. cit., p. 35.45. Ha indagato in maniera definitiva il rapporto di traduzione e adattamento fra il testo

genovese e il suo modello Au. Roncaglia, De quibusdam provincialibus transaltis in lingua nostra, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, 5 voll., Roma, Bulzoni, 1974-79, vol. ii pp. 1-36.

46. La canzone è edita da B. Spaggiari, La poesia religiosa anonima catalana o occitana, « Anna-li della Scuola Normale Superiore di Pisa », vii 1977, pp. 117-350, a p. 273. La sigla Rialc rimanda a Repertorio informatizzato dell’antica letteratura catalana. La poesia, a cura di C. Di Girolamo, www.rialc.unina.it, 1999 sgg. Il rapporto fra i due testi è stato segnalato per la prima volta da Frank, Répertoire, cit., vol. ii, p. 222 n. 59. Il componimento si avvicina molto nei temi e nello stile alla tradizione medievale della lirica penitenziale, la quale annovera in ambito romanzo, oltre alle riscritture dei salmi e a componimenti che ad essi si ispirano, un gruppo di testi, de-finiti canti di penitenza, caratterizzati dalla presenza di un io lirico che si rivolge direttamente a Dio per confessare i propri peccati ed invocarne il perdono; nel fare questo « fa uso di un linguaggio che può definirsi biblico per precisi riscontri tematici o lessicali o per allusioni esplicite a situazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento » (si veda C. Di Girolamo, Canti di penitenza: da Stroński a Ausiàs March, « Cultura Neolatina », lxii 2002, pp. 193-209, a p. 198).

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ripresa dal modello: la prima strofa ne ricalca lo schema metrico, mentre le altre sono quartine con schema a11 a11 a13 a7 chiuse da una tornada con sche-ma b11 b1147. Identificheremo questa testimonianza con la sigla AnCat48.

4.2 Il testo

Riassumiamo sinteticamente lo stato delle fonti:

C 229v (falquet de roth); E 130 ([…]uet deroman); Di 6r (anonimo); G 116r (anoni-mo); J 4r (Folquet de romans); Kp 107r (folquet d[…]ceilha); Mh 3r (anonimo); P 27v (Folqet de Roman); S 250 (Falket); R 52r (falquet de romans); Y 2r (anonimo); c 16v (Folchet de roman); f 3v (En Falquet); x 35-36 (anonimo); AnGen 139; AnCat Rialc 0.118, 1-8.

L’ablazione di due capitali miniate, quella propria del componimento di Falquet e una a c. 132, rende mutilo il ms. E di parti consistenti delle coblas i, iv, v e vi; per parte sua, Di tramanda solo tre coblas, la i, la iii e la iv.

La canzone si compone di 6 coblas doblas di nove settenari ciascuna, piú una tornada di quattro settenari: a7 b7 b7 a7 a7 c7 c7 d7 d7 (Frank 504:24)49. L’ordine delle strofe è condiviso da tutti i mss. eccetto Kp, che inverte le coblas iii e iv.

È stata edita da Rudolph Zenker sulla scorta di dodici testimoni (manca-no Mh e x) e da Raymond Arveiller e Gérard Gouiran, che utilizzano J co-me base per il testo critico50. Qui si ripropone quest’ultima edizione con alcune modifiche: il criterio stabilito dai due studiosi di seguire fedelmente il ms. base salvo nei casi in cui questo risulti manifestamente scorretto con-duce, infatti, ad alcune scelte editoriali opinabili. Rigettiamo pertanto le lezioni isolate di J che, pur valide, non trovano riscontro nel resto della

47. Si veda J. Parramon i Blasco, Repertori mètric de la poesia catalana medieval, Barcelona, Publicacions de l’Abadia de Montserrat, 1992, s.n. 133:2 per la prima strofa e 11:1 per il resto del compomimento. Nella sua edizione, Spaggiari pubblica la prima strofa dividendola in due, di quattro e sei settenari ciascuna.

48. Le sigle AnGen e AnCat sono desunte dall’edizione inedita di G. Larghi, Falquet de Romans: edizione critica con note e glossario, Tesi di Laurea, Milano, Università Cattolica Sacro Cuore, 1985 (viii).

49. Frank, op. cit., vol. i, s.n.50. R. Zenker, Die Gedichte des Folquet von Romans, Halle, Niemeyer, 1896, p. 63 (ix); R.

Arveiller et G. Gouiran, L’œuvre poétique de Falquet de Romans, troubadour, Aix-en-Provence, Cuerma-Université de Provence, 1987, p. 109 (x). Il testo critico di Zenker è ripreso da F.J. Oroz Arizcuren, La lírica religiosa en la literatura provenzal antigua, Pamplona, Diputación Foral de Navarra - Institución Príncipe de Viana, 1972, p. 154 (xiv). Un’ulteriore edizione non pub-blicata è a cura di Larghi, op. cit.

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tradizione: al v. 1 mettiamo a testo la lezione maggioritaria apessatz rispetto a perpensatz; al v. 29 mentre vida te soste rispetto a mentre que vida·t soste; al v. 47 qe om pens contro cal c’om pens; al v. 55 a dieu prec rispetto a preguem dieu. Al v. 9 preferiamo pubblicare la lezione car rispetto a que (trasmessa da CGJKp) perché piú congruente da un punto di vista sintattico; sempre al v. 9 met-tiamo a testo es vianans rispetto a em vianans (trasmesso da DiJR). La punteg-giatura è all’occorrenza lievemente modificata. Abbiamo compilato altresí un nuovo apparato che, rispetto a quello dell’edizione di Areveiller e Goui-ran, non tiene conto delle varianti puramente grafiche. Tutti i testimoni sono stati ricontrollati su eccellenti riproduzioni fotografiche.

i Quan ben mi soi apensatz, tot l’als es nien mai Dieus c’om laissa alos e fieus e las autras eretatz; ricors del setgle malvatz 5

non es mas traspassamens, per c’om deu esser temens e leials ses totz engans, car cascuns em vianans.

ii Qu’aitan tost com hom es natz, 10

mou e vai coma romieus a jornadas, et es grieus lo viatges, so sapchatz; que cascuns vai eslaisatz ves la mort, c’aurs ni argens 15

no l’en pot esser guirens, e sel qui mais sai viu d’ans, ses Dieu, mais fai de sos dans.

iii E tu, quaitiu, que faras, que conoisses mal e be? 20

Fols hiest si non ti sove don hiest mogutz ni on vas; si·n ta vida ben no fas, tu mezeis t’iest escarnitz, e si s’en part l’esperitz 25

cargatz de pecatz mortals, ta mortz es perpetuals.

iv Doncx gara com obraras, mentre vida te soste,

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qu’en pauc d’ora s’esdeve 30

que hom mor en un traspas; per c’om non deu esser las de ben far, quan n’es aizitz; qu’en breu d’ora es failhitz lo jois d’aquest setgle fals 35

qu’a totz es mortz cominals.

v Non i a frevol ni fort que tan sapcha d’escremir qu’a la mort puesca gandir; qu’ilh non gara agur ni sort, 40

dreg ni meszura ni tort; qu’aitan tost pren lo meilhor e·l plus bel co·l sordeior e negus hom per nul plag no·s pot gardar del sieu trag. 45

vi E no·i sai mas un conort: que hom pens de Dieu servir e que·s garde de failhir mentre que vai ves la mort; qu’a passar nos er al port 50

on tug passon ab dolor, li rei e l’emperador: lai trobarem atrazag lo ben e·l mal c’aurem fag.

vii A Dieu prec per sa doussor 55

que nos fassa tant d’onor que·ns gart de mortal agag tro·l sieu plazer aiam fag.

i. 1 quan ben mi soi] …bem soi E, can mi sui ben G, cam ben mi soi Kp, e car me soy Mh, on mielhs mi soi R, e quat heu me suy ben Y; mi] me CMhPSYcf; apessatz] perpensatz J, apesat Di, apensatz EGKpPScf, apessat e cossirat x 2 tot l’als]…lalre E, tot lautr G, totz laus DiPS, tout autre Y, tutz lals c, nula res KpRf, tout lals et tout lo demorant x; es nien] es nient DiGJx, es niens CEMhPSc, est ren Y, non es KpRf; mai] vas Mh, mans x; Dieus] deu Gcx, se-ruir deu Y 3 c’om] p(er) com Mh, que om Yc, con f, quar lom x; laissa] laissals C, laix Mhc, layse Di; alos e fieus] a. els f. C, teres e f. Di, los alos…ieus E, los alou el feu G, lalou el fieu Kpc, e t(er)as e f. Mh, la locs el f. PS, onors e f. R, lo louc el fauc Y, solas els f. f, las rendas et los f. x 4 e las autras] e totas las CEKpPS, etotas al altras Mh, e totas sas Rf, et touz lez Y, e tuz laç c; eretatz] eritac Y 5 ricors] ricor Di, ela r. E, el ricor GKpc, el (eilh J) ricors JPRS, quel ri-chor MhYf, la richour x; del] dest Mh, daquest x; maluatz] maluat Di, las x 6 none mais un trepasseme(n)ç c; traspassamens] trespacament Di, trapassamens G, trespasamens Kp, trespa-

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samentz Mh, trepassamenz PS, traspassamen(n)t Y, trepasseme(n)ç c, traspasamens fx 7 per c’om] per que hom (lom x) DiYx, don Mh; deu] deuria EGc, deue(m) Mh; temens] temen Di, teme(n)t Y, temoros x, penedntz Mh 8 leials] viure Mh, leyal DiGJPRSYf; ses] sus Kp; totz] tot (tut G) DiGKpMhRYfx, tuç c; engans] enjan DiGRYx, enyanç Mh 9 car] que CGJKp; cascuns] cascun (cascu Mh) MhYcf; es] em DiJR; vianans] uiandans CKpc, uiandas E, uianda G, uiadan RY, biandans Di, ujandra(n)tz Mh, viadans x

ii. 10 Qu’aitant tost] aissi tost C, car tantost EPSY, sli ta(n)t tost G, aitant tost KpMhRcx; com] ca(n)t Rf; hom] lome Y; natz] nac Y, nat x 11 moue e uai cum fai romeu Kp; uai e mou co fal r. R; axi ua ho(m) com ha r. Mh; el vay et vien x; mou] meu Y, muou f; e] en PS; coma] come PS, com c; vai] uia P; romieus] romeu GKpRYc 12 jornadas] zornada GKp, iornaz c; es] az Mh; grieus] breu G, greu KpRYcx, agre(us) Mh 13 manca R; lo] le KpY; viatges] uiage GKpMhYfx, uiag c; so] ceu Y 14 euaisen tot es laisaz G; uas la mort et es laçatz Mh; sapchatz q(ue) ia pueis que es lassatz R; car si senuay chacu(n) tout eslaissac Y; qa hom sen va tuz e. c; que] manca E, car x; vai e.] uai totz e. EPS, vai] uia e. Kp; eslaisatz] eslaissac Y, eyleyssat x 15 cau(er) ne aur ne arge(n)t Mh; ves] uers GPS, a R, uer Yc; c’aurs] caur GKpcf, aur R, que our (aur x) Yx; argens] ni arge(n)t GkpRYfx 16 no l’en pot] nolien pod G, noi en p. PS, no li pot (pod c) Rc, ne li puet Y; pot] post Mh; esser] aueir Y; guirens] guire(n) R, garent Yx, garenz PSc, guaren f 17 e sel qui] et on hom C, com E, equi J, eqand hom GPSYc, e çels que Mh, quar cel x; mais sai] mas fai J, mais uiu E, pl(us) zai (sey x) Gx, uif pluz Yc, sai mai Kp; viu dans] u. ans C, hom d. E, dans Yc, vieu dan R, uien danz Kp, çay uiuran Mh, vieu des ans x 18 fai mais d(e) son dan G; ni dias mai fai de son dan R; mas i fai Kp; Dieu] dieus f; mais] plus sey x; sos dans] lur dan Mh, son dans PSY

iii. 19 e tu] lastu Kp, donc tu x; quaitiu] chaitis Y, zaitius c 20 que] q(ui) CKpc, que no Di; conoisses] conois EGMhc, conosc PS, sabes KpR, conoysseys x; mal e be] los mals el bes E, los mals el be G, el mal el ben c, lo mal el be MhPS, los mals els bes R, le mal et elbien Y, mals e bes Di, mals els bens f, lo mals els bens Kp 21 si dont cas no ti sobes Di; fols] greu C, fol Y, mort x; hiest] er C; si] sel Y; non ti] not Mh, ne ti Y, no ten CEKpPS, no te Gcx; sove] soues E, souens f 22 don] un PS; mogutz] uengutz CEGPSc, bengut (uengut Yx) DiYx, mogut f; ni] et Y; on] un PS 23 q(ue) ara mal ho fas Mh; si·n ta vida] quar senta u. EY, esen ta u. Gc, ni en ta bite Di, qe sen ta u. PSf, si e(n) ta u. Rx 24 mezeis] mitis Di, matex Mh, medes PS, mesme Y, meteys x; t’iest] ten E, te G, nes KpPS, eis Y, iest f, te yes x; escarnitz] sca(r)nis G, scarnic Y, escarnit Di, eycharnit x 25 e] que C, aisi E, car DiMhY; si s’en] sin G, sis n Kp, sel sem Y, si sem c; esperitz] esperit Yfx 26 cargatz] carr(er)egat Mh, cariat PS, cargat Rx; de] dels J, del PS; pecatz mortals] pecat mortal DiRx, de paç mortal Y 27 car a tutç es mors p. c; ta mortz] tamort DiGKpMhRYf, la toa m. E; es] er CKpRf, sera Y, en sera x; perpetuals] perpetual RY

iv. 28 doncx] at G, e dont Di, or Kp, tu Mh, dont Y, dun PS, ar c; gara] guarda CEGDi-

KpMhPSRYcfx; com] ca(n)t R, con f; obraras] obereras S, oberas c 29 mentre] mentre que J, me(n)s (meinç c) qe Gc, tan quan C, tan com PS, mentier que Y, d(e) mentre Mh; vida] vidat J, bite Di, uide E, la vita x; te] ti f; soste] sostes E, sostie(n)t Y 30 qu’en] q(ue) en Mh, car Y, qa c, que x; pauc d’ora] breu d. CDiKpRfx, breu d(e) te(m)ps G, l(e)u d. Mh, ma(n)tas vez c, mainte feis Y; s’esdeve] sen debe Di, devient Y, qen deuen c, se ey deve x 31 que hom mor] com m. EY, manca Di, q(ue) mort hom Mh, co(m) se(n) mor G, com es mors PS; traspas] tre-spas DiMh, tra pas Gc, trepa P, trepas SY 32 per que non deu hom eser las Di; per c’om] por (per x) que hom Yx; non] nom Kp; deu] deuria Gc; las] lais Kp 33 d(e) far be Mh; quan n’es aizitz] car ades es auzit Di, qi nes assiz GPSf, can (e)s aseatz Mh, que en est aisiç Y, qan est a.

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c 34 qan un sol puntz es failliç c; qu’en] car Y, quem f, que en x; breu d’ora] breu de temps CEPS, pauc d(e) te(m)ps G, leu dora Mh, enbreu temps Y; es failhitz] es fenit Di, hom fail-hitz Kp, falhit x 35 lo jois] lo ioi GMhKpfx, le ioi c, le iois PS, laiost R, lajoie Y; d’aquest] de quet Di; fals] fal x 36 qu’a] a DiGf, que a Y; mortz] mort DiMhx, lamourt Y; cominals] cu-munals G, comunals KpPSc, comunal Y, cuminals Di, cumynal x

v. 37 nonja bel nj laig Mh; non i a] quar noy a C, eu no uei EPSc, qeu n(on) uei G, que heu niuey Y, non vey x 38 ta(n)t no sap de. (invertito col verso successivo) Mh; que] qui Kp, qar c; d’escremir] delescremir Y, de schermir c 39 q(ue)la mor puxa g. (invertito col verso precedente) Mh; qu’a] que a Ycx; puesca] o posca R, poisse Y 40 qu’ilh non] tan C, q(ue) no li Mh, q(ui) uol R, quar non E, car ni Y, qe no(n) c, que noy x; gara] garda GKpPSYx, gard c, ual Mhf, gardar R; agur] ahuyr Mh, aur R, frevol x; ni] ne Mh, nin PS; sort] fort Gx 41 manca C; ni dreiz ni m. GPScf; dreit mesura ni Y; tort] tortz Mh 42 qu’aitan] quaissi CPSc, que eytant x, cautressi Y; tost] leu f, manca Y; pren lo] no(n) prendal c 43 et lou plus cum fait un fol de-smesurac Y; e·l] col Mh, e lo E, et lou Y, oh lo x; bel] ue C, pauc f, rich x; co·l sordeior] ai lo peior C, com lo peior G, aul surtidor Mh, con la mayor f, com fal s. c, coma lo s. x 44 e] ja Mh, e do(n)cx R, ni PS, pero c, eya f; negus] negun Yf, nuyll hom MhR; per nul] p(er) so KpMhR, per mal Jf, peu seus x 45 no pot en re guandir au sos plach x; no·s] no Mh, no se Y, nus PS, no(n) c; pot gardar] p. guandir C, p. gandir MhR, gardara f; del sieu] de son CKpYf, ayçel Mh, daq(ue)l R, del soi c; trag] lac Y

vi. 46 eu] manca CKpc, ara G, eras Mh, hour Y; no·i sai] no sai EPSf, n(on) (ni Y, noy x) uei (veys x) GKpYx, o nias c; mas un] manca un Mh, autre f, mans hun x 47 que hom] quom C, cal com J, mais com GKpMhRf, com se PS, com so Y, sol que lom x; pens] pesse Cx, se prengua E, pung PS; de] manca E, en Mhc; Dieu] dieus f 48 e que·s] e quom se CGKpMhPRSfx, et que om Y; garde] guart CMhPRSYcfx 49 qa des uas hom uas la m. G, m. caua(n) uas la m. f; mentre que] m. quom (menter Y) com CKpRY, manca que E, mentrom c, mentre sen PS, ad(e)s com Mh; vai] uau Kp; ves] a R, enuer Y 50 car nos cauem passar E; qu’a] car EPScx, e G, et a Mh; nos] manca Mh; er] conuen GKpPSYcf, aue(m) Mh, eys x; al port] lo port Mh, acel port Y, als portz f 51 hon tuyt n(ost)r(e)s an(n)ssesor Mh; on pason tugh KpR; passon] pas-san GPSc, passent Y; ab dolor] ab paor R, am dolors f 52 passero(n) ab gra(n) dolor Mh; eli rei elemperador E; et rei (roy Y) e e. (emperaour Y) PSYc; rei (reys R) comt (coms R) et e. KpR; coms ereis enperadors f; ly Reys e ly Emperadors x 53 trobarant lay x; lai] e lai CGJP-Sc, aqui KpR, e f; trobarem] trobon C, trob hom GPSc, parra (parran R) KpR, troberen Y atrazag] trastuyt Mh, atrarag R, tout entresait Y 54 lo ben e·l mal] lo (li R) mal el ben CMhR, los mals els bes E, los be el mals G, lor mals els ben Kp, lou ben et elmmal Y, el ben el mal c; c’aurem] q(ue) an C, com afaiz G, q(ue) aue(m) fayt Mh, com a faz PS, cauras fag R, que ageren fait Y, qe hom a fait c, que an say x

vii. 55 a dieu prec] preguem d. J, a dieus p. R, eu p(re)ch d(e)u Mh, hour prion deu Y, preg heu deu c, a Dieu prech yeu x; doussour] marce x 56 manca GMhPSYcfx; que] quelh C, q(u)em E 57 que·ns] q(u)in E, qem GPSf, nos R, que nous Y, qe nes c, que me x; de] del CMhPS, deu x 58 tro qaia mais d(e) ben faiz G; tro·l] tras Kp, tro CEMhPSf, tant que Y, tro quel x; sieu] son (som Mh) CEMhPSYf; aiam] lajam C, li aya(m) Mhf, aia EPSx, agon Y, aion Kp

4.3 Nota al testo

L’omissione del v. 56 accomuna GMhPSYcfx. Tracce di questa costella-

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zione si reperiscono in vari luoghi del testo: al v. 50 GPSYcf, in accordo con Kp, leggono cove al posto di er, causando ipermetria (Mh tramanda auem, x eys); al v. 14 GPSYc leggono, insieme ad E, totz eslaissatz contro eslaissatz; al v. 17 GPSYc leggono e qand hom contro e sel qui (si noti che C legge et on hom); al v. 22 GPSYcx, in accordo con CDiE, leggono vengutz contro mogutz; al v. 15 GPSYc leggono vers (ver Yc) contro ves; al v. 33 GPSYf leggono qi (que Y) contro quan; al v. 34 EGPSY, in accordo con C, leggono breu (pauc G) de (manca Y) temps contro breu d’ora; al v. 37 EGPSYcx leggono non vey al posto di no i a; al v. 41 GPScf leggono ni dreiz ni mesura, causando ipermetria, con-tro dreg ni mesura; al v. 42 PSYc leggono, con C, aissi (autressi Y) contro aitan; al v. 52 EPSYc tramandano e rei e emperador (e li rei e l’e. E) contro li rei e l’em-perador; al v. 53 GPSc leggono trob hom contro trobarem; al v. 54 GPSc leggono c’om (qe hom c) a faiz contro c’aurem fag; al v. 57 GPSfx leggono que·m gart (que me gart x) contro que·ns gart; al v. 58 GEPSx leggono aia contro aiam.

I dati raccolti indicano chiaramente che, fra i mss. appartenenti a questo raggruppamento, il rapporto meglio delineato è quello fra GPSYc, deri-vanti, dunque, da un capostipite comune cui x appare essere molto prossi-mo. In questo sottogruppo è ben documentata l’abituale vicinanza di PS, che presentano varianti ed errori congiuntivi ai vv. 11 (en vai contro e vai), 16 (no·i en pot contro no l’en pot), 20 (conosc contro conoisses), 22 (un contro on), 23 (qe se·n ta vida, in accordo con f, contro si·n ta vida), 24 (medes contro mezeis e n’es, con Kp, contro t’es), 26 (del contro de), 28 (dun contro doncx), 29 (tan com contro mentre), 31 (c’om es mors contro que hom mor), 40 (nin contro ni), 45 (nus contro nos), 44 (ni contro e), 47 (pung contro pens), 49 (mentre se·n contro men-tre que), 54 (c’om a faz contro c’aurem fag). Altro gruppo che sembra possibile isolare è quello composto da Gc, attestasto ai vv. 2 (deu, con x, contro deus), 7 (deuria, con E, contro deu), 17 (plus contro mais, in accordo con Y), 23 (e se·n ta vida contro si·n ta vida), 28 (ar contro doncx), 29 (mens que contro mentre que), 32 (deuria contro deu).

Difficile stabilire con certezza i rapporti fra i restanti testimoni. Al di fuori dell’insieme fin qui sommariamente tratteggiato restano i mss. relato-ri della tornada nella sua interezza, CEJKpR, che tuttavia non si ritrovano quasi mai uniti altrove: il solo v. 33 reca una traccia del loro accordo, giacché la lezione cant, trasmessa anche da Mh, si oppone a qui, tràdita da GPSYf; risulta impossibile in questo caso stabilire la posizione di E, mutilo a causa di una lacuna. Del resto, si è visto come il ms. graviti piuttosto nell’orbita dell’altro gruppo di testimoni, col quale condivide tutta una serie di varian-ti ed errori.

Il contrario ci pare si possa affermare di Mh che, pur essendo legato a

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GPSYcfx dalla lacuna del v. 53, sembra maggiormente vicino al gruppo CJKpR, come esplicitano i luoghi critici ai vv. 17, 22, 33, 37, 41, 50, 53, 57, 58, già elencati precedentemente, ai quali vanno aggiunti i seguenti: al v. 10 JKpMhR, con cx, leggono (qu’ J) aitant tost contro car (sli G) tantost GEPSY; al v. 30 CDiKpMhRfx leggono breu (leu Mh) d’ora contro pauc d’ora; al v. 45 gandir di CMhRx si oppone a gardar; al v. 49 CKpMhR, con Y, leggono mentre (ades Mh) qu’om contro mentre que; al v. 54 CKpMhR leggono lo (li R, lor Kp) mal (mals Kp) el (els Kp) ben, in accordo con E, contro lo ben e·l mal.

Lo stesso discorso vale per f: spesso concorde con (E)GPSYc, esso intrat-tiene rapporti anche con esponenti del gruppo CJKpR, come si è visto ai vv. 14, 15, 17, 22, 37, 52, 53, 58; si veda anche il v. 27, dove CKpRf leggono er contro es (si noti che Yx, forse a causa della comune matrice oitanica, tra-mandano l’affine sera). Si segnala la particolare vicinanza di f a KpR ai vv. 2 (nula res non es contro tot l’als es nien), 20 (mals e·ls bens contro mal e be), 52 (rei coms et emperador KpR e coms e reis enperadors f contro li rei e l’emperador), e una lezione isolata che lega Mhf al v. 40 (val contro garda).

In questo secondo raggruppamento, solo per KpR è a nostro avviso pos-sibile postulare una fonte comune: essi appaiono uniti ai vv. 11 (cum fai romeu contro coma romeus), 20 (sabes contro conoisses), 44 (per son contro per nul), 51 (on pason tugh contro on tug passon), 53 (aqui contro lai).

Per quanto riguarda C, bisogna evidenziare che il ms. si distacca sovente da questa costellazione, poiché figura isolato ai vv. 10, 17, 21, 25, 29, 37, 40, 42, 43, 53, 56; segnaliamo, inoltre, la lacuna del v. 41 presente solo in questo te-stimone.

Un discorso a parte va fatto per AnGen. Elenchiamo di seguito solo le lezioni che appaiono piú significative, seguite dalle varianti corrispondenti del resto della tradizione manoscritta; nell’apparato, al numero di verso relativo alla canzone di Falquet segue la lezione di AnGen corredata fra parentesi del numero di verso dove essa compare nell’edizione a cura di Luciana Cocito51; dopo la parentesi quadra chiusa vengono indicate le le-zioni di quei testimoni che ad essa maggiormente si avvicinano.

1 ben guardo e pono mente (v. 13)] apessat e cossirat x 2 amar e servir Deu (v. 15)] servir deu Y 3 terra e aver (v. 16)] teres e fieus Di, e terras e feus Mh 4 tuta aotra ereditate (v. 17)] e totas a laltras heretatz Mh, e las autras eritaz DiGJ, e totas las (sas Rf, lez Y, laç c) heretatz CEKpPSRYcf 10 Sí tosto (v. 29)] Aissi tost C 15 ni l’aver so no scanpa lé (v. 33)] c’aver ne aur ne argent Mh, ne li puet aveir garent Y 17 quanto

51. Anonimo Genovese, Poesie, edizione critica, introduzione commento e glossario a cu-ra di L. Cocito, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1970, pp. 570-72 (cxxxix).

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pu vive (v. 36)] qand hom vif (viu c) pluz Yc, qand hom plus zai uiu G 27 serrà (v. 44)] sera Y, en sera x, er CKpRf 28 Or (v. 45)] At G, Or Kp, ar c 29 de fin che (v. 46)] de mentre Mh, mentre que J, mens qe Gc, mentier que Y 30 spesor (v. 48)] mainte feis devient Y, maintas vez c 41 torto dricto ni mesura (v. 57)] dreit mesura ni tort Y 45 guardar (v. 58)] gardar GJKpPS 49 Enver (v. 63)] enver Y 52 conti, rei, imperaor (v. 64)] rei (reys R) comt (coms R) et emperador KpR; coms e reis enpera-dors f 53 trovan (v. 67)] trobon C 54 che l’omo a faito (v. 68)] com a faiz GPS, qe hom a fait c 55 Or prego De (v. 71)] hour prion dieu Y

La situazione cosí riassunta denuncia una chiara dipendenza di AnGen da Y, circostanza già messa in luce da Paola Allegretti: « Y introduce alcune varianti, associate a lezioni ipermetre […] che si avvicinano al testo dell’Ano-nimo, ben piú della lezione degli altri testimoni »52. Ma non meno signifi-cativo è il rapporto con Mh, concorde con AnGen in alcuni punti cruciali del testo; ne è un esempio il v. 4, dove CEKpPS leggono e totas las eretatz, cui sono probabilmente da ricollegare anche le lezioni di RYcf (e totas sas Rf, e touz lez Y, e tuz laç c) contro e las autras eretatz di DiGJ: sia Mh sia AnGen combinano le due lezioni, giacché tucta aotra e totas a l’altras derivano chiara-mente dall’accumulo di totas e di las autras. Segnaliamo, infine, la lezione del v. 52 che vede concorde AnGen col gruppo KpRf: i tre codici tramandano la formula ternaria rei, comt et emperador rispetto alla dittologia rei et emperador presente nel resto della tradizione. In particolar modo, AnGen condivide con f l’ordine degli elementi costitutivi della formula, avendo entrambi coms in prima posizione.

Allo stesso modo, AnCat è esponente di una trasmissione extracanonica e pertanto merita una trattazione a parte. Si ricorda che solo i primi versi della canzone di Falquet sono echeggiati nella prima strofa di Quant ay lo mon consirat, riportata di seguito.

Quant ay lo mon consirat,tot l’als es nient mas Deu,et, com be·m son apensat,lo comyat es forment greu.E car nos em de greus peccatzcarregats, si u enquerem,podra·ns esser perdonatcan senyor tal avemcui plad merce pus que platz,car n’es axi acustumatz.

52. P. Allegretti, Modelli provenzali dell’Anonimo Genovese, MR, xii 1998, pp. 3-15, a p. 14.

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AnCat si apparenta a x nella resa amplificativa del verso incipitario: se in x trova impiego la dittologia sinonimica apessat e cossirat, secondo una scelta simile a quella operata da AnGen, che volge apessatz in guardo e pono mente, il poeta catalano dispone i medesimi predicati su due versi e li impiega in due proposizioni distinte. Viene ripreso anche il sintagma cargatz de peccatz mortal (v. 25) nei vv. 5-6. Poco altro si può dire vista la brevità della testimo-nianza: certo è che questa citazione letterale, questa farcitura poetica si giustifica in base al grande favore che il componimento di Falquet avrà goduto presso i devoti, come indica, del resto, la sua diffusione anche al di fuori del dominio occitano, attraverso parallele operazioni di riuso e riscrit-tura.

4.4. La posizione di Di

In fase di recensio gli editori precedenti hanno classificato Di in modi di-versi. Zenker, che perviene a uno stemma bipartito, colloca il nostro codice ai piani bassi, lo fa dipendere da un subarchetipo che lo accomuna a f e, in generale, lo fa rientrare nella costellazione CJKpRf, strutturata attraverso vari interpositi, fra i quali la posizione piú alta è occupata da C53. Arveiller e Gouiran affermano che è quasi impossibile, considerato il fatto che il co-dice tramanda solo tre coblas, chiarire la posizione di Di: « tout au plus peut-on en dire que les chansonniers avec lesquels il présente le plus grande nombre de leçons communes sont G […] et Ma [Mh] »54. Gerardo Larghi, infine, situa Di al piano piú alto dello stemma, in parallelo con C, sottoline-ando, tuttavia, che il nostro testimone afferisce a una « tradizione extra ca-nonica, indipendente dall’archetipo, ma che con i prodotti dell’archetipo stesso ha avuto contatti recuperando varianti e lezioni adiafore »55.

Al v. 3 Di trasmette con Mh teres (terras Mh) e fieus al posto di alos e fieus; non è l’unico caso in cui il primo elemento di questo sintagma viene sostituito da un altro lemma piú generico, ma di significato affine: in R abbiamo onors, in f solas, in x las rendas. Ci troviamo di fronte a evidenti banalizzazioni di un termine tecnico della feudalità medievale: i copisti dei suddetti codici sosti-tuiscono alos con espressioni equivalenti; solo la lezione di f risulta eccezio-nale, giacché non rientra nel medesimo campo semantico di matrice feu-dale-giuridica.

53. Zenker, op. cit., p. 65.54. Arveiller et Gouiran, op. cit., p. 110.55. Larghi, op. cit., p. 347.

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Al v. 4 tramanda con GJ e las autras eritaz rispetto a e totas las eretatz del resto dei codici, salvo AnGenMh che, come si è detto, le combinano.

Al v. 5 è l’unico codice, con C, a restituire l’esatta misura versale, laddove le lezioni degli altri testimoni causano ipermetria, poiché introducono un articolo, una congiunzione o un altro determinante prima di ricors. L’assen-za di un elemento sintattico di questo tipo davanti al sostantivo, percepita come un errore, avrà senz’altro indotto i copisti a rimediare con delle inte-grazioni poligenetiche che hanno alterato il metro. Non solo i copisti, ma anche gli editori hanno messo in discussione l’effettiva bontà della lezione di CDi: Arveiller, in particolar modo, ha proposto di emendare segle con mon cosí da conservare l’articolo davanti a ricors56, salvo poi in sede di edizio-ne rinunciare a tale intervento57. Oroz Arizcuren ha, dal canto suo, difeso la lezione perché l’assenza di articolo in presenza di nomi astratti è prevista dalla sintassi occitana58. Larghi, infine, pur sostenendo la legittimità della lezione, addebita l’ipermetria degli altri codici a un errore d’archetipo che il copista di C avrebbe corretto autonomamente59.

Al v. 9 Di tramanda con JR cascus em vianans, contro es vianans. Secondo Arveiller e Gouiran, si tratta di una lectio difficilior da preferire a quella vul-gata, perché nel caso specifico cascus esprime una nozione partitiva e il ver-bo va pertanto accordato col soggetto sottinteso nos60. Accettando questa lezione a testo non si giustificherebbe, tuttavia, la forma sigmatica del ri-mante vianans, né questo potrebbe, come è ovvio, essere emendato in via-nan: è preferibile, dunque, pubblicare es vianans. Al v. 20 legge con CYfx conoyses rispetto a conois (EGJ61c), sabes (KpR), conosc (PS), conoix (Mh), tra-mandando, dunque, la lezione morfologicamente corretta; prima del ver-bo aggiunge no, causando ipermetria; legge erroneamente con f mals e bes: la lezione, che inficia lo schema rimico, è condivisa anche da EKpR, che tuttavia corredano i due sostantivi di articolo.

Concorda con CEGPSYcx al v. 22 leggendo bengut rispetto a mogutz.

56. R. Arveiller, Quelques remarques sur les poésies de Falquet de Romans, in Mélanges de Philo-logie Romane dédiés à la mémoire de Jean Boutière, 2 voll., Liège, Soledi, 1970, vol. i pp. 5-22, alle pp. 18-20. Si vedano anche le considerazioni di Zenker, op. cit., p. 88.

57. Arveiller et Gouiran, op. cit., pp. 119-20: « il paraît malheuresement impossible d’ad-mettre que la totalité des mss. […] se soient accordés sur une faute ».

58. Oroz Arizcuren, op. cit., p. 157. Su tale particolarità sintattica si veda F. Jensen, Synta-xe de l’ancien occitan, Niemeyer, Tübingen 1994, par. 174.

59. Larghi, op. cit., p. 370.60. Arveiller et Gouiran, op. cit., p. 120; Jensen, op. cit., par. 375.61. Il copista di J dapprima scrive conoisses, salvo poi espungere le due lettere finali e rende-

re cosí il verso ipometro.

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Legge con MhY car al v. 25, opponendosi da un lato a C ed E, che traman-dano rispettivamente que e aisi, e dall’altro al resto della tradizione, che opta per et.

Al v. 27 trasmette, assieme alla maggior parte dei codici, es al posto di er, tràdito da CKpRf (Yx hanno sera). La sintassi occitana prevede alternativa-mente l’impiego del presente o del futuro nell’apodosi di un periodo ipote-tico di questo tipo62. Entrambe le lezioni sono, dunque, corrette, anche se, come suggeriscono, Arveiller e Gouiran, « le futur peut cependant sembler plus logique, et il a séduit des copistes raisonneurs, comme celui de C »63.

Ai vv. 30 e 34 Di tramanda la medesima locuzione temporale, breu d’ora, concordando rispettivamente con CKpRfx (pauc d’ora EJPS, breu de temps G, leu d’ora Mh, mantas vez c, mainte feis Y) e con JKpRfx (breu de temps CEP-SY, pauc de temps G, leu d’ora Mh). Come sottolineano gli editori precedenti, sarà stato il susseguirsi a breve distanza di due locuzioni simili a provocare una tale varietà di lezioni: i copisti avranno agito autonomamente sul testo per evitare una ripetizione troppo marcata64. È possibile ipotizzare che nell’orginale ricorresse effettivamente la medesima locuzione e che i copi-sti dei codici piú conservatori non abbiano ritenuto opportuno intervenire per differenziarla.

Un luogo critico interessante si ritrova al v. 29, dove DiEKpRfx trasmet-tono la lezione mentre vida te soste, rispetto a mentre que vida·t soste J, mens qe vida te soste Gc, dementre la vida·t soste Mh, mentier que vida te sostient Y. L’impie-go di una congiunzione o un sintagma trisillabici a inizio verso in JMhY avrà indotto i copisti dei primi due codici a modificare il resto dello stico per preservarne la misura65: pertanto la lezione di J, messa a testo da Arveil-ler e Gouiran, non sembra genuina. Appare chiaro, ad ogni modo, che è l’incertezza sulla corretta forma della congiunzione temporale mentre, da utilizzare con o senza que, e la contestuale necessità di rispettare il metro, ad aver creato problemi in fase di copia: di questa difficoltà testimonia il resto della tradizione, che elimina del tutto mentre e opta per tan quan C, tan com

62. A. J. Henrichsen, Les phrases hypothétiques en ancien occitan, Bergen, Universitete i Ber-gen Årbok, 1955, p. 77; Jensen, op. cit., par. 805.

63. Arveiller et Gouiran, op. cit., p. 120.64. Ivi, p. 121; Larghi, op. cit., pp. 389-90. Non si tratta di un caso isolato: S. Asperti, Il tro-

vatore Raimon Jordan, Modena, Mucchi, 1990, p. 246 n. 6, ha raccolto alcuni luoghi critici della lirica trobadorica in cui i codici oscillano tra le lezioni breu de temps, pauc d’ora e affini, conclu-dendo che si tratta di espressioni particolarmente soggette a perturbazioni in fase di trasmis-sione testuale perché intercambiabili fra loro.

65. Come sottolinea Larghi, op. cit., pp. 389-88.

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PS, mens qe Gc. Nell’espressione della simultaneità la sintassi occitana pre-vede indifferentemente l’uso di mentre e mentre que66; sembra ad ogni modo preferibile in questo contesto la lezione mentre vida te soste.

In conclusione elenchiamo le lezioni isolate di Di. Al v. 21 si dont cas, da emendare in si doncas, al posto di fols hiest si spiega in base a un errore di an-ticipo causato dal dont es del verso successivo; la lezione muta la costruzione sintattica dei vv. 21-24, ed è per questo che al v. 23 troviamo la congiunzione ni al posto di si. Al v. 32 si rileva un diverso ordine delle parole rispetto al resto della tradizione. Al v. 33 car ades es è soluzione perifrastica alternativa al quan n’es degli altri codici, mentre auzit è lezione facilior, condivisa con x, per aizitz. Al v. 34 abbiamo fenit al posto di falhitz.

5. BdT 461.215a

Fra i testi tràditi dal ms. Didot, Rayson fore, si fos costume è quello che reca le tracce piú evidenti di trasmissione orale: la mise en texte particolarmente trascurata, il cambio del menante, lo stato testuale particolarmente mal-concio.

Da un punto di vista metrico, la cobla risulta apparentemente costituita da sette versi; a seguito delle minime correzioni operate, si ottiene uno schema a8’, b10, c10’, b10, d7’, d10’, e1067, con rima d irregolare a causa dell’esito incostante di /a/ finale; è prefigurabile una rima interna b ai vv. 4, 6, 7. Frank affilia la cobla al diffusissimo schema a10’ b10 a10’ b10 c8’ c8’ d10 d10 (328:71)68 con rime eza: es: ia: en, inaugurato da Peirol nella canzone M’entension ai tot’en un vers meza (BdT 366.20)69; per far questo postula la la-cuna del v. 8, eventualità non improbabile, visto il senso non del tutto chia-ro della seconda parte della cobla. Lo schema proposto da Frank si scontra, tuttavia, con l’evidenza testuale: a meno che non si vogliano eseguire pe-santi correzioni, il primo verso non vi corrisponde né nel metro né nella rima, mentre gli altri possono essere ad esso ricondotti con accorgimenti minori. Riteniamo, tuttavia, poco opportuno modificare un testo frutto di una simile trasmissione per restituirgli una fisionomia che con ogni proba-bilità non gli appartiene.

66. Jensen, op. cit., par. 751.67. Con sinalefe ai vv. 2 (que al), 4 (que hom), 6 (que hom), 7 (e aquel).68. Frank, op. cit., vol. i, s.n.69. La canzone è alla base di molteplici rifacimenti: si veda J.H. Marshall, Imitation of Form

in Peire Cardenal, « Romance Philology », xii 1978, pp. 18-48, alle pp. 23-26.

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Su questa struttura priva di qualsiasi rigore si dipana una sintassi nient’af-fatto agile, caratterizzata dalle frequenti ripetizioni (hom, vv. 2, 4, 6, 7; que hom la dones, vv. 4, 6; aquel qui, vv. 6, 7) che ne rallentano il ritmo. Varie, inoltre, sono le corruttele (v. 3: conquece; v. 6: lac, baque; v. 7: lauses). Rileggia-mo la cobla secondo la lezione che si è in via dubitativa ricostruita.

Rayson fore, si fos costumeque al malvat filh hom la tere tolgeset al valent, qui n’a valor conquese,que hom la dones, ab que ren no·l tanges; 4

e greu per dret jutjariaque hom non dones ad aquel qui valdrie,e aquel ric loc laisses hom decaser.

Ci sarebbe giustizia se fosse d’uso togliere la terra al figlio malvagio e assegnarla al valoroso, che ha acquisito merito, anche se non gli spetterebbe niente; e a ragione riterrei grave che non si donasse a colui che vale, e si lasciasse [cosí] decadere quel ricco luogo.

Seguendo Meyer, abbiamo corretto al v. 4 lac con la: lac potrebbe essere il frutto di un livellamento automatico di la i, con i pronome pleonastico, confuso erroneamente con l’avverbio lai. Sempre al v. 4 abbiamo emendato baque con ab que, da intendere come congiunzione concessiva70, postulan-do, dunque, un semplice errore di copia; ci è parsa una soluzione piú eco-nomica rispetto a quella suggerita in nota da Meyer che, nel proporre a cui, crea un’ulteriore proposizione relativa destinata ad appesantire un discorso già poco fluido. Questa scelta ci ha indotto a sopprimere la preposizione a davanti a ren e a introdurre l’oggetto indiretto subito dopo la negazione. Al v. 7 abbiamo corretto lauses con laisses, ammettendo la possibilità di un er-rore paleografico (is > u). Per motivi metrici abbiamo integrato: al v. 6 la negazione non subito dopo hom e ad prima di aquel, come esige anche la morfologia occitana; all’inizio del v. 7 la congiunzione e. Al v. 7 il sintagma ric loc pare designare, come testimoniato da altre occorrenze trobadoriche, la proprietà terriera, il feudo71.

Il testo può essere suddiviso in due segmenti che ribadiscono il medesi-

70. Sulle varie accezioni della congiunzione si veda K.P. Linder, ‘Ab que’ final. Une conjon-ction qui n’a pas réussi, « Cultura Neolatina », xxxviii 1978, pp. 149-58.

71. Si confronti con Matheu, Seigner Bertran: « S’aisso es vers, seigner, cercatz maiszo; / qe tan rics locs no cuich qe vos eschaia » (BdT 298.1, 7-8); Cerveri de Girona, Si per amar: « a faitz de tantz rics locs seynors » (BdT 434a.61, 10); Guiraut de Calanson, Belh senher Dieus: « Anc filhs de rei no fon vistz ni auzitz / qu’en tan ric loc fos vengutz per semblan » (BdT 243.6, 11-12).

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mo concetto: la condanna della ripartizione del patrimonio sulla base di criteri che prescindono dal valore e dal merito individuali72. La cobla richia-ma alla mente una serie di liriche trobadoriche concernenti lo stesso tema. Il rapporto intertestuale meglio delineato è probabilmente quello col sir-ventese Qan cuit chantar, eu plaing e plor (BdT 156.11) di Falquet de Romans, composto entro il giugno 1228, alla vigilia della partenza di Federico II per la crociata. Nel componimento il trovatore deplora la decadenza del mon-do a causa della corruzione del clero e della nobiltà. Ecco quanto si legge nella cobla iv (vv. 31-40):

Ben volgra agessem un seniorab tant de poder e d’albirq’al avol tolgues la richore no·il laisses terra tenire dones l’eritagea tal qi fos pros e preisaz,q’aissi fo·l segles comenchaz,e no·i gardes linagee mudes hom los rics malvaçsi com fai priors et abaz73.

Le reminiscenze del passo di Falquet nella cobla sono tangibili: in alcuni punti si ravvisano delle affinità lessicali indubbie, tanto da indurre Larghi a parlare di una vera e propria trasposizione, benché « in una dimensione diversa, familiare, da divisione testamentaria »74.

Nella maggior parte dei casi, come è comprensibile, l’espressione designa metaforicamente la dama.

72. Sull’argomento si vedano principalmente E. Köhler, Sociologia della ‘fin’amor’. Saggi tro-badorici, a cura di M. Mancini, Padova, Liviana, 1976, pp. 39-79; A. Barbero, L’aristocrazia nella società francese del medioevo. Analisi delle fonti letterarie (secoli X-XIII), Bologna, Cappelli, 1987, pp. 283-311.

73. L’ultimo verso è tràdito in maniera diversa da CRMQSg: « Si cum fan Lombart poe-statz ». Questa lezione si configura come un tributo di stima a Federico II, il quale avrebbe garantito, sencondo Falquet, una società feudale piú giusta. Essa è stata preferita da Zenker, op. cit., p. 86 e da Larghi, op. cit., p. 309; Arveiller et Gouiran, op. cit., p. 97, ipotizzano l’esistenza di una doppia versione, una dedicata al pubblico occitano, che avrebbe trovato in-teressante il paragone coi Lombardi e con una realtà politica diversa dalla loro, e l’altra, piú generica, a quello italiano. Dello stesso avviso è Larghi nella nota all’edizione in rete del componimento in Rialto. Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana, a cura di C. Di Girolamo, www.rialto.unina.it, 2001 sgg.

74. Larghi, op. cit., p. 323. La somiglianza fra i due testi era stata già messa in luce da Me-yer, op. cit., p. xc.

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Della fortuna di questi versi del romanense testimonia, del resto, la tra-smissione manoscritta: l’intero sirventese è stato trasmesso dai codici CMRTc, mentre PQSg hanno tramandato solo la cobla iv. In P è esemplata, anonima, nella sezione delle coblas esparsas (c. 62r). In Q è trascritta in uno spazio lasciato vuoto (c. 50v) subito dopo la canzone Si de trobar agues meillor razo (BdT 389.38a), attribuita dubitativamente a Raimbaut d’Aurenga75. In Sg, infine, è interpolata nel sirventese di Bertran de Born Be·m platz lo gais temps de pascor (BdT 80.8a), qui tuttavia attribuito a Pons de Capdoill (c. 95r).

Questa stato di cose rivela che la cobla iv ha avuto un’esistenza testuale propria, avulsa dal resto del sirventese, il quale si caratterizza, fra l’altro, per la presenza di temi molto diversi sebbene interconnessi fra loro76. Essa sarà stata trascelta per la portata rivoluzionaria del suo messaggio e trasmessa indipendentemente dal suo contesto e dal suo autore perché avrà assunto nel tempo lo statuto di una sententia moralistica su un tema molto sentito, come quello della critica al diritto ereditario e, di conseguenza, dell’esalta-zione della nobiltà ideale. Non sembra pertanto azzardato ipotizzare che i versi di Falquet abbiano potuto dare adito a operazioni di riscrittura, il cui prodotto finale non sarà stato molto dissimile dalla cobla del ms. Didot.

Quest’ultima può essere accostata anche a un altro passaggio, di pari fa-ma e contenuto rispetto al precedente, tratto dal sirventese Los apleiz (BdT 242.47, vv. 31-40) di Giraut de Borneil, dove il trovatore « contesta a un cava-liere degenere il diritto di raccogliere l’eredità del padre e si domanda, con-vinto che solo la virtú giustifica la ricchezza, […] se l’eredità non spetti ad un altro »77:

e, si·l pair fo lauzatze·l filhs se fai malvatz,sembla·m tortz e pechatz

75. È abitudine del copista, infatti, cominciare ogni sezione d’autore su una nuova carta, lasciando cosí dei vuoti in vari punti del codice che verrano poi riempiti da copisti successivi con coblas e frammenti di tenzoni; la cobla di Falquet si trova alla fine della sezione dedicata a Raimbaut (c. 50v) ed è stata trascritta, secondo G. Bertoni, Il canzoniere provenzale della Riccar-diana no. 2909, Halle, Niemeyer, 1905, pp. xviii-xix, da una mano di molto posteriore alle altre reperite in Q.

76. A un esordio contraddistinto dall’elegia per il mondo corrotto segue una condanna molto generica del clero e delle sue responsabilità nel processo di decadimento morale; viene aperta poi una digressione sulla nobiltà d’animo e sulla necessità di deporre i malvatz rics a fa-vore dei prodi che cede il passo all’appello a Federico II affinché abbracci la causa crociata. Su tutto questo si veda S. Vatteroni, ‘Falsa clercia’. La poesia anticlericale dei trovatori, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999, pp. 58-59.

77. Köhler, op. cit., p. 56.

la posizione del manoscritto didot

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c’aia las eretatz.Donc cals drechso acolhque·l filhs ai’ atretande rend’ e·l pretz soanni cals razos aduique melhs no tanh’ altrui?

L’influsso di questi versi può forse giustificare quella dimensione familia-re additata da Larghi come distintiva della nostra cobla esparsa. Come il pre-cedente, anche il passaggio del sirventese di Giraut ha goduto di una grande fortuna, indipendente dal resto del componimento (che pur vanta una va-stissima tradizione manoscritta) a giudicare dalle riprese che ne sono state fatte. In ambito occitano, si segnala la citazione da parte del Trobaire de Villa-Arnaut nel sirventese contro i malvatz rics Mal mon grat fatz serventula (BdT 466.1, vv. 27-32)78:

q’En Girautz dis d’En Borneira,qe tortz es e granz peculqe·l fils tenga atretulde renda el prez so soneira,qe miels tainh trop as autrulq’en sapcha son devieira.

Una ben piú celebre trasposizione avviene ad opera di Dante nel Convi-vio (IV xi 10)79:

Cosí fosse piaciuto a Dio che quello che adomandò lo Provenzale fosse stato, che chi non è reda della bontade perdesse lo retaggio dell’avere! E dico che piú volte alli malvagi che alli buoni pervegnono apunto li procacci; ché li non liciti alli buoni mai non pervegnono, però che li rifiutano.

Le dinamiche di tradizione, citazione, trasposizione degli excerpta dei due sirventesi sono simili e sono state messe in moto dalla grande risonan-za che essi hanno avuto. Anche la cobla del ms. Didot si può inserire, a no-

78. Come nota S. Asperti, ‘Contrafacta’ provenzali di modelli francesi, « Messana », viii 1991, pp. 5-49, a p. 13.

79. Dante Alighieri, Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, 3 voll., Firenze, Le Lettere, 1995. Sull’argomento si veda il contributo specifico di W. Pagani, Convivio, IV, xi, 10, « Studi mediolatini e volgari », xvii 1969, pp. 89-91 e, da ultimo, M. Chiamenti, Dante Alighieri tradut-tore, Firenze, Le Lettere, 1995, pp. 3-5.

paolo di luca

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stro avviso, in questo mosaico di richiami intertestuali, come frutto di una riscrittura che contamina le due fonti oppure come una maldestra citazio-ne. Si può presumere, infatti, che il secondo copista, nel completare quanto lasciato interrotto dal primo, abbia attinto alla propria memoria ricordando malamente proprio i versi dell’uno o dell’altro componimento, e dato vita cosí a un testo nuovo che combina gli originali, mantenendone il nucleo tematico e alcuni sintagmi. Se cosí fosse, si spiegherebbero ancora meglio le incertezze metriche e formali, la ripetizione delle strutture sintattiche e concettuali di cui si è parlato, tutti indizi di un testo copiato a memoria o riportato incongruamente sotto dettatura.

A favore di questa ipotesi gioca anche la posizione di Rayson fore nel ms. Didot. La cobla figura in calce a due componimenti latori di un importante messaggio moralistico: il primo è tutto dedicato all’esaltazione della conti-nenza, mentre il secondo deplora la caducità della vita terrena e raccoman-da la necessità di affidarsi a Dio; essa fornisce, dunque, col suo forte assunto di giustizia sociale, una chiusa dal sapore sentenzioso quanto mai adeguata. Non sembra, in definitiva, un testo con un’identità letteraria propria, ma piuttosto un centone improvvisato di auctoritates trobadoriche, posto a su-gello del micro-florilegio già allestito nel codice in maniera avventizia.

6. Conclusioni

Da un punto di vista ecdotico e rispetto ai due componimenti pluritesti-moniati, Di sembra intrattenere un rapporto privilegiato con C, anche se, come si è visto, sono numerosi i punti di contatto con gli altri testimoni. Questo suo statuto intermedio, estremamente fluido, deriva sicuramente dal tipo di trasmissione che ha interessato i tre testi. Tutti recano, in varia misura, tracce di oralità, da ravvisare nel gran numero di errori e lezioni singole, nella metrica spesso irregolare, nell’aggiunta in qualche caso di sintagmi o intere porzioni di testo sconosciuti al resto della tradizione.

Se la cobla, come abbiamo ipotizzato, sembra essere il frutto immediato di una trascrizione a memoria o di una dettatura, gli altri due componi-menti saranno stati riprodotti a partire da esemplari a loro volta non esenti da fasi di trasmissione orale: che si tratti, in questo secondo caso, di un pas-saggio da scritto a scritto lo testimoniano le correzioni apportate dallo stes-so copista. Del resto si è visto come questi testi, in virtú del loro successo, sono stati oggetto di diverse operazioni da iscrivere tutte nell’ottica di una loro tesaurizzazione extracanonica: si va dalla traduzione dell’Anonimo Genovese, alla ripresa piú o meno fedele di loro parti significative nel so-

la posizione del manoscritto didot

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netto di Re Enzo e nella canzone anonima catalana, fino ad arrivare alla riproposizione, probabilmente anch’essa memoriale, dell’intero testo di Falquet nel registro familiare di Étienne Benoist. Non si può non ammet-tere per opere simili, che hanno goduto di un cosí ampio consenso e di una diffusione che ha raggiunto aree anche molto distanti rispetto a quelle di composizione, l’esistenza di versioni alternative e parallele a quelle che sono alla base della vulgata manoscritta. I due componimenti saranno cir-colati in « edizioni commerciali »80, probabilmente di bassa qualità e allestite su supporti occasionali, prodotto di recensioni eterogenee strutturatesi an-che grazie all’ausilio della diffusione orale.

Fatta salva l’atipicità della trasmissione delle tre liriche trobadoriche, non crediamo che esse siano state trascritte a caso nel ms. Didot. Il codice si presenta per buona parte come una miscellanea a forte caratterizzazione religiosa, nella quale la scelta di trascrivere proprio questi testi sembra esse-re molto consapevole. Tanto il sirventese di Pons Fabre d’Uzes, col suo forte assunto moralistico, quanto la canzone di Falquet de Romans, dive-nuta evidentemente un vero e proprio testo devozionale, ai quali sarà stata aggiunta la cobla esparsa secondo le dinamiche postulate, si inseriscono coe-rentemente nel codice perché non ne tradiscono la matrice linguistica e tematica, come invece spesso capita in altri casi di trasmissione stravagante. La conclusione che si può trarre è che le due carte lasciate bianche non si sa bene per quale motivo siano state riempite con dei componimenti collate-rali, o ritenuti tali, al resto delle opere copiate nel manoscritto: si sarà fatto ricorso, in sostanza, a una selezione di liriche trobadoriche che erano dive-nute a quell’altezza cronologica espressioni letterarie celebri del sentire religioso.

Paolo Di Luca Université de Namur [email protected]

80. Si veda Avalle, op. cit., pp. 97-98, in riferimento ai quei manoscritti estranei o parzial-mente estranei alla tradizione della lirica trobadorica che si caratterizzano per l’instabilità stemmatica.