Le rime di Giulio Cesare Caracciolo in un nuovo manoscritto d'autore
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Transcript of Le rime di Giulio Cesare Caracciolo in un nuovo manoscritto d'autore
SALERNO EDITRICEROMA
labor in studiisscritti di filologia in onore
di piergiorgio parroni
a cura di
giorgio piras
ISBN 978-88-8402-815-0
Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Copyright © 2014 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati la ri pro-duzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qual siasi uso e con qualsiasi mezzo effet tuati, senza la preventiva autorizzazione scritta della Sa lerno Editrice
S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.
Il volume è stato stampato con il contributo di:
Magnifico Rettore dell’ Università degli Studi di Roma « La Sapienza »;Presidenza della Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’ Università degli Studi di Roma « La Sapienza »;Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Roma « La Sapienza »;
Dipartimento di Studi greco-latini, italiani, scenico-musicalidell’ Università degli Studi di Roma « La Sapienza »;
Dipartimento di Scienze del testo e del patrimonio culturaledell’ Università degli Studi Carlo Bo di Urbino;
Ente Olivieri di Pesaro
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Guido Arbizzoni
le rime di giulio cesare caracciolo in un nuoVo manoscritto d’autore
1. La produzione poetica di Giulio Cesare Caracciolo è finora nota per un mannello di testi pubblicati in alcune delle piú importanti antologie liriche cinquecentesche e per qualche sporadico testo d’occasione.1 I due nuclei piú consistenti (rispettivamente 15 e 25 sonetti) si leggono nel Sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori 2 e nelle Rime di diversi Signori Napolitani […] Libro Setti-mo.3 Dalla prima di queste sillogi (allestita da Girolamo Ruscelli) 11 pezzi con-fluiscono nei Fiori delle rime de’ poeti illustri4 e 4 nel Primo volume delle rime scelte,5 entrambi raccolte “secondarie” in quanto selezione di testi già editi, curate dallo stesso Ruscelli e da Ludovico Dolce. I pochi altri testi a stampa del Ca-racciolo a me al momento noti sono:
– quattro sonetti nella raccolta in morte di Ippolita Gonzaga;6
– due sonetti di corrispondenza (entrambi di risposta) con Ferrante Ca-rafa;7
– un sonetto di corrispondenza (proposta) con Berardino Rota;8
1. Le maggiori informazioni bio-bibliografiche sul Caracciolo sono raccolte da G. Parenti, Caracciolo, Giulio Cesare, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Ist. della Enciclopedia Italia-na, xix 1976, pp. 394-97.
2. Il sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori nuovamente raccolte, et mandate in luce. Con un di-scorso di Gerolamo Ruscelli, In Vinegia, Al segno del pozzo, 1553, [in fine:] In Vinegia, Per Giovan Maria Bonelli, cc. 55v-56v, 193r-94v.
3. Rime di diversi Signori Napolitani e d’altri nuovamente raccolte et impresse. Libro settimo, In Vine-gia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari e fratelli, 1556, pp. 192-204.
4. I fiori delle rime de’ poeti illustri, nuovamente raccolti et ordinati da Girolamo Ruscelli, In Venetia, Per Giovanbattista et Melchior Sessa fratelli, 1558, pp. 417-22.
5. Il primo volume delle rime scelte di diversi autori, di nuovo corrette et ristampate, In Vinegia, Ap-presso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1563, pp. 308-9.
6. Rime di diversi eccel. autori in morte della illustriss. sig. d. Hippolita Gonzaga, Napoli, appresso Gio. Maria Scotto, [1564], pp. 54-56.
7. Pubblicati in L’Austria dell’illustriss. S. Ferrante Carrafa marchese di S. Lucido […] dove si contiene la vittoria della Santa Lega all’Hechinadi nell’anno 1571, Napoli, appresso Gioseppe Cacchi, 1573, cc. 38r e 77r.
8. B. Rota, Sonetti et canzoni […], In Vinegia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1567, p. 188; cfr. Id., Rime, a cura di L. Milite, Milano-Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda, 2000, p. 492.
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– un sonetto nella collana di rime che segue l’Altea di Nicolò Carbone;9
– un sonetto a Virgilio Caracciolo;10
– un sonetto in morte di Carlo d’Austria;11
– due sonetti in morte di Sigismondo re di Polonia;12
– un sonetto a Giovanni Lorenzo Anania;13
– un sonetto in lode « delle prime poesie » del Marchese Giovan Battista Manso.14
Che l’attività poetica del Caracciolo godesse a suo tempo di qualche noto-rietà può essere testimoniato dalla presenza del suo nome nel catalogo dei poeti napoletani nominati da Bernardo Tasso nell’ultimo canto dell’Amadigi, in quella sezione che costituisce una sorta di pantheon di poeti contempora-nei:
Veggio una compagnia di spirti eletti,che di Sebeto su le vaghe spondecantando con leggiadri alti concettiaccendono d’amore il lido e l’onde:il colto Rota, che par che s’affrettidi lagrimar, come di pianto abonde,
9. Altea tragedia di Nicolò Carbone con la scelta delle rime d’alcuni gentilissimi Spiriti, nella morte del-l’illustrissima Donna Beatrice Avala, Figlia dell’Eccellenza della Signora Marchesa del Vasto, in Napoli, Appresso Mattio Cancer, 1559, sez. ii, c. C5r.
10. V. Caracciolo, Compendio della descrittione di tutto il mondo, raccolto da diversi autori et ordinato sovra le tavole di Claudio Tolomeo, in Napoli, appresso Mattio Cancer, 1567, c. A3v.
11. Oratione di Gio. Battista Attendolo di Capua. Nell’essequie di Carlo d’Austria Principe di Spagna, celebrate in Nap. dall’illustriss. e R. Arci. Nicolò Gaetano Cardinale. Con alcune rime di Diversi in morte del medesimo & di Carlo V, In Napoli, Appresso Gioseppe Cacchi, 1571, c. 26v.
12. In funere Sigismundi Augusti regis Poloniae celebrato Neapoli prid. Non. Octob. An. D. m.d.lxxii. Oratio […] atque praestantium virorum poemata, Neapoli, Apud Iosephum Cacchium, s.d., c. 93r-v.
13. G.L. Anania, Dell’universal fabrica del mondo, Napoli, appresso Giuseppe Cacchij, 1573, c. 3r.
14. G.B. Manso, Poesie nomiche, Venezia, Appresso Francesco Baba, 1635, p. 262. Sarà da rite-nere il piú tardo componimento noto, da far risalire almeno alla metà degli anni Ottanta se, come pare ormai accertato (cfr. B. Basile, Nota biografica, in G.B. Manso, Vita di Torquato Tasso, Roma, Salerno Editrice, 1995, p. xxxvi), la data di nascita del Manso va fissata al 1569 (Parenti la collocava « intorno al 1560 » e quindi poteva assegnare una data piú alta al sonetto del Caraccio-lo). Certo suscita qualche perplessità la notevole distanza cronologica rispetto agli altri piú tardi componimenti noti (oltre un decennio): che si tratti di un omonimo, in una famiglia dalle vastissime diramazioni e in cui ricorrono spesso gli stessi nomi? (cfr. Parenti, Caracciolo, Giulio Cesare, cit., pp. 394-95, e R. Aiello, Una società anomala. Il programma e la sconfitta della nobil-tà napoletana in due memoriali cinquecenteschi, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane-Consorzio Editoriale Fridericiana, 2002, pp. 263-65).
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de la diletta sua cara consortel’inaspettata et immatura morte; il Costanzo, il Caracciolo e Ferrante,che del tempo il furor s’han preso a schernoe rendeno il Tirreno alto e sonantepiano ed umil nel tempestoso verno;il Tansillo che fa mover le piantecoi carmi e i fiumi star fermi e ’l Paternoche col fecondo ed elevato ingegnoè già poggiato a sí sublime segno.15
2. Oltre venti anni fa, Matteo Tonini, libraio antiquario in Ravenna, sotto-pose alla mia attenzione un grosso manoscritto proveniente, insieme ad altri codici e libri a stampa, dalla libreria Banzi di Bologna, nei cui magazzini era a lungo rimasto dopo la cessazione dell’attività e la morte del titolare avvenu-ta nel 1970.16 Fin dal primo esame il manoscritto mi apparve di notevole inte-
15. Amadigi, 100 42-43. Il Caracciolo appare in una triade con Angelo di Costanzo e Ferrante Carafa, dopo il Rota, caratterizzato per il leitmotiv della sua poesia, la devozione verso la me-moria della moglie prematuramente scomparsa (di parto il 27 luglio 1559), colto assai tempesti-vamente da Bernardo Tasso (l’Amadigi è edito dal Giolito nel 1560); la produzione lirica del Tansillo, di Angelo di Costanzo e di Ferrante Carafa è a stampa solo nelle antologie, in parti-colare nelle Rime di diversi illustri signori napoletani, e d’altri nobiliss. intelletti nuovamente raccolte et non piú stampate. Terzo libro, Venezia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari et fratelli, 1552, curato da Ludovico Dolce e dedicato proprio a Ferrante Carafa, ripubblicato con diverso ordinamen-to degli autori e con non moltissime varianti di contenuto come Libro quinto delle rime di diver-si illustri signori napoletani, e d’altri nobilissimi ingegni […] con nova additione ristampate, ivi, id., 1555 (questa stampa contiene 33 sonetti del Rota, naturalmente amorosi “in vita”, 32 di Angelo di Costanzo, ben 63 di Ferrante Carafa, 23 di Luigi Tansillo) e nel Libro settimo (cfr. sopra, n. 3: 20 sonetti del Carafa, 21 di Angelo di Costanzo, 4 del Rota, oltre a qualche loro sonetto di corri-spondenza nelle sezioni dedicate ad altri poeti, e i 25 già ricordati del Caracciolo). Si tratta, com’è noto, di una poesia che si divulga prevalentemente attraverso le antologie e, come potrà anche confermare un esempio riferito al Caracciolo, anche per circolazione manoscritta. Di una generazione piú giovane era invece il Paterno: nato nel 1533, al tempo di queste antologie era appena ventenne.
16. Io stesso ho in altre occasioni segnalato alcune acquisizioni provenienti dalla stessa libre-ria: Un postillato tassiano ritrovato, in « St. tassiani », xxiii 1985, pp. 145-51; Un nuovo manoscritto dell’ ‘Amorosa opra’ di Giovanni Muzzarelli, in « Riv. lett. it. », iii 1985, pp. 117-33; Due esemplari postil-lati della ‘Liberata’, in Il merito e la cortesia. Torquato Tasso e la Corte dei Della Rovere, a cura di G. Arbizzoni, G. Cerboni Baiardi, T. Mattioli, A.T. Ossani, Ancona, Il lavoro editoriale, 1999, pp. 323-50. Una testimonianza riguardante l’ultima revisione degli Asolani di Pietro Bembo, rica-vata da un catalogo della Libreria Banzi, ho inoltre segnalato in Una nuova notizia intorno alla stampa degli ‘Asolani’ del 1530 revisionata dall’autore, in « Filol. crit. », xxii 1997, pp. 76-80. Un percor-so analogo, nell’ultima fase della sua storia, ha compiuto il manoscritto della Lettera intorno a’
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resse: acefalo e quindi anepigrafo, conteneva però un gran numero di com-ponimenti lirici, vergati con pretese di eleganza e, a una sommaria scorsa, di buona qualità poetica. Acquisito dunque il manoscritto, iniziai ad esaminarlo piú accuratamente e mi riuscí di identificarne senza troppa difficoltà l’autore, grazie alla presenza di buona parte dei componimenti del Caracciolo editi nelle antologie, e di riconoscerlo dunque come il maggior collettore finora noto di poesie del rimatore napoletano. Come spesso succede altri impegni ed altri interessi si sono poi frapposti al progetto di dare pubblica notizia del ritrovamento e fino ad ora la scoperta è stata resa nota solo in forma privata17 e in occasione di qualche incontro seminariale, e, per la prima volta a stampa, in un contributo appena pubblicato, a cui avrò occasione di far cenno piú avanti.
Si tratta di un manoscritto cartaceo, adespoto ed anepigrafo, di mm. 205 × 275, di 142 carte, con numerazione originale a pagine all’angolo alto esterno delle prime 134 da 7 a 273 (non numerate 134v-142v); fascicolazione: 18 quaderni di cui il decimo privo del primo mezzo foglio ed il diciassettesimo privo dell’ultimo mezzo foglio. Le man-canze sembrano originarie e non provocano salti nella numerazione delle pagine né interruzioni nella presentazione dei testi. Il codice è protetto da una solida ma piut-tosto grossolana rilegatura, in piena pergamena con piatti cartonati, lesionata agli angoli superiori e certamente posteriore, forse di recupero dato che nel dorso si legge, a penna, « Petron / Rime », indicazione che mi risulta, al momento, non iden-tificabile. La carta è molto solida, di alta grammatura, di due tipi molto simili, distin-guibili per le filigrane: i primi tredici fascicoli presentano in filigrana due frecce a croce di Sant’Andrea, con le punte in alto e una stella a cinque punte al di sopra (si-mile a Briquet, nr. 6298-300), gli ultimi cinque un pellegrino inscritto in un cerchio del diametro di circa cinque centimetri, non identificabile con nessuna delle filigrane di pari soggetto descritte da Briquet (7563-607). Tutte le pagine del codice presentano una rigatura a secco che imposta i margini interno ed esterno e le linee di scrittura, 14 per pagina, la misura, cioè, di un sonetto. La scrittura è molto spaziata e piuttosto accurata, anche se presenta numerose abrasioni con riscritture, e il manufatto, nell’in-sieme, ha evidenti ambizioni di eleganza.
manoscritti antichi di Vincenzio Borghini: cfr. la recente edizione a cura di Gino Belloni, Roma, Salerno Editrice, 1995, p. 85.
17. Giorgio Fulco, la cui improvvisa scomparsa ha lasciato un vuoto incolmabile nei nostri studi e nei nostri affetti, è stato il primo amico e collega a cui mostrai qualche riproduzione del manoscritto. Attraverso Fulco fu reso partecipe del ritrovamento anche Tobia Toscano al qua-le sono debitore di preziose informazioni, della segnalazione, in particolare, di alcune delle poesie d’occasione del Caracciolo qui sopra elencate.
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La numerazione delle pagine documenta la mancanza di almeno 3 carte iniziali, forse di un bifolio con prima carta non numerata (un frontespizio?); con questo pri-mo fascicolo saranno caduti elementi paratestuali (una dedica?), presumibilmente non testi poetici dato il carattere proemiale del sonetto che, nello stato attuale, occu-pa la prima pagina
Dei superstiti fascicoli i primi 17 sono vergati da una sola mano, che effettua anche i non pochi interventi correttori nel testo, che può certamente attribuirsi alla seconda metà del XVI secolo e presumibilmente, data la tipologia delle correzioni di cui si dirà, andrà riconosciuta come la mano stessa del l’autore o di qualcuno che opera in stretta vicinanza con l’autore. Alla p. 176 (tra i nr. 149 e 150) era stato trascritto per intero il sonetto in morte di Annibal Caro, poi accuratamente cassato con fitti tratti di penna trasversali e riscritto senza varianti a p. 267 (nr. 226), forse per ripristinare un piú corretto ordinamento cronologico: la morte di Annibal Caro (1566) è uno degli eventi databili piú tardivi registrati nella silloge. Il fatto che i due sonetti in morte di Sigismondo II re di Polonia (7 luglio 1572)18 non siano trascritti nella parte originale del codice (vi sono aggiunti nella seconda parte, di cui dirò qui appresso) potrebbe far ipotizzare un terminus ante quem per l’allestimento del manufatto (anche se l’esclu-sione potrebbe essere dovuta a ragioni non solo cronologiche); il sonetto che rende omaggio a Giovan Lorenzo Anania, pubblicato nel 1573 in testa alla sua opera cos mo-grafica,19 potrebbe essere stato composto in precedenza e quindi raccolto dal destina-tario tra i paratesti al momento della pubblicazione (come certamente è per il so netto celebrativo indirizzato al Manso, se davvero del nostro Giulio Cesare).20
Le ultime otto carte sono di mano posteriore, apparentemente settecentesca, che impiega fogli rimasti bianchi, forse destinati a contenere una tavola alfabetica dei componimenti, iniziata a c. 129v, interrotta dopo poche linee e quindi abrasa, per trascrivere ulteriori 15 sonetti (bianca la c. 142v), a integrazione del corpus originario e mantenendone l’impianto grafico.
Il codice contiene in totale 247 pezzi (tutti sonetti tranne tre canzoni, due madrigali e una sestina); tra i 232 componimenti che costituiscono la prima parte, quella originaria, si leggono 32 sonetti apparsi anche a stampa con l’at-tribuzione a Giulio Cesare Caracciolo.21 Tutti editi sono, invece, i 15 sonetti
18. Vd. sopra, n. 12.19. Vd. sopra, n. 13.20. Vd. sopra, n. 14.21. Nel dettaglio: 19 dei 25 editi nel Libro settimo, 8 dei 15 del Sesto libro, 3 dei 4 in morte di
Ippolita Gonzaga, il sonetto di corrispondenza con il Rota, il sonetto in morte di Carlo V edi-to in calce all’Orazione dell’Attendolo e il sonetto dedicato all’Anania: cfr. la tavola allegata. Il sonetto 201, dedicato Al sepolcro della Signora Livia Colonna, non si legge tra le Rime di diversi ecc. autori, in vita e in morte dell’Ill. S. Livia Colonna, Roma, Barrè, 1555.
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vergati da mano posteriore nelle ultime carte del codice da qualcuno che, evidentemente, intese completare il corpus con gli altri componimenti del Ca-racciolo a lui noti attraverso le stampe, ma non contenuti nella parte origina-ria del manoscritto.22
Come sinteticamente evidenzia la tavola del codice qui allegata, ai compo-nimenti amorosi se ne alternano numerosi altri di argomento storico ed en-comiastico, che celebrano i massimi sovrani (Carlo V, Filippo II, i papi Paolo IV e Pio IV), i Viceré, nobili famiglie regnicole, ed alcuni di corrispondenza poetica (con Berardino Rota, Scipione Ammirato, Torquato Tasso).23 In testa ai singoli componimenti e della stessa mano si leggono gli “argomenti”: per lo piú genericamente « amoroso » nel primo caso, altrimenti piú circostanzia-ti (nr. 7, A Cesare quando renuntiò i regni). È cosí possibile acquisire numerosi e certi riferimenti cronologici, che delimitano un arco temporale che va dalla metà degli anni ’40 (22, Al Signor Marchese del Vasto morto: 1546; 5, A Cesare nella guerra di Sassonia: 1547) a poco oltre la metà degli anni ’60 (226, Alla morte di Anibal Caro: 1566).24 Il codice appare infatti costituire una raccolta d’autore, messa insieme presumibilmente in vista di una stampa mai realizzata, attra-verso una selezione e riordinamento di testi già editi e l’addizione di una gran quantità di testi inediti. Che dietro la raccolta ci fosse l’intenzione di dare organicità, o almeno ordine, ad una produzione poetica dispersa e d’occasio-ne, sembra provato dal primo sonetto, che ha una forte intenzione proemia-le (almeno rispetto al percorso “amoroso”) attraverso il recupero del model-lo petrarchesco ripreso e variato nei testi di apertura delle piú note raccolte d’autore (da Bembo a Della Casa a Cappello):
22. Vi si leggono, infatti, nell’ordine, i 7 sonetti omessi rispetto al Sesto libro, i 6 rispetto al Libro settimo e i due In funere Sigismundi Augusti.
23. Per il primo cfr. qui sopra, p. 227; il secondo (192) è un generico sonetto di encomio con proposito di emulazione, seppur a distanza; il terzo (219) testimonia la conoscenza di Torquato Tasso fin da fanciullo e ne celebra i successi poetici (la pubblicazione del Rinaldo e gli esordi lirici?); eccone il testo: « Tenera pianta con sí nobil fiore / ti vidi già ch’a l’una e a l’altra sponda / porgea per quanto il Tebro e l’Arno inonda / d’infinite speranze eterno odore. // Or cosí i rami ove ’l sol nasce e more / distendi et ergi l’honorata fronda / sí presso al ciel, ch’a null’altra seconda; / di meraviglia il mondo empi e di onore // e da dotta man culta e da purgato / in-chiostro aspersa, o con che caro e lieto / frutto rendi ognun satio e te immortale! // Ecco non pur per te ricco e pregiato / si mostra il Po, ma il mio picciol Sebeto / al Reno, a l’Ebro, al Tanai, al Nilo eguale ». Nella trascrizione dei testi del manoscritto mi limito a distinguere u da v, ad eliminare l’h etimologica, a normalizzare punteggiatura e segni diacritici.
24. Per il sonetto edito nella Universal fabrica del mondo di Lorenzo Anania (1573) valgano le considerazioni qui sopra addotte.
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Piansi mentre Amor volse, or del van miopianger piangendo, tante voci sparte,tante lacrime asperse in poche carteraccolgo e sacro a meglior uso, a Dio. E se fin qui cercai far grato e pio 5
un cor crudel con tanto studio et arte,cerco or vincer me stesso e in ogni partepor freno ad ogni vil basso disio. Chiusi fiori offro, e so che dar dovreimaturi frutti: sia il mio affetto vero 10
vittima, sacerdote, altare e tempio e s’avran tanta vita i dolor mieiin queste rime, eternamente i’ speroche fian a gli altri paventoso essempio.
I componimenti già editi nelle due piú importanti sillogi costituiscono una percentuale significativa nell’ambito della prima parte della raccolta mano-scritta (21 sui primi 52); i componimenti successivi sono in gran parte inediti, salvo qualche sporadica riapparizione di testi già pubblicati o l’accoglimento di testi d’occasione editi in seguito; l’autore sembra insomma aver mante-nuto un certo rispetto (ma non senza eccezioni) dell’ordine cronologico di composizione che, per tutti i numerosi testi di argomento politico e monda-no, coincide, ovviamente, con la data dell’evento che li suggerí (da notare pic-coli blocchi di testi generati dalla stessa occasione). Alcuni dei testi già edi-ti ricompaiono con significative varianti evolutive, fino a radicalmente tra-sformarne la destinazione:
Formò Pigmaleone il bel sembiante Formò Pigmaleone il bel sembiantein bianco avorio, con sí puro affetto, in bianco avorio, con sí puro affetto,ch’in un punto ferito, acceso e stretto ch’in un punto ferito, acceso e strettoil cor se ne sentí, novello amante. il cor se ne sentí, novello amante. Ma giunti i giusti suoi preghi davante, Ma giunti i giusti suoi preghi davante, 5bella madre d’Amore, al tuo cospetto, Venere bella, al tuo divin cospetto,d’uman vigor per pietà empisti il petto, d’egual fiamm’arse il trasformato pettoonde in van sparse avea lagrime tante. ond’invan spars’avea lagrime tante. Al mio Leon, perché del gran Filippo La viva imago che nel proprio corefedel servo scolpí l’imagin vera scolpita io porto, per ch’al pianger mio 10per far del suo valor tacendo istoria, quasi agghiacciata pietra non risponde? ceda Fidia, Pirgotele e Lisippo: E tu tel vedi e sei pur empio, Amore,vita immortal ne la celeste sfera di sí pia madre figlio? Ahi destin rio,dà Dio per guiderdon, qui eterna gloria. qual fia ’l mio scampo, s’io non spero altronde?
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Nella redazione a stampa (prima colonna)25 il mito di Pigmalione era adibito, col ricorso al topos dell’ut pictura poesis, qui trasferito a connotare la statuaria come muta historia, a celebrare lo scultore Leone Leoni, favorito di Carlo V ed autore di numerese opere, in bronzo e in marmo, per l’imperatore e la corte spagnola, eseguite tra il 1553 e il ’55.26 Nel rifacimento (nr. 27, Amoroso) lo stes-so mito (opportunamente ritoccato al v. 7: la statua non soltanto si anima, ma si accende di fiamma amorosa) fa da pendant oppositivo alla propria condizio-ne di amante inascoltato e il sonetto cambia completamente di segno, rien-trando nella categoria degli “amorosi”. La trasformazione può essere stata suggerita dalla memoria del son. 78 del Petrarca, rovesciato nell’andamento argomentativo (il mito di Pigmalione vi veniva evocato in chiusa, vv. 12-14: « Pigmalion, quanto lodar ti dêi / de l’imagine tua, se mille volte / n’avesti quel ch’i’ sol una vorrei ») e con sostituzione del ritratto in pittura eseguito da Simone Martini con il ritratto interiore, custodito nel cuore. La suggestione del modello sembra aver suggerito il trasferimento della memoria mitologi-ca dalla sfera del pubblico a quella del privato.
Con il semplice mutamento di un nome al vocativo, un sonetto che nelle Rime di diversi signori napoletani (p. 199) era indirizzato a Luigi Carafa, principe di Stigliano, marito di Clarice Orsini, a sua volta destinataria di un paio di sonetti (uno stampato nella stessa raccolta, l’altro nel Sesto libro) viene rein di-rizzato a Filippo II (nr. 113), a testimonianza della genericità di simili testi d’en-comio, e della loro esibita magniloquenza:
Con quell’ardor ch’a ricoprato regnofé mai ritorno un glorioso core,a la mia servitute, al mio signore,come che a mio sommo trionfo io vegno. E se scettri e corone un certo segno 5
son de le glorie altrui e del mi’ onore
25. Rime di diversi Signori Napolitani, cit., p. 193.26. Ne parla a lungo Vasari, in particolare soffermandosi sulla piú virtuosistica prova del
Leoni, ma anche sulla statua a cui fa riferimento il Caracciolo: « Fece, non molto dopo che venne in cognizione di Sua Maestà, la statua di esso imperatore tutta tonda, di bronzo, maggio-re del vivo, e quella poi con due gusci sottilissimi vestí d’una molto gentile armatura, che gli se lieva e veste facilmente, e con tanta grazia, che chi la vede vestita non s’accorge e non può quasi credere ch’ella sia ignuda; e quando è nuda, niuno crederebbe agevolmente ch’ella po-tesse cosí bene armarsi giamai. […] Fece non molto dopo di marmo un’altra statua, pur dell’im-peratore, e quelle dell’imperatrice, del re Filippo, ed un busto dell’istesso imperatore da porsi in alto in mezzo a due quadri di bronzo » (Le vite dei piú eccellenti pittori scultori ed architettori, a cura di G. Milanesi, Firenze, Sansoni, 1906, vii pp. 536-37).
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la sempre stabil fede e ’l grande Amorech’io sol posso donar, sicuro pegno, questo non come fral caduco impero,ma come immortal tempio al tuo divino 10
nome consacro, o poco men che Dio, e tutto umile, o gran Filippo altero,è la victima ch’offro a terra chino,lo stil, la libertà, l’alma e ’l pensiero.
La versione a stampa aveva al v. 12 « o gran Luigi altiero », e andrà almeno notato che l’altra variante introdotta all’ultimo verso, probabilmente sotto l’influsso della rima in -ero dell’epiteto apposto al nome del destinatario, in-frange la regolarità del sistema metrico delle terzine: la stampa in luogo di « pensiero » aveva correttamente « desio » a creare la successione CDE CDE, infranta (per distrazione?) lasciando irrelata la rima del v. 11 e introducendo una terza, importuna, rima in -ero.
Il nuovo documento reca inoltre tracce non infrequenti di riscritture su rasura, nelle quali la scriptio inferior è spesso di difficile lettura a causa dell’ac-curatezza con cui la correzione è effettuata, per guastare il meno possibile l’aspetto elegante e “definitivo” del codice. Mi limito ad esemplificare su un paio dei sonetti databili piú antichi.
Il primo è un sonetto dedicato all’intervento di Carlo V in Sassonia (1547); ne do, su due colonne affiancate, la redazione a stampa (Sesto libro, c. 56r) e quella manoscritta (nr. 5), evidenziando con il corsivo le varianti e con il sot-tolineato le scrizioni su rasura:
Rinforza i vanni al glorioso volo Rinforza i vanni al glorioso volofamoso pellegrino, ecco ti attende famoso pellegrino, ecco t’attendeil mondo, ove ’l sol poggia et ove scende, il mondo, ove ’l sol poggia et ove scende,ove in mar guida e l’uno e l’altro polo. ove s’inalza e l’uno e l’altro polo. Segui, padre d’ognun, frate e figliuolo, Segui, invicto di Dio santo figliuolo, 5vinci col cor, ch’a sol virtute intende, vinci col cor, ch’a sol virtute intende,la nebbia, l’acqua e ’l vento che contende l’empia invidia mortal ch’or l’arme prendeche ’n Ciel non sii come qui in terra solo. per farti in Ciel come qui in terra ir solo. A la vil turba di tanti avoltori, A la vil turba di tanti avoltori,ch’invida intorno ti minaccia e punge, ch’invida intorno ti minaccia e punge, 10fa’, cadendo, sentir l’artiglio altero fa’, cadendo, sentir l’artiglio altero e sormontando ove ’l pensier non giunge e sormontando ove ’l pensier non giungeempi coi tuoi vittoriosi onori empi coi tuoi vittoriosi onoridi gioia questo e quell’altro emispero. di gioia questo e quell’altro emispero.
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Sotto la riscrittura del v. 8 si legge chiaramente il testo quale era nella reda-zione a stampa (anche l’ultima parola, « solo », che rimane invariata in rima, è riscritta perché, occupando il verso nella stesura precedente piú spazio nella riga, sarebbe altrimenti rimasta troppo isolata); la prima parte del v. 7 instau-ra direttamente la variante, mentre la redazione finale della seconda parte (in rasura) passa attraverso una precedente « ch’oggi contende »; al v. 10 era origi-nariamente scritto « ch’ogn’hor d’intorno » e poi, in rasura, viene recuperata la primitiva lezione della stampa.
Il secondo è un componimento in morte di Alfonso III d’Avalos, avvenuta a Vigevano nella primavera del 1546, che apriva la silloge di versi del Carac-ciolo edita nel Sesto libro e quindi accolto anche nel Fiore. Propongo a colonne raffrontate il testo secondo la stampa del Sesto libro (c. 55v) e nella redazione manoscritta (nr. 22):
Mentre piú s’apparecchia il mondo a darti, Mentre piú s’apparecchia il mondo a darti,Davalo invitto, universal corona Davalo invitto, universal coronae mentre in pegno Cesare ti dona e mentre in pegno Cesare ti donain man d’Italia le piú belle parti, in man d’Italia le piú belle parti, mentre ognun cerca a par del merto alzarti mentre ognun cerca a par del merto alzarti 5e del tuo gran valor chiaro risuona e del tuo gran valor chiaro risuonaParnaso, Olimpo, Delfo et Elicona, Parnaso, Olimpo, Delfo et Elicona,nel Cielo a maggior gloria odo chiamarti, a via piú maggior gloria odo chiamarti, tu qui il caduco onore e ’l terren lume tu che rivolto solo a quel gran lumetenendo a sdegno e come cosa vile che al Ciel sol ne fa scorta, avesti a vile 10il far dimora ov’è mortal la vita, lo star qui sempre ov’è mortal la vita, lasciando a noi l’altera spoglia umile, lasciando a noi l’altera spoglia umile,ov’ad eterno impero or Dio t’invita ove ad eterno regno or Dio t’invitati levi a vol con gloriose piume. volando or vai con gloriose piume.
Le varianti, come si vede, interessano esclusivamente la seconda parte del sonetto e sono, nel manoscritto, vergate parzialmente su rasura (segnalate dal sottolineato); in un luogo almeno la scriptio inferior corrisponde alla redazione a stampa: al v. 8 si legge infatti chiaramente « nel Cielo a » sotto la nuova le-zione « a via piú »; al v. 9 invece è su rasura soltanto « a quel gran » che sostitui-sce un precedente « al divin ». Piú difficile leggere la lezione originaria sotto le riscritture dei vv. 10-11: mi riesce soltanto di riconoscere con qualche sicu-rezza « il fin sempre » sotto « al Ciel sol ne ». Sembra di poter concludere che il testo del sonetto è trascritto nel codice quando già è stato in parte ritoccato (quindi presumibilmente sulla base di materiali di lavoro intermedi), mentre
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dopo la trascrizione del testo base interviene un ulteriore passaggio nel quale vengono introdotti ulteriori ritocchi: in particolare mi sembra che la corre-zione del v. 8 sia resa necessaria dal rifacimento dei vv. 9-10, che ne cambia l’impianto concettuale (non piú l’abbandono della terra ma l’aspirazione al cielo): l’introduzione al v. 10 della parola « Ciel » costringe a sostituirla due versi piú sopra per evitare la ripetizione, cosí come il « sempre » che si legge sotto la rasura sarà sostituito in seguito all’introduzione dello stesso avverbio al verso successivo.
3. La percentuale di testi legati a contingenze pubbliche è del tutto eccezio-nale e rappresenta circa il 60% del totale. Sono tutti sonetti (soltanto destinate a temi amorosi le non molte altre forme metriche), molti dei quali toccano di circostanziate vicende militari o politiche del Regno o che hanno ripercussio-ni sul Regno. L’indice qui in appendice ne offre una prima sommaria ricogni-zione, mentre una piú dettagliata analisi, a scopo esemplificativo, mi proverò a riservare ad alcuni testi che costituiscono nuclei tematici organici.
Il primo gruppo è costituito dai sonetti che toccano di un evento fonda-mentale per la storia del Regno, l’ascesa cioè al soglio pontificio del cardina-le Giovan Pietro Carafa con il nome di Paolo IV. Una prima serie di quattro sonetti contigui (40-43), tutti già tempestivamente editi tra le Rime di diversi signori napoletani, celebra l’ascesa al soglio pontificio (maggio 1555) in termini genericamente encomiastici e nell’auspicio, ben presto disatteso dalla belli-cosa politica intrapresa dal papa, di una riconquista dell’unità cristiana con le armi della « pietà »:
S’altri fin qua col ferro al grande impero 5
han mantenuta la sacrata sede,sí che in tante tempeste a pena vedela navicella sua su l’onde Piero, tu con quella pietà che d’uman velofé nel mondo vestir l’eterna mente 10
e punir nel suo sangue il nostro errore, stabil la fa per sempre e ne l’ardente,nel freddo estremo e nel temprato cieloscalda ogni cor col tuo divino ardore.27
27. 43 5-14 = Rime di diversi Signori Napolitani, cit., p. 197.
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Poco piú avanti (72), certamente dopo le disinvolte iniziative politiche del papa e il rovesciamento delle alleanze rispetto alle aspettative, il Caracciolo indirizza al pontefice un preciso monito politico:
Sia quarto Paolo tuo quel ch’è di Dio,quel ch’è di Cesar sia di Carlo quintoe sol tra l’Alpe e i Pirenei destrintosia ’l Gallo omai di piú volar restio. Prendi, santo pastore, audace e pio 5
la sacra insegna e vedrai correr tinto,fra ’l Mar Rosso e l’Eusino, il mostro estinto,di sangue infido ogn’asiano rio. Sia tua la maestà, il senno e ’l valore,la bontà, la pietate e quella chiave 10
che su nel cielo e ne l’inferno impera; lo scudo, l’arme, lo scettro e l’onoredel Regno tuo fia sol Filippo, or ch’avepresa per Cristo in man la spada altera.
Nel sonetto, che indica ancora Carlo V come detentore del diritto imperiale e precede dunque la rinuncia (settembre 1556) a favore del fratello Ferdinan-do I (che il papa peraltro non riconoscerà), è denunciata l’alleanza con la Francia (e quindi, almeno indirettamente, con l’Impero ottomano), contro il Regno di Napoli e il suo nuovo sovrano (Filippo II a favore del quale Carlo V ha abdicato): il papa dovrebbe farsi piuttosto promotore di una generale mobilitazione contro l’Islam, usando il prestigio dell’autorità spirituale, la-sciando al sovrano terreno l’uso delle armi. Poco oltre un altro sonetto (81) è ancora piú esplicito nel richiamare il pontefice all’esercizio di un’autorità fondata sulle virtú dello spirito (vv. 9-14):
Tu quarto Paolo ch’or sostien di Diolo scettro in terra, qual nemico assali? 10
contra chi irato e per chi il ferro prendi? Lascia ai mortali omai l’opre mortali;uom piú non sei: che maggior grado attendi?s’esser voi piú, sii piú benigno e pio!
E, a conclusione della vicenda, quando il papa, sconfitto, è costretto alla pace (settembre 1557), Caracciolo celebra la generosità del sovrano che, proprio contro il papa e la sua insensata politica di alleanze, restaura l’autorità della
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Chiesa e ripristina le corrette gerarchie, sconfitta la Francia (un sonetto quasi contiguo è dedicato alla battaglia di San Quintino) e, almeno in auspicio, as-serviti gli Ottomani:
Vinse in te la pietà, Signor, lo sdegnoet al nemico tuo da amico spentoil veleno, il furore e l’ardimentodi Pier salvasti al gran naufraggio il legno. Accrescesti, vincendo, al vinto il regno 5
e sol del merto vincitor contentoil gran trionfo, al comun bene intento,del pietoso voler lasciasti in pegno. Ogn’altra gloria la tua gloria oscura:per Dio prendesti et or lasci per Dio 10
l’arme onde in pace la sua greggia riede. Per te Roma et Italia or s’assicurache, domato Pariggi, Ottoman riobasciarà a Paolo il sacrosanto piede.28
Pochi anni prima Caracciolo aveva composto un Discorso sopra il regno di Napoli, datato nella prima stesura 15 febbraio 1554, ritoccato e parcamente ag-giornato presumibilmente negli anni 1557-1558.29 Il Discorso, occasionato dal- la politica interna del governo spagnolo, che mirava « ad imporre una con-
28. È il sonetto 102, intitolato Al Re, seguita la pace con Sua Santità; al nr. 105, separato da due amorosi, il sonetto Al serenissimo duca di Savoia nella vittoria di San Quintino. Sulla guerra cfr. la te-stimonianza contemporanea di Alessandro D’Andrea, Della guerra di Campagna di Roma et del Regno di Napoli nel pontificato di Paolo IIII l’anno mdlvi e lvii, tre ragionamenti […] nuovamente man-dati in luce da Girolamo Ruscelli, Venezia, Per Gio. Andrea Valvassori, 1560. Nei rapporti con Paolo IV, Caracciolo era forse dibattuto tra relazioni di parentela che lo legavano al papa e fe-deltà alla corona di Spagna; si può confrontare la vicenda di Colantonio Caracciolo, marchese di Vico, narrata da Girolamo Ruscelli: « Di questo marchese giovene è ava materna Vittoria Carrafa, sorella per madre di papa Paolo IIII. Il qual pontefice non solamente per il sangue, ma ancor molto piú per l’ottima indole di questo giovene tenne sempre di lui molto conto. Onde nei primi anni del suo pontificato, avendolo chiamato a Roma et essendo commune opinione che fosse per adoperarlo e promoverlo altamente, occorse in breve il romore e gli effetti della guerra col re, del quale questo giovene e tutti i suoi sono sudditi. Nel qual caso egli elesse di mancar piú tosto ad ogni altra cosa che al debito della fede sua verso il suo re e cosí, non senza molto sdegno del papa, se ne uscí di Roma » (G. Ruscelli, Le imprese illustri […] aggiuntovi nuova-mente il quarto libro da Vincenzo Ruscelli da Viterbo, Venezia, Appresso Francesco de’ Franceschi, 1584, p. 132).
29. Il Discorso, rimasto inedito e tramandato da una dozzina di manoscritti, è ora a stampa per cura di Raffaele Aiello, sulla base del ms. Urb. Lat. 824 della Biblioteca Apostolica Vaticana e
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dizione burocratico-parassitaria di sottosviluppo anche al fine di vincere le pretese indipendentistiche ed autonomistiche dell’aristocrazia napoletana »,30 si sviluppava in un’analisi acuta e realistica della situazione interna del Regno e della sua fragilità difensiva, soprattutto nei confronti degli attacchi dal mare. Tutta la terza parte del Discorso proponeva un profondo rinnovamento delle strategie difensive contro « un tanto superbo nemico, qual è il Turco, il Moro et il Franzese »,31 basato sull’allestimento di una flotta in grado di garantire la sicurezza dei mari e sullo smantellamento delle inefficaci difese costiere.32 Sinteticamente enunciando i vantaggi militari che si otterrebbero disponen-do di un’adeguata flotta, cosí Caracciolo si esprime a proposito del papa e della Francia: « Il Papa diventeria piú amorevole Padre et il re di Francia non solo si rissolveria d’Italia, ma con molti pensieri si poneria a difendersi nella Francia ».33 È una frase che mi pare ben sintetizzare la posizione assunta dal Caracciolo nei confronti della politica di Paolo IV anche nella serie di testi poetici qui sopra sinteticamente percorsa. Il Discorso prosegue poi toccando dei vantaggi che si otterrebbero contro le minacce dei Turchi, dei pirati e dei Francesi:
Cosí non si senteria ogni anno l’infinito numero de schiavi che l’armata turchesca ne porta dalli mari d’Italia et di Spagna, né le tante rapine delli tanti corsari turchi et mori, che con tanto ardire et con tanta sicurtà infestano li nostri liti, robbano le nostre mercantie et di liberi Christiani ne fanno servi d’infedeli, non si senteria che i Fran-cesi con le forze del Turco ne minacciassero, né che il Turco s’intromettesse ad altro che a difendersi nell’Asia et in quelle parti che piú sono dal mare discoste.34
Concreti episodi di pirateria islamica, alcuni dei quali, come vedremo, toc-cano direttamente il Caracciolo, sono evocati anche in numerosi componi-menti poetici, che forniscono quindi la motivazione emozionale del proget-to politico esposto nel Discorso. Un primo sonetto (18) tocca dello sbarco dei pirati a Vieste il 15 luglio 1554 che, secondo fonti contemporanee, avrebbero
con apparato variantistico, nella seconda parte del suo volume Una società anomala, cit., pp. 263-366.
30. Aiello, Una società anomala, cit., p. 151.31. Caracciolo, Discorso, in Aiello, Una società anomala, cit., p. 324.32. Il Discorso non si limita ad enunciare teoriche strategie, ma individua anche le vie per
procurare le risorse finanziarie necessarie ad armare la flotta e reclutare gli uomini che la ren-dano militarmente operativa.
33. Caracciolo, Discorso, cit., p. 352.34. Ivi, pp. 352-53.
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fatto oltre seimila schiavi, per lo piú donne e fanciulli;35 una serie di sonetti (107, 110, 112, 118) è quindi dedicata all’incursione ottomana a Sorrento del 13 giugno 1558, la stessa che mise in grande apprensione Bernardo Tasso ed il giovane Torquato, allora ospiti della corte roveresca, intorno alla sorte della rispettiva figlia e sorella Cornelia.36 Esemplifico con il sonetto Quando fur pre-se le monache da Turchi in Sorrento (112), tutto letterariamente giocato sull’evoca-zione e la comparazione mitologica:
Giunse il soccorso mentre al lido il mostro,Andromeda, attendevi, di dolorel’ignude membra, d’onestà e d’orrorecoverte sol, non già di gemme e d’ostro. E fu sí caro al ciel de l’amor vostro, 5
spirti beati, l’immortal valore,che con perpetua vita e eterno onorevi raccols’ambi al suo stellato chiostro. A tante spose sue che in bocca a tantemarine belve lagrimose or scerno 10
soccorra Dio, ch’ogni uman Perseo è vano, e se sotto il suo nome pure e santefur fatte serve da inimica manodial’Egli or libertà al suo regno eterno.37
Ma il Caracciolo ebbe anche la sventura di verificare negli affetti personali la pericolosità delle incursioni ottomane: in una di esse, infatti, cadde preda dei corsari il figlio stesso del poeta, probabilmente mentre si recava a Napoli per mare al seguito del vescovo di Catania Nicola Maria Caracciolo, al cui servizio era stato posto, come testimonia il sonetto 127, in cui il poeta si autonomina:
A l’acqua che dal rio con fretta tolsee pien d’affetto il villan pura offersene la roza umil man, gli occhi Artaxersegiocondi e ’l viso grazioso volse e con tanta real bontate accolse 5
nel picciol dono il sommo amor che scerse,
35. Cfr. Aiello, Una società anomala, cit., pp. 125-26.36. Cfr. A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, i pp. 35-36.37. L’allusione è, naturalmente, alla trasformazione in costellazioni di Andromeda e del suo
liberatore Perseo.
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ch’al poco obligo il gran figliuol di Xerseda magnanimo re risponder volse. Sacro pastor ch’a sacro offitio voltonon pur Catania tua, ma ’l mondo tutto 10
guidi nel ciel con l’opre e col consiglio, volgi al Caracciol tuo tu lieto il voltoche ’n vece d’acqua qual suo piú bel fruttocon se stesso ti sacra e dona un figlio.38
Poco oltre una piccola serie di tre sonetti consecutivi (150-52) è dedicata al compianto per il figlio fatto schiavo dai corsari e, quindi, il sonetto 156 è indi-rizzato A Monsignor di Catania schiavo: vien da credere che il figlio sia rimasto coinvolto nella stessa azione piratesca del giugno 1561, quando la nave che stava trasportando il prelato a Napoli venne assalita al largo di Lipari dal fa-moso corsaro Dragut ed il vescovo fu costretto a trascorrere circa dieci mesi in prigionia prima che venisse pagato il riscatto. Questo il secondo sonetto (151) per la prigionia del figlio:
Ove sei del mio vivo o via piú vivaparte d’ogn’altra? qual destino fieroteco mi trae per sí lungo sentieroperché fuor di me stesso in te sol viva? Ove son io, se tu in sí strana riva 5
me chiami invan? che di me fia se ’l veromio spirto è teco? e in che, miser, piú speros’avara man del tuo sperar mi priva? Figlio di padre assai padre infelicel’empio nemico che te vinse insieme 10
me vinse a un tempo, annodò, strinse e ancise e quel che ’l tuo timor, piangendo, temeio sento sí che in due alme divisepiango una vita a cui sol pianger lice.
38. L’episodio relativo ad Artaserse è narrato da Eliano, Varia historia, i 32. Nicola Maria Caracciolo è uno degli 11 vescovi e arcivescovi del Regno che negli anni Quaranta si era avvi-cinato alle idee eterodosse del Valdés, in particolare condividendone la dottrina della giustifi-cazione per sola fede, secondo la testimonianza processuale di Giovan Francesco Alois (M. Firpo, Introduzione a J. de Valdés, Alfabeto cristiano, Domande e risposte della predestinazione, Catechi-smo, Torino, Einaudi, 1994, p. ciii). Su un probabile rapporto del Caracciolo con lo stesso Alois cfr. Parenti, Caracciolo, Giulio Cesare, cit., p. 395, e A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, i, Firenze, Le Monnier, 1957, p. 111 e nn. 3 e 4.
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4. La tavola che pubblico qui in appendice dà conto dell’intreccio tra testi di argomento storico-politico e testi piú genericamente amorosi: un’alter-nanza estremamente libera, in cui non è infrequente il caso di testi amorosi che interrompono sequenze omogenee. Il filo che lega i componimenti amo-rosi è quello di un canzoniere con scarsa mobilità diegetica, che itera la pro-nuncia di una disperata condizione amorosa per cui la proposta del caso per-sonale vuol realizzarsi come « paventoso essempio »,39 in una sorta di climax con il « duro esempio » del sonetto proemiale del Bembo, ancor piú enfatiz-zato dalla collocazione in clausola, mentre Bembo faceva seguire a conclu-sione la dichiarazione dell’auspicato effetto salvifico dell’exemplum.40
Nella sequenza delle rime del Caracciolo solo verso la fine cominciano ad apparire componimenti che incrinano la pervicace insistenza sul tema del-la mancata corrispondenza d’amore e dell’impossibilità di sciogliersi dal le-game, per aprire qualche spazio ai temi della contrizione e della conversio-ne a Dio; trascrivo il sonetto 145, il piú esplicito, connesso com’è dall’intitola-zione (Orazione alla confessione) all’occasione devozionale ed all’esame di co-scienza:
Ecco sotto ’l gran fascio de l’umanemie colpe, o Re del Cielo, o Padre, o Dio,a te ricorro e scopro del cor miotant’opre rie, tante voglie empie e vane. E s’a le squille io fo quel che di mane 5
far dovea già, cuopra il tuo santo obliol’antique macchie e dal terren desioogni mortal pensier sempre allontane. Errai, cieco, gran tempo; or ne la lucedel tuo favor gli spirti e gli occhi accesi, 10
ovunque io son sol la tua gloria veggio, e s’uom d’uom figlio te e me stesso offesi
39. 1 14; cfr. sopra, p. 233.40. « Ché potranno talhor gli amanti accorti, / queste rime leggendo, al van desio / ritoglier
l’alme col mio duro esempio, // et quella strada, ch’a buon fine porti, / scorger da l’altre, e quanto adorar Dio / solo si dee nel mondo, ch’è suo tempio » (cito da P. Bembo, Rime, a cura di A. Donnini, Roma, Salerno Editrice, 2008, pp. 7-8). Cfr. anche il sonetto proemiale di Ber-nardo Tasso: « Almen dimostrerà qual frutto mieta / chi ne’ campi d’amore ha sparso il seme / col fero esempio de’ miei lunghi mali » (cito da B. Tasso, Rime. Edizione la piú copiosa finora uscita. Colla Vita nuovamente descritta dal Sig. abate Pierantonio Serassi, Bergamo, Appresso Pietro Lancel-lotti, 1749, i p. 1).
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guidommi il senso: or che ’l tuo sol m’è ducequal membro di Gesú perdon ti cheggio. 41
Nella sequenza del manoscritto esso è peraltro seguito da altri componimen-ti amorosi che ribadiscono la disperata condizione di amore nell’insistita ite-razione dei motivi della crudeltà dell’amata e dell’ossimorica condizione del-l’amante tenuto in vita dagli effetti contrastanti dell’ardore e del gelo, co m’è immediatamente ribadito nel successivo sonetto amoroso (148, dopo due so-netti di argomento storico):
Et è pur ver ch’oltre ogni mezzo alterae bella ti fé ’l ciel, donna, né scemefan le tue glorie qualitati estreme,ch’Amor con nove leggi il mondo impera; e se senza fine è quel ch’ama e spera 5
in un tempo il mio cor, quel ch’odia e teme,tu mentr’ancidi e mi dai vita insiemefai che in perpetue fiamme ardendo io pera; né meraviglia fia che l’ardor mioogn’altro avanzi, da tal raggio è uscito 10
che con l’immortal suo fia sempre eterno. Ma, lasso, alfin che pro, se non poss’ioscaldar già mai col mio foco infinitoil giel che nel tuo lume è sempiterno?
La rappresentazione della personale vicenda amorosa conosce insomma mi-nimi movimenti diegetici ed è piuttosto svolta attraverso l’esibizione di una ragguardevole abilità retorica in un estenuante esercizio di variatio entro una costante sostenutezza stilistica prodotta dall’ampio periodare, dall’uso di en-jambements, dall’ordo verborum impreziosito da iperbati, parallelismi e chiasmi, appena temperata dal gioco arguto degli ossimori, delle antitesi e delle paro-nomasie e con qualche indulgenza, talora, alle rapportationes. Ne propongo un ulteriore esempio (32), tratto pressoché ad apertura di libro, inteso anche a rappresentare scelte formali non del tutto prevedibili, soprattutto in area na-poletana:
41. Numerosi gli echi che si possono cogliere in questo sonetto, da Petrarca, Canz., 81 1-2 (« Io son sí stanco sotto ’l fascio antico / de le mie colpe »), alla canzone “di pentimento” del Della Casa, 47 1 (« Errai gran tempo, e del camino incerto »).
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Son duo begli occhi e strale e fiamma e laccioonde mi punge, incende e stringe Amore:e tal la piaga, il foco e ’l nodo è al coreche di lor mi nutrico e in lor mi sfaccio e mentre vago di veder procaccio 5
de’ suoi bei raggi l’unico splendore,quant’infiammo il disio di novo ardoretanto la speme innamorata agghiaccio, che innanzi al suo bel lume e di spaventosento quest’alma e d’ardir tutta piena, 10
s’i’ il suo celeste o ’l mio terren discerno e preso e punto alfin d’arder contentogodo d’aver perpetua la catena,la ferita immortal, l’incendio eterno.
5. Piú conforme alla recente tradizione napoletana la residua parca serie di testi nei quali la passione amorosa viene esternata attraverso la mediazione pastorale, piscatoria o mitologica. Segnalazione particolare merita la lunga canzone (12 strofe a schema aBCcaBbDedeFf e congedo yZZ) di argomen-to piscatorio (185, Cratone canzone amorosa pescatoria), che contiene il lamento amo roso di un pescatore, che fin dal nome, Cratone, dichiara la sua ascenden-za (e preannuncia anche una discendenza almeno mariniana) e manifesta il suo tormento amoroso attraverso l’evocazione di una fitta mitologia napoletana, tessuta sulle trame dei miti eziologici di formazione umanistica (Pontano, Sannazaro…). Trascrivo le prime due stanze, come minima documentazione del legame con la tradizione umanistica, e insieme della consonanza con con-temporanee esperienze della poesia napoletana:
Tratto da fier destinospezza la canna e, rotti gli ami, affondae nasse e reti e remi e barca obliae sol morte desiaCraton doglioso e chino 5
e piangendo del mare accresce ogn’ondae per l’amica spondache la vaga Sirena e la famosaMergellina diparte,bagnando l’arenosa 10
pendice a parte a parte,
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a Pausilipo volto « Or quando fiapietra io », dicea, « se pietra è Clori mia? O pastor sol felice:la tua ninfa divin nume t’ha tolta 15
e propria crudeltà la mia mi togliee proprie fiere vogliel’han dentro l’infelicemar del mio pianto in dura pietra volta.Te la tua Nesi ascolta 20
nel suo bel sasso assisa e da me ognorala mia Clori s’ascondeove per far ch’io morason l’acque piú profonde.Nesi ogni tuo bel dono da te prende, 25
Clori le voci mie piú non intende.
Il lamento del pescatore si incardina sul paragone con la vicenda amorosa di Posillipo, appassionato amante di Nisida, trasformati rispettivamente in promontorio ed in isola dopo che la ninfa, amata da Giove, avrà generato An-tiniana: il mito è narrato da Pontano in riferimento alla villa posseduta dal poeta sulla collina del Vomero, luogo della celebre accademia ed essa stes -sa denominata Antiniana.42 Ma la canzone del Caracciolo appare anche una sorta di cerniera tra la precedente tradizione eglogica ed esiti futuri, come le “marittime” del Marino, o la grande fortuna dell’idillio. Penso, ad esem-pio, ad esiti metaforici estremi generati dall’espansione di una comparazione (Nesi è trasformata dal dio in isola: « la tua ninfa divin nume t’ha tolta / e propria crudeltà la mia mi toglie / e proprie fiere voglie / l’han dentro l’infe-lice / mar del mio pianto in dura pietra volta », vv. 15-19), al gusto dell’enume-razione (« ella conche e coralli, / locuste ti porge, ostrache et echini / coi piú vezzosi pesci », vv. 40-42; « Egla dogliosa e mesta / con Carafia, Loffreda e
42. I. Sannazaro, Arcadia, prosa xi: « il fruttifero monte sovraposto alla città, e a me non poco grazioso per memoria degli odoriferi roseti della bella Antiniana, celebratissima ninfa del mio gran Pontano » (Id., Opere volgari, a cura di A. Mauro, Bari, Laterza, 1961, p. 95). Tra i carmi del Pontano cfr. Ecl., i 6 55-78; i 7; Lyra, 3. Ad Antinianam nimpham Iovis et Nesidis filiam (I.I. Pontani Carmina, a cura di J. Oeschger, ivi, id., 1948, pp. 27-33, 358-59). Per il Sannazaro latino cfr. Ecl., 4 46-50: « Te quoque formosae captum Nesidos amore, / Pausilype, irato compellat ab aequore questu. / Ah miser, ah male caute, tuae quid fata puellae / adceleras? cupit in medios evadere fluctus / infelix, cupit insuetum finire dolorem » (J. Sannazarii Poemata, Venetiis, Apud Simo-nem Occhi, 1746, pp. 61-62). Un cenno al mito in B. Croce, Storie e leggende napoletane, Roma-Bari, Laterza, 19767, p. 290.
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Lucullana / del mio grave dolor sospira e piange / e per quant’onde frange / questo mar Giulia desta / al pianto, Adorna, Rotilia e Villana. / Sospira An-tiniana, / Iscla, Vesevo e lacrima Sebeto », vv. 66-73), fino alla chiusa sorpren-dente che, in didascalia, rinnega la “tragicità” del lamento di Cratone, che aveva coinvolto il lettore, per farne oggetto di derisione:
Mentre Craton si lagnafa ’l mar dintorno ribombar Tritone:ogni corbo risponde, ogni bubone. 43
Un componimento come questo appare in piena sintonia con l’esperienza coeva delle Egloghe pescatorie di Rota,44 e con la catena di tre canzoni pescatorie di Tansillo, nelle quali l’iterato lamento amoroso del pescatore Albano è infi-ne interrotto, come nella canzone di Caracciolo, dall’irruzione di un evento meteorologico:
Cosí piangeva et ecco,mentre il tartareo fabropruova i folgori suoi, repente un tuonointronò l’aria ‹e a› quello orribil sonolunga ora e ’l monte scabroe gli arsi scogli rimbombaro e l’acque:destossi Albano e attonito si tacque.45
Che versi di Caracciolo mai dati alle stampe abbiano circolato almeno in ambiente napoletano mi pare dimostrato dall’evidente calco di un paio di suoi sonetti (74, Di sdegno maritimo; 118, All’armata turchesca seguita la presa di Sorrento) operato dal Marino nei sonetti 87 delle Boscherecce e 45 delle Maritti-me.46 Del secondo colpisce la coincidenza incipitaria (Caracciolo: « Arpie del
43. Per una collocazione della produzione lirica del Caracciolo nel contesto della cultura poetica napoletana contemporanea rimando a G. Ferroni-A. Quondam, La “locuzione artificio-sa”. Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del manierismo, Roma, Bulzoni, 1973, e A. Quon-dam, La parola nel labirinto. Società e scrittura del manierismo a Napoli, Roma-Bari, Laterza, 1975.
44. A stampa nel 1566 (Venezia, Appresso Giovan Giolito de Ferrari).45. Cito dalla nuova edizione critica delle Rime, introd. e testo a cura di T.R. Toscano, com-
mento di E. Milburn e R. Pestarino, Roma, Bulzoni, 2011, p. 356.46. Li si legge in edizione moderna in G.B. Marino, Rime boscherecce, a cura di J. Hauser-Ja-
kubowicz, Ferrara-Modena, Ist. di Studi rinascimentali-Panini, 1991, p. 113, e Rime marittime, a cura di O. Besomi, C. Marchi, A. Martini, ivi, id., 1988, p. 115, oltre che in G.B. Marino, La lira, a cura di M. Slawinski, Torino, Res, 2007, i pp. 131 e 83.
248
guido arbizzoni
mar che ’n fin da l’Oriente / venite a spaventar le nostre arene »; Marino: « Arpie del mar, che da l’estreme sponde / venite a depredar le nostre arene »); il primo, penultimo pezzo della nota sequenza dedicata all’infelice – e grot-tesco – amore di Polifemo per Galatea, è evidentemente modellato sul so-netto del Caracciolo, come dimostrano le macroscopiche coincidenze che ho segnalato altrove47 e di cui rammento qui solo la piú clamorosa, l’espres-sione del fondamentale snodo argomentativo (comune ai due testi) nella stes-sa posizione (v. 5) e pressoché con le stesse parole: « Aci sia ’l tuo, ch’io mio fatto son io! » (Caracciolo), « Aci siasi pur tuo, ch’io mio son fatto » (Marino). E for- se il Marino, cosí pronto a cogliere suggestioni, appropriarsene e svilupparle, da quel sonetto può aver tratto lo spunto per inserire la vicenda del ciclope innamorato in una raccolta di rime di nuova concezione, iterando il modello per dilatarlo a racconto esteso, e forse l’idea stessa di trattare un argomento mitologico nella inconsueta forma metrica del sonetto e di costruire tutti i sonetti polifemici, secondo la struttura di quello del Caracciolo, in alternanza di discorso diretto e didascalia, complicata e variata da parallelismi e da chia-smi nella nuova orditura seriale.
Questo primo rilevamento può far ritenere che ulteriori indagini, nel cor-pus mariniano e altrove, possano dare significativi risultati: e intanto l’atten-zione del Marino è già un segno di riconoscimento non irrilevante.
★
APPENDICE
Queste le sigle utilizzate per indicare le edizioni in cui compaiono alcuni compo-nimenti:
Altea = Altea tragedia di Nicolò Carbone con la scelta delle rime d’alcuni gentilissimi Spiriti, nella morte dell’Illustrissima Donna Beatrice Avala, Figlia dell’Eccellen-za della Signora Marchesa del Vasto, In Napoli, Appresso Mattio Cancer, 1559.
Anania = G.L. Anania, Dell’universal fabrica del mondo, Napoli, appresso Giuseppe Cacchij, 1573.
47. G. Arbizzoni, Un nuovo modello per il ‘Polifemo’ del Marino (‘Rime boscherecce’ 65-88), in « Car-te urbinati. Riv. lett. it. e teoria lett. », i 2009, pp. 41-55, e Id., Le rime di Giulio Cesare Caracciolo e il « rampino » del Marino, in « Filol. crit. », xxxv 2010 (Per Giorgio Fulco in memoriam), pp. 204-16.
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le rime di giulio cesare caracciolo
Att. = Oratione di Gio. Battista Attendolo di Capua. Nell’essequie di Carlo d’Austria Principe di Spagna, celebrate in Nap. dall’illustriss. e R. Arci. Nicolò Gaetano Cardinale. Con alcune rime di Diversi in morte del medesimo & di Carlo V, In Napoli, Appresso Gioseppe Cacchi, 1571.
Caracciolo = V. Caracciolo, Compendio della descrittione di tutto il mondo, raccolto da diver-si autori et ordinato sovra le tavole di Claudio Tolomeo, in Napoli, appresso Mattio Cancer, 1567.
F = I fiori delle rime de’ poeti illustri, nuovamente raccolti et ordinati da Girolamo Ruscelli, In Venetia, Per Giovanbattista et Melchior Sessa fratelli, 1558.
FS = In funere Sigismundi Augusti Regis Poloniae celebrato Neapoli prid. Non. Oc-tob. An. D. m.d.lxxii. Oratio […] atque praestantium virorum poemata, Nea-poli, Apud Iosephum Cacchium, s.d.
HG = Rime di diversi eccel. autori in morte della illustriss. sig. d. Hippolita Gonzaga, Napoli, appresso Gio. Maria Scotto, [1564].
Rota = Sonetti et canzoni […] con l’egloghe pescatorie di nuovo con somma diligentia ristampate aggiuntovi molte altre rime del medesimo autore, In Vinegia, Ap-presso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1567 (cfr. B. Rota, Rime, a cura di L. Milite, Milano-Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda, 2000).
RS = Il primo volume delle rime scelte di diversi autori, di nuovo corrette et ristampate, [a cura di L. Dolce], In Vinegia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari, 1563.
SL = Il sesto libro delle rime di diversi eccellenti autori nuovamente raccolte, et manda-te in luce. Con un discorso di Gerolamo Ruscelli, In Vinegia, Al segno del pozzo, 1553, [in fine:] In Vinegia, Per Giovan Maria Bonelli.
SN = Rime di diversi Signori Napolitani e d’altri nuovamente raccolte et impresse. Libro settimo, In Vinegia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari e fratelli, 1556.
Sciolgo tra parentesi le abbreviazioni che numerose compaiono nei titoli, salvo alcune relative a personaggi della cui identificazione non sono, al momento, certo.
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indice del manoscritto
Incipit Titolo Edizioni Forma metrica
1 Piansi mentre Amor volse, hor del van mio
Sonetto
2 E vidi et arsi o valor vostro humano
Amoroso Sonetto
250
guido arbizzoni
3 Qual impossibil cosa è ch’al tuo regno
Amoroso Sonetto
4 Se ’l mal comune e non la propria offesa
A Cesare nella guerra di Germania
Sonetto
5 Rinforza i vanni al glorioso volo
A Cesare nella guerra di Sassonia
F 422, RS 308, SL 56r
Sonetto
6 Ben ti vidi io con sí superbo dente
A Siena occupata da Franciosi
Sonetto
7 Tenne la Macedonia il gran figliuolo
A Cesare quando renuntiò i regni
Sonetto
8 Tinta del civil sangue l’empia mano
A Cesare quando renuntiò i regni
Sonetto
9 S’hor con gli sproni, hor con la sferza io tento
Amoroso, correndo la posta
SN 203 Sonetto
10 So che menzogna parrà in dirlo Amore
Amoroso Sonetto
11 Ove mi guidi empia e nemica stella
Amoroso Sonetto
12 Sperai, sciocco, lasciando il foco ond’ardo
Amoroso Sonetto
13 Corsi Carlo a i tuoi piè carco di fede
A Cesare, ritornato d’Agusta, mandato dalla città di Napoli
Sonetto
14 È sí grande il desio che mi conduce
Amoroso Sonetto
15 Invitto Re sotto ’l cui giusto impero
Al Re SN 192 Sonetto
16 Col Mondo tutto alzar ben ti dovrei
Al Re SN 194 Sonetto
17 De l’audace pensier supplitio degno
A Leone scoltore SN 193 Sonetto
18 O di che chiare spoglie volge altero
Presa Viesti e rotto lo Strozza
Sonetto
19 Qual marmo a i lidi tuoi, signor fia segno
Al re fatto S(igno)r d’Inghilterra
Sonetto
20 Corron gli occhi guidati dal desire
Amoroso SN 204 Sonetto
21 Tristo pensier, ch’ogn’hor nova fenice
Amoroso Sonetto
22 Mentre piú s’apparecchia il mondo a darti
Al s(ignor) M(arche)s(e) del Vasto morto
F 421, RS 308, SL 55v
Sonetto
251
le rime di giulio cesare caracciolo
23 Chiara luce gentile, eterno e vero
A Clarice Orsina ill(ustrissi)ma Pr(incipessa) di Stigliano
F 422, RS 308, SL 56v
Sonetto
24 Donna real nel cui divin sembiante
Alla Ill(ustrissi)ma s(ignora) M(archesa) del Vasto
SN 198 Sonetto
25 Orni il picciol Sebeto ambe le sponde
All’Ill(ustrissi)mo Cardinal Caracciolo
Sonetto
26 Desta tanti pensier dentro al mio petto
Amoroso Sonetto
27 Formò Pigmaleone il bel sembiante
Amoroso SN 193 Sonetto
28 Scuote la testa il Gallo Aquila altera
Quando il D(uca) di Nemur s’incontrò con il S(ignor) M(arche)s(e) di Pes(cara) Ill(ustrissi)mo
Sonetto
29 Cadde il nemico Gallo alto Marchese
All’Ill(ustrissi)mo s(ignor) M(arche)s(e) di Pes(cara)
Sonetto
30 Se ’l Nilo e ’l Tanai son freno al valore
Al Re nostro S(igno)re Sonetto
31 Alza la bella Italia al grido altero
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) M(arche)s(e) di Pes(cara)
Sonetto
32 Son duo begli occhi e strale e fiamma e laccio
Amoroso SN 204 Sonetto
33 Ben mi ti diede il Ciel per mia ventura
Amoroso F 418, SL 139v Sonetto
34 Non piú lagrime homai non piú sospiri
Amoroso in Pozzolo F 419, SL 194v Sonetto
35 Apra o chiuda le porte al tempio Giano
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) don Garzia di Toledo
Sonetto
36 Vinse co’l cor co’l senno e con la spada
All’Ill(ustrissi)mo s(ignor) don Garzia quando si casò
SN 194 Sonetto
37 Celeste e bella imago ond’hor sostiene
Alla Ill(ustrissi)ma s(ignora) Vittoria Colonna
Sonetto
38 Dunque mio ben credete Amoroso Madrigale39 Schermo piú a’ colpi tuoi
non trovo AmoreAmoroso Sonetto
40 Sacra pietra del sacro eterno impero
Alla s(anti)tà di P(aolo) iiii SN 195 Sonetto
41 In forbit’or la rena sua converse
Alla S(anti)tà di P(aolo) iiii SN 197 Sonetto
42 Vinse Paolo se stesso, e in santo ardore
Alla S(anti)tà di P(aolo) iiii SN 196 Sonetto
252
guido arbizzoni
43 Ecco l’Hiberno, ecco il Britanno altero
Alla S(anti)tà di P(aolo) iiii SN 197 Sonetto
44 Stringi l’invitta e gloriosa spada
All’Ill(ustrissi)mo s(ignor) M(arche)s(e) di Pes(cara)
Sonetto
45 Leggiadra Nimpha che del freddo cielo
Per la s(ignora) Pr(incipessa) Ill(ustrissi)ma di Stigliano
SN 200 Sonetto
46 Dal fondo del mio cor sí puri e ardenti
Amoroso Sonetto
47 Dolce inganno d’Amor, miracol vero
Amoroso Sonetto
48 Se vien da vostri rai Amoroso Madrigale49 Maggior lume celeste
occhio del mondoEssendo inferma l’Ill(ustrissi)ma s(ignora) Pr(incipessa) di Sti(gliano)
SN 200 Sonetto
50 Coppia gentil ch’astro benigno e pio
Al s. D(uca) di Mond(ragone) et alla s(ignora) D(uche)ssa moglie Ill(ustrissi)mi
Sonetto
51 Voi ch’a l’antique mie belle sirene
Agli accademici Sereni Sonetto
52 Raggio gentil de la piú chiara luce
All’Ill(ustrissi)mo S(igno)r D(uca) di Mondr(agone)
SN 201 Sonetto
53 O santa dea sotto il cui scettro io scerno
Nel parto della Ill(ustrissi)ma S(ignora) D(uchessa) di Mondr(agone)
Sonetto
54 Qual huom che da oscur’ombre al sol repente
Amoroso Sonetto
55 Alma gentil che senza macchia e pura
Alla morte della figlia del S(ignor) D(uca) di Mond(ragone)
Sonetto
56 Pria ch’apparisse il desiato giorno
Amorosa Sestina
57 Silva che fiori e frutti al caldo e al gelo
All’Ill(ustrissi)mo S(igno)r Ruiz Gomes di Silva
Sonetto
58 Signor che reggi la piú bella parte
Al S(igno)r M(archese) di Torremaiori, V(esco)vo di Terra d’Otranto
Sonetto
59 Prese anchor giovanetto e pien d’ardire
Al S(ignor) Vesp(asiano) di Gonz(aga) fatto general d’Italiani
Sonetto
253
le rime di giulio cesare caracciolo
60 Fuggi co’l pianto homai trista mia vita
Amoroso Sonetto
61 Leggiadre Nimphe che con turbid’onda
Amoroso Sonetto
62 Ove l’ardente suo vivo splendore
Al Re n(ost)ro S(igno)re quando il S(ignor) D(uca) d’Alba venne in Napoli
Sonetto
63 Nova guida del giorno onde governa
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) D(uca) d’Alba giunto in Napoli
Sonetto
64 Del cor soperbo il rio pensiero aperse
Al Re quando smontò sul ponte in Genova
Sonetto
65 Mostrò l’invitto Carlo al mondo il fiero
Al Re Sonetto
66 Qual assetato can ch’al Nil sovente
Amoroso Sonetto
67 Che meraviglia fia poi ch’è d’Amore
Amoroso Sonetto
68 Turbido l’Adrian veggio e ’l Tirreno
Quando M(onsigno)r di Ghisa venne in Italia
Sonetto
69 Altier Leon che ne l’estrema sponda
A’ Venetiani alla calata de’ Fr(ancesi) In Italia
Sonetto
70 Corse vincitor Carlo Italia e tinto
Alla calata di M(onsigno)r di Ghisa
Sonetto
71 Vedrai di Francia l’ampia sepoltura
A M(onsigno)r di Ghisa Sonetto
72 Sia quarto Paolo tuo quel ch’è di Dio
Alla S(anti)tà di P(aolo) quarto
Sonetto
73 Ove tra vive perle un rotto argento
Di sdegno, maritimo Sonetto
74 S’innanzi a l’amoroso mio desio
Di sdegno maritimo Sonetto
75 Verdi campagne ove fior bianchi e gialli
Di sdegno Sonetto
76 Gli Angioli che di Dio ministri veri
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) D(uca) d’Alba quando venne M(onsigno)r di Ghisa
Sonetto
77 Da gli alti Pirenei scender l’Hibero
Calati Fr(ancesi) In Italia Sonetto
78 Non fia mai che co’l giel del vostro petto
Amoroso Sonetto
254
guido arbizzoni
79 Tu che dal sommo Ciel per gratia sei
Amoroso Sonetto
80 Chi fia che ’l creda? Et è pur ver che pace
Al S(ignor) Placido di Sang(r)o ritornato da Roma con l’esecution della pace
Sonetto
81 Scacciò da Italia ogni nemico stuolo
Alla S(anti)tà di P(apa) Paolo iiii
Sonetto
82 Che fa, che spera homai Roma? Che attende?
Quando l’esercito nostro andò sopra Roma
Sonetto
83 Vedesti Roma già de le tue spoglie
Quando l’eser(cito) nostro andò sopra R(oma)
Sonetto
84 Lascia il sacro Elicona Epitalamio alle nozze di Angiola
Canzone
85 Marte pensò veder ne l’alta riva
Al S(ignor) Vespasiano di Gon(zaga) quando fu ferito in Ostia
Sonetto
86 Deh ch’io temo signor c’hor hor dal monte
Al s. C. di M. Sonetto
87 È dunque vero Enrico che in oblio
Ad Enrico re di Fr(ancia) Sonetto
88 Non v’ornar stelle amiche e d’auro e d’ostro
All’Ill(ustrissi)mo Farnese Sonetto
89 Novo raggio del Ciel ne la cui luce
Amoroso Sonetto
90 Nova legge ond’io vivo ai fato rio
Amoroso Sonetto
91 Chi può tanto suffrir? Chi può por freno
Amoroso Sonetto
92 Vide e vins’Alba il Latio, e posto freno
Presa Ostia Sonetto
93 Da Navarra e da Spagna un’Alba fuore
All’Ill(ustrissi)mo s(ignor) D(uca) d’Alba presa Ostia
Sonetto
94 Prendesti glorioso giovanetto
All’Ill(ustrissi)mo s(ignor) D(uca) di Mond(ragone) quando andò alla guerra d’Ostia
Sonetto
95 Sprona Ghisa il destrier, corri ritorna
Quando M(onsigno)r di Ghisa si ritirò
Sonetto
96 Amiche Driade che serbate a Giove
Amoroso Sonetto
97 Corsi al mio mal, né mai rimossi il piede
Amoroso Sonetto
255
le rime di giulio cesare caracciolo
98 Ben fia del tuo valor sicuro pegno
All’Ill(illustrissi)mo s(ignor) M(arc’) Ant(onio) Col(onna) presa Segna
Sonetto
99 Con l’arte co’i colori e co’l pennello
All’Ill(ustrissi)mo s(ignor) M(arc’) An(tonio) rotti i Todeschi
Sonetto
100 Non piú per queste valli aspri lamenti
Amoroso Sonetto
101 Empio destin chi fia Italia che speri
Alla morte dell’Ill(ustrissi)mo S(ignor) V(iceré) Fer(rante) di Gonz(aga)
Sonetto
102 Vinse in te la pietà signor lo sdegno
Al Re seguita la pace con S(ua) S(anti)tà
Sonetto
103 Sí stretto tiemmi acceso e punto Amore
Amoroso Sonetto
104 Chi fia che ’l creda? O meraviglia nova
Amoroso Sonetto
105 Prendi giovan real di tante e tante
Al ser(enissimo) D(uca) di Sa(voia) nella vitt(oria) di san Quin(tino)
Sonetto
106 Che piú attendi Pariggi? Apri le porte
A Par(igi) seguita la rotta del Contes
Sonetto
107 Co’l ferro, con l’incendio e co’l veneno
Preso Sorrento da Turchi Sonetto
108 Non d’abete o di pin, ma d’un desio
Al Re Sonetto
109 Questo incendio che notte e giorno fuore
Al Re Sonetto
110 Tosto che l’arme cristiane intende
Quando apparve l’armata del Turco
Sonetto
111 A che passo fatal m’hai giunto Amore
Amoroso Sonetto
112 Giunse il soccorso mentre al lido il mostro
Quando fur prese le monache da Turchi in Sorr(en)to
Sonetto
113 Con quell’ardor ch’a ricoprato regno
Al Re nostro S(igno)re SN 199 Sonetto
114 Splendon tante vaghezze e tanti amori
Amoroso Sonetto
115 Hor chi fia mai che ’l creda et è pur vero
Amoroso Sonetto
256
guido arbizzoni
116 Ben ti scorgo Signor fra mille honori
Al s(ignor) Alf(onso) Berballo Pr(incipe) dell’Accade(mia) degli Sviscerati in Agusta
Sonetto
117 Non per che sii cara a le Muse tanto
Ad Erinna Ill(ustrissi)ma Pr(incipessa) di Bis(igna)no
SN 195 Sonetto
118 Arpie del mar che ’n fin da l’oriente
All’armata turchesca seguita la presa di Sor(rento)
Sonetto
119 Desir ch’ogni desir fai gire a dietro
Amoroso Sonetto
120 Strana legge d’Amore, odio me stesso
Amoroso Sonetto
121 Humane meraviglie, opre mortali
Quando la S(ignora) D(uchessa) di Mond(ragone) alloggiava in Chiaia
Sonetto
122 O di vera pietate essempio vero
Alla S(ignora) D(uchessa) Ill(ustrissi)ma di M(ondrago)ne alla morte della S(ignora) Pr(incipessa) madre
Sonetto
123 Mentre havran queste selve e fiori e fronde
Amoroso pastorale Sonetto
124 Orni le tempie anc’hor di chiome aurate
A Re F(ilippo) quando era con l’eser(cito) in Fr(ancia)
Sonetto
125 Dinanzi al tuo fattor nel sommo chiostro
Alla morte di C(arlo) quinto
Att. 26v Sonetto
126 Nova Angioletta che con nova luce
Amoroso F 417, SL 193r Sonetto
127 A l’acqua che dal rio con fretta tolse
Al S(ignor) Ves(covo) di Catan(ia)
Sonetto
128 Ben hai nemica stella il raggio ardente
Alla morte di Clarice Ill(ustrissi)ma Pr(incipessa) di Sti(gliano)
Sonetto
129 Se pien d’ardir, di fede e di consigli
All’Ill(ustrissi)mo Ruiz Gomes di Silva
Sonetto
130 Cosí pari al timor sempre ho la speme
Amoroso Sonetto
131 Angiol ch’Amore e le mie stelle diero
Amoroso F 418, SL 193v Sonetto
257
le rime di giulio cesare caracciolo
132 S’hor con la penna, hor con la spada, hor vero
All’Ill.mo S. D. di Lop. Sonetto
133 Hor grande Enrico ogni tuo regno i’ scerno
Ad Enr(ico) Cris(tianissimo)
Sonetto
134 Fiero destino, il Ciel come il consente?
Alla morte di Enrico Cri(stianissi)mo
Sonetto
135 Cosí ti veggio e sento nel mio core
Amoroso F 419, SL 194r Sonetto
136 Fosti del mondo qui vera Beatrice
Alla morte di D(onna) Be(atrice) Davala
Altea C5r Sonetto
137 Spent’è ’l mio Bruto e le mie luci spente
Alla S(ignora) P(rincipe)ssa di Salerno
Sonetto
138 Signor co’l tuo pensiero i pensier miei
Al S(ignor) Ant(oni)o Mariconda
Sonetto
139 S’è la vostra beltà l’opra piú degna
Amoroso Sonetto
140 A che con tanti sproni d’ogn’intorno
Amoroso Sonetto
141 È sí grande il desio, tanti i pensieri
Amoroso Sonetto
142 Non pur ne la man sacra il Real pondo
All’Ill(ustrissi)mo d’Aragona
Sonetto
143 Mentre fuor di me stesso io vissi Amore
Sdegno Sonetto
144 Soperbi colli simulacro vero
A papa Pio iiii Sonetto
145 Ecco sotto ’l gran fascio de l’humane
Oratione alla confessione Sonetto
146 Vincesti al gran periglio il fiero sdegno
Al S(ignor) Andrea di Gon(zaga) giunto in Sic(ilia) dopoi la rotta dell’arm(ata) con la gal(ea) Fortuna
Sonetto
147 Lascia l’orgoglio empio Ottoman, ben geme
A Re de’ Turchi preso il forte delle Gerbe
Sonetto
148 Et è pur ver ch’oltre ogni mezzo altera
Amoroso Sonetto
149 Che posso donna io far. Soffro amo e taccio
Amoroso Sonetto
150 Ben dei quant’io per te figlio mi doglio
Ad Ettorro figlio schiavo Sonetto
258
guido arbizzoni
151 Ove sei del mio vivo o via piú viva
Ad Ett(orro) f(iglio) schia(vo)
Sonetto
152 Volan le mie speranze a schiera a schiera
Ad Ett(orro) f(iglio) schia(vo)
Sonetto
153 Che pro s’ovunque io son, donna voi sete
Amoroso Sonetto
154 Vincesti del mio cor la fiamma e ’l ghiaccio
Amoroso Sonetto
155 Se la madre d’Amor crudele appella
Al s(ignor) Pla(cido) di Sang(r)o
Sonetto
156 Poco Signor ti tolse il Mauro fiero
A M(onsigno)r di Cat(ania) schiavo
Sonetto
157 Adria percorri non pur quanto si stringe
Al S(ignor) D(uca) d’Atri alla morte della S(ignora) D(uche)ssa Ill(ustrissi)ma di Mond(ragone)
HG 54 Sonetto
158 Coverse il mondo un tenebroso horrore
Alla morte della S(ignora) D(uchessa) di Mond(ragone)
HG 55 Sonetto
159 Chius’ha gli occhi virtú, gloria et honore
Alla morte della S(ignora) D(uche)ssa di Mond(ragone)
HG 55 Sonetto
160 Meraviglia non è che i miei sospiri
Amoroso Sonetto
161 Arida terra ov’io tanti e tant’anni
Amoroso Sonetto
162 Scogli non son Garzia né trite arene
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) V(iceré) Gar(zia) di Tol(edo) espugnato il Pignone
Sonetto
163 Fosti Toledo già del mondo intero
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) V(iceré) G(arzia) di Tol(edo) gen(erale) del mare e Vic(eré) di Sicilia quando venne in Nap(oli)
Sonetto
164 Pende da la tua mano e dal tu’ honore
Al S(ignor) V(iceré) Gar(zia) Ill(ustrissi)mo essendo assediata Malta
Sonetto
165 O di vero valor miracol vero
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) V(iceré) G(arzia) soccorsa Malta
Sonetto
166 Tua fia la gloria sol tuo fia l’honore
All’Ill(ustrissi)mo S(ignor) V(iceré) Gar(zia) di Toledo
Sonetto
259
le rime di giulio cesare caracciolo
167 Volan spesso tant’alto i miei pensieri
Amoroso Sonetto
168 Sfavillan gli occhi tuoi fra tanti honori
Alla S(ignora) Laur(a) Pign(atelli) Ill(ustrissi)ma
Sonetto
169 Frenare il mare e con dar legge a l’onde
Al S(ignor) Don Scipio di Castro
Sonetto
170 A par del raggio che dal Ciel discende
Al ritratto della S(ignora) Sonetto
171 Ben sei del tuo gran Capitan gran Duce
Al S(ignor) D(uca) di Sessa Sonetto
172 Folle pensier, che per la fiamma ardente
Amoroso Sonetto
173 Sparve il tuo Sole a gli occhi nostri, e splende
Alla morte della S(ignora) Isabella Bonifazio
Sonetto
174 Se di tanti pallori asperso il volto
Amoroso Sonetto
175 Sfavilla il tuo valor luce sí vera
Al ser(enissim)o don G(iovanni) d’Austria
Sonetto
176 Mentre d’arme e d’ardire in ogni parte
Al ser(enissim)o don G(iovanni) d’Austria
Sonetto
177 Arme arme freme il mare, arme e spaventi
Al ser(enissim)o don G(iovanni) d’Austria
Sonetto
178 Alza la sacra insegna, ove dipinto
Al ser(enissim)o don G(iovanni) d’Austria
Sonetto
179 Vili fian Minotauro e Laberinto
Al ser(enissim)o don G(iovanni) d’Austria
Sonetto
180 Deh non si sdegni il Ciel, deh che vendetta
Amoroso Sonetto
181 Che pò piú desiar nobil desio?
Alla morte della S(ignora) D(uche)ssa di Mondragone
Sonetto
182 Tant’alto alzasti il capo alta e reale
Al medesimo Sonetto
183 Raggio che folgorando in alto ascende
Al medesimo Sonetto
184 Al raggio d’un fatal celeste sguardo
Amoroso Sonetto
185 Tratto da fier destino Cratone, canzone amorosa pescatoria
Canzone
186 Laora che del tuo laoro il gran valore
Alla S(ignora) Laora Sonetto
187 Piangesti Rota e s’al profon-do ardore
Al S(ignor) Ber(ardino) Rota
Rota 188 Sonetto
260
guido arbizzoni
188 Se giunge il tuo bel foco insieme e splende
Alla S(ignor)a Pr(incipessa) di Stigliano
Sonetto
189 Quel che sí spesso con l’invitta spada
Al S(ignor) M(arche)se di Pescara
Sonetto
190 Folle pensier fu ’l mio, quanto in van gli anni
Amoroso Sonetto
191 Vincere il vinto, empia e vil cosa è Amore
Amoroso Sonetto
192 Con gran ragion t’ammira il Mondo e cole
Al S(ignor) Scipione Ammirato
Sonetto
193 Quanto la Tana e ’l Nil parte ove’l Sole
Al S(ignor) Virgilio Caracciolo
Caracciolo A3v
Sonetto
194 Cosí leggiadra e bella nel pensiero
Amoroso Sonetto
195 Splende Signor sí glorioso e altero
Alla S(antità) di Pio iiii Sonetto
196 Se Gesú è teco ov’è ’l nemico quanto
Al S(ignor) M(arche)s(e) di Vico
Sonetto
197 Di pio figlio Carrafa hor fatto sei
Al S(ignor) Mar(io) Carrafa Arc(ivescov)o di Napoli
Sonetto
198 Moiano i miei desiri hor c’ha già spente
Sdegno Sonetto
199 Infido mar chi al tuo fiero sdegno
Quando s’annegò il S(ignor) D. G. di Mendozza
Sonetto
200 Che poss’io da lo strazio ond’Amor vuole
Amor(oso) a proposito d’un martire donato
Sonetto
201 Quel che di Livia ogn’oc-chio ogni pensiero
Al sepolcro della S(ignora) Livia Colonna
Sonetto
202 Ben dovea madre uscir quest’alma fuore
Alla morte della S(ignora) madre
Sonetto
203 Presago il cor per quel che seco ascondo
Alla morte della S(ignora) madre
Sonetto
204 Quanto Signor può ’l duol spento nel petto
Al S. D(uca) di Torre maiori
Sonetto
205 Ove non giunge un pensier giusto e pio?
A P(a)p(a) Pio iiii Sonetto
206 Troppo acceso è ’l desire e cosí algente
Amoroso Sonetto
207 Quest’è sol vincer Cachi, Idra e Leone
Al Re nostro S(igno)re Sonetto
261
le rime di giulio cesare caracciolo
208 Nascon tanti pensieri Amorosa Canzone209 Mentre con glorioso alto
desioA M(on)s(igno)r G(iovan) Lor(enzo) cosmografo
Anania 3r Sonetto
210 Cosí gran meraviglia tal’hor sento
Amoroso Sonetto
211 Ove il desio mi chiama il pensier vola
Amoroso Sonetto
212 Deh perché del mio mal nulla ti cale
Amoroso Sonetto
213 Saggia, sacra, pudica, alta Reina
A Bona R(egina) di Polonia Sonetto
214 In tanta speme ho l’anima invaghita
Amoroso Sonetto
215 Dolce soave bascio onde sovente
Amoroso SN 203 Sonetto
216 Havea ’l nostro emispero un negro velo
Amoroso Sonetto
217 Lassate homai tante notturne larve
A M(on)s(ignor) Alf(onso) Tomasso
Sonetto
218 Che ti giova esser madre se nel seno
A Napoli Sonetto
219 Tenera pianta con sí nobil fiore
Al S(ignor) Torquato Tasso Sonetto
220 S’a l’infinita beltà vostra eguale
Amoroso Sonetto
221 Mentre con forte e con invitta mano
Al Ser(enissimo) Gran D(uca) di Fir(enze)
Sonetto
222 Picciola fiamma gran luce non rende
Amoroso Sonetto
223 A guisa di lucente sol che fuora
Al S(ignore) Sonetto
224 Con quanto inganno mi promiser pace
Amoroso Sonetto
225 Tanti lumi d’honor tante sopreme
Amoroso Sonetto
226 Il Caro è spento, ai caso acerbo e indegno
Alla morte di Anib(al) Caro Sonetto
227 Quel foco che nel cor spento anc’hor tiene
Amoroso Sonetto
228 Qual rimedio haver mai potrà il mio male
Amoroso Sonetto
262
guido arbizzoni
229 Mentre, scherzando, vaghe Ninfe e belle
Amoroso Sonetto
230 Ben qual tenera neve si dilegua
Amoroso Sonetto
231 Splendon di fuor le tue bellezze interne
Alla S(ignora) d(onna) Costanza Caracciola
Sonetto
232 Senno, forza, valor, giuditio et arte
Al S(ignor) Pansa Sonetto
rime aggiunte
1 Signor che con l’eterno essere il mondo
RS 309, SL 56r
Sonetto
2 Ben parean del tuo sol raggi d’intorno
SL 194r Sonetto
3 Ecco che le tue nere acque fa chiare
F 420, SL 194v Sonetto
4 Manda Signor dal Ciel nel petto mio
F 420, SL 195r Sonetto
5 Goda chi acceso di terreno ardore
SL 195r Sonetto
6 Che mi giova se ben talhor son lunge
SL 195v Sonetto
7 Se da lunge e da presso ogn’hor piú fiero
F 421, SL 195v Sonetto
8 Paolo vero fratel di Paolo amato
SN 196 Sonetto
9 Signor del mondo al cui santo pensiero
SN 198 Sonetto
10 Real Clarice al cui santo e materno
SN 199 Sonetto
11 Non con herbe terrene, eterna luce
SN 201 Sonetto
12 Giunto nel sacro tempio al patrio loco
SN 202 Sonetto
13 Se sol con la ragione alma a Dio cara
SN 202 Sonetto
14 Qual fia di te Signor mausoleo degno
FS 93 Sonetto
15 Riscaldar di Sarmatia il freddo algente
FS 93 Sonetto
263
le rime di giulio cesare caracciolo
* L’asterisco indica i componimenti aggiunti da altra mano nelle ultime carte del codice.
indice dei capoVersi*
Incipit nr
A che con tanti sproni d’ogn’intorno 140A che passo fatal m’hai giunto Amore 111Adria percorri non pur quanto si stringe 157A guisa di lucente sol che fuora 223A l’acqua che dal rio con fretta tolse 127Alma gentil che senza macchia e pura 55Al raggio d’un fatal celeste sguardo 184Altier Leon che ne l’estrema sponda 69Alza la bella Italia al grido altero 31Alza la sacra insegna, ove dipinto 178Amiche Driade che serbate a Giove 96Angiol ch’Amore e le mie stelle diero 131A par del raggio che dal Ciel discende 170Apra o chiuda le porte al tempio Giano 35Arida terra ov’io tanti e tant’anni 161Arme arme freme il mare, arme e spaventi 177Arpie del mar che ’n fin da l’oriente 118
Ben dei quant’io per te figlio mi doglio 150Ben dovea madre uscir quest’alma fuore 202Ben fia del tuo valor sicuro pegno 98Ben hai nemica stella il raggio ardente 128Ben mi ti diede il Ciel per mia ventura 33Ben parean del tuo sol raggi d’intorno *2Ben qual tenera neve si dilegua 230Ben sei del tuo gran Capitan gran Duce 171Ben ti scorgo Signor fra mille honori 116Ben ti vidi io con sí superbo dente 6
Cadde il nemico Gallo alto Marchese 29Celeste e bella imago ond’hor sostiene 37Che fa, che spera homai Roma? Che attende? 82Che meraviglia fia poi ch’è d’Amore 67Che mi giova se ben talhor son lunge *6Che piú attendi Pariggi? Apri le porte 106Che pò piú desiar nobil desio? 181Che poss’io da lo strazio ond’Amor vuole 200
264
guido arbizzoni
Che posso donna io far. Soffro amo e taccio 149Che pro s’ovunque io son, donna voi sete 153Che ti giova esser madre se nel seno 218Chiara luce gentile, eterno e vero 23Chi fia che ’l creda? Et è pur ver che pace 80Chi fia che ’l creda? O meraviglia nova 104Chi può tanto suffrir? Chi può por freno 91Chius’ha gli occhi virtú, gloria et honore 159Co’l ferro, con l’incendio e co’l veneno 107Col Mondo tutto alzar ben ti dovrei 16Con gran ragion t’ammira il Mondo e cole 192Con l’arte co’i colori e co’l pennello 99Con quanto inganno mi promiser pace 224Con quell’ardor ch’a ricoprato regno 113Coppia gentil ch’astro benigno e pio 50Corron gli occhi guidati dal desire 20Corse vincitor Carlo Italia e tinto 70Corsi al mio mal, né mai rimossi il piede 97Corsi Carlo a i tuoi piè carco di fede 13Cosí gran meraviglia tal’hor sento 210Cosí leggiadra e bella nel pensiero 194Cosí pari al timor sempre ho la speme 130Cosí ti veggio e sento nel mio core 135Coverse il mondo un tenebroso horrore 158
Da gli alti Pirenei scender l’Hibero 77Dal fondo del mio cor sí puri e ardenti 46Da Navarra e da Spagna un’Alba fuore 93Deh ch’io temo signor c’hor hor dal monte 86Deh non si sdegni il Ciel, deh che vendetta 180Deh perché del mio mal nulla ti cale 212De l’audace pensier supplitio degno 17Del cor soperbo il rio pensiero aperse 64Desir ch’ogni desir fai gire a dietro 119Desta tanti pensier dentro al mio petto 26Dinanzi al tuo fattor nel sommo chiostro 125Di pio figlio Carrafa hor fatto sei 197Dolce inganno d’Amor, miracol vero 47Dolce soave bascio onde sovente 215Donna real nel cui divin sembiante 24
265
le rime di giulio cesare caracciolo
Dunque mio ben credete 38
Ecco che le tue nere acque fa chiare *3Ecco l’Hiberno, ecco il Britanno altero 43Ecco sotto ’l gran fascio de l’humane 145È dunque vero Enrico che in oblio 87Empio destin chi fia Italia che speri 101È sí grande il desio che mi conduce 14È sí grande il desio, tanti i pensieri 141Et è pur ver ch’oltre ogni mezzo altera 148E vidi et arsi o valor vostro humano 2
Fiero destino, il Ciel come il consente? 134Folle pensier, che per la fiamma ardente 172Folle pensier fu ’l mio, quanto in van gli anni 190Formò Pigmaleone il bel sembiante 27Fosti del mondo qui vera Beatrice 136Fosti Toledo già del mondo intero 163Frenare il mare e con dar legge a l’onde 169Fuggi co’l pianto homai trista mia vita 60
Giunse il soccorso mentre al lido il mostro 112Giunto nel sacro tempio al patrio loco *12Gli Angioli che di Dio ministri veri 76Goda chi acceso di terreno ardore *5
Havea ’l nostro emispero un negro velo 216Hor chi fia mai che ’l creda et è pur vero 115Hor grande Enrico ogni tuo regno i’ scerno 133Humane meraviglie, opre mortali 121
Il Caro è spento, ai caso acerbo e indegno 226Infido mar chi al tuo fiero sdegno 199In forbit’or la rena sua converse 41In tanta speme ho l’anima invaghita 214Invitto Re sotto ’l cui giusto impero 15
Laora che del tuo laoro il gran valore 186Lascia il sacro Elicona 84Lascia l’orgoglio empio Ottoman, ben geme 147Lassate homai tante notturne larve 217Leggiadra Nimpha che del freddo cielo 45Leggiadre Nimphe che con turbid’onda 61
266
guido arbizzoni
Maggior lume celeste occhio del mondo 49Manda Signor dal Ciel nel petto mio *4Marte pensò veder ne l’alta riva 85Mentre con forte e con invitta mano 221Mentre con glorioso alto desio 209Mentre d’arme e d’ardire in ogni parte 176Mentre fuor di me stesso io vissi Amore 143Mentre havran queste selve e fiori e fronde 123Mentre piú s’apparecchia il mondo a darti 22Mentre, scherzando, vaghe Ninfe e belle 229Meraviglia non è che i miei sospiri 160Moiano i miei desiri hor c’ha già spente 198Mostrò l’invitto Carlo al mondo il fiero 65
Nascon tanti pensieri 208Non con herbe terrene, eterna luce *11Non d’abete o di pin, ma d’un desio 108Non fia mai che co’l giel del vostro petto 78Non per che sii cara a le Muse tanto 117Non piú lagrime homai non piú sospiri 34Non piú per queste valli aspri lamenti 100Non pur ne la man sacra il Real pondo 142Non v’ornar stelle amiche e d’auro e d’ostro 88Nova Angioletta che con nova luce 126Nova guida del giorno onde governa 63Nova legge ond’io vivo ai fato rio 90Novo raggio del Ciel ne la cui luce 89
O di che chiare spoglie volge altero 18O di vera pietate essempio vero 122O di vero valor miracol vero 165Orni il picciol Sebeto ambe le sponde 25Orni le tempie anc’hor di chiome aurate 124O santa dea sotto il cui scettro io scerno 53Ove il desio mi chiama il pensier vola 211Ove l’ardente suo vivo splendore 62Ove mi guidi empia e nemica stella 11Ove non giunge un pensier giusto e pio? 205Ove sei del mio vivo o via piú viva 151Ove tra vive perle un rotto argento 73
Paolo vero fratel di Paolo amato *8
267
le rime di giulio cesare caracciolo
Pende da la tua mano e dal tu’ honore 164Piangesti Rota e s’al profondo ardore 187Piansi mentre Amor volse, hor del van mio 1Picciola fiamma gran luce non rende 222Poco Signor ti tolse il Mauro fiero 156Prendesti glorioso giovanetto 94Prendi giovan real di tante e tante 105Presago il cor per quel che seco ascondo 203Prese anchor giovanetto e pien d’ardire 59Pria ch’apparisse il desiato giorno 56
Qual assetato can ch’al Nil sovente 66Qual fia di te Signor mausoleo degno *14Qual huom che da oscur’ombre al sol repente 54Qual impossibil cosa è ch’al tuo regno 3Qual marmo a i lidi tuoi, signor fia segno 19Qual rimedio haver mai potrà il mio male 228Quanto la Tana e ’l Nil parte ove ’l Sole 193Quanto Signor può ’l duol spento nel petto 204Quel che di Livia ogn’occhio ogni pensiero 201Quel che sí spesso con l’invitta spada 189Quel foco che nel cor spento anc’hor tiene 227Quest’è sol vincer Cachi, Idra e Leone 207Questo incendio che notte e giorno fuore 109
Raggio che folgorando in alto ascende 183Raggio gentil de la piú chiara luce 52Real Clarice al cui santo e materno *10Rinforza i vanni al glorioso volo 5Riscaldar di Sarmatia il freddo algente *15
Sacra pietra del sacro eterno impero 40Saggia, sacra, pudica, alta Reina 213S’a l’infinita beltà vostra eguale 220Scacciò da Italia ogni nemico stuolo 81Schermo piú a’ colpi tuoi non trovo Amore 39Scogli non son Garzia né trite arene 162Scuote la testa il Gallo Aquila altera 28Se da lunge e da presso ogn’hor piú fiero *7Se di tanti pallori asperso il volto 174Se Gesú è teco ov’è ’l nemico quanto 196Se giunge il tuo bel foco insieme e splende 188
268
guido arbizzoni
Se la madre d’Amor crudele appella 155S’è la vostra beltà l’opra piú degna 139Se ’l mal comune e non la propria offesa 4Se ’l Nilo e ’l Tanai son freno al valore 30Se pien d’ardir, di fede e di consigli 129Se sol con la ragione alma a Dio cara *13Se vien da vostri rai 48Senno, forza, valor, giuditio et arte 232Sfavilla il tuo valor luce sí vera 175Sfavillan gli occhi tuoi fra tanti honori 168S’hor con gli sproni, hor con la sferza io tento 9S’hor con la penna, hor con la spada, hor vero 132Sia quarto Paolo tuo quel ch’è di Dio 72Signor che con l’eterno essere il mondo *1Signor che reggi la piú bella parte 58Signor co’l tuo pensiero i pensier miei 138Signor del mondo al cui santo pensiero *9Silva che fiori e frutti al caldo e al gelo 57S’innanzi a l’amoroso mio desio 74Sí stretto tiemmi acceso e punto Amore 103So che menzogna parrà in dirlo Amore 10Son duo begli occhi e strale e fiamma e laccio 32Soperbi colli simulacro vero 144Sparve il tuo Sole a gli occhi nostri, e splende 173Spent’è ’l mio Bruto e le mie luci spente 137Sperai, sciocco, lasciando il foco ond’ardo 12Splende Signor sí glorioso e altero 195Splendon di fuor le tue bellezze interne 231Splendon tante vaghezze e tanti amori 114Sprona Ghisa il destrier, corri ritorna 95Strana legge d’Amore, odio me stesso 120Stringi l’invitta e gloriosa spada 44
Tant’alto alzasti il capo alta e reale 182Tanti lumi d’honor tante sopreme 225Tenera pianta con sí nobil fiore 219Tenne la Macedonia il gran figliuolo 7Tinta del civil sangue l’empia mano 8Tosto che l’arme cristiane intende 110Tratto da fier destino 185Tristo pensier, ch’ogn’hor nova fenice 21
269
le rime di giulio cesare caracciolo
Troppo acceso è ’l desire e cosí algente 206Tua fia la gloria sol tuo fia l’honore 166Tu che dal sommo Ciel per gratia sei 79Turbido l’Adrian veggio e ’l Tirreno 68
Vedesti Roma già de le tue spoglie 83Vedrai di Francia l’ampia sepoltura 71Verdi campagne ove fior bianchi e gialli 75Vide e vins’Alba il Latio, e posto freno 92Vili fian Minotauro e Laberinto 179Vincere il vinto, empia e vil cosa è Amore 191Vincesti al gran periglio il fiero sdegno 146Vincesti del mio cor la fiamma e ’l ghiaccio 154Vinse co’l cor co’l senno e con la spada 36Vinse in te la pietà signor lo sdegno 102Vinse Paolo se stesso, e in santo ardore 42Voi ch’a l’antique mie belle sirene 51Volan le mie speranze a schiera a schiera 152Volan spesso tant’alto i miei pensieri 167
295
indice
Premessa, di Giorgio Piras vii
Bibliografia di Piergiorgio Parroni xi
Corsi tenuti presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Universi- tà degli Studi di Roma « La Sapienza » xxvii
SCRITTI DI FILOLOGIA IN ONORE DI PIERGIORGIO PARRONI
Marcello Salvadore, Il ‘mos maiorum’ nel pensiero ciceroniano 3
Alessandro Fusi, Imitazione e critica del testo. Qualche esempio (Catullo, 51 11 sg.; Marziale, i 116 2, ix 71 7) 23
Maria Grazia Mosci Sassi, Ov. ‘met.’ vii 7-9 49
Carlo Di Giovine, Per il testo e l’esegesi di alcuni epigrammi attribuiti a Seneca 57
Mario De Nonno, ‘Satura’ petroniana 73
Paolo De Paolis, « Sordidi sermonis viri »: Velio Longo, Flavio Capro e la lingua di Lucano 97
Giorgio Piras, ‘Ludus’ e cultura letteraria: la prefazione al ‘Griphus ternarii numeri’ di Ausonio 111
Carla Lo Cicero, La traduzione di Rufino delle ‘Omelie’ basiliane: problemi ecdo- tici 143
Angelo Luceri, L’ ‘uva’, l’ ‘aura’, l’ ‘unda’: a proposito di una controversa lezione clau- dianea (‘Pall. Cel.’ 5) 167
Marcello Nobili, Due note critiche alla ‘Vita Commodi’ nella ‘Historia Augusta’ 193
Michela Rosellini, Esercizi di stile in forma di ghirlanda (‘Anth. Lat.’ 519-54 e 615-26 Riese 2) 201
Alessandra Peri, Assaggi di critica testuale pre-lachmanniana: un “moderno” filo- logo mediolatino 217