Corrispondenti nelle 'Rime' di Filippo Massini (1609): Girolamo Preti, Tommaso Stigliani, Isabella...

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SALERNO EDITRICE ROMA ISSN 0391-2493 FILOLOGIA CRITICA FILOLOGIA CRITICA & & rivista quadrimestrale pubblicata sotto gli auspici del centro pio rajna direzione: bruno basile, renzo bragantini, roberto fedi, enrico malato (dir. resp.), matteo palumbo ANNO XXXVIII fascicolo ii maggio-agosto 2013 Anno xxxviii, fascicolo ii maggio-agosto 2013

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SALERNO EDITRICE

ROMA

ISSN 0391-2493

FILOLOGIACRITICA

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&

rivista quadrimestrale pubblicata sotto gli auspici del centro pio rajna

direzione: bruno basile, renzo bragantini, roberto fedi, enrico malato (dir. resp.), matteo palumbo

ANNO XXXVIII

fascicolo iimaggio-agosto 2013

Anno xxxviii, fascicolo ii

maggio-agosto 2013

FILOLOGIACRITICA&Anno xxxviii, fascicolo ii

maggio-agosto 2013

SOMMARIO

Lorenzo Sacchini, Corrispondenti nelle ‘Rime’ di Filippo Massini (1609): Girolamo Preti, Tommaso Stigliani, Isabella Andreini e Torquato Tasso . . 161

Francesco Samarini, Un poema mistico del Seicento lombardo: la ‘Teogno- sia di Clizio’ di Giuseppe de’ Maltraversi . . . . . . . . . . . . 194

Documenti

Clizia Carminati, Affetti e filastrocche: una lettera inedita di Giovan Batti- sta Marino a Ridolfo Campeggi . . . . . . . . . . . . . . . . 219

Pietro Giulio Riga, Un poema inedito di Gasparo Murtola: ‘Delle meta- morfosi sacre’ (BNCR, ms. San Pantaleo 22) . . . . . . . . . . . 239

Note e discussioni

Flaminia Belfiore, Brevio e la novella di Dioneo e Lisetta . . . . . . 267Chiara Pietrucci, Correzioni autografe nei ‘Ragguagli’ di Traiano Boccalini 291

Recensioni

Nello specchio del mito. Riflessi di una tradizione. Atti del Convegno di Roma, Uni- versità di Roma Tre, 17-19 febbraio 2010, a cura di Giuseppe Izzi, Luca Marcozzi, Concetta Ranieri (Paolo Procaccioli) . . . . . . . . . 302

Schedario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 310

Usciranno nei prossimi fascicoli:Andrea Mazzucchi, Dante poeta satirico Cristina Acucella, Il valore redentivo dell’arte nella ‘Vita’ di Benvenuto Cellini. Dal sonetto proemiale

all’episodio della pseudo-PorziaSilvia Finazzi, Nuove schede su Boccaccio e i classiciGuido Baldassarri, Sui testimoni arcaici del canto v della ‘Liberata’Emilio Russo, Sulla revisione delle rime del Tasso

La rivista adotta le seguenti sigle per abbreviazione: DBI = Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Ist. della Enciclopedia Italiana, 1960-; F.eC. = « Filologia e Critica »; G.S.L.I. = « Giornale Storico della Lettera-tura Italiana »; L.I. = « Lettere Italiane »; L.N. = « Lingua Nostra »; M.R. = « Medioevo Romanzo »; R.L.I. = « La Rassegna della Letteratura Italiana »; S.F.I. = « Studi di Filologia Italiana »; S.L.I. = « Studi Linguistici Italiani »; S.P.C.T. = « Studi e Problemi di Critica Testuale ».

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CORRISPONDENTI NELLE RIME DI FILIPPO MASSINI (1609): GIROLAMO PRETI, TOMMASO STIGLIANI,

ISABELLA ANDREINI E TORQUATO TASSO

1. Gli autori minori costituiscono, secondo Giulio Ferroni, il « tessuto con-nettivo della storia della letteratura ».1 Una simile definizione si adatta per-fettamente al caso del letterato perugino Filippo Massini, vissuto a cavaliere tra XVI e XVII secolo. La sua duplice natura di poeta ed accademico gli con-sentí di stringere rapporti sociali e letterari con un alto numero di uomini di cultura, attori ed artisti del suo tempo.2

Da una parte, infatti, la poesia lirica rimase, ancora per tutto il XVII se-colo, il principale « mezzo di trasmissione sociale ».3 I canzonieri e le sillogi poetiche cinque o secentesche riservavano di norma uno spazio non esiguo ad accogliere, sotto forma di « proposte » e « risposte », i sonetti e i madrigali scambiati con altri letterati. Attraverso il medium della letteratura, espresso nelle forme metriche brevi della tradizione lirica, si creavano con grande fa-cilità ampie reti di relazioni che coinvolgevano larghi strati della coeva socie-tà dei letterati. Coloro che aderivano e partecipavano a tale consuetudine si limitavano perlopiú a replicare le rime o i temi esposti nel sonetto di « propo-sta ». L’insistenza con cui si ripetevano alcuni topoi confermava il codice co-municativo ed etico entro il quale ogni poeta, in uno spirito di aggregazione e di emulazione, esprimeva la propria formalizzata esperienza lirica.

Dall’altra parte le accademie rappresentavano, tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII, le sedi piú convenienti all’instaurarsi di nuovi legami

1. G. Ferroni, Prima lezione di letteratura italiana, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 54.2. Per la biografia di Massini si veda ora F. Ciri, Massini, Filippo, in DBI, vol. lxxii 2009,

pp. 21-23. Tra le fonti precedenti, la piú ricca e affidabile è la scheda biografica curata da G.B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, Perugia, Bartelli e Costantini, 1829, vol. ii pp. 92-98, che amplia di molto le testimonianze raccolte dai lavori eruditi secente-schi quali G. Ghilini, Teatro d’huomini letterati, in Venetia, per li Guerigli, 1647, vol. i pp. 54-55; L. Jacobilli, Bibliotheca Umbriae sive de scriptoribus Provinciae Umbriae alphabetico ordine digesta, Fulginiae, apud Augustinum Alterium, 1658, p. 230; A. Oldoini, Athenaeum Augustum in quo Perusinorum scripta publice exponuntur, Perusiae, Typis et expensis Laurentii Ciani et Francisci Desideri, 1678, pp. 286-88. Sebbene piú corposa, la monografia novecentesca di Alfredo Mas-sini (Filippo Massini giureconsulto e poeta, Perugia, Guerra, 1939) risulta alquanto approssimativa.

3. G. Ferroni, La teoria della lirica: difficoltà e tendenze, in G. Ferroni-A. Quondam, La locu-zione artificiosa. Teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del Manierismo, Roma, Bulzoni, 1973, pp. 11-33, a p. 14. Sulla pratica dei sonetti di scambio nel Medioevo, si veda il bel volume di C. Giunta, Versi a un destinatario. Saggio sulla poesia italiana del Medioevo, Bologna, Il Mulino, 2002.

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personali tra i letterati. Proprio nei sodalizi cinque-secenteschi gli uomini di cultura del tempo si incontravano e si esercitavano allo studio « principal-mente di lettere ».4 Qui aveva luogo quella civile conversazione tra « dotti » ed « eguali », cioè tra conformi per cultura ed identità, che Stefano Guazzo celebrava nell’omonimo libro. Questa pratica comunicativa è basata sulla mutua soddisfazione degli interlocutori che, « tirati da una virtuosa ambi-zione, fanno prova del sapere loro, dando e ricevendo scambievolmente di quei frutti che con lunghe fatiche hanno raccolti ».5

2. Senz’altro Filippo Massini, che nella sua vita prese parte a ben tre soda-lizi, aveva acquisito grande dimestichezza con la conversazione accademica. Immediatamente dopo essersi addottorato in utroque iure nel 1580, fece il suo ingresso nella perugina Accademia degli Insensati, fondata nel 1561 e già a quel tempo piuttosto nota.6 Nonostante il suo definitivo allontanamento da Perugia nel 1590, non si interruppe mai il legame di Massini con il sodalizio umbro, tanto che ancora nel 1609 nel frontespizio della sua opera poetica di gran lunga piú rappresentativa, le Rime, egli si definí orgogliosamente Acca-

4. Cosí almeno secondo la piú importante definizione di accademia elaborata nel Cinque-cento. La si deve al senese Scipione Bargagli che, dopo aver recitato nel 1564 in latino un’Ora-tio de laudibus Academicarum (conservata presso la Biblioteca Comunale degli Intronati di Siena con segnatura K VI 105), cinque anni piú tardi stampò in volgare una piú lunga orazione dal titolo Delle lodi dell’accademie (in Fiorenza, [Luca Bonetti,] 1569, da cui la citaz. a p. 13). Per sag-giare la straordinaria dimensione delle reti di relazioni create dalle accademie italiane, può es-sere utile la consultazione del Database of Italian Academies (http://www.bl.uk/catalogues/ItalianAcademies/), uno dei piú significativi risultati del progetto inglese The Italian Academies 1525-1700: the First Intellectual Networks of Early Modern Europe, inauguratosi nel 2010 (http://italianacademies.org).

5. S. Guazzo, La civil conversazione, a cura di A. Quondam, Roma, Bulzoni, 2010, vol. i pp. 24-25. Dallo stesso libro di Guazzo viene l’immagine della conversazione accademica quale amoroso rispecchiamento narcistico (vol. i p. 160).

6. Sull’accademia perugina si vedano S. Pelli, Le accademie in Perugia, in Studi storici e letterari dei professori e studenti del Liceo Ginnasio « A. Mariotti » di Perugia in memoria di Annibale Mariotti: 10 giugno 1801-10 giugno 1901, Perugia, Guerra, 1901, pp. 181-208, alle pp. 182-87; E. Bonazzi, Le accademie letterarie a Perugia, Foligno, Campitelli, 1915, pp. 17-40; M. Maylender, Storia delle ac-cademie d’Italia, Bologna, Cappelli, vol. iii 1929, pp. 306-11; E. Irace, Le Accademie letterarie nella società perugina tra Cinquecento e Seicento, in « Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria », a. lxxxvii 1990, pp. 155-78, alle pp. 166-68 e 175-77; Ead., Le Accademie e la vita cultu-rale, in Storia illustrata delle città dell’Umbria. Perugia, a cura di R. Rossi, Milano, Sellino, vol. ii 1993, pp. 481-96, alle pp. 488-92; L. Sacchini, Verso le virtú celesti. La letterata conversazione dell’Ac-cademia degli Insensati di Perugia (1561-1608), Tesi di dottorato, Durham University (UK), 2013, sotto la supervisione del prof. Carlo Caruso e del dott. Dario Tessicini; Id., Scritti inediti dell’Ac-cademia degli Insensati nella Perugia del secondo Cinquecento, in L.I., a. lxxv 2013, pp. 376-413.

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demico Insensato.7 Dopo un biennio passato a Fermo ed un quadriennio a Pisa, egli giunse a Pavia nel 1596, ove rimase sino al 1612. Per un lungo perio-do Massini si distinse non solo come professore di diritto civile presso l’Ate-neo lombardo, ma anche come uno dei principali promotori della vita cul-turale della città. Qui partecipò alle Accademie degli Intenti e degli Affidati, dove tenne anche il ruolo di principe.

L’attività letteraria di Massini attraversa due fasi: la giovanile riflessione teorica è seguita dalla generosa produzione lirica degli anni della maturità, che trova – come detto – il suo esito piú felice nelle Rime. L’esordio lettera-rio di Massini avviene nel 1588, quando egli raccolse quattro dissertazioni ac-cademiche nel suo volume di Lettioni.8 Nelle dissertazioni meno note agli studiosi, vale a dire la seconda (Della contemplatione dell’huomo estatico) e la ter- za (Della conversione dell’huomo a Dio), Massini commenta in una prospettiva neoplatonico-ficiniana due sonetti di Giovanni Guidiccioni (rispettivamen-te Avvezzianci a morir; se proprio è morte e Traggeti a piú bel rio l’ardente sete).9 La medesima tradizione filosofica contraddistingue l’impresa generale dell’Ac-cademia degli Insensati. Vi sono raffigurate delle gru che, pur appesantite da una pietra tenuta tra gli artigli, riescono comunque a spiccare il volo e si in-nalzano verso la volta celeste. Fuor di metafora, gli Insensati, come le gru, quasi fossero in uno stato di estasi o di distacco dai sensi, dimenticano il peso delle pulsioni terrene (le pietre) e si danno all’attività contemplativa (il vo-lo).10

7. [F. Massini,] Rime del signor Filippo Massini l’Estatico Insensato al serenissimo don Cosmo II de Medici granduca di Toscana, in Pavia, per il Viani, 1609 (d’ora in avanti Rime).

8. [F. Massini,] Lettioni dell’Estatico Insensato recitate da lui pubblicamente in diversi tempi nell’Ac-cademia degli Insensati di Perugia. Nuovamente poste in luce, Perugia, per Pietro Jacopo Petrucci, 1588 (d’ora in avanti Lettioni). Ad eccezione della prima, le altre lezioni contenute nel volume sono dotate di autonomi frontespizi che replicano gli estremi bibliografici di quello iniziale; non risulta comunque che esse siano circolate a stampa separatamente.

9. I titoli delle due lezioni sono rispettivamente Della contemplatione dell’huomo estatico. Let-tione dell’Estatico Insensato recitata da lui publicamente nell’Academia de gl’Insensati di Perugia il dí 17 di gennaio 1585 […] e Della conversione dell’huomo a Dio. Lettione dell’Estatico recitata da lui publicamen-te nell’Academia de gl’Insensati di Perugia alla presenza del molto illustre e reverendissimo monsignor Peli-cano allora governatore di Perugia e dell’Umbria il 30 d’agosto 1587 […], entrambe nelle cit. Lettioni, risp. alle pp. 39-91 e 93-146. Sulla seconda lezione si veda B. Hathaway, The Age of Criticism. The Late Renaissance in Italy, Ithaca, Cornell Univ. Press, 1962, pp. 246-48; sulla terza si vedano an-cora Hathaway, The Age of Criticism, cit., pp. 407-8, e N.L. Brann, The Debate over the Origin of Genius during the Italian Renaissance: the Theories of Supernatural Frenzy and Natural Melancholy in Accord and in Conflict on the Threshold of the Scientific Revolution, Boston-Leiden, Brill, 2002, pp. 349-50.

10. Una bella rappresentazione dell’impresa generale del sodalizio perugino apre il codice

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Nella prima lezione, Difesa del Petrarca, Massini si oppone alla critiche mosse da Castelvetro nella sua traduzione della Poetica aristotelica nei con-fronti dell’autore del Canzoniere; critiche che riguardano sia « l’arte propria della poesia », sia le discipline ad essa « estranee », ma implicate « per acciden-te » nella composizione dei sonetti.11 Non poteva d’altronde tirarsi indietro Massini che « malagevolmente » sopportava di « sentir riprendere e morde-re » quell’autore che fu a lui « carissimo » sin dalla prima età (Lettioni, p. 2). La lezione procede a confutare punto per punto le osservazioni polemiche di Castelvetro, che interessano aspetti assai diversi della produzione poetica di Petrarca. Il modenese riprende, per esempio, l’autore del Canzoniere per aver compiuto gravi errori in ambito astrologico, per aver combinato insie-me scienza e poesia ed altresí per aver replicato le medesime rime nei sin-goli componimenti.12 Lo scritto di Massini, privo di una struttura propria e costruito intorno ai rilievi critici dell’oppositore, non può evitare una gene-

contenente le imprese di 43 Accademici Insensati; il manoscritto è conservato nell’Archivio Storico dell’Università di Perugia (parte III, codice non numerato) ed è stato recentemente illustrato da Maria Alessandra Panzanelli Fratoni nella miscellanea Doctores excellentissimi. Giu-risti, medici, filosofi e teologi dell’Università di Perugia (secc. XIV-XIX), a cura di C. Frova, G. Giub-bini, M.A. Panzanelli Fratoni, Città di Castello, Edimond, 2003, pp. 192-94.

11. [F. Massini,] Della difesa del Petrarca intorno all’oppositioni fatteli dal Castelvetro nel suo comen-to della ‘Poetica’ d’Aristotele. Lettione dell’Estatico Insensato recitata da lui publicamente nella academia il dí 25 d’agosto 1582 […], in Lettioni, pp. 1-38. Questa lezione è stata ristampata nel 1756 in coda alle Rime del Petrarca brevemente esposte per Ludovico Castelvetro, cosí da dialogare idealmente con le riflessioni del filologo modenese (in Venezia, presso Antonio Zatta, vol. ii pp. 584-600). Su di essa si vedano: B. Weinberg, A History of Literary Criticism in the Italian Renaissance, Chicago, The Univ. of Chicago Press, 1961, vol. ii pp. 865-66; U. Motta, Petrarca a Milano al principio del Seicento, in Petrarca in Barocco. Cantieri petrarcheschi. Due seminari romani, a cura di A. Quondam, Roma, Bulzoni, 2004, pp. 227-73, alle pp. 257-61; R. Antonioli, Il Parnaso dell’ ‘Armidoro’. Giovan-ni Soranzo e il suo poema per i contemporanei (1611), in « Studi secenteschi », a. li 2011, pp. 106-50, alle pp. 132-33.

12. Si esplicitano di seguito gli esempi proposti. In riferimento a R.v.f., ix, Castelvetro av-verte che Petrarca ha commesso un errore indicando il sole ad inizio primavera nella costella-zione del Toro (invece che dell’Ariete); Massini allora ribatte che Petrarca non aveva inteso l’inizio ma il « mezo » della primavera, quando la terra produce i suoi frutti con maggior ab-bondanza (Lettioni, pp. 3-7). L’esempio di R.v.f., ix è inoltre secondo Castelvetro una dimostra-zione lampante della errata consuetudine di Petrarca di inserire nei suoi componimenti rife-rimenti alla scienza (nella fattispecie all’astrologia) non immediatamente intelligibili; Massini replica sostenendo che le descrizioni petrarchesche provengono da un « luogo trito e notissi-mo » dell’astrologia e dunque non costituiscono una difficoltà (Lettioni, pp. 12-14). Da ultimo, in merito alla replicazione delle rime che Castelvetro rileva nella canzone della Vergine (R.v.f., ccclxvi) e nel Trionfo della castità, Massini argomenta che non esiste alcuna autorità che espres-samente la vieti, essendo invece una modalità espressiva di uso comune tra i poeti (Lettioni, pp. 14-17).

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rale impressione di frammentarietà, parzialmente mitigata soltanto dalla coe-renza della linea difensiva. D’altronde, ciò che veramente sta a cuore a Mas-sini è dimostrare – come egli stesso confessa – che Petrarca « nella lirica poe-sia è di gran lunga superiore a Dante » (Lettioni, p. 22).

Questa prima lezione circolò di certo anche negli ambienti accademici fiorentini. Lo conferma un sonetto del nobile Lorenzo Franceschi, « conso-lo » dell’Accademia Fiorentina e membro della Crusca col nome di Insacca-to.13 Il componimento del letterato fiorentino Come in brieve canzon vago pen-siero, accolto nelle Rime di Massini, celebra quest’ultimo quale « nocchiero » in rotta verso la verità, che affronta e vince le fragili resistenze oppostegli da Castelvetro (p. 151):

Chi bene apprender brama, altro nocchiero 5che te, gentil Estatico, non tolga,14

teco per tutto ardito il corso sciolga,od in Permesso15 o ’n ciel prenda il sentiero; né tema assalto mai di penna ardita,che scudo hai tu, che ’l ver scopre e difende 10e l’altrui falsa forza fa di vetro. Ecco per te piú che mai chiaro splendeil gran Petrarca, e ’ndarno ’l Castelvetrosuoi non veri difetti al mondo addita.16

13. Su di lui si vedano [S. Salvini,] Fasti consolari dell’Accademia Fiorentina di Salvino Salvini, consolo della medesima e rettore generale dello studio di Firenze, in Firenze, nella stamperia di S.A.R., per Gio. Gaetano Tartini e Santi Franchi, 1717, pp. 453-60; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorenti-ni, la quale abbraccia intorno a due mila autori che negli ultimi cinque secoli hanno illustrata co i loro scritti quella nazione, in qualunque materia ed in qualunque lingua e disciplina […], in Ferrara, per Bernar-dino Pomatelli, 1722, p. 367.

14. Tolga : cioè ‘pigli; prenda (con mano)’, secondo il significato del lemma Torre/togliere nel Vocabolario degli Accademici della Crusca: riproduzione anastatica della prima edizione, Venezia, 1612, Firenze-Varese, Era Edizioni, 2008, pp. 892-93.

15. Si tratta di un fiume che nasce dal monte Elicona, sacro alle Muse.16. L’interesse del fiorentino per Petrarca è testimoniato anche dalla Lezione quarta di Lo-

renzo Franceschi nell’Accademia della Crusca detto l’Insaccato, sopra il sonetto del Petrarca ch’incomincia ‘Lasso, ch’i’ ardo ed altri non me ’l crede’, in Prose fiorentine raccolte dallo Smarrito Accademico della Crusca. Tomo terzo contenente lezioni, in Venezia, presso Domenico Occhi, 1730, parte 2, vol. iii pp. 53-68, sulla quale è utile G. Alfano, « Una filosofia numerosa e ornata ». Filosofia naturale e scienza della re-torica nelle letture cinquecentesche delle « Canzoni Sorelle », in « Quaderns d’Italià », a. xi 2006, pp. 147-79, alle pp. 161 e 170. La trascrizione dei testi antichi è stata condotta secondo criteri con-servativi: i pochi interventi hanno riguardato la distinzione di u da v; la riduzione del nesso -ij in -ii; la sostituzione di et con e o ed davanti a vocale; la normalizzazione – secondo l’uso mo-derno – dell’accento, dell’apostrofo e della punteggiatura. Si è mantenuta l’h etimologica o

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Un’eco ben piú duratura ebbe l’ultima lezione Del madrigale, dove Massi-ni afferma di voler liberare la forma metrica « dalle ristrettezze », ossia dalla severa regolamentazione precettistica, in cui l’avevano ridotta i teorici cin-quecenteschi.17 Gli obiettivi polemici della lezione divengono cosí Ruscel-li e Minturno i quali, a differenza di Bembo, avevano posto il madrigale tra le forme metriche in parte o del tutto regolate. La confutazione del primo riesce piuttosto agevole, poiché l’« uso » dei poeti – a giudizio di Massini – smentisce senza esitazioni il limite da lui stabilito di dodici versi di lunghez-za per il madrigale.18 Alquanto piú complesse risultano invece le questioni avanzate da Minturno, che interessano non soltanto il numero dei versi (da porsi tra 8 e 11), ma anche la testura metrica e il soggetto. Il vescovo napole-tano aveva infatti prescritto il divieto di inserire nel madrigale « versi rotti », cioè settenari, e di trattare in esso altro che non fosse materia « rustichetta e boschereccia ».19 Massini, rifacendosi ancora una volta alla consuetudine dei

pseudo-etimologica; il nesso -ti -tti in posizione intervocalica; la forma sintetica o analitica delle preposizioni articolate, congiunzioni ed avverbi. Tutte le citazioni dalle Rime sono state tratte dalla copia conservata presso la Biblioteca Civica « Carlo Bonetta » di Pavia (collocazio-ne: SV A 39 1).

17. [F. Massini,] Del madrigale. Lettione dell’Estatico Insensato recitata da lui publicamente nell’A-cademia de gl’Insensati di Perugia il dí 28 d’aprile 1581, in Lettioni, pp. 147-85; la lezione, preceduta da una preziosa Introduzione, pp. 5-29, è stata edita modernamente a cura di Giuseppe Fanelli: F. Massini, Il madrigale, Urbino, Argalía, 1986. La lezione di Massini ha interessato in particola-re (ma non esclusivamente) i contributi che hanno indagato la forma del madrigale tra XVI e XVII secolo: Weinberg, A History of Literary Criticism, cit., vol. i pp. 207-9; M. Ariani, Giovan Battista Strozzi, il Manierismo e il madrigale del ’500: strutture ideologiche e strutture formali, in G.B. Strozzi il Vecchio, Madrigali inediti, a cura di M. Ariani, Urbino, Argalia, 1975, pp. vii-cxlviii; A. Martini, Ritratto del madrigale poetico tra Cinque e Seicento, in L.I., a. xxxiii 1981, pp. 529-48; D. Harràn, Tipologie metriche e formali del madrigale ai suoi esordi, in Il madrigale tra Cinque e Seicento, a cura di P. Fabbri, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 95-122, alle pp. 118-21; L. Freedman, Melan-choly in Tasso’s Poetry, in « Neophilologus », a. lxxv 1991, pp. 94-101; A. Martini, Marino e il ma-drigale intorno al 1602, in The Sense of Marino. Literature, Fine Arts and Music of the Italian Baroque, ed. by F. Guardiani, New York-Ottawa-Toronto, Legas, 1994, pp. 361-93; Id., Introduzione, in G.B. Marino, Amori, Milano, Rizzoli, 2001, pp. 5-40, alle pp. 18-25; S. Ritrovato, Forme e stili del madrigale cinquecentesco, in S.P.C.T., vol. lxii 2001, pp. 131-54; Id., Antologie e canoni del madri-gale (1545-1611), ivi, vol. lxix 2004, pp. 115-36; M. Favaro, Su alcune scelte metriche di Campanella, in « Italianistica », a. xxxv 2006, pp. 53-66, a p. 65.

18. Secondo Ruscelli il madrigale « può ciascuno formarsi delle testure a sua voglia, che non si dee lor prescriver altra legge, se non che in effetto […] non vuole in alcun modo esser tanto lungo, che ecceda il duodecimo verso » (G. Ruscelli, Del modo di comporre in versi nella lingua italiana, in Venetia, appresso Gio. Battista e Melchior Sessa fratelli, 1558, p. cxxii; definizione citata con minime varianti anche nelle Lettioni, p. 156).

19. La concezione del madrigale di Minturno emerge dal dialogo tra il napoletano e Ber-nardino Rota: « B: “Insegnateci che cosa sia il madrigale e come si componga”. M: “Che altro

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poeti, smentisce con decisione il suo avversario, il quale, come egli malizio-samente osserva, si era evidentemente limitato all’« uso di due o tre poeti an-tichi solamente » (Lettioni, p. 161).

Le aperture teoriche di Massini non sono però incondizionate. Nella pars construens della lezione egli esplicita il duplice intendimento di ricostruire la teoria del madrigale di Bembo a partire dai pochi accenni delle Prose e quin-di di definire meglio (in pratica di restringere) la libertà che lui stesso aveva restituito al madrigale (Lettioni, p. 171):

Concluderò per hora che agevolmente si possa raccogliere giustissima cosa esse-re il difendere il madrigale dal rigor di tante leggi e ’l trarlo fuori delle strettezze e del l’angustie, nelle quali l’han voluto mettere il Ruscelli e ’l Minturno, accioch’egli s’hab bia da conservare in quella sua natural libertà, che l’uso de gli antichi e moder-ni scrittori gli ha data; e confirmata e stabilita poi l’autorità del dottissimo Bembo nelle sue Prose dove, perché egli poche cose del madrigale, e per accidente ragionan-do, non dimostra chiaramente quello ch’esso intenda, non mi par fuor di proposito il tentar di dichiarare apieno in questa materia la mente di lui, accioché mentre egli dice che e nel numero de’ versi e nella testura liberi sono, alcuni non si dessero a credere che di qualsivoglia stravagante testura formar si potessero.20

Di qui Massini fornisce al lettore una serie di avvertenze o consigli che sono conseguenza della decisiva equiparazione tra il madrigale e la stanza di una canzone. Il primo deve allora « regolarsi » in base ai precetti che nelle Prose di Bembo disciplinano la composizione della seconda. Ogni madrigale viene perciò ad essere una mistura di versi « interi » e « rotti », il cui numero si sta-bilisce in base alla qualità del soggetto, ma di preferenza non deve esser su-periore ai venti versi o inferiore ai cinque. Qui Massini insiste una volta di piú sulla facoltà del madrigale di poter accogliere materia grave, riconoscen-do però la « piacevolezza […] senz’alcun dubbio piú propria e piú proportio-nata alla natura piacevolissima di questo componimento » (Lettioni, p. 173). In conclusione, il perugino enuncia la sua idea di madrigale, suggerendo un

diremo, ch’egli è se non vaga compositionetta di parole con harmonia di rime e con misura di syllabe tessute sotto certo canto e sotto certo ordine, limitata intorno a cose rustichette, ond’e-gli trasse il nome”. […] B: “Di quanti versi è tutto il canto?”. M: “Di tanti che non sian piú d’ondeci, né meno d’otto”. B: “Di qual misura saranno i versi?”. M: “D’ondeci syllabe. E di-scorrendo per li canzonieri degli antichi non troverete nel madrigale verso rotto” » (A. Min-turno, L’arte poetica […] nella quale si contengono i precetti heroici, tragici, comici, satyrici e d’ogni altra poesia […], in Venetia, per Gio. Andrea Valvassori, 1563, p. 261).

20. Sulla concezione bembesca del madrigale si veda D.T. Mace, Pietro Bembo e le origini letterarie del madrigale italiano, in Il madrigale tra Cinque e Seicento, cit., pp. 71-91.

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primo indizio che si rivelerà poi importante per interpretare la sua produ-zione poetica (Lettioni, p. 181):

Desidererei poi sopra ’l tutto che ’l madrigale havesse ’l concetto raro e ingegnoso e l’elocution purissima e artifitiosa, e che questa e quello nei madrigali piú gravi fos-sero tali che producessero l’honestà, la dignità, la maestà, la magnificenza e la gran-dezza, e nei piú piacevoli la gratia, la soavità, la vaghezza, la dolcezza, gli scherzi e i giochi, e in quei madrigali che di gravità e piacevolezza sono mescolati, tutte queste parti insieme facessero nascere e sorgere un concetto e un’armonia soavissima, che empisse di maravigliosa dolcezza chi gli ascoltasse, sí perché cosí si vede ch’han fatto i migliori, come anco perché pare che nessuna lode acquisti chi madrigali scrive senza questi sali, queste gratie e queste veneri poetiche.

3. Due anni prima della ristampa pavese delle Lettioni del 1611,21 Massini aveva già pubblicato le sue Rime. Vi si leggono oltre cinquecento componi-menti che il perugino aveva composto in un lasso di tempo di oltre 20 anni. Le Rime si pongono come l’ultima e piú ambiziosa opera poetica che va ad aggiungersi ad una raccolta di madrigali, intitolata Lucherino, e alle due can-zoni, in lode della villa di campagna e della Santa Casa di Loreto, stampate ancora negli anni ’90 del Cinquecento.22

La precedente analisi condotta da chi scrive sulla raccolta di Massini ha mostrato, in accordo con i rilievi già proposti da Quinto Marini e Mirko Volpi, che dietro l’ostentata fedeltà a Petrarca si celano nelle Rime una ten-sione concettosa ed una curiositas già secentesche.23 La vicinanza al poeta del

21. Dove compare finalmente il proprio nome anagrafico: [F. Massini,] Lettioni academiche dell’eccellentissimo signor Filippo Massini l’Estatico Insensato, recitate da lui publicamente in diversi tempi nell’Academia de gli Insensati di Perugia. Novamente ristampate, in Pavia, per Andrea Viani, 1611; ri-sulta evidente la natura promozionale della pubblicazione.

22. [F. Massini,] Canzone dell’Estatico Insensato in lode della santissima Casa Lauretana. Al molto illustre e reverendissimo monsignor Fulvio Paolucci governatore della città di Loreto, a Fermo, presso Ser-torio de’ Monti, 1592; [Id.,] La villa. Canzone dell’Estatico Academico Intento al molto illustre signor don Giuseppe Salimbeni, commendatore di San Lazzaro, in Pavia, per gli heredi di Gierolamo Bar-toli, 1598; [F. Massini-C. Bossi,] Lucherino, madrigali dell’Estatico e Farnetico Academici Intenti. Al-l’illustrissimo signor Lodovico abbate Sforza, ivi, id., [s.d.] (dedica del 1599). Altri componimenti di Massini compaiono in diverse opere letterarie pavesi della prima decade del Seicento (a testi-monianza della immediata fortuna incontrata dalla sua produzione): si confronti Edizioni pa-vesi del Seicento. Il primo trentennio, a cura di E. Grignani e C. Mazzoleni, pres. di L. Balsamo, Milano, Cisalpino, 2000, pp. 129-30, 153-54, 158, 161, 210, 236-37.

23. L. Sacchini, Primi sondaggi sulle ‘Rime’ di Filippo Massini, in « Testo », n. 57 2009, pp. 35-57. Sulla produzione lirica di Massini si vedano i recenti contributi: Q. Marini, Libri italiani del Seicento e Q. Marini-M. Volpi, Poesia lirica, encomiastica e giocosa, nonché le due schede curate da Mirko Volpi sulle Rime e sul Chiaroscuro amoroso, in Sul Tesin piantàro i tuoi laureti. Poesia e vita

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Canzoniere viene comunque rivendicata con grande evidenza sin dalla lette-ra prefatoria, scritta dall’Accademico Insensato Francesco Visdomini, certa-mente in accordo con Massini.24 Il sodale loda nelle composizioni di que-st’ultimo la capacità di restituire finalmente « il candore e la chiarezza dello stile del Petrarca, che da molti anni in qua è poco imitato per non dire mol-to ignorato » (Rime, c. †3v). Il rimedio contro le « traslationi smoderate » vie-ne, infatti, identificato nel sempre vivo precedente petrarchesco, di cui Mas-sini è candidato a divenire il massimo epigono. Lo stesso Visdomini celebra il perugino per esser riuscito a rendere « nobilissimi concetti […] con arte co -sí moderata che lo splendore della favella non oscura la luce de’ sentimenti » (Rime, c. †5v). Lo scarto non indifferente rispetto alle intenzioni rivelate dallo stesso Massini nella lezione Del madrigale (dove mostrava aperture con-crete al concettismo e alla maniera artificiosa) obbedisce cosí ad una stiliz-zazione di Petrarca quale campione della tradizione, del Classicismo, della misura.

Le innumerevoli occorrenze del Canzoniere presenti nelle Rime di Massi-ni sin dal sonetto proemiale Carte e scogli segnando, arene e piante (p. 1) servono per dimostrare nei fatti l’adesione del loro autore alla piú nobile tradizione letteraria. Tuttavia, la selettività petrarchesca viene dilatata, quasi distorta, in un’ampiezza tematica sconosciuta al modello. Le Rime di Massini, certa-mente influenzate dall’esempio delle precedenti raccolte di Tasso, Guarini e quindi Marino, presentano una grande abbondanza di motivi poetici: spa-ziano dalla topica amorosa alla lode del vino, dai componimenti di caccia ai

letteraria nella Lombardia spagnola (1535-1706). Catalogo della Mostra di Pavia, Castello Viscon-teo, 19 aprile-2 giugno 2002, a cura di S. Albonico e F. Milani, Pavia, Cardano, 2002, risp. alle pp. 21-28, 185-93, 216-20; L’onorato sasso. Un secolo di versi in morte di Torquato Tasso, a cura di D. Chiodo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2003, pp. 86-90; Motta, Petrarca a Milano, cit., pp. 255-65. Primi appunti sulla presenza di Massini tra Milano e Pavia si devono a R. Ferro, Fede-rico Borromeo ed Ericio Puteano. Cultura e letteratura a Milano agli inizi del Seicento, Milano-Roma, Biblioteca Ambrosiana-Bulzoni, 2007, pp. 37-38, 46, 53, 81, 344-45, 349, 352. Alcuni componi-menti di Massini comparvero nell’opera antologica settecentesca di Rime di Leandro Signorelli ed altri poeti perugini, scelte da Giacinto Vincioli, in Foligno, per Pompeo Campana, 1729, pp. 149-90.

24. Nonostante la fortuna non effimera delle sue raccolte di Lettere, non esistono studi o profili biografici su Francesco Visdomini, segretario del cardinale di Como Tolomeo Gallio. Si chiude proprio con la raffigurazione del frontespizio delle Lettere di Visdomini del 1623 (in Venetia, appresso Alessandro de’ Vecchi) il saggio di A. Quondam, Dal « formulario » al « formu-lario »: cento anni di libri di lettere, nel volume da lui curato Le « carte messaggiere ». Retorica e modelli di comunicazione epistolare: per un indice dei libri di lettere del Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1981, pp. 13-157, che fornisce anche utili indicazioni sulla tipologia cinque-secentesca dei “libri del se-gretario” (alle pp. 120-50).

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madrigali concettosi a sfondo astrale, dalla canzone di ispirazione petrar-chesca sino ai sonetti per una « bellissima e spietata paricida », e cosí via. Tra le diverse forme in cui si realizza l’estro creativo di Massini, rimane presso-ché costante una tonalità di fondo divertita e vivace, che rende evidente non solo la facilità compositiva dell’autore, ma anche il carattere frivolo ed occa-sionale di gran parte della sua poesia. La nota disimpegnata di numerose composizioni di Massini si traduce di frequente in un complicato gioco di decodifica di immagini e metafore che non è certo esente da influssi e mo-venze concettistiche.

4. I pochi aspetti sin qui soltanto ricordati descrivono i tratti salienti di una poesia che fluisce copiosa, abbondante, tra strascichi petrarcheschi e apertu-re alle correnti poetiche piú moderne. I risultati di questa prima indagine operata sulle Rime di Massini hanno invitato a concentrare l’attenzione sui corrispondenti intervenuti nella silloge. Nel presente intervento si è dovuto restringere il campo a quegli scambi poetici che, per i contenuti veicolati o l’eccezionalità degli interlocutori, sono parsi maggiormente significativi. È stato infatti necessario operare una severa selezione tra i ben settantadue com-ponimenti di altri autori, tra « risposte » e « proposte », che compaiono nella raccolta di Massini.25

A tale numero già ragguardevole va in realtà aggiunto un ulteriore sonet-

25. Si riporta qui in ordine alfabetico per cognome l’elenco completo degli autori delle « proposte » ricevute da Massini (con l’esclusione di quelli citati nell’articolo): Balduzi Agosti-no, Bianchi Orlando, Bonanni Scipione, Bossi Girolamo, Bovarini Leandro, Cardaneti Ora-zio, Cerboni Ippolito, Cervoni Isabella, Ciceri Giovan Battista, Corbellini Aurelio, Crispolti Vespasiano, Degli Oddi Angelo, Della Torre Michele, Fazio Giovan Battista, Formosa Asca-nio, Galletti Cosimo, Giorgi Giovanni, Guelfi Ludovico, Manfredi Muzio, Masci Marco An-tonio, Narducci Antonio Maria, Oddi Galeotto, Piccolomini Francesco, Rosati Uriele, Simo-netti Aquilante, Soranzo Giovanni, Strozzi Camillo, Talenti Crisostomo, Villifranchi Giovan-ni, Vinci Anton Maria, Vincioli Vinciolo. Accanto a questi nomi, vanno ricordati i personaggi cui l’autore perugino inviò un componimento, confidando in una replica da parte dell’inter-locutore: Albertini Filippo, Asburgo (d’) Maria (regina di Spagna), Asburgo (d’) Maria Mad-dalena (granduchessa di Toscana), Asinari Girolamo, Bargagni Lorenzo, Beccaria Gattinara Pompilia, Bellone Paolo, Bonciari Marco Antonio, Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), Cornia (della) Ascanio II (marchese di Castiglione del Lago), Corso Giovanni, Della Cella Scipione, Della Pietra Giovanni Battista, De Ricci Antonio, Farnese Enrico, Fossati Giovan Battista, Lorena (di) Cristina (granduchessa di Toscana), Medici (de’) Ferdinando (granduca di Toscana), Mirandola (della) Alessandro, Mirandola (della) Federico, Nardino Giovanni An-tonio, Narducci Virginia, Nebbia Cesare, Olevano Giovan Battista, Peretti Damasceni Feli-ce Orsina, Salimbeni Giuseppe, Scaglia Desiderio, Sforza Muzio II (marchese di Caravaggio), Talentone Giovanni, Visconti Giovan Battista, Visconti Pietra, Zuccari Federico.

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to, che è posto tra lo scritto di Visdomini e il proemio delle Rime. Come è stato già osservato da Roberta Ferro, si tratta di uno « tra i primissimi esperi-menti lirici » del bolognese Girolamo Preti, che conobbe il perugino quan-do ad inizio del Seicento era allievo nel Collegio Borromeo di Pavia e stu-dente di diritto nell’Ateneo lombardo.26 Nel suo componimento il poeta bo-lognese rende omaggio alla figura di Massini e alla sua silloge, di cui sinte-tizza i temi principali (Rime, c. †11v):

Alhor che spieghi in amorosi accentile tue gioie, Massini, o i tuoi martiri,o di Bacco o d’Amor canti o sospiri,o lodi i rai di duo begli occhi ardenti, a gli angelici tuoi dolci concenti, 5ferma Zeffiro in aria i suoi sospiri,il Tesin frena il corso, il cielo i giri,ad ascoltarti, ad ammirarti intenti. Co ’l canto e co ’l saver doppio tesoroti vai facendo, e già t’addita il mondo 10degno figlio d’Astrea, cigno canoro. Hor tessendo al tuo crin doppio lavoro,per sublime saver, per dir facondo,d’or ti corona Astrea, Febo d’alloro.27

Con il duplice riferimento al motivo amoroso e alle lodi al vino, Preti inten-de forse alludere alla bifrontalità della raccolta. La silloge di Massini spazia

26. La notizia della prima formazione pavese (e non bolognese) di Preti si deve a R. Ferro, Ritrovamenti per la biografia di Girolamo Preti, in Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scar-pati, a cura di E. Bellini, M.T. Girardi, U. Motta, Milano, Vita e Pensiero, 2010, pp. 417-41 (da cui la citaz. a p. 440), che ricostruisce il rapporto del bolognese con Massini (alle pp. 433-41). Anche Elisabetta Selmi ricorda la giovanile frequentazione di Preti con Massini e in gene-rale con gli Accademici Insensati, e trascrive due lettere inedite del bolognese indirizzate al perugino Marc’Antonio Salvucci: E. Selmi, Preti, Guarini, Marino e dintorni: questioni di poe sia e storia culturale nelle accademie del primo Seicento, in « L’Ellisse », a. v 2010, pp. 77-119 (in partic. alle pp. 85-86, 96-99).

27. I sonetti di scambio tra i due poeti si leggono ora anche in G. Preti, Poesie, a cura di S. Barelli, Roma-Padova, Antenore, 2006, pp. 297-98. Differentemente dalla lezione restituita dall’ed. critica di Barelli, nelle Rime di Massini al v. 12 si legge « tessendo », invece di « tenendo », che presumibilmente è la variante da preferire, in ragione del piú stretto vincolo logico tra i termini (tessere e crine), della presenza del corrispondente « tesso » al v. 12 del sonetto in risposta di Massini (« Ma di lui schivo or tesso altro lavoro ») e, soprattutto, della pressoché identica combinazione che si trova in un altro sonetto di Preti: « Ma s’io m’accingo ai nobili lavori, / mentre corona al crin tesser vorrei / fortuna il vieta, e fulmina gli allori » (Questa del mio sem-biante ombra e figura, vv. 12-14, in Preti, Poesie, cit., pp. 209-10).

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infatti con grande disinvoltura dal motivo erotico tradizionale, di ascenden-za petrarchesca, alla trattazione di temi stravaganti e giocosi, espressioni di una poesia fatta di sensi e di serena e appagata convivialità.28

Il fulcro del sonetto è da rintracciarsi però nelle terzine finali, dove Pre-ti loda la capacità di Massini di ottenere eccellenti risultati nella poesia (nel « canto ») e nella giurisprudenza (personificata da « Astrea »).29 L’autore bolo-gnese concorda quindi con quanto già Visdomini aveva colto quale tratto caratteristico dello stile di Massini (Rime, c. †10r):

Se non fosse stato iurista, non arebbe saputo spiegare in verso alcuni concetti legali sí leggiadramente, come ha fatto, né distribuir sí giustamente li concetti alle materie e le parole a i concetti, né divider con tanta dirittura a gli ornamenti, le figure, l’elo-cutioni, il numero, dando a ciascuno il suo proprio.30

Eppure, di lí a pochi anni, tale rivelazione sarebbe risultata fortemente in contrasto con quanto lo stesso Preti esprime nel sonetto Vastissimo ocean, le cui profonde. Qui il bolognese afferma di voler deporre i panni di giurista per dedicarsi solo ed esclusivamente alla poesia:

Vastissimo ocean, le cui profondevoragini il mio ’ngegno han quasi absorto,

28. Sulla poesia secentesca come espressione di una vivace esperienza sensoriale, oltre al -le riflessioni di Carlo Calcaterra intorno a Marino (nel capitolo Il poeta dei cinque sensi [1940] nel suo Parnaso in rivolta, con un’Introduzione di E. Raimondi, Bologna, Il Mulino, 19612, pp. 11-82) ripensate poi da Giovanni Getto (Introduzione al Marino [1951], in Id., Il Barocco letterario in Italia, prem. di M. Guglielminetti, Milano, Bruno Mondadori, 2000, pp. 3-39, a p. 33), si ricordano le pagine di Ungaretti dedicate a Góngora: G. Ungaretti, Góngora al lume d’oggi [1951], in Id., Vita d’un uomo. Saggi e interventi, a cura di M. Diacono e L. Rebay, Milano, Mon-dadori, 20017, pp. 528-50. Di recente il contributo di Ungaretti è stato oggetto dell’analisi di N. Lorenzini, Ungaretti-Petrarca-Góngora: per una rilettura, già edito in « Poetiche », n. 3 2002, pp. 353-69, ora in « Studi (e Testi) italiani », n. 14 2004, pp. 131-41.

29. Per una sintesi sul mito di Astrea nel XVI secolo, si rimanda a F.A. Yates, Astrea. L’idea di impero nel Cinquecento, trad. it., Torino, Einaudi, 2001 (ed. or. ingl. London, Routledge & K. Paul, 1975).

30. La chiosa finale « dando a ciascuno il suo proprio » non è altro che una traduzione della nota locuzione latina « ius suum cuique tribuendi », riscontrabile in Ulpiano e presente nei Digesta giustinianei (su cui si veda G. Falcone, Ius suum cuique tribuere, in « Annali del Diparti-mento di storia del diritto, Università di Palermo », vol. lii 2007-2008, pp. 133-76). Proprio da Ulpiano dipende la concezione tomistica della “giustizia”, che secondo san Tommaso è da intendersi come « quell’atteggiamento (habitus) in virtú del quale un uomo di ferma e costan-te volontà attribuisce a ciascuno il suo proprio diritto » (Summa Theologiae, ii ii 58 1, citato in J. Pieper, La giustizia, pref. di G. Santambrogio, Brescia-Milano, Morcelliana-Massimo, 2000, p. 27, ed. or. München, Kösel, 1965).

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da l’austro a l’orse e da l’occaso a l’ortostendi il tuo regno e non hai mete o sponde. De’ tuo’ immensi volumi i flutti e l’onde 5sperai vincer col tempo, e prender porto.Ma già son fatto, ahi troppo tardi, accortoche ’l tuo sen solo scogli e sirti asconde. Altro mar solcherò per mio restauro,cui non turbano mai venti o procelle: 10sarà porto la gloria, e mercé il lauro. Donna, le luci tue pietose e belle,mentre anch’io vo cercando un vello d’auro,sien la mia tramontana e le mie stelle.31

Il componimento, la cui funzione proemiale risulta evidente, nega decisa-mente la possibilità di una positiva collaborazione tra la poesia e il diritto e invoca la necessità per il poeta di operare una scelta risolutiva tra i due sape-ri. Ciò che era apparsa, in precedenza, una vantaggiosa cooperazione, si ri-solve ora in un dualismo insanabile, dal quale scaturisce la decisa rinuncia alla professione giuridica in favore della poesia d’amore.32

Esistono altri due luoghi che possono aiutare a comprendere meglio l’e-voluzione del rapporto che intercorse tra il perugino e Preti. Nel primo ca so, nella lezione Del madrigale, Massini confessa di non esser riuscito a coltivare la sua propria naturale disposizione verso l’attività poetica e di essersi perciò dato alla ben piú impegnativa attività di giureconsulto: « anch’io, per natura e per inclinatione, doveva esser nodrito nei piacevoli studi della poesia, se ben l’uso di questi tempi e la condition della mia fortuna han portato ch’io faccia altra piú severa professione » (Lettioni, pp. 154-55). Nel breve scritto di dedica premesso alle sue poesie, anche Preti si trova a giustificare la sua poca perseveranza negli studi poetici, ma fa appello ad altre (pressoché opposte) ragioni: « E se talvolta ebbi pur tregua colle mie sciagure, mi piacque d’im-pegnar quel tempo in altri studi, non dirò già piú gravi, perché io stimo che quel della poesia fra tutti gli altri gravissimo sia e sublime, ma volli sempre

31. Preti, Poesie, cit., pp. 10-12. Il componimento compare per la prima volta a stampa nel 1611, nel Parnaso de’ poetici ingegni d’Alessandro Scaioli, reggiano […], in Parma, per il Viotti (cfr. S. Barelli, Nota al testo, in Preti, Poesie, cit., pp. xxxiii-lxxii, alle pp. xlv-xlviii).

32. Come sostiene Barelli, Preti rinuncia ad evocare il momento dell’infatuazione amorosa di stampo petrarchesco e lascia invece emergere in posizione d’apertura « la proclamazione di un’altra svolta fondamentale nella vita, quella legata al ripudio degli studi giuridici in favore del servizio delle Muse » (Nota a Preti, Poesie, cit., p. 10).

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applicarmi a studi ne’ quali trovar potessi o frutto maggiore o difficoltà mi-nore ».33

Un’altra occasione di confronto tra i due letterati è ravvisabile in un passo della lettera di Visdomini, in cui Massini è descritto come colui che ha « con tanta felicità, facilità e copia scherzato con le muse nell’ore di ricreazione » (Rime, c. †9v). Con puntualità quasi sospetta, Preti sembra infatti ricordare e ribaltare questo passaggio nella sua breve introduzione alle Poesie:

Percioché non son io nel numero di quegl’ingegni a cui fu la Natura sí prodiga de’ suoi doni che soglion dire esser da loro esercitato per ricreazione il poetare. La feli-cità de’ quali degna mi pare, se non d’invidia, certo di meraviglia, poiché, a dirne il vero, egli è una gran ventura il potere con passatempo far guerra al tempo, e per ischerzo acquistarsi l’immortalità. Questa felicità degl’ingegni altrui fa ch’io conosca la miseria del mio: poiché mentre io faticando non soddisfo a me stesso, gli altri con diletto proprio ancor dilettano altrui.34

Traspare qui un’ironia velata e sottile verso quei poeti, che quasi per caso, con disarmante naturalezza, conquistano l’immortalità poetica. La baldan-zosa « facilità », con cui nasce la poesia di Massini, provoca in Preti una rea-zione di manifesta incredulità, che lascia trasparire le reali perplessità del bo-lognese. La lirica di Preti infatti rinuncia a un’impressione di facile leggerez-za, alla spettacolarità esibita, e si ritrae, di preferenza, entro i margini di un discreto autocontrollo. Il « misuratissimo » bolognese, come ebbe a de finirlo Ezio Raimondi, non poteva che guardare con distacco le composizioni dal tono frivolo e disimpegnato di Massini, quasi frutti estemporanei di un estro folgorante e spensierato.35

Nei due casi appena osservati, l’allontanamento di Preti da Massini sem-bra generarsi a posteriori, quasi una sorta di ripensamento degli ideali di gio-ventú entro un cammino poetico che negli anni diviene sempre piú consa-pevole e maturo. Con buone ragioni, allora, si può sospettare che una simi-

33. Preti, Rime, cit., p. 5. Lo scritto è indirizzato ad Alfonso III d’Este.34. Ibid.35. E. Raimondi, Letteratura a Bologna nell’età di Guido Reni, in Id., Il colore eloquente. Letteratu-

ra e arte barocca, Bologna, Il Mulino, 1995, pp. 21-53, a p. 26. Sempre in tale prospettiva andrà letta anche l’insistenza di Preti, nella dedica, sul numero esiguo di componimenti da lui scrit-ti e raccolti: essi « sono pochi, percioché o son buoni, o non son buoni. Se fosser buoni, un solo peravventura sarebbe bastevole a recarmi fama; se non son buoni, un solo è soverchio a recarmi vergogna. Son pochi, percioché non sento in me punto di quel poetico furore, né di quel divino spirito che vuol Platone esser necessario a chi vuol degnamente poetare » (Preti, Rime, cit., p. 3). Evidente è la rivendicazione da parte di Preti del primato della qualità sulla quantità.

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le condotta venga ad inscriversi pienamente in quel percorso, suggerito da Ferro, di voluta rimozione degli elementi e degli incontri che avevano con-traddistinto la giovanile esperienza lombarda del poeta bolognese.36

5. Alla medesima realtà pavese-milanese appartiene anche Pirro Visconti, generoso mecenate e grande appassionato d’arte, che appare nella silloge di liriche di Massini quale destinatario di un invito « a bere allegramente » (Ri-me, p. 226, vv. 1-4):

Quel vetro tuo, che con due man si prende,e sembra gel, che foco in seno accoglia,vuota sovente e di timor ti spoglia,che ’l cor rallegra, se le piante offende.

La figura di Pirro Visconti è interessante per i suoi contatti con l’Accademia della Val di Blenio, i cui membri erano perlopiú letterati ed artisti. Nella loro silloge del 1568, i Rabisch, i soci, inneggiano al vino e ai suoi effetti, si di-vertono con temi grotteschi, non lesinano allusioni sessuali e raccontano tal-volta anche situazioni di grave emarginazione sociale. Fingendosi zotici mon-tanari delle valli alpine, scesi a Milano per lavorare come facchini, gli acca-demici adottano nella loro raccolta una lingua “ facchinesca ”, vale a dire un dialetto milanese dai tratti crudi e dalla grafia stravagante.37

Ma Pirro è noto soprattutto per essere stato un giovane e scaltro rampol-lo che, valendosi delle doti della prima e della seconda moglie, era divenu-to l’artefice di una delle piú curiose realizzazioni artistiche della Lombardia di fine Cinquecento: la villa di Lainate con il suo ninfeo.38 Lo straordinario

36. Ferro, Ritrovamenti, cit., pp. 440-41.37. La raccolta di componimenti degli accademici è stata edita per le cure di Dante Isella:

Giovan Paolo Lomazzo e i facchini della Val di Blenio, Rabisch, Torino, Einaudi, 1993; sull’accademia, oltre all’Introduzione (pp. vii-lxii) dello stesso Isella (una parte della quale è stata poi proposta in D. Isella, Lombardia stravagante. Testi e studi dal Quattrocento al Seicento tra lettere e arti, ivi, id., 2005, pp. 75-125), è di grande interesse Rabisch. Il grottesco nell’arte del Cinque-cento. L’accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese. Catalogo della Mostra di Lu-gano, Museo Cantonale d’Arte, 28 marzo-21 giugno 1998, a cura di G. Bora, M. Kahn-Rossi, F. Porzio, Milano, Skira, 1998. Sul « prence » o presidente a vita del consesso milanese, Giovan Paolo Lomazzo, si veda da ultimo il pregevole studio di S. Maspoli Genetelli, Il filosofo e le grottesche. La pluralità dell’esperienza estetica in Montaigne, Lomazzo, Bruno, Roma-Padova, Anteno-re, 2006, pp. 161-240; sulla sua produzione poetica E. Taddeo, I grilli poetici di un pittore: le ‘Rime’ di G.P. Lomazzo, in « Il contesto », n. 3 1977, pp. 141-81.

38. Su Pirro Visconti e la villa da lui ideata si vedano: A. Morandotti, Pirro I Visconti Bor-romeo di Brebbia, mecenate nella Milano del tardo Cinquecento, in « Archivio storico lombardo », a.

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scenario della dimora di Pirro rapiva gli occhi dei contemporanei, sugge-stionati dal bagliore istantaneo di un gioco d’acqua, dall’ambientazione in-sieme fantastica e spaventosa del ninfeo, dai vivaci flutti delle fontane, tracce visibili di un variare discontinuo ed improvviso, mai statico.39

La descrizione dettagliata della villa è stata tramandata da una canzone-ode di Tommaso Stigliani (Cetra toscana che già in suon cantasti), che Alessan-dro Morandotti ha definito autentica « guida ufficiale » del complesso archi-tettonico. Il componimento, già presente nelle Rime del 1601, venne ripro-posto con significative varianti nelle altre due raccolte liriche di Stigliani.40 Accanto a quella del letterato lucano va posta una canzone-ode di Massini, sinora ignorata, omaggio alla « fonte del signor conte Pirro Visconti » (Pir-ro, il tuo fonte adorno, nelle Rime, pp. 222-25). Le affinità tra i due testi, volti a magnificare la medesima creazione artistica e a trasmettere una percezione di smarrimento quasi inebriante, non vanno al di là di qualche vaga allusio-ne. La canzone-ode di Stigliani dimostra un interesse maggiore per il dato reale e offre una descrizione attenta e puntuale della villa. Oltre a precisare la posizione geografica del ninfeo, lo scrittore materano pone grande atten-zione ai colori, alle forme e ai materiali utilizzati, e guida l’occhio del visita-tore in tutte le zone della ricca dimora: di seguito, uno dopo l’altro, ritrae le

cvii 1981, pp. 115-62; Id., Nuove tracce per il tardo Rinascimento italiano: il ninfeo-museo della villa Borromeo, Visconti Borromeo, Litta, Toselli di Lainate, in « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa », s. ii, vol. xxv 1985, fasc. 1 pp. 129-85; la scheda curata da Dante Isella su Pirro Visconti in Lomazzo, Rabisch, cit., pp. 368-71; A. Morandotti, Milano profana nell’età dei Borromeo, Mi-lano, Electa, 2005, su cui è utile la scheda di Danilo Zardin in « Studia borromaica », a. xx 2006, pp. 408-12.

39. La trama decorativa della villa, tendente al grottesco e al meraviglioso, risponde espres-samente ai gusti estetici promossi all’interno dell’Accademia della Val di Blenio: cfr. Maspoli Genetelli, Il filosofo e le grottesche, cit., pp. 214-23. Si è spesso insistito sulla dimensione precaria della bellezza nella civiltà post-rinascimentale, che appare come un fugace lampo, un’irruzio-ne momentanea di violenta pienezza che si estingue però in un breve spazio di tempo. Per il linguaggio estetico barocco si può ricorrere alle sintesi di A. Battistini, Il Barocco. Cultura, mi ti, immagini, Roma, Salerno Editrice, 2000, pp. 51-63; Estetica barocca, a cura di S. Schutze, Roma, Campisano, 2004; J.R. Snyder, L’estetica del Barocco, Bologna, Il Mulino, 2005.

40. Morandotti, Milano profana, cit., p. 36; [T. Stigliani,] Delle rime del signor Tomaso Stiglia-ni, parte prima. Con brevi dichiarationi in fronte a ciascun componimento, fatte dal signor Scipione Calca-gnini […], in Venetia, presso Gio. Battista Ciotti, 1601, pp. 37-41. Le varianti interessano ampie zone del componimento, a partire dall’incipit: T. Stigliani, Cetra che nel buon secolo cantasti, in [Id.,] Rime di Tomaso Stigliani. Distinte in otto libri […], ivi, id., 1605, pp. 279-84; Id., Cetra del gran Teban che già sonasti, in Il canzoniero del signor cavalier fra’ Tomaso Stigliani dato in luce da Francesco Balducci, distinto in otto libri […], in Roma, per l’erede di Bartolomeo Zannetti, a’ istanza di Gio-vanni Manelfi, 1623, pp. 325-29. Per i raffronti con il testo di Massini si è utilizzata, salvo dove indicato, la versione del componimento del 1601.

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grotte, le sculture, la fontana, l’esterno fino al « delizioso horto odorato » (v. 89). Ecco come il lettore è condotto per gradi sino al centro del palazzo, sede del ninfeo:

Siede l’unica mole entro i duo fiumi, 25Ada e Tesin, pria che ’l Tesino serrel’imperatrice de l’insubri terre,che dal mel, come il nome, have i costumi. Fatta di greco sasso41 in quadro aspetto,par fuor palagio ed è piú spechi dentro, 30fra quai quello ov’è il fonte occupa il centro,e la piú eccelsa cupola ha per tetto. Quinci e quindi le scale a chi vi pogge,mostran di verde bronzo opre spiranti,nel cui sommo è la soglia, e d’ambi i canti 35appar pomposa d’indorate logge. Varcato l’uscio e i molti adorni callinon fu mai tanta e sí strania42 bellezzache veste le pareti industre asprezzanicchi, pomici, conche, ostri e coralli.43 40

Massini, dal canto suo, si mostra piú interessato a cogliere l’elemento mera-viglioso della creazione artistica. Si dilunga perciò a descrivere i molteplici « rivi » di « liquido gelo », ossia i giochi d’acqua delle fontane, e gli scherzi ac-quorei che ingannano i visitatori (Rime):

Dal tartaro si partel’onda che ’n alto ascende,e poi per cento rivi occulta scendee varia si compartea mille bocche e mille 35hor in sorgenti hor in cadenti stille. Per discoscesa rocciapar che caggia talhorahor vento sembra impetuoso, e horacadendo a goccia a goccia, 40soave pioggia immita,

41. Sulla difficoltà di identificare il materiale dell’edificio si rimanda a Morandotti, Mila-no profana, cit., pp. 37-38.

42. strania : vale sia per ‘aliena’, ‘estranea’, ma anche per ‘nuova’, ‘inusitata’, ‘stravagante’, co-me chiarisce il Vocabolario degli Accademici della Crusca, cit., p. 855.

43. Stigliani, Cetra toscana che già in suon cantasti, cit., vv. 25-40.

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che lusingando i lumi al sonno invita. Onde meno altri crede,quasi feconda messe,s’ergon le stille insidïose e spesse, 45e ben cauto è quel piedeche ’l dolce inganno schivisí che non lo circondi, o non l’arrivi. Chi corre in ver le porteben del suo error s’accorge, 50che da le loggie ancor quell’onda sorge,s’avvien ch’altri il piè portever l’una o l’altra scala,drago ha, che per le fauci un fiume essala. Netto e puro cristallo 55talhor rende altrui vagodi rimirar in lui la propria imago,ma ’l piè ponendo in fallo,secreto ordigno tocca,che strale incontro a lui pur d’onda scoccha.44 60

Si può desumere che i due autori avessero cercato una propria via, in ap-parenza indipendente, per descrivere la villa di Pirro, quasi con l’intenzione di allontanare il sospetto di una possibile influenza reciproca. Le analogie, pur al netto delle varianti, si fermano infatti a sporadici rimandi lessicali per nulla significativi e a qualche immagine piuttosto stereotipata. Entrambi gli autori, per esempio, fanno riferimento alla metamorfosi in pietra che colpi-sce gli spettatori di tali bellezze, ma la realizzano in maniera differente. Non manca un accenno divertito nei versi di Massini (vv. 121-23): « Ogn’altra me-raviglia, / canzone, a dietro lasso, / per meraviglia anch’io converso in sas-so »; sembra invece prevalere una sfumatura di ambiguità, quasi una nota di turbamen to, nella strofe di Stigliani: « Ma tutto avanza di giocondo orrore / la caverna di Proteo, che veduta, / gli huomini qual Medusa in selci muta, / selci di meraviglia e di stupore » (vv. 69-72). Dal punto di vista metrico, ap-pare di una qualche importanza il numero pressoché identico dei versi dei due componimenti: Massini si ferma a 123, Stigliani ondeggia tra 112 (Rime 1601), 128 (Rime 1605) e infine 124 (Canzoniero 1623), facendosi volta per volta

44. Sulla fortuna del motivo dei giochi d’acqua delle fontane in ambito barocco, si veda di nuovo Battistini, Il Barocco, cit., p. 60. Oltre che nella canzone per la villa di Pirro Visconti, lo stesso Stigliani aveva sviluppato nelle Rime del 1601 il medesimo motivo anche nel sonetto Mostra pur cento foci e per ciascuna (p. 51), dedicato alla fontana della Villa Medici di Pratolino.

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piú vicino alla misura della canzone-ode del perugino. Eppure questa strut-tura metrica in apparenza similare realizza due andamenti ritmici differenti: lo scorrere dei versi è piú composto e misurato nella canzone-ode di Stiglia-ni (ABBA), mentre si fa piú rapido e incalzante, quasi ad imitare lo scorrere leggero dell’acqua, nella strofa agile di Massini (abBacC).

La vicinanza tra le due composizioni è comunque innegabile, ed è testi-moniata da un altro componimento di Stigliani. Si tratta di un madrigale, collocato nella pagina antecedente la canzone, nel quale quest’ultimo esorta Massini a cantare con la sua « penna » la fonte di Pirro:

Massin, le sacre stilledel rivo, che col piè Pegaso fece,sono a la penna tua d’inchiostro in vece.Canta dunque la fontedel buono heroe Visconte. 5Ché dritto è, che ’l valore,ch’avien, che da un fonte in te discenda,nele lodi d’un’altra anco si spenda.45

Non è possibile individuare con sicurezza la direzione dell’influenza tra le due canzoni perché, se il componimento di Stigliani si può datare tra 1600 e 1601, cioè agli anni della sua permanenza a Milano,46 la lirica di Massini non è meglio precisabile nell’intervallo di tempo tra 1596 e 1604 (dal momento dell’arrivo a Pavia sino alla morte di Pirro, destinatario di un panegirico fi-nale svolto interamente al presente, vv. 97-120). In tale incertezza però l’im-perativo « canta » del madrigale di Stigliani sembra invitare Massini ad una sorta di disfida in versi e di conseguenza parrebbe rivendicare al materano la precedenza sul soggetto poetico.

Non potendosi piú porre in dubbio l’effettiva conoscenza tra i due poeti, rimangono da chiarire le motivazioni che portarono Massini ad occultare

45. Stigliani, Rime, ed. 1605, cit., p. 278: si cita dall’esemplare conservato presso la Bibliote-ca Queriniana di Brescia (collocazione A-S12 T2). Non presente nell’ed. del 1601, il madrigale si legge con minime varianti anche nel Canzoniero, cit., p. 433.

46. Con tutta probabilità Stigliani scrisse la canzone-ode perché intendeva sdebitarsi con Pirro Visconti, il quale si era impegnato per agevolare il trasferimento (poi non avvenuto) del poeta materano alla corte dei Gonzaga a Mantova. Lo testimoniano quattro lettere di Pirro indirizzate al duca Vincenzo I Gonzaga tra dicembre 1600 e aprile 1601 (le missive, conserva-te nell’Archivio Storico di Mantova, Archivio Gonzaga, buste 1724-1725, si leggono in Moran-dotti, Pirro I Visconti Borromeo di Brebbia, cit., pp. 156-58; R. Piccinelli, Le collezioni Gonzaga. Il carteggio tra Milano e Mantova (1563-1634), Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2003, pp. 308 e 311-13).

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nella raccolta il nome di Stigliani. In un recente volume, inteso a mettere in luce i difficili rapporti intercorsi tra Marino e le congregazioni romane del-l’Indice e dell’Inquisizione, Clizia Carminati ripercorre la sfortunata vicen-da editoriale delle Rime di Stigliani, la cui seconda edizione subí il divieto di stampa dal 1605 sino al 1622.47 A provocare le ostilità delle alte gerarchie ec-clesiastiche furono senza dubbio i componimenti inclusi nel quarto libro della raccolta, intitolato Amori giocosi, in cui la materia oscena traspare con evidenza in una serie di indovinelli dalla soluzione volutamente scontata e licenziosa. Proprio le liriche comprese in questa sezione incriminata sono dedicate da Stigliani a Fabio Visconti, figlio dell’indimenticato Pirro, sot-to la cui ala il poeta materano cercava invano riparo.48 Per le ragioni appena esposte, non stupisce, allora, che Massini decidesse di non fare allusioni allo Stigliani e al suo componimento sulla villa di Pirro.

6. Mentre i contatti con Preti e Stigliani dipendono in primo luogo dalla attività letteraria del perugino, il legame poetico con la celebre attrice pata-vina Isabella Andreini si spiega invece in virtú della appartenenza di Massini all’Accademia degli Intenti.49 Il momento dell’affiliazione dell’attrice al so-

47. C. Carminati, Giovan Battista Marino tra Inquisizione e censura, Roma-Padova, Anteno-re, 2008, pp. 19-39 e 168-79.

48. « Perché io son certo che niuna classe delle mie Rime inviterà tanto efficacemente a sé la calonnia de’ maledici quanto questa giocosa, son voluto questa fiata ripararmi sotto il rive-rito scudo della difesa di Vostra Signoria illustrissima coll’indirizzarle essi miei scherzi. Al che mi ha mosso il mio fermo credere che, sí come ella ha ereditato intieramente tutto il valore e la gentilezza del signor conte Pirro suo padre, cosí abbia etiandio ereditato la protettione ch’egli teneva di me e delle mie cose » (Stigliani, Rime, ed. 1605, cit., p. 233).

49. All’interno della vasta bibliografia su Andreini, si ricordano qui soltanto i contributi piú recenti, volti ad indagare non solo la produzione lirica dell’attrice, ma anche le strategie da lei messe in campo, insieme con il marito Francesco e il figlio Giovan Battista, per entrare a far parte del mondo dei personaggi illustri del tempo: L. Giachino, Dall’effimero teatrale alla quête dell’immortalità. Le ‘Rime’ di Isabella Andreini, in G.S.L.I., a. cxviii 2001, pp. 530-52; Le Isabelle: dal Teatro della Maddalena alla Isabella Andreini, a cura di M. Boggio, Nardò, Besa, 2002; D. Peroc-co, Isabella Andreini ossia: il teatro non è « ianua diabuli », in Donne e teatro. Atti del Convegno di Venezia, 6 ottobre 2003, a cura di D. Perocco, Venezia, Università « Ca’ Foscari », 2004, pp. 19-40; Motta, Petrarca a Milano, cit., pp. 264-68; L’arte dei comici. Omaggio a Isabella Andreini nel quarto centenario della morte (1604-2004), a cura di G. Guccini, num. mon. di « Culture teatrali », vol. x 2004; F. Taviani, Il segreto delle compagnie italiane note poi come Commedia dell’Arte, in F. Ta-viani-M. Schino, Il segreto della commedia dell’arte. La memoria delle compagnie italiane del XVI, XVII, XVIII secolo, Firenze, La casa Usher, 20074, pp. 295-505, alle pp. 342-43; F. Fiaschini, L’« incessabil agitazione ». Giovan Battista Andreini tra professione teatrale, cultura letteraria e religione, Pisa, Giardini, 2007, pp. 25 e 55-62; D. Perocco, Donna/uomo, attrice/scrittrice, Isabella/Francesco: metamorfosi della scrittura di Isabella Andreini, in Instabilità e metamorfosi dei generi nella letteratura

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dalizio pavese è da porsi nel 1601, dopo la pubblicazione, nello stesso anno, della sua prima raccolte di Rime. Nelle successive Rime del 1603, scritte ai tempi della sua ultima ed acclamatissima tournée in Francia, e in quelle po-stume del 1605, Andreini viene pertanto presentata come « Accademica In-tenta detta l’Accesa ».50

L’ingresso nell’accademia esaudiva una delle piú grandi ambizioni dell’at-trice, impegnata da anni, con il pieno e attivo sostegno dei famigliari, nel col-lezionare riconoscimenti concreti alla sua fama leggendaria. L’offerta di rin-graziamento per la sua aggregazione in accademia si tramuta per Andreini in un’occasione per dar prova delle proprie abilità retoriche e stilistiche. Il sonetto inviato a Massini, nel quale la poetessa cita dissimulatamente l’acca-demia, definendosi ella stessa « intenta » (« di gir in porto a le degne opre in-tenta », v. 14), illustra il viaggio da lei compiuto verso la gloria come una na vi-gazione perigliosa ma determinata (Rime, p. 264):

Carca di bei pensier mia nave ardita,spinta da gran desir le vele intende,dove di virtú rara il foco splende,ch’alletta i cor, ch’al vero ben gl’invita. In van timor l’oscura notte addita, 5e sirti e scogli in van fiero contendea la brama d’honor, che sí m’accende:chi muor, gloria acquistando, ha doppia vita.

Nel sonetto si rincorrono con grande frequenza citazioni ed echi di autori passati, per mezzo dei quali l’attrice intende elevarsi al rango di poetessa.51

barocca, a cura di S. Morando, Venezia, Marsilio, 2008, pp. 87-111. Anche Pirro Visconti era in contatto, se non direttamente con Isabella, almeno con la Compagnia dei Gelosi, di cui lei faceva parte: vd. Morandotti, Milano profana, cit., pp. 52 e 87.

50. Le Rime del 1601 (in Milano, appresso Girolamo Bordone e Pietromartire Locarni) di-vennero la prima delle due parti delle Rime del 1605 (presso i medesimi stampatori); la secon-da raccolta (Paris, Claude de Monstr’œil, 1603) consta di soli 26 componimenti. Ricostruisce la storia delle Rime C. Cedrati, Isabella Andreini: la vicenda editoriale delle ‘Rime’, in « Acme. An-nali della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli studi di Milano », n. 60 2007, pp. 115-42 (disponibile anche on line).

51. Alquanto significativa è in tal senso la scelta della metafora della navigazione, una delle piú celebri sin dalla letteratura medievale e delle piú ricorrenti nel Canzoniere petrarchesco (su cui si veda, da ultimo, U. Ceccoli-C. Barbarulli-L. Brandi, Sulla “nave” della metafora. Anali-si di alcuni processi metaforici nell’italiano delle origini, in « Quaderni del Dipartimento di Linguisti-ca, Università di Firenze », n. 12 2002, pp. 1-25, rivista on line). Limitando la ricerca degli ele-menti intertestuali alla sola prima quartina, si segnala al v. 1, oltre all’ovvia giuntura « pensier carca » da Purg., xix 41 (« come colui che l’ha di pensier carca »), un’eco di un sonetto di Loren-

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A ben vedere, si tratta ancora, seppur in senso lato, di teatro, ma questa vol-ta la performance o l’esibizione è di ordine retorico piuttosto che scenico. Le due dimensioni in sostanza si compenetrano: la preparazione e lo studio sui testi dei grandi scrittori formano una sorta di copione che l’autrice avrebbe poi recitato e declamato in versi lirici. In questo caso le “movenze” si trasfor-mano nell’abilità di imitare con le lettere i sentimenti, le passioni, o ancora meglio, le « maniere » altrui.52

Il nome di Andreini ricorre diverse volte nella silloge di Massini. Piú in-teressante della risposta al sonetto precedente (Poggia pur, saggia peregrina ar-dita, Rime, p. 264), nella quale Massini per conto degli Intenti celebra il « chia-ro essempio » di cui dà prova l’attrice, è un’altra coppia di sonetti di scambio tra i due. Di nuovo Andreini omaggia gli Accademici Intenti perché, ponen-do se stessa sotto il loro « valor », si è fatta « eterna » e non teme piú il « minac-ciar de’ lustri » e il « cieco oblio » (Ogni piú scura, ogni piú fredda mente, Rime, p. 229). Massini, ancora una volta a nome dell’accademia pavese, risponde in rima ribaltando le lodi e riconoscendo alla donna, immaginata come un so-le, i meriti di aver guadagnato per sé la « gloria ardente » e di averla irradiata alle stelle vicine (Rime, p. 229):53

zo de’ Medici: « La debil, piccioletta e fral mia barca / […] tanto è di pensier’ carca » (L. de’ Me-dici, Canzoniere, a cura di T. Zanato, Firenze, Olschki, 1991, vol. ii p. 392, vv. 1, 4). Ai vv. 2-3 emergono richiami a Petrarca: « et altri, col desio folle che spera / gioir forse nel foco, perché splende, / provan l’altra vertú, quella che ’encende » (R.v.f., xix 5-7: si noti anche la ripresa della rime -ende); « rara vertú » (R.v.f., ccxiii 2); e presumibilmente anche alla traduzione delle Metamorfosi di Anguillara (« per la rara virtú ch’in lei splendea »: Le metamorfosi di Ovidio ridotte da Giovanni Andrea dell’Anguillara in ottava rima […], in Vinezia, presso Bern. Giunti, 1584, vi 341 6, p. 219). Al v. 4 si ha un nuovo riscontro di Petrarca (« vede cosa che li occhi e ’l cor alletta »: R.v.f., cccxxv 40) e di Lorenzo de’ Medici (« Ma poiché Dio al vero ben t’invita »: L. de’ Medi-ci, La Rapresentatione di San Giovanni e Paulo, xcvi 3, in Id., Rime spirituali. La Rapresentatione di San Giovanni e Paulo, a cura di B. Toscani, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000, pp. 37-81, a p. 66). Nonostante le non poche similitudini, è quasi del tutto da escludere la cono-scenza da parte di Isabella Andreini del sonetto Questa mia nave carca e colma tanto di Alessandro Sforza, signore di Pesaro, le cui rime sono rimaste inedite fino al 1973; per la vicinanza tra i due testi, è sufficiente citare pochi versi del sonetto di Sforza: « Questa mia nave carca e colma tanto / d’amorosi pensier, nel mar sospinta; […] / El gran disio che ardendo nel cor pianto / solo è la vela che mia nave ha spinta » (A. Sforza, Il canzoniere, ed. critica e introduzione a cura di L. Cocito, Milano, Marzorati, 1973, pp. 97-98, vv. 1-2, 5-6).

52. Come scrive Daria Perocco, nella produzione lirica dell’Andreini « si può poi rilevare la passione per la citazione dotta, che Isabella fa propria con entusiasmo sempre rinnovato. Ci-tare è dimostrare di conoscere, è far sapere che […] l’attrice è anche una donna di cultura, di letture approfondite » (Perocco, Donna/uomo, attrice/scrittrice, cit., p. 99).

53. Oltre alle due coppie di sonetti analizzate, nella silloge vi è un’altra « proposta » di Mas-sini priva della relativa « risposta » ad Andreini. Il sonetto (Vesta, o coturno altero, o socco humile,

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Isabella, e ben voi anima e mentehor siete, e sol del mio bel giro eterno,che, discacciato oltre la tana il verno,splender fate stagion di gloria ardente. Homai piú chiara farsi e meno algente 5e men pigra per voi sola discernoogni mia stella e placido governodi motrice piú bella il mio ciel sente.

Analogamente – sempre per ragioni accademiche – Massini scambiò un sonetto anche con Giovan Battista Marino. Quest’ultimo nei primi anni del Seicento prese infatti parte al consesso perugino degli Insensati, di cui Mas-sini – come detto – fu uno degli esponenti piú significativi. Il napoletano scrisse al perugino il sonetto Chi da terra mi leva? E chi d’alloro (Rime, p. 283), con il quale ringraziava l’accademia per averlo accolto tra i propri associati. Si tratta – come lo ha definito Maurizio Slawinski – di un componimento « di modesto impegno », al quale Massini rispose con un sonetto altrettanto convenzionale, Desir d’honor t’inalza e ’l crin d’alloro (Rime, p. 283), in cui cele-brava il napoletano come il piú famoso e brillante poeta del tempo: « piú de - gli altri orbi chiaro e piú canoro » (v. 4).54

Rime, p. 215), tutto giocato fin dall’incipit su una serie ininterrotta di antitesi, è una lode del poeta alla versatilità artistica della donna, alla sua abilità nel saper essere a un tempo attrice e poetessa. Uberto Motta, indagando i rapporti tra Massini e Isabella Andreini, prende in con-siderazione il medesimo componimento, che è forse il piú riuscito della serie di quelli scam-biati con l’attrice (Motta, Petrarca a Milano, cit., p. 265).

54. Il sonetto si legge in G.B. Marino, La lira, a cura di M. Slawinski, Torino, Res, 2007, vol. ii p. 282. Sulla presenza di Marino a Perugia e sui contatti con l’Accademia degli Insensa-ti, si vedano: N. Cacciaglia, … E un Marino a Perugia. Proposte, risposte, della corte e della pittura nel primo Seicento, in « Philo(:)logica », a. v 1994, pp. 87-106; Id., Momenti perugini nell’attività poe-tica di Giambattista Marino, in « Annali dell’Università per stranieri di Perugia », n. 2 1994, pp. 155-78; M. Slawinski, Marino tra Umbria e Inghilterra, in « Rassegna europea di letteratura italia-na », a. x 1997, pp. 53-80 (citaz. a p. 57), da leggersi con le precisazioni di E. Russo, Schede sulla biografia mariniana (Inghilterra, Fiandre, i Ludovisi), in Id., Studi su Tasso e Marino, Roma-Padova, Antenore, 2005, pp. 189-208, spec. p. 195 n. Cacciaglia e Slawinski propongono date diverse per l’ingresso del poeta nell’assemblea perugina: il primo indica un periodo tra 1602 e 1603 (Mo-menti perugini, cit., p. 155), mentre il secondo studioso suggerisce di posticipare tale ingresso al 1605 (Marino tra Umbria e Inghilterra, cit., pp. 56-60, e nota a Marino, La lira, vol. iii p. 360). Le recenti esplorazioni di Emilio Russo (Marino, Roma, Salerno Editrice, 2008, pp. 23 n. e 53 n.) e di Alessandro Martini (« Tempro la lira »: le poesie del Marino in un codice per nozze del primissimo Seicento (BNF, ital. 575), in Marino e il Barocco, da Napoli a Parigi, a cura di E. Russo, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2009, pp. 12-56, in partic. p. 34 n.) hanno rinvenuto nuovi elementi dai manoscritti di Salvator Salvatori (conservati presso la Biblioteca Oliveriana di Pesaro, ma co-

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7. Se da una parte i contatti di Massini lo esponevano all’incontro con ten-denze letterarie piú moderne e innovative, specialmente attraverso il “capo-scuola” Marino,55 dall’altra i sonetti di scambio con Tasso testimoniano sen-za dubbio il forte potere di fascinazione del recentissimo ed ancora attuale passato poetico. L’intonazione assume toni gravi ed ossequiosi nei compo-nimenti inviati a colui che già nella prima lezione accademica Massini aveva definito « l’autorità » che « mi muove, non meno di quella degli antichi » (Let-tioni, p. 31).56 Tasso e Massini si scambiarono tre sonetti ciascuno: le prime due coppie di composizioni incrociano il tema della pietà con quello della invidia, assai caro all’autore della Liberata; l’ultima, piú genericamente, è un condiviso lamento sulla sorte di Tasso, di cui viene lodata l’eccezionalità poe-tica. Secondo le indicazioni di Solerti, le composizioni si trovano edite per la prima volta nelle raccolte di Tasso Rime e prose (parte iv) del 1586 e Gioia di rime e prose del 1587.57 Il confronto con le lezioni dei testi riportati nelle sillo-

piati a Perugia) che invitano a riprendere gli studi intorno alla presenza di Marino nella città umbra.

55. Il virgolettato è d’obbligo dopo che la posizione di Marino, rispetto alle spinte avan-guardiste della poesia d’inizio Seicento, è stata precisata e ridefinita dalle Ricerche intorno alla ‘Lira’ di Ottavio Besomi (Padova, Antenore, 1969), le cui teorie sono riprese e sviluppate, tra gli altri, da Alessandro Martini nell’edizione da lui curata di Marino, Amori, cit., e da Russo, Marino, cit., pp. 59-68 (sulle Rime del 1602), 138 (sulla Lira iii), il quale invita con nuove indagi-ni a « precisare e circoscrivere » l’etichetta di “caposcuola” affibbiata al poeta napoletano (pp. 342-43).

56. Il poeta perugino commemorò la morte di Tasso con il bel sonetto Morto è ’l gran Tasso, e ben d’haverlo indegno (Rime, p. 155), la cui prima quartina è la seguente: « Morto è ’l gran Tasso, e ben d’haverlo indegno / fu sempre il mondo, e piú d’ogni altro questo / secol’ avaro, hor sí mendico e mesto, / voto seco d’amor, d’invidia mesto ». Al v. 4 Massini faceva riferimento all’« invidia » che, come si vedrà di seguito, è uno dei temi sui quali insistono i sonetti di scam-bio tra i due letterati. Il componimento è ricordato anche in Chiodo, L’onorato sasso, cit., pp. 89-90.

57. [T. Tasso,] Le rime di Torquato Tasso, ed. critica su i manoscritti e le antiche stampe, a cura di A. Solerti, Bologna, Romagnoli-Dall’Acqua, 1898, vol. i. Bibliografia, pp. 217-19. Le tre liriche di Tasso a Massini vengono classificate tra le « Rime di data incerta provenienti dalle stampe 27 e 28 ». Secondo la numerazione data dallo stesso Solerti, per la 27 si intende Delle rime e prose del signor Torquato Tasso. Parte quarta. Di nuovo posta in luce, con gli argomenti dell’istesso autore, in Venetia, appresso Giulio Vasalini, 1586 (d’ora in poi Ve86) e per la 28 Gioie di rime e prose del signor Torquato Tasso, nuovamente poste in luce per ordine dell’altre sue opere. Quinta e sesta parte, in Venetia, ad instanza di Giulio Vasalini, 1587 (d’ora in poi Ve87). Oltre che nelle Rime curate da Solerti (ai num. 1160-62), lo scambio poetico tra Tasso e Massini è contenuto anche nella moderna edizione T. Tasso, Rime, a cura di B. Basile, Roma, Salerno Editrice, 1994, vol. ii pp. 1177-80. Le composizioni scambiate con Massini vennero escluse da Tasso nella risiste-mazione corredata di auto-esegesi delle sue Rime, messa parzialmente a punto negli anni ’80 e ’90 del ’500 (per l’intricata vicenda filologica delle Rime, qui di necessità semplificata, e la

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gi di rime di Tasso e di Massini ha permesso di rinvenire una serie di varian-ti che sono riportate in nota.

Nel componimento iniziale, mosso dalla « generosa invidia » per lo stile poetico del destinatario, Massini confessa di provare una commossa pie-tà per le tristi circostanze biografiche che avevano coinvolto Tasso (Rime, p. 73):

Qual me di generosa invidia tinge,Tasso, lo stile ove celebri e cantehor famoso guerriero, hor chiaro amantecui sol disio d’honor l’animo cinge; tal illustre pietate il cor mi stringe 5de le miserie tue sí gravi e tantespesso da me, ben ch’a te ignoto, piante,e teco a ragionar cosí mi spinge. Tu, ch’altrui chiami con sí altera trombada gli abissi a la luce, tu, ch’hai tolto 10sí ricche prede al veglio edace ed empio, tu che vinci la morte, hor sei sepoltonon che vivo, immortale, in cieca tomba?Oh d’oppressa virtute unico essempio!

Oltre a segnare con tutta probabilità il primo contatto tra i due poeti, defi-nendosi Massini ancora « ignoto » a Tasso (v. 7), il sonetto non manca di for-nire utili indizi per una possibile datazione: come notava già Vermiglioli,58 e come si evince chiaramente da alcuni termini chiave (quali « cieca tomba » e « miserie sí gravi e tante »), il componimento risale senz’altro al periodo in cui Tasso era recluso a Sant’Anna (1579-1586).

Con ragione Domenico Chiodo definisce Massini uno « tra gli interlocu-tori poetici piú graditi al Tasso ».59 Il perugino sfruttò infatti al meglio la già positiva disposizione dell’autore della Liberata, in uno dei periodi piú bui del-la sua vita, a fare nuovi incontri poetici, compiacendo il suo corrispondente sia per la scelta del tema (dell’invidia) sia – come si vedrà in seguito – per la

rassegna delle piú importanti edizioni cinquecentesche, si rimanda all’ottima sintesi di C. Gigante, Tasso, ivi, id., 2007, pp. 309-16). Attualmente l’« Edizione Nazionale delle Opere di Torquato Tasso » sta pubblicando le Rime proprio nel rispetto del piano tripartito da lui indi-cato; ad oggi (estate 2013) sono uscite alle stampe la prima e la terza parte delle Rime di Tasso per le cure di Franco Gavazzeni e Vercingetorige Martignone (Alessandria, Edizioni dell’Or-so, risp. 2004 e 2006).

58. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini, cit., vol. ii p. 95.59. Chiodo, L’onorato sasso, cit., p. 86.

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sapiente coerenza dei richiami intertestuali proposti. Già in una lettera del 1575 Tasso alludeva all’« invidia de gli emuli », rendendo evidente fin da su-bito le sue difficoltà nell’adattarsi alle trame oscure della vita di corte.60 Del pari, la sua favola pastorale, l’Aminta, propone sulla scena un gioco di rispec-chiamento con la vita della corte estense, nel quale il cattivo Mopso, di là dai notissimi problemi di identificazione che pone,61 rappresenta il perso-naggio invidioso e maledico escluso dalla dimensione cortigiana. Vero e pro-prio leitmotiv della produzione tassiana, il motivo dell’invidia assume di-mensioni quantitativamente straordinarie proprio nel periodo di reclusio-ne a Sant’Anna.62 Il livore di Tasso rinchiuso nel carcere era verosimilmen-

60. Lettera a Gian Vincenzo Pinelli, Padova, i 36 (qui e di seguito, le citazioni dalle lettere provengono dall’ed. [T. Tasso,] Le lettere di Torquato Tasso, disposte per ordine di tempo ed il-lustrate da C. Guasti, Firenze, Le Monnier, 1852-1855, 5 voll., con indicazione del vol. e del num. progressivo).

61. L’ipotesi piú accreditata vede l’identificazione di Mopso con Sperone Speroni; ipote-si piú volte attribuita a Gilles Ménage (editore dell’Aminta, in Parigi, presso Agostino Curbé, 1655, pp. 188-89), che in realtà la riporta senza approvarla. Nel tempo sono stati quindi propo-sti in alternativa i nomi di Giovan Battista Pigna, di Francesco Patrizi, oppure di Antonio Montecatini, come suggerito da Solerti (nella sua ed. dell’Aminta, Torino, Paravia, 1901, p. 195) e ribadito recentemente da D. Chiodo, Il “supercilio” di Mopso non cela Speroni: alle radici di un equi-voco, con qualche riflessione, in G.S.L.I., a. cxvii 2000, pp. 273-82. Da ultimo, ripercorre la questio-ne e suggerisce una nuova ipotesi Gigante, Tasso, cit., pp. 114-20.

62. Nel lasso di tempo tra 1578 e 1580, ossia nel periodo che precede la detenzione e nel primo anno effettivo di reclusione, il campo semantico legato all’invidia (spesso emblemati-camente correlato a quello della malvagità) ricorre con straordinaria frequenza nelle Lettere. Si contano ben 17 occorrenze (sul totale di 44) all’interno del corpus dell’epistolario tassiano cura-to da Guasti, che comprende oltre 1500 missive: « s’ingiustizia di principi, e malignità ed invi-dia de gli uomini non impedisce questo desiderio mio »; « non sono atto a superare o a rimo-vere l’impedimento de l’ingiustizia e de l’invida malignità » (i 104, A Giovambatista Barile, Venezia, San Cassiano); « ella è cosí ricca de l’eccellenze e de le laudi convenevoli a principe […] che udendo le laudi de’ privati, non ha che invidiare o di che rammaricarsi »; « io era sta-to cosí fieramente soggetto a gli strali de l’invidia cortegiana »; « perché s’apparecchia infesta l’invidia de’ cittadini »; « non piaccia a Dio ch’egli mitighi gli acutissimi morsi de l’invidia e de la conscienzia » (i 109, A Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino); « i parricidi, dico, poco hanno che invidiare a le mie pene »; « in raddolcire il veleno e l’amaritudine de l’invidia »; « E se alcuno per danari, o per interesse di roba e d’ambizione, o per invidia dirà il vero »; « Fu Nerone invidioso de la gloria di Lucano, e per invidia il fe’ morire »; « la pianta de la cognizio-ne, non male da principio piantata, né invidiosamente proibita » (ii 123, A Scipione Gonzaga, Roma); « le sue proprie vittorie singolari che l’invidia e la fortuna hanno superato »; « come può in lui [nel cardinal Luigi d’Este] capir pensiero d’avarizia, il quale […] ha riempito di ma-raviglia e di splendore la corte di Francia, ed ora si fa ammirare e spesso invidiare in quella di Roma? » (ii 124, A Scipione Gonzaga, Roma); « con abbominazion non è riguardato l’odio verso il genere umano, e il disprezzo verso di coloro in cui si ritrova piú di valore; o pur l’invi-dia che […] tanto è piú esecrabile quanto piú va ricoperta con la simulazione? » (ii 129, A’ seg-

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te alimentato dai veleni subiti da parte di alcuni cortigiani di stanza a Ferra-ra.63

Tuttavia Massini precisa subito che la sua è un’« invidia generosa », cioè una manifestazione della profonda ammirazione per lo « stile » del poeta campano. Essa è pari soltanto alla « illustre pietate » che egli prova ora per la condizione di Tasso incarcerato. Fin dall’accostamento quasi ossimorico, ap-pena citato, del v. 1, il poeta perugino inaugura una fitta serie di richiami ai testi tassiani, collocati negli snodi centrali del sonetto, che certo costituisce un ulteriore omaggio nei confronti del destinatario.64 La manifestazione di solidarietà assume toni sempre piú drammatici nelle due terzine finali, do-ve l’apostrofe a Tasso, impreziosita da anafore (« tu », « tu », « tu ») ed antitesi (« vinci la morte, hor sei sepolto »; « vivo, immortale, in cieca tomba », vv. 12-

gi ed al Popolo napolitano); « ora forse arriverebbono, se da la invidia e da la malignità (venti contrari a la vita serena) non fossero dispersi » (ii 133, Al marchese Giacomo Buoncompagno, Roma); « porrò cura […] ch’egli non avrà da desiderar da me onor di parole, né molto da invi-diar Virgilio » (ii 141, A Guido Coccapani, Ferrara). Ha insistito sul valore della lettera quale strumento terapeutico e sulla centralità dell’io nell’epistolario di Tasso M.L. Doglio, Le lettere del Tasso: scrivere per esistere, in Dal ‘Rinaldo’ alla ‘Gerusalemme’. Il testo, la favola. Atti del Convegno internazionale Torquato Tasso quattro secoli dopo, Sorrento, 17-19 novembre 1994, a cura di D. Del-la Terza, Sorrento, Città di Sorrento, 1997, pp. 227-53, poi con lo stesso titolo nel suo L’arte delle lettere. Idea e pratica della scrittura epistolare tra Quattro e Seicento, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 145-69.

63. Come sostiene lo stesso Tasso nel Malpiglio, l’invidia non riguarda soltanto il rancore dei cortigiani tra loro, ma persino il fastidio dei signori verso i propri funzionari: « L’invidia è del principe verso i cortigiani o del cortigiano verso il principe o pur del cortigiano verso il corti-giano » (T. Tasso, Il Malpiglio overo de la corte, in Id., Dialoghi, a cura di G. Baffetti, intr. di E. Raimondi, Milano, Rizzoli, 1998, vol. ii pp. 595-618, a p. 611: sul dialogo si veda l’ottimo studio di V. Cox, Tasso’s ‘Malpiglio overo de la corte’: ‘The courtier’ rivisited, in « The Modern Language Re-view », a. xc 1995, pp. 897-918). La vita di corte è lo scenario consueto per il rivelarsi dell’invidia che, come bene argomenta Elena Pulcini in piú passi del suo Invidia. La passione triste (Bologna, Il Mulino, 2011), è una vera e propria « passione sociale ».

64. « Generosa invidia » è un tipico sintagma tassiano: « la generosa invidia onde egli è pie-no » (Gerusalemme liberata, a cura di L. Caretti, Torino, Einaudi, 19932, xii 12 4, p. 360; ver-so conservato, senza varianti, nella Gerusalemme conquistata, xv 13 4); « di generosa invidia il cor mi punse » (Il Re Torrismondo, a cura di V. Martignone, [Milano-]Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda, 1993, a. i v. 311, p. 35). Prima di lui l’aveva già utilizzato il padre Bernardo: « di generosa invidia, e dove suona » (Magnanimo Signor, l’altiero grido, in B. Tasso, Rime, a cura di V. Martignone, Torino, Res, 1995, ode xxxvi 50, vol. ii p. 348). « Illustre pietate » si trova nelle Rime di Torquato (« perch’abbia la pietate illustre esempio »: ed. Basile, cit., mdclxxxiii 8). Sono probabilmente ancora echi tassiani « altera tromba »: « ma due parti del mondo altera tromba » (Rime, cmlxiii 11), « e scrivi al suon d’altera tromba i carmi » (Rime, mcxxxix 5); « ric-che prede »: « che quasi care spoglie e ricche prede » (Rime, lxxxv 2), « e mille ricche prede e mille salme » (Rime, mlxv 3); « vinci la morte »: « vinci la morte del mortal tuo scinta » (di nuovo Rime, dclxii 3).

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13), racconta il paradosso tra il letterato, che con lo splendore della sua poesia oltrepassa le tenebre della morte, e il tempo presente, che lo costringe a vi-vere in una « cieca tomba ».

Nell’esprimere la dovuta riconoscenza per la pietà di Massini al suo dolo-re, Tasso non si limita ad una replica di comodo, ma si sbilancia a delineare, nel suo sonetto di risposta, un orizzonte comune tra i due virtuosi letterati (Rime, p. 73):

Filippo, non sol te l’invidia tinge,e la pietà, dove io sospiri e cante,ché la nostra virtú ritrova amantesempre, e nemico ovunque ’l ciel ne cinge. Ma l’affetto miglior, che ’l core stringe, 5s’odi le pene mie, sí gravi e tante,e lievi sol quando da te son piante,come l’altro men buono indi non spinge? O pur degno è di laude? E l’una trombal’altra invita sovente? E tu, chi tolto 10ha pio regno d’amici a signor empio, cantar potresti; e quando tu sepoltote ’n giaccia, ed io, ma forse in altra tomba,saremo al mondo non vulgare essempio.65

Forse incoraggiato dalla risposta “aperta” di Tasso, che con le sue doman-de si mostra disponibile a un nuovo contatto, Massini non perde occasione di scrivergli un’altra volta. Il nuovo sonetto indirizzato a Tasso sviluppa nel-le due terzine una convenzionale lode del « troppo alto essempio » (v. 14)66 della sua poesia. Il fulcro del componimento è tuttavia da ravvisarsi nelle quartine, dove Massini risponde ai versi del precedente sonetto di Tasso, spie-gando con malcelato autocompiacimento che l’« invidia » (laddove si mo stra « generosa », « nobile » e « pia ») e la « pietà » possono in realtà convivere (Rime, p. 74):

Non m’incolpi a ragion: fregia e non tingenobile invidia, e tu che piangi e cante,

65. Come detto, il sonetto compare anche in Ve87 (c. 39v) con le seguenti varianti: v. 2 dov’io] dove io; v. 4 ’l ciel] il ciel; v. 8 come] perché; v. 9 o pur] forse; vv. 10-11 chi tolto / ha] che tolto / hai. Tra quelle appena citate, l’unica variante significativa riguarda i vv. 10-11: la lezione di Ve87, sintatticamente meno complessa ma priva di complemento oggetto, sembra essere una banalizzazione della lezione contenuta nelle Rime di Massini.

66. Che è un altro calco tassiano: « per alto esempio de’ mortali ordito » (Rime, ed. Basile, cit., mcxx 28).

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hai pietoso nemico, invido amante,che con l’invidia sua d’honor ti cinge. In me pietate invidia avviva e stringe, 5non discaccia e ancide, e le tue tantepene talhor da ’nvidia pia son piante,ch’a ’nvidiarti pietà sovente spinge.

Nella replica finale, con cui si chiude questa prima sequenza di quattro so-netti, Tasso accoglie di buon grado l’osservazione di Massini, accettando la commistione di « nobil invidia » e di « pietà ». Confida quindi di voler cantar le lodi del perugino, ma rivela con rammarico, quasi con rabbia, che ormai la sua « tromba » è silenziosa e « humile », vinta dalle angherie della sorte (Ri-me, p. 74):

Nobil invidia, ch’orna alhor che tinge,io non incolpo in huom che pianga e cantevalor estrano, e se ne mostri amante,con pietà vera, s’altri il preme e cinge. E se tal’è la tua, Massin, chi stringe 5in dir breve tua lode? io fra le tantemie pene acerbe, da me spesso piante,men posso alhor che piú ’l desio mi spinge. Lasso, e quella che chiami altera tromba,è muta non che humile, e a lei tolto 10ha ’l primiero suo pregio il destin empio, (se ci è destino) e ’l nome altrui sepoltoin van cercherei trar d’oscura tomba;ma ’l tuo per sé d’honor fia chiaro essempio.67

Nell’ultimo componimento indirizzato a Tasso, Massini recupera e svi-luppa due temi già presenti nei precedenti sonetti. Egli insiste in primo luo-go sulla dimensione solidale della pietà, che gli consente di immedesimarsi

67. Piú numerose in questo caso le varianti con Ve87 (c. 40r): v. 1 Nobil] Nobile; alhor] al-lor; v. 3 valor estrano] valore oppresso; v. 4 s’altri] ov’altri; v. 5 tal’è] tale è; vv. 5-6 chi stringe / in] che stringe / il; v. 7 da me stesso] e sospirate e; v. 8 men posso alhor che piú ’l desio mi spinge] non posso allor che ’l mio desio mi spinge; v. 10 che humile] ch’humile; e a lei tolto] l’ha già tolto; v. 11 ha ’l primiero] il primiero; destin] destino; v. 12 ci è] c’è. Di nuovo, le lezio-ni proposte nel sonetto contenuto nelle Rime di Massini sembrano in generale preferibili. Ai vv. 5-6, per esempio, la domanda retorica in Ve87 sarebbe poco sensata (« E se tale è la tua, Massin, che stringe / il dir breve tua lode? ») e difficilmente contestualizzabile entro lo svolgi-mento logico del sonetto; ai vv. 10-11, la lezione di Ve87 sembra una banalizzazione della piú elaborata costruzione sintattica delle Rime di Massini.

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nell’esperienza del duro carcere di Tasso. Quindi, nelle terzine, traccia un parallelo tra la sua corsa insieme al « vulgo » poetico e il « volo » di Tasso che si eleva verso altezze vertiginose. Grazie al suo singolare e unico « divin fu-rore », Tasso riesce a vincere le insidie di un presente corrotto, riscattandosi in una dimensione temporale ulteriore, in un “altrove” fuori dal tempo (Ri-me, p. 80):

Stringemi al suon de’ tuoi chiari lamentiil cor pietate, e trahe da gli occhi il pianto,pur tuo carcer torrei penoso tantoper pianger teco in piú canori accenti. Fermansi i cieli ad ascoltar intenti 5l’alta armonia del tuo soave canto,sí ch’homai maggior grido o nuovo vantomercar, Tasso, cantando indarno tenti. Col vulgo io corro e tu, spiegando l’ale,oltre le vie di pellegrina gloria, 10a l’arte insegni, e la natura honore. Di Fortuna e d’Amor nemico stralegià scrive in fronte al tempo amica istoriaper far piú chiaro il tuo divin furore.68

Lo stesso destinatario dà sostanza a tale disegno, manifestando, nell’ultimo sonetto di scambio con Massini, tutto il suo distacco da una prospettiva mon-

68. Con ogni probabilità qui il sintagma « divin furore » non è da intendersi in senso stretto come adesione convinta al principio platonico, quanto piuttosto come metafora per alludere alla poesia o alle prodigiose facoltà compositive di Tasso. Sono comunque alquanto interes-santi le sue notazioni sul furore poetico; in un breve scritto indirizzato a Leonora Sanvitale, Tasso distingue tra furore divino e malinconico, accordando la sua preferenza nei confronti di quest’ultimo: « Perch’io non meno in questa mia prigionia sono stato rapito da divino furore, che commosso da furor di maninconia, poiché gli effetti de l’uno si son divolgati, desidero che l’opere de l’altro eziandio si manifestino: il qual ragionevolmente piú mi devea acquistar di grazia, che l’altro d’odio non m’ha concitato; percioché io da l’uno volontariamente mi son lassato rapire, e da l’altro contra mia voglia sono stato isforzato, avendo iusta mia possa fatta difesa » (Tasso, Lettere, ii 589: Dedicatoria). Si possono vedere su questo punto (che naturalmen-te risulta connesso con il celebre tema della malinconia tassiana): A. Quondam, Il gentiluomo ma linconico, in Arcipelago malinconia. Scenari e parola dell’interiorità, a cura di B. Frabotta, intr. di J. Hillman, Roma, Donzelli, 2001, pp. 93-123; E. Bellini, Agostino Mascardi tra “ars poetica” e “ars historica”, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pp. 48-58; J.M. Cozzarelli, Torquato Tasso and the “Fu-rore” of Love, War and Madness, in « Italica », a. lxxxvii 2007, pp. 173-86; La melanconia. Dal monaco medievale al poeta crepuscolare, a cura di R. Gigliucci, Milano, Rizzoli, 2009, pp. 191-202. Sul te-ma del furore poetico, si veda la recente sintesi di R. Bruni, Il divino entusiasmo dei poeti. Storia di un topos, Torino, Aragno, 2010.

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dana. Tasso canta con malinconica pena il rapido dissolvimento del « fra-gil manto » terreno e, rassegnato, riflette sul veloce scorrere del tempo (Ri-me, p. 80):

Io già piansi e cantai le fiamme ardenti,e la mia sorte, ed hor la piango e canto:né spesso vidi al mio languir cotantopietosi diventar gli occhi pungenti. E piú che strali rapidi e correnti 5gli anni del viver mio fuggono intanto,e si dissolve questo fragil mantoperch’io gloria cercare homai paventi. Né meco haverla puoi, s’a te ne cale,ma fra le dotte scuole, in cui vittoria 10s’ha contra la fortuna e contr’Amore. E s’io pur caggio, quando il cor m’assale,tu, Massin, ne conserva alta memoria,tu, ch’acquisti scrivendo eterno honore.69

La risposta di Tasso si apre con il pronome personale « Io », quasi per allude-re alla distinzione operata nel precedente sonetto e (auto)confermare la pro-pria unicità di poeta che rasenta spesso, specialmente negli anni della prigio-nia, l’ansia della solitudine, la sensazione dell’esclusione.70 Ma il componi-mento si chiude emblematicamente con il « tu », suggerendo quindi ancora viva la possibilità di un dialogo, di un colloquio con l’altro, facilitato senza dubbio dalla pietosa sensibilità mostrata dal perugino.

Questo dialogo acquista pieno senso entro una dimensione prettamente letteraria. Ciò si spiega con una certa facilità nel caso di Tasso, che – prima ancora della sua trasfigurazione a mito romantico – per tutta la vita aveva

69. Si confrontino i versi con la lezione di Ve86: v. 3 né spesso] e rado; v. 4 pungenti] pian-genti; v. 10 scuole] scole; v. 11 contr’Amore] contra Amore; v. 13 tu, Massin] Masin, tu; v. 14 tu, ch’acquisti scrivendo] ch’alcuno hebbe cadendo. Di un qualche rilievo le ultime due varianti, sia per la perdita rispetto alla lezione delle Rime di Massini della anafora ad inizio verso « tu »; sia per il destinatario del ricordo finale, che in Ve86 è Tasso e non piú il poeta perugino.

70. Lo rivela – tra le altre testimonianze – proprio una delle sue lettere scritte da Sant’An-na: « E ’l timor di continua prigionia molto accresce la mia mestizia; e l’accresce l’indegnità che mi conviene usare; e lo squallore de la barba e de le chiome e de gli abiti […]; e sovra tutto m’af-fligge la solitudine, mia crudele e natural nimica, da la quale anco nel mio buono stato era talvolta cosí molestato, che in ore intempestive m’andava cercando o andava ritrovando com-pagnia » (Tasso, Lettere, ii 124, A Scipione Gonzaga, Roma). Sulla solitudine di Tasso, si vedano G. Ficara, Solitudini. Studi sulla letteratura italiana dal Duecento al Novecento, Milano, Garzanti, 1993, pp. 142-47; E. Raimondi, La prigione della letteratura, in Tasso, Dialoghi, cit., pp. 7-56.

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contribuito a plasmare la sua stessa leggenda e a riversarne i tratti piú sugge-stivi e drammatici proprio nelle composizioni letterarie.71 Le sue opere (spe-cialmente quelle piú a diretto contatto con l’esperienza di vita, quali per esem-pio le lettere) restituiscono le mille sfaccettature del poeta, la sua personali-tà complessa, irrequieta e nevrotica, i suoi umori malinconici e disperati. Il ricordo dell’uomo Tasso s’intreccia e diviene pressoché indistinguibile dalla figura del poeta Tasso; assume cioè tutti i caratteri di una memoria “lettera-ria”.

Si chiarisce di qui anche il significato piú profondo di quest’ultimo sonet-to. La rinuncia di Tasso ad inseguire il desiderio di gloria (vv. 7-8) lascia spa-zio alla decisa esortazione a Massini a conservare l’« alta memoria »72 del suo esempio. Tasso affida pertanto il compito di perpetuare la sua fama a Massi-ni e, come a lui, agli altri numerosi poeti che si sono dimostrati compassio-nevoli nei suoi confronti. Allo scorrere del tempo che inghiotte ogni cosa, Tasso oppone la vocazione memoriale della letteratura, per sua natura adi-bita al recupero del passato e alla testimonianza del presente. In altre parole, come scrive Raimondi, « il Tasso di Sant’Anna […] riflette sulla propria con-dizione d’escluso », che vede « riscattata soltanto dalla luce vitale, quantun-que fragile, della letteratura, dalla sua “memoria” custode “di tutte le imagi-ni e di tutte le forme delle cose visibili e intelligibili” ».73 Il Tasso malinconi-co, prigioniero, solitario è anche « tenacemente “deciso” a “resistere”, a “spe-rare”, a scrivere per “vivere” e “rimanere” ai posteri ».74 Cosí il suo dramma diviene anch’esso un topos letterario, la sua solitudine – paradossalmente – una forma letteratissima di conversazione.

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71. Sulla piena responsabilità di Tasso nella creazione del suo mito, risultano imprescindi-bili le antiche esplorazioni di G. Getto, Interpretazione del Tasso, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1951; L. Caretti, Ariosto e Tasso, Torino, Einaudi, 1961. I risultati cui giunsero i due studiosi sono stati di recente ripresi ed ampliati da M.L. Doglio, L’« imagine di se stesso ». Tasso primo « artefice » del suo mito, in Ead., Origini e icone del mito di Torquato Tasso, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 9-38. Sulla forza di suggestione esercitata, tra Sette e Ottocento, dal luogo della reclusione a Sant’Anna, è utile S. Jossa, Il luogo della poesia: la prigione del Tasso a Sant’Anna, in Spazi, geografie, testi, a cura di S. Sgavicchia, num. mon. di « Studi (e testi) italiani », n. 11 2003, pp. 45-57.

72. Sintagma che ricorre di frequente nelle Rime di Tasso: cfr. « cosí rinnova alta memoria antica » (mcxxv 9); « del passato s’oscura alta memoria » (mccliii 74); « ch’illustri alta memoria » (mcclxx 50); « lascia l’unico figlio alta memoria » (mccclxxxviii 229); « a cosí gloriosa alta memoria » (mdlxxv 47).

73. Raimondi, La prigione della letteratura, cit., p. 23.74. Doglio, L’« imagine di se stesso », cit., p. 24.

corrispondenti nelle rime di filippo massini

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Il poeta perugino Filippo Massini è un minore della nostra letteratura, che si avvan-taggia, come tanti altri letterati del tempo, della dimensione aperta e disponibile della società letteraria di fine XVI-inizio XVII secolo. Non solo frequenta tre accademie, si-tuate in città del nord e del centro Italia (Pavia e Perugia), ma scambia componimenti con alcuni dei piú significativi uomini di cultura del tempo. In questo saggio, dopo una perlustrazione di alcune pagine teoriche dello stesso Massini, si prendono in esame i sonetti di corrispondenza con Girolamo Preti, Tommaso Stigliani, Isabella Andreini e Torquato Tasso. Tale confronto conferma la qualità letteraria e la viva tensione che con-traddistinguono la raccolta lirica del perugino.

The Perugian poet Filippo Massini is a minor Italian author who takes advantage, as many other intellectuals of his time, of the open and accessible dimension of late 16 th and early 17 th century literary society. Not only he attends three different academies, which were based in cities of northern and central Italy (Pavia and Perugia), but also he exchanges verses with some of the most important men of learn-ing of the time. This paper, after an overview on some theoretical pages written by Massini himself, examines his correspondence sonnets with Girolamo Preti, Tommaso Stigliani, Isabella Andreini and Torquato Tasso. Such analysis confirms the literary quality and the vivacity characterising Massini’s lyrical collection.