Sulle 'Rime' del perugino Filippo Alberti (1548-1612)

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Aevum, 88 (2014), fasc. 3 LORENZO SACCHINI SULLE RIME DEL PERUGINO FILIPPO ALBERTI (1548-1612) SUMMARY: This article provides an in-depth and comprehensive analysis of Filippo Alberti’s Rime, published in 1602. Once fairly well-known, Alberti’s literary output has hitherto received little scholarly attention by today’s research. This work substantially extends previous knowl- edge on his collection of poems and reconstructs the author’s biography and bibliography. The analysis proceeds by identifying the main topics of the Rime (love, dedication, death, occasional and spiritual poems) and the author’s choice of form and meter with respect to contemporary tendencies. In addition, attention is given to lyrics intertextuality in the aim of determining Al- berti’s main poetic models. As the article shows, his vibrant but balanced poetry was pro- foundly influenced by classical authors (Anacreon, Horace), Petrarch and, lastly, coeval poets, such as Giuliano Goselini and Torquato Tasso, that were both Alberti’s correspondents. 1. Il Tesoro di concetti poetici di Giovanni Cisano e ` il primo archivio tematico della poesia volgare italiana 1 . Uscito a Venezia in due volumi nel 1610, il Tesoro raccoglie e dispone in ordine alfabetico una lunga serie di voci che corrispondono a differenti soggetti poetici, talora a veri e propri topoi. Al suo interno ognuna di queste voci presenta un elenco piuttosto nutrito di citazioni prese da autori diver- si, in un ampio catalogo che prende il via dai classici e giunge ai letterati della prima decade del XVII secolo, passando per gli antichi poeti volgari. Il carattere dichiaratamente selettivo del Tesoro implica la necessita ` di operare scelte consape- voli in merito ad inclusioni ed esclusioni e quindi rivela il gusto personale di Ci- sano, che, presumibilmente, puo ` dirsi almeno in parte rappresentativo di quello della societa ` letteraria di primo Seicento. Non desta cosı ` alcuna sorpresa la pre- senza invasiva di Torquato Tasso e di Ludovico Ariosto, che vantano rispettiva- mente 1155 e 669 occorrenze. Allo stesso modo non stupisce la privilegiata p:/3b2_job/vita-pensiero/Aevum/Aevum-2014-03/06_Lorenzo Sacchini.3d – 5/12/14 – 637 q 2014 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Universita ` Cattolica del Sacro Cuore 1 Tesoro di concetti poetici scelti da’ piu`illustri poeti toscani e ridotti sotto capi per ordine d’alfabeto da Giovanni Cisano [...], in Venetia, appresso Evangelista Deuchino e Gio. Battista Pulciani, 1610. Le considerazioni che seguono si basano sullo studio di A. MARTINI, Rilievi sul ‘Tesoro di concetti poetici’ di Giovanni Cisano, in Petrarca in Barocco. Cantieri petrarcheschi. Due seminari romani, a c. di A. QUONDAM, Roma 2004, 11-32, il quale, a sua volta, muove la sua analisi a partire dai dati raccolti nella tesi di laurea di P. RASELLI, Il ‘Tesoro di concetti poe- tici’ di Giovanni Cisano, Universita ` di Friburgo 2002.

Transcript of Sulle 'Rime' del perugino Filippo Alberti (1548-1612)

Aevum, 88 (2014), fasc. 3

LORENZO SACCHINI

SULLE RIME DEL PERUGINO FILIPPO ALBERTI (1548-1612)

SUMMARY: This article provides an in-depth and comprehensive analysis of Filippo Alberti’sRime, published in 1602. Once fairly well-known, Alberti’s literary output has hitherto receivedlittle scholarly attention by today’s research. This work substantially extends previous knowl-edge on his collection of poems and reconstructs the author’s biography and bibliography. Theanalysis proceeds by identifying the main topics of the Rime (love, dedication, death, occasionaland spiritual poems) and the author’s choice of form and meter with respect to contemporarytendencies. In addition, attention is given to lyrics intertextuality in the aim of determining Al-berti’s main poetic models. As the article shows, his vibrant but balanced poetry was pro-foundly influenced by classical authors (Anacreon, Horace), Petrarch and, lastly, coeval poets,such as Giuliano Goselini and Torquato Tasso, that were both Alberti’s correspondents.

1. Il Tesoro di concetti poetici di Giovanni Cisano e il primo archivio tematicodella poesia volgare italiana 1. Uscito a Venezia in due volumi nel 1610, il Tesororaccoglie e dispone in ordine alfabetico una lunga serie di voci che corrispondonoa differenti soggetti poetici, talora a veri e propri topoi. Al suo interno ognuna diqueste voci presenta un elenco piuttosto nutrito di citazioni prese da autori diver-si, in un ampio catalogo che prende il via dai classici e giunge ai letterati dellaprima decade del XVII secolo, passando per gli antichi poeti volgari. Il caratteredichiaratamente selettivo del Tesoro implica la necessita di operare scelte consape-voli in merito ad inclusioni ed esclusioni e quindi rivela il gusto personale di Ci-sano, che, presumibilmente, puo dirsi almeno in parte rappresentativo di quellodella societa letteraria di primo Seicento. Non desta cosı alcuna sorpresa la pre-senza invasiva di Torquato Tasso e di Ludovico Ariosto, che vantano rispettiva-mente 1155 e 669 occorrenze. Allo stesso modo non stupisce la privilegiata

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1 Tesoro di concetti poetici scelti da’ piu illustri poeti toscani e ridotti sotto capi per ordined’alfabeto da Giovanni Cisano [...], in Venetia, appresso Evangelista Deuchino e Gio. BattistaPulciani, 1610. Le considerazioni che seguono si basano sullo studio di A. MARTINI, Rilievi sul‘Tesoro di concetti poetici’ di Giovanni Cisano, in Petrarca in Barocco. Cantieri petrarcheschi.Due seminari romani, a c. di A. QUONDAM, Roma 2004, 11-32, il quale, a sua volta, muove lasua analisi a partire dai dati raccolti nella tesi di laurea di P. RASELLI, Il ‘Tesoro di concetti poe-tici’ di Giovanni Cisano, Universita di Friburgo 2002.

posizione di Francesco Petrarca, che, con 239 occorrenze, compare appena dietroalla coppia di autori cinquecenteschi. Immediatamente a seguire, quale nuova te-stimonianza della loro recente fama, si trovano i viventi Angelo Grillo e GiovanBattista Marino. Scorrendo il resto del catalogo degli scrittori citati secondo il nu-mero delle loro occorrenze, si rileva una generale preferenza per i maggiori autoricinquecenteschi (Bembo, Alamanni, Varchi, Guidiccioni, Della Casa), che conqui-stano le posizioni piu alte.

Celebrando da un lato, con Petrarca, le origini della tradizione lirica, ed esaltan-do, per il tramite della fortunata stagione cinquecentesca, il felice ed esuberante ta-lento dei contemporanei Grillo, Marino e Preti (di cui viene presa in considerazionela recentissima Salmace del 1608), il canone proposto dal Tesoro risulta quindi fon-dato su un’idea di continuita della tradizione letteraria. All’interno di questa tradi-zione, che annovera perlopiu nomi alquanto canonici, una delle poche sorprese ecosı rappresentata dalle 25 occorrenze raccolte dal «dimenticato, discreto quanto ec-cellente poeta perugino Filippo Alberti», che risulta essere, dopo Guarini, il lettera-to piu presente tra quelli «della generazione intermedia tra Tasso e Marino»2.

Questa significativa consacrazione di Alberti e in qualche modo comprovataproprio dall’ultima coppia di letterati che non manco, in momenti diversi, di offrireil proprio omaggio al poeta umbro. Mentre Tasso corrispose direttamente con Al-berti 3, l’autore dell’Adone ricordo il perugino nella celebre lettera prefatoria a Clau-dio Achillini in apertura della Sampogna del 1620. In questo scritto, insieme dipoetica e di polemica (contro Stigliani), Marino menziona con compiaciuto orgoglioi tanti letterati e uomini di cultura che hanno celebrato con entusiasmo le sue opere.L’elenco comprende anche i nomi di figure divenute col tempo meno cospicue, trale quali compare proprio il nome del poeta Filippo Alberti, che secondo Marino eda annoverarsi tra i «lumi del secol nostro» 4.

La canonizzazione post mortem offerta da Marino e pero culmine e ultimo attodella fortuna di Alberti, che venne a cambiar definitivamente di segno gia nel se-condo quarto del XVII secolo. Da quel momento in poi il suo nome e stato avvoltoda una coltre di silenzio, che nel corso dei secoli si e fatta sempre piu spessa. Pursenza enfasi o celebrazione, Alberti e ricordato in alcuni dei maggiori lavori eruditisettecenteschi; sfugge invece all’attentissimo Tiraboschi e non e presente nelle sto-rie letterarie ottocentesche 5. Soltanto la tradizione erudita perugina, impegnata fin

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2 MARTINI, Rilievi sul ‘Tesoro’, 22. Citazioni dalle Rime di Alberti compariranno, seppure inmisura minore, anche nel successivo repertorio tematico del domenicano G.B. SPADA, Giardinodegli epiteti, traslati ed aggiunti poetici italiani [...], Venezia, appresso Francesco Baba, 1652.

3 Sul rapporto tra Tasso ed Alberti, si vedano infra i § 2 e 9.4 G.B. MARINO, La Sampogna, a c. di V. DE MALDE, Parma 1993, 32-33 (dove in nota la

curatrice avverte con ragione che il nome di Alberti non compare in alcun altro luogo della pro-duzione mariniana); sulla lettera prefatoria si veda EAD., Introduzione, in MARINO, La Sampogna,IX-LII: XXXI-XXXIX; sulle prose della Sampogna sono ancora imprescindibili le antiche pagi-ne di E. RAIMONDI, Alla ricerca del classicismo, in ID., Anatomie secentesche, Pisa 1966, 27-41.Resta ancora da stabilire se Alberti fosse stato effettivamente un estimatore di Marino o se que-st’ultimo si fosse ‘‘impossessato’’ scaltramente del consenso dell’ormai defunto poeta.

5 Si ricavano solo brevi notizie sulla sua produzione lirica in G.M. CRESCIMBENI, Comentaridel canonico G.M.C. custode d’Arcadia intorno alla sua Istoria della volgar poesia [...]. Volu-me quarto, in Venezia, presso Lorenzo Basegio, 1730, 189; F.S. QUADRIO, Della storia e della

dal XVII secolo a promuovere con orgoglio campanilistico l’opera di Alberti, hafornito i primi preziosi dati concreti su cui basare nuove ricerche. I migliori contri-buti sono la tanto generosa quanto imprecisa opera antologica settecentesca di Gia-cinto Vincioli, la ricca e minuziosa Biografia ottocentesca di Giovan BattistaVermiglioli ed il breve opuscolo per le nozze Ferrari-Roberti del 18966.

La fortuna critica di Alberti in ambito letterario e definitivamente tramontata ne-gli ultimi due secoli. A lui e comunque dedicata la rapida scheda biografica traccia-ta da Alberto Asor Rosa nel Dizionario Biografico degli Italiani, nella quale lostudioso non nasconde perplessita sulle qualita di scrittura di Alberti. Asor Rosa ri-conosce infatti quale «unica nota relativamente originale della raccolta» di rime delperugino la capacita di «imitazione di Anacreonte» ed apprezza con qualche riservail «tentativo di reagire, [...] superficialmente, al magistero petrarchesco» 7. Soltantonell’ultima decade del Novecento Piero Gargiulo ha dedicato un contributo ad Al-berti quale autore di madrigali, sottolineando il favore che egli ricevette pressoMonteverdi 8.

2. La scarsa attenzione che ha finora destato la figura di Alberti si riflette inevita-bilmente sulla limitatezza di notizie intorno alla sua vita che rimane per lunghitratti oscura. Alberti nacque a Fratta (oggi Umbertide), nel contado di Perugia, il26 marzo del 1548 dal padre Luca e dalla madre Ippolita Pietrogalli. Mancano

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ragione d’ogni poesia. Volume secondo [...], in Milano, nelle stampe di Francesco Agnelli,1741, 287. Piu dettagliate le informazioni che riporta G.M. MAZZUCHELLI, Gli scrittori d’Italia,cioe notizie storiche e critiche intorno alle vite e agli scritti dei letterati italiani [...], I/1, in Bre-scia, presso a Giambatista Bossini, 1753, 302-03.

6 G. VINCIOLI, Rime di Leandro Signorelli ed altri poeti perugini [...], in Foligno, per Pom-peo Campana, 1729, 205-15; G.B. VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini e notizie delleopere loro, I, Perugia, presso Vincenzio Bartelli e Giovanni Costantini, 1828, 1-4; Opuscolo pernozze Ferrari-Roberti, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, [1896]. Quest’ultimo rarissimodocumento, che contiene la ristampa del sonetto di Alberti Lasci, legno felice, a tergo il mondoed un’attenta biografia dell’autore, appartiene alla ipertrofica e spesso trascurata produzione dinuptialia ottocenteschi (su cui hanno scritto O. PINTO, Nuptialia. Saggio di bibliografia di scrittiitaliani pubblicati per nozze dal 1484 al 1799, Firenze 1971; R. CARAPELLI, Scrivere per nozze,in N. ASPESI, E. GULLI GRIGIONI, R. CARAPELLI, Scrivere per amore, pref. di G. TAMASSIA, Firenze1993, 80-95; G. BOSI MARAMOTTI, Le Muse d’Imeneo. Le metamorfosi letterarie dei libretti pernozze dal ’500 al ’900, Ravenna 19962; M. BARDUCCI, ‘‘Per il giorno dell’imene, quattro versici stan bene’’. Una raccolta di scritti per nozze, e L. MELOSI, Scrivere per gli sposi. Dagli appa-rati dinastici agli omaggi accademici, in Invito a nozze. I nuptialia della Biblioteca delle Obla-te, a c. di M. BARDUCCI, Firenze 2009, 11-60; 61-94). Entro il Seicento forniscono minimiragguagli su Alberti le opere erudite ‘‘locali’’ di C. ALESSI, Elogia civium Perusinorum qui pa-triam rerum pace ac bello gestarum gloria illustrarunt. Centuria prima [...], Fulginiae, apudAugustinum Alterium, 1635, 196-97; C. CRISPOLTI, Perugia Augusta, Bologna 1974, 380 (rist.anast. dell’ed. orig. Perugia 1648); L. JACOBILLI, Bibliotheca Umbriae sive de scriptoribus Pro-vinciae Umbriae alphabetico ordine digesta, Fulginiae, apud Augustinum Alterium, 1658, 228;A. OLDOINI, Athenaem Augustum in quo Perusinorum scripta publice exponuntur [...], Perusiae,typis et expensis Laurentii Ciani et Francisci Desideri, 1678, 283-84.

7 A. ASOR ROSA, Alberti, Filippo, in DBI, 1, Roma 1960, 692.8 P. GARGIULO, Da Cortellini a Monteverdi? Intonazioni a confronto su un testo di Filippo

Alberti, in Claudio Monteverdi. Studi e prospettive. Atti del Convegno. Mantova, 21-24 ottobre1993, a c. di P. BESUTTI, T.M. GIALDRONI, R. BARONCINI, Firenze 1998, 191-213.

del tutto notizie sulla prima giovinezza di Alberti e risulta altrettanto indetermina-ta la sua formazione. La maggioranza delle fonti accenna solo brevemente allasua pratica giovanile negli studi giuridici e letterari, svolti con tutta probabilitanel capoluogo umbro. Nel 1572 il ventiquattrenne Alberti venne scelto come coa-diutore del cancelliere del comune di Perugia 9. La lunga esperienza maturata inquesto ruolo dovette essergli di grande aiuto quando, nel 1587, lui stesso assunsela direzione della cancelleria comunale.

Nelle ore libere dal suo lavoro, Alberti componeva poesie, leggeva i classici esoprattutto frequentava le riunioni della perugina Accademia degli Insensati 10. Ilconsesso umbro, attivo dal 1561, occupo, almeno sino all’inizio del secolo succes-sivo, una posizione predominante tra i sette sodalizi accademici presenti in citta 11.Era il luogo privilegiato dove era solita radunarsi la nobilta letterata perugina. QuiAlberti poteva godere delle conversazioni con i piu importanti uomini di cultura cit-tadini, tra i quali si ricordano almeno il latinista Marco Antonio Bonciari, il poeta eprosatore Leandro Bovarini, lo storico, erudito e collezionista Cesare Crispolti, ilpoeta e giurista Filippo Massini e il bibliotecario Prospero Podiani.

L’impresa di Alberti, aggregato in accademia con il nome di Stracco, rappresen-ta un piccolo uccello – probabilmente una rondine – mentre abbandona in mare unramoscello che aveva nel becco. Era accompagnata dal motto «defessa non diffi-sa» 12. Stando all’interpretazione che ne fornisce il milanese Filippo Picinelli, l’im-presa intende dimostrare che la stanchezza fisica del volatile («defessa») non si

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9 Tra i primi documenti firmati da Filippo Alberti a nome dei Priori vi e una lettera del 18febbraio 1572 inviata all’ambasciatore perugino in Roma Scipione della Staffa. La missiva, con-tenuta tra le carte del manoscritto 2474 della Biblioteca Augusta di Perugia (= BAP), invita dellaStaffa a restare a Roma ancora qualche giorno e intende rassicurarlo del fatto che comunque sarasostituito a breve (f. 39r).

10 Grazie al contributo di Panzanelli Fratoni e possibile rintracciare i libri presi a prestito daAlberti dalla biblioteca del suo amico Prospero Podiani. Il poeta tenne in lettura opere di Clau-dio Eliano, dei tragici greci, di Pindaro, di Marziale, di Plutarco, di Strabone, e cosı via (M.A.PANZANELLI FRATONI, Tracce di circolazione del libro a Perugia tra Cinquecento e Seicento, inBiblioteche nobiliari e circolazione del libro fra Settecento e Ottocento. Atti del convegno nazio-nale di studio, Perugia, Palazzo Sorbello, 29-30 giugno 2001, a c. di G. TORTORELLI, Bologna2002, 263-325: 311-12).

11 Sull’Accademia degli Insensati si vedano almeno le ricerche di E. IRACE, Le Accademieletterarie nella societa perugina tra Cinquecento e Seicento, «Bollettino della Deputazione distoria patria per l’Umbria», 87 (1990), 155-78; EAD., Le Accademie e la vita culturale, in Storiaillustrata delle citta dell’Umbria. Perugia, a c. di R. ROSSI, II, Milano 1993, 481-96; EAD., Ac-cademie e cultura ecclesiastica in antico regime, in Una Chiesa attraverso i secoli. Conversa-zioni sulla storia della Diocesi di Perugia, a c. di R. CHIACCHELLA, II. L’Eta moderna, Perugia1996, 59-73; L. SACCHINI, Verso le virtu celesti. La letterata conversazione dell’Accademia degliInsensati di Perugia (1561-1608), Tesi di dottorato, Durham University (UK) 2013; ID., Scrittiinediti dell’Accademia degli Insensati nella Perugia del secondo Cinquecento, «Lettere italiane»,65 (2013), 376-413; L. TEZA, Caravaggio e il frutto della virtu, Milano 2013, 41-47.

12 Si puo vedere l’emblema di Alberti in un codice di 44 imprese degli Accademici Insensaticonservato presso l’Archivio Storico dell’Universita di Perugia (manoscritto senza collocazionedefinitiva, ma appartenente alla Parte III del fondo). Lo ha descritto per prima Maria AlessandraPanzanelli Fratoni in Doctores excellentissimi: giuristi, medici, filosofi e teologi dell’Universitadi Perugia (secoli XIV-XIX). Mostra documentaria, Perugia 20 maggio-15 giugno 2003, a c. diC. FROVA, G. GIUBBINI, M.A. PANZANELLI FRATONI, Citta di Castello 2003, 192-94; si legge un’il-lustrazione del codice (con un’ipotesi di datazione entro la fine degli anni ’80 del Cinquecento)in SACCHINI, Verso le virtu celesti, 158-66.

trasforma nella perdita di ogni speranza («non diffisa»), perche non riesce ad intac-care la prontezza ed animosita dello spirito dell’accademico 13.

La partecipazione alle sedute degli Insensati, cosı come l’impegno presso la can-celleria, dovettero subire un’interruzione all’inizio del 1588, quando la vita di Al-berti fu turbata da un evento tanto drammatico quanto oscuro, la prigionia. Lorende noto una lettera di Torquato Tasso del 9 gennaio 1588. Rivolgendosi al peru-gino, Tasso esprime tutta la sua solidarieta: il poeta della Liberata, che sa bene«quanta sia la noia e ’l rincrescimento de la prigionia, o piu tosto il tormento e l’in-felicita», non puo non biasimare la «avversa fortuna» che ora ha colpito il poetaumbro 14. Tuttavia le ragioni e i contorni di questo arresto restano ignoti. Si puo tut-tavia almeno ipotizzare che esso non costituı un avvenimento troppo grave per lareputazione di Alberti, il quale ben presto torno a lavorare come cancelliere. Il poe-ta umbro, come ricorda Ottavio Lancellotti nelle sue Effemeridi manoscritte, sispense a Fratta il 22 settembre del 1612 all’eta di 64 anni 15.

Al fine di ricostruire la bibliografia a stampa di Alberti, si deve di nuovo ricor-rere all’opera erudita di Vermiglioli 16. Il suo esordio poetico avvenne nel 1576,

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13 F. PICINELLI, Mondo simbolico formato d’imprese scelte, spiegate ed illustrate con senten-ze ed eruditioni sacre e profane [...], in Milano, nella stampa di Francesco Vigone, 1669, 205.Nel medesimo luogo si dice che la rondine sostenuta dallo stecco rappresenti san Disma, il mal-fattore crocifisso alla destra di Gesu. L’impresa di Alberti non e sfuggita all’ipertrofico compen-dio Dell’imprese di Scipione Bargagli (in Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi senese,1594), che apprezzo l’accostamento ingegnoso nel motto di due verbi graficamente simili (defeti-scor e diffido) e di significato tanto «diverso» (271). L’emblema di Alberti e ricordato e celebra-to anche nell’opera di S. PIETRASANTA, De symbolis heroicis libri IX [...], Antuerpiae, exOfficina Plantaniana Balthasaris Moreti, 1634, 439-40.

14 Lettera a Filippo Alberti, in T. TASSO, Lettere inedite, a c. di A. SERASSI, Pisa, presso Nic-colo Capurro, 1827, 145. Nella medesima epistola Tasso esprime con sincerita la sua vicinanzaad Alberti, ricordando che in passato il perugino l’aveva «tante volte consolato» quando egli era«stato vicino a la disperazione». In effetti i due letterati si conoscevano di persona: i contatti tradi loro ebbero luogo a Ferrara quando i due si ritrovavano a parlare di poesia e di Coppetta inparticolare. Scrive infatti Alberti, nei suoi inediti Elogi degli huomini illustri di Perugia, cheTasso discorrendo con lui «piu volte in Ferrara, pareva che sentisse infinita dolcezza ogn’horache si ricordava il nome del Coppetta» (BAP, ms. M 43, f. XIVv). Per la trascrizione dai testiantichi si sono adottati criteri tendenzialmente conservativi. Si e mantenuta l’h etimologica epseudoetimologica; si e rispettata la forma analitica delle preposizioni articolate; si sono conser-vati i nessi -ti e -tti davanti a vocale. Si e invece distinto u da v; si sono sciolte senza segnala-zione le abbreviazioni presenti; si e ridotto et in e o ed a seconda della posizione. Sono staticonformati al moderno l’uso della punteggiatura, degli accenti, degli apostrofi e delle maiuscole.

15 O. LANCELLOTTI, Effemeridi perugine, BAP, ms. G 36 citato in Opuscolo per nozze, 19; lanotizia e ripresa anche da VERMIGLIOLI, Biografia, I, 2.

16 Tra le carte della Biblioteca Augusta di Perugia si trovano quattro manoscritti di fonda-mentale importanza per lo studio di Alberti. Si tratta dei codici M 43, E 21, I 11 e I 113. Il pri-mo di questi presenta l’opera storica citata poc’anzi, gli Elogi degli huomini illustri di Perugia,vale a dire una raccolta di 35 biografie di altrettanti celebri personaggi della citta, con una storiadel popolo perugino e un componimento poetico intitolato Trasimeno e Agille. Gli altri tre ma-noscritti sono sillogi di poesie di Alberti. Il primo, piu breve, di 60 carte e senza dedica e tavoladei componimenti; comprende 92 liriche con minime cancellature: le poche correzioni fannopensare ad errori di copiatura e non a varianti d’autore. Il manoscritto I 11 e di 130 carte; an-ch’esso senza introduzione e con ben 160 componimenti, risulta senz’altro il piu interessanteperche a c. 96r comprende le «Rime dell’Alberti raccolte doppo la morte di lui e nuovamentestampate». Si tratta in realta di una serie di composizioni in parte gia stampate e in parte inedite;tra queste le piu interessanti sono raccolte nella serie di 7 «madrigali burleschi» intitolata Nasei-

quando due suoi sonetti vennero inseriti nella stampa della commedia i Morti vividell’Accademico Insensato Sforza Oddi. Alberti, che si presenta unicamente col no-me accademico di Stracco, non pare comunque digiuno di astuzie retoriche e nelprimo dei due componimenti confeziona una fitta rete di antitesi («morto» contrap-posto a «vivo») che alludono al titolo dell’opera di Oddi:

Per ch’abbian vita dopo morte i morti,e glorioso nome in vita i vivi,a chi far ne puo tosto e vivi e morti,sacriam d’un vivo spirto i MORTI VIVI

17.

Il suo nome rimase senz’altro limitato al contesto perugino almeno sino al 1584.In quest’anno, infatti, venne pubblicata la seconda edizione delle fortunatissimeRime piacevoli di Caporali e di Mauro (Parma, senza indicazione tipografica maViotti), che comprende un buon numero di componimenti di Alberti 18. I testi scel-ti per l’occasione, che poi confluiranno nelle Rime del 1602, rappresentano uncampione significativo (benche non esaustivo) della poesia di Alberti. Non sor-prende che siano numerosi i madrigali, quasi tutti di argomento amoroso. I brevitesti si accompagnano ad alcuni sonetti di corrispondenza e ai componimenti diargomento leggero scritti nei metri piu lunghi: in definitiva la selezione premial’aspetto piu disimpegnato della produzione lirica del perugino.

Nel 1589 egli pubblico l’Aso. Canzone fatta in soggetto di Sisto V (in Roma,appresso Tito e Paolo Diani) e nel 1600 diede alle stampe una nuova composizioneper un papa, la Canzone in lode di Nostra Santita Clemente VIII (in Perugia, perVincentio Colombara). Finalmente, due anni piu tardi, le Rime di Alberti ottennerola loro veste definitiva e furono pubblicate nel medesimo anno sia a Roma per Gu-glielmo Facciotto sia a Venezia per i tipi di Giovan Battista Ciotti 19. Non si puo fa-re a meno di notare la scelta ambiziosa di Alberti, che aveva deciso di pubblicarela sua raccolta di rime presso lo stampatore veneziano, vale a dire «l’editore piu

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de (ff. 121v-123r). L’umorismo di Alberti gioca sulla smisurata lunghezza del naso di Alcone,che adombra le altre parti del corpo; addirittura puo essere usato come meridiana per indicare leore del giorno (e il tema del primo madrigale Dorme e aperta tiene). Il manoscritto I 113, di108 carte, e una copia tarda di una selezione di rime e comprende 107 componimenti. Nonostan-te sia stato allestito successivamente alle stampe romana e veneziana del 1602 (di cui si dira diseguito nel testo), non sembra dipendere da queste.

17 La recente edizione della commedia curata da Anna Rita Rati e fondata proprio sul testodel 1576 (in Perugia, ad instantia di messer Luciano Pasini, per Baldo Salviani): S. ODDI, I mortivivi, in ID., Commedie. ‘L’Erofilomachia’, ‘I morti vivi’, ‘Prigione d’Amore’, Perugia 2011, 311-467 (il sonetto di Alberti e a p. 320, vv. 1-4).

18 Rime piacevoli di messer Cesare Caporali da Perugia accresciute da altre sue non piustampate e con l’aggionta d’alcune parte burlesche e parte gravi di diversi nobilissimi ingegni[...], [Viotti], in Parma, 1584, 181-212. Agostino CASU ricostruisce con grande attenzione la tra-dizione delle stampe cinquecentesche delle Rime piacevoli, la cui princeps e del 1582: Sonetti«fratelli». Caro, Venier, Tasso, «Italique», 3 (2000), 47-87: 73n-77n.

19 E identico il frontespizio delle due edizioni: F. ALBERTI, Rime di F.A. nell’Academia degli Insensati di Perugia detto lo Stracco. All’illustrissimo ed eccellentissimo signor Ascanio Del-la Cornia, marchese di Castiglione etc., in Roma, appresso Guglielmo Facciotto, 1602; in Vene-tia, presso Gio. Battista Ciotti, 1602.

importante per la lirica del tempo» 20. L’anno successivo entrambe le tipografie pro-dussero una ristampa della raccolta di Alberti 21. Egli aveva poi in progetto di alle-stire una seconda parte del suo libro di Rime, che non fece in tempo a giungerealle stampe 22.

Nel presente studio si e scelta come testo d’analisi la prima edizione venezianadelle Rime di Alberti. La preferenza verso la stampa Ciotti si spiega in considera-zione dell’importanza dello stampatore, del piu alto numero dei componimenti pre-senti e della maggior cura posta nel volume rispetto alla stampa romana, che peresempio non esplicita, se non in rari casi, l’argomento del singolo componimento 23.

3. A differenza delle piu note raccolte poetiche di fine Cinquecento e inizio Sei-cento, le Rime di Alberti contengono un numero di componimenti piuttosto conte-nuto: vi si leggono 138 liriche, 11 delle quali sono sonetti di corrispondenti. Trale rime scritte da Alberti si riconoscono 74 sonetti, 43 madrigali e 10 composizio-ni in metri piu estesi.

Queste ultime mostrano le due direzioni (del tutto complementari) della poesiadi Alberti, da un lato intesa a recuperare le forme della tradizione, dall’altro volta apromuovere e condividere le coeve sperimentazioni metriche. Rientrano nella primatipologia il dolce e manierato «dialogo» tra Alessi ed Iride Di questi fiori ond’io(Rime, 64-67) modulato su 10 strofe di 10 versi (aBaBcdDCEE, senza congedo), la

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20 Cosı lo definisce Emilio Russo (Marino, Roma 2008, 57), il quale non manca di ricordareche, oltre alle Rime di Marino, nei primissimi anni del Seicento uscirono per i tipi di Ciotti leraccolte di Casoni e di Stigliani e le ristampe delle opere di Guarini e di Grillo. E ora disponibi-le sull’editore veneziano (ma senese di nascita) la monografia di D.E. RHODES, Giovanni BattistaCiotti (1562-1627?). Publisher Extraordinary at Venice, Venezia 2013.

21 Fino ad ora si e generalmente creduto che soltanto Ciotti avesse allestito la ristampa delleRime di Alberti. Al contrario anche Facciotto ne fece una nel 1603: una delle rarissime copie, senon l’unica, di questa impressione e conservata presso la Biblioteca comunale Giosue Carduccidi Citta di Castello (ringrazio la dottoressa Antonella Alunni per la gentile conferma). Le Rimedi Alberti vennero quindi incluse nel 1608, con autonomo frontespizio, nella raccolta Giardin dirime, nel quale si leggono i fiori di nobilissimi pensieri [...], in Venezia, presso Bernardo Giuntie Gio. Battista Ciotti e compagni. Questa singolare collezione di rime prevedeva la ristampa e lalegatura in un unico volume delle raccolte poetiche di autori coevi (Casoni, Stigliani, Alberti ecosı via); non era pero un’antologia poetica come il titolo lascia supporre.

22 Si ricava la notizia dal citato Opuscolo per nozze, 11-12, il quale a sua volta fa riferimen-to al manoscritto B 16 della BAP, dove si legge un’assai breve adespota Notizia di Filippo Al-berti poeta (f. 372r-v). Una parte dei componimenti inediti si legge – come detto – nel ms. I 11della BAP. Le Rime di Alberti non vennero piu stampate in forma autonoma dopo la morte delloro autore. Alcuni componimenti della raccolta sono pero compresi nella citata antologia sette-centesca di Vincioli (si veda supra, n. 6).

23 Al fine di non procurare interruzioni nel corso della lettura, i riferimenti alle pagine del-l’edizione veneziana, identificata con il titolo di Rime, sono compresi nel testo tra parentesi ton-de. L’esemplare che si e consultato e conservato presso la BAP (collocazione I O 277). Lanumerazione delle carte procede con regolarita da p. 1 a p. 72, ma presenta problemi nella re-stante parte del volume (da p. 73* a p. 116*). Nelle citazioni dei componimenti da quest’ultimasezione si e cosı proceduto alla ricostruzione della giusta numerazione e alla segnalazione del-l’intervento con un asterisco che segue l’indicazione della pagina. Nell’edizione Ciotti sono com-presi 18 componimenti in piu dell’edizione Facciotto. L’unica rima di questa seconda edizionenon presente anche in quella veneziana e il madrigale Udite o meraviglia (a p. 106), che ha lostesso incipit della canzone in morte di Giuliano Goselini (nelle Rime veneziane: 68-70).

lunga e complessa canzone per Sisto V, Di giunghi e d’alghe il crin canuto adorno(Rime, 46-51), che e suddivisa in 9 ampie strofe di 17 versi (AbCACBdEFDGef-gEHH) ed ha un congedo di 3 versi, e le due composizioni in ottava rima Donne,pregio del mondo e di natura e Quel che fa, donne, il tempo avaro ed empio (ri-spettivamente Rime, 87*-90*, 91*-95*). Non si distacca dai moduli della canzonepetrarchesca il componimento Mal fai, nobil pittor, s’a questa altera (Rime, 53-57),che pure presenta una rima estrampa al primo verso di ogni coppia di strofe(AbcBcdeDEFFGG, 10 strofe senza congedo). La canzone per Clemente VIII, Men-tre il mondo apparecchia e bronzi e marmi (Rime, 36-40), risulta una complicazio-ne della forma metrica antica e presenta 11 strofe di 12 versi (AbABCDeedCfF) eun congedo di 7 versi. Sono invece senz’altro piu vicine ai risultati meno scontatidella ricerca metrica tardo-cinquecentesca la lirica in morte di Giuliano Goselini,Udite o meraviglia (Rime, 68-70, con 9 strofe di 8 versi abBaCcdD) senza conge-do, e la canzone-ode d’ispirazione oraziana Udiron pure al fine (Rime, 74*-76*),con schema metrico abbCBcdD e breve congedo di 3 versi 24. Analogamente sonoda ricondursi alle piu significative innovazioni metriche coeve le due canzoni ana-creontiche De l’alba hai l’auree chiome e O te sempre beata (Rime, 21-22; 28-30),che hanno identiche strofe di 4 versi ciascuna secondo lo schema aBbA. Pare tutta-via evidente, da questa breve digressione, che pur accogliendo alcune delle novitadella metrica contemporanea, Alberti ne rifiuto gli esiti piu audaci ed eccentrici.Con questa scelta dimostro di saper cogliere con la dovuta consapevolezza e capa-cita critica le trasformazioni in atto, soprattutto quando indirizzate verso il recuperodelle forme classiche (come testimoniano le due anacreontiche e la riproposizionedell’ode oraziana).

All’interno delle Rime le liriche si succedono senza alcuna distinzione di tipometrico o contenutistico 25. Il «rustico ma nuovo ordine» mariniano 26, che prevedeuna suddivisione in «capi» delle rime, resta al di fuori delle competenze di Alberti.Tuttavia, sebbene non distinte per forme, le Rime del perugino, al pari di quelle diMarino, recuperano e ‘‘complicano’’ l’archetipa struttura tripartita del tardo e in-compiuto riordinamento delle rime tassiane. Il progetto di Tasso contemplava lasuccessione di liriche amorose, encomiastiche e spirituali; da lı Marino aveva creatole sue celebri otto sezioni 27. Per parte sua Alberti ha sviluppato una serie di temi

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24 Per lo sviluppo diacronico della forma canzone, con accenni alle odi e alle canzonette, sivedano le pagine di G. GORNI, Le forme primarie del testo poetico [1984], in ID., Metrica e ana-lisi letteraria, Bologna 1993, 11-134: 15-62.

25 La Tavola finale (Rime, 109*-116*) suddivide comunque le liriche in «sonetti», «madria-li», «canzoni» e «stanze» (i due componimenti in ottave).

26 G.B. MARINO, Rime amorose, a c. di O. BESOMI - A. MARTINI, Ferrara-Modena 1987, 30.Per le questioni che seguono intorno alle trasformazioni degli aspetti formali del canzoniere traCinque e Seicento, risulta indispensabile lo studio di A. MARTINI, Le nuove forme del canzonie-re, in I capricci di Proteo. Percorsi e linguaggi del Barocco. Atti del convegno di Lecce 23-26ottobre 2000, Roma 2002, 199-226.

27 Sono tutte puntualmente ricordate nel frontespizio della prima parte delle Rime di GiovanBattista Marino. Amorose, marittime, boscherecce, heroiche, lugubri, morali, sacre e varie [...],in Venetia, presso Gio. Battista Ciotti, 1602. Il primo e precoce esempio di raggruppamento te-matico ricorre nelle Egloghe di Girolamo Muzio (in Vinegia, appresso Gabriel Giolito de Ferrarie fratelli, 1550).

che ricalcano e fondono uno con l’altro i temi espressi nell’ordinato sistema mari-niano. In coda alla raccolta si rileva la significativa eccezione di una sezione com-patta di 11 testi di stampo morale (Rime, 97*-102*). Nelle restanti pagine il temadi gran lunga piu trattato e quello amoroso, che viene sviluppato da ben oltre lameta delle liriche.

I motivi dei singoli componimenti sono anticipati da un’intestazione, che puoavere i caratteri di un breve titolo o di una piu ampia dichiarazione. A differenza diquanto gia proposto da Guarini nelle sue Rime del 1598, che aveva optato esclusi-vamente per il primo tipo, nella raccolta di Alberti prevale, tra le due, la secondaforma, che puo associarsi indifferentemente ai sonetti e ai madrigali 28. Talvolta lostesso tema e svolto in piu componimenti «nel medesimo soggetto», secondo unaformulazione che era assai comune nei canzonieri del tempo. La riproposizione convariatio di un unico motivo crea dei micro-filoni tematici, che non sembrano far si-stema uno con l’altro, ma danno invece l’impressione di essere semplicemente giu-stapposti in sequenza. Le Rime di Alberti infatti non sono un canzoniere propria-mente detto, ossia non creano uno sviluppo narrativo tra le diverse liriche, ma pro-cedono piuttosto per singoli episodi o per isolati percorsi tematici, che iniziano eterminano nel breve spazio di pochi componimenti.

4. Dopo una breve dedica al marchese Ascanio II Della Cornia dell’Insensato Ce-sare Crispolti, che osanna le Rime di Alberti per essere «veramente degne di vi-ta», il volume si apre con un sonetto in omaggio al medesimo signore (Sorgesovra le palme e sovra i pini: Rime, 7) 29. Ascanio era figlio di Diomede e nipotedell’omonimo celebre condottiero umbro, che nel 1563 ottenne da papa Pio IV iltitolo di marchese di Castiglione del Lago, Chiugi e Castel della Pieve. La fami-glia Della Cornia era spesso destinataria di opere letterarie degli accademici peru-gini. Cio si verificava non solo perche il casato dei Della Cornia era sensibilealla promozione delle lettere e poteva contare sui servigi di un ristretto gruppo diletterati, ma anche perche la sua nobilta aveva una dimensione tangibile e stabilea differenza del precario potere dei cardinali legati e dei governatori, che esercita-vano i loro mandati solo per periodi di tempo relativamente brevi 30.

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28 Le oscillazioni tra l’una e l’altra tipologia possono essere assai significative: il sonetto Fi-da mia penna, se di farmi honore, per esempio, e presentato con il titolo «In disdegno» e il ma-drigale Se nol sai, rido, Alcone e introdotto dalla prolissa dichiarazione «Si ride d’un amantecanuto che si tingeva la barba» (Rime, 19, 80*).

29 C. CRISPOLTI, All’illustrissimo ed eccellentissimo signore e patrone colendissimo il signorAscanio Della Cornia marchese di Castiglione, in ALBERTI, Rime, 3-6: 4.

30 Su Ascanio I si vedano I. POLVERINI FOSI, Ascanio Della Corgna, in DBI, 36, 1988, 761-67;E. CALZOLARI, Ascanio Della Corgna: i combattenti umbri e il ‘‘gran soccorso’’ di Malta nellacanzone di un anonimo coevo, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», 94(1991), 161-86; G. LANA, Ascanio I Della Corgna e il suo tempo, Castiglione del Lago 1999; W.CORELLI, Splendore ed apoteosi di Ascanio della Corgna marchese di Castiglione del Lago, delChiusi e di Castel della Pieve, Perugia 2000; sulla famiglia e sulla sua tradizione di mecenatismo:M.G. DONATI GUERRIERI, Lo stato di Castiglione del Lago e i Della Corgna, Perugia 1972; G. SA-

PORI, I Della Corgna mecenati del lago, in Trasimeno, lago d’arte. Paesaggio dipinto. Paesaggioreale, a c. di B. TOSCANO, Roma 1994, 199-233. Sulla figura dei legati pontifici e utile A. GARDI,

Alberti esordisce classicamente con una sorta di recusatio (non petita), nellaquale chiede ad Ascanio, meglio disposto verso la poesia eroica, di accogliere lapoesia amorosa sotto la nobile protezione dei Della Cornia e sua in particolare. Na-turalmente la dichiarazione di offerta dei propri componimenti e tutta trasfiguratametaforicamente: il nobile perugino e immaginato come un «bel cornio» (v. 1: uncorniolo, un arbusto della famiglia delle cornacee) 31, cui Alberti vorrebbe appenderela propria «cetra» (Rime, 7):

[Dedica queste Rime all’illustrissimo ed eccellentissimo signore Ascanio Della Cornia mar-chese di Castiglione].

Sorge sovra le palme e sovra i pini,lieto e superbo, 32 il tuo bel cornio e parmiche solo a chi vi sacra e trombe e armi,nobil suo pondo, i verdi rami inchini 33,

e che sotto i suoi vaghi ombrosi crini 34,di ch’io bramai piu che di lauro ornarmi,s’odano sol di grave musa i carmi,sovra quei ch’Amor detta alti e divini.

Pur sdegnar non ti dei ch’anch’io v’appendala cetra mia, che dove Amor s’annide,ha frondi anch’esso e dove lacci ei tenda,

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Il mutamento di un ruolo: i legati nell’amministrazione interna dello Stato Pontificio dal XIV alXVII secolo, in Offices et Papaute (XIVe-XVIIe siecle). Charges, hommes, destins, par A. JAMME -O. PONCET, Rome 2005, 371-437; sui governatori: I. FOSI, La giustizia del papa. Sudditi e tribunalinello Stato Pontificio in eta moderna, Roma-Bari 2007, 3-18 e 89-107.

31 La medesima espressione («cornio») per alludere al marchese Della Cornia si trova nondi rado nei sonetti di Francesco Coppetta dei Beccuti. E presente anche nel primo sonetto delleRime di Coppetta secondo l’ordine del manoscritto 665 della Biblioteca del Seminario di Pado-va: «Monte, che sovra i sette colli sorgi | e ’l ciel sostieni a paragon d’Atlante | e fra le tue feli-ci amate piante | il cornio e ’l lauro con vaghezza scorgi», [n.n.], vv. 1-4). A giudizio di AndreaCrismani, che di recente ha curato l’edizione delle Rime del poeta umbro, la successione delle li-riche nel codice citato rappresenta l’ultima volonta dell’autore e dunque conferisce al detto so-netto valore proemiale, esattamente come nel caso della dedica di Alberti. Il componimento silegge ora in A. CRISMANI, Edizione critica delle ‘Rime’ di Francesco Coppetta dei Beccuti, Tesidi dottorato, Universita di Padova, 3.

32 La medesima clausola si legge di frequente nelle Rime di Benedetto Varchi (i riferimentisono all’edizione Opere di Benedetto Varchi ora per la prima volta raccolte [...], Trieste, Dallasezione letterario-artistica del Lloyd austriaco, 1858): sonetto 221, II, 865, v. 3; sonetto 345(con inversione), II, 883, v. 3; sonetto spirituale 81 (con inversione), II, 990, v. 14, e in A. CA-

RO, Versione dell’‘‘Eneide’’, a c. di A. POMPEATI, Torino 1954, 220.33 «Nobil suo pondo»: «grave e nobil pondo» in B. GUARINI, Pianta regal che gia tant’anni

e lustri, nelle sue Rime del molto illustre signor cavaliere B.G., in Venetia, presso Gio. BattistaCiotti, 1598, f. 22r, v. 13; «verdi rami»: identica espressione in Rvf 5, v. 13; con variatio in Rvf195, v. 3 («verdi et invescati rami»).

34 Gli «ombrosi crini» compaiono nella canzone di Tasso Io mi sedea tutto soletto un gior-no, dove al v. 3 vengono citati anche le «palme» e i «pini»: «Io mi sedea tutto soletto un giorno| sotto gli ombrosi crini | di palme, abeti e pini» (Rime n. 147, a c. di B. BASILE, Roma 1994, I,158, vv. 1-3).

incurva il dorso al ciel l’invitto Alcide 35,ed indi vi sostien, quasi a vicenda,i pargoletti e con lor scherza e ride 36.

Con esibita modestia Alberti chiede ad Ascanio di non sdegnarsi per l’offerta deisuoi componimenti d’amore perche a questo sentimento aveva ceduto, prima dilui, anche l’Alcide Eracle. Quest’ultimo tema e riproposto in maniera piu esplicitanel successivo sonetto Bever ne l’elmo d’Ippocrene al fonte (Rime, 8), nel qualeAlberti invita il suo interlocutore a «ripor l’armi talhora audaci e pronte | e girnecon le muse e con gli amori» (vv. 5-6).

Il primo componimento, non certo innovativo nella materia, risulta almeno si-gnificativo per riconoscere alcuni dei principali modelli letterari del poeta perugino.Gia nella prima quartina Alberti realizza un’eloquente serie di citazioni: si avvicinaa Tasso (sia per le «palme» e i «pini», sia per «lieto e superbo», vv. 1-2), a Guarini(«nobil suo pondo», v. 4) e quindi chiude la prima unita metrica con i «verdi rami»di petrarchesca memoria. Nella parte conclusiva del sonetto si riconosce, accanto aTasso, la presenza di un altro poeta contemporaneo, quale Ottavio Rinuccini (per lachiusa «scherza e ride»).

Il componimento che apre la sezione amorosa rifiuta ogni funzione proemiale.Non e infatti un’invocazione ad Amore, ne una promessa di fedelta alla donna ama-ta e nemmeno una dichiarazione di poetica. Il sonetto inserisce in un contesto piut-tosto inusuale due temi assai frequentati della lirica amorosa: da una parte losdegno invidioso del poeta verso Amore, seduto in braccio alla donna, dall’altra ilmotivo della duplicita degli effetti d’Amore, che porta ad un tempo salute e malat-tia 37. La scena costruita da Alberti e alquanto licenziosa e ammiccante. Il latte delseno della donna schizza negli occhi del poeta e da loro conforto, ma provoca in-sieme anche inaudite pene al cuore dell’innamorato. Quest’ultimo, allora, si sfogacon Amore, che sotto mentite spoglie sta succhiando quasi beffardamente le mam-melle della donna (Rime, 9):

[Latte spruzzatogli ne gl’occhi infermi dalla sua donna mentre teneva un fanciullo in braccio].

Fu medicina a gli occhi e tosco al core 38,

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35 «Invitto Alcide» ritorna piu volte nelle Rime tassiane (n. 1007, II, 1022, v. 14; n. 1008,II, 1022, v. 1; n. 1148, II, 1165, v. 9), dove sono innumerevoli le occorrenze di «Alcide» perintendere il duca Ercole II d’Este.

36 «Sull’erbetta e scherza e ride» scrive Ottavio Rinuccini nella canzonetta Poi ch’Amor fral’erbe e i fiori, in Miscellanea di cose inedite o rare, a c. di F. CORAZZINI, Firenze, TommasoBaracchi, 1853, 337, II, 162, v. 8.

37 Per la natura ossimorica del tema amoroso (con focus sul caso di Marino), si veda il belsaggio di A. BATTISTINI, «Paradiso infernal, celeste inferno». Ossimori d’amore nell’Adone di Gio-van Battista Marino, «Seicento e Settecento», 2 (2007), 99-110. L’amore come lacerante tensionetra due contrasti e naturalmente il tema cardine del canzoniere petrarchesco; viene cosı recuperatonell’ambito del petrarchismo rinascimentale: si veda l’ottima antologia curata da Roberto GIGLIUCCI,Contraposti. Petrarchismo e ossimoro d’amore nel Rinascimento, Roma 2004, che e dotata di unapreziosa Introduzione. Sull’ossimoro d’amore nel Rinascimento (11-68).

38 Non risulta molto frequente l’antitesi medicina-tosco, che si legge, per esempio, nei versidi un capitolo di Giacomo Marmitta: «Fu il vostro dolce ragionar accorto | gran medicina a l’a-

che ’n pianto hor si distilla, e ’l sen m’allaga,quel che premette la man bella e vaga 39

ne le pupille mie candido humore

(o di foco conserva, e di dolore,fiera mammella), o di maligna magacrudel pieta, che in un sana ed impiaga,e mesce al refrigerio eterno ardore?

Pur di te solo, Amor, debbo io dolermi,che le suggevi pargoletto il seno,sotto mentite forme empio e crudele.

Tu, tu spargesti ne’ miei lumi infermi,com’ape irata a cui sia tolto il mele,mille semi di foco e di veleno.

La duplice metafora iniziale (il latte che e «medicina» ma anche «tosco») introdu-ce il tema principale del sonetto, che si sviluppa nelle prime due quartine. Benchel’attenzione nella poesia di primo Seicento per il seno femminile sia piuttosto co-mune 40, nondimeno e alquanto singolare l’immagine audace e quasi pornografica,di vivida corporeita, del latte spruzzato dalla stessa donna. Il gesto della sua ma-no, petrarchescamente «bella» ma anche tassianamente «vaga» 41, causa al poetauna sofferenza dolce, piacevole e insieme conturbante. Nella domanda retoricadella seconda quartina vi e senz’altro il caso forse piu interessante di intertestuali-ta offerto dal sonetto. La dittologia antinomica «sana – impiaga», insieme con larima «impiaga / maga», e presente anche nel sonetto «ad una bellissima cantatri-ce» Ben di lassu da la piu bella schiera delle Rime di Giovan Battista Marinodel 1602: «Sı direm poi: - Questa celeste maga, / questa del nostro mar nova si-rena / sana col canto, se col guardo impiaga» 42. La situazione descritta nel testodel poeta napoletano non e differente: anche qui gli effetti d’amore (il canto delladonna invece del suo latte) si manifestano in un conflitto insanabile tra tormento(«per gli occhi offende», v. 11) e piacere («per l’orecchie appaga», v. 11).

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moroso tosco» (Poiche la donna mia mi chiama hor hora, in G. MARMITTA, Rime di messerG.M. parmeggiano, in Parma, appresso di Seth Viotto, 1564, 186, vv. 17-18; della raccolta diMarmitta esiste una trascrizione diplomatica disponibile online curata da Marco Bertuccellihttp://www.nuovorinascimento.org/cinquecento/marmitta.pdf).

39 L’immagine del «tosco» nel seno della donna e anche nel Polifemo di Stigliani: «Pur l’a-spra crudelta, ch’ascondi come | tosco in coppa gemmata, in sı bel seno | [...] t’adombra in partee ti fa bella meno» (si cita da T. STIGLIANI, Delle rime del signor T.S., parte prima. Con brevidichiarationi in fronte a ciascun componimento, fatte dal signor Scipione Calcagnini [...], inVenetia, presso Gio. Battista Ciotti, al segno della Minerva, 1601, 63, vv. 145-146, 148).

40 Tra i componimenti piu noti che affrontano il detto tema vi e un sonetto di Stigliani «in lo-de delle mammelle», Mete amorose, che ’l desio fermate. Il componimento e presente nelle sue Ri-me del 1601 (47) e con ogni probabilita non e sconosciuto ad Alberti (si veda infra, n. 43).

41 «Bella mano» e stilema petrarchesco per eccellenza; in Tasso diviene «bella e vaga man»:Rime, n. 862, I, 856-57, v. 1.

42 G.B. MARINO, Ben di lassu da la piu bella schiera, in ID., Rime amorose, 107, vv. 12-14.L’archetipo presente ad entrambi gli autori e con tutta probabilita il verso petrarchesco «non sacome Amor sana, et come ancide»: Rvf 159, v. 12.

Nelle due terzine il poeta indirizza il suo sdegno contro il «pargoletto» Amoreche, come gia in alcuni componimenti di Stigliani e Chiabrera, il poeta sorprendementre sugge il seno dell’amata 43. Tuttavia il precedente che Alberti sembra diver-tirsi a complicare e forse un madrigale di Battista Guarini. Qui il «pargoletto»Amore e raffigurato «pien d’ira», dopo che un’ape, offesa dal furto del «mele», loha pizzicato:

Punto da un’ape, a cuirubava il mele, il pargoletto Amorequel rubato licore,tutto pien d’ira e di vendetta, posesu le labra di rosea la mia donna [...] 44.

La scena licenziosa del primo sonetto mostra bene il limite massimo cui giungel’esiguo filone erotico della poesia di Alberti, che rifiuta i toni decisamente osce-ni, ma non manca di suggerire fugaci lampi maliziosi e allusivi. E il caso, peresempio, di un altro sonetto amoroso (assente nelle edizioni romane), in cui Al-berti celebra il ricordo della visione della sua donna «ignuda» nei pressi di unafonte. Nelle quartine il poeta rievoca la piacevole scena e rinnova la sensazionedi godimento; nelle terzine lascia completo spazio alla presenza femminile delladonna, che abbandona la sua dimensione divino-mitologica del v. 2 («donna o di-va») e acquista tratti palesemente carnali (Rime, 10):

[Al fonte dove vide ignuda la sua donna].

E questo il fonte, dove ignuda io vidila mia, non so ben dir, se donna o diva,o per me sempre fortunata riva,a qual nuovo piacer mi scorgi e guidi?

A pena a i miei pensier secreti e fidioso ridir quante io nel cor sen[t]iva

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43 «O belle fonti di mia vita, o rio | dov’Amor pargoletto il latte bevve»: T. STIGLIANI, Meteamorose, che ’l desio fermate, in ID., Rime [1601], 47, vv. 9-10; «Col pargoletto al petto | dallaviva mammella il latte ei sugge»: G. CHIABRERA, Ne’ suoi versi fedeli, in ID., Opera lirica, a c.di A. DONNINI, Torino 2005, I, 331, vv. 28-29.

44 GUARINI, Rime, f. 94r, vv. 1-6. Il secondo verso del madrigale riporta la lezione «pargalet-to Amore» che qui si e emendata in «pargoletto Amore». A sua volta il precedente di Guarinipotrebbe essere una rima anacreontica di Luigi Alamanni, di cui si riportano i versi iniziali: «Fu-rando Amore il mele, un’ape ascosa / gli punge il dito irata e venenosa» (L. ALAMANNI, Versi eprose, a c. di P. RAFFAELLI, Firenze, Le Monnier, 1859, II, 141, vv. 1-2). Come suggerisce Otta-vio BESOMI, il paragone tra Amore e l’ape, a partire dagli esempi proposti nelle sillogi di Tor-quato Tasso e di Guarini, incontra un grande consenso nella produzione lirica a cavaliere traCinquecento e Seicento (Ricerche intorno alla ‘Lira’, Padova 1969, 50-52). Oltre all’ape, torna-no assai spesso altri animali nella produzione lirica di Alberti: ci sono il «piccolo cane» (Lidia,de l’amor mio non picciol pegno); il pavone che vuole impressionare la donna (Ha visto Lidia itui); un pappagallo non troppo ubbidiente (Ove pur contumace e fugitivo); un leone ferito (Dacruda e fiera spina); e cosı via (rispettivamente Rime, 20, 27, 33, 85*).

dolcezze, allhor che vergognosa e schiva,par che s’io ’l dico, mi minacci e gridi.

Con l’una man che mi tien l’alma avvinta,il sen lavando, di bei fior rendeala viva neve sua sparsa e dipinta 45;

chiuso con l’altra il piu secreto haveathesor, la dove dal desir respinta,l’acqua, ondeggiando, [i]nnamorata ardea.

Con tutta probabilita Alberti subisce qui la suggestione della canzone petrarchescadelle metamorfosi, nella quale il poeta si ferma ad ammirare Laura che si bagnaad una fonte (Rvf 23, vv. 147-155). La fortuna di questo tema ovidiano continuaper tutto il Cinquecento: nonostante la ripresa piu famosa sia costituita dal «solitofonte» dell’Aminta tassiana, dove Silvia va a rinfrescarsi 46, e piu vicina al testo diAlberti una delle Egloghe pescatorie di Berardino Rota. Qui Dafni immagina divedere una ninfa lavarsi in un fonte dal «chiaro fondo», che lascia intravedere lesue «membra» 47. Accanto alla canzone 23, pero, e ipotizzabile che nel componi-mento di Alberti abbia agito il ricordo di un’altra celebre canzone petrarchesca,Chiare, fresche et dolci acque (Rvf 126). Non solo vi e ritratta una scena simile(Laura che si immerge nelle acque) e ugualmente si da spazio alla dimensione delricordo del poeta («con sospir mi rimembra», v. 5), ma pure la donna oscilla trala sua natura ineffabile, quasi divina («colei che sola a me par donna», v. 3; «an-gelico seno», v. 9) ed una corporeita del tutto tangibile («fianco», «seno», «grem-bo»).

Quale che sia il componimento d’ispirazione, resta che il riferimento costantedel sonetto sia proprio il Canzoniere trecentesco. Le numerose tessere petrarchesche– accanto al soggetto del sonetto – concorrono a consolidare questa impressione: ilv. 2 («se donna o diva») richiama «se mortal donna o diva» (Rvf 157, v. 7); il v. 4comprende sia «nuovo piacer», calco di «novo piacer» di Rvf 37, v. 65, sia «mi

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45 Un’immagine simile si legge in un madrigale di Giuliano Goselini: «Il tuo bel sen n’infio-ra, | ch’al dolce lampeggiar de’ tuoi begli occhi | del vital fiato a l’ora, | oda la man di viva ne-ve tocchi, | rihavranno il colore, | ch’empio sol tolse loro e ’l grato odore» (Questi fiori almaFlora, in G. GOSELINI, Rime del signor G.G. riformate e ristampate la quinta volta [...], in Ve-netia, appresso Francesco Franceschi senese, 1588, 40, vv. 3-8). La recentissima edizione delleRime di Goselini, per le cure di Luca PIANTONI, e stata pubblicata a Padova (per Cleup) pochesettimane prima della conclusione del presente articolo e non si e avuto modo di consultarla. Iltesto base utilizzato per la moderna edizione e comunque quello delle Rime del 1588 da cui si ecitato.

46 Il riferimento primo dello stesso Petrarca (e quindi di Tasso) e al mito di Atteone e Dianaraccontato nel III libro delle Metamorfosi di Ovidio (nell’edizione a c. di P. BERNARDINI MARZOL-

LA, Torino 1994, 65-78, vv. 131-259). Nell’Aminta il fonte risulta il luogo centrale da cui si av-via lo svolgimento della trama. Anche Silvia, come la donna di Alberti, e «ignuda e sola» inprossimita di un fonte (T. TASSO, Aminta, a c. di C. VARESE, Milano 1985, 87, v. 1068).

47 Questi i versi del poeta napoletano: «Dolce e veder di fonte in chiaro fondo | ninfa chelavi le sue membra ignuda, | e ne copra talor, talor ne mostri | del bel fianco l’avorio intatto emondo» (B. ROTA, Aminta, in ID., Egloghe pescatorie, a c. di S. BIANCHI, Roma 2005, 130-36:136, vv. 168-171).

scorgi e guidi» che ricorda, con inversione, «mi guida et scorge» (Rvf 211, v. 1); ilv. 7 («vergognosa e schiva») e una variatio di «schivo et vergognoso» (Rvf 360, v.130) e infine il v. 11 («la viva neve sua sparsa e dipinta») allude presumibilmentea «o fiamma, o rose sparse in dolce falda | di viva neve» (Rvf 146, vv. 5-6). Tutta-via l’impianto petrarchesco realizza nelle terzine una tensione erotica sconosciuta almodello, che si legge nel gesto malizioso della donna. Il petrarchismo di Alberti siconcretizza attraverso una sensibilita nuova, moderna, non spregiudicata, ma pureautenticamente secentesca, fondata su una forte concentrazione sensoriale.

5. Come spesso accade nei canzonieri coevi, i tratti della personalita della donnaamata, al pari delle dinamiche della convulsa storia d’amore tra questa e il poeta,restano alquanto indeterminati. Nella silloge di Alberti intervengono piu figurefemminili, ma senz’altro l’oggetto principale dei suoi desideri e Lidia. L’innamo-ramento e descritto come una malattia (una «febre»), che puo calmarsi solo inpresenza della donna (Rime, 14, vv. 1-4):

[Fu visitato dalla sua donna mentre giaceva infermo].

Lidia, questa mia febre e febre ardente,febre acuta d’amor, che mai non posa 48,se non quanto io ti veggio, e piu noiosafassi quanto da me piu vivi assente.

D’altronde la forza ammaliatrice della donna ha come potentissime armi i suoiocchi nei quali – come scrive Alberti nel sonetto Chi non sa forse con qual ar-mi ancida (Rime, 23) – Amore «s’annida» e «trionfa in maestate» (vv. 7-8).Nella prima delle terzine del componimento egli celebra le due «luci» dell’amatacon stilemi petrarcheschi ed echi di un precedente componimento di GiulianoGoselini (Quell’alba ch’a mortali il giorno adduce), uno degli autori a lui piucari (vv. 9-11):

O begli occhi leggiadri 49. Iride il visoin voi colora 50, in voi l’Alba novella,nuovi orienti miei, le notti aggiorna 51.

Sebbene si distinguano tra le liriche alcuni singoli episodi che scandiscono la vi-cenda amorosa del poeta, questi isolati momenti non assumono mai un valore nar-rativo e neppure trovano una corrispondenza nella successione delle composizioni.

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48 «Che mai non posa» e calco dantesco: Pg. XVII, 51.49 «Occhi leggiadri»: Rvf 47, v. 10; 71, v. 7; 149, v. 4.50 Al contrario Petrarca descrive il «viso scolorir» in Rvf 7, v. 12.51 Cosı i versi di Goselini: «Quell’alba, ch’a mortali il giorno adduce | l’alba non e che le

mie notti aggiorna» (Rime, 12, vv. 1-2); «notti aggiorna» anche in P. BEMBO, Sento l’odor dalunge e ’l fresco e l’ora nelle sue Rime, a c. di A. DONNINI, Roma 2008, I, 283-84, v. 7.

I temi della fine delle illusioni amorose (Era ben tempo, oime, ch’io gli occhiaprissi e di nuovo Dissi ch’eri il mio bene: Rime, 20, 57), della partenza dellafanciulla (Vede il buon vecchio Hibleo l’api rubelle: Rime, 24) e dello sdegnoamoroso (Fida mia penna, se di farmi honore: Rime, 19), infatti, seguono, invecedi precedere, la circostanza della morte della donna amata (Cresci germe infelicee a pianger nato: Rime, 14), cui sorprendentemente non si fa piu riferimento nelresto della raccolta. Si tratta, naturalmente, di motivi topici che al poeta interessa-no in quanto consentono un confronto con gli esempi del passato e prescindonoda ogni rispecchiamento con il reale.

Nella parte finale della raccolta, quasi inaspettatamente, subentra una nuovadonna al posto di Lidia: e la giovane Eurilla, a cui Alberti rivolge le sue attenzio-ni nella seconda parte della canzone-ode Udiron pure al fine. Il poeta, come sem-pre, si premura di esplicitare nell’intestazione il precedente del suo componimen-to, che in questo caso e l’ode oraziana Audivere, Lyce, di mea vota, di (Carm.IV, 13) 52. Il componimento del poeta latino e tutto giocato sulla mancata conve-nienza tra la veneranda eta di Lice, la donna amata in passato da Orazio, e i suoimodi vezzosi o addirittura spudorati che ora paiono patetici. Il poeta latino togliealla donna ogni illusione, la canzona, ne mette in luce con compiaciuta lucidita idifetti fisici e celebra invece la bellezza della giovane e florida donna di Chio. Lacanzone-ode di Alberti, che ripercorre la medesima tematica, non e una mera tra-duzione dell’ode latina, ma si configura come un riadattamento del testo orazianointensificato nelle sue potenzialita espressive. Anche Alberti si sofferma, peresempio, sugli effetti feroci del tempo sul corpo della donna matura, tuttavia alposto di replicare pedissequamente le tonalita aspre e grottesche di Orazio, prefe-risce inserire una potente immagine metaforica (sulle rughe della donna) non pre-sente nel modello latino:

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52 Sulla presenza di Orazio tra Rinascimento e Barocco si vedano almeno W. LUDWIG, Ho-razrezeption in der Renaissance oder die Renaissance des Horaz, in Horace, l’oeuvre et les imi-tations: un siecle d’interpretation, par H. TRANKLE et al., Geneve 1993, 305-71; L. BORSETTO, Lapoetica d’Horatio tradotta. Contributo allo studio della ricezione oraziana tra rinascimento ebarocco, in Orazio e la letteratura italiana. Contributi alla storia della fortuna del poeta latino.Atti del Convegno svoltosi a Licenza dal 19 al 23 aprile 1993 nell’ambito delle celebrazioni delbimillenario della morte di Quinto Orazio Flacco, Roma 1994, 171-220; B. PAVLOCK, Horace’sInfluence on Renaissance Epic, «The Classical World», 87 (1994), 427-41; A. IURILLI, Il corpusoraziano fra editoria e scuole umanistiche nei secoli XV e XVI, «International Journal of theClassical Tradition», 3 (1996), 147-58; M. MCGANN, The reception of Horace in the Renaissan-ce, in The Cambridge Companion to Horace, ed. by S. HARRISON, Cambridge 2007, 305-17. Ri-sultano poi di grande rilievo per alcuni casi significativi le indicazioni di M. ROBERTS,Interpreting Hedonism: Renaissance Commentaries on Horace’s Epicurean Odes, «Arethusa»,28 (1995), 289-307; G. GORNI, «Ne cal di cio chi m’arde». Riscritture da Orazio e Virgilio nel-l’ultimo Bembo, «Italique», 1 (1998), 25-34; S. ALBONICO, Come leggere le ‘Rime’ di PietroBembo, «Filologia italiana», 1 (2004), 161-82; E. REFINI, Le «gioconde favole» e il «numerosoconcento». Alessandro Piccolomini interprete e imitatore di Orazio nei ‘Cento sonetti’ (1549),«Italique», 10 (2007), 17-57; G. COMIATI, Presenze oraziane nelle ‘Rime’ di Celio Magno, inCanzonieri in transito, a c. di A. METLICA, Milano 2014, 15-25.

Orazio, Carm. IV, 13, vv. 9-12 Alberti, Rime, 75*, vv. 49-56.

[Cupido]inportunus enim transvolat aridasquercus et refugit te, quia lurididentes, te, quia rugaeturpant et capitis nives 53.

D’ebano i denti hor sono,non puoi nasconder gli anni,ne di vecchiezza i danni.Convien che i segni ove l’aratro arrivadal vomer lasci. A che piu tanti ingannifar cerchi al tempo? O privadi senno, e ’n quale scolaco’ lisci impari a ritener chi vola 54?

Nel testo di Alberti e invece assente la derisione finale di Lice («cornicis vetu-lae», v. 25), presa in giro dagli «iuvenes fervidi» (v. 26): il perugino evita cioegli aspetti piu leggeri dell’ode oraziana e conferisce ai suoi versi una tonalita piucupa, dominata dall’angoscia per il tempo che passa. Come Orazio, ma con mag-gior decisione, quasi con foga, Alberti riprende in piu punti la donna per avercreduto – vanamente – di poter ingannare lo scorrere del tempo (Rime, 75*-76*,vv. 57-59, 65-75):

Scarso e avaro donoe la belta, ch’in brevepassa fugace e lieve. [...]

Non fan, come tu credi,cangiar forma e sembiantitanti tuoi fregi e tanti.Non fan le gemme i tuoi passati tempiricorrer dietro, o i bei purpurei manti,anzi vie piu t’attempi.O che pensier fallaci!Quanto t’adorni piu, tanto men piaci.Deh, cedi al tempo, cediquanto ti splende intornoe tua vergogna e scorno.

Quest’ultimo tema ricorre assai spesso all’interno della sezione amorosa della rac-colta. Il motivo della senilita non interessa solo Lidia, ma anche altre figure fem-minili: una donna vecchia dal viso gentile (Non e gran meraviglia: Rime, 12),un’altra donna «canuta ancor bella» (Vago ed eterno di bellezza il fiore: Rime,13) ed infine la troiana Elena (Quel che fa, donne, il tempo avaro ed empio).Nella silloge di Alberti affiorano con evidenza le paure ed i timori di un’eta –

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53 La citazione dal carmen di Orazio e presa dalla recente traduzione delle Odi, a c. di E.CASTELNOVI, Brescia 2012, 316-17, che si basa sull’edizione critica delle opere di Orazio di F.KLINGNER (Berlin 2008 [19593]).

54 «Lisci» vale qui genericamente ‘cosmetici femminili’ perche con i trucchi le donne liscia-vano la pelle.

quella barocca – che ebbe un’«acuta e sofferta coscienza del tempo» e dimostroun profondo e tormentato senso di precarieta 55.

Talvolta, pero, il medesimo tema puo condurre ad esiti inaspettati e ben piu leg-geri, come nel caso – auspice anche il metro – di una coppia di madrigali sopra un«amante canuto». Nel primo dei due componimenti (Indarno a Laide chiese: Rime,80*) Alberti riprende da vicino un epigramma di Ausonio, De Myrone et Laide, nelquale il vecchio amante tenta invano, dopo essersi tinto i capelli, di convincere lagiovane Laide a concedersi a lui 56. Nel secondo madrigale Alberti si rivolge diretta-mente all’attempato e testardo amante per irriderlo (Rime, 80*):

[Si ride d’un amante canuto che si tingeva la barba] 57.

Se nol sai, rido, Alcone,che con sciocchi coloritingi i canuti amori.Rido che non puoi direcosa che vera sia,s’anco il crin fai mentire.O mio novello Esone 58,rido ch’agli occhi mieieri cigno a le piume e corvo hor sei.

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55 G. GETTO, Lirici marinisti [1954], nel suo Barocco in prosa e in poesia, con una Premes-sa di M. GUGLIELMINETTI, Milano 2000, 40-90: 83; sugli studi di Getto dedicati al Barocco si ve-dano le considerazioni di M.L. DOGLIO, Il barocco nella lezione di Giovanni Getto e nella storiadella cultura torinese del Novecento, «Lettere italiane», 51 (1999), 593-601. Sulla concezionedel tempo nel Barocco si vedano le pagine di G. DE MATTEIS, «Sentimento» del tempo e osses-sione della morte nella letteratura italiana ed europea dell’eta barocca, «La Capitanata», 46(2008), 99-112. Da ultimo, Andrea BATTISTINI ha insistito sulla dimensione crepuscolare e fragiledella ‘‘felicita barocca’’ e sulla presenza ossessiva della morte nella cultura secentesca: Il Baroc-co. Cultura, miti, immagini, Roma 2000, 59-62, 99-109.

56 Il componimento latino si legge in AUSONIO DECIMO MAGNO, Epigrammi, a c. di L. CANA-

LI, Soveria Mannelli 2005, 43. Utili notizie sulla ricezione di Ausonio sono fornite nell’ottimaedizione The Works of Ausonius, ed. by R.P.H. GREEN, Oxford 1991. Il recupero dell’epigrammadi Ausonio non e un caso isolato all’interno delle Rime di Alberti. In uno dei primi madrigalidella raccolta, infatti, il perugino riadatta uno dei piu famosi componimenti del poeta latino, ilCollige virgo rosas. Questi i versi di Alberti: «Cogli la vaga rosa | leggiadra verginella, | mentree novello il fior, l’eta novella, | e la fronte amorosa | ne ingemma e ’l seno e habbi a mente poi| cosı volare i fugaci anni tuoi | e che ’l tuo viso adorno | puo fiorir e sfiorir seco in un giorno»(Rime, 12). Sulla fortuna europea dell’epigramma di Ausonio basti il cenno in J.B. LEISHMAN,Themes and Variations in Shakespeare’s sonnets [1961], London 2013, 66-67; per l’ambito spa-gnolo restano utili le precisazioni di B. BECKER-CANTARINO, ‘‘Vana rosa’’. From Ausonius toGongora and Gryphius, «Revista Hispanica Moderna», 37 (1972-1973), 29-45.

57 Gia Tansillo aveva dedicato a Simon Porzio un capitolo in terza rima «in laude di colloroche si tingono la barba e il capo», i cui primi versi alludono proprio allo stratagemma della tin-tura per concupire le giovani fanciulle: «Quante volte v’ho detto, Simon Portio: | - Tingetevi labarba se volete | con le giovani belle aver consortio!» (L. TANSILLO, Capitoli giocosi e satirici, ac. di C. BOCCIA - T.R. TOSCANO, Roma 2010, 167-75: 167, vv. 1-3).

58 Nel testo delle Rime Ciotti 1602 al v. 7 si legge «Ilsone», ma e un nome senza alcun ri-scontro; nell’edizione veneziana dell’anno successivo compare invece «Esone», padre di Giaso-ne, che e senz’altro la voce da preferire.

Da ultimo, il tema del tempo viene sfruttato da Alberti per dare vita a componi-menti arguti. E il caso del sonetto Da me prefissa e da la donna mia, nel quale idue amanti decidono di pensarsi reciprocamente ad un orario prestabilito (Rime,52, vv. 1-8):

[Rimasero d’accordo di pensare alla medesima hora egli nella sua donna ed ella in lui].

Da me prefissa e da la donna mia,ecco a l’hora bramata irsen divisiquinci e quindi i pensier, che i cori ancisiportan la dove alto piacer gli invia.

Veggiola in me, qual suol, benigna e pia,tener gli occhi de l’alma intenti e fisi,che ne la data fe tra i vezzi e i risi,ne’ le promesse sue sı tosto oblia.

Di la dagli evidenti e consueti echi petrarcheschi 59, quest’ultimo sonetto mostrauna volta di piu la capacita di Alberti di innestare sui temi altamente convenzio-nali (quali possono essere l’amore o il tempo) delle coloriture nuove e diverse.Le variazioni di tonalita che ne conseguono non consentono cosı di precisare unauniformita di tono comune alle diverse liriche (come per esempio nel caso delleRime dell’Insensato Massini) 60. Tuttavia, si puo almeno sostenere che anche icomponimenti piu distanti tra loro non negano mai quell’equilibrio composto eraffinato (dato anche da una sintassi raramente ardua) che contraddistingue la poe-sia di Alberti.

6. Come si e gia detto, la sezione di liriche amorose e predominante ma nonesclusiva all’interno della raccolta. Tra gli altri componimenti si distinguono rimeencomiastiche, luttuose, spirituali, di argomento vario e di scambio con i corri-spondenti. Le prime si indirizzano verso un registro alto, che pure di norma sem-bra rifiutare freddezza ed eccessiva solennita. Nei componimenti encomiasticiAlberti spesso non rinuncia ad inserire spunti autoreferenziali, che attenuano ilgrado di formalita delle liriche. Cosı, nel celebrare la moglie di Ascanio II, Fran-

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59 Ben sottolineati anche dalla loro funzione di parole rima: «benigna e pia» si legge in Rvf128, v. 85; «intento et fiso» in Rvf 17, v. 8.

60 Nelle sue Rime (Pavia, Viani, 1609) e piu facilmente riconoscibile una tonalita giocosa,divertita, di sereno autocompiacimento. Sulla produzione lirica di Massini si vedano i recenti in-terventi di Q. MARINI, Libri italiani del Seicento, Q. MARINI e M. VOLPI, Poesia lirica, encomia-stica e giocosa e le due schede curate da Mirko Volpi sulle Rime e sulla raccolta di madrigaliChiaroscuro amoroso in Sul Tesin piantaro i tuoi laureti. Poesia e vita letteraria nella Lombar-dia spagnola (1535-1706). Catalogo della mostra. Pavia, Castello Visconteo, 19 aprile-2 giugno2002, Pavia 2002, 21-28, 185-93, 216-20; L’onorato sasso. Un secolo di versi in morte di Tor-quato Tasso, a c. di D. CHIODO, Alessandria 2003, 86-90; U. MOTTA, Petrarca a Milano al prin-cipio del Seicento, in Petrarca in Barocco, 227-73: 255-65; L. SACCHINI, Primi sondaggi sulle‘Rime’ di Filippo Massini, «Testo», 57 (2009), 35-57.

cesca Sforza, il poeta prima esalta con aperta ironia la propria confidenza con ilnobile marito («Cornio mio», v. 3), quindi confida di sentirsi del tutto inadeguatoall’impresa (Rime, 8, vv. 1-4):

Tento pur di svegliare il pigro ingegno,per dir, donna, di voi, pregio sovranodel nobil Cornio mio; ma tento invanoopra sı grande, io sı vil fabro indegno.

All’interno di questo filone di poesie l’impegno maggiore del poeta e profuso nel-le due canzoni offerte ai papi Clemente VIII e Sisto V e stampate autonomamenteprima delle Rime. Il componimento per papa Peretto, Di giunghi e d’alghe il crincanuto adorno, rappresenta per certo il grado piu alto di elaborazione formaleraggiunto dalla poesia di Alberti. Qui il fiume Aso, personificato, canta le lodi dipapa Sisto in una lingua preziosa, governata da una sintassi complessa. Nel tonogenerale magniloquente, talora maestoso, della poesia, i versi procedono con gra-ve e studiata lentezza. La lirica e punteggiata da continue inversioni, che in alcunipassaggi rendono difficoltosa la comprensione della lettera del testo. Manca quasidel tutto lo sviluppo narrativo: ad esclusione della prima stanza, in cui Alberti de-scrive il fiume Aso mentre si alza a declamare l’ode a Sisto, nel resto della poe-sia il poeta compone un panegirico tradizionale che gli consente di sfoggiare lapropria erudizione, tra figure leggendarie e mitologiche, personaggi storici, costel-lazioni, citta, mari, fiumi, e cosı via. La celebrazione di Sisto coinvolge molti ele-menti, il coro di approvazione per il papa si diffonde senza incontrare ostacoli daOriente a Occidente. Cosı nella terza strofa anche l’Oceano Indiano offre le sueperle per ornare il vestito del pontefice (Rime, 47, vv. 35-40):

Tessa per lui gia preciose e rarestole, mitre e ghirlande,tinga per lui gia gli ostri industre mano,nuove e piu degne e piu gradite e careperle e gemme per lui l’ampio Oceanodal suo piu ricco seno Indico mande 61.

Come si puo notare, questi sei versi sono finemente modellati sul piano della elo-cutio. Dominano le ripetizioni («per lui gia»/«per lui gia»/«per lui»; «e piu»/«e

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61 Ancora una volta l’autore piu presente e Tasso, ma non mancano possibili richiami ad al-tri autori. «Preciose e rare» si legge nella traduzione delle Metamorfosi dell’Anguillara: «son tut-te gemme pretiose e rare» (Le Metamorfosi di Ovidio ridotte da Giovanni Andreadell’Anguillara in ottava rima [...], in Venetia, presso Bernardo Giunti, 1584, 29, II, 2) ; «indu-stre mano» in TASSO, Rime, n. 618, I, 594, v. 6; «perle e gemme» e un’endiadi che ricorre spes-so nei testi letterari coevi (cinquecenteschi in particolare), forse e uno sviluppo del petrarchesco«avolte in perle e ’n gemme» (Rvf 196, v. 7); «ampio Oceano» si legge di nuovo in TASSO, Ri-me, n. 517, I, 469, v. 139; n. 577, I, 552, v. 10; per «seno Indico» non si puo escludere la co-noscenza di un sonetto di Cariteo «non le gemme del ricco Indico regno» (B. GARETH, Nonnobilta, non laurea triomphale, in ID., Rime. Secondo le due stampe originali, con Introduzionee note di E. PERCOPO, Napoli, [tipografia dell’Accademia delle scienze], 1892, 223, v. 3).

piu»/ «piu») e le allitterazioni («ostri/industre»; del suono -e ai vv. 35-36, 38-39);sono presenti l’asindeto ai vv. 38-39; il chiasmo «nuove e piu degne»/«piu graditee care» e infine l’isocolo «tessa per lui gia»/«tinga per lui gia». Non solo: l’innal-zamento del registro stilistico e dato anche dai numerosi enjambement (vv. 35-36,38-39, 39-40), dall’anastrofe del soggetto al v. 37 e dall’iperbato finale «ampioOceano... Indico». L’impegno dell’autore e qui evidentemente volto alla ricerca diuno stile sublime conveniente al soggetto alto della sua canzone. Si badi bene pe-ro: una simile concentrazione di artifizi retorici e una vera e propria eccezionenelle Rime di Alberti, che di norma non presentano soluzioni stilistiche tanto ela-borate.

I componimenti lugubri restituiscono l’effettiva dimensione della comunita deireferenti di Alberti, che gravitano pressoche esclusivamente attorno a Perugia. Eglicelebra con trasporto la scomparsa del poeta Cesare Caporali (Potea d’inferno trarnuova Euridice: Rime, 35), del capitano Costanzo Paolucci (Fur troppo, oime, trop-po fugaci e corte: Rime, 24), del cardinale Silvio Savelli, legato della citta umbra(Mal fai, nobil pittor, s’a questa altera), dello scultore Vincenzo Danti (Scrisse,pinse, scolpio, mentre al ciel piacque: Rime, 59), e cosı via. La prospettiva munici-palistica viene superata solo nel caso della citata canzone di Alberti in morte diGiuliano Goselini (Udite o meraviglia), su cui si dira in seguito.

I sonetti spirituali rappresentano almeno formalmente l’unica sezione omogeneae coesa delle Rime di Alberti. Fin troppo evidente e l’intento dell’autore di ripercor-rere il suo personale romanzo poetico come un itinerario che muove petrarchesca-mente dal «primo giovenile errore» al ravvedimento finale. Pure, per buona parteanche le rime spirituali, invece di seguire il percorso individuale dell’autore, simuovono in direzioni eterogenee; vanno dalla celebrazione di san Cristofano (Parvesalma sı lieve e sı gran pondo: Rime, 98*) alla esaltazione per le opere del Signore(Opre son di tua mano altere e belle: Rime, 97*); dal gaudio per la resurrezione diCristo (Dal Gange no, ma dal sepolcro il Sole: Rime, 99*) al canto di speranza peril pentimento del buon ladrone (Qual di te piu felice e fortunato: Rime, 100*). Fi-nalmente, negli ultimi 4 componimenti, l’attenzione si concentra sul poeta che nonnasconde al lettore la propria fragilita di uomo e di cristiano. Alquanto significativae la coppia di sonetti finale, nella quale dapprincipio Alberti con pieta e reverenzachiede aiuto a Dio prima che il suo «legno ne gli abissi affonde» (Tra due squallidiscogli oggi m’ha scorto: Rime, 101*, v. 13) 62 e quindi si immagina nell’ora dellamorte, che non puo piu tardare (Quasi ch’io giunger la tema e paventi: Rime,102*, vv. 9-14):

Veggio de’ giorni miei gia volte a seral’ombre, e qual secco fien la falce attendodi morte homai, che poco indugiar puote.

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62 Prendendo in considerazione i rimandi testuali, che qui per brevita non si possono eviden-ziare, il modello del componimento e presumibilmente un sonetto di Goselini sul medesimo te-ma (Preme nocchier talhora horrida e folta, in GOSELINI, Rime, 87).

Lasso, e ancor da l’infinita e veraluce son lunge, e sol la mente intendoa lasciar poca luce in poche note.

Nelle quartine vi e di nuovo la presa di coscienza della brevita della vita, che Al-berti vive con angoscia («Ahi, son de gli anni men fugaci i venti», v. 5). Nelleterzine sono contenute le riflessioni malinconiche dell’autore, il quale nel momen-to ultimo della sua vita, ed ancora distante dalla «luce» di Dio, non rinuncia co-munque alla poesia («poca luce in poche note», v. 14). Pur riconoscendone ilimiti, addirittura la «vanita» 63, il poeta continua a praticarla, con dovuta parsimo-nia, giusta moderazione e rinnovata ostinazione.

7. Di la dai sonetti di corrispondenza scritti da Alberti e dai suoi interlocutori,che verranno presentati in seguito, resta da analizzare una serie di componimentialquanto eterogeni tra loro. La maggior parte di questi puo esser propriamente de-finita produzione d’occasione, trattandosi di sonetti e madrigali legati a circostanzeo momenti particolari. Sono molteplici i temi trattati e di conseguenza i registristilistici adoperati dal poeta: si va dal rifiuto di un’opportunita di guadagno (Del’humil stato mio pago e contento: Rime, 11) ai timori per una nuova inondazionedel Tevere (Che fai, Roma, che pensi? Hoggi e il terz’anno: Rime, 34); ancora,dalla condanna di una parricida (Finse nodrice uscir benigna e pia: Rime, 60) allanarrazione di una scena domestica in casa della nobile famiglia perugina dei Bal-deschi (Dolce froda del tempo e dolce inganno: Rime, 77*).

Una micro-sezione di un qualche interesse tra le numerose rime d’occasione ela triade di sonetti dedicati al tema del plagio64. Alberti, che deve rispondere aduna «imputatione di furto», affronta la questione con ironia e distacco, arrivando asfidare l’ignoto accusatore. Nelle quartine del primo sonetto, S’altro non ho per teche biasmo e scorno (Rime, 40), il perugino dichiara la fine delle sue velleita dipoeta e la scelta di abbandonare la musa («Che fo piu teco homai? Ti lascio e torno| in me medesmo», vv. 5-6). Si rivolge poi nelle terzine proprio alla stessa musaper lamentarsi delle offese ricevute (vv. 9-14):

Giudica tu, se ti par nulla o poco,ch’altri mi dica (e me conosci e lui),ch’io sembro al canto augel palustre e roco;

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63 Cosı recita l’argomentazione del sonetto: «Si inhorridisce pensando all’hora della morte ealla vanita de gli studi suoi» (Rime, 101*).

64 Sulla dinamiche di riscrittura tra tardo Rinascimento e Barocco, si vedano P. CHERCHI, Po-limatia di riuso. Mezzo secolo di plagio, Roma 1998; Furto e plagio nella letteratura del Clas-sicismo, a c. di R. GIGLIUCCI, Roma 1998; Intertestualita e smontaggi, a c. di R. CARDINI - M.REGOLIOSI, Roma 1998; A. QUONDAM, Rinascimento e Classicismo. Materiali per l’analisi del si-stema culturale di antico regime, Roma 1999; e le puntuali riflessioni di E. RUSSO, Tre libri suintertestualita, riscrittura, plagio, «Esperienze letterarie», 25 (2000), 85-94. Sul caso di Marino,ma con valutazioni di ordine generale P. CHERCHI, Elementi lucidi nel plagio mariniano, «Qua-derni d’italianistica», 21 (2000), 45-57.

che cigno parvi e che scoperto io fuicornice ornata sol per scherno e gioco,de le mie no, ma de le piume altrui.

Con ancora maggior convinzione nel componimento successivo, Piu nobil sete diParnaso al rio (Rime, 41), Alberti dice di volersi separare dalla musa («ti lascio,a Dio», v. 4), con cui ha ottenuto solo «oscuri honori» (v. 7) e precisa meglio lacritica del suo antagonista (vv. 12-14):

I fregi miei dira rapine e prede,ch’odio e fuggo la luce e schivo il giorno,che movo ai furti sol notturno il piede.

Puo sembrare paradossale che, per discolparsi dall’accusa di plagio letterario, ilpoeta compia un nuovo (ennesimo) furto quasi esibito dalle Rime di Tasso («mo-vo [...] notturno il piede») 65; tuttavia qui l’intenzione giocosa di Alberti consistenel dimostrare l’inevitabilita del plagio, quasi la sua necessita. Nella prima delleterzine del terzo sonetto, Hor che nuova virtute a i petti infusa (Rime, 41), scriveinfatti che se chiamato a comporre una corona di componimenti per il cardinalBevilacqua 66, egli irrimediabilmente avrebbe preso alcuni luoghi («fiori») da altriautori. Da qui in poi Alberti non mira piu a discolparsi di fronte al lettore, ma acircostanziare con ironia le accuse ricevute (vv. 9-14):

Che s’io corona di sue lodi intesso,forz’e ch’io tolga eterni fiori al MAGGIO

67,ecco al ladro gridar di furto espresso.

Dicesser pur che gentil ladro e saggioio fossi almen, mentre il desire appresso,per involar sol di sua gratia un raggio.

8. Paiono configurarsi come ulteriori furti i riadattamenti di Alberti delle odi ana-creontiche della Cicala e della Rondine. Le due liriche si inseriscono in quellafortunata tradizione, prima francese quindi italiana, di traduzioni e rifacimenti del

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659SULLE RIME DEL PERUGINO FILIPPO ALBERTI

65 Ricorre due volte nelle Rime di Tasso: «notturno io mova e sconosciuto il piede»; «mossenotturno e sconosciuto il piede» (Rime, n. 573, I, 542, v. 18; n. 1666, II, 1912, v. 17). Nel restodella terzina si riconosce almeno «fuggo la luce» come sintagma utilizzato con maggior dram-maticita nelle Rime di Vittoria Colonna: «cerco l’oscurita, fuggo la luce, | odio la vita, ognorbramo la morte» (Quando il gran lume appar ne l’oriente, nelle sue Rime, a c. di A. BULLOCK,Roma-Bari 1982, 37, vv. 10-11).

66 Il legato pontificio e in effetti il destinatario del componimento, come esplicita la dichia-razione in testa al sonetto: «Continova il medesimo suggetto e piglia occasione di lodare il si-gnor cardinale Bevilacqua, legato di Perugia» (Rime, 41).

67 «Maggio» potrebbe essere un toscanismo arguto per ‘maggiore’; essendo pero scritto neltesto in maiuscolo, e presumibilmente un riferimento ad una persona precisa. L’ipotesi di granlunga piu convincente e che si tratti del perugino Alessandro Maggi, vicelegato del governatoreBevilacqua.

corpus di odi pubblicate da Henri Estienne nel 1554 ed erroneamente attribuite alpoeta greco 68. Attirati dai temi leziosi e disimpegnati, dalla «novita» delle imma-gini poetiche che aprivano «nuove stradicciole», i letterati italiani della secondameta del Cinquecento ricorsero sempre piu insistentemente ai componimenti dellopseudo poeta greco 69. Alberti stesso in un madrigale (Di vino ebro e d’amore: Ri-me, 15) finge di rivolgersi ad Anacreonte chiedendogli se nella tazza da cui eglista bevendo ci sia piu «vino» o «amore», alludendo cosı alle due grandi temati-che delle odi tradotte da Estienne: da un parte l’amore (anche come pulsioneomoerotica) e dall’altra la piacevolezza del bere.

Come nel caso di Orazio, nella sua versione dell’ode della Cicala Alberti non silimita ad offrire una traduzione passiva. Attua invece una significativa dilatazionedel testo, che si compie nel passaggio dai 25 versi della traduzione latina di Estien-ne agli 88 versi del componimento del perugino. La distanza nei confronti dell’ori-ginale e qui talmente considerevole che si dovrebbe parlare non piu di imitazionene di emulazione, ma di creazione di un nuovo testo. Soltanto pochi versi seguonogli originali, come nel caso delle due strofe finali del componimento greco, di cui,comunque, Alberti propone alcune variazioni:

Anacreontis Odae, 105-106, vv. 20-25 ALBERTI, Rime, 29, vv. 49-56.

Festiva terrae alumna,cantus amica, et omnismali et doloris expers.Ulla nec aucta carne,nec aucta sanguine ullo,ipsis abes parum a diis.

Vai senza piume a volosangue o carne non hai, suggi e delibisolo celesti cibi,fugge ogni mal da te, fugge ogni duolo.Ne di vecchiezza i guai,ne provi d’invecchiar, vicina a i deianco per questo sei,o pur lunge da lor poco ten vai.

Il resto del componimento procede in maniera indipendente rispetto all’originale.Risultano in tal senso particolarmente significativi i versi iniziali perche indicanocon chiarezza la direzione delle aggiunte operate da Alberti (Rime, 28, vv. 1-12):

O te sempre beata,cicala mia, che sovra un faggio e un ornoa sı lieto soggiorno

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68 Anacreontis Teii odae ab Henrico Stephano luce et latinitate nunc primum donatae, Lute-tiae, apud Henricum Stephanum 1554. Una valida sintesi sulla fortuna di Anacreonte e fornitada P.A. ROSENMEYER, The Poetics of Imitation. Anacreon and the Anacreontic Tradition, Cam-bridge 1992. Sulla tradizione francese si rimanda alla monografia di J. O’BRIEN, Anacreon redi-vivus. A study of Anacreontic Translation in Mid-Sixteenth-Century France, Ann Arbor(Michigan) 1997. Per l’Italia si vedano S. FERRARI, Di alcune imitazioni e rifioriture delle Ana-creontee in Italia nel sec. XVI, «Giornale storico della letteratura italiana», 20 (1892), 395-424;L.A. MICHELANGELI, Anacreonte e la sua fortuna nei secoli. Con una rassegna critica su gl’imi-tatori e i traduttori italiani delle ‘‘Anacreontee’’, Bologna 1922. Su un piano comparatistico: J.LEVARIE, Renaissance Anacreontics, «Comparative Literature», 25 (1973), 221-39.

69 FERRARI, Di alcune imitazioni e rifioriture, 398.

canti tua dolce libertate amata.Ivi non senti almenole corti mormorar tra gl’otii e gl’agid’alti e real palagi,ne falsa speme ti lusinga il seno.Ivi t’adorni e fregisol di te stessa e nessun premio cerchi,gratia od honor non merchi,ne con la volgar gente aduli i regi.

Il perugino esalta la dimensione etica del componimento, nel quale la cicala divie-ne dunque un modello di moralita, di degnita morale. L’animale viene poi inseritoin un contesto sociale (rappresentato dalle «corti»), del tutto estraneo all’ode origi-nale, che evidentemente Alberti sentiva come ostile ed effimero.

9. Il rifiuto per la «volgar gente» e per l’adulazione forse spiega il numero piutto-sto esiguo di corrispondenti di Alberti. Di la dal gruppo perugino, la cui presenzanelle Rime presumibilmente risponde a logiche di opportunita e puo prescindereda valutazioni specificamente letterarie, risultano significativi gli scambi poeticicon Goselini e Tasso, i cui nomi sono tornati diverse volte nel presente articolo 70.

In entrambi i casi il piu giovane Alberti scrive all’interlocutore con reverenza,facendo professione di modestia. Nel sonetto Tasso, membrando io vo’ che ’l folleardire (Rime, 61) Alberti si paragona a Fetonte, che a causa della sua spudoratezza,venne fulminato da Giove. Come il figlio di Apollo, anche il poeta, mosso da «vandesire», confessa di meritare una punizione divina per aver osato andare oltre lesue possibilita. Nelle due terzine egli chiede allora a Tasso se almeno possa condi-videre con lui la sofferenza provata (vv. 9-14):

Misero chi di farsi osa e presume,se non ha come Febo d’oro il manto,terreno auriga di celeste lume 71.

Fa’ co’ versi al mio duol sı dolce incanto,mago gentil, che ’l duol non mi consume,o nel mio per pieta mesci il tuo pianto.

La definizione di Tasso «mago gentil» risulta quanto mai arguta perche, oltre a

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70 Di seguito e fornito l’elenco degli altri corrispondenti con l’incipit del sonetto scambiatocon Alberti: Francesca Turina Bufalini (La tua virtute Alberti e tanta e tale: Rime, 102*); EneaBaldeschi (Sovra l’ali di lei famoso andrai; Non mai piu fida e honorata scorta: Rime, 103*,106*); Pandolfo Spranio (Alberti, e ver che mentre al cor gentile: Rime, 104*); Orazio Cardaneti(Alberti, ond’e che la tua musa e quella: Rime, 105*); Ascanio Paolucci (Pensai d’haver gia po-sto, Alberti, in pace: Rime, 105*); Lucullo Baffi (Al vostro altero grido, Alberti, eguale: Rime,106*); Marcantonio Masci (Sorgi, novello sol, ne l’oriente; Quasi cigno gentil prevedi e senti:Rime, 107*).

71 «Celeste lume»: Rvf 230, v. 1.

essere un apprezzamento lusinghiero e puntuale, e anche, e non casualmente, unacitazione dal Rinaldo 72. Nel sonetto di risposta Fu giovanil ma glorioso ardireTasso – come si conviene – rassicura il suo interlocutore e si mostra assai com-prensivo («biasmo non merta il tuo novel desire», v. 4). Infine raccoglie con dol-cezza l’invito di Alberti a piangere insieme (vv. 12-14):

Io gia non posso per virtu d’incantofar ch’ella il vago cor non ti consume,ma ben possiam placarla ambo col pianto.

Il rapporto con Goselini, deceduto nel 1587, risale senz’altro agli anni giovanilidi Alberti, forse al tempo delle Rime piacevoli del 1584, che comprendono anchedue componimenti del piu anziano poeta (L’alto d’ostro lucente e Merita vera-mente, 181)73. L’offerta nel sonetto De la vostra dolcezza effetti sono delle pro-prie Rime a Goselini conferma l’importanza che quest’ultimo rivestı per Alberti. Ilperugino addirittura rivendica la diretta dipendenza del suo canzoniere da quellodel destinatario. Il dono ricevuto non potra quindi risultare sgradito a Goselini,che puo vedere se stesso riflesso nelle liriche di Alberti (Rime, 62, vv. 1-8):

De la vostra dolcezza effetti sonole rime mie; dal mio sı basso stile,sol di notturno augello oscuro e vile,udir si puo qualche interrotto suono.

Hor donandole a voi, nulla vi donodi mio, del peregrino e del gentilehan sol per voi; voi dunque, a voi simile,gradite voi se non gradite il dono.

In effetti il rispecchiamento evocato da Alberti con Tasso e Goselini trova ragioniforti nelle scelte poetiche dei due letterati. Furono loro, infatti, tra i primi e piuconvinti imitatori di Anacreonte e contribuirono in maniera determinante alla suariscoperta 74. Non solo: entrambi, e Alberti con loro, ebbero la capacita di recupe-

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72 T. TASSO, Rinaldo. Edizione critica basata sulla seconda edizione del 1570 con le variantidella princeps (1562), a c. di M. SHERBERG, Ravenna 1990, 74, I 22.

73 Sulla biografia di Goselini si rimanda a F. PAGELLA, Un poligrafo alessandrino del Cin-quecento. Giuliano Gosellini, «Rivista di storia, arte, archeologia per la provincia di Alessan-dria», 32 (1923), 3-39 e alla scheda di M.C. GIANNINI, Gosellini (Goselini), Giuliano, in DBI,58, Roma 2002, 110-14. Per un’analisi delle sue liriche si vedano C. LUZZI, Circolazione e diffu-sione musicale delle ‘Rime’ di Giuliano Goselini (1525-1587) tra Cinque e Seicento, «Schifa-noia», 11 (1991), 43-61; A. MAGGI, il commento al se oscuro: la ‘Dichiarazione’ di GiulianoGoselini e la fine del sapere rinascimentale, «Italica», 1 (2003), 11-28; S. ALBONICO, Descrizio-ne delle ‘Rime’ di Giuliano Goselini, in Sul Tasso. Studi di filologia e letteratura italiana offertia Luigi Poma, a c. di F. GAVAZZENI, Roma-Padova 2003, 3-55, ora nel suo Ordine e numero.Studi sul libro di poesia e le raccolte poetiche nel Cinquecento, Alessandria 2006, 135-81; L.GIACHINO, La lode e la morte. Giuliano Goselini poeta funebre della Milano del secondo Cin-quecento, «Allegorica», 26 (2009-2010), 102-30.

74 FERRARI, Di alcune imitazioni e rifioriture, 407-17.

rare autori classici e inserirli all’interno di un sistema poetico petrarchista che an-dava man mano aprendosi, arricchendosi, raffinandosi. Di qui prese le mosse Al-berti che nelle sue Rime accetto temi eccentrici (di matrice perlopiu tassiana), feceampio ricorso alla metafora, mantenendo sempre nel contempo un senso della mi-sura (nelle forme e nei contenuti) che distingue anche le sue prove apparentemen-te piu originali. La produzione lirica di Alberti e moderna, vibrante, sagace, manon oltrepassa mai i limiti che l’autore stesso si autoimpose (per esempio nellesperimentazioni metriche e nell’uso, che resta circoscritto, della paronomasia, dellafigura etimologica, oppure, sul piano tematico, nelle composizioni erotiche). Eglisottomise la novita al rigore e al giudizio moderatore, che lo vincolo al conteni-mento delle tematiche piu frivole e alla difesa di una poesia che non fosse soltan-to una mera pratica di intrattenimento. Al contrario la lirica di Alberti nonrinuncia a perseguire ancora un intento conoscitivo e trova orazianamente un suoequilibrio tra l’utile e il dulci, senza pero che quest’ultimo prenda il sopravventosul primo fino a fagocitarlo.

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