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La Vita ita ita ita ita di s. Pietro abate: un’agiografia attraverso i secoli Le pagine che seguono si propongono di ricostruire la tradizione delle legendae agiografiche su s. Pietro, fondatore e primo abate del monastero benedettino di S. Pietro di Perugia. Il mio interesse per la figura di Pietro abate è nato nell’ambito di un più generale lavoro di carattere storico-istituzionale sui primordi della potente abbazia perugina. Analizzando la documentazione, mi sono trovata di fronte alla totale mancanza di fonti per il periodo di fondazione (seconda metà del secolo X), ad eccezione di due Vitae del santo fondatore edite nel primo venticinquennio del secolo XVIII, l’una dal Mabillon e dal Ruinart in appendice al nono volume degli Acta Sanctorum Ordinis Sancti Benedicti (1701), l’altra dai Bollandisti nel terzo tomo di luglio degli Acta Sanctorum (1723); di esse, apparentemente, non rimaneva altro che la versione a stampa. Il mio iniziale approccio alla figura di Pietro abate è stato quindi di carattere strumentale, nell’intenzione di desumere dalle due Vitae notizie su un periodo non documentato. Con il procedere della ricerca però, di fronte ad una tradizione ben più corposa di quanto apparisse in un primo momento, ho maturato un vivo interesse nei confronti di un’agiogra- fia, la cui storia rispecchia la storia stessa dell’ente da cui trae origi- ne. Da un lato, infatti, appurata l’inattendibilità di date e particolari inseriti nel racconto biografico in età moderna, e verificata invece la sostanziale conformità degli eventi narrati ad un determinato stereoti- po di santità, il personaggio storico assumeva contorni sempre più sbiaditi. Dall’altro, più si andava delineando la tradizione della legen- da agiografica, la sua evoluzione fatta di continuità ma anche di in- novazioni, omissioni, rielaborazioni vere e proprie, più appariva chia- ro trattarsi di una fonte importante non tanto o non solo per il periodo della fondazione dell’ente, quanto soprattutto per quello del- la sua “rifondazione” (avvenuta nel 1436 con la confluenza nella Congregazione di S. Giustina di Padova) e dei due secoli immediata- mente successivi.

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La VVVVVita ita ita ita ita di s. Pietro abate:un’agiografia attraverso i secoli

Le pagine che seguono si propongono di ricostruire la tradizionedelle legendae agiografiche su s. Pietro, fondatore e primo abate delmonastero benedettino di S. Pietro di Perugia. Il mio interesse perla figura di Pietro abate è nato nell’ambito di un più generale lavorodi carattere storico-istituzionale sui primordi della potente abbaziaperugina. Analizzando la documentazione, mi sono trovata di frontealla totale mancanza di fonti per il periodo di fondazione (secondametà del secolo X), ad eccezione di due Vitae del santo fondatoreedite nel primo venticinquennio del secolo XVIII, l’una dal Mabillone dal Ruinart in appendice al nono volume degli Acta SanctorumOrdinis Sancti Benedicti (1701), l’altra dai Bollandisti nel terzo tomodi luglio degli Acta Sanctorum (1723); di esse, apparentemente, nonrimaneva altro che la versione a stampa. Il mio iniziale approccioalla figura di Pietro abate è stato quindi di carattere strumentale,nell’intenzione di desumere dalle due Vitae notizie su un periodonon documentato. Con il procedere della ricerca però, di fronte aduna tradizione ben più corposa di quanto apparisse in un primomomento, ho maturato un vivo interesse nei confronti di un’agiogra-fia, la cui storia rispecchia la storia stessa dell’ente da cui trae origi-ne. Da un lato, infatti, appurata l’inattendibilità di date e particolariinseriti nel racconto biografico in età moderna, e verificata invece lasostanziale conformità degli eventi narrati ad un determinato stereoti-po di santità, il personaggio storico assumeva contorni sempre piùsbiaditi. Dall’altro, più si andava delineando la tradizione della legen-da agiografica, la sua evoluzione fatta di continuità ma anche di in-novazioni, omissioni, rielaborazioni vere e proprie, più appariva chia-ro trattarsi di una fonte importante non tanto o non solo per ilperiodo della fondazione dell’ente, quanto soprattutto per quello del-la sua “rifondazione” (avvenuta nel 1436 con la confluenza nellaCongregazione di S. Giustina di Padova) e dei due secoli immediata-mente successivi.

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Ho parlato finora della Vita di Pietro abate (di un’unica Vitainfatti si tratta, conservatasi però in diverse redazioni, di cui le dueedizioni settecentesche testimoniano gli esiti definitivi) come fonte peruna ricostruzione storica; ma quale tipo di storia si può desumere daun prodotto letterario qual è la Vita di un santo, dall’originalità limi-tatissima e dagli intenti apologetici 1? Indubbiamente non quella poli-tico-istituzionale, o almeno non direttamente. La decisione di elabo-rare un testo agiografico rappresenta senza dubbio una precisa sceltaculturale; l’ispirarsi ad uno specifico modello di santità è una sceltaculturale; la lingua, lo stile, i riferimenti interni ad altri santi o apassi della Bibbia sono specchio di una determinata cultura. Di con-seguenza, quello che immediatamente si può ricavare da un testoagiografico è questo particolare aspetto dell’ambiente che lo ha pro-dotto. Ma non solo. Le diverse versioni della Vita di Pietro abate,frutto di una stratificazione di interventi, mostrano in maniera evi-dente come le innovazioni all’interno della tradizione coincidano conaltrettante svolte dell’ente monastico a livello politico ed istituzionale.Non è per caso o per il capriccio di un monaco che la Vita viene,di volta in volta, rielaborata: è il mutare dei tempi a richiederlo,l’esigenza di un testo “moderno” e consono al modello agiograficodel momento. La coincidenza del rifiorire del culto del fondatorecon la confluenza nella Congregazione di S. Giustina, dato immedia-tamente ricavabile dalle testimonianze superstiti, non è che un primoesempio della forte interdipendenza fra avvenimenti politici, istituzio-nali e culturali e di come essi siano rintracciabili anche in un’operadi stampo agiografico.

Si procederà pertanto in questo modo: dapprima si descriverannole vicende del culto di san Pietro abate, inteso come fatto soprattut-to dell’istituzione (il monastero) e della città; successivamente si pre-senteranno i testi agiografici su di lui e i rapporti che li legano. Lafase acuta sia degli sviluppi cultuali sia della elaborazione e rielabo-razione agiografica copre poco più di due secoli, dal 1436 (anno delritrovamento delle reliquie e probabile data post quem per l’elabora-zione della Vita) alla metà circa del Seicento; prima, a partire dall’XIsecolo, un lungo silenzio.

1 Rispetto alle finalità delle agiografie ed alla loro tipologia ho fatto mie, applican-dole a questo caso particolare, le considerazioni di André Vauchez in La sainteté enOccident aux derniers siècles du Moyen Age, Rome, École française de Rome, 1981, trad.it. a cura di A. Prandi, La santità nel Medioevo, Bologna, il Mulino, 1989.

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Parte prima

LE VICENDE DI UN CULTO LOCALE

Pietro, fondatore e primo abate di S. Pietro di Perugia, fu anno-verato a partire dal secolo XV fra i santi locali, ma non fu maicanonizzato dalla Chiesa di Roma. Usando una distinzione terminolo-gica invalsa dalla metà circa del XIV secolo 2, Pietro risponde quindipiù correttamente al titolo di beato piuttosto che a quello di santo.Il monastero non richiese mai al pontefice un processo di canonizza-zione, neanche quando le fonti evidenziano un grande interesse nellapromozione e diffusione del culto; tanto meno quando, e fu tra l’XIsecolo e il 1436, la sua figura fu completamente dimenticata. Tuttociò che i monaci vollero ottenere, o riuscirono ad ottenere, fu l’inse-rimento di s. Pietro tra i santi protettori della città, il che avvennenel 1631 e fu ripetuto nel 1653.

1. I secoli XI e XII: i perché di un oblio

Trascurando tutte le notizie desumibili dalle varie versioni dellaVita che si prenderanno in esame, per l’abbaziato di Pietro non pos-siamo che basarci sui privilegi imperiali e pontifici (conservatisi inoriginale) emanati per l’abbazia nel corso del secolo XI, unica fontedocumentaria disponibile per l’epoca. È indubbio, dunque, che unabate Pietro fu il fondatore del monastero (un precetto di CorradoII del 1027 diretto all’abate Azzone parla di beni acquisiti dal mona-stero « per sanctum ac venerabilem virum Petrum abbatem, eiusdemcoenobii fundatorem, atque suos cunctos successores usque ad tem-pora presentis abbatis Azzonis» 3), e che sempre un abate Pietro fuil destinatario del privilegio di Benedetto VIII del 1022 4. TommasoLeccisotti e Costanzo Tabarelli, editori delle carte del monastero, ri-tengono che si tratti della stessa persona e che Pietro, fundator eprimo abate, dovette dunque morire tra il 1022 e il 1027: il riferi-mento a successori del fondatore, presente nel precetto del 1027,

2 Vauchez, La sainteté en Occident, trad. it., p. 55.3 Le carte dell’Archivio di S. Pietro di Perugia, 2 voll., a cura di T. Leccisotti e

C. Tabarelli, Milano, Giuffrè, 1956 [d’ora in poi Carte S.P.], I, doc. III, p. 10.4 Ivi, doc. II, p. 6.

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non sarebbe altro – a parere dei due studiosi – che una mera for-mula cancelleresca 5. Giorgio Cencetti invece non è convinto di que-sta identificazione in quanto la semplice coincidenza di un nomeassai comune come Pietro, in assenza di documenti che attestino chesi tratta della medesima persona, non ha un valore probante, mentreal contrario l’espressione presente nel precetto di Corrado II indicache il fundator del monastero non fu l’immediato predecessore diAzzone 6.

Si noti che le parole del precetto corradiano sopra riportate sonol’unica attestazione di una “fama di santità” del fondatore; di lui siriparlerà in questi termini solo quattro secoli dopo. È bene peròricordare che, all’epoca (e tanto più nel contesto specifico del docu-mento imperiale del 1027), il titolo di “santo” era attribuito più comesegno di stima che per un riconoscimento vero e proprio.

Di sicuro, i monaci non chiesero, né allora né dopo, alla Chiesadi Roma di ratificare il culto del fondatore del proprio cenobio conla canonizzazione ufficiale: la sanctitas di Pietro non fu mai sottopo-sta al giudizio del pontefice. Ciò si potrebbe spiegare con la consta-tazione che fino agli anni ’70 dell’undicesimo secolo non era in ge-nere necessario il consenso del pontefice per la venerazione di nuovisanti 7, ma quello dell’ordinarius loci, con il quale l’ente non era inrapporti amichevoli. L’esenzione del monastero dal potere giurisdizio-nale vescovile, attestata dai numerosi privilegi pontifici del secolo XI 8,aveva ingenerato infatti gravi e prolungati contrasti: in particolare ivescovi Conone e Andrea, nel tentativo di ricostruire un forte poteresulla propria diocesi, si trovarono ad ostacolo l’ente che, con i suoicospicui possedimenti, costituiva un’isola di esenzione piuttosto este-sa. Come chiedere quindi ad un’autorità così ostile un tale riconosci-mento?

5 Ivi, doc. III, p. 10, nota 12.6 G. Cencetti, L’Abbazia di S. Pietro nella storia di Perugia (Note critiche e diploma-

tistiche sui suoi più antichi documenti), in “Bollettino della Deputazione di Storia Patriaper l’Umbria”, 64/2 (1967), pp. 46-69: pp. 50-51.

7 Cfr. Vauchez, La sainteté en Occident, trad. it., p. 32.8 Per il secolo XI, ben otto sono i documenti pontifici conservatisi nell’archivio del

monastero nella loro redazione originale: sei privilegi, una notizia sinodale ed una lette-ra. Un’altra notizia sinodale, apparentemente il più antico documento riguardante l’ente,è probabilmente un falso diplomatistico prodotto all’interno del monastero stesso, in unperiodo comunque non lontano dai fatti narrati. Proprio dalle due notizie sinodali sonoattestati i contrasti tra il monastero e il vescovo. Cfr. Carte S.P., doc. I, pp. 1-4; doc. IV,pp. 14-19.

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Quando poi iniziò ad affermarsi la prassi che spettasse al pontefi-ce la canonizzazione dei nuovi santi, vale a dire a partire dal pontifi-cato di Gregorio VII 9, con molta probabilità i rapporti tra monasteroe Chiesa di Roma si erano notevolmente intiepiditi. L’archivio delmonastero, infatti, è caratterizzato da una lacuna documentaria cheva dal 1065 (privilegio di Alessandro II) al 1115 (privilegio di Pa-squale II). Non si è conservato quindi nessun documento emessodalle cancellerie di Gregorio VII e di Urbano II, sotto il pontificatodei quali la Riforma ecclesiastica raggiunge il suo apice massimo. Talecircostanza assume un valore particolare se messa in relazione con laparallela mancanza di documentazione per lo stesso periodo nell’ar-chivio della cattedrale cittadina. Secondo Giorgio Cencetti « questo èun fatto che si può constatare comune agli archivi ecclesiastici dellecittà italiane (e son tutte, o quasi, quelle dell’Italia settentrionale ecentrale) che, durante la lotta delle investiture, aderirono alla parteimperiale e solo gradualmente, a partire dal ritorno di Urbano IIdalla Francia e dalla sua predicazione della Crociata, tornarono all’or-todossia» 10. Dopo il concordato di Worms, ristabilitasi l’autorità dellaSede Apostolica, i documenti emanati da autorità non più riconosciu-te divenivano inutili se non nocivi, così come erano da dimenticare efar dimenticare i rimbrotti che conosciamo tanto frequenti da partedei pontefici ortodossi, di cui abbiamo numerosi esempi nel registrodi Gregorio VII. Qualora quindi fossero esistiti documenti emanatidalle autorità in questo periodo di grande disordine, questi vennerodistrutti, o comunque non si ebbe cura di conservarli. Se il nostrovuoto documentario avesse una spiegazione di questo tipo, come so-stiene il Cencetti, potremmo desumerne che il monastero, tanto vici-no al papato durante i primi anni della Riforma, se ne sia allontana-to proprio al suo acme, uniformandosi all’atteggiamento filoimperialedel vescovato (sempre che la situazione dell’archivio capitolare abbiala stessa motivazione di quella dell’archivio monastico) e forse dellacittà tutta: il monastero si sarebbe dunque avvicinato a quella politicalocale dalla quale si era tenuto in precedenza a debita distanza e conla quale anzi aveva avuto non pochi problemi di relazione.

Il giudizio è avvalorato dalla documentazione emessa per l’abba-zia nel corso del XII secolo 11. Si hanno soltanto tre privilegi emanati

9 Vauchez, La sainteté en Occident, trad. it., p. 34.10 Cencetti, L’Abbazia di S. Pietro nella storia di Perugia, pp. 55-56.11 Per i documenti pontifici, cfr. Carte S.P., doc. XIV, pp. 62-68; doc. XVII, pp. 77-

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per S. Pietro, e non di altissimo profilo: uno di Pasquale II (1115),uno di Innocenzo II (1137), uno di Lucio II (1144). Il successivodocumento pontificio diretto al cenobio è di tutt’altro genere: nel1145 Eugenio III restituisce l’ospedale di Porta S. Pietro, che ilmonastero aveva ottenuto illegalmente, all’ordine del Santo Sepolcrodi Gerusalemme. A quel punto, il rapporto con la Curia romana fusostituito da un chiaro atteggiamento filoimperiale. Nel 1163 Federi-co I concede al monastero un praeceptum in cui è confermato all’en-te un numero di possedimenti impressionante, la maggior parte deiquali mai contemplata in alcun documento pontificio o imperialeprecedente; l’archivio dell’abbazia conserva poi ben quattro documentiemanati dalla cancelleria di Enrico VI nel 1196 (tra i quali un privi-legio in cui sono confermati tutti i beni menzionati nel praeceptumdel padre). Sembra indubbio che S. Pietro si sia schierato dalla parteimperiale, temendo probabilmente l’isolamento che sarebbe derivatoda una scelta contraria, quando la stessa città di Perugia stava perse-guendo una politica filoimperiale, e che si sia mantenuto gravitantenell’orbita dell’impero fino alla morte di Enrico VI.

Il primo documento pontificio diretto a S. Pietro, dopo quello(negativo) di Eugenio III del 1145, è quello emanato sotto forma dilitterae concessionis da Onorio III nel 1224, nel quale il ponteficepermette all’abate di S. Pietro di celebrare nella sua chiesa, a portechiuse, i divini offici in tempo di locale interdetto (purché i monacistessi non vi abbiano dato causa): più di settant’anni di silenzio, quin-di, prima che un pontefice si interessi di nuovo al cenobio perugino.Nel 1228, il monastero chiede ed ottiene da Gregorio IX il rinnova-mento e la conferma dei vecchi privilegi pontifici del secolo XI, fon-damentali in eventuali dispute sia con il potere ecclesiastico localeche con quello civile 12. San Pietro è in questo momento molto attivosul territorio, ma la sua vita spirituale probabilmente non soddisfaappieno il pontefice, se pochi anni dopo questi giunge ad incaricare

82; doc. XVIII, pp. 82-87; doc. XX, pp. 91-93; per quelli imperiali, docc. XXI-XXV, pp. 93-122. Circa questi ultimi, e circa i rapporti della città di Perugia con l’imperatore Fede-rico I, cfr. W. Hagemann, I diplomi imperiali per l’Abbazia di S. Pietro di Perugia, in“Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, 64/2 (1967), pp. 20-45:p. 29.

12 In queste bolle era infatti affermata l’esenzione del monastero dal potere vescovi-le e la sua diretta appartenenza al patrimonium Petri. Cfr. Carte S.P., doc. V, pp. 19-24;doc. VII, pp. 29-33; doc. VIII, pp. 34-41; doc. XI, pp. 48-51; doc. XIII, pp. 53-62 edocc. XXIX-XXXIII, pp. 134-141.

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i suoi cappellani, Giovanni da S. Germano e fra Raimondo, di redi-gere statuta reformationis che regolino dettagliatamente la vita quoti-diana all’interno dell’abbazia. In essi sono presenti puntualizzazionisulla pulizia, il tipo di vestiario e la qualità del cibo, è imposto l’ob-bligo di mantenere il silenzio e il divieto di ammettere donne all’in-terno del chiostro 13.

2. Due antichi lezionari con la “legenda” di s. Pietro abate?

Tutto ciò si è detto per dar conto delle linee complessive deiprimi secoli di esistenza della fondazione perugina e spiegare, all’in-terno di esse, l’assenza di qualsivoglia impulso alla canonizzazione, ocomunque alla promozione del culto del Fondatore. Il che sarebbemeno vero se si rivelassero fondate alcune ipotesi sull’esistenza diopere agiografiche su san Pietro abate fin dai secoli XI e XII. Ipote-si che è doveroso considerare con attenzione, se non altro per nonescludere a priori un’origine del culto tanto antica – salvo dire subi-to che l’esame non approderà a risultati positivi, e nemmeno conclu-sivi.

Ugolino Nicolini, in un suo intervento al Convegno tenutosi inoccasione del millenario dell’abbazia di S. Pietro, parla di «due Le-zionari dei secoli XI-XII (uno dell’archivio capitolare di Perugia, oramutilo del fascicolo comprendente la “Vita”, l’altro dell’archivio diS. Pietro, perduto) che, secondo la testimonianza dello Jacobilli edegli editori della “Vita” stessa contenevano le più antiche redazionidella “legenda”» 14.

Vediamo. Lo Iacobilli cita tra le sue fonti «Lection. ant. MS. inBibl. S. Petri Perusiae et Cath. d. Civitatis» 15, senza specificare l’etàa cui i due manoscritti appartengano. Pien, curatore dell’edizionebollandista della Vita, nomina i suddetti lezionari in riferimento pro-prio allo Iacobilli. Dalle sue parole si desume che egli non consideramolto attendibili né l’erudito folignate, né le fonti da lui citate: « Itaille [Iacobilli] citans ad marginem Lectionarium antiquum Ms. in bibl.

13 Ivi, doc. XXXV, pp. 152-155.14 U. Nicolini, Intervento, in Convegno storico per il Millennio dell’Abbazia di S. Pietro

in Perugia, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, 64/2 (1967),pp. 296-298: p. 297.

15 Iacobilli 1647, I, p. 697. Facciamo rinvio, per questa e altre opere di erudizione,alle schede analitiche che saranno fornite più avanti, nelle parti seconda e terza.

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S. Petri Perusini & Cath. d. civitatis, quae securius admitterem, sivel ab Auctore Vitae, vel ab alio antiquo monumento forent consi-gnata » 16.

Un’altra testimonianza relativa ad antichi manoscritti è fornita da-gli Elogia civium Perusinorum di Cesare Alessi, opera data alle stampenel 1635. Costui, parlando del fondatore di S. Pietro, pone tra le suefonti dei «manuscripta Ecclesiarum S. Laurentij et S. Petri huius Ci-vitatis» 17, che molto ricordano i «Lectionaria antiqua Ms. in Bibl. S.Petri Perusiae et Cath. d. Civitatis» dello Iacobilli. A prima vistasembrerebbe quindi che Iacobilli abbia desunto la notizia incriminatadall’Alessi, aggiungendo di suo la definizione (« Lectionaria») e la cro-nologia («antiqua»). La questione del rapporto tra i due studiosi eperò molto complicata: i due infatti avevano diretti e proficui rappor-ti, per cui esiste la reale possibilità che l’uno dipenda dall’altro; non èscontato però che sia stato Alessi ad influenzare Iacobilli, in quanto idue eruditi si citano vicendevolmente come fonte. Anzi, dalla letturadelle pagine dedicate a Pietro abate nelle due opere si ha l’impressio-ne che sia stato Iacobilli ad ispirare Alessi e non viceversa.

Andrebbe considerato, ancora, un riferimento addotto da Giacin-to Vincioli nel 1734, il quale, per suffragare l’idea dell’appartenenzadel santo abate alla propria famiglia 18, cita un «Lezionario MS. inPergamena in foglio del Monastero di S. Pietro di Perugia» dove« alla c. 384, tergo, per esser lacera, è appresso così notato, ex Agel-lione [...]» 19. L’indicazione precisa della pagina lascerebbe supporreche egli abbia preso visione diretta del codice in questione e chenon si tratti quindi di un rimando ad una fonte non controllata;anche in questo caso, in ogni modo, non è data nessuna indicazioneprecisa sulla sua datazione (come diremo, numerosi manoscritti furo-no prodotti tra Quattro e Seicento, che io stessa ho potuto consulta-re nell’Archivio di S. Pietro oltre che nella Biblioteca Augusta: nullavieta di pensare che Vincioli alluda a uno di questi).

16 AA.SS. 1723 (18672), p. 113, col. II. Si noti che Mabillon, editore dell’altra Vitapubblicata (Mabillon-Ruinart 1701), non fa nessun cenno ad antichi lezionari.

17 Alessi 1635, Centuria Prima, p. 187.18 Parlerò approfonditamente in seguito di come dal diciassettesimo secolo in poi si

diffuse l’errata attribuzione di Pietro alla nota casata perugina dei Vincioli. Per ora milimito a sottolineare che Giacinto Vincioli, proprio a causa del suo intento apologetico,non sempre risulta corretto e affidabile: a volte, pur di dimostrare vera la sua tesi, arrivaanche ad adulterare le proprie fonti. Cfr. Vincioli 1734, pp. 9-25.

19 Ivi, p. 18.

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Riassumendo, sulla base di quanto detto da Alessi (1635), Iaco-billi (1647) e Vincioli (1734), sembrerebbe che ancora nel XVII-XVIIIsecolo fossero consultabili degli “antichi” manoscritti, definiti da Ia-cobilli e Vincioli “lezionari”, contenenti una Vita di Pietro abate;non è possibile però stabilire con esattezza se i tre autori si riferisca-no ai medesimi testi. Se così fosse, testimonianze (?) relative al “le-zionario di S. Pietro” sarebbero fornite da Alessi, Iacobilli e Vincioli;mentre del “lezionario della Cattedrale” parlerebbero i soli Alessi eIacobilli.

Su queste basi, piuttosto vaghe come si vede, il Nicolini avevatentato l’unica strada possibile, quella di identificare qualche mano-scritto che facesse al caso. Non trovando nulla nell’archivio diS. Pietro (e dando così per « perduto» il “lezionario di S. Pietro”),si era rivolto all’archivio capitolare di Perugia, e vi aveva trovato unlezionario «ora mutilo del fascicolo comprendente la “Vita” ». L’oc-casionalità e brevità dell’intervento non gli consentì ulteriori precisa-zioni. Egli alludeva senz’altro al ms. n. 40, l’unico tra i codici capito-lari 20 che, per età e contenuto, poteva corrispondere all’indicazioneiacobilliana 21. Si tratta di un passionario acefalo, lacunoso e mutiloin fine, attribuito da Caleca alla prima metà del secolo XI 22: datazio-ne, questa, che circoscrive la più generica indicazione «secc. XI-XII »fornita in descrizione (da cui, credo, le parole del Nicolini « dueLezionari dei secoli XI-XII»). Lo stesso Caleca, che del codice si èoccupato in maniera approfondita, ha riscontrato la perdita, fra gli

20 Tali codici sono oggi conservati nel Museo del Duomo di Perugia, dove sonostati recentemente trasferiti tutti i manoscritti dell’archivio e della biblioteca capitolare.Cfr. Museo dell’Opera del Duomo di Perugia. Catalogo, Perugia, Tip. Perugina, 1923. Inquesta edizione i codici sono enumerati ancora secondo le segnature in uso nel secoloXIX. I lavori successivi, che si citeranno, riportano le segnature attuali.

21 Breve descrizione in G. Cernicchi, L’Acropoli Sacra di Perugia e i suoi archivi alprincipio del secolo XX, Perugia, Tip. Perugina, 1911, p. 119, n. 33; ben più approfon-dita l’analisi di A. Caleca, Miniature in Umbria, I: La Biblioteca Capitolare di Perugia,Firenze, Marchi & Bertolli, 1969 (Raccolta pisana di saggi e studi diretta da Carlo L.Ragghianti, 27), pp. 59-62, 153-158. Dal punto di vista agiografico, il codice è statostudiato da B. de Gaiffier, Saints et légendiers de l’Ombrie, in Ricerche sull’Umbria tardo-antica e preromanica. Atti del II Convegno di Studi Umbri (Gubbio, 24-28 maggio 1964),Centro di Studi umbri presso la Casa di S. Ubaldo in Gubbio, Perugia, Facoltà diLettere e Filosofia dell’Università degli Studi, 1965, pp. 235-256; e da A. Brunacci, SantiUmbri nel “Passionario” di Perugia, in Aspetti dell’Umbria dall’inizio del secolo VIII allafine del secolo IX. Atti del III Convegno di Studi Umbri (Gubbio 23-27 maggio 1965),Centro di Studi umbri presso la Casa di S. Ubaldo in Gubbio, Perugia, Facoltà diLettere e Filosofia dell’Università degli Studi, 1966, pp. 255-271.

22 Cfr. Caleca, Miniature in Umbria, pp. 59, 62.

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altri, di un fascicolo collocato tra due fogli contenenti narrazioni re-lative al 10 luglio 23. Seppure il testo non proceda sempre secondoun ordine cronologico preciso, è assai probabile che in questo fasci-colo fossero presenti lezioni inerenti tutte a quello stesso giorno.Considerando che san Pietro abate viene tradizionalmente celebratoin tale data, questo fascicolo mancante avrebbe potuto contenere lapiù antica redazione della legenda pietrina, come ipotizzava il Nicoli-ni: una redazione realizzata addirittura a ridosso della morte dell’aba-te, quasi corollario di quelle parole (« per sanctum ac venerabilemvirum Petrum abbatem, eiusdem coenobii fundatorem ») contenutenel precetto di Corrado II del 1027.

C’è da dire però che tra le legendae superstiti del Passionarion. 40, nessuna riguarda santi di undicesimo secolo: sono tutti santimolto antichi, nella maggior parte martiri. Inoltre Brunacci mette indubbio che il codice perugino fosse noto allo Iacobilli 24, mentre pro-prio da quest’ultimo si ha la notizia che la Vita di Pietro abate erariportata da un antico lezionario capitolare. Il nostro parere, consoli-dato dalle valutazioni complessive che si facevano sulla storia inizialedel monastero di S. Pietro, è che le incertezze siano tali e tante, gliappigli così friabili da costringere a rigettare questa esilissima traccia.

3. I secoli XIII-XIV: l’oblio

Per questo lasso di tempo non abbiamo notizie di nessun generené di opere agiografiche su Pietro abate né del culto riservato alsanto. Per quanto ogni ipotesi a riguardo non possa che rimaneretale, può in parte spiegare un oblio simile il clima politico-istituzio-nale dell’epoca, che vede il monastero (non particolarmente “coltiva-to” dalla Sede apostolica, come si è visto) partecipare con solerzia

23 Così Caleca nella descrizione del codice (pp. 153-154): « Membranaceo, sec. XI-XII, cc. II + 251, numerate a pagine, guardie cartacee settecentesche, cm. 47,5 × 32,5 [cm.:38 × 21]; mancano più di un fascicolo all’inizio, un fascicolo almeno dopo p. 16, unaltro almeno dopo p. 32, un altro dopo p. 128, un altro dopo p. 176; molti fogli dopoc. 498, 2 o 3 bifogli dopo c. 500 e molti fogli dopo c. 502 ». Il fascicolo che ciinteressa è quello compreso tra i fogli 176 (Assunzione di Maria Vergine) e 177 (Vite didue sante vergini). La numerazione continua sta a dimostrare che nel ’700 il fascicolo inquestione era già andato perduto.

24 Su segnalazione di Meloni, in seguito, lo studioso avverte che forse è questo illezionario della cattedrale di cui Iacobilli parla a proposito di s. Florenzio, la cui leggen-da – continua il Brunacci – non è comunque qui presente. Cfr. Brunacci, Santi Umbrinel “Passionario” di Perugia, p. 257.

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alla politica locale in un vivace e non sempre pacifico confronto conil Comune cittadino 25. Dalla seconda metà del Duecento, sino allaconfluenza dell’ente nella Congregazione di S. Giustina avvenuta nel1436, gli abati di S. Pietro sono esponenti delle più importanti fami-glie cittadine (Coppoli, Vibi, Guidalotti, Graziani) e come tali forte-mente impegnati nelle lotte politiche intestine alla città. L’episodiopiù drammatico del secolo XIV, il devastante incendio del 1398, nelquale il monastero perse gran parte della documentazione preceden-te, fu dovuto proprio ad un episodio cruento di lotta per il potere:l’uccisione di Biordo Michelotti di cui fu accusato l’abate di S. Pie-tro, Francesco II Guidalotti, alla quale fece seguito un’insurrezionepopolare che sfociò appunto nell’incendio dell’abbazia 26.

Da non dimenticare, poi, è il fatto che sono proprio questi isecoli di maggiore diffusione e seguito degli Ordini mendicanti, ascapito sostanzialmente di quelli monastici: gran parte dei santi cano-nizzati tra Tre e Quattrocento appartiene proprio a Francescani eDomenicani, quando non addirittura al laicato.

In definitiva, sia che non esistesse all’epoca una specifica devozio-ne a s. Pietro, sia che eventuali opere agiografiche siano andate per-dute nell’incendio del 1398, nessuna traccia è rimasta di un partico-lare culto per l’abate.

4. Dopo il 1436: il « festum Sancti Petri Abbatis»

Al silenzio che contraddistingue i secoli XIII e XIV segue unperiodo di intenso fervore religioso nei confronti del santo: non soloinfatti al secolo XV, e in particolare alla seconda metà di esso, sonoascrivibili le prime Vitae conservatesi ma, nei calendari posti spessoall’inizio di lezionari e messali, il 10 luglio inizia ad essere ricordatosovente come festa di S. Pietro abate. A proposito dei tre codici

25 Valga l’esempio, ben studiato, dell’affrancazione degli homines di Casalina, sta-bilita da un lodo del 1270 che pose fine a varie vicissitudini: dopo i lavori diO. Marinelli (1954) e M. R. Palazzoli (1960), si veda il saggio di A. I. Galletti, Evolu-zione dei rapporti di dipendenza nel XIII secolo: il caso dell’affrancazione di Casalina, in“Benedictina”, 26 (1972), pp. 289-317. Cfr. G. Riganelli, Rivolte contadine e borghifranchi in area perugina nel Duecento, in Protesta e rivolta contadina nell’Italia medie-vale, a cura di G. Cherubini, Roma 1995 (“Annali dell’Istituto Alcide Cervi”, 16,1994), pp. 115-138.

26 Ab. P. Elli O.S.B., Cronotassi degli Abbati del Monastero di S. Pietro in Perugiaconforme alla Cronaca ms. dell’Abate D. Mauro Bini († 1849), Perugia, Abbazia S. Pietro,1994, pp. 85-91.

98 STEFANIA ZUCCHINI

non datati in cui compare questo elemento liturgico, Nicolini 27 parladi una produzione conseguente alla ripresa del culto connessa all’in-ventio dei corpi dello stesso s. Pietro e di s. Stefano 28, avvenuta il21 dicembre 1436 29. Poco prima, il pontefice Eugenio IV, intento adun’opera di riorganizzazione degli ordini religiosi, aveva imposto laconfluenza del monastero nella Congregazione di Santa Giustina. Lasequenza cronologica è significativa: il ritrovamento delle reliquie deidue santi monaci dovette essere tutt’altro che casuale, piuttosto vo-luto e “cercato” dalla nuova dirigenza monastica, intenta a rivaluta-re, a sacralizzare le origini di un’abbazia che, persa l’influenza reli-giosa e politica all’interno della città e coinvolta nel recente passatoin scandali e lotte civili, aveva la necessità di ricostruire un’immagi-ne basata su moralità e rettitudine. Di qui alla consacrazione dellasantità del fondatore il passo era breve, anzi automatico; essa si arti-colò su tre registri, quello agiografico, quello liturgico e quello ico-nografico.

Al primo e al terzo aspetto dedicheremo attenzione nella secondaparte. Qui procediamo con la descrizione dei tre manoscritti liturgiciche ascrivono al 10 luglio la festa di s. Pietro abate. Nell’impossibi-lità di seguire un ordine cronologico preciso, trattandosi di codicinon datati, presenterò per primo il codice tuttora conservato nell’Ar-chivio del monastero di S. Pietro (oggi Archivio della Fondazioneagraria di Perugia: d’ora in poi AMSP), poi, secondo segnatura, idue che (appartenuti al monastero) si trovano oggi nella Bibliotecacomunale Augusta (= BAP) 30. Indicherò i tre codici con lettere del-l’alfabeto.

27 Nicolini, Intervento, pp. 297-298.28 Stefano fu uno dei primi compagni di Pietro nell’esperienza cenobitica. Anch’egli,

come il fondatore del monastero, è detto santo per venerazione popolare pur non essen-do stato ufficialmente canonizzato.

29 Lo storico trae questa notizia dall’erudito cinquecentesco Pompeo Pellini, che a suavolta si basa sulla cosiddetta Cronaca del Graziani. Dello stesso avvenimento, attribuitoperò all’anno 1410, ci informa anche un erudito del secolo XVII, Ottavio Lancellotti.Cfr. Pellini 1664, II, pp. 398-399; Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491, notacol nome dei Diario del Graziani, ed. a cura di A. Fabretti, in “Archivio Storico Italia-no”, 16/1 (1850), pp. 69-750: p. 410; O. Lancellotti, Scorta Sagra per tutti i giornidell’anno [Lancellotti ante 1659], BAP, ms. B 5, c. 144r.

30 Per notizie relative a questi due codici cfr. G. Battelli, Gli antichi codici di S. Pietrodi Perugia, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, 64/2 (1967),pp. 242-266: pp. 254, 257; A. Bellucci, Biblioteca “Augusta” del Comune di Perugia, inG. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, V, Forlì, L. Bordandini,1895, pp. 56-297: pp. 112-113, 248; Nicolini, Intervento, p. 297.

99LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

A) AMSP, C.M. 5Breviario monastico, membranaceo, 1490 (?): contiene un ca-lendario santorale in cui, in corrispondenza al 10 luglio, è pre-sente la festa del santo, che però non compare all’interno delbreviario tra le ricorrenze menzionate al 10 di luglio.

Il codice è composto da 408 fogli non numerati (l’odierna numerazionea matita è senza dubbio recente). La scrittura è a due colonne; la rigatura èeffettuata con un inchiostro che a tutt’oggi risulta ben evidente; una manounica verga gran parte del testo. I capilettera sono adornati alternativamen-te con il colore rosso ed il colore blu; bellissimi fregi floreali, assai sottili,dividono una colonna dall’altra ed in molte pagine evidenziano la distinzio-ne fra i paragrafi stessi: laddove un paragrafo inizia con un capoletterarosso, il disegno floreale che lo affianca è blu e viceversa. Un gran numerodi fogli è privo delle iniziali miniate, tagliate via in modo grossolano.

I primi sei fogli sono occupati da un calendario santorale. A c. 4r, incorrispondenza al 10 luglio, è menzionata la festa di s. Pietro abate.

Subito dopo il calendario uno o più fogli sono andati perduti; il testoinizia infatti con la lettera minuscola e con parole che, avulse dal loro con-testo, risultano prive di senso: lana alba erunt.

Un lembo di carta, attaccato sulla coperta in pelle, riporta la scritta:Mss. Breviarium Congregationis S. Iustinae Ord. S. Benedicti Anni 1490. L’an-notazione è senza dubbio posteriore, e perciò vale più come testimonianzasuccessiva che come prova di datazione; non per questo va rigettata.

B) BAP, ms. 298 (E. 46)Orazionale monastico, membranaceo, secolo XV: contiene uncalendario santorale in cui, in corrispondenza al 10 luglio, èmenzionata la festa del santo. Anche in questo caso sono as-senti lezioni di Pietro abate al 10 luglio dell’orazionale.

Il codice è composto da 132 fogli non numerati. La scrittura è ad unacolonna, con i titoli e le abbreviazioni indicanti le antifone in caratteri rossi;moltissime lettere iniziali sono fregiate in vivaci colori (blu, verde, marrone)ed oro. I primi sei fogli sono occupati da un calendario santorale nel quale,in corrispondenza al 10 luglio, è menzionata la festa di s. Pietro abate.

Il corpo del manoscritto è introdotto dalle parole « Incipit manuale siveorationale monasticum secundum consuetudinem monachorum congregatio-nis de observantia sancte Iustine » (f. 7r).

100 STEFANIA ZUCCHINI

Nel margine superiore della facciata iniziale, un’annotazione in scritturacorsiva, senza dubbio posteriore a quella sottostante, attribuisce il codicealla metà circa del secolo XV: « Saeculi XV. circa medium »; questa, al con-trario della precedente, è valutazione critica – discutibile dunque, e però anostro parere condivisibile.

C) BAP, ms. 1115Breviario monastico, membranaceo, secolo XV: contiene un ca-lendario santorale in cui è menzionata la festa di s. Pietro aba-te, e le prime lectiones di una Vita sancti Petri abbatis et con-fessoris, all’altezza del 10 luglio.

Il codice è composto da 441 fogli originariamente non numerati: lanumerazione oggi visibile a matita, di mano recente, parte dal foglio di guardiaanteriore, rigato (come i successivi) ad inchiostro su due colonne, ma vuoto 31 .La scrittura, a due colonne, minuta ed ordinata, procede fino all’ultimapagina e sembra appartenere ad un unico copista. I capilettera sono inrosso-blu, i titoli in rosso. A c. 2r, la nota di possesso (« istud breviariumest congregationis Sanctae Iustinae deputatum fratribus in monasterio SanctiPetri de Perusio signatum 90 »), ripetuta a c. 441v.

I primi sei fogli scritti (escludendo quindi il foglio di guardia anteriore)sono occupati da un calendario nel quale, in corrispondenza al 10 luglio, èmenzionato s. Pietro abate.

Al f. 333r, in corrispondenza della festa del santo, è riportata un’orazio-ne in cui è richiesta la protezione celeste dell’abate e, di seguito ad essa, leprime lectiones di una Vita sancti Petri abbatis et confessoris. A tali testi sidedicherà attenzione più avanti.

Nessuna indicazione cronica, né coeva né successiva.

È un dato indubbio che la confluenza del monastero nella Con-gregazione di S. Giustina sia un momento focale, un punto di svoltanella storia dell’ente e del culto riservato al fondatore: in tutti e tre icodici sono fatti riferimenti espliciti alla Congregazione. In astratto sipotrebbe obiettare che la nota di possesso del breviario C, certo

31 A parere di Bellucci, compilatore del catalogo dei manoscritti della biblioteca(p. 248), la numerazione inizia da 2 in quanto il primo foglio è andato perduto. Inrealtà un numero 1 a matita è presente in alto a destra nel primo foglio, come giàdetto, vuoto, e tra questo e il successivo non c’è traccia di strappi o tagli. La presenza,infine, ai ff. 2r-7v, di un calendario santorale che prende avvio regolarmente con il mesedi gennaio, non fa pensare ad alcun foglio mancante.

101LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

successiva al 1436, « istud breviarium est congregationis Sanctae Iu-stinae deputatum fratribus in monasterio Sancti Petri de Perusio si-gnatum 90 » 32, non esclude una produzione precedente, così come amaggior ragione l’indicazione di piena età moderna riportata sullacoperta del breviario A, Mss. Breviarium Congregationis S. Iustinae Ord.S. Benedicti Anni 1490. Ma l’incipit dell’orazionale B (« Incipit ma-nuale sive orationale monasticum secundum consuetudinem mona-chorum congregationis de observantia sancte Iustine ») allontana ognidubbio sul posizionamento tra il 1436 e, al più tardi, il 1504, quan-do l’abbazia fu incorporata nella Congregazione di Montecassino. Ele strette affinità di scrittura e di decorazione che si riscontrano fraquesto e gli altri due codici, rimandando ad un’origine coeva, costi-tuiscono una prova sufficiente per attribuirli allo stesso periodo.

Questa datazione doverosamente “larga” potrebbe essere ridottariconsiderando la datazione 1490 apposta da mano successiva sulbreviario A. Esattamente la stessa indicazione portava il breviario dicui prese visione nell’Ottocento don Mauro Bini, il quale afferma diaver letto delle « lezioni di S. Pietro Abbate in un antico breviariomonastico membranaceo del secolo XV, 1490, nella festa di dettoSanto» 33. Certo è che non si tratta del nostro breviario A, che ha sìnel calendario iniziale (e posta ben in evidenza) la festa del santo,ma non presenta alcun accenno ad una Vita di s. Pietro abate incorrispondenza delle pagine dedicate ai santi venerati a luglio 34. Po-trebbe allora essere il breviario C, che, si è detto, oltre all’indicazio-ne calendariale riporta una oratio e alcune lectiones dedicate al san-to; in questo però non si riscontra alcuna nota cronica, né generica

32 Questa nota di possesso è testimonianza diretta del riordinamento della biblioteca,seguito alla riforma voluta da Eugenio IV. Tutti (o quasi) i codici allora in possesso delmonastero furono infatti riordinati, numerati e segnati da ex-libris simili a questo. Dainumeri arabici che chiudono tali note di possesso (il breviario A aveva dunque ricevutoil n. 90) si è potuta ricavare la prima notizia concreta di un patrimonio librario di cui,fino ai primi del Quattrocento, si hanno solo notizie vaghe ed incerte: un esame deicodici superstiti ha permesso infatti di riscontrare che l’abbazia nel secolo XV possedevaalmeno 590 codici. Cfr. Battelli, Gli antichi codici di S. Pietro di Perugia, pp. 244-245.

33 Mauro Bini (1775-1849), divenuto monaco nel 1793, fu eletto priore della par-rocchia di S. Costanzo nel 1809; divenne poi custode, economo ed infine abate diS. Pietro, nonché visitatore e presidente della Congregazione Cassinese. Il passo citatoproviene da una cronaca in cui Bini ripercorre tutta la storia del monastero, dalle originiai suoi giorni. Cfr. Elli, Cronotassi degli Abbati del Monastero di S. Pietro, p. 7.

34 Sono ricordati, a f. 294r, l’ottava della visitazione di santa Maria (9 luglio), i settesanti fratelli martiri (10 luglio), santa Rufina (11 luglio), i santi martiri Narbore e Felice(12 luglio), santa Margherita vergine (13 luglio) etc., ma non s. Pietro abate.

102 STEFANIA ZUCCHINI

né precisa, né coeva né successiva. Ergo, l’« antico breviario monasti-co membranaceo del secolo XV, 1490» visto dal Bini ancora nelsecolo XIX non può essere riconosciuto in alcuno dei nostri tre libriliturgici. Un altro breviario, datato 1490, ora perduto? Risponderemopiù avanti; comunque sia, da tutto ciò viene resa periclitante la stes-sa nota 1490 presente nel Breviario A, nel senso che essa potrebbeessere stata apposta da un monaco che (sbagliando) ritenne di rico-noscere nel codice quello stesso citato dal Bini.

Non siamo perciò in grado di stabilire una cronologia più ristret-ta per i tre libri esaminati: potremmo al massimo assumere, comeindicativa e attendibile dal lato paleografico, la nota che si leggenell’orazionale B: « Saeculi XV. circa medium». Semmai, si deve darpeso alla presenza della oratio e delle lectiones dedicate a s. Pietroabate nel breviario C, indizio di uno stadio più inoltrato, e perciò diuna cronologia più avanzata, di questo rispetto ai codici A e B:come se questi due si accontentassero, immediatamente, di inserirenei rispettivi calendari la menzione della “nuova” festività; mentrel’altro acquisisse i primi testi elaborati nel frattempo per dare dignitàe compiutezza liturgica alla celebrazione. Quanto invece alle indica-zioni della festività di s. Pietro abate nei tre calendari, esse sonopressoché identiche. Osserviamole più da vicino: Fig. 1. Va avvertitoche in tutti e tre i casi l’annotazione è di prima mano: non è fruttocioè di quegli interventi di aggiunta, interpolazione, aggiornamentocosì frequenti nei calendari liturgici.

Nel breviario A, f. 4r: « VI idus – Sancti Petri Abbatis Duplex Maius etsanctorum septem fratrum martirum ».

Nell’orazionale B, [f. 4r]: « VI idus – Sancti Petri Abbatis Duplex Ma-ius et sanctorum septem fratrum martirum ».

Nel breviario C, f. 5r della numerazione moderna, quarto del calenda-rio: « VI idus – Sancti Petri abbatis Duplex Maius et sanctorum septem |[rigo inferiore] fratrum et Rufine ac Secunde martirum ».

Le diciture qui stampate in grassetto sono vergate – se non bastas-se l’indicazione liturgica Duplex Maius [sempre sottinteso festum] –con l’inchiostro riservato nei tre calendari alle ricorrenze più importan-ti: blu in A, rosso in B e C 35.

35 Valga l’esempio del breviario A, dove, nella stessa pagina del mese di luglio, adesempio, ci sono solo altre due ricorrenze contraddistinte dall’inchiostro blu: la festivitàdella visitatio beatae Mariae e l’ingresso del sole nel segno del Leone.

103LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

Interessanti possono rivelarsi i modi dell’indicazione del giorno,identici nei tre testimoni e perfettamente in linea con gli usi deltempo. Il giorno del mese è espresso alla latina: VI idus, sottintesonaturalmente iulii. A sinistra di questa, stanno le due colonne riser-vate al “numero d’oro” (una cifra romana) e al giorno della settima-na (una lettera dell’alfabeto, da a a g). Nei tre calendari, al 10 lugliospettano la cifra X e la lettera b. Cerchiamo di capire.

Il numero romano è dunque il “numero d’oro”, che allude al ciclolunare. Ogni giorno è accompagnato da un numero compreso fra I e XIX,in un ordine non consequenziale. Come spiega chiaramente Emmanuel Poul-le, « tous les calendriers donnent le nombre d’or: rappelons qu’il s’agit d’unesuite de nombres, compris entre 1 et 19, dans une sequence apparemmentanarchique, mais dont la place dans le calendrier indique le numéro d’or-dre, dans le cycle de dix-neuf ans, de l’année qui a, ce jour-là, une conjon-ction moyenne, c’est-à-dire une nouvelle lune » 36. Appreso così che al 10luglio corrispondeva il “numero d’oro” X, possiamo procedere senza danno.

La seconda colonna (sono cose ben note agli specialisti) indica il giornodella settimana. Le prime sette lettere dell’alfabeto si ripetono nell’ordine, disette in sette; la a è vergata in inchiostro rosso, ed è la domenica; e via via finoalla g, che è il sabato. La lettera corrispondente al 10 luglio, nei tre calendari,è sempre b, lunedì. Si noti che questa indicazione, presente in tutti i calendariliturgici, osta all’uso di essi come “calendario perpetuo”, riferendosi ovviamen-te a un anno determinato, che dovrebbe essere quello della scrittura. Valgal’esempio di un altro codice conservato nell’archivio del monastero, il mano-scritto M.S. 16, risalente al 1336, nel cui calendario il 10 luglio è contrassegna-to dalla lettera e (giovedì); e sappiamo che nel 1336 il 10 luglio cadeva propriodi giovedì. Se la pista fosse giusta (ma non sempre si può esserne sicuri),verifichiamo in quali degli anni compresi tra il 1436 e il 1504 il 10 luglio cadessedi lunedì. Sono i seguenti: 1475, 1486 e 1497 (Pasqua il 26 marzo); 1458,1469, 1480 (Pasqua il 2 aprile); 1447 e 1452 (Pasqua il 9 aprile); 1441 e 1503(Pasqua il 16 aprile); nessuno negli anni con la Pasqua al 23 aprile 37.

Come si vede, un esercizio poco più che ludico, benché istrutti-vo: non è di alcun aiuto per risolvere il problema cronologico cheavevamo lasciato in sospeso – prendiamo atto, intanto, che manca

36 E. Poulle, Les Sources astronomiques (textes, tables, instruments), Louvain-La-Neuve,Institut d’Étudies Médiévales, 1981 (Typologie des Sources du Moyen Âge occidental,39), p. 71.

37 Si veda il ben noto manuale di A. Cappelli, Cronologia e calendario perpetuo dalprincipio dell’èra cristiana ai nostri giorni, VI ed. aggiornata, Milano, U. Hoepli, 1988,rispettivamente pp. 44-45, 58-59, 72-73, 86-87, 100-101.

104 STEFANIA ZUCCHINI

dall’elenco il 1490. Tanto più che il divertissement non toccherebbela datazione dei tre manoscritti, ma o la datazione di uno solo diessi, il primo (quale tra A e B?, poiché escluderemmo C), supponen-do che esso abbia fatto da modello per gli altri due; oppure la data-zione di un antigrafo comune.

Abbracciamo quest’ultima ipotesi: proprio la stretta identità deitre calendari quanto all’indicazione, di per sé variabile, del giornodella settimana suggerisce di considerare ciascuno di essi discendenterecta linea da un antigrafo comune. Immaginiamo cioè che il regimendell’abbazia inaugurato nel 1436 abbia imposto la redazione di unnuovo calendario santorale, comprensivo della festività del riscopertosanto fondatore, che facesse da exemplar per la produzione successi-va dei libri liturgici del monastero. Il che sarebbe avvenuto in unodei primi tra gli anni sopra identificati: il 1441 o il 1447 o il 1452 oil 1458, per non andare oltre.

5. Il successo e l’eclissi

Se il quindicesimo è il secolo della inaugurazione del culto diPietro abate, il sedicesimo è quello del pieno sviluppo. Basti consi-derare le quattro traslazioni che le sue reliquie subiscono in menodi cento anni. Il 5 settembre 1534 le ossa del santo monaco sonoposte in un luogo elevato della sagrestia per volere dell’abate Giro-lamo da Genova 38; la cassa, una volta aperta ed esposti i resti sacriall’adorazione popolare, è di nuovo sigillata dall’abate di S. Vitale diRavenna, Bernardo da Perugia. Nel 1573 è introdotto l’uso di fareuna celebrazione religiosa nel dì festivo del santo 39: la salma, porta-

38 Cfr. AMSP, Mazzi LXXII, mss. 12 e 14. Il manoscritto 12, non datato, forniscedati frammentari sulle varie traslazioni delle reliquie del santo. Il manoscritto 14, riguar-dante nello specifico quella del 1609, è diviso in 3 parti distinte: la prima è una copiadegli atti ufficiali, stampati nello stesso 1609 dall’editore Petrucci; la seconda consta didue pagine in cui viene riassunto l’evento dando preponderanza e risalto al monasterodi S. Pietro, la terza contiene la trascrizione dell’instrumentum notarile redatto ed auten-ticato da Francesco Torelli, notaio sia del vescovato che del monastero. Proprio per lasua completezza mi sono basata su quest’ultima fonte, fatta eccezione per la data dellaprima traslazione cinquecentesca: rispetto al 1539 riportato dal ms. 14 (con 9 sovrascrit-to ad altro numero) ho ritenuto più degno di fede il 1534 del ms. 12. Nel 1539 nonera infatti abate Girolamo Monterosso da Genova (1532-1537), fautore della traslazionein entrambi i documenti, ma Girolamo Rebuffi da Piacenza. Le notizie riportate daMazzi 12 e 14 corrispondono a quelle contenute in altre compilazioni presenti in AMSP,come Libri diversi n. 38, f. 220v e Liber TT, p. 216.

39 Cfr. AMSP, Libri diversi n. 33, p. 48.

105LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

ta in processione, non è ricollocata nella sagrestia ma sotto l’altaremaggiore della chiesa 40. Il giorno 15 dicembre 1592, l’abate Giaco-mo di S. Felice da Salò stabilisce una nuova traslazione: la cassalignea in cui sono conservate le ossa dei beati confessori Pietro aba-te e Stefano è estratta dal basamento dell’altare maggiore, sostituitacon una più grande e posta nella sagrestia in attesa di poter esserecollocata sotto il nuovo altare maggiore della chiesa, fatto erigeredall’abate nello stesso 1592 41. Il piano di abbellimento e valorizza-zione del monastero prevede anche l’opera del pittore Antonio Va-sillachis, detto l’Aliense, esponente della scuola veneziana, il qualerealizza undici grandi quadri collocati sulle pareti della navata cen-trale (dove si trovano tuttora) e di Arnaldo Wion, benedettino bel-ga, chiamato ad ideare il soggetto del quadro ancor oggi collocatosopra la porta principale, raffigurante l’albero della Religione dis. Benedetto 42.

Il secolo XVII si apre con la contemporanea traslazione dei cor-pi di s. Ercolano, s. Bevignate e s. Pietro avvenuta il 17 maggiodell’anno 1609. Il contesto è quanto mai solenne: una pubblica pro-cessione accompagna le reliquie di s. Ercolano dall’altare della catte-drale alla chiesa di S. Ercolano; quelle di s. Bevignate confessoresono portate dalla chiesa di S. Bevignate, sita fuori le mura, allacattedrale; ed infine il corpo di s. Pietro è finalmente collocato nelmausoleo che funge da sostegno al tabernacolo dell’altare maggiorenella chiesa del monastero. Oltre alle varie confraternite ed alle altreistituzioni cittadine, sono presenti sei vescovi 43 e ben cinquanta aba-ti. L’eccezionale numero di dignitari monastici è dovuto alla conco-mitanza della processione con la chiusura del Capitolo Generale del-l’Ordine benedettino tenutosi in quell’anno a Perugia. E non si vatroppo lontano dal vero, a mio parere, se si collega l’uno e l’altroevento: l’intervento di tutti gli abati dell’Ordine benedettino dava

40 Pur non essendo riportato questo dato dai documenti, poiché il notaio Torelliafferma che la cassetta con le reliquie si trovava sotto l’altare maggiore al momento dellasua ricognizione avvenuta nel 1592, o è stata spostata in occasione della processione del1573, o ha subito una successiva traslazione prima del 1592, di cui non rimangono nédocumenti né citazioni indirette. Cfr. AMSP, Mazzi LXXII, ms. 14.

41 Il notaio Francesco Torelli, redattore dell’instrumentum che ci fornisce questeinformazioni, dice di essere stato presente all’avvenimento e di aver autenticato con ilsigillo lo spostamento delle ossa da una cassa all’altra. Cfr. AMSP, Mazzi LXXII, ms. 14.

42 Cfr. Elli, Cronotassi degli Abbati del Monastero di S. Pietro, p. 217.43 Si tratta del vescovo d’Isernia, anche governatore di Spoleto, e dei vescovi di

Nocera, Città della Pieve, Sanseverino, Chiusi e Perugia. Cfr. AMSP, Mazzi LXXII, ms. 14.

106 STEFANIA ZUCCHINI

senz’altro grandissimo lustro alla manifestazione e fu proprio questo,con tutta probabilità, che convinse monsignor Comitoli ad aggiunge-re alle altre due la traslazione delle reliquie di Pietro, inizialmentenon prevista 44. Del resto, il rifiuto posto dal pontefice Paolo V alriconoscimento dei resti mortali del protovescovo Costanzo, che ilpresule avrebbe voluto spostare dalla chiesa omonima alla cappelladei vescovi in cattedrale 45, aveva lasciato “un posto vuoto”, mentre,d’altro canto, le spoglie dell’abate, che nel 1592 erano state tempo-raneamente collocate nella sagrestia della chiesa, erano in attesa an-cora della definitiva collocazione. Il tutto fu sicuramente deciso nelgiro di poco tempo e all’ultimo momento, tenendo conto che il bre-ve di Paolo V con cui si autorizzava il trasporto delle ossa dei beatiPietro e Stefano 46 giunse solo l’8 maggio 47, vale a dire pochi giorniprima della manifestazione.

Questa traslazione ufficiale ha ben altro valore rispetto alle prece-denti: il patrocinio del vescovo apre infatti le porte alla santificazione

44 Sappiamo, da una lettera del vescovo Comitoli al pontefice, che il presule avevarichiesto il permesso di traslare i corpi di s. Ercolano e s. Costanzo, patroni della città,e quello di s. Bevignate confessore. Copia di questa lettera, non datata, è conservatanell’archivio di S. Pietro; l’originale è nella cancelleria arcivescovile di Perugia. Cfr. AMSP,Mazzi LXXII, ms. 3.

45 Di questo rifiuto siamo a conoscenza grazie ad una lettera di Baldassarre Ansideial Comitoli, datata Roma, 18 febbraio 1609. L’Ansidei ha avuto l’ordine dal cardinale diMonreale di chiedere al Cardinale Mellini, evidentemente portavoce di Paolo V, cosa nepensi delle traslazioni dei corpi di s. Costanzo, s. Bevignate e s. Ercolano. Il cardinalMellini acconsente a traslare i corpi degli ultimi due ma non quello di Costanzo, per ilquale ritiene necessaria una ricognizione che attesti l’autenticità delle reliquie conservatesotto la chiesa di S. Costanzo. Copia di questa lettera è conservata, insieme a quella delvescovo Comitoli, nell’archivio del monastero di S. Pietro. Cfr. AMSP, Mazzi LXXII,ms. 3.

46 Rispetto alla presenza di Stefano, non è da dimenticare che i resti mortali deidue monaci furono rinvenuti insieme nel 1436 e così rimasero in seguito.

47 Questa data è di una certa importanza in quanto, in alcune aggiunte appostead antichi calendari, il santo non è ricordato né al 10 luglio né al 17 maggio, ma all’8di questo mese. Mi riferisco in particolare ad una delle giunte apposte al calendariodel messale ms. 4 (secolo XII) del Museo del Duomo e all’analoga, inserita nel calen-dario del messale ms. 5 (secolo XIII) dello stesso museo. In corrispondenza dell’8maggio troviamo, nel primo caso « Translatio sancti Petri episcopi et confessoris com-memoratio », nel secondo « [festum] Beati Confessoris ». Quanto all’attribuzione nelms. 4 del titolo di vescovo, oltre che quello di confessore, sono propensa a credereche si tratti di un errore “di sovrabbondanza” del tutto simile a quello presente nelgià citato resoconto della traslazione in cui, nella parte redatta dai monaci, Ercolano èdefinito « vescovo e Martire e Protettore di questa Città e nostro Monaco ». Cfr. Peru-gia, Museo del Duomo, Ms. 4 [già 12], f. 3r e ms. 5 [già 22], f. 2r; AMSP, MazziLXXII, ms. 14.

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da parte del papa; da ciò la necessità dei permessi a procedere dicui sopra. Il passo successivo sarebbe stato la richiesta di un proces-so di canonizzazione, ma questa richiesta non fu mai avanzata, alme-no non in via ufficiale, né dal vescovo né dai monaci. Un dato co-munque è certo: il Seicento è il secolo in cui il monastero si adope-rò maggiormente per il riconoscimento del culto di Pietro abate eper la diffusione della sua legenda agiografica. Addirittura nel 1611 ilperugino Giovan Battista Lauri, che nel 1625 sarà nominato da Ur-bano VIII segretario del Collegio dei Cardinali 48, dà alle stampe unbreve poemetto latino dal titolo Perugia servata sive Petri Abatis cumOttone II Imperatore congressus, segno indubbio della celeberrima famadell’abate 49.

L’apice dei riconoscimenti attribuiti al fondatore di S. Pietro siha il 22 gennaio 1631, quando il Consiglio della città di Perugiadichiara s. Pietro abate, insieme con la Vergine del Rosario, protetto-re della città 50. Tale deliberazione è ripetuta l’8 giugno 1653: in que-sta occasione la sua immagine è collocata insieme a quella degli altrisanti protettori nella pubblica cappella del palazzo pubblico 51. Già lanecessità di iterare il riconoscimento è di per sé indizio della man-canza di un reale seguito popolare; e questo, in effetti, si rivelò l’ul-timo guizzo di un culto privo di radici solide, troppo circoscritto auna singola istituzione per divenire patrimonio comune della città.Pietro abate cadde definitivamente nell’oblio: oggi i santi protettoridi Perugia sono i protovescovi Costanzo ed Ercolano ed il martireLorenzo.

48 Il Lauri, intrapresa la carriera ecclesiastica nel 1609, è subito incaricato dalvescovo Napoleone Comitoli di istruire nelle lettere i giovani del nuovo Collegio diS. Bernardo, che egli ha recentemente fondato. Ricordo che nello stesso 1609 ha luogola traslazione seicentesca delle reliquie di Pietro, patrocinata dal Comitoli. Per notizieapprofondite su Giovan Battista Lauri, cfr. G.B. Vermiglioli, Bibliografia degli scrittoriperugini e notizie delle opere loro, 2 voll., Perugia, V. Bartelli - G. Costantini, 1829, rist.anast. Bologna, A. Forni, 1973 (Italica Gens, Repertori di bio-bibliografia italiana, 45),II, pp. 61-66.

49 Tale notizia è desunta dal primo catalogo degli scrittori perugini di Giovan Bat-tista Vermiglioli, il quale afferma che il poemetto fu stampato nel 1611 ed una secondavolta nel 1778. Purtroppo non sono riuscita a rintracciare alcun esemplare né dell’una,né dell’altra edizione. Cfr. G. B. Vermiglioli, Bibliografia storico-perugina o sia catalogodegli scrittori ..., Perugia, F. Baduel, 1823, rist. anast. Bologna, A. Forni, 1976, p. 188.

50 Archivio di Stato, Archivio Storico del Comune di Perugia, Consigli e riformanze,anno 1629, p. 140; anno 1631, p. 1.

51 Ivi, anno 1653, p. 91.

108 STEFANIA ZUCCHINI

Parte seconda

DAL CULTO ALL’AGIOGRAFIA: LE TRE REDAZIONI DELLA VITA

Per i monaci di S. Pietro, una volta passati nell’orbita della con-gregazione di S. Giustina – e la gloriosa fondazione padovana eraben avvezza a far leva sull’agiografia per consolidare il proprio pre-stigio 52 – affermare la santità del fondatore significava lavorare a fon-do per conferire a lui un profilo preciso, una biografia “raccontabi-le”, un’identità di santo. Il che avvenne dunque nel corso del secoloXV. Le basi storiche per la ricostruzione biografica erano assai esili:in pratica, se abbiamo visto giusto, esse consistevano in quella sortadi riconoscimento datogli post mortem da Corrado II nel 1027 («persanctum ac venerabilem virum Petrum abbatem, eiusdem coenobiifundatorem » – parole, beninteso, che non sono dell’imperatore madei monaci che gli avevano chiesto l’emissione del precetto) e, nondimentichiamolo, nel suo corpo da poco recuperato: null’altro, senon forse una memoria generica e qualche racconto tramandato ne-gli anni. D’altronde l’importanza di Pietro stava nel suo essere ilfondatore e primo abate del monastero di S. Pietro: e si potevariversare nella sua legenda tutto quanto si sapeva (o si credeva disapere) sulle origini dell’istituzione. Comunque non era di appoggidocumentari che i promotori del culto avevano bisogno; l’ars hagio-graphica, se così la possiamo chiamare, aveva risorse infinite.

1. Come si costruisce la biografia di un santo: la Vita A

Uno specialista di quella ars si pose all’opera, ed elaborò la Vita(se si vuole, inventò la vita) del nuovo santo. Il primo testimone diessa si trova in BAP, ms. I 19, ff. 13r-18v; d’ora in poi sarà citato

52 Cfr., per l’epoca più arretrata, A. Tilatti, Istituzioni e culto dei santi a Padova fraVI e XII secolo, Roma, Herder, 1997 (Italia sacra, 56). Per il Quattrocento, numerosispunti nella letteratura su Ludovico Barbo, abate (dal 1408) e riformatore di S. Giusti-na: R. Pitigliani, Il ven. Ludovico Barbo e la diffusione dell’Imitazione di Cristo per operadella Congregazione di Santa Giustina. Studio storico bibliografico critico, Padova, Badiadi S. Giustina, 1943; Riforma della Chiesa, cultura e spiritualità nel Quattrocento veneto.Atti del convegno per il VI centenario della nascita di Ludovico Barbo (1382-1443)(Padova, Venezia, Treviso, 19-24 settembre 1982), a cura di G.B. F. Tirolese, Cesena,Centro Storico Benedettino Italiano, 1984.

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SP1. Leggiamola subito, questa che chiameremo d’ora in poi Vita A:apprenderemo quando e come visse, che cosa fece in vita e postmortem san Pietro abate, secondo invenzione e tradizione agiografica.Non staremo a chiederci che cosa sia “vero” e che cosa non lo sia:ovviamente sono domande prive di senso. I passi virgolettati sonotradotti in un italiano quanto più possibile vicino al latino originale,in modo da permettere al lettore di cogliere le particolarità stilistichedel testo.

« Al tempo dell’imperatore Ottone II, visse un uomo di nome Pietro, lacui vita fu straordinaria e degna di venerazione. Egli era originario del co-mitato perugino e più precisamente del borgo di Agello, distante sei migliadalla città di Perugia. Nato da nobile stirpe, fu pieno di grazia di Dio inogni cosa, egli che fin dai primi anni di vita, intraprendendo il sentierodella giustizia, volse a Dio il devoto petto ». A soli sei anni, tollentibus (?)parentibus, iniziò il corso degli studi; quindi, erudito sin dall’infanzia nelleSacre Scritture, « prese sul suo collo il giogo del Signore, non ignaro delpasso del Vangelo che dice: “Prendete il mio giogo sopra di voi ed impara-te da me perché sono mite ed umile di cuore. Il mio giogo infatti è dolcee il mio peso 53 leggero” » (Mt 11, 29-30) e da chierico, attraverso tutti igradi degli ordini ecclesiastici, alla fine pervenne alla dignità di sacerdote.

In questo incipit è riscontrabile l’uso della tipologia di esordiodelle narrazioni presenti nei Dialogi di Gregorio Magno 54. Scorrendola Vita di Pietro si vedrà come i Dialogi siano un modello costante eimprescindibile. Il ricorso a stilemi ed elementi contenutistici tipicidell’opera gregoriana dimostra immediatamente l’intento dell’anonimoautore della Vita di presentare Pietro come un uomo diverso daglialtri, un eletto dal Signore: definito subito uomo giusto e pieno digrazia, Pietro ha una forte volontà che lo spinge verso il Signore

53 Nel ms. SP1 la parola latina onus è corretta dalla stessa prima mano in honus.54 Riporto qui, a titolo di esempio, alcuni fra gli esordi a cui mi riferisco: «Vir

reverendissimus Libertinus regi Totilae tempore eiusdem Fundensis monasterii prepositusfuit [...] », oppure « Fuit vir vitae venerabilis Bonifatius nomine, qui in ea civitate quaeFerentis dicitur, episcopatum officio tenuit, moribus implevit », o ancora « Fuit vir vitaevenerabilis gratia Benedictus et nomine, ad ipso pueritiae suae tempore cor gerens senile[...] qui liberiori genere ex provincia Nursia exortus, Romae liberalibus litterarum studiistraditus fuerat », incipit della Vita di s. Benedetto. Cfr. Gregorii Magni Dialogi. Libri IV,a cura di U. Moricca, Roma, Istituto Storico Italiano, 1924 (Fonti per la Storia d’Italia,Scrittori. Secolo VI), Liber Primus, II (p. 20); IX (p. 50); Liber Secundus, Intr. (p. 71).A questo proposito si vedano ancora Liber Primus, I (p. 17); IV (p. 27); VI (p. 42); X

(p. 58); XI (p. 67); XII (p. 67-68); Liber Tertius, XIV (p. 163).

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quando è ancora un bambino. Inoltre, il suo desiderio di apprenderele Sacre Scritture, che potrebbe essere frainteso come atto di super-bia, è immediatamente contraddistinto da una grande modestia eumiltà (« litteras coepit discere scholarum utpote prudens clientulus»).Il fanciullo peraltro, dice l’agiografo, fu favorito in questo dai genito-ri, se è giusta la nostra lettura tollentibus parentibus 55, che varrebbe« con il favore dei genitori» ovvero «allevandolo, educandolo i geni-tori» ovvero ancora « facendosene carico i genitori».

La duplice difficoltà, di lettura e d’interpretazione, fa della parola un“luogo critico”. Considerando la tradizione successiva della Vita (e rinvian-do per le sigle a quanto segue), nessuno dei testimoni (manoscritti e astampa) riporta tollentibus; ma essi, intendendo la parola in un senso onell’altro, danno luogo a due risultati opposti – l’agiografia ammette sullostesso piano l’influsso positivo e l’influsso negativo dei genitori. Il breviarioquattrocentesco BAP 1115 (f. 333r) e il ms. Exemplum Officii Divini (f. [10r])hanno nolentibus, come anche i manoscritti seicenteschi SP2, f. [2r] (dovenolentibus è soprascritto su un eraso lellentibus); SP3, f. [1r]; SP5, f. [2r].Nel ms. SP4, f. [1r], e di qui in Mabillon-Ruinart 1701 (p. 647), è presentel’espressione equivalente: « etiam invitis parentibus ». In AA.SS. 1723 (p. 115,col. I), al contrario, è attribuito ai genitori un valore positivo nell’educazio-ne di Pietro: « suos non ignobiles habuit parentes, qui puerum Petrum eprima in humanis studiis instruxerunt », con senso analogo al supposto tol-lentibus della Vita A.

Le parole del Vangelo, ricordate al momento della vocazione,costituiscono il primo degli innumerevoli richiami alla Bibbia, di cuila Vita è letteralmente impregnata: come si vedrà, i continui paragonitra il santo e gli antichi profeti o tra il santo e Cristo stesso ne sonola principale caratteristica.

Uno spirito religioso ancora tutto medievale contraddistingue il passo incui sono descritte le qualità morali e religiose di Pietro: « dotato di inno-cenza, fulgido per la purezza delle sue azioni, splendente per castità, fornitodi una speranza illimitata, fermo nelle opere e semplice per la sua capacitàdi obbedire, imitava il serpente nell’astuzia e la colomba, per sua naturapriva di malizia, nella semplicità. La sua condotta richiamava le parole delSignore che diceva ai suoi discepoli: “Siate prudenti come serpenti e sem-

55 Nel manoscritto non è scritto tollentibus: la lettera iniziale della parola è infattiun’asta verticale del tutto simile alla lettera L, mentre la seconda è una O o una E: dacui un improbabilissimo lellentibus o lollentibus e la mia congettura tollentibus, inten-dendo che il copista abbia mal compreso una T alta dell’antigrafo.

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plici come colombe” (Mt 10, 16). Sobrio, pudico, provvido, perfetta creaturadel Nuovo Testamento, pieno di occhi davanti e dietro, non si insuperbivanei momenti favorevoli, e non era turbato dalla sorte avversa. Certamente,come Misiboseoh, figlio di Saul, Pietro aggiungeva alla facoltà della sua menteuna non molle custodia: munì infatti l’ingresso della sua anima di una robu-sta e virile capacità di discernimento. Pur non avendo avuto la forza dimutilarsi (così l’agiografo, quasi rammaricandosi del fatto), non soccombettemai allo stimolo della carne: naturalmente faceva penitenza, seguendo i det-tami del beato papa Gregorio il quale mette in guardia dal godimento dellacarne e dalla voragine della lussuria 56; infatti si devono munire le porte dellamente di tutta la virtù possibile, affinché i nemici che talvolta potrebberotenderle un agguato, non la distruggano insinuandosi attraverso il pertugioprovocato da un pensiero non vigile. Da ciò Salomone dice: “preserva il tuocuore con ogni custodia poiché da esso procede la vita” ».

Alle virtù che avvicinano Pietro a Dio seguono quelle che lorendono caro agli uomini, e cioè la sua assiduità nel fare le elemosi-ne e la sua grande carità. Anche in questo caso il richiamo alleSacre Scritture è d’obbligo: Pietro, che l’agiografo già chiama beatusPetrus, riesce a conciliare mirabilmente gli impegni pratici della cari-tà con l’assiduità nella vita contemplativa, a seguire contemporanea-mente le esigenze di Marta e quelle di Maria.

In realtà, quest’ultimo richiamo (il brano di riferimento è Lc 10, 38-42)non si capisce, suonando « sic satagebat ministerium ut Marie ad Dominumsedentis pedes minime relinqueret desiderium », con errore Dominum perDomini e omissione di Marthe per assimilazione col vicino Marie (provesicure, fra l’altro, trattarsi di lavoro di copia, da parte di un copista quidistratto). Provvederà a sistemarlo l’emendatore seicentesco (Vita B, vedipiù avanti): « sic satagebat Marthae ministerium, ut Mariae ad Domini se-dentis pedes minime relinqueret desiderium ».

Piuttosto è oscuro il precedente riferimento biblico, il paragone con« Misiboseoh Saulis filius ». Questo nome non compare nella Bibbia. Il per-sonaggio in questione potrebbe essere Mefiboset (2 Sam 4, 4), il quale perònon è figlio, bensì nipote di Saul (in quanto figlio di Gionatan). Tra i figlidi Saul, l’unico che può corrispondere a quello qui citato è Isboset, che,dopo la morte di Saul, si oppose a Davide come pretendente al regno diIsraele (2 Sam 2, 8-4, 12) 57. In effetti questa identificazione sarà operata nelSeicento da un “correttore” della Vita (ms. SP2, v. oltre).

56 Cfr. Gregorii Magni Dialogi, Liber Quartus, XXXVIII (pp. 290-291); XXXIX (p. 291).57 Da rilevare che la figura di Isboset coincide con quella di Isbaal. Il nome origi-

nario era infatti Isbaal, in ebraico: “uomo del Signore”. Il suffisso -set (indicante onta,

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Pietro, però, non è solo un uomo dalla religiosità eccezionale, èanche un paladino della giustizia che non teme di affrontare i poten-ti del tempo per il bene della comunità. Si inserisce a questo puntoun episodio tra i maggiori della Vita: l’incontro con l’imperatore Ot-tone II, di passaggio nel territorio perugino, « rediens Romam su-scepta corona». Benché qui non sia detto esplicitamente, l’incorona-zione a cui si fa riferimento è sicuramente quella romana del Nataledel 967 che aveva sancito l’associazione al trono di Ottone II daparte del padre Ottone I.. Si immagini quel neoimperatore adole-scente (aveva 12 anni) investito da un uomo santissimo, ma privo diogni carica istituzionale.

L’imperatore, reo di aver permesso ai suoi uomini di rapinare e deva-stare il territorio perugino, si prende la reprimenda del santo: « O Impera-tore, il Re eccelso ti ha affidato il regno terreno per governarlo e non perdistruggerlo. Tu al contrario non sei la guida di questo regno, sei il suodistruttore ». Ma il beatus Christi confessor non si limita a queste pocheseppur sferzanti parole; mosso dalle lacrime dei poveri, dei fanciulli e dellevedove, continua ancora più duro: « O miserabile, non vedi quanti beni faidistruggere e devastare? Non sai che dovrai renderne conto di fronte alsommo giudice nel giorno del giudizio universale? In questo modo merite-rai la Sua ira quando giungerai al Suo cospetto per essere rigorosamentegiudicato. Allora sarà di te ciò che ha detto il profeta Giobbe parlandodegli empi: “Vomiterà le ricchezze che ha divorato e dal suo ventre Dio leestrarrà, poiché con la forza ha rapinato la casa del povero invece cheedificarla, né con ciò si è saziato il suo ventre” (Gb 20, 15; 20, 19-21);ma, al momento del giudizio, non solo a coloro che hanno depredato glialtri, ma anche a coloro che non hanno nulla donato verrà detto: “avevofame e non mi hai sfamato, avevo sete e non mi hai dato da bere, eroospite e non mi hai accolto” (Gb 22, 7; Mt 25, 35; 25, 42) e le altre colpeper le quali una voce terribile tuona dicendo: “andate maledetti nel fuocoeterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt 25, 41). Se dunque,o re, è colpito da un castigo tanto grande colui che non diede qualcosa disuo ai poveri, con quale castigo dovrai essere punito tu che cerchi di otte-nere tramite la rapina ciò che non è tuo e oltretutto di persone povere? ».

ignominia), fu sostituito al suffisso -baal quando il termine Baal iniziò ad essere usatoper indicare divinità locali, i cui culti idolatrici si introdussero fra i Giudei: da ciòl’identificazione tra Isbaal e Isboset, come quella fra Meribbaal e Mefiboset. Cfr. J. L.McKenzie, Dictionary of the Bible (ed. orig. Milwaukee, The Bruce Publishing Company,1965), ed. it. a cura di B. Maggioni, Assisi, Cittadella editrice, 1973, pp. 946-947;F. Vigouroux, Dictionnaire de la Bible, Paris, Letouzey et Ané Éditeurs, 1903, XIII,pp. 986-987.

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Al che l’imperatore, colto da una comprensibile ira, lo scaccia da sé,salvo poi richiamarlo, una volta conosciuti i suoi meriti, e chiedergli addirit-tura l’indulgenza. Ottenuta questa prima vittoria, il sant’uomo inizia, seppurprudenter, a dar consigli su come governare la santa Chiesa, punire i vesco-vi e i presbiteri dediti alla lussuria e che falsificano la parola di Dio, con-dannare la vergognosa simonia e l’eresia, governare in maniera pia il popoloe mandare a morte in maniera legale e giudicando giustamente i malvagi edi colpevoli.

Questo passo, che ho ritenuto necessario tradurre quasi per inte-ro, è uno fra i più importanti per comprendere l’evoluzione dellalegenda di Pietro abate. La descrizione dell’incontro con l’imperatoreOttone (II) subirà infatti nel corso dei secoli rielaborazioni o inter-pretazioni anche sostanziali, come si vedrà analiticamente nel § 3 del-la Parte terza. Gli ammonimenti finali, ad esempio, i quali riportanocon precisione ad una visione della Riforma che ha l’imperatore comepunto di riferimento per la purificazione dei costumi e delle istitu-zioni ecclesiastiche, verranno completamente eliminati dagli eruditi delCinque-Seicento.

Il secondo momento storico narrato dalla leggenda è la fondazio-ne del monastero di S. Pietro, avvenuta grazie alla benevolenza delvescovo Onesto:

« Nei tempi in cui un vescovo di nome Onesto reggeva la chiesa peru-gina, non lontano dalla città sorgeva una chiesa edificata in onore del beatoPietro apostolo in un luogo detto Monte Calvario, nella quale alcuni dico-no che fosse nei tempi antichi la sede vescovile. Questa chiesa era statadistrutta dai pagani e il santo uomo manifestò il desiderio di riedificarla sesolo il presule glielo avesse permesso ». Ed il presule, dopo un tentenna-mento dovuto a malevoci diffuse da chierici invidiosi, non solo concesseil suo permesso, ma partecipò egli stesso ai lavori, insieme a plurimi reli-giosi viri.

Riedificata la chiesa, continua la Vita, lo stesso vescovo condusse Pietroa Roma, affidandogli « la predetta chiesa con tutti i suoi beni affinché daallora e per sempre il sommo pontefice romano la difendesse e la regges-se ». Così, « il santo uomo ricevette da Giovanni, allora sommo ponteficeromano, la guida di quel luogo e di quella chiesa ».

Dilungatosi su questioni che a suo parere non meritano eccessiva atten-zione e nella convinzione che « un discorso troppo prolisso talora generafastidio », il nostro agiografo ritiene opportuno tornare ad un argomentoche meglio risponda ai suoi intenti edificanti. Richiamate quindi le paroledel Salmista e dell’Apostolo, a proposito della necessità di patire molte tri-bolazioni sulla terra per poter poi gioire in cielo (Sl 125, 5; At 14, 22),

114 STEFANIA ZUCCHINI

l’autore ci presenta un Pietro dedito alla penitenza ed alle privazioni: « inogni momento della sua vita era uso digiunare per tre giorni alla settimana:il lunedì, il mercoledì e il venerdì; si asteneva sempre dal mangiare il gras-so; dedicandosi incessantemente al canto dei salmi ed alla preghiera, osser-vava il detto: “Pregate senza sosta”; beveva vino con moderazione e soloper non soccombere all’esercizio del lavoro pratico; nei giorni della quaresi-ma beveva solo acqua ».

Inizia ora la parte dedicata ai numerosi miracoli del santo, chel’autore dice di conoscere « in quanto riferiti da coloro che li viderocon i loro occhi ». Frasi come queste, ovviamente (poche righe sopral’autore sostiene di aver udito raccontare la vita dell’abate nostrisauribus), rientrano nei clichés della narrazione agiografica. Gli avveni-menti miracolosi sono riportati secondo un disegno preciso, un ordi-ne che offre ogni sfaccettatura della vita del santo: prima tutti imiracoli inerenti la ristrutturazione della chiesa di S. Pietro, poi quelliriguardanti il Tevere, sulle cui sponde il monastero avrà nel corsodei secoli numerosi ed importanti possedimenti, di seguito quelli cheesemplificano il rapporto con il potere vescovile, con quello comitalee con il popolo. Infine i miracoli post mortem.

Questa parte della Vita è esemplata quasi completamente sui Dia-logi di Gregorio Magno. Spesso è l’autore stesso a citare il preceden-te gregoriano. Anche per i miracoli in cui questo riferimento è as-sente, è possibile però rintracciare nei Dialogi episodi analoghi. Danotare che, mentre nel primo caso si tratta in genere di miracolioperati da santi locali, di cui Gregorio parla nel primo e nel terzolibro dei Dialogi, gli episodi per cui sono omessi i riferimenti aiDialogi sono quelli modellati sui miracoli di s. Benedetto.

Il primo intervento miracoloso, narrato con dovizia di particolari, si ha,come detto, al momento della riedificazione della chiesa: uomini sconosciutisi appressano alle porte del monastero con cavalli e frumento proprio quan-do, venuto a mancare il cibo per i lavoranti ed andato fallito il tentativo dicomprarne in città, il sant’uomo si è deciso a chiedere con la preghieral’aiuto divino.

Interessante come l’autore introduce l’evento miracoloso: Pietro, « pienodi spirito profetico » (chiarissimo calco dalla Vita di san Benedetto), così sirivolge agli artifices: « Non vi preoccupate, o dilettissimi, giacché ci assistequel Dio onnipotente che al tempo di Mosè cibò di manna gli antichipadri del deserto, stanchi dal viaggio, che nel nuovo Testamento con cinquepani saziò cinque mila uomini e che, al tempo del gloriosissimo papa Gre-gorio, per mezzo di un beato uomo di nome Santulo, con un solo pane, si

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preoccupò di nutrire dei lavoranti per dieci giorni 58; così farà con noi. Nontemete dunque ». Come si vede, è presentata una serie di interventi divinianaloghi, dall’antico Testamento ai tempi “recenti” di Gregorio Magno, inmodo tale che l’ultimo risulti, non solo da un punto di vista cronologicoma anche contenutistico (i contesti in cui si verificano l’uno e l’altro mira-colo sono praticamente identici) 59, più vicino a quello che l’agiografo siaccinge a narrare. Un altro dato su cui porre l’attenzione è il tentativo, sipotrebbe dire, “terreno” di recuperare cibo che, nella logica di uno spiritoreligioso molto rigoroso, sta a dimostrare come il monaco non ricorra conleggerezza all’Altissimo. Infine, la richiesta che Pietro fa ai fratelli di nonfar parola di questo evento finché egli viva, che troveremo presente anchenella descrizione di altri miracoli, aiuta – come nella migliore tradizioneagiografica – a creare l’immagine di un uomo non solo pio, ma anche umi-le e riservato.

Gli altri due miracoli avvenuti durante i lavori per il restauro dellachiesa sono ricordati in maniera molto più sbrigativa: un lavorante, cadutodal sommo di un cornicione, si salva dal riportare gravi lesioni grazie allepreghiere dell’uomo di Dio che è lì presente 60; poco tempo dopo una co-lonna rimane sospesa a mezz’aria, immobile ed integra, sebbene si sianorotte le funi con cui viene innalzata, avendo l’abate fatto il segno dellacroce 61 – questo, il “miracolo della colonna”, avrà qualche fortuna, una

58 Gregorii Magni Dialogi, Liber Tertius, XXVII (pp. 219-220). Inutile dare le referen-ze scritturali per i brani precedenti.

59 Desiderando restaurare la chiesa di S. Lorenzo di Norcia, distrutta dai Longobar-di (come san Pietro era stata distrutta dai pagani), Santulo chiamò molti artifices eoperarii. Accadde allora che, venendo a mancare il cibo, il vir Dei consolò i lavorantidicendo che presto avrebbero avuto di che sfamarsi, dopo di che, grazie all’interventodivino, trovò in un forno un pane di mirabile grandezza e insolito candore con cui glioperai riuscirono a sostentarsi per dieci giorni. Gregorii Magni Dialogi, Liber Tertius,XXVII (p. 219).

60 Gregorio Magno narra di un miracolo analogo operato da s. Benedetto. I confra-telli di Benedetto stavano costruendo una parete, quando questa crollò travolgendo unpiccolo monaco. Portato il corpo a Benedetto, costui si immerse in preghiera e, mirabilecosa, in quel momento stesso il fanciullo poté tornare, incolume e come prima robusto,al medesimo lavoro. Gregorii Magni Dialogi, Liber Secundus, XI (pp. 97-98).

61 La biografia di s. Nilo da Rossano (910 ca. - 1004), attribuita al discepolo e con-terraneo Bartolomeo, narra un miracolo simile occorso al santo durante la costruzionedel monastero di Grottaferrata. In un altro episodio del Bios, Nilo incontra Ottone III elo rimprovera per l’eccessiva severità nei confronti dell’antipapa Giovanni XVI (comeabbiamo appena visto, nella Vita oggetto del nostro studio è riportato l’incontro traPietro ed Ottone II). Queste analogie potrebbero far supporre un qualche collegamentotra le biografie dei due santi coevi, entrambi fondatori di monasteri, o meglio una deri-vazione della più tarda agiografia petrina da quella del famoso santo calabro. Il fattoperò che il Bios di Nilo fu scritto in greco e venne tradotto in latino solo alla fine delXVI secolo per uso del Baronio, unitamente all’assenza di altre prove al di là dellesuddette somiglianze, allontana questa ipotesi. Del resto nella tradizione agiografica non

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volta che essa sarà identificata con una delle colonne della chiesa di S. Pietro(esattamente, la seconda a sinistra entrando). Lo stesso segno salverà unmulino dalla distruzione durante una piena nel primo dei miracoli ambien-tati sulle rive del Tevere; in quello successivo, sarà invece una verga che ilsanto tiene in mano a fungere da strumento salvifico quando, indirizzataverso alcuni uomini che stanno scendendo con una navicella le acque in-grossate del fiume, li condurrà miracolosamente sani e salvi alla riva su cuisi trova l’uomo di Dio, evitando loro di precipitare nel precipizio in cui lista conducendo l’irruenza delle acque.

Al momento di raccontare il miracolo che ha come protagonista il ve-scovo, il nostro autore ritiene opportuno ribadire che è venuto a cono-scenza dei fatti che sta narrando da viri fideles et veridici: « il suddettovescovo [Onesto] un giorno aveva consegnato a Pietro un vaso pieno dielettuario 62, affinché lo conservasse. Egli però, pieno di misericordia, ani-mato dalla carità e dall’amore nei confronti del Re eterno, usò tutto l’elet-tuario per i deboli e gli infermi. Dopo molti giorni il presule richiese l’elet-tuario e come fu a conoscenza che il santo uomo lo aveva donato tutto aipoveri, iratissimo, attraverso un nunzio, gli ordinò di restituire immediata-mente l’elettuario affidatogli. Allora il beatissimo uomo, entrato nell’orato-rio, pregò Dio onnipotente affinché l’elettuario che per amore di Lui avevaconsumato per gli afflitti, riapparisse per miracolo, cosicché l’animo irritatodel vescovo potesse essere placato. Aperto il vaso dopo pochissimo tempo,lo trovò con molto più elettuario di prima. Colmo di gioia, rendendo gra-zia a Dio, lo mandò al vescovo per mezzo del nunzio. Il vescovo, comevide il vaso pieno, molto meravigliato, si recò dall’uomo di Dio e gli chie-se da dove provenisse l’elettuario, prima terminato e poi improvvisamentericomparso. Il sant’uomo, non essendo riuscito a nascondere il miracolo,come avrebbe voluto, gettatosi ai piedi del vescovo, gli ingiunse di nonrivelare mai a nessuno l’accaduto finché egli fosse in vita. Come infattiBonifacio, vescovo di Ferento 63, aveva ottenuto un giorno miracolosamente,

è inusuale riscontrare rapporti più o meno pacifici fra santi e imperatori (o altri espo-nenti del potere terreno), fin dai tempi più antichi. Per notizie su san Nilo, cfr. Vita diS. Nilo fondatore e patrono di Grottaferrata, a cura di G. Giovannelli, Badia di Grotta-ferrata, 1966; G. Giovannelli, I fondatori di Grottaferrata ed il mondo bizantino dell’altoMedioevo nell’Italia meridionale, in I Goti in Occidente ... Atti del III congresso interna-zionale di studi sull’Alto Medioevo, Benevento-Montevergine-Salerno-Amalfi, 14-18 Otto-bre 1956, Spoleto, CISAM, 1959, pp. 421-435.

Entrambi gli episodi riguardanti san Nilo sono raffigurati nel ciclo affrescato dalDomenichino fra il 1608 e il 1610 nell’abbazia di Grottaferrata (Cappella dei santi fon-datori). Cfr. Domenichino, 1581-1641, Milano, Electa, 1996, p. 212 fig. 26 e p. 218fig. 32.

62 Si tratta di un unguento con cui, in età medievale, si riteneva di poter curare imalati. Per tutte le accezioni del termine, cfr. C. Du Cange, Glossarium mediae et infi-mae latinitatis, Niort, L. Favre, 1884, rist. anast. Bologna, Forni, 1982, III, p. 241.

63 Gregorii Magni Dialogi, Liber Primus, IX (pp. 50-53).

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attraverso la preghiera, la restituzione di dodici monete d’oro che simil-mente aveva donato ai poveri e che in questo modo poté ridare al proprionipote a cui appartenevano, mitigando così la sua ira, così accadde a luiriguardo all’elettuario ».

Un altro miracolo incentrato sulla carità nei confronti dei poveri è quel-lo in cui l’abate, adirato con il cellario che per avarizia non ha volutodonare ad alcuni pellegrini pane e vino come invece egli aveva ordinato, dàegli stesso il cibo agli elemosinanti, dopo di che rimprovera aspramente ilmonaco disubbidiente e lo frusta secondo la regola. Anche in questo casola generosità di Pietro è premiata dall’arrivo di un uomo che giunge alleporte del cenobio portando trenta pani ed altri cibi. Interessante è l’inseri-mento dell’episodio dei cani: acceso d’ira per non essere stato ubbidito,Pietro getta ai cani i cinque pani che il cellario non ha voluto distribuire aiquestuanti. Le bestie però, dopo averli odorati, fuggono lontano lasciandoliintatti. La dura punizione del monaco disubbidiente, che viene non solosgridato ma anche frustato, ci mostra un abate tanto caritatevole quantoferreo nella disciplina del monastero 64.

L’episodio seguente è incentrato sui rapporti tra Pietro ed un Teutoni-cus Comes: così come aveva disatteso gli ordini del vescovo per il bene deipoveri, l’abate disattende le istruzioni del Comes per salvare la vita a duelatrones condannati alla pena capitale. Il conte, rifiutata la grazia chiesta perloro dal santo monaco, aveva infatti permesso che egli li custodisse la notteprima dell’esecuzione, a patto però che, se fossero fuggiti, egli ne rispon-desse con la vita. Noncurante, Pietro permise che se ne andassero, rischian-do di conseguenza di essere mandato a morte. L’ira del conte si placò solodopo aver udito i meriti del sant’uomo e il racconto del miracolo dei paninon toccati dai cani perché su di essi l’abate aveva fatto il segno dellacroce. Anzi, la sua curiosità fu tale che promise di risparmiargli la vita se

64 Un episodio simile è narrato da Gregorio Magno nella Vita di s. Benedetto:« Nel tempo in cui una penuria di cibo affliggeva la Campania, l’uomo di Dio avevaofferto tutti i beni del suo monastero, tanto che nella dispensa non era rimasto quasinulla, se non un po’ d’olio in un vaso di vetro. Arrivò allora un suddiacono di nomeAgapito che insistentemente chiedeva gli fosse dato un po’ d’olio. L’uomo di Dio avevastabilito di donare tutto sulla terra, per riservarsi ogni cosa in cielo. Comandò che quelpoco d’olio che era rimasto gli fosse dato. Il monaco che custodiva la dispensa udì benele sue parole ma indugiò ad obbedire. Dopo poco l’uomo di Dio chiese se ciò cheaveva ordinato fosse stato fatto. Il monaco rispose che egli non aveva dato l’olio perché,se lo avesse donato, ai confratelli non sarebbe rimasto nulla. Allora Benedetto, irato,comandò ad altri di gettare via dalla finestra quel vaso di vetro in cui era rimasto unpo’ d’olio, affinché nella dispensa non rimanesse nulla conservato per disobbedienza:così fu fatto. Sotto la finestra si apriva un burrone, irto di massi rocciosi. Il vaso divetro, gettato, cadde sui sassi ma rimase intatto, come se non fosse stato scagliato; nonsi ruppe, né l’olio si versò. Allora l’uomo di Dio ordinò che il vaso fosse raccolto e,intero com’era, venisse consegnato al richiedente. Poi, adunati i confratelli, rimproverò ilmonaco disobbediente davanti a tutti, per la sua infedeltà e superbia ». Mia trad. diGregorii Magni Dialogi, Liber Secundus, XXVIII (pp. 119-120).

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avesse visto con i suoi occhi tale miracolo. Ritenendo cosa empia richiedereper questo motivo l’intervento divino, il sant’uomo si rifiutò. La situazionesi risolve solo con un escamotage ideato da fideles et amatores viri: a Pietroè chiesto di benedire il pane della mensa del conte, cosa che egli può faresenza tema di peccare; subito dopo il pane è gettato ai cani che, anchequesta volta, dopo averlo odorato fuggono via ululando.

Dai tre miracoli in cui è presente il rapporto del santo con l’autorità(imperatore, vescovo, conte) emerge la figura di un uomo che, confidandonell’aiuto di Dio, sfida costantemente il potere terreno, sia laico che eccle-siastico, facendo scaturire inizialmente l’ira dei suoi interlocutori, che si pla-cheranno solo dopo aver conosciuto i grandi meriti dell’abate e sostanzial-mente dopo il diretto intervento di Dio.

Gli ultimi due miracoli in vita si potrebbero definire, visti i destinatari,“miracoli popolari”. Nel primo, una povera donna, sofferente per i doloridel parto, impietosisce con le sue urla l’uomo di Dio che, fatto il segnodella croce, la libera dal supplizio dei dolori; nel secondo, un violento tem-porale, abbattutosi su una processione diretta alle chiese degli apostoli Pie-tro e Paolo, cessa improvvisamente ad un cenno dall’abate e, ciò che è piùincredibile, solo sulla strada percorsa dai fedeli, « così come si legge cheaccadde ai tempi di papa Gregorio a Cerbonio vescovo di Populonia e aFulgenzio di Otricoli » 65.

« Operando questi e molti altri miracoli anche maggiori, il santis-simo Pietro, gloriosissimo abate, spirò consunto dalla febbre, primadel dodicesimo giorno dalla vigilia degli apostoli Pietro e Paolo »(haec et alia plura, et majora, vir sanctissimus Petrus, abbas praeclaris-simus, faciens miracula, ante duodecimum obitus fuit diem, vigilia sci-licet apostolorum Petri et Pauli, febre correptus elanguit ...). Il rimandoalla commemorazione degli apostoli Pietro e Paolo, che cade il 29 digiugno, probabilmente costituisce un elemento di raccordo con laprocessione “miracolosa” di cui l’agiografo ha appena parlato. Purnon essendo esplicitato, infatti, è ipotizzabile che tale manifestazionereligiosa fosse avvenuta proprio il 29 giugno, in occasione della festi-vità. Cosicché quell’oscuro e imperfetto brano « ante duodecimum...elanguit » sta a significare che l’abate morì il 10 di luglio, dodicigiorni dopo la processione. Così d’altronde è dichiarato, con altradatazione, poco oltre.

Ancora sul letto di morte il monaco conserva la sua vis, tanto da « me-ravigliare » il popolo ed il vescovo accorsi al suo capezzale. Proprio al ve-

65 Gregorii Magni Dialogi, Liber Tertius, XI (pp. 156-159); XII (pp. 159-160).

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scovo sono dirette le prime parole di ammonizione in quanto « la grandegloria del sacerdote è la rettitudine di coloro che gli sono soggetti ». Da ciòl’esortazione a « dare corpo alle cose che insegna a parole, così come delnostro signore Gesù Cristo si legge: iniziò Gesù a fare ed insegnare; infattise non mette in pratica le buone cose che predica incorrerà in ciò che èdetto dal Salmista: Dio disse al peccatore: Perché parli della mia giustizia eti nutri del mio Testamento a parole? (Sl 47, 19). Tu in verità hai in di-spregio la disciplina e getti i miei insegnamenti dietro di te ». Il popolo èinvece chiamato a portare « sempre davanti agli occhi della mente il terroredell’estremo giudizio, così come è detto dai sapienti: “In ogni tua azionericordati della tua fine e così non peccherai in eterno” ». Dure parole, de-gne dell’uomo che osò ricordare all’imperatore in persona che il giorno delGiudizio sarebbe stato punito anch’egli per i suoi peccati.

Alla parte destruens, gli ammonimenti in negativo, segue la parte con-struens, i suggerimenti in positivo: ecco allora che tutti gli uomini sonoesortati alla comunione nella gioia e nella pace, alla pratica di un’umiltà checonduca ad esaltare Dio proprio nei momenti di maggiore patimento, adessere caritatevoli gli uni verso gli altri « perché la carità seppellisce la mol-titudine dei peccatori » ed infine ad agire viriliter, sperando « in Dio e nellapotenza della sua virtù » per poter resistere « alle insidie del diavolo » edessere « degni di ricevere da Dio la corona della propria battaglia ».

Ricordato di nuovo il giorno della morte, indicato qui non piùcon le ricorrenze cristiane ma alla latina (sexto idus Julii), quandoPietro spirò tra le preghiere ed i salmi intonati dai fratelli e il suocorpo fu posto con molti onori nei pressi della chiesa del monastero,l’agiografo passa all’ultimo fondamentale capitolo della vita dell’aba-te: i miracoli post mortem. Fra i tanti verificatisi, l’autore sceglie diraccontare quello incorso il giorno del primo anniversario della suamorte, quando si alzò improvvisamente un fortissimo vento che sra-dicò molti alberi dalle radici e devastò molti raccolti: il popolo, chein precedenza aveva manifestato noncuranza nei confronti di questogiorno, vedendo tale miracolo, stabilì che l’anniversario della mortedel santo sarebbe stato celebrato solennemente ogni anno e così,fino ai nostri giorni, scrive l’agiografo, la sua tomba è venerata datutto il popolo che, richiedendolo con devozione, può ricevere anchebeneficia spiritualia.

2. Il manoscritto della Vita A, l’Ufficio liturgico, due dipinti (secolo XV)

Il testo quattrocentesco che fin qui abbiamo, più che riassunto,parafrasato è tràdito, lo si è detto, da un solo testimone coevo, il

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codicetto BAP I 19 (ms. SP1): non ne conosciamo l’autore né ilcopista né le circostanze né la cronologia precisa, la redazione èmodesta e corrente, eppure essa è l’archetipo (non in senso stretta-mente filologico: si tratta certamente di un apografo) dell’intera tra-dizione della legenda.

Il titolo espresso è Victa [sic] sancti Petri abbatis Perusine civita-tis. Oltre a questa, sono riportate le vite di s. Costanzo e s. Ercola-no, alcune orazioni ed un brano della vita di s. Anastasio martire.La triangolazione con Costanzo ed Ercolano fa fede della program-matica spinta a fare entrare Pietro nel pantheon dei patroni dellacittà: si noti infatti la di per sé scorretta definizione abbatis Perusinecivitatis – mai visto un “abate della città”.

Compreso dal Vermiglioli tra i codici che dalla biblioteca diS. Pietro furono trasferiti nella Biblioteca Augusta prima del 1809,in conseguenza della seconda occupazione francese 66, il manoscrittoè fatto risalire al secolo XIV da un’annotazione settecentesca 67 pre-sente sul verso del foglio di guardia anteriore: « Codicem hunc Sae-culi XIV Nobilis Vir Comes Joannes Vincentius 68 Eminentissimi jamCardinalis Marci Ant. Ansidaei fratris filius Anno MDC ... » 69. La da-tazione al secolo XIV è condivisa da Giulio Battelli (naturalmentea prescindere dalla nota sopra riportata, che vale quel che vale),mentre Ugolino Nicolini propone come anno post quem il 1436.Concordo con quest’ultimo, sia in base alle mie ricerche sulla tra-

66 Giovan Battista Vermiglioli, insigne studioso perugino, compilò nel 1810 un cata-logo dei manoscritti più importanti delle biblioteche di Perugia e, descrivendo i codiciallora posseduti dalla biblioteca pubblica, indicò quelli provenienti da S. Pietro. L’opera,manoscritta, è conservata oggi nella Biblioteca Augusta, con segnatura ms. 221 [D. 39].Il titolo è CCCCLX e più codici latini greci e italiani anteriori al secolo XVII, divisi in cinqueclassi, tratti dalla pubblica Biblioteca e da altri luoghi della città di Perugia, illustrati conopportune annotazioni da servire di un secondo appendice alla storia degli scrittori perugini(riferimento all’opera dello stesso Vermiglioli Biografia storico-perugina, del 1823). Cfr.Battelli, Gli antichi codici di S. Pietro di Perugia, p. 247.

67 Che questa annotazione risalga al Settecento e più precisamente al 1756 è affer-mazione del Bellucci. Non avendo trovato nel codice indizi che possano suffragare unadata tanto precisa ritengo che lo studioso, impegnato nella catalogazione di tutti i mano-scritti della biblioteca, abbia potuto attingere da altra fonte tale informazione. Cfr. In-ventari dei manoscritti, p. 165.

68 Giovan Vincenzo Ansidei muore nel 1645. Cfr. A. Agostini, Dizionario PeruginoStorico che contiene la Storia de’ Vescovi, de’ Santi, e generalmente di tutti i Peruginiillustri in tutte le Arti e Scienze, ms. n. n. in AMSP, c. 376r.

69 La nota risulta erasa nella sua parte finale (delle sette righe totali rimangono soloquelle da me riportate e cioè le prime tre); al posto del testo cancellato si legge, di altramano: Biblio. Perusi DD.

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dizione agiografica di s. Pietro sia sulla scorta dei caratteri dellascrittura.

Il termine opposto, quello ante quem, è fornito da un dato a suomodo documentario, benché ipotetico. Al 1465 risale l’affresco diPietro abate – su cui mi soffermerò tra breve – ad opera di Bene-detto Bonfigli, corredato di un’iscrizione per la quale il pittore siservì, come io credo, proprio del manoscritto SP1. Tale uso praticodel codice è ipotizzato anche da Francesco Federico Mancini 70: se-condo lo studioso lo stesso Bonfigli utilizzò proprio questo mano-scritto (contenente, come detto, anche la Vita di s. Ercolano) come“libretto” per gli ultimi due affreschi della Cappella dei Priori nelPalazzo pubblico, quelli della Traslazione del corpo di S. Ercolanodalla chiesa di S. Pietro alla cattedrale di S. Lorenzo e della Traslazio-ne del corpo di S. Ercolano dal luogo della prima sepoltura alla chiesadi S. Pietro 71, ai quali il pittore si dedicò in un periodo compresotra il 1468 e il 1484. Riassumendo, se la mia idea si dimostrassecorrispondente al vero, nel 1465 il codice doveva essere già in circo-lazione.

SP1BAP, ms. I 19, sec. XV 72 (Fig. 2)

ff. 13r-18v: Victa sancti Petri abbatis Perusine civitatis

Membranaceo, consta di soli 37 fogli, distribuiti in tre fascicoli e nume-rati da mano di età moderna 73. Nonostante siano stati tolti l’ultimo fogliodel fascicolo iniziale ed il primo di quello finale, l’assenza di lacune neltesto in corrispondenza dei tagli, unitamente all’utilizzo delle metà superstiti

70 Cfr. F. F. Mancini, Benedetto Bonfigli. Decorazione della cappella dei Priori, in Di-pinti, sculture e ceramiche della Galleria Nazionale dell’Umbria. Studi e restauri, a cura diC. Bon Valsassina e V. Garibaldi, Firenze, Arnaud, 1994, pp. 185-198: p. 194.

71 L’inversione nella successione delle traslazioni sarebbe dovuta, a parere dello stu-dioso, alla « necessità di concedere maggiore spazio alla scena del corteo che attraversa ilcentro cittadino sfilando davanti ai principali monumenti della città ». Cfr. Mancini, Be-nedetto Bonfigli, p. 194.

72 Per notizie relative a questo codice, cfr. Battelli, Gli antichi codici di S. Pietro diPerugia, p. 256; Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, p. 165;Nicolini, Intervento, p. 297.

73 A parere del Bellucci tale numerazione risale al 1756, come l’annotazione relativaall’Ansidei; vedi sopra.

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come fogli di guardia del codice 74, fa supporre che tale mutilazione siaavvenuta al momento della confezione dei fascicoli stessi; tale considerazio-ne mi induce a dissentire dal Bellucci il quale, constatando la presenza dipiù copisti, afferma che la mano più antica sarebbe quella che ha vergato iff. 7-13 ai quali, rimasto mutilo il codice, sarebbero stati aggiunti gli altri.Ritengo questa congettura impossibile in quanto i ff. 7-12 costituiscono l’in-tera seconda parte del primo fascicolo, mutilo sì, ma non della sua parteiniziale, mentre il f. 13 appartiene al fascicolo centrale che è integro: comeè possibile che gli stessi bifolii diano luogo a fogli originari e fogli aggiuntiin un secondo momento?

Pur scartando con sicurezza la possibilità che i fogli 7-13 siano material-mente più antichi degli altri, rimane il fatto che lo scriptor di queste carte èsolo il primo dei numerosi che hanno messo mano al codice. La Vita di s.Costanzo, compresa tra il foglio 1 e il foglio 13, è effettivamente vergata dadue scriptores, il cui avvicendamento è riscontrabile, proprio al foglio 7, daldiverso tipo di scrittura e da una evidente discontinuità a livello contenuti-stico; è possibile quindi che il copista dei fogli 7-13, forse non avendo adisposizione la parte iniziale della Vita, abbia lasciato in bianco alcuni fogli,con l’intenzione di colmare la mancanza in un secondo momento. Ammessociò è comunque difficile che esista un intervallo di tempo molto lungo traun intervento scrittorio e l’altro, in quanto, come ho già accennato, non cisono aggiunte di fogli successive all’assemblamento iniziale.

La Victa sancti Petri abbatis Perusine civitatis è compresa tra i ff. 13r e18v. Il suo incipit segue immediatamente l’ultima riga della Vita di s. Co-stanzo che termina senza explicit. Il copista ha mano simile a quello dellaVita di s. Costanzo: la differenza più vistosa consiste nella forte inclinazionea destra, rispetto alla dirittura della precedente. I capilettera, come l’explicited i sottotitoli che scandiscono i diversi momenti della vita del santo, sonorubricati.

L’ultima parte («Videns itaque [...] a secula seculorum amen. Explicit »:f. 18v, righe 27-34) sembra aggiunta posteriormente: l’inchiostro è più chia-ro ed il testo va oltre la rigatura del foglio; la scrittura, più piccola e menoaccurata, diviene quasi corsiva all’ultima riga; la spaziatura tra una lettera el’altra è maggiore; le aste, clavate nei passi precedenti, qui sono sottili eduniformi; diverso inoltre il modo di eseguire le lettere R ed A. L’impressioneè che questa parte finale sia stata inserita in un momento successivo allastesura della Vita seguente, quella cioè di s. Ercolano (vergata da un altroscriptor ancora), e che proprio dalla mancanza di spazio siano derivate lecaratteristiche scrittorie sopra elencate.

74 Il primo fascicolo è costituito da 7 bifolii, quello centrale da 6, l’ultimo di nuovoda 7. Sia nel fasc. I che nel fasc. III manca metà del bifolio più esterno (la seconda metànel caso di I, la prima in quello di III): le parti restanti fungono da fogli di guardia dellibro (anteriore quella di I, posteriore quella di III).

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I caratteri estrinseci (la composizione fattizia, il disordine dellascrittura, la presenza di più mani) del codicetto, che quanto a di-mensioni ed eleganza nulla ha a che fare con gli altri codici quat-trocenteschi provenienti da S. Pietro, e il fatto stesso che la Vita diPietro si accompagna ad altri testi, rende certi trattarsi di una co-pia di poco conto, realizzata per la necessità di avere un testo pra-tico, maneggevole, facilmente consultabile. Della legenda doveva esi-stere un originale ben altrimenti accurato e prestigioso. Ma la mo-desta trascrizione è il più antico testimone oggi superstite di queltesto, e tanto basta ad assicurarle centralità assoluta nel nostro di-scorso.

L’immediato risultato della redazione della Vita fu la sua conver-sione a misura liturgica. Essa infatti servì alla redazione dell’Ufficiodel nuovo santo. Si allude al breviario quattrocentesco oggi BAP1115, già considerato in precedenza, che ai ff. 333r-334r, all’altezzadel 10 luglio, presenta l’oratio e le prime quattro lectiones per lacelebrazione liturgica del festum sancti Petri abbatis et confessoris (l’ag-giunta della qualifica confessor dipende da convenzione liturgica).Questo l’attacco (f. 333rb):

In festo sancti Petri abbatis et confessoris. ... Ora pro nobis beate PetreP. X. ut digni efficiamur promissionibus Christi ... O quam laudandus estiste qui in annis teneris constitutus Deo adhesit et mundialibus spiritis mo-nasticam vitam elegit, in qua laudabiliter militans de filio factus est pater etgregem illi commissum salubriter gubernavit. Oratio: Deus qui Beatum Pe-trum abbatem miraculorum multitudine decorasti, concede propitius, ut quiin ipsius devotione persistunt, eius continuo se sentiant suffragiis adiuvari... O foelix Petre, perusine reparator ecclesie principis apostolorum, abbasegregie, qui sine inguinis vixisti voragine, pro nobis semper peccatoribusintercede ...

Segue: «Incipit vita sancti Petri abbatis et confessoris. Lectio pri-ma », e così via con le altre tre lectiones; chiude, come di norma, ilvangelo della Messa del giorno, che è lo stesso di s. Pietro Apostolo:« Dixit Simon Petrus ad Iesum: ecce nos relinquimus omnia ... ». Te-nendo conto della necessità della divisione in lectiones, che va a spez-zare il continuum narrativo caratteristico invece della legenda, il testoè identico alla parte iniziale della Vita, salva qualche variante mini-ma. Si arriva alla descrizione delle qualità spirituali e morali chefanno di Pietro un vero vir Dei: «Fuit etiam hic vir sanctus amabilisDeo carusque hominibus». Il resto è compendiato nell’orazione che

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75 Vedi sopra, parte prima, par. 4. Dopo il 1436: il « festum Sancti Petri Abbatis».

abbiamo riportato sopra: un breve cenno alla sua carità, alla precocevocazione monastica, alla riedificazione della chiesa di San Pietro,all’abbaziato, alla capacità di vivere senza essere schiavo della carne.

Dunque, ben presto la leggenda agiografica fu rielaborata in modotale da renderla adatta all’Ufficio divino, tramite la divisione in lec-tiones che permetteva la lettura pubblica durante la celebrazionedella Messa. Solo che le lectiones sono soltanto quattro, rispetto alledodici previste. Il breviario quattrocentesco rappresenta uno stadioancora incompleto, oppure dobbiamo ritenere che, di una Vita divi-sa regolarmente in 12 lectiones, circolassero, a seconda delle esigen-ze, varie versioni decurtate? Forse è giusta la seconda spiegazione.Era normale che nei lezionari e breviari si riportassero per ognicelebrazione soltanto la prima o le prime letture, oltre alle altreparti canoniche (orazioni, antifone, vangelo). Inoltre e soprattutto,un manoscritto seicentesco riporta l’Ufficio di s. Pietro in vigorealla fine del Quattrocento – se si deve dar fede al suo titolo – conotto lectiones.

Si tratta del fascicoletto cartaceo segnato AMSP, Mazzi LXXII,11. Il titolo è: Exemplum Officij Divini SS. Constantij, Herculani etPetri Abb. Perusinorum desumptum ex Breviario Congregationis S. Iu-stinae et S. Benedicti deputato usui Monachorum S. Petri de PerusiaAnno Domini M°.CCCC°.LXXXX°. L’anonimo estensore dunque trascrivel’Ufficio monastico contenuto in un breviario della Congregazione diS. Giustina risalente al 1490. Torna a proposito quella notizia datadal Bini, di aver letto delle « lezioni di S. Pietro Abbate in un anticobreviario monastico membranaceo del secolo XV, 1490, nella festa didetto Santo » 75. Doveva esser questo, ancora esistente nell’Ottocentoma oggi introvabile (almeno da me, nonostante accurate ricerche),l’antigrafo dell’Exemplum seicentesco.

Delle otto lectiones che qui si leggono, le prime quattro sonoidentiche al breviario BAP 1115; si procede con le altre quattro acoprire tutta la parte della Vita fino alla donazione della chiesa diS. Pietro da parte del vescovo Onesto e la consacrazione di Pietroad abate del monastero. Nella Vita, dopo la narrazione di questiavvenimenti si ha una nuova magnificazione delle doti spirituali delsanto che fa da preambolo alla lunga serie di miracoli. Verosimil-mente di qui erano tratte le ultime quattro lectiones, che non ci èdato conoscere.

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Degno corollario della strategia di affermazione del culto di Pie-tro, che animò nel Quattrocento la comunità benedettina riformata,fu la commissione di opere pittoriche che lo raffigurassero, mostran-dolo vivo alla vista dei fedeli. I dipinti prodotti tra il XV e il XVIsecolo non sono molti e nemmeno s’impongono come opere straor-dinarie, ma furono affidati l’uno ad un noto pittore locale, l’altro allapiù prestigiosa bottega attiva nell’Italia centrale di allora. Si trattadella pittura a fresco dell’immagine del santo, opera di BenedettoBonfigli, sulla seconda colonna a sinistra dell’entrata della chiesa abba-ziale, considerata oggetto del Miracolo, appunto, della colonna (Fig. 3);e di una piccola tavola di Pietro Vannucci (il Perugino) raffigurantesan Pietro abate, prodotta unitamente ad altre quattro in cui sonorappresentati tre santi dell’Ordine benedettino (Benedetto stesso, Sco-lastica e Mauro) e s. Costanzo, protovescovo della città di Peru-gia 76 (Fig. 4).

I documenti non consentono di datare con precisione il periodoin cui il Perugino mise mano alle cinque tavole, una delle qualiriservata a san Pietro abate. Dal Liber contractuum del monasterosappiamo però che nel 1495 (l’atto risale all’8 marzo) l’abate Giulia-ni da Firenze commissionò al noto pittore una tavola rappresentantel’Ascensione in cielo di Cristo insieme alla Madonna, e che l’annoseguente (contratto del 24 novembre) l’abate Zaccaria Castagnola daPadova richiese allo stesso pittore due tondi aventi per soggetto iprofeti David ed Isaia, per fare da contorno alla tavola voluta dalsuo antecessore 77. Fu in quegli anni, probabilmente, che il Perugino,lavorando a questo polittico, definito in seguito “Polittico di S. Pie-tro” (oggi disperso tra S. Pietro stesso, vari musei francesi e il mu-seo Vaticano), produsse anche le cinque piccole tavole, le quali èlecito ipotizzare fossero destinate a fare da predelle della grande palad’altare.

Pietro è raffigurato nell’atto di indicare con la mano destra unlibro aperto che egli regge con l’altra mano: in questo sono distin-tamente leggibili le parole, in caratteri tardogotici: « Sanctus Petrus

76 Cfr. P. Scarpellini, Perugino, Milano, Electa, 1984, p. 94; p. 207, fig. 137. Lecinque opere (quella di s. Scolastica in copia) sono oggi conservate nella sagrestia dellachiesa di S. Pietro.

77 AMSP, Liber contractuum n. 15, f. 183v. Con atto del 23 aprile 1500 (Ivi, n. 19,f. 28v) il Perugino rilascia al monastero una quietanza relativa alla riscossione di 120ducati d’oro larghi pagatigli in saldo di ducati 500 a lui dovuti per la pittura dellatavola in questione. Il compenso pattuito per la seconda tranche fu di 60 scudi d’oro.

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78 AMSP, Giornale 1461-1468, c. 120; F. F. Mancini, Benedetto Bonfigli, Perugia,Electa, 1992, p. 113 e p. 161 doc. 59.

79 Ivi, p. 77.

Perusinus huius Monasterii Abbas primus et reparator multisqueclaruit miraculis fuit autem temporibus Octonis imperatoris secun-di ».

Quanto all’affresco della Colonna, in questo caso il pagamento diquattro fiorini versato dalla sacrestia del monastero di san Pietro aBenedetto Bonfigli per « doi figure che pinse ne la nostra ecclesia»,registrato in data due maggio 1465 78, sembra non lasciare dubbi,sempre che si possano identificare le « doi figure» citate con quelladi Pietro abate e quella di san Benedetto (affrescata sulla colonna difronte), cosa di cui gli studiosi sono certi 79.

L’iscrizione esplicativa che segue la raffigurazione di Pietro, indistici elegiaci non proprio esaltanti, è la seguente:

Exprimitur templique huius fabricator et Abbasinclytus urbs genuit quem perusina Petrus.Funibus hic ruptis peregrini pondera saxierexit signo mox ruitura crucis.Hactenus effigies longa cariosa senectacernitur Artificis nunc reparata manu.

Due versi per il santo, due per il miracolo, due per le circostan-ze dell’opera. Stando a questi ultimi, l’Artifex avrebbe restaurato, ri-pristinato un’immagine più antica, in disfacimento a causa della suavetustà. In effetti i recenti restauri hanno permesso di constatare chesotto l’affresco quattrocentesco c’è uno strato di pittura più antica,della quale al momento non si riesce a capire il soggetto.

Sta di fatto che, di nuovo, l’unica fonte che si può addurre perle iscrizioni dei due dipinti è la Vita di san Pietro, da poco realizza-ta in libro nel manoscritto SP1. Fu proprio quel manoscritto – delquale, a questo punto, è significativo l’aspetto dimesso e corrente –che dovette fungere da “libretto” per la raffigurazione pittorica delsanto e la descrizione in lettere delle sue gesta. Tanto più conside-rando che esattamente in questi termini il Mancini, come si è detto,poneva il rapporto tra gli affreschi del Bonfigli nella Cappella deiPriori e la Vita di s. Ercolano riportata per la prima volta appuntodal manoscritto SP1.

127LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

3. La Vita B: dai brogliacci dei monaci all’edizione dei Maurini

Durante il Cinquecento, dopo la confluenza della congregazionedi S. Giustina (compreso il monastero di S. Pietro) nella congrega-zione cassinese, non sembra si siano avute particolari novità quantoalla legenda del santo fondatore. Fu invece nel primo Seicento – o alpiù presto negli ultimi anni del secolo precedente – che si ebbe unritorno di attenzione per il testo della Vita. I monaci di S. Pietronon si accontentarono più della situazione ricevuta: nuovi i tempi,nuova doveva essere la Vita di san Pietro abate (non, si badi, la“biografia” di lui, che resta pressoché immutata). Cosicché alcunireligiosi perugini, quelli per cultura all’altezza del compito – nulla dipiù preciso è possibile dire –, rileggono la Vita quattrocentesca, laemendano, danno luogo a nuove stesure. Due per l’esattezza, chechiameremo Vita B e Vita C. Per datare questa fase di vivace inte-resse per il testo della Vita (fase che d’altronde poté non esserebreve), si tengano presenti le seguenti considerazioni, per le qualioccorre anticipare qualcosa di ciò che sarà sviluppato più avanti.Procediamo a ritroso, dalle date più recenti alle più arretrate.

1) I quattro manoscritti di S. Pietro che documentano la genesi dellaVita B, non datati, sono realizzati da diverse mani ascrivibili genericamente alperiodo tra la fine del XVI e la metà del XVII secolo. L’unica filigrana cheabbia riscontro nel repertorio del Briquet (un cerchio con all’interno un uccelloche si appoggia su un colle a tre gobbe) riporterebbe a Roma e agli anni1566-1576 80. Ma, come si sa, riferimenti di questo tipo non sono dirimenti.

2) Il testimone della Vita C utilizzato dai Bollandisti per la loro edizio-ne era la copia notarile di un manoscritto di S. Pietro, copia sottoscritta il25 settembre 1650.

3) Il dato nuovo più significativo che viene introdotto dalla Vita B èl’ascrizione del santo alla schiatta perugina dei Vincioli. I primi ad acco-glierla risultano essere l’Alessi (1635) e lo Iacobilli (1647), i quali entrambiavevano pronta da qualche tempo la loro opera e si consultarono vicende-volmente.

4) Alcuni particolari presenti per la prima volta nella Vita C (la consa-crazione della chiesa all’anno 969, la nomina di Pietro ad abate da parte diGiovanni XIII, il suo incontro con Ottone I anziché con Ottone II) sonorecepiti dal Ciatti, che pubblicò la sua opera nel 1638. In particolare, poi,

80 Cfr. C. M. Briquet, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier,deuxième edition, repr. New York, Hacker Art Book, 1966, III (L-O), p. 614, fig. 12.250.

128 STEFANIA ZUCCHINI

l’identificazione dell’imperatore con Ottone I è già commentata, anche senon accolta, da Pellini (che scriveva prima del 1594) ed accettata da Wion(la cui opera fu edita nel 1595).

Benché le incertezze siano molte (specie quanto al punto 4, poiché ipercorsi dell’erudizione sono quasi mai rettilinei), non c’è dubbio che l’in-tensa attività di riproduzione e rielaborazione della Vita dovette aversi inparallelo con le iniziative abbaziali per la valorizzazione locale del cultodi Pietro abate, a partire dalla solenne traslazione del 1609. Il fatto è, tut-tavia, che il lavorio dei monaci sulla legenda fondativa aveva, a differenzache nel passato, una giustificazione “esterna” oltre che interna. Il referen-te degli abati e monaci di S. Pietro era il mondo dell’erudizione ecclesia-stica e della filologia agiografica, che andava alimentato con un continuoinvio di materiali. I quadernetti cartacei conservati a tutt’oggi nell’archiviomonastico sono l’avanzo di una produzione ben più ampia, che andòdispersa nei rivoli della corrispondenza scientifica. Fu senza dubbio que-sta pressione e committenza “alta” la spinta principale a rielaborare,emendare, migliorare insomma la Vita del fondatore; e anche un fattoredi dispersione, complicazione, moltiplicazione dei processi redazionali.

Cominciamo perciò considerando il nucleo documentario più vi-cino e diretto: un manipolo di manoscritti cartacei dell’archivio diS. Pietro, non cartulati, poco curati dal punto di vista formale –manoscritti di lavoro insomma, non di copia, com’è d’altronde nor-male nell’epoca della cultura tipografica: quasi a ribadire il destinomateriale della Vita di s. Pietro, costretta sempre, così nel XV comenel XVII secolo, in manufatti decisamente modesti. Essi appartengo-no alla cartella segnata Mazzi LXXII. In essa intorno al 1934 l’archivi-sta di S. Pietro R. M. Lamberti raccolse 30 piccole unità sciolte, car-tacee (fogli singoli e piccoli fascicoli), contenenti testimonianze su s.Pietro abate e s. Stefano, s. Costanzo e s. Ercolano 81. Alcuni fascico-li furono dotati di copertine di cartone morbido, altri sono stati la-sciati com’erano. È molto difficile dare la giusta collocazione a tuttoquesto materiale, poiché vi sono mischiati manoscritti di genere ecronologia assai differenti. Quattro sono le unità che qui interessano:le descriveremo in un ordine per così dire logico, progressivo. La

81 Ad esempio, sulla copertina del fascicolo 12 è annotata la provenienza del mano-scritto da Mazzi LXXV, con appunto datato (14 ottobre 1934) e firmato R. M. Lamberti.Che sia stato proprio Lamberti a riordinare i fogli sparsi ora contenuti in Mazzi LXXII èdesumibile dalla presenza su molte carte di sue annotazioni simili a questa, anche senon sempre firmate.

129LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

prima presenta una trascrizione “passiva” della Vita A, che fa dabase per gli interventi di emendazione e innovazione di un revisore;la seconda assume la redazione così risultante, e la sottopone a ser-rata emendazione; la terza e la quarta recano quest’ultimo testo, informa definitiva e pulita. In altre parole, i primi due manoscrittisono copie di lavoro, nelle quali due revisori operano progressiva-mente in corpore vili; l’esito definitivo delle due revisioni è riversato– sempre però in forma avventizia e trascurata – negli altri due ma-noscritti: è quella che chiameremo Vita B.

SP2AMSP, Mazzi LXXII, ms. 26 (Fig. 5)

Vita S. Petri Abbatis Perusinae Civitatis(copia della Vita A, con emendazioni)

Quaderno composto da 10 bifogli piegati a metà, compreso quello chefunge da copertina. Sulla parte anteriore di quest’ultimo, la stessa mano deltesto appone il titolo: Vita S. Petri Abbatis Perusinae Civitatis. Il testo non èa tutta pagina: il copista ne utilizza solo la seconda colonna lasciando lametà sinistra in bianco. In questa si trovano di frequente correzioni di un’al-tra mano. Ma anche il primo copista si corregge spesso, tramite rasure,depennazioni, parole sovrascritte.

Quanto al contenuto, dalla prima mano è riprodotta fedelmente, fin daltitolo, la versione della Vita quattrocentesca. Di più, da un confronto puntua-le tra le due redazioni si ha l’impressione che l’exemplar di questo apografosia proprio il ms. SP1: laddove quella stesura è più difficilmente comprensibi-le, il copista mostra le maggiori incertezze. A dargli i crucci maggiori sono icompendi presenti nell’antigrafo: se alcuni li scioglie a fatica (e spesso inmodo errato), per altri si rassegna alla riproduzione pedissequa, in un testoper il resto privo di segni abbreviativi: non meraviglino quindi un Dei alposto di dicti (f. [1v]), un quid per un qui (ivi), un plenus anziché plenum (f.[2r]), così come un pugnere (lat. classico: pungere) riportato con tutti i segnidi abbreviazione (f. [3r]) o un anomalo compendio per un commisit noncompreso (ivi). Questi sono solo alcuni dei numerosi esempi in tal senso.

Al pari di questi indizi, dai quali possiamo immaginare quale rapportopotesse avere un monaco del ’600 con latino e scrittura quattrocentesca,sono interessanti le correzioni che l’altra mano appone di lato al testo, col-lazionandolo con il codice quattrocentesco. Non solo sono corretti gli sbaglimateriali dello scriptor (interpretazioni errate, salti du même au même, omis-sioni): si emendano anche termini presenti nello stesso testo di base. Unesempio per ciascuno dei due casi: a f. [2r], nel brano della Vita A « in

130 STEFANIA ZUCCHINI

astutia serpentem, in simplicitate illam, que caret fellem columbam est imi-tatus » il copista fraintende l’ultima parola (peraltro davvero mal leggibile inSP1), trascrivendo est mutatus, e il revisore la ripristina; a f. [1v], la parolasacerdos dell’originale, correttamente trascritta dal copista, viene sostituitadal revisore con sacer, più corretto in un’ottica classica. Ancora, viene ope-rata a margine l’identificazione di Misiboseth con Isboseth (se ne parlava aproposito del ms. SP1), è sostituito un diahelo con diabolo; e così via.

Da tutto ciò è chiaro come la preparazione culturale (paleografica, gram-maticale, biblica) del revisore è ben superiore a quella del copista; è proba-bile, anzi (lo dimostra la particolare mise en page), che il modesto ama-nuense abbia lavorato proprio su incarico dell’altro, che abbisognava di untesto di base sul quale operare; e non mi stupirei se l’anonimo revisorefosse uno dei protagonisti dell’ “ammodernamento” seicentesco della Vita.

SP3AMSP, Mazzi LXXII, ms. 28

Vita S. Petri Abbatis Perusinae Civitatis(copia della Vita SP2, con emendazioni)

Con la stessa mise en page del manoscritto precedente ma ad opera diuna mano unica (diversa dalle due di cui sopra) è trascritta la Vita cosìcome risulta dall’operato del revisore SP2; sono sottolineati i brani ritenutimeritevoli d’intervento; a lato sono segnate le emendazioni. Il risultato è laVita consegnata ai due manoscritti seguenti.

SP4AMSP, Mazzi LXXII, ms. 28bis (Fig. 6)

Vita S. Petri Abbatis Perusinae Civitatis(copia della Vita SP2, con emendazioni)

SP5AMSP, Mazzi LXXII, ms. 29

Vita S. Petri Abbatis et Confessoris(nuova versione)

I due manoscritti riportano una identica versione della Vita. La contem-poraneità di produzione è attestata dalla identità della carta utilizzata per

131LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

l’intero fascicolo SP4 e per il foglio esterno, di copertura, del ms. SP5.Quest’ultimo ha i fogli interni ridotti malissimo; migliore lo stato del ms.SP4, che assumo perciò come testimone privilegiato della nuova redazionedella Vita. Della stessa opinione era il Lamberti o chi per lui, che scrissesulla copertina da lui apposta: Vita S. Petri Abbatis et Confessoris. Pretiosis-sima. Un’altra mano poi, vista la coincidenza di questo testo con quelloedito dal Mabillon, ha barrato Pretiosissima annotando a lato: cfr. MabillonActa VI, I, append.

Quale fu il risultato di questo lavoro progressivo? Com’è il te-sto rinnovato della Vita? La risposta, in poche parole, è questa:cambia poco nella sostanza e nella struttura narrativa; cambia, emolto, la forma, che dal latino tardomedievale della stesura origi-nale (Vita A) viene realizzata in un latino moderno, letterariamenteirreprensibile. Gli interventi spaziano da quelli di base (viene in-trodotto il dittongo, vengono normalizzate l’interpunzione e le ma-iuscole) a quelli più significativi: sostituzioni di parole, cambiamen-ti nella costruzione delle frasi, miglioramenti espressivi. Quanto almerito, si introduce un solo dettaglio biografico nuovo, destinato afissarsi permanentemente: il “cognome” del santo. Ciò avviene su-bito.

A leggere le prime due righe del testo si riscontra esattamentequesto comportamento: totale coincidenza di senso, piccoli interventimigliorativi. Poi ecco improvviso il coup de foudre:

Vita A (SP1, f. 13r)

Temporibus imperatoris secundiscilicet Octonis fuit quidam vir egre-gie venerabilisque vite Petrus nomi-ne ex perusino comitatu et ex Agel-lione videlicet pago qui sex fere mi-libus procul a perusina civitate, nobi-li ortus prosapia, Dei per omnia ple-nus gratia ...

Vita B (SP4, f. [1r])

Temporibus Ottonis Secundi Im-peratoris, fuit quidam vir egregiae,venerabilisque Vitae Petrus nomineex Perusino Comitatu, ex Agelionevidelicet pago, qui sex fere millibusdistat a Perusina civitate, ex nobiliVintiolorum familia ortus, Dei peromnia plenus gratia ...

Del perché dell’interpolazione si dirà oltre. Proseguiamo conla lettura – naturalmente ci limitiamo ad alcuni esempi, tratti inspecie dalla prima parte della Vita (mss. SP1, ff. 13r-14r; SP4,ff. [1r-2v]).

Una delle virtù del santo è la carità, a proposito della quale cade

132 STEFANIA ZUCCHINI

il riferimento a Marta e Maria, incomprensibile nella Vita A e op-portunamente corretto e integrato nella Vita B, come già si diceva:

Vita A (SP1, f. 13v)

Sic satagebat ministerium ut Ma-rie ad Dominum sedentis pedes mi-nime relinqueret desiderium ...

Vita B (SP4, f. [1r])

Sic satagebat Marthae ministerium,ut Mariae ad Domini sedentis pedesminime relinqueret desiderium...

Nel rimprovero all’imperatore, mentre nella Vita A il santo esor-disce semplicemente con Rex excelsus, nella Vita B è aggiunto etcaelestis; poco più sotto è introdotto un ejusdem regni, nella A solosottinteso; ancora, dopo due righe, «Quare iram eius mereberis, cumante illum districte iudicandus veneris» è ampliato in «Quare nonmisericordiam, sed iram eius mereberis, cum ante illum ...».

Passiamo all’esaltazione delle virtù spirituali di Pietro:

Vita A (SP1, f. 13v)

Erat siquidem innocentia predi-tus, actionis munditia fulgidus, casti-tate nitidus, longanimitate spei [...],in astutia serpentem, in simplicitateillam, que caret fellem columbam estimitatus, videlicet sicut Dominus suisdiscipulis inquit ...

Vita B (SP4, f. [1r])

Erat siquidem innocentia praedi-tus, actionis munditia fulgidus, casti-tate nitidus, longanimitate spei [...],in prudentia serpentem, in simplici-tate columbam est imitatus, sicutDominus suis dicipulis aiebat ...

Del verbo est imitatus si è detto; l’eliminazione della ridondanzaillam, que caret fellem riferita alla colomba snellisce la proposizione;ma è un intervento di merito la sostituzione di astutia con prudentia.Se nel latino classico, infatti, astutia ha l’accezione di accortezza, ol-tre che quello di scaltrezza, nella lingua comune il termine ha assun-to ormai come accezione principale il significato di furbizia, una dotesicuramente non associabile ad un santo; da ciò la sostituzione conprudentia, termine pregno di valore simbolico, essendo la Prudenzauna delle quattro Virtù cardinali.

Si consideri ora il passo in cui è descritta l’arditezza di Pietro neiconfronti dei ribaldi.

Vita A (SP1, f. 13v)

Potentum non formidavit ali-quando personas delinquentium, sedasperis invectionibus devios monen-

Vita B (SP4, f. [1rv])

Potentum aliquando non formi-davit personas delinquentes, sed aspe-ris objurgationibus devios monendo

133LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

La costruzione della Vita B è più scorrevole, più corretta da unpunto di vista sintattico, ma anche, allo stesso tempo, più complessa.L’infinitiva con perifrastica passiva, che si risolve in una finale («nonignorans ... ut resipiscant»), sostituisce l’infinitiva semplice « nec no-verat delinquentes palpare sed pugnere»; si aggiusta la sintassi deicasi (personas delinquentium, benché non scorretto, è emendato conil più liquido personas delinquentes), mentre davvero quel sic per Sa-lomonem dicitur non stava in piedi; ancora, non addicendosi certa-mente a un santo le invettive (invectionibus), le si sostituisce con irimproveri (objurgationibus).

Altra procedura frequente è la scelta di verbi specifici al postodei generici: Pietro non è effectus, ma electus chierico; le avversitànon lo fecerunt turbatum, lo reddiderunt turbatum; l’imperatore non èsemplicemente iratus, ma ira accensus; e così via.

È superfluo continuare. Pressoché ogni brano della Vita originariaè sottoposto al paziente e sottile labor limae. Il testo viene ripulitodelle asperità sia stilistiche che contenutistiche, abbellito, reso coeren-te. Diviene così ineccepibile, e perciò “pubblicabile”. E in effetti saràpubblicato, in appendice al volume

Mabillon-Ruinart 1701Acta Sanctorum Ordinis S. Benedicti in saeculorum classes distri-buta. Saeculum Sextum, quod est ab anno Christi M. ad MC.,colligere coepit L. d’Achery, Congregationis Sancti Mauri mo-nachus; J. Mabillon et T. Ruinart, eiusdem Congregationis illu-strarunt, edideruntque cum indicibus necessariis. Pars Prima,Lutetiae Parisiorum 1701 (II ed. Venetiis, apud S. Coleti etJ. Bettinelli, s. d. [1739]).

Vita S. Petri Abbatis et Confessoris, pp. 647-651

Nel corpo del volume, sotto l’anno 1007, è edito l’Elogium delsanto (De S. Petro abbate primo Sancti Petri in monte Caprario propePerusium, pp. 63-65), un profilo dovuto presumibilmente al d’Achéry,

do ad gremium, quos poterat, san-cte revocabat Ecclesie: nec noveratdelinquentes palpare sed pugnere,sic[ut] per Salomonem dicitur ...

ad gremium, quos poterat, sanctaerevocabat Ecclesiae: non ignorans de-linquentes, non tantum palpandos, sedetiam pungendos esse ut resipiscant,Salomone dicente ...

134 STEFANIA ZUCCHINI

82 Non solo nell’edizione della Vita, ma anche nell’Elogium precedente e altrove:J. Mabillon, Annales ordinis S. Benedicti occidentalium monachorum Patriarchae, 6 voll.,[Parisiis], Robustel, 1706, tomo IV, p. 162.

che in questa sede non interessa. Lì i curatori annunciano l’intenzio-ne di accludere in calce al volume la Vita del santo, una volta cheriuscissero ad ottenerne un esemplare. Come in effetti avviene, poi-ché a p. 647 i due curatori dichiarano: «cum Vitam beati Petri Pe-rusini abbatis, e codice ms. monasterii ab eo conditi descriptam ac-cepimus, curante R. et eruditissimo patre domno Erasmo a Cajetasacri monasterii Casinensis priore, quare eam, ut in Elogio ejusdemSancti huius voluminis pag. 63. polliciti sumus, hic exhibemus». Ilriferimento ad Erasmo da Gaeta (Erasmo Gattola), quale priore delmonastero di Montecassino, rimanda agli anni 1698-1699, quandoGattola rivestì questo incarico. Evidentemente il grosso del volumeera già composto, e l’arrivo del manoscritto atteso consentì l’inseri-mento in extremis della Vita. Il Gattola inviò a Mabillon e Ruinartuna copia, non sappiamo se già esistente nell’archivio monastico (diMontecassino o di S. Pietro?) oppure effettuata appositamente, dellaVita B. La coincidenza tra questa e l’edizione del 1701 non lasciadubbi in proposito. Sta di fatto che la non disponibilità di altri testi-moni e la fretta non consentirono ai due Maurini se non la ripropo-sizione fedele e passiva del testo pervenuto. Così, fra l’altro, essiassunsero e consacrarono la cognominazione “Vincioli” 82.

4. La novità della Vita B: san Pietro “Vincioli”

Tale cognominazione è l’unica innovazione “biografica” dellaVita B, un’innovazione cioè per la quale non si può addurre alcunaratio testuale. Il passaggio da nobili ortus prosapia a ex nobili Vintio-lorum familia ortus è vera e propria interpolazione: all’inizio del Sei-cento, si volle che da allora in poi Pietro abate fosse Pietro Vincioliabate; e il risultato si ottenne. Ma chi erano i Vincioli? Che rapportiaveva questa famiglia con il monastero?

Se dovessimo dimostrare anche solo la plausibilità (e non certo laverità) dell’affiliazione di Pietro ai Vincioli, ci troveremmo in difficol-tà. Numerose attestazioni dell’esistenza di questa famiglia (in un modotuttavia ancora incipiente: i “figli di Vinciolo”) si hanno dalla metàcirca del secolo XIII. Si parla spesso, negli anni 1252 e seguenti,

135LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

della domus o palatium o camera dei figli ovvero eredi di Vinciolo,sita in foro publico ovvero in publico mercato della città, utilizzatacome casa comunale provvisoria, essendo il Palazzo pubblico in viadi ristrutturazione. Di questo Vinciolo (Vinçolus, Vençolus), mai ac-compagnato dal predicato dominus, un documento del 21 dicembre1252 dice il patronimico: « ante cameram heredum Vinçoli dominiBonocontis» (qui il dominus c’è, ma riferito al padre) 83. Nello Statu-to del comune del 1279 c’è un cenno occasionale alla «domus domi-ni Vençoli» 84. La Libra del 1285, il ruolo fiscale dei cittadini diPerugia, non fornisce aiuti 85. Nello Statuto volgare del 1342 figura dinuovo il palazzo di messer Venciolo posto nella pubblica piazza 86:ecco ora il messer, che vale dominus. Come si vede, nulla che facciaintravedere un qualche ruolo politico di spicco.

Nemmeno dà risultati una ricerca su un possibile legame cento oduecentesco di quel “Vinciolo” o dei “figli di Vinciolo” con Agello.Un diploma imperiale datato 7 agosto 1186 notifica infatti la conces-

83 7 aprile 1252: «ante palatium filiorum Vinçoli»; 26 novembre 1252: « in publicomercato dicti comunis, ante domum heredum Vinçoli»; 21 dicembre 1252: « in publicoforo comunis dicti, ante cameram heredum Vinçoli domini Bonocontis»; 29 gennaio1253: « in foro publico eiusdem comunis ante cameram filiorum Vençoli »; 26 febbraio1254: « in palatio Uguitionis Vençoli super quo idem potestas habitat »; 3 marzo 1254:« in foro publico eiusdem comunis ante domum filiorum Vençoli »). Cfr. Codice Diplo-matico del Comune di Perugia. Periodo consolare e podestarile (1139-1254), 3 voll., a curadi A. Bartoli Langeli, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1983 (Fontiper la Storia dell’Umbria, 15, 17, 19), II, pp. 581, 585, 598, 599.

84 Rub. 272: «Qualiter piçicarelli et piçicarelle non sedeant in foro communis adomo domini Frangepanis ad domum domini Vgutionis Ranucini et a domo filiorumSeruitoris ad domum domini Vençoli »: Statuto del Comune di Perugia del 1279, I, acura di S. Caprioli, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1996 (Fonti perla Storia dell’Umbria, 21), p. 270.

85 Vi figurano gli estimi « Vinçoli et Mathioli olim magistri Gullielmi et nepotummagistri Bartholomei» e « heredum Vinçoli cerdonis»: A. Grohmann, L’imposizione diret-ta nei comuni dell’Italia centrale nel XIII secolo. La libra di Perugia del 1285, Perugia,Deputazione di Storia Patria per l’Umbria (Fonti per la Storia dell’Umbria, 18); Roma,École française de Rome, 1986, pp. 159, 182.

86 « la qual strada va ed è entra le case en qua derieto de meser Venciolo e en quaderieto de messer Uguicione da Ranucino»; « en la via per la quale se va al macello e ala pesciaria entra le case en qua derieto de meser Venciolo e en qua derieto de mesereUguicione de Ranucino »; « en la via la quale va a la chiesa de sancta Maria del Mercatopo’ la casa en qua derieto de meser Venciolo»; « en la via overo strada per la quale se vaal macello, la quale è entra la casa en qua derieto de meser Venciolo». Cfr. Statuto delComune e del Popolo di Perugia del 1342 in volgare, 2 voll., ed. critica a cura di M. SalemElsheikh, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 2000 (Fonti per la Storiadell’Umbria, 25), II: Libro III, 65.1 (p. 116); 69.1 (p. 121); 77.2 (p. 130); Libro IV, 14.4(p. 353).

136 STEFANIA ZUCCHINI

sione a Perugia del castrum Agellum ad eccezione del «servitiumMarchionis quod in eo habet ». Il marchese in questione è Ugolino,principale del ramo umbro dei vecchi Marchesi di Tuscia, al quale idomini loci dovevano i servitia menzionati nel diploma. Circa questidomini di Agello Sandro Tiberini scrive che « la documentazione pe-rugina più antica presenta vari personaggi anche in posizione emi-nente o legati ad enti signorili i quali aggiungono al loro nome ilpredicato territoriale de Agello o Agelli; non è tuttavia possibile, almomento attuale, individuare un qualsiasi rapporto di parentela oaffinità tra loro, né è sempre chiara la loro effettiva appartenenza algruppo sociale dei domini del contado » 87. Quando poi Tiberini indi-vidua dei soggetti che assumono questo predicato e appartengonoindubbiamente al ceto signorile, ma siamo ormai nella seconda metàdel Duecento, il loro nome (d. Martino di Bernardo, Benvenuto Zoti)nulla ha a che fare con quella casata perugina dei “figli di Vinciolo”di cui sopra.

Niente di apprezzabile, dunque, dalle fonti comunali; forse, sca-vando nella storia di S. Pietro ... Ebbene, lungo tutta la storia del-l’ente non si rintraccia alcun rapporto significativo tra il monasteroe la famiglia in questione: nessun abate con questo nome, nessunadonazione, nessun contatto nella sfera della vita pubblica.

Tutto ciò quanto alle epoche più arretrate, per avvicinarsi il piùpossibile all’età di Pietro abate. Andiamo allora al Cinque-Seicento,quando i Vincioli avevano il titolo di conti di Agello e San Valen-tino, insieme ai Sagramorri e ai Giraldi 88. Era, questa dei Vincioli,una casata di nobiltà recente e aveva bisogno di una legittimazioneche le assicurasse un radicamento nella storia cittadina. La trovò,quanto al titolo di San Valentino, nell’antica menzione di Girardi-nus de Rainaldo Sancti Valentini, il quale compare come console diPerugia nell’atto di sottomissione di Castel della Pieve alla Città diPerugia del 118889 , e lo assunse come proprio capostipite: una « tra-dizione inventata », commenta Erminia Irace.

87 S. Tiberini, Le signorie rurali nell’Umbria Settentrionale. Perugia e Gubbio, secc.XI-XIII, Roma, Ministero per i Beni e le attività culturali - Ufficio centrale per i beniarchivistici, 1999 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 52), p. 96.

88 Cfr. E. Irace, La nobiltà bifronte. Identità e coscienza aristocratica a Perugia traXVI e XVII secolo, Milano, Edizioni Unicopli, 1995, pp. 60 nota 65 (qui l’espressioneriportata più avanti), 146.

89 Codice diplomatico del Comune di Perugia, I, p. 23; cfr. J. P. Grundman, The

137LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

Mancava un aggancio al titolo comitale di Agello: ed eccolo of-ferto su un piatto d’argento dalla Vita A di s. Pietro abate, « experusino comitatu et ex Agellione videlicet pago ... nobili ortus pro-sapia ». Sarebbe perciò facile ipotizzare una manovra congiunta tra iVincioli e la dirigenza del monastero, ipotesi che comunque andreb-be rinforzata con qualche dato di fatto (io non ne ho reperiti); manon è strettamente necessario, potendosi accedere a una spiegazione“ingenua”. Ci si metta infatti nei panni dell’anonimo “emendatore”della Vita – anonimo, ma pienamente immerso nel mondo e nel-l’ideologia nobiliare della sua epoca. Il meccanismo di pensiero do-vette esser questo: se Pietro è nobile e di Agello, considerando che i“nobili di Agello” sono i Vincioli, perché non rendere più preciso iltesto? Alieno dalle sottigliezze di qualche erudito, come il Pellini, elungi dal dubitare della veridicità della Vita A, l’emendatore si limitaa renderla più esatta, con quel piccolo tocco – uno dei tanti. Nonuna motivazione politica o sociale, non un qualche legame con lafamiglia Vincioli, ma una semplice deduzione logica. Sta di fatto chepiù tardi, quando l’attribuzione di Pietro alla famiglia Vincioli si saràimposta, gli esponenti della casata non esiteranno a farsene vanto;non subito però, come si vedrà.

5. La Vita C: un altro testo primo-seicentesco, base dell’edizione deiBollandisti

Se si va alla Vita che i Bollandisti diedero alle stampe una ventinad’anni dopo i Maurini non solo non si trova il cognomen che ci haintrattenuto, ma si legge un testo ben diverso, almeno per buona par-te: lo chiameremo Vita C. Nel suo piccolo, la legenda dell’Abate peru-gino simboleggia quel confronto scientifico, quella concorrenza dialetti-ca tra le due grandi scuole che incise profondamente nella storia intel-lettuale europea. In verità bisogna dire che i maurini Mabillon e Rui-nart non poterono esercitare il massimo della loro acribia sul testodella Vita, che essi ebbero all’ultimo momento; al contrario del bollan-dista Pien, che almeno ebbe il tempo di ragionare su più testimonidella Vita e di fare le sue scelte. Fu infatti Jean Pien (lat. JohannesPinius), dei tre autori che figurano in frontespizio, a curare l’edizione:

« Popolo » at Perugia. 1139-1309, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria,1992 (Fonti per la Storia dell’Umbria, 20), pp. 7-8.

138 STEFANIA ZUCCHINI

AA.SSAA.SSAA.SSAA.SSAA.SS. 1723Acta Sanctorum Julii ex Latinis & Graecis, aliarumque gentiumMonumentis, servatâ primigeniâ veterum scriptorum phrasi, col-lecta, digesta, commentariisque & observationibus illustrata aJ. B. Sollerio, J. Pinio, G. Cupero, tomus III, Antverpiae, apudJ. Du Moulin, 1723 (II ed. Parisiis, Palmé, 1867).

Vita [s. Petri abbatis] ex archivio monasterij S. Petri de Perusia,Ordinis S. Bened., congregationis Cassinensis, pp. 115-118

Nella premessa all’edizione (pp. 112-115), il Pien illustra con chia-rezza le fonti utilizzate e i rispettivi rapporti, nonché le sue scelteeditoriali. I testimoni della Vita a sua disposizione, stando alle suestesse parole, erano tre:

1) naturalmente, l’edizione Mabillon-Ruinart;2) un manoscritto «e codice Gallenii [...] in quo ad marginem

adscriptum invenii, ex cod. O. P. Gallenii (fortasse Oratorii patrisGallonii) quem Baronius accepit à Cajetano ». Probabilmente Cajeta-nus è Costantino Caetani, custode della Biblioteca Vaticana e addettoagli Archivi Pontifici. Il manoscritto in questione era almeno anterio-re al 1607, anno della morte di Cesare Baronio;

3) la copia manoscritta di un originale conservato nell’archiviodel monastero perugino; copia sottoscritta, a dichiararne la conformità,da «Sinimbaldus Tassius de Perusia, publicus Apostolica auctoritateNotarius, judex ordinarius», in data 25 settembre 1650. Tale apogra-fo lo ebbe poi, a Roma, Philippe Alegambe, il quale lo inviò adAnversa il 14 gennaio 1651. Così infatti il Pien: « Quam hic damusVitam, Roma misit die XIV Iannuarii anni 1651 P. Philippus Alegambe,Bibliothecae Scriptorum Societatis Iesu continuator ».

Tutti e tre i manoscritti citati, l’originale perugino e i due inpossesso dei padri di Anversa, non si sono conservati; o almeno nonsono riuscita a raggiungerne alcuno. In particolare, quelli che furonosul tavolo del Pien andarono perduti con molta probabilità in etànapoleonica, nei primi anni dell’Ottocento, quando l’archivio bollan-dista fu privato di molti dei documenti ivi conservati 90.

90 Ringrazio per questa preziosa informazione il gentilissimo padre Robert Godding,che mi ha fornito ragguagli sullo stato attuale dell’archivio bollandista ed il dottor Rai-mondo Michetti, grazie al cui interessamento sono potuta entrare in contatto con lostudioso belga.

139LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

I due personaggi che fecero da tramiti dell’arrivo ad Anversa del testodi S. Pietro meritano qualche cenno.

Del notaio Sinibaldo Tassi parla Giovan Battista Vermiglioli, dichiaran-dolo autore di due lavori manoscritti sulla storia della città, ai suoi tempiconservati presso la cancelleria del Comune. Uno è il noto De claritate Pe-rusinorum (« Libri continentes in se diversas scripturas, instrumenta et aliapertinentia et spectantia ad nobilitatem et claritatem Perusinorum ») 91, oggiin BAP, mss. 1429-1450, l’altro – come scrive Vermiglioli – un Repertoriodelle famiglie nobili di Perugia, di molti cittadini civili della medesima, dialcuni forestieri fatti cittadini di Perugia descritti ne’ libri pubblici di essa conaltre memorie 92. Di quest’ultimo non ho trovato notizie recenti. Fra l’altro,se è vero che (come si dirà) il testo da lui autenticato non dichiarava l’ap-partenenza del santo alla schiatta dei Vincioli, allora di dominio comune,c’è da chiedersi se in questo non entri in qualche modo la sua approfondi-ta conoscenza, appunto, delle genealogie delle famiglie nobili di Perugia,compresi i Vincioli: nel De claritate egli ne costruisce l’albero, nel qualenon risale oltre la fine del secolo XIII (BAP, ms. 1429, f. 356v).

Philippe Alegambe (Bruxelles 1592 – Roma 1652) scrisse alcune biografiedi Gesuiti e una Bibliotheca Scriptorum Societatis Iesu (Anversa 1643), rifusionedel catalogo pubblicato nel 1608 da Pedro Ribadeneira, da cui la definizionedel Pien di « Bibliothecae Scriptorum Societatis Iesu continuator». Fra le al-tre sue opere, va segnalato il Compendium Vitarum SS. Iustini, Felicis, Floren-tii, et Justae filiae Florentii, ex Ms. ecclesiae colleg. S. Justae Aquilae, inviatonel 1647 al confratello e connazionale Jean Bolland, il quale ne estrasse nel1643 gli Acta Sanctae Justae Virg. et Mart. Ex Variis Mss., pubblicati negliActa Sanctorum Augusti, I, pp. 40-41: il che attesta la frequenza dei rapportiche Alegambe aveva con la Società dei Bollandisti e la sua prassi di raccoglie-re manoscritti da chiese locali 93. Non è chiaro a questo proposito se la Vitadi san Pietro abate fu affidata all’Alegambe affinché questi la facesse perveni-re ai Bollandisti, oppure per altri fini. Non è escluso che, in un periodo diintensa promozione del culto di Pietro, i monaci contassero sull’intercessionedel gesuita belga in vista di un eventuale processo di canonizzazione presso la

91 Quest’opera contiene le prove di nobiltà composte dal Tassi per le famiglie eminentirivoltesi a lui come ad uno dei maggiori esperti degli archivi cittadini. Egli infatti, fra il 1653e il 1702, fu svariate volte notaio del Comune, dei priori e dell’Armario (l’ufficio del cata-sto). Ottenne anche dai magistrati l’incarico di effettuare una nuova inventariazione dell’ar-chivio della cancelleria perugina, esperienza che gli permise di accumulare quelle conoscenzea cui si appellavano le famiglie bisognose di ricostruire la propria genealogia per poter otte-nere gli attestati di nobiltà. Per ulteriori notizie sull’opera del Tassi cfr. Irace, La nobiltà bifronte,pp. 67-70; M. Pecugi Fop, Spoglio documentario dal “De Claritate Perusinorum”, in “Bollet-tino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, 72/2 (1975), pp. 107-142.

92 Cfr. Vermiglioli, Bibliografia storico-perugina, pp. 157-158.93 Notizie generali (che qui non riporto) sulla vita dell’Alegambe in Enciclopedia Italiana

Treccani, II, Milano, Rizzoli & C., 1929, p. 288. Per le sue opere cfr. Bibliothèque de la Com-pagnie de Jésus, nouvelle édition par C. Sommervogel, Paris, A. Picard, 1890, I, coll. 151-152.

140 STEFANIA ZUCCHINI

Curia romana. Ci si chiede infatti il perché di una copia autentica sottoscrittada notaio pubblico: procedura certamente anomala quanto almeno alla vicen-da che ci occupa, ma anche, credo, in generale quanto a legendae di santi.

La collazione convinse Pien della primarietà del “manoscritto Tassi”rispetto al “manoscritto Baronio” e alla Vita B edita, come sappiamo,da Mabillon-Ruinart. Le varianti da lui annotate in apparato autorizza-no a ritenere, con una certa dose di sicurezza, che il “manoscrittoBaronio” presentasse una versione della Vita A; esse, infatti, coincidonoin larga parte con le differenze tra questa e la Vita B. Entrambe questeversioni sembravano a Pien più recenti di quella tràdita dal “mano-scritto Tassi”. Intendeva quest’ultima come la redazione originale dellaVita, addirittura non di molto posteriore agli avvenimenti narrati. Viriscontrava infatti una concisione e una nitidezza descrittiva che sareb-bero state ridotte dagli interventi delle altre due, e in specie dall’inseri-mento di passi scritturistici. Perché infatti, scrive Pien, se questi riferi-menti fossero stati presenti fin dal principio, sarebbero stati eliminati inun secondo momento? In sostanza, per Pien, le altre due Vitae nonsono altro che un’estensione di quella che egli si accinge ad editare.

La nostra opinione è ben diversa, tant’è che designiamo come VitaC il testo tràdito dal manoscritto di S. Pietro trascritto e autenticatoda Sinibaldo Tassi nel 1650, giunto tramite l’Alegambe ai Bollandisti einfine pubblicato dal Pien nel 1723. Cominciamo con l’analizzarlo.

Fin dalle prime righe sono evidenti le novità 94:

94 Essendo le due Vitae molto diverse fra loro rinuncio ad evidenziare in corsivo– come ho fatto nel confronto tra le Vitae A e B – i termini che non coincidono.

Vita A (SP1, f. 13r)

Temporibus imperatoris secundiscilicet Octonis fuit quidam vir egre-gie venerabilisque vite Petrus nomineex perusino comitatu et ex Agellionevidelicet pago qui sex fere milibusprocul a perusina civitate, nobili or-tus prosapia, Dei per omnia plenusgratia, qui a primevo suae aetatis tem-pore Iustitiae callem ingrediens, deodevotum pectus gerebat. Denique cumsolummodo sex annorum esset tollen-tibus parentibus licteras cepit discerescholarum, utpote prudens clientulus ...

Vita C (AA.SS., p. 115, col. I)

Petrus, ex provincia Tusciae inCastro Agello, qui à Perusia civitatefere sex millibus distat, ortus est.Suos non ignobiles habuit parentes,qui puerum Petrum è prima in hu-manis studiis instruxerunt; ...

141LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

La specificazione della “provincia” di appartenenza di Perugia edi Agello già denota una prospettiva più vasta di quella, locale, dellaVita A (e della Vita B, si ricordi).

Per quanto riguarda le origini familiari di Pietro, invece, la litote«suos non ignobiles habuit parentes» che sostituisce l’espressione «no-bili ortus prosapia» (da cui, nella Vita B, aveva avuto luogo l’identi-ficazione della famiglia di origine di Pietro con i Vincioli) ridimen-siona di molto la “nobiltà” del lignaggio di Pietro: un conto è parla-re di genitori non ignobili, un conto di nobile schiatta. Poiché que-sta Vita fu portata a Roma proprio quando l’identificazione con iVincioli figurava nelle opere degli eruditi locali, il fatto che qui sicompia un’operazione di segno opposto potrebbe essere attribuito– come ho già accennato parlando di Sinibaldo Tassi – alla volontàprecisa di escludere alla radice ogni possibile travisamento.

Altro passo oggetto di intensa rielaborazione è quello in cui ènarrata la conversione del futuro santo:

Vita C (AA.SS., p. 115, col. I)

[...] sed ipse sacris insistens, the-saurum illum absconditum invenit,quapropter, venditis omnibus, emitagrum, ac sese in ministerio Eccle-siae mancipavit, atque per gradus adsacerdotium pervenit.

Vita A (SP1, f. 13r)

Quid multa sacris ab infantiaeruditus litteris col[l]um iugo Domi-nici supposuit servituti. Quippe nonillius ignarus Evangelici dicti dicen-tis: “Tollite iugum meum super vos,et discite a me, qui mitis sum, ethumilis corde. Iugum enim meumsuave est et honus meum leve”. Quiadhuc iuvenculus bonis intentus ope-ribus electorum videlicet Dei sorti-tus sorte electus est clericus, et peromnes Ecclesiastici ordinis gradus insacerdotali ad ultimum dignitate, utverus sacerdos est elevatus.

La sottile metafora della Vita C permette l’eliminazione della cita-zione neotestamentaria; allo stesso tempo, i particolari “pratici”, deltutto assenti in A, forniscono quella serie di collegamenti logici checonsentono di ricostruire una biografia ben precisa, in cui i varimomenti della vita del santo (sacerdozio, donazione della chiesa, in-contro con l’imperatore, etc..), si susseguono non per giustapposizio-ne ma secondo un filo conduttore coerente.

Anche nella descrizione delle doti spirituali di Pietro, cui è dato

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rilievo in entrambe le Vitae qui considerate, sono riscontrabili nettedifferenze di impostazione:

Vita A (SP1, f. 13v)

Erat siquidem innocentia praedi-tus, actionis munditia fulgidus, casti-tate nitidus, longanimitate spei, etoperis firmus, obedientia supplex inastutia serpentem in simplicitate il-lam quae caret fellem columbam estimitatus, videlicet, sicut Dominus suisdiscipulis inquit: Estote prudentes, si-cut serpentes, et simplices sicut co-lumbae, sobrius, pudicus, providus,perfectum animal novi Testamentioculis ante, et rectro plenum quemprospera elevatum, nec adversa un-quam fecerunt turbatum. Quippe adsuae mentis aditum, non mol[l]emcustodiam, ut Mysiboseoh Saulisquondam filius profuit, sed robusto,virilique discectionis [sic] sensu suipectoris munivit ingressus [...] Ininguine quippe percutitur, ut beatusait Papa Gregorius [...] Fuit et hicbeatissimus Petrus vir sanctus elemo-synarum virtute praecipuus [...] Fuitetiam hic vir sanctus amabilis Deo,carusque hominibus.

Vita C (AA.SS., p. 115, col. I)

Hic itaque super omnia Deoplacere desiderans, ad fortia mittensmanus, contra principem tenebra-rum dimicandum se praeparans,pervalidis armis lucis se munivit,scilicet castitate, innocentia, longani-mitate, simplicitate ac prudentia, &super omnia orationibus, ac lachry-mis insistebat. Quapropter his armisvaluit omnia tela ignea inimici reji-cere: eleemosynarum quoque ac bene-ficentiae non obliviscebatur, ut mi-sericors ipse misericordiam à Deoconsequeretur.

Come si vede, l’autore della Vita A insiste su tutte quelle qualitàche fanno di Pietro un perfectum animal novi Testamenti, lo avvicina-no ai dettami dell’antico Testamento, ed infine lo rendono caro agliuomini: nel lungo discorso sono presenti metafore e similitudini diorigine neotestamentaria con animali simbolici quali il serpente e lacolomba, le usuali citazioni testamentarie (oltre a Saul, nelle partiomesse del testo si fa riferimento a Salomone, a Marta e a Maria) eriferimenti agli insegnamenti di Gregorio Magno.

In C le stesse doti spirituali sono poste in relazione alla lotta delsanto contro le forze del male; nessun richiamo è fatto al “gradimen-to” di Pietro presso gli uomini: anche la carità è esercitata dal santoin una continua tensione verso Dio e la vita ultraterrena.

143LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

Nella redazione della Vita A questo ritratto spirituale è seguìto dall’in-contro con l’imperatore, che a sua volta precede la donazione della chiesadi S. Pietro, seppur presentata come evento avvenuto nello stesso lasso tem-porale (« Illis vero temporibus »). In C al contrario la restaurazione diS. Pietro precede ogni altro evento nella vita del santo e, sebbene la Vita Csia in generale più sintetica di A, risulta in questo caso molto più dettaglia-ta: al racconto circostanziato della riedificazione di S. Pietro segue la narra-zione di come il vescovo abbia scagionato Pietro dall’accusa di essere neisui confronti simulator e calumniator (da notare che in C le malevoci nonsono diffuse, come in A-B, da mali clerici, bensì dalla malitia et invidiaaliquorum, il che riconduce l’invidia e la cattiveria nei confronti dell’uomodi Dio ad ambiente diverso da quello ecclesiastico. AA.SS., p. 115, col. I),per finire con gli eventi miracolosi intercorsi durante i lavori, narrati invecein A in una sezione a parte, espressamente dedicata ai vari miracoli operatidal santo. È interessante notare a questo proposito in che modo l’elementosoprannaturale è inserito dall’autore nella narrazione storica: « interea dumpraefatum perficeret opus, ut gratum sibique acceptum omnipotens Deusesse monstraret, multis miraculis patefecit » (AA.SS., p. 115, col. II). I mira-coli sono quindi una chiara dimostrazione di come all’Altissimo sia graditol’operato dell’uomo. Altro aspetto interessante è che il miracolo dei pani– paragonato in A ad analoghi eventi miracolosi presenti nei Dialogi di Gre-gorio Magno, nel Nuovo e nell’Antico Testamento (vedi sopra, nota 59) – èprivato completamente dei riferimenti scritturistici e gregoriani, quasi che“l’originalità” dell’evento sia da preferire ad una tradizione di miracoli trop-po simili fin nei particolari (e qui mi riferisco soprattutto al miracolo diSantulo, narrato da Gregorio Magno).

L’elemento più fortemente innovatore però nei confronti della Vita tra-dizionale è l’inserimento della data di consacrazione della chiesa: « advoca-toque Praesule dicte civitatis Kal. Decembris in honorem Dei, Deique Ge-nitricis, sub nomine Principis Apostolorum ipsam dedicarunt circa an-num Domini CMLXIX » (AA.SS., p. 115, col. II).

Il successivo viaggio a Roma è riportato in modo alquanto conciso:Onesto conduce Pietro dal sommo pontefice Giovanni XIII che lo nominaperpetuo abate del monastero di S. Pietro. In questo caso non è tantol’identificazione del papa in questione con Giovanni XIII, in carica nel 969,ad attirare l’attenzione del lettore, quanto il fatto che Pietro venga creatoabate di un cenobio di cui fino a questo momento l’autore non ha maiparlato. Se nella Vita A infatti Pietro chiede di poter riedificare la chiesacon il preciso scopo di istituirvi un monasterium (SP1, f. 14v), in C larichiesta è motivata esclusivamente dal dispiacere di vedere un così nobileedificio, costruito ad onore di Dio, giacere in rovina.

Altra novità di un certo rilievo è la chiosa operata dal redattore di Calla descrizione della fondazione dell’abbazia. Si tratta di una digressionedai toni elevati, nella quale sono ricordati i molti che, abbandonando la vitasecolare, seguirono l’abate nell’esperienza cenobitica.

144 STEFANIA ZUCCHINI

Il breve passo col quale si esalta l’operato di Pietro come abateha una struttura retorica complessa, con il termine lapis usato primain senso letterale e poi metaforico; l’impegno stilistico profuso inquesto brano testimonia il livello culturale dell’autore, evidentementein grado di servirsi a suo agio di un linguaggio elevato:

& Abbas effectus, regimen hujus suscepit loci, coepitque, sicut antea exmortuis lapidibus Deo construxerat ecclesiam, nunc vero ex vivis, ac electislapidibus aliam, ubi Spiritus sanctus inhabitat, instruere: namque ex illiusexemplo multi seculum relinquentes, sanctae conversationis habitum susce-perunt: quos omnes caro affectu amplectens, ad supernam civitatem suisaptandos locis, verbo & exemplo caelabat (AA.SS., p. 115, col. II).

L’introduzione all’evento successivo, l’incontro con l’imperatore,conferma la tendenza a fornire precisazioni di carattere storico giàriscontrata nella parte della vita fin ora esaminata:

Vita A (SP1, f. 114r)

Nam tempore, quo supradictusImperator Octo siquidem Secundusrediens Romam accepta corona Pe-rusiam venisset, suique milites multadevastantes, ac depredantes cum pro-vinciales pauperes, ac divites afflixis-sent, vir Domini [...] ei talem intulitsermonem ...

Vita C (AA.SS., pp. 115-16, coll. II-I)

Interea dum Petrus circa ea, quaeDeo placent, insisteret, Otho primusAlemanniae & hujus nominis secun-dus, accitus ad Italiam, Urbemque àRomanis, & aliis Principibus prop-ter multa mala gravia scandala, quaeà Berengario, & Joanne Pontifice XII,qui deploratae vitae fuit, fiebant,magno exercitu venit; venit etiamsub Joanne XIII, cum filio suo Otto-ne, quo tempore videt iter accepisseper Tusciam post acceptam coronam,commoratusque apud Perusiam cumsuo exercitu, qui civibus, & habita-toribus civitatis multa mala faciebant,ut solet illud genus hominum, ha-bens pro lege libertatem, & nequeDeum, neque homines vereri.

Come balza immediatamente agli occhi, le circostanze storicheche fanno da corollario all’incontro di Pietro con l’imperatore assu-mono in C una rilevanza di molto superiore a quella di A. Si trattadi un vero e proprio excursus sulla situazione storico-politica del-l’epoca, assolutamente estraneo alla spirito dell’agiografo antico. È

145LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

l’erudito qui che interviene dotando un episodio – riportato dallatradizione più recente ora ad Ottone I ora ad Ottone II (vedi oltreparte terza) – dei contorni storici che legittimino il riferimento siaall’uno che all’altro imperatore. Ritengo a tale proposito che l’inseri-mento di Ottone II a fianco del padre (vero soggetto delle impresenarrate) fin dal primo viaggio italiano abbia lo scopo di legittimaree comprendere insieme entrambe le identificazioni dell’imperatoreincontrato da Pietro.

In quest’ottica si comprende meglio la scena seguente, in cui l’aba-te, mosso dalle lacrime delle vedove e dei poveri, disperati per idanni arrecati dal passaggio dell’esercito imperiale, redarguisce l’im-peratore, «quisque ille fuerit, sive II, sive III hujus nominis, hoc pa-rum refert » (AA.SS., p. 116, col. I). Poiché la presenza di Ottone IIIè del tutto fuori posto nel contesto, giudico che la proposizione con-tenga un errore del copista (Ottone II e III al posto di Ottone I eII), abbastanza comprensibile vista la somiglianza dei nomi e deinumeri. L’autore, infatti, fino ad ora, non ha mai parlato di Ottone IIIe qui continua chiaramente un discorso incentrato sugli altri dueOttoni.

L’orazione pronunciata dall’abate è sostanzialmente conforme a quellapresente in A, sino al momento in cui l’imperatore chiede ed ottiene daPietro l’indulgenza. Gli ammonimenti finali dell’abate sul governo di Chiesaed Impero sono invece sostituiti da un commento dell’autore: « erat enimoptimus Imperator, ac catholicus, defensorque strenuus sanctae RomanaeEcclesiae. Quapropter cum Viro Dei de multis, quae ad coërcendam petu-lantiam pravorum facerent, sermonem habens, per privilegium 95 multa eilargitus est, ac corroboravit, & sic ad Germaniam tendit ».

L’impegno come defensor Ecclesie attribuito all’imperatore potrebbe farpensare che in questo passo l’autore si riferisca ad Ottone I, restauratoredel Sacro Romano Impero, o ad Ottone III, promotore della RenovatioImperii. Come già detto, però, il contesto in cui è inserita l’orazione avvalo-ra l’ipotesi che l’autore si rifaccia implicitamente al capostipite della dinastiaottoniana.

Degno di nota è il preambolo con cui viene introdotta la partedella Vita incentrata sui miracoli operati dal santo. Se in A l’autorepone l’accento sulla veridicità dei fatti che si accinge a narrare, rife-

95 Rispetto all’emissione di un privilegium per Pietro da parte dell’imperatore vedioltre, Parte terza § 3.

146 STEFANIA ZUCCHINI

ritigli da testimoni oculari (SP1, f. 15v), il redattore di C si soffermasulla natura stessa del miracolo come argomento di fede:

96 Mi riferisco in particolare ai passi in cui sono descritte le qualità spirituali diPietro e a quello in cui è presentato il miracolo dei pani, i quali in A sono arricchiti dicitazioni dalla Bibbia e da Gregorio Magno, del tutto assenti nella redazione C. Cfr.SP1, f. 13v e f. 15v; AA.SS., p. 115, coll. I-II.

Vita A (SP1, f. 15rv)

Operatus est autem per illumDominus miraculorum virtutes plu-rimas, quas illis referentibus, quiea[s] oculis viderunt novimus ...

Vita C (AA.SS., p. 116, col. I)

Petrus multis fulgebat miraculis,Deo operante in servo suo: quippequi dixit: sine me nihil potestis fa-cere, signa autem sunt argumentumfidei eorum, qui in eum credunt:nam ascensurus ad Patrem ait: signaeos, qui crediderint, haec sequentur ...

Avendo già inserito nella narrazione gli eventi miracolosi occorsi duran-te la riedificazione della chiesa, che invece in A principiano la serie deimiracoli attribuiti al santo, l’autore della Vita C inizia dai due ambientatisulle rive del Tevere, per narrare poi con la stessa successione di A tutti glialtri miracoli presenti nella versione tradizionale, con una fedeltà assoluta altesto originario. Anche i riferimenti ai Dialogi di Gregorio Magno, costantinella versione A ed eliminati completamente, insieme alle citazioni bibliche,nella prima parte della Vita C 96, sono qui mantenuti senza mutamenti disorta.

In sostanza, si riscontra nella Vita C una netta divisione in dueparti, di cui la prima è contraddistinta da un massiccio intervento dirielaborazione della redazione A, mentre la seconda ripercorre senzavarianti significative gli analoghi passi di A.

Tutto ciò considerato, si può affermare che, mentre la Vita B èun maquillage, una semplice riscrittura (sapiente quanto si voglia, manon innovativa nel merito) della Vita A, la Vita C ne è una rielabo-razione profonda, operata secondo criteri storiografici e modelli agio-grafici del tutto diversi da quelli della tradizione ricevuta. Essa, so-prattutto nella prima parte (la sezione relativa ai miracoli, si è visto,è piuttosto passiva), mantiene sì molti dei dati presenti nella redazio-ne originaria, ma compendiandoli, formulandoli in maniera diversa,corredandoli di altri riferimenti biblici; altri invece li elimina, e inparticolare rifiuta l’unica novità sostanziale introdotta dalla Vita B,

147LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

l’assegnazione di Pietro alla famiglia Vincioli; infine, introduce deiparticolari biografici e delle precisazioni storiche che non hanno al-cun riscontro nella Vita A (e perciò nella Vita B) ma ne hannotalvolta nelle varie epitomi e nei “medaglioni” eruditi intervenuti nelfrattempo, il che naturalmente complica le cose.

La Vita C va ascritta all’ambiente del monastero di S. Pietro ealla prima metà del Seicento, esattamente come la Vita B. Mentre iquattro “brogliacci” dell’archivio di S. Pietro sopra esaminati rivela-no però con grande precisione le fasi di elaborazione della Vita Bche perverrà ai Maurini, non è conservata in loco alcuna traccia delprocesso che porta, contemporaneamente, alla versione della Vita chetroverà sistemazione canonica negli Acta Sanctorum del 1723. D’al-tronde fa sufficiente prova della genesi “interna” di essa il mano-scritto copiato dal notaio Tassi per Alegambe, appartenente all’epocaall’archivio di S. Pietro. Dobbiamo allora porre la domanda: perché,com’è possibile che nello stesso ambiente e nello stesso periodo sisiano avuti due processi paralleli, non comunicanti di “rilettura” del-la legenda del santo fondatore?

Sia la Vita B che la Vita C sono il risultato di due distinte ope-razioni di “ammodernamento”. Entrambi i testi mostrano l’esigenzadi liberare il fondatore del monastero dal quel clima leggendario chesi respira nella versione originale della Vita: mentre però la Vita B siattiene in modo abbastanza fedele a quella originale, considerata quindiun modello ancora valido, necessitante solo di un po’ di labor limae,l’autore della Vita C compie una rielaborazione molto più consisten-te. I giudizi del Pien, benché errati, spiegano in un certo senso laratio che determinò il comportamento dell’anonimo. Nell’ottica dellostudioso bollandista una Vita che abbia una struttura chiara, che ri-sulti nitida nell’esposizione dei fatti, che dia alle vicende un inqua-dramento storico preciso è più attendibile di una Vita in cui sianoforniti scarsi e ambigui riferimenti al contesto storico e nella quale,al contrario, risulti molto evidente il modello agiografico di riferi-mento. Ed in effetti i frequenti richiami ai passi dell’Antico e delNuovo Testamento e soprattutto l’eco continua dei Dialogi di Grego-rio Magno danno l’impressione, a noi come agli eruditi seicenteschi,di una costruzione della Vita, per così dire, a tavolino. Quegli stessiriferimenti testamentari e gregoriani che erano serviti per avvalorarela santità di Pietro, venivano ora sentiti come intrusioni superflue,complicanti il dato storico apparentemente “ingenuo”, e perciò og-gettivo e affidabile. Cosicché paradossalmente Pien reputava uno scrit-

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to prodotto secondo criteri storiografici moderni più antico di untesto quattrocentesco.

Resta il fatto che sia i Maurini che i Bollandisti ricevettero iloro testi di riferimento dalla comunità e dalla Congregazione be-nedettina direttamente interessate, S. Pietro e Montecassino. Gli uninon poterono che recepire passivamente la Vita B; gli altri, il Pienin particolare, disponendo di tutti gli elementi di confronto, privile-giarono la Vita C. Pertanto le due edizioni del 1701 e del 1723costituiscono come la sanzione ufficiale di una divaricazione agio-grafica che aveva trovato espressione concreta all’interno stesso delmonastero perugino. Si può dire qualcosa di più? Forse, se si ri-corda che i Maurini ricevettero il manoscritto della Vita B non daS. Pietro ma da Erasmo Gattola priore di Montecassino, e in un’epo-ca molto inoltrata (anni 1698-1699), mentre entrambi i manoscrittipervenuti al Pien, risalenti a epoca precedente (uno, quello “delBaronio”, addirittura all’inizio del secolo), erano stati prodotti al-l’interno del monastero perugino ed erano passati per Roma. Chis-sà che la diversa storia “esterna” dei testimoni non significhi qual-cosa.

Parte terza

IL MIRAGGIO DEL SAN PIETRO “STORICO”:STORICI, ERUDITI E FILOLOGI ALLE PRESE CON L’AGIOGRAFIA

1. Nel Cinque-Seicento: tra legittimazione universale e storiografia locale

Nel secolo XVI gli abati e i monaci di S. Pietro, se pure nonlavorarono sulla Vita di s. Pietro abate ricevuta dai predecessori, siimpegnarono invece nella diffusione di essa nel mondo benedettinoed ecclesiastico; cosicché la figura del loro santo fuoriesce dal conte-sto domestico per trovare posto in importanti opere a stampa, veico-lo universale di conoscenza e consolidamento. Tali sono le storie ge-nerali e i santorali di ambito benedettino in cui è fatto un cenno piùo meno ampio a s. Pietro abate: la Historia monastica del fiorentinoPietro Calzolai (1561), il Lignum Vitae del fiammingo Arnold Wion(1595) e il Martirologium del maurino Hugo Ménard (1629). A que-

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sta triade va aggiunta un’opera non benedettina ma di quadro geo-grafico, il Catalogus Sanctorum Italiae del servita milanese FilippoFerrari (1613) 97.

Si tratta di compilazioni enciclopediche, all’interno delle qualiPietro abate – uno tra mille – non poteva essere oggetto di appro-fondita attenzione critica né di grande spazio; tuttavia, esse rivelanoatteggiamenti e opzioni strategiche, tali da incidere sulla legenda esulla figura stessa di s. Pietro, le quali dovevano ora confrontarsinon solo con l’affinamento degli strumenti critici, ma soprattuttocon le prudenze dell’istituzione cattolica. Dopo la grande crisi, dal1545 la Chiesa era impegnata nel Concilio di Trento. Una dellecontestazioni della storiografia protestante riguardava proprio le Vi-tae dei santi, piene com’erano di fatti incredibili e difficilmente di-mostrabili. Molta più attenzione occorreva quindi nel presentarle:nel suo piccolo, la Vita quattrocentesca di san Pietro abate – dallaquale necessariamente questi autori potevano attingere – andavasfrondata dei tratti più marcatamente “leggendari”, così come neandavano eliminate tutte le citazioni bibliche e gregoriane, dirette eindirette, tanto caratteristiche del testo originale, che avrebbero po-tuto far sospettare una costruzione sulla base di modelli agiograficie non di dati reali.

Calzolai 1561P. Calzolai, Historia monastica, Firenze, L. Torrentino, 1561.

Contiene un paragrafo dedicato a Santo Pietro Abbate(pp. 137-139).

Pietro Calzolai, monaco della Badia di Firenze (appartenente alla Con-gregazione di Montecassino), è citato dagli autori successivi anche comePietro da Buggiano oppure Pietro Ricordati. La sua opera ha chiari inten-

97 Su quest’ultimo vedi ora S. Spanò Martinelli, Il “Catalogus Sanctorum Italiae” diFilippo Ferrari, in Europa sacra. Raccolte agiografiche e identità politiche in Europa fraMedioevo ed Età moderna, a cura di S. Boesch Gajano e R. Michetti, Roma, Caroccieditore, 2002 (Università degli studi Roma Tre, Dipartimento di studi storici geograficiantropologici, Studi e ricerche, 7), pp. 135-145. Ma giova leggere, per un inquadramen-to della nostra materia, anche il saggio che segue: T. Caliò e R. Michetti, Un’agiografiaper l’Italia. Santi e identità territoriali, ivi, pp. 147-180.

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ti divulgativi e, si potrebbe dire, letterari; scritta in lingua italiana, è divisain cinque giornate dedicate ognuna ad un singolo tema: pontefici e predi-catori, uomini illustri per sangue, donne illustri, uomini illustri per dottri-na ed infine vite dei monaci che sono stati santi. Tra queste, e quindiall’interno della quinta ed ultima giornata, la vita di « santo Pietro Abba-te ». La fonte è naturalmente la Vita, come si capisce subito dall’esordio(nella quale peraltro essa è citata espressamente): « Nel tempo di questoimperadore [ha parlato poco prima di Ottone II], come si legge nellamedesima cronica, e nella sua vita fu Pietro santo monaco, il quale nac-que di nobili parenti, in un castello presso la città di Perugia sei migliadetto Agello », se non fosse per quell’accenno alla cronica: una sua fonteprivilegiata, la Cronica antica della Badia di Firenze, che non sono riuscitaa identificare, senza potere perciò capire che cosa essa dicesse di s. Pietroabate. Nel prosieguo gli avvenimenti sono presentati in maniera decisa-mente concisa. Tutte le qualità spirituali del santo, tanto care all’agiografo,sono taciute; unico breve accenno è fatto alla grande carità di Pietro: « esopra tutte le cose, mostrò eccessiva carità verso de’ poveri, dando loromolte limosine e sovvenendogli nelle lor necessità ». L’infanzia, che nellaVita già lasciava presagire l’eccezionalità dell’uomo, è qui liquidata in duerighe: « E diedesi da giovane alle lettere, nelle quali fece gran profitto, edi grado, in grado, pervenne alla dignità del sacerdotio ». Non una parolasul momento in cui si manifesta la sua vocazione. Il colloquio con l’impe-ratore Ottone (non è qui specificato di quale Ottone si tratti) è riportatoper sommi capi, e la reazione conclusiva dell’imperatore è diversa da quellanarrata nella Vita. Lo stesso dicasi per il viaggio a Roma in cui il vescovoOnesto dona a Pietro la chiesa di S. Pietro, « in sul monte Calvario, pocofuori delle mura della terra », consegnata insieme a tutte le sue entrate,quindi con un’implicita esenzione economica ma non giurisdizionale. Quan-to ai miracoli, Calzolai compie una cernita molto rigorosa, limitandosi ariportare solo quelli del mulino e della colonna. Infine – scrive Calzolai –« divenuto vecchio, [Pietro] passò al Signore à di dieci di luglio, sottol’imperio di esso Ottone secondo, ne gl’anni del parto di Maria Vergine967 ».

Sicuramente Calzolai non poteva dilungarsi più di tanto; ma gioca nellariduzione al minimo anche, mi sembra, un modello di santità che non èpiù quello dell’agiografo. Alla stessa motivazione, in fondo, risponde l’in-troduzione di elementi originali, come le precisazioni di ordine cronologi-co e l’attenzione quasi antiquaria ad alcuni particolari materiali: alludoalla colonna del miracolo, che l’autore specifica essere la seconda a sini-stra dell’entrata, ricordando anche la croce scolpitavi sopra a memoriadell’evento. Questo dettaglio contribuisce all’idea che Calzolai abbia sog-giornato nel monastero perugino.

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Wion 1595Lignum Vitae, ornamentum & decus Ecclesiae, continens tres po-steriores libros in quibus, totius sanctiss. religionis divi Benedicti,viri, sanctitate, ac principatu clari describuntur; & fructus qui pereos S. R. E. accesserunt, fusissimè explicantur, auctore A. Wion,Belga, Duacensi, monacho S. Benedicti Nigrorum, Congrega-tionis Casinensis, aliàs S. Iustinae de Padua ..., Venetiis, apudG. Angelerium, 1595.

Menziona tra i santi commemorati il 10 luglio san Pietro, pri-mo abate del monastero di S. Pietro di Perugia « in monteCalvario » (Secunda pars, Liber tertius, pp. 218-219).

Wion compila una sorta di catalogo di tutti i santi benedettini venera-ti in ogni singolo giorno dell’anno: al dì 10 luglio (« Sexto Idus Iulii »),fra le altre, è menzionata la festa di san Pietro: « Perusii in monte Calva-rio, sancti Petri, primi Abbatis eius loci, miraculorum gloria & Vite sanc-titate clarissimi ». Poche parole, non molto significative; senza con ciò sot-tovalutare l’importanza che riveste in sé la menzione di Pietro in un’operad’oltralpe. Questo fatto è da ricollegare agli stretti rapporti che il Wionebbe con il monastero: come ho già accennato (parte prima, § 5), erastato lui infatti nel 1592 (l’anno in cui le reliquie di Pietro furono sposta-te dall’altare maggiore alla sagrestia) ad ideare il soggetto, l’albero dellareligione di S. Benedetto, del quadro dipinto da Antonio Vassillachis ecollocato sopra la porta principale della chiesa; per adempiere a questoincarico il monaco fiammingo soggiornò sicuramente nel monastero peru-gino dove, stando alle sue stesse affermazioni, prese visione di una Vitamanoscritta e dell’archivio del monastero: « ex tabulario illius Monasterijet eius vita, quam ibidem Ms. vidimus ». L’altra sua fonte è il Calzolai(« Agit de eodem paucis Petrus à Bugiano in historia Monastica »). Nono-stante ciò, la specificazione cronologica è la seguente: (Petrus) « floruittempore Othonis I Imp. anno Domini 960 ».

Ferrari 1613-1625Catalogus Sanctorum Italiae in Menses duodecim distributus, authorePhilippo Ferrario Alexandrino Ord. Servorum Beatae Mariae Virgi-nis, Sacrae Theologiae magistro, & Mathematicarum in GymnasioTicinensi publico interprete, Mediolani, apud H. Bordonium, 1613.

Contiene un paragrafo dal titolo De S. Petro abbate perusino(pp. 421-422).

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Seconda edizione: Novus catalogus Sanctorum. Catalogus genera-lis sanctorum qui in Martyrologio Rom. non sunt, auctore Phi-lippo Ferrario Alexandrino Ord. Servorum Beatae Mariae Vir-ginis, Sacrae Theologiae professore, ac publico Mathematica-rum in Ticinensi Gymnasio interprete, Venetiae, apud I. Gueri-lium, 1625.

Tra i santi elencati al 10 luglio compare Perusiae S. Petrus ab-bas (p. 284).

Come il Wion, seppure in prospettiva diversa (lì tutti i santi benedetti-ni, qui tutti i santi d’Italia), Ferrari imposta l’opera secondo il calendariosantorale. In corrispondenza al 10 di luglio troviamo « s. Petrus abbas peru-sinus ». Ferrari cita come fonte la «vita M. S. quae apud Monachos S. PetriPerusiae servatur ».

L’epitome della Vita quattrocentesca di Pietro elaborata dal Ferrari moltosomiglia a quella del Calzolai. Egli tralascia i particolari più strettamente lega-ti all’ambiente perugino. Non ritiene ad esempio necessario specificare chePietro è nato ad Agello: l’indicazione generica in agro Perusino è bastevole adun pubblico che con tutta probabilità non conosce bene i luoghi in questio-ne. L’incontro con l’imperatore, sulla scorta forse dello stesso Calzolai, è pre-sentato nella sua versione ridotta e con la variante finale rispetto alla reazionedi Ottone II. Lo spirito critico del Ferrari è visibile in specie nel tentativo, cipare, di ricostruire un filo logico coerente, evidenziando i collegamenti tra unavvenimento e l’altro, impliciti, quando non addirittura assenti nella Vita: ciòsi riscontra ad esempio nella narrazione della concessione del vescovo Onestoa Pietro di ricostruire le chiesa e di istituirvi un cenobio; dopo di che Pietro– questa è una novità – è « factus monachus, deinde Abbas I eius coenobij aIoanne XIII Pont. Max ». La descrizione della vita di Petrus abbas si chiudecon la morte del santo avvenuta dopo una breve febbre il giorno dieci luglio(6 Idus Iulij). Per quanto riguarda la parte miracolistica, sono presenti, sep-pur in modo molto sintetico, quattro dei nove miracoli narrati nella Vita, trai quali quello del grande vento nel primo anniversario della morte.

Nel 1625, dodici anni dopo la pubblicazione del primo Catalogus, èedito un Novus catalogus Sanctorum. Stranamente, qui il Ferrari prescindedel tutto dalla sua precedente compilazione su Pietro abate e dal Calzolai,che lì gli faceva da riferimento: non c’è dubbio che qui il modello, al qualeFerrari si attiene piuttosto passivamente, sia Wion. Dimostrano ciò, nono-stante le apparenze, le fonti riportate in nota: « Ex Martyr. Monastic. &Tab. Ecclesiae Perusinae. Claruit sub Othone I circa 960. De eo Pet. Re-cord. in Hist. Monast. Diario S. & antiqua Monum. Coenobij S. Petri Pe-rusiae, ex quibus vitam decerpimus in Catal. nostro descriptam » (si con-fronti l’analoga nota in Wion). Che, per conseguenza, la collocazione crono-logia « Claruit sub Othone I circa 960 » fosse in contraddizione con quantoaffermato nella prima edizione, non faceva problema.

153LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

Ménard 1629Martirologium sanctorum ordinis divi Benedicti, duobus observa-tionum libris illustratum, in quibus continentur multorum sanc-torum vitae numquam hactenus editae; & praeclara alia antiqui-tatis monumenta, auctore H. Ménard, religioso benedictino Con-gregationis S. Mauri in Gallia, Parisiis, apud I. Germont & I.Billaine, 1629.

Menziona s. Pietro abate tra i santi commemorati il 10 luglio(p. 59).

Ménard, monaco della Congregazione di S. Mauro, elabora come il Wionun catalogo dei santi dell’Ordine benedettino strutturato per mesi. L’elencodei religiosi celebrati il 10 luglio (sexto idus Iulij) è pressoché identico aquello riportato dal monaco belga, con l’omissione dei particolari che nelLignum Vitae caratterizzavano i singoli santi 98. Tale maggior sinteticità è rav-visabile anche nel breve passo dedicato al fondatore del cenobio perugino,in cui troviamo « Perusij in monte Calvario, S. Petri primi eiusdem lociabbatis », con omissione di quanto segue in Wion: « miraculorum gloria &Vite sanctitate clarissimi ». Insomma nessuna originalità, stretta dipendenzadal Wion.

98 Per dare un’idea dei tagli operati dal Ménard rispetto al Wion riporto di seguitole due stesure del paragrafo relativo al 10 luglio (Sexto idus Iulij):

Wion, p. 218

In portu Gandavo, in Monte Blandi-nium dicto, sanctissimae virginis ChristiAmelbergae: cuius brachium confregit Ca-rolus Martellus Princeps, dum eam sibisponsam rapere volebat; quam planè coe-pisset, nisi pudicitia virginalis, de eo trium-phans, obstitisset.

Eodem die Laubaco coenobio, depo-sitio Sanctae Amelbergae viduae et Abba-tissae Malbodiensis, quae signis clara, miraveneratione fidelium colitur.

Laetiis, ex Fisciaco, natale sancti Et-tonis, Episcopi, & confessoris.

Perusii in monte Calvario, sancti Pe-tri, primi Abbatis eius loci, miraculorumgloria & Vite sanctitate clarissimi.

In coenobio Cluniacensi, Santi Vulda-rici monachi, discipuli sancti Hugonis Ab-batis, qui in confessionibus audiendis, etmorbis animae curandis, mirabiliter enitur».

Ménard, p. 59

Apud Gandauum, sanctae Amaebergaevirginis, cuius brachium confregit CarolusMartellus, dum eam sibi sponsam raperevolebat.

Eodem die, Labauco coenobio, depo-sitio sanctae Amalbergae viduae, & abba-tissae Malbodiensis.

Laetiis ex Filciaco, natalis S. Ettonisepiscopi & confessoris.

Perusij in monte Calvario, S. Petriprimi eiusdem loci abbatis.

In coenobio Cluniacensi, depositio S.Vildarici, discipuli S. Hugonis abbatis. Ro-mae ordinatio S. Agathonis papae».

154 STEFANIA ZUCCHINI

Il solido inserimento di Pietro abate nel repertorio agiograficoitaliano ed europeo, specie ma non solo benedettino, non potevache attuarsi riducendo al minimo l’interesse specifico alla figuradel santo e alla Vita come fonte storica. La tendenza esattamentecontraria si aveva, nello stesso periodo (tra la fine del XVI e l’ini-zio del XVII secolo), al livello locale, cittadino. Gli eruditi perugi-ni che per primi misero mano a una storia “moderna” della cittàdovettero misurarsi criticamente, nella misura consentita dalla loropersonale qualità e dai metodi d’investigazione storica allora do-minanti, con i dati risultanti dalla legenda. Mi riferisco in partico-lare a Pompeo Pellini (1523-1594) ed a Cesare Crispolti (1563-1608).

Scritta fra il 1569 e il 1594, dopo un lungo lavoro di raccoltadel materiale, nel quale l’autore fu favorito largamente dalle autori-tà cittadine, la monumentale e in qualche modo ufficiale Historiadi Perugia del Pellini girò a lungo tra eredi e stampatori, primadella definitiva edizione veneziana del 1664, ciò che non impedìl’utilizzazione di essa (almeno della sezione corrispondente al primovolume della futura edizione, che arriva al 1375) da parte degliaccademici perugini di fine secolo 99. Il canonico Cesare Crispoltiscrisse tra il 1605 e il 1606, dopo una lunga serie di stesure prov-visorie, L’antica et augusta città di Perugia; anche questa rimastamanoscritta, se ne appropriò tempo dopo l’omonimo nipote, CesareCrispolti iunior, il quale, introducendovi varie modifiche, la diedealle stampe col titolo di Perugia Augusta nel 1648 100. Pur nella con-sapevolezza delle complicazioni e dei possibili equivoci che tali plu-ralità di fasi possono comportare, è giocoforza rifarsi alle due edi-zioni.

99 Per la storia, tuttora non chiarita in tutti i particolari, della stampa della Historiadel Pellini si vedano L. Faina, Introduzione a P. Pellini, Dell’Historia di Perugia. Parteterza, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1970 (Fonti per la Storiadell’Umbria, 8), pp. VII-XXXVI; G. Contini, A proposito della stampa a Venezia del-l’« Historia » della città di Perugia di Pompeo Pellini, in “Bollettino della Deputazione diStoria Patria per l’Umbria”, 69 (1972), pp. 45-88. Importanti precisazioni nell’opera cita-ta alla nota seguente, pp. 26-27.

100 Esauriente disamina in L. Teza, Cesare Crispolti, ‘sacerdote’ di Perugia, introdu-zione alla sua ed. « Raccolta delle cose segnalate » di Cesare Crispolti. La più antica guidadi Perugia (1597), Firenze, Leo S. Olschki, 2001 (Accademia delle Arti del Disegno,Monografie, 6), pp. 66-75.

155LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

Pellini 1664 [ma 1594]P. Pellini, Dell’Historia di Perugia, ed. postuma, 2 voll., Vene-tia, G. G. Hertz, 1664; rist. anast. Bologna, A. Forni, 1968 e1988 (Historiae urbium et regionum Italiae rariores, 15).

Sotto l’anno 1436 è descritto il ritrovamento delle reliquie disan Pietro abate, che offre l’occasione per un breve excursussul santo (II, pp. 399-401).

Basti riportare l’esordio della digressione pelliniana su San Pietro Abbatead an. 1436 101 per rendersi conto dello stile e metodo dell’annalista: « Que-sto San Pietro Abbate fù, come dicono, Perugino, che secondo un’Autore,che hà lasciato con brevità scritto la vita sua, che ancor hoggi scritta àpenna si legge, fù di stirpe nobile, e perché egli dice, che fù da AgelloCastello di Perugia, non più di sette miglia dalla Città lontano, non poten-do stare, che fosse d’Agello, e di Prosapia, come egli dice, nobile; io giudi-co, che l’Autore habbia voluto dire, ch’ei fosse della famiglia de’ i nobilid’Agello, hoggi estinta, ch’era trà le nobili della Città ».

È evidente come l’autore non si limiti a riportare le notizie in modoacritico: il commento, laddove soprattutto la fonte “sbaglia”, si impone. Cosìavviene anche alla fine del breve ritratto, dove Pellini corregge, con unalunga digressione cronologica, « coloro che hanno aggiunto in fine della suavita », « ingannandosi » e « pigliando errore », un riferimento all’anno 940 eall’imperatore Ottone I anziché II.

Ma non tutte le “notizie” della Vita meritano l’acuzie del Pellini. Eglinon si sofferma più di tanto sugli unici due episodi biografici riportati, chesono (come per Calzolai: ma non credo a una relazione) il colloquio conOttone II e la riedificazione della chiesa di S. Pietro, quest’ultima senzaalcun accenno né alla donazione da parte di Onesto (citato solo come ve-scovo di Perugia nell’epoca in cui avvennero i “fatti”), né al viaggio a Roma.Soprattutto, Pellini dedica grande attenzione ai miracoli del santo. In veritàracconta soltanto quelli del cibo, dell’operario e, naturalmente, della colon-na; ma lo fa non in breve, bensì, almeno per due miracoli, traducendopuntualmente la Vita e riportandone tutti i dettagli; l’ordine della narrazio-ne stesso – per i tre miracoli – è il medesimo della Vita. Che si tratti diuna selezione operata scientemente dall’autore è chiaro dalle sue stesse pa-role: « Si leggono molti altri miracoli di questo glorioso Santo, ch’io pernon esser tedioso, gli lascio, che sono tutti nella sua vita distintamente de-scritti, e trà le scritture di quei Reverendi Monachi di S. Pietro possonovedersi, che con molta diligenza li conservano ».

101 L’autore indica la data in cui sono accadute le vicende di cui sta parlando,ponendo a margine della pagina sia il millesimo che l’anno a partire dalla fondazionedella città, con un chiaro richiamo alla tradizione storiografica romana.

156 STEFANIA ZUCCHINI

È scontato dunque che Pellini si rifaccia alla versione quattrocentescadella Vita, da lui indicata altrove come la « vita scritta a penna» conservatadai « Monachi di S. Pietro »; benché quel riferimento a « coloro che hannoaggiunto in fine della sua vita » la data 940 e il nome dell’imperatore Otto-ne I – elementi recepiti, come si è visto, anche dal Wion – faccia sospetta-re, poiché la Vita tràdita da SP1 non presenta alla fine alcunché di simile,che esistesse alla fine del Cinquecento, e sia oggi perduto, un manoscrittoconforme della Vita in cui fosse stato aggiunto un commento finale conprecisazioni cronologiche.

Crispolti 1648 [ma 1606]C. Crispolti, Perugia Augusta, Perugia, Eredi di P. Tomassi eS. Zecchini, 1648; rist. anast. Bologna, A. Forni, 1974 (Histo-riae urbium et regionum Italiae rariores, 97. Nuova Serie XIII).

Nel capitolo: Di S. Pietro, Monastero de’ Monaci Cassinensi(Libro I, parte seconda, cap. 17: pp. 87-93) è narrata brevemen-te la vita di «Pietro Perugino Monaco Cassinense» (pp. 87-89).

Il profilo storico di Perugia è impostato dal Crispolti secondo uno sche-ma topografico, attraverso tante monografie sui luoghi e monumenti dellacittà. Nell’ambito della Parte seconda, la quale tratta dei vari istituti religio-si cittadini, la storia dell’abbazia benedettina di S. Pietro segue quelle dellacattedrale di S. Lorenzo e delle chiese di S. Ercolano e S. Costanzo. Datele preliminari informazioni sulla chiesa, l’autore passa a descrivere con pre-cisione il luogo in cui sorge il complesso religioso: « e leggesi nella vita diS. Pietro Abbate, che ’l luogo, ove ella vedesi eretta con il suo Monastero,chiamavasi per prima Monte Calvario, & in altre memorie a penna trovasi,che si chiamava Caprario, & con altri nomi ». L’espressione « altre memoriea penna » allude alle antiche carte dell’archivio monastico. Lo stesso dicasiper l’esposizione dei primordi dell’ente monastico, nella quale alla testimo-nianza della Vita (« al tempo di Ottone Secondo Imperadore, un SacerdotePerugino, chiaro per santità & miracoli, chiamato Pietro de’ Nobili di Agel-lo, Castello di Perugia, fattosi per divino volere Monaco, trattò strettamentecon Honesto, Vescovo all’hora di Perugia ... ») sono aggiunti particolari pa-trimoniali e giuridici desunti chiaramente da fonti di tipo documentario.Queste, a loro volta, diventano esclusive là dove Crispolti discorre dei con-trasti col vescovo Conone e del giudicato presieduto da Silvestro II, attesta-to dalla notitia sinodale del 3 dicembre 1002 102. Solo che l’abate allora in

102 Cfr. Carte S.P., doc. I, pp. 1-4.

157LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

carica, il cui nome non è precisato nel documento, viene dal Crispolti senz’al-tro identificato col fondatore stesso, il che gli permette di portare a terminela descrizione della figura di Pietro con un accenno alla venerazione di cuigodeva presso i Perugini tutti e agli interventi miracolosi operati sia in vitache post mortem: e qui sono trascritti i versi posti sulla colonna della chiesaa memoria del miracolo lì avvenuto.

La struttura dell’opera, per monografie tematiche, favorisce la mescolan-za tra diversi tipi di fonti (salvo non citarle o citarle in maniera generica),che non è affatto prerogativa esclusiva del Crispolti: tutte le conosceva ilPellini, costretto però dall’andamento annalistico a utilizzarne una o alcuneper volta. D’altra parte, proprio l’assenza di una griglia cronotattica fa in-correre il Crispolti in frequenti sviste o errori. Quando, ad esempio, chiusaquesta parte introduttiva sulla fondazione del cenobio, passa ad elencare aduno ad uno i privilegi pontifici ed imperiali emanati per l’ente (prova ulte-riore della sua conoscenza diretta dei documenti d’archivio), sbaglia i nu-merali dei pontefici e degli imperatori (Gregorio VI per Gregorio V, Enrico Iper Enrico II), oltre a datare il privilegio di Corrado II al 1207 anziché al1027 103 – ma questo sarà puro errore di stampa, dovuto alla disattenzionedi Cesare Crispolti iunior. Cosicché non meraviglia che, se le gesta dell’aba-te sono attribuite al tempo dell’imperatore Ottone II, il papa di nome Gio-vanni coinvolto nei fatti, giusta la legenda, sia da lui identificato con Gio-vanni XII, che all’epoca era già morto (955-964), invece che con Giovan-ni XIII.

2. Nel Sei-Settecento: san Pietro “Vincioli” negli storici di Perugia (e inLudovico Iacobilli)

L’ultimo secolo della vicenda agiografica di san Pietro abate (al-l’incirca dal terzo del XVII al terzo del XVIII secolo) è piuttostocomplesso, poiché tutti i fili preesistenti si intrecciano su molteplicipiani. Si è esaminata l’intensa attività di riscrittura, diffusione ed edi-zione della Vita, che si svolse in funzione non solo dell’autocoscienzamonastica ma del circuito largo della comunicazione scientifica – e siconcluse infatti con l’inserimento di essa nelle grandi opere dellafilologia agiografica sei-settecentesca. Proseguiva su queste nuove basi,ricevendone stimoli inediti e insieme fuorvianti (alludo alla questione“Vincioli”), il lavoro di contestualizzazione dell’operato del santo nel-la storia cittadina, da parte degli eruditi perugini, più o meno attrez-zati. Quasi in mezzo alle due dimensioni si mosse l’esperienza pecu-liare di Ludovico Iacobilli, partecipe in uguale misura delle istanze

103 Ivi, doc. III, pp. 9-13.

158 STEFANIA ZUCCHINI

erudite locali e, almeno nelle intenzioni, della scienza agiograficaeuropea.

Nelle molte opere in cui, in un modo o nell’altro, si affrontòallora – a Perugia e nell’Umbria – la dimensione storica di san Pie-tro abate è più che mai arduo reperire le linee, che so, di unaprogressione rettilinea, oppure ben definiti rapporti, convergenze, cir-colarità. Le innovazioni apportate alla Vita, combinate con le inter-pretazioni personali degli autori, determinano una congerie inestrica-bile di date e personaggi di cui è difficile venire a capo. Non èpossibile stabilire, in particolare, quanto sia frutto dei singoli (si pen-si ad Alessi, Ciatti, Iacobilli) e quanto invece risalga alle “nuove”versioni della Vita, che contemporaneamente – come si è visto –seguivano percorsi divergenti, subendo e sollecitando logiche anch’es-se non coerenti. La nostra trattazione procederà quindi necessaria-mente per analisi singole, secondo l’ordine cronologico di uscita ocomposizione delle diverse opere.

Prima di procedere, si ricorda che manca a formare il quadrodella coeva cultura cittadina un tassello importante ma non recupera-bile: il già menzionato poemetto latino Perugia servata sive Petri Aba-tis cum Ottone II Imperatore congressus di Giovan Battista Lauri,stampato nel 1611, del quale a nostra conoscenza non si conservaalcun esemplare.

Alessi 1635C. Alexius, Elogia civium Perusinorum qui patriam, rerum, pace,ac bello gestarum gloria illustrarunt, Centuria Prima, Fulginiae,apud A. Alterium, 1635.

Uno degli elogi è dedicato a « S. Petrus de Vinciolis Abbas »(pp. 186-187).

Il titolo dell’opera già ci informa sul suo carattere e la sua impostazio-ne: si tratta di elogi dei Perugini che con le loro gesta hanno dato lustroalla città. Non meraviglia quindi la propensione di Alessi per l’aspetto piùpropriamente legato alla città della figura di Pietro abate: la sua apparte-nenza alla famiglia dei Vincioli. Pietro, nato dalla stirpe dei Nobiles deAgello, si reca fanciullo in un monastero cluniacense, dove professa gliinstituta di s. Benedetto, e si dedica alla contemplazione delle cose divinee della sacra dottrina. Nel 980 chiede ed ottiene la possibilità di riedifica-re la basilica di S. Pietro. L’ornamentazione della nuova chiesa è operata

159LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

a spese della Familia Agellorum; in questa occasione il tempio è fornitoanche di colonne di marmo. A tale proposito, Alessi inserisce il miracolodella colonna. Morto nell’anno 1007, san Pietro Vincioli è iscritto nei sacrifasti.

Alessi cita in nota come fonti Ferrari, Ricordati 104, Iacobilli e manu-scripta Ecclesiarum S. Laurentij & S. Petri huius Civitatis. Rispetto a questiultimi, ho già espresso le mie considerazioni a proposito dell’ipotetica esi-stenza di testimonianze agiografiche su Pietro abate nei secoli XI e XIIed a quelle rimando (Parte prima, § 2); quanto a Ferrari e Ricordati, c’èda dire che nessuno dei due riporta alcuno dei particolari che ho sottoli-neato. L’unico autore a fornire la serie di nuove notizie che troviamo pre-senti in Alessi è Ludovico Iacobilli: a costui – io ritengo – si deve lamaggior parte delle innovazioni presenti nell’opera di Alessi (escludereil’insistenza sulla decorazione della chiesa da parte dei Vincioli, ricollegabi-le alla volontà di Alessi di magnificare l’origine del monastero perugino,orgoglio e onore per la città tutta).

Ciatti 1638F. Ciatti, Delle memorie annali et istoriche delle cose di Perugia,2 voll., Perugia, Angelo Bartoli (Stampa Episcopale), 1638.

Nel II volume: Perugia Pontificia, ad aa. 969-977, vari brani sonodedicati a « Pietro benedettino dei nobili di Agello » (pp. 156 eseguenti).

L’opera del Ciatti è una storia universale in cui, per il periodo medieva-le, è concesso ampio spazio alla dialettica tra papato ed impero. L’autorefornisce infatti un’indicazione precisa delle successioni dei papi e degli im-peratori, delle azioni politiche e militari intraprese dagli uni e dagli altri.Perugia, vero fulcro dell’opera, è inserita quindi in un contesto più genera-le, sebbene non vengano trascurate le notizie relative alle magistrature co-munali e sia posta molta attenzione alla successione dei vescovi. A latodella pagina, l’autore riporta molto spesso le sue fonti e sempre l’anno pre-ciso di cui sta parlando 105. In corrispondenza dell’anno 969 pone la fonda-zione del monastero da parte di « Pietro benedettino dei nobili di Agello »;allo stesso anno fa risalire l’incontro di Pietro con l’imperatore Ottone I. Aproposito della consacrazione a pontefice di Benedetto VII, attribuita erro-

104 Alias Pietro Calzolai.105 L’indicazione cronologica è data tramite il millesimo ed in base agli anni dalla

fondazione della città.

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neamente all’anno 973 anziché al 974, Ciatti ricorda che nel tempo di que-sto papa « visse, fiorì, e santamente morì in Perugia il Santo Abbate PietroMonaco di cui sopra si parlò: questi nato della nobile famiglia d’Agello eeducato con santi costumi fece mirabile riuscita nella bontà e nelle dottri-ne ». Al 976 è assegnata la donazione della chiesa di S. Pietro al monacoda parte del presule Onesto. Lo stesso anno, Giovanni XIII, il cui pontifi-cato è quindi protratto dal Ciatti ben oltre la sua morte, consacra Pietroquale primo abate del novello cenobio, che, stando alle stesse parole del-l’autore, sarebbe sorto sette anni prima, nel 969. In corrispondenza dell’an-no 977, sono narrati il miracolo del mulino, quello della colonna ed infinela morte avvenuta il giorno 10 luglio. L’intervento sul fondatore di san Pie-tro si conclude con la menzione della traslazione realizzata nel 1609 pervolere del vescovo Comitoli.

Ciatti cita come sua fonte Pietro Calzolai che però, se può aver ispiratol’autore perugino a livello di contenuto (in effetti sono qui presenti le soleparti della Vita di Pietro riportate dal Calzolai), non gli ha indubbiamentesuggerito né gli anni in cui si sarebbero svolti i fatti narrati, né l’identifica-zione dell’imperatore Ottone con Ottone I e del pontefice Giovanni conGiovanni XIII. La successione cronologica degli avvenimenti, in apparenzacontraddistinta da estrema esattezza, nasconde una totale confusione di fon-do: da un lato, infatti, Ciatti afferma che Pietro visse sotto il pontificato diBenedetto VII e pone congruentemente come data di morte il 977; dall’al-tro, sostiene che fu Giovanni XIII e non Benedetto VII a nominare nel976 il monaco primo abate di S. Pietro.

Poiché altre volte il Ciatti compie chiari errori di interpretazione neltentativo di identificare personaggi storici solo accennati dalle fonti 106, nonè possibile stabilire con sicurezza se le imprecisioni qui presenti sianodeterminate dalla erronea lettura delle pagine del Calzolai oppure dallaconsultazione di più fonti, dalle quali trae notizie che mal si accordanol’un l’altra.

106 Un esempio di ciò, sempre a proposito del monastero di S. Pietro, è offertodal commento dell’autore ad una lettera inviata da Pier Damiani all’amico peruginoRaniero Ranieri. Il santo monaco, giustificando il suo desiderio di rinunciare al vesco-vato, porta l’esempio dell’abate di S. Pietro di Perugia che prima di lui ha chiesto edottenuto dal sommo pontefice di poter abbandonare la guida delle anime per ritirarsiin una vita di contemplazione. Sappiamo noi oggi che Pier Damiani si riferiva inquell’occasione a Bonizone che, dopo ventisette anni di governo, aveva chiesto adAlessandro II di poter essere esonerato dal suo incarico. Non essendo però specificatonella lettera il nome dell’abate in questione Ciatti ipotizza che si potesse trattare di« quello Stefano, il cui corpo con titolo di Santo si adora nell’urna medesima diS. Pietro ». Cfr. S. Petri Damiani Epistolarum Libri Octo, in Patrologiae Cursus Comple-tus ..., accurante J. P. Migne, [Parisiis], apud J. P. Migne editorem, vol. 144, 1853, coll.413-414; Ciatti, Delle memorie annali et istoriche delle cose di Perugia, Perugia Pontifi-cia, p. 186.

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Iacobilli 1647L. Iacobilli, Vite de’ santi e beati dell’Umbria, 3 voll., Fulgi-niae, apud A. Alterij, 1647, 1656, 1661 (rist. anast. Bologna,A. Forni, 1971).

L’opera contiene una « Vita di S. Pietro Vincioli da Perugia,Abbate cluniacense » (I, pp. 697-700).

Iacobilli pubblica il primo volume della sua opera agiografica nel 1647:tre anni prima era stato dato alle stampe il tomo di gennaio degli ActaSanctorum a cura di J. Bolland. Fra i contatti dello Iacobilli compaionoDaniel Papebroch, Gottifried Henschen 107, Ferdinando Ughelli, che edita lasezione dell’Italia sacra sull’Umbria proprio nel 1647, e Costantino Caetani,custode della Biblioteca Vaticana ed addetto agli Archivi Pontifici 108. L’am-biente in cui si muove l’erudito folignate è quindi quanto mai colto edinternazionale e la sua opera è citata negli Acta Sanctorum dei Bollandisticome in quelli di Mabillon. Questo è, fra gli altri, uno dei motivi che miinduce a considerare il lavoro dello Iacobilli con particolare attenzione: essoè infatti importante sia per le fonti di cui si avvale, sia perché esso stesso èusato come fonte in altri scritti.

La Vita di Pietro, narrata in corrispondenza del 10 luglio, ha due fon-damentali caratteristiche: da un lato riporta i particolari biografici di cui siè arricchita la leggenda nel primo trentennio del secolo, accentuandoli; dal-l’altro comprende innovazioni attribuibili alla fantasia dell’autore che tendea romanzare quanto riferito dalle sue fonti. Questo l’incipit della Vita iaco-billiana: « Nacque S. Pietro in Agello, Castello distante sei miglia da Peru-gia, di parenti nobili, cognominati de’ nobili d’Agello, e poi li nobili diS. Valentino, & ultimamente de’ Vincioli di Perugia, nella quale Città era-no, e sono nobili Cittadini ». A fianco del testo, in corrispondenza di que-sto passo, Iacobilli scrive: Monum. ant. Perus.; Boton. An. 1335 in vita B. F.Rinaldatii Ord. Predicat. Ci si attenderebbe quindi che le notizie in questio-ne siano attestate da queste due fonti. A parte la difficoltà di interpretarel’abbreviazione Monum. ant. Perus., in quanto non è chiaro a quale/i Monu-mentum/a si riferisca l’autore, controllando gli Annali del Bottonio, si sco-

107 I due gesuiti, fra i primi collaboratori di Bolland nell’impresa degli Acta Sancto-rum, furono ospitati da Iacobilli nella sua residenza folignate, in occasione del loro viag-gio in Italia (1660-62). Cfr. G. Metelli, Verso una biografia critica di Ludovico Jacobilli.Fortuna e declino del casato, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Um-bria”, 99/1 (2002), pp. 185-290: p. 210, nota 91.

108 R. Michetti, « Ventimila corpi di santi»: la storia agiografica di Ludovico Jacobilli,in Erudizione e devozione. Le Raccolte di Vite di santi in età moderna e contemporanea,a cura di G. Luongo, Roma, Viella, 2000, pp. 73-158: p. 90.

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pre che in corrispondenza dell’anno 1335 questi non contengono alcun cen-no all’abate di S. Pietro. Già da questo primo periodo si intuisce che leindicazioni bibliografiche o documentarie fornite dall’autore in nota nonsuffragano affatto il contenuto espresso in quel particolare punto del testo.

Il secondo blocco di fonti presentate dall’autore comprende quei Lectio-naria antiqua su cui mi sono molto soffermata in merito all’ipotesi che la piùantica versione della Vita risalga al secolo XI (Parte prima, § 2). Essi sonocitati a proposito della conversione del giovane Pietro che, entrato in chiesa eudite le parole del Vangelo « Tollite iugum meum super vos; & discite a mequia mitis sum & humilis corde 109 [...] tocco dallo Spirito Santo abbandonòogni cosa, si trasferì ad un Monastero de’ Monaci Cluniacensi dell’Ordine diS. Benedetto, nel quale si viveva con grand’osservanza: pregò l’Abbate a ve-stirlo di quel suo abito; e ne fù gratiato, con consolatione, & edificatione diquei buoni monaci». Poiché nessun antico documento rende lecita l’ipotesiche il monastero di S. Pietro appartenesse alla Congregazione di Cluny, riten-go senza dubbio che questo dettaglio, come quello della chiesa, derivi dall’ec-cessiva leggerezza con cui il nostro autore “interpreta” le sue fonti o, ancorpiù probabilmente, da un uso improprio del termine, con il quale è intesogenericamente il monachesimo benedettino 110. Poco oltre vedremo infatti comein maniera altrettanto imprecisa l’autore adoperi il vocabolo Monastero.

Leggermente diversa dalla versione tradizionale e, al solito, molto piùricca di particolari, è la donazione della chiesa di S. Pietro da parte delvescovo Onesto: « Divulgatasi la fama della sua santità, Onesto Vescovo diPerugia, havendo levato li Canonici Regolari di S. Agostino dal Monasterodi S. Pietro Apostolo, fuori di Perugia, ch’era la Catedrale della Città, etrasmessoli dentro nella Chiesa di S. Lorenzo, che haveva fatta nuova Cate-drale, donò l’anno 966 di Nostro Signore quel Monastero di S. Pietro conuna parte dell’entrate di esso, a questo benedetto Monaco, & a tutto l’Or-dine Cluniacense ». Innanzi tutto è evidente che Iacobilli intende per « Mo-nastero di S. Pietro Apostolo » la chiesa di S. Pietro, prima che divenissemonastero. Questo uso improprio del termine, che non deve quindi essereinteso con il suo vero significato ma in modo generico come luogo religio-so, si ripete poche righe sotto 111, ed è come detto da porre sullo stesso

109 In corsivo nel testo.110 Anche Leccisotti e Tabarelli, editori delle carte dell’Abbazia, considerano questa

affermazione infondata e forse frutto di una generalizzazione: « Del resto questa qualificadi cluniacense, come quella di cassinese, non è spesso che generica e serve soltanto adindicare i monaci cosidetti neri, precedenti a S. Giustina e ad altre congregazioni recen-ti ». Cfr. Carte S.P., p. 3, nota 2.

111 « Et acciò il tutto seguisse con tutti gli requisiti necessarii, lo mandò a Roma aPapa Giovanni 13. il quale informato della sua santità, e dottrina, consituì quel Mona-stero Badia ». Come si vede anche Iacobilli identifica il pontefice che ha consacratoPietro con Giovanni XIII. A lato del testo pone in nota Pellinus in hist. Perus. ma,nell’excursus su Pietro abate del Pellini, è taciuto completamente l’episodio del viaggio aRoma. Cfr. Pellini, Dell’Historia di Perugia, II, pp. 399-401.

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piano dell’aggettivo cluniacense con cui vengono qualificati Pietro e il suocenobio. Altri particolari, invece, come la presenza in S. Pietro dei CanoniciRegolari di S. Agostino e il 966 come anno di donazione della chiesa, nonhanno né precedenti né una qualche plausibile spiegazione.

Leggendo attentamente, però, si nota come non siano solo questi ele-menti a non combaciare con la versione tradizionale della Vita, ma l’interoracconto della donazione. Qui infatti è Onesto che, avuta notizia della san-tità dell’uomo, spontaneamente dona la chiesa a Pietro nel momento in cuidecide di spostare la Cattedrale a S. Lorenzo, mentre in tutte le versionidella Vita (A, B, C) è Pietro a chiedere di poter restaurare la chiesa già inrovina ed inizialmente trova un vescovo non benevolo nei suoi confronti acausa di voci diffamanti diffuse da chierici invidiosi. In Iacobilli è il mo-mento della ricostruzione a seguire quello della donazione e non viceversa:« Ritornato S. Pietro a Perugia con alcuni Monaci della Religione, che pro-fessava, andò ad habitare con essi nel detto Monastero [...] E perché erastato alcuni anni dishabitato dai detti Canonici, era molto guasto, e minac-ciava rovina; però si pose a restaurare il Monastero, e la Chiesa, e quasiedificarla di nuovo con l’aiuto di molte persone divote ». Anche in questocaso, la nota posta a lato, indicante il Calzolai come fonte, è del tuttofuorviante.

In merito alla riedificazione della chiesa, Iacobilli presenta i miracolioccorsi: quello della colonna 112 con tanto di descrizione dell’iscrizione po-stavi in seguito, a memoria dell’evento, e quello dei pani portati miracolosa-mente all’abbazia. Anche in questa occasione, le aggiunte dell’autore, sep-pur non snaturino il racconto, senza dubbio danno ad esso un’improntapersonale. Si consideri ad esempio il modo in cui Iacobilli conclude il di-scorso tenuto dall’abate agli operai: « se Iddio con il solo cenno governa iltutto, e per quarant’anni nutrì il suo Popolo nel Deserto; come noi potre-mo dubitare, che non sia per cibar quelli, che ad honor suo, e per augu-mento del suo culto, edificano sacri Tempj, ove si hanno da far sacrificij adhonor suo, e per beneficio del suo Popolo? ».

Assai singolare anche la versione dell’episodio del cellario disubbidiente:Questi, come nella versione tradizionale, nega ai poveri il pane sostenendoche non ve ne è più nel monastero. Il santo padre allora, sperando nell’aiutodivino, gli ordina di tornare a cercare. Il cellario trova quindi cinque pani,che il santo benedice e poi getta ai cani: « ma essi non volendoli mangiare,né pur toccare, per riverenza, della detta benedittione; anzi l’adorarono:ond’egli li divise ai Poveri; e li fece partir consolati ». Il primo dato evidenteè la gran confusione che contraddistingue la narrazione: l’abate getta ai canidei pani benedetti e concessi da Dio in modo miracoloso. Risulta subito

112 È questo l’unico caso in cui l’opera citata a lato del testo, il Catalogus Sancto-rum del Ferrari, contiene la stessa notizia riportata dallo Iacobilli. Vero è però che ilmiracolo della colonna viene riportato da tutte le agiografie dell’abate. Cfr. Ferrari, Cata-logus Sanctorum, p. 422.

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chiaro, poi, che l’impostazione del racconto deriva in primo luogo dalla vo-lontà di celare la malafede del cellario, il quale, nella versione tradizionaledel miracolo (SP1, f. 16v), mente per avarizia. Inoltre, la benedizione deipani fa pensare ad una contaminazione operata dallo Iacobilli tra questo e ilmiracolo del comes, in cui l’abate benedice i pani pensando che questi sianodestinati alla mensa del conte, mentre poi a sua insaputa vengono gettati aicani per dimostrare come anche le bestie, non toccando un cibo su cui inaltri momenti si getterebbero, riconoscono la santità del vir Dei (Ibidem).

L’incontro dell’abate con Ottone II è situato nel 967 e presenta dettaglirelativi all’imperatore non presenti nella Vita del santo: è specificato infattiche Ottone II ha 13 anni quando passa con il suo esercito per Perugia, alfine di giustificare la sua noncuranza delle malefatte dell’esercito. Siamoquindi di fronte ad uno fra i tanti esempi dell’interpretazione molto perso-nale da parte del folignate degli episodi tramandati dalla leggenda.

Iniziando a narrare l’incontro fra l’abate e l’imperatore, Iacobilli cita amargine l’opera del Ciatti (Ciactus ubi supra), nella quale è riportato sì que-sto avvenimento, ma non con tutti i dettagli aggiunti dal folignate. Questacitazione ha attirato la mia attenzione per un motivo che esula dagli ele-menti contenutistici: è chiaro da tutti i passi analizzati fin ora che quasi mainelle opere citate in nota sono rintracciabili le notizie fornite dallo Iacobilli.Anzi, sembrerebbe che egli ponga queste annotazioni senza un preciso rife-rimento al testo, come una sorta di bibliografia generale. Il fatto però cheCiatti viene citato più di una volta, così come anche Alessi, fa pensare chel’autore non rimandi alle varie opere in modo generico, ma lo faccia in unamaniera che vorrebbe essere puntuale, senza riuscirvi. Rimane da chiedersise gli errori dell’autore siano involontari (Iacobilli potrebbe aver citato amemoria e per questo si potrebbe essere ingannato) oppure determinatidalla necessità di suffragare scorrettamente le proprie congetture facendolesembrare notizie desunte da altri autori. Questa seconda spiegazione apparela più convincente.

Anche il miracolo del vaso d’elettuario è narrato con una certa dose dioriginalità ed apparentemente sulla base di una fonte quanto mai autorevole,un privilegio dell’anno 1001 conservato nel monastero di S. Pietro. Il vescovoConone avrebbe dato l’elettuario all’abate con il compito di conservarlo. Usa-tolo tutto per i poveri, quest’ultimo sarebbe ricorso con una preghiera a Diosupplicandolo di consolare il presule contristato per aver trovato il vaso vuo-to. Ricomparso miracolosamente l’unguento, Conone avrebbe concesso « l’An-no mille, & uno di N. Signore molte gratie, e beni al suo Monastero ». Se sipotesse credere che l’autore abbia avuto modo di consultare un privilegio del1001 emanato per S. Pietro, significherebbe che nel Seicento era ancora con-servato il privilegium di Silvestro II di cui parlano due praecepta, uno diCorrado II, l’altro di Enrico III, rispettivamente del 1027 e del 1047 113. È

113 Cfr. Carte S.P., doc. III, p. 10; doc. VI, p. 25.

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molto più probabile però che Iacobilli faccia qui confusione tra privilegiume notitia e si riferisca in realtà alla notizia della sinodo romana del 1002nella quale è menzionato il vescovo Conone, i cui rapporti con il monasterosono però tutt’altro che amichevoli.

Elencati in breve gli altri miracoli operati dal santo 114, l’autore ne ricor-da la morte avvenuta – scrive – dopo quarant’anni di governo il « 10 diLuglio l’Anno mille, e sette di N. S. al tempo di Papa Giovanni 19 &Enrico Secondo Imperatore » 115. La biografia ha termine con la menzionedella traslazione del 1609 e del miracolo per cui la città tutta iniziò a ono-rare la festa del santo. In seguito sono annoverati con precisione i passi diFerrari, Ménard e Wion in cui è ricordato l’abate di S. Pietro. Ciò sta adimostrare – se ce ne fosse bisogno – che tutte le note inesatte che percor-rono l’intera Vita di Pietro non sono frutto di “cattiva memoria”, giacchéqui le citazioni sono perfette, bensì del preciso intento di avvalorare le pro-prie congetture con “false testimonianze”.

Ricciardetti [1659]Elogia Sanctorum Patronum Perusiae Diocesis Ecclesiae, auctoreG. Ricciardetto, Aretino abbate S. Petri Perusinae, et praeside Con-gregationis Casinensis: manoscritto in AMSP, Mazzi LXXII, ms. 10.

Comprende un «S. Petri Vincioli Abbatis Elogium» (pp. [10-11].

L’opera di Gregorio Ricciardetti 116, conservata manoscritta nell’archiviodel monastero di S. Pietro, consta di una serie di elogia in versi, scritti inlingua latina 117.

L’elogio di Pietro abate non è assimilabile a nessuna delle opere sulsanto esaminate fin ora. L’impegno profuso dall’autore per realizzare unoscritto valido da un punto di vista letterario lo conduce a trasfigurare com-pletamente l’immagine dell’abate, con stilemi classici completamente estraneialla tradizione della Vita. Per fare solo un esempio riporto il passo in cui

114 « Ad una donna, che non poteva partorire, fattole sopra il segno della santaCroce, subito partorì. Liberò alcuni, che stavano per annegarsi in fiume; e due ladricondannati alla morte. Andando a Roma ad limina Apostolorum [...] sopravenne unagran pioggia, nè pure una goccia toccò lui, nè suoi compagni ». Cfr. Iacobilli, Vite de’santi e beati dell’Umbria, I, p. 700.

115 Nel 1007 era papa non Giovanni XIX ma Giovanni XVIII ed Enrico II era redi Germania, ma non imperatore, alla cui carica assurgerà solo nel 1014.

116 Gregorio Ricciardetti fu abate di S. Pietro dal 1655 al 1659. Elli, Cronotassidegli Abbati del Monastero di S. Pietro, pp. 251-252.

117 Si tratta degli elogia di s. Costanzo, s. Ercolano, s. Pietro abate, definito dall’au-tore s. Pietro Vincioli, s. Bevignate confessore, s. Eutemio e s. Lorenzo martire.

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Ricciardetti riferisce della monacazione di Pietro: « Hic Religionis portumingressus | Diu virtuti reluctante fortuna | Mundi tempestatum elusit procel-las ». Se la metafora con cui è indicato l’abbandono della vita mondana èprova di un linguaggio elevato tipico della più alta letteratura religiosa, iltermine fortuna rinvia invece alla cultura classica pagana. Come un richiamoal mondo pagano si ha poco sotto, nel passo in cui sono presentati i mira-coli operati dal santo: « Naturae immutavit naturam | Ipsa mirante mirabiliapatravit ». L’impegno stilistico-retorico è evidente. Ma non è tanto questo asorprendere in un’opera religiosa, quanto piuttosto l’uso della prosopopeache fa della natura una creatura viva, che ammira i mirabilia del santo. Piùavanti, con un riferimento sempre al mondo classico, Ricciardetti parlerà diApostolorum Capitolium, per indicare la chiesa di S. Pietro, che egli eviden-temente considera intitolata ad entrambi gli apostoli, e di un Mausoleumche il santo avrebbe eretto a se stesso.

Dalla tradizione della Vita sono desunti i miracoli che l’autore attribui-sce al santo (il miracolo della navicula, dal Ricciardetto chiamata in manieraclassicheggiante cymba, ed il miracolo della colonna), insieme all’episodiodell’incontro con l’imperatore. Quest’ultimo però è solo accennato tramiteun dotto paragone fra le parole pronunciate da Pietro al cospetto di Otto-ne e quelle proferite da papa Leone I di fronte ad Attila.

Nell’epilogo è fatto riferimento al titolo di patrono della città di Peru-gia (conferito a Pietro nel 1531 prima e, di nuovo, nel 1553), mediante itoni epici che hanno contraddistinto l’elogio tutto: « Beata Patria suis modisdignata cive | Beatior tali defensa duce | beatissima tanto suffulta Patrono ».

Lancellotti [ante ante ante ante ante 1659]O. Lancellotti, Scorta Sagra per tutti i giorni dell’anno: BAP,mss. B 4-5 (manoscritto cartaceo autografo).

Nel secondo volume, in corrispondenza al 10 luglio, è narratala vita di « S. Pietro primo Abbate Commendatario e miracolo-so fabricatore della Chiesa e del Monastero di S. Pietro diPerugia ».

L’opera, non datata ma ma risalente ad un periodo non posteriore al1659 118, è strutturata per mesi e divisa in due volumi: da gennaio a giugnoil primo tomo, da luglio a dicembre il secondo. Consiste in una illustrazio-

118 Anno nel quale l’autore abbandonò ogni impegno letterario per dedicare gliultimi anni della sua vita all’Istituto di S. Filippo Neri, dove morì nel febbraio del 1671.Notizie desunte da G. B. Vermiglioli, Bibliografia degli scrittori perugini e notizie delleopere loro, p. 48.

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ne, giorno per giorno, delle vite dei santi che la Chiesa ricorda e festeggia,con una particolare attenzione ai santi perugini ed alla città in generale. Ilprimo volume è preceduto da un indice che a parere del Bellucci, compi-latore del catalogo della biblioteca Augusta, sembra redatto e scritto dalVermiglioli 119. Al dì 10 luglio (II, ff. 143r-144r) 120 è ricordata la festa di« S. Pietro primo Abbate commendatario e miracoloso fabricatore dellaChiesa e del Monastero di S. Pietro di Perugia ».

La partecipazione emotiva dell’autore agli avvenimenti dà all’opera un’im-pronta nettamente letteraria, molto evidente nella narrazione dell’incontrofra Pietro e l’imperatore (Ottone I). A questo proposto Lancellotti si servedella similitudine fra il santo ed il pontefice Leone I, già utilizzata dal Ric-ciardetti. Il paragone è arricchito però di elementi nuovi: Pietro, infatti, èdetto conterraneo di Leone I, così come Ottone è presentato quale espres-sione di quella « barbara fierezza » rappresentata un tempo da Attila: « Fre-nò qual tal altro Pontefice Leone I se non concittadino, almeno comprovin-ciale, l’impetuoso orgoglio di Ottone I imperatore che contra Perugia se neveniva per farle provar la barbara fierezza già esperimentata da altre città eprovince, che meraviglia, se cose ancora prive d’anima e di sesso soggiac-quero al suo impero ».

Fra i miracoli operati dal santo, di cui Lancellotti fa un sunto veloce, èeliminato quello del comes, mentre al contrario sono aggiunti dettagli comela datazione del miracolo della colonna al 29 di giugno e l’identificazionedel vescovo che assiste alla morte del santo con Conone, successore diOnesto. La parte finale dell’intervento su Pietro abate rispecchia l’interessedell’autore per la storia cittadina. Lancellotti, infatti, si concentra non solosulla vita del santo ma anche su come la sua festa sia stata celebrata dallacittadinanza perugina nel corso dei secoli: ecco quindi la menzione dell’in-ventio quattrocentesca avvenuta, secondo l’autore, nell’anno 1410 121; la de-scrizione della processione istituita nel 1573 dall’abate Zenobio da Firenze,durante la quale si portava « dentro un busto d’argento la testa del Santo »e di quella solenne del 1609; infine la memoria dell’elezione del santo aprotettore della città il 22 gennaio 1631 e il riferimento al capitolo generaledel 1646, occasione in cui l’abate d. Zaccaria Aloisi da Perugia compose unpanegirico recitato nella chiesa di S. Pietro 122. Stando a questi dati sembre-rebbe che il Lancellotti abbia composto la sua opera prima del 1653, o

119 In Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, vol. V, p. 72.120 Si tiene qui in considerazione la numerazione apposta dalla stessa mano che

verga il testo, al centro dello spazio scrittorio nella parte superiore di ogni foglio. Que-sta numerazione è continua per tutta l’opera, inizia cioè nel primo volume e proseguenel secondo. Un’altra numerazione, a matita e di diversa mano, comprende il solo se-condo volume.

121 1436 secondo Pellini, vedi sopra.122 Cfr. Elli, Cronotassi degli Abbati del Monastero di S. Pietro, p. 245. Per ora,

purtroppo, non mi è stato possibile rintracciare questa orazione.

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quanto meno che in quest’anno avesse già terminato la biografia di s. Pie-tro. Sembra impossibile infatti che Lancellotti, così attento agli avvenimenticittadini, abbia trascurato di proposito la seconda consacrazione del santo apatrono della città.

Vincioli 1734G. Vincioli, Vite di IX soggetti della famiglia Vincioli, Perugia,Costantini, 1734.

Il primo illustre antenato celebrato dal Vincioli è « San PietroAbate » (pp. 9-25).

Termino la mia rassegna delle opere in cui troviamo menzione di Pietroabate con l’elogio di Giacinto Vincioli ai membri illustri del suo casato.L’opera, non molto attendibile proprio a causa degli intenti apologetici delVincioli, è significativa per la presenza di Pietro quale capostipite della fa-miglia. Il Vincioli segue pedissequamente la Vita di s. Pietro Vincioli daPerugia, abbate cluniacense dello Iacobilli, divagando di tanto in tanto conl’aggiunta di dettagli storici di dubbia affidabilità, come quello riguardantela chiesa di S. Lorenzo, che, anticamente, « a dir di varj era il Tempio diVulcano ». Alcuni particolari, che esulano dall’opera dello Iacobilli, derivanodagli Elogia dell’Alessi; tra questi, l’affermazione che la casata dei Vincioliinvestì una cospicua parte del suo patrimonio nella restaurazione della chie-sa e del monastero.

Tra le testimonianze antiche, che a dire del Vincioli suffragherebberol’appartenenza del santo alla sua famiglia, l’autore pone il ritrovamentodei suoi resti mortali avvenuto, dice Vincioli, nel 1200 sotto l’altare dellachiesa cattedrale. Le ossa del santo sarebbero state « così notate: Ossa B.Petri ex Nobilibus S. Valentini ». Come abbiamo visto in precedenza, altriscrittori menzionano il ritrovamento di queste reliquie, ma lo riferisconoal secolo XV e non al XIII. La presunta annotazione, infine, rimanda aquel Girardinus de Rainaldo Sancti Valentini, considerato proprio caposti-pite dai Vincioli, prima della prestigiosa acquisizione nei propri ranghi delfondatore di S. Pietro. Il tentativo di Giacinto Vincioli di creare una lineadi continuità tra il “vecchio” capostipite ed il “nuovo” è evidente. Vincio-li afferma che tale avvenimento è riportato nell’opera del Tassi sui Perugi-ni illustri, citando le pagine 338-340 del primo tomo dell’opera, dove peròTassi parla della famiglia Villani e non della famiglia Vincioli 123. Conside-rando che l’opera si è conservata manoscritta, Vincioli potrebbe aver con-

123 BAP, Tassi, De claritate Perusinorum Libri, ms. 1429, ff. 338-340.

169LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

sultato una copia in cui la numerazione delle pagine non corrisponde conquella dell’originale, conservato oggi nella biblioteca Augusta; dallo spo-glio di tutta l’opera però risulta che mai una volta Tassi cita Pietro abatecome esponente dei Nobili di S. Valentino di cui ricostruisce, assieme aglialtri rami della famiglia Vincioli, un albero genealogico a partire dalla finedel XIII secolo 124.

È in questo contesto che Vincioli nomina il « Lezionario MS. in Perga-mena in foglio del Monastero di S. Pietro di Perugia », di cui ho parlato aproposito della possibile coincidenza fra questo « Lezionario » ed uno deidue « Lectionaria » menzionati dallo Iacobilli. Considerando però che Vin-cioli parla di antica testimonianza anche a proposito del Tassi, scrittore sei-centesco, un lezionario da lui definito antico potrebbe risalire anche adun’epoca al contrario molto recente. Il passo da lui trascritto, con riferi-mento preciso al foglio del codice, corrisponde anche in questo caso allaversione tradizionale della Vita. Vincioli riporta infatti parte dell’incipit incui è detto che Pietro è originario « ex Agellione » ed è « nobili ortus pro-sapia » 125. Sorge il sospetto quindi che questo lezionario e le lezioni delsanto citate in precedenza coincidano, e che si tratti in realtà di uno deicodici quattrocenteschi contenenti lezioni del santo.

L’appassionata apologia dell’appartenenza di Pietro alla propria famigliaconduce infine Giacinto Vincioli ad una vera e propria falsificazione: l’auto-re attribuisce anche alla Vita edita dai Bollandisti oltre che a quella pubbli-cata dal Mabillon l’espressione « ex nobili Vinciolorum familia ortus », pro-pria invece solo della seconda. Al solito l’indicazione della pagina del tomodegli Acta Sanctorum del Mabillon è completamente errata 126.

La necessità di fornire tante prove di un’identificazione che nel secoloprecedente era stata accettata senza difficoltà dalla maggior parte degli stu-diosi dimostra che nel Settecento doveva essere stata espressa al contrariouna certa diffidenza rispetto alla possibilità che Pietro appartenesse a que-sto casato. Tale atteggiamento ostile è desumibile anche dal polemico di-scorso con cui Giacinto conclude le sue Notizie di s. Pietro abate: « Maquando, sul piacere d’innovare, come si nega uno de’ due SS. Ercolani, e sinega la Patria, o la condizione d’altri Santi, si negassero anche queste pro-ve, si domanda, o come, o d’onde si abbiano più sicure, e più forti leprove in contrario? [...] Se pure non si volesse dire, che, oltre al gustodell’innovazione, per la lode, che s’aspetta dal genio, che oggidì più chemai così corre, piace talvolta il veder tolto ad altri quello che per sé certa-mente non si può avere ».

124 Ivi, f. 356v.125 SP1, f. 13r.126 Vincioli sostiene che l’espressione in questione è presente a pagina 7, mentre al

contrario si trova a p. 647.

170 STEFANIA ZUCCHINI

A ragionare in astratto, dall’alto del molto tempo trascorso e deimolti passi compiuti dalle nostre scienze, non c’è dubbio che le pro-ve di questi eruditi in tema di san Pietro abate siano, per dirla tutta,pessime. Ovviamente un giudizio del genere non serve a nulla. Pro-veremo allora, nei tre paragrafi che seguono, a smontare i meccani-smi dell’accumulazione, svisamento, induzione o come altrimenti sidebba dire, che gli autori che abbiamo analizzato usano a piene mani.Il condizionamento che opera su di essi (o su molti di essi) è quellodell’horror vacui: pur di non rassegnarsi a dichiarare le cose comestanno, ossia – nel nostro caso – a dichiarare che su Pietro abate c’èil vuoto delle conoscenze, i nostri protagonisti combinano di tutto. Sibadi che queste valutazioni non riguardano l’elaborazione cultuale eagiografica: la vicenda della Vita di s. Pietro abate è esempio perfet-to di una costruzione dal nulla e sul nulla (o quasi), il che rientranelle regole del genere – anche se, va detto, ciò si fece nella prima epiena età moderna, non nelle nebbie della prima cristianizzazione.Interessa ora verificare come una situazione del genere abbia “co-stretto” gli eruditi del Cinque-Seicento a inventarsi, ciascuno a suomodo, un san Pietro storico. Esamineremo perciò, nell’ordine, i com-portamenti da essi seguìti nell’affrontare le tre principali e più “fa-mose” questioni – altre ce ne sarebbero, ma il discorso si farebbetroppo lungo – poste dalla legenda pietrina: l’incontro con l’impera-tore, determinante a sua volta per l’inquadramento cronologico deifatti del santo; le origini dell’abbazia di S. Pietro di Perugia, connes-se a vescovi, papi e viaggi; e infine, naturalmente, i nobili natali e laschiatta di appartenenza del santo.

3. Nei meandri dell’erudizione: Ottone I o Ottone II?

Partendo dalla più antica testimonianza agiografica su s. Pietroabate, e cioè dalla Vita A, vediamo che questa (e sulla sua scorta laVita B) identifica in Ottone II l’imperatore redarguito da Pietro perle malefatte del suo esercito durante il viaggio di ritorno dall’incoro-nazione romana: siamo quindi al 967. Ma c’è subito un piccolo dub-bio. Il testo del ms. SP1, e di qui fino all’edizione Mabillon-Ruinart,recita: « Nam tempore quo supradictus Imperator Octo siquidem Se-cundus rediens Romam suscepta corona Perusiam venisset, suiquemilites multa devastantes, ac depredantes cum provinciales ...». L’accu-sativo (moto a luogo: “tornando a Roma dopo aver ricevuto la coro-na”) mette in difficoltà, ma per non impelagarsi in un’ardua digres-

171LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

sione diamolo come errore in luogo dell’ablativo. Se non fosse perquesto particolare, in un’opera agiografica assai scarna di riferimentistorici, qual è la Vita A, l’incontro tra Pietro ed Ottone II risultaessere l’unico avvenimento contestualizzato storicamente con precisio-ne. È proprio questo però a subire nel corso del tempo numeroserielaborazioni e revisioni sia a livello contenutistico sia addirittura quan-to all’identificazione dell’imperatore in questione. Da fine Cinquecen-to in poi, infatti, accanto alla versione tradizionale, si afferma fra glieruditi la variante che vede in Ottone I il protagonista dell’incontroperugino. Con la Vita C, infine, si compie un estremo tentativo disintesi fra le due lezioni con lo scopo di legittimarle entrambe.

Ma procediamo con ordine, iniziando dalle revisioni di caratterecontenutistico. Nella Vita A Pietro accusa Ottone II di devastare anzi-ché governare il regno affidatogli da Dio e, mediante tutta una serie diriferimenti scritturistici (tratti soprattutto dal Libro di Giobbe e dalVangelo di Matteo) ricorda all’imperatore, con grande forza di immagi-ne, qual è il destino ultraterreno degli empi, degli avari e di coloro chedepredano il prossimo, destinati al «fuoco eterno preparato per il dia-volo e per i suoi angeli» (Mt 25, 41). L’imperatore, irato, lo scaccia dasé, salvo poi richiamarlo, una volta conosciuti i suoi meriti, e chiedergliaddirittura l’indulgenza. Infine, vista la nuova disposizione di OttoneII, il sant’uomo inizia, seppur prudenter, a dar consigli su come gover-nare la santa Chiesa, punire i vescovi e i presbiteri dediti alla lussuriae che falsificano la parola di Dio, condannare la vergognosa simonia el’eresia, governare in maniera pia il popolo e mandare a morte in ma-niera legale e giudicando giustamente i malvagi ed i colpevoli.

Gli eruditi-agiografi del secondo Cinquecento e primo Seicentotenderanno a eliminare quest’ultima parte. Così fanno Wion e Mé-nard; mentre Calzolai e Ferrari, pur riportando nei dettagli l’episodioin questione, si soffermano esclusivamente sull’incipit del discorso diPietro, tacendo sia le parole delle Scritture relative al destino ultra-terreno dei peccatori, sia le ammonizioni finali riguardanti il governodella Chiesa e dell’Impero. In entrambi, infine, l’imperatore passadal turbamento iniziale alla reprimenda dei soldati 127, reagendo quin-

127 Calzolai, Historia monastica, p. 138: « Turbossi alquanto nel principio Ottone,ma veggiendo poi la venerabile sembianza dell’huomo, e conoscendo, che egli diceva ilvero, raffrenò la licenza de’ soldati, ne gli lasciò fare più un minimo danno »); Ferrari,Catalogus Sanctorum, p. 422: « Quem cum Imp. primum reiecisset, postea cognita sancti-tate illi accersitum libenter auscultavit, multaque correxit ».

172 STEFANIA ZUCCHINI

di semplicemente sul piano pratico, il che ha un valore assai minoredella richiesta di intercessione spirituale presente nella Vita A.

È evidente che Calzolai e, molto probabilmente sulla sua scorta,Ferrari non abbracciano la visione della Riforma implicita nella parteconclusiva del discorso di Pietro in A: l’imperatore, nell’opera deidue eruditi, non è affatto il punto di riferimento per la purificazionedei costumi e delle istituzioni ecclesiastiche, è solo il detentore delpotere terreno (ed infatti la parte dell’orazione petrina sul governodel Regnum terrenum è mantenuta) e come tale si comporta. Nellerielaborazioni cinque-seicentesche, inoltre, è presentata una situazio-ne, verrebbe da dire, più plausibile storicamente di quella narratanella Vita A: l’imperatore, colpito dalle parole di un venerabile uomodel luogo che si trova ad attraversare con il suo esercito, raffrena lalicenza dei soldati; nella versione di A, invece, Pietro è investito delruolo di consigliere spirituale dell’imperatore, in un incontro che, adeccezione della Vita del santo, nessuna altra fonte ricorda. Questarielaborazione potrebbe rispondere quindi alla duplice volontà dimostrare chiaramente la distinzione tra potere temporale da un latoe potere spirituale dall’altro, e di ridimensionare un avvenimento chein effetti non ebbe alcun eco al di fuori dell’ambito locale.

Quanto alla presenza dalla fine del Cinquecento in poi dellamenzione di Ottone I in alternanza ad Ottone II, è opportuno amio parere partire dalle considerazioni fatte a proposito da PompeoPellini. Costui sostiene che nella «vita scritta a penna » da lui con-sultata, conservata all’epoca nel monastero di S. Pietro, «alcuni » ave-vano aggiunto in fondo al testo riferimenti cronologici al 940, rin-vianti quindi all’epoca di Ottone I anziché di Ottone II. Nello stessoperiodo Arnold Wion, citando tra le sue fonti una Vita manoscrittada lui consultata personalmente nel monastero di S. Pietro, scriveche Pietro «claruit sub Othone I circa 960 ». In mancanza di datipiù precisi non è possibile stabilire se Pellini e Wion consultarono lostesso manoscritto; è certo però che a fine Cinquecento circolavanonel monastero una o più copie della Vita A (niente ci fa sospettareinfatti che all’epoca fossero già state redatte le due versioni successi-ve, mentre al contrario alcuni passi dell’Historia riecheggiano pun-tualmente gli analoghi di A) con errati rimandi temporali. Sulla sciadel Wion si muoveranno poi Ferrari, nella redazione del suo secon-do catalogo (1625), e Ménard (1629).

A livello locale, d’altro canto, il riferimento a Ottone I sarà ac-colto da Ciatti (1638) e da Lancellotti (ante 1659). È soprattutto

173LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

però il tentativo di mediazione tra le due varianti operato dalla Vita Ca costituire la spia di una tradizione che andava evidentemente affer-mandosi. Come avrò modo di ribadire in seguito, l’autore della Vita C,qualora si trovi di fronte ad una doppia tradizione (è il caso qui inesame), cerca di compiere un’opera di sintesi, senza una precisa scel-ta in favore dell’una o dell’altra. A dimostrazione si può prendere illungo exursus della Vita C sulle campagne condotte in Italia da Ot-tone I con al seguito Ottone II. Al di là dello sfoggio di erudizionestorica, lo scopo principale dell’anonimo estensore è quello di giusti-ficare la presenza di entrambi quel giorno del 967 nel quale si svolsel’incontro fra Pietro e Ottone. Il primo avvenimento narrato dall’au-tore risale agli anni 961-963: sceso in Italia per piegare il ribelleBerengario, Ottone I riceve da Giovanni XII la corona imperiale nel962. Nell’anno seguente ottiene la vittoria definitiva su Berengario edallo stesso tempo riesce a far deporre Giovanni XII che gli si èdimostrato ostile. Ammesso che a questa impresa abbia partecipatoanche il figlio, Ottone II, di soli sei anni, la sua presenza è ovvia-mente del tutto secondaria. Ed in effetti questa è introdotta nel testoin modo marginale; nonostante l’autore di C abbia parlato inizial-mente di «Otho primus Alemanniae & hujus nominis secundus »,non attribuisce mai le imprese ad entrambi: è Ottone I l’unico sog-getto della proposizione, l’unico a cui si riferiscano tutti i predicativerbali. Anche nel secondo episodio narrato, il viaggio romano del967 in cui viene incoronato Ottone II come collega al padre nell’Im-pero, è sempre Ottone I il personaggio attorno al quale ruota l’azio-ne. Inserendo però costantemente la presenza del figlio accanto alpadre, l’anonimo legittima sia l’una che l’altra identificazione 128.

Una novità assoluta della Vita C rispetto a tutta la tradizione è lamenzione di un privilegio elargito dall’imperatore in seguito all’in-contro con Pietro. Sappiamo, sulla base dei due praecepta di Corra-do II ed Enrico III, che sia Ottone II che Ottone III emisero deiprivilegi per il monastero. Nessuna notizia si ha invece di un privile-gio emesso da Ottone I. Se l’autore avesse tenuto conto quindi dellefonti documentarie, il riferimento sarebbe sicuramente a Ottone II oal III e, escluso l’errore del copista, si riproporrebbe il problema

128 Come ho già avuto modo di dire, ritengo che la presenza di Ottone III inquesto punto della narrazione della Vita C sia frutto di un mero errore del copistapiuttosto che dell’intenzionale inserimento da parte del redattore di un imperatore sinora mai nominato e completamente estraneo al contesto del discorso.

174 STEFANIA ZUCCHINI

dell’incongruenza fra il destinatario dell’orazione e il contenuto dellastessa, strettamente legato al contesto. È possibile però, a mio pare-re, che il redattore di C, indipendentemente dalle testimonianze do-cumentarie, attribuisca un privilegio imperiale anche ad Ottone I, alfine di aumentare il già lungo elenco di privilegi pontifici e imperialiemanati per l’ente nel periodo delle origini.

4. Le notizie documentarie e quelle agiografiche sulla fondazione delmonastero.

Introduco l’argomento ricordando le notizie fornite dalla Vita Aa proposito della fondazione del cenobio: al tempo del vescovo One-sto sorgeva non lontano dalla città una chiesa edificata in onore delbeato Pietro apostolo, in un luogo detto Monte Calvario, la quale sidiceva fosse stata nei tempi antichi la cattedrale di Perugia. Essendola chiesa in rovina perché distrutta dai pagani, Pietro manifestò ildesiderio di riedificarla con l’intento di istituirvi un cenobio. Il ve-scovo, dopo una prima esitazione, gli concesse la chiesa con tutte lesue entrate, conducendolo a Roma dove fu nominato abate da unpapa di nome Giovanni; in questa occasione il pontefice prese ilneonato monastero sotto l’immediata protezione della Chiesa romana.

I dati storici offerti nelle poche righe dedicate dall’agiografo allafondazione del monastero sono molteplici e degni di rilievo, ancheperché, almeno in parte, confermati da fonti molto antiche.

L’esistenza di una chiesa intitolata a S. Pietro proprio fuori lemura è attestata infatti sin dalla metà del VI secolo dalla testimo-nianza di Gregorio Magno. Parlando della vita del vescovo Ercolano,il pontefice narra che, al momento della conquista di Perugia, i Gotilo scorticarono vivo, lo decapitarono e lo gettarono dalle mura, aven-do egli capeggiato la difesa della città. Venne quindi sepolto a terrainsieme ad un bambino morto nello stesso luogo. Quaranta giornidopo gli abitanti, ormai rientrati in città, trasferirono il corpo delvescovo trovato miracolosamente intatto nella chiesa di S. Pietro 129.Considerato l’abbondante uso dei Dialogi nella parte della Vita in-centrata sui miracoli del santo, non è affatto escluso che l’agiografoabbia attinto dall’opera gregoriana anche in questa circostanza.

Sul ruolo di S. Pietro come antica cattedrale si fronteggiano atutt’oggi due posizioni opposte: l’una, constatando che l’ecclesia epi-

129 Gregorii Magni Dialogi, Liber Tertius, XIII, pp. 160-163.

175LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

scopalis d’età paleocristiana sorgeva in genere nell’ambito di un’areacimiteriale, in stretta relazione con la tomba del primo vescovo o diun martire poi elevato al rango di patrono della città (in questo casoErcolano), ha individuato in S. Pietro la prima cattedrale, come vuo-le la leggenda agiografica; l’altra, rappresentata da Roberto Giordanie Gianfranco Binazzi, ritiene possibile la presenza della cattedrale edell’episcopio nelle adiacenze della scomparsa chiesa di San Giovan-ni Rotondo, risalente ad età paleocristiana e da sempre identificata– dice Binazzi – con l’antico battistero della città. Che si trattasse diun battistero è congettura derivante da una tradizione locale che lavuole a pianta centrale (di forma ottagona per la precisione) ed inti-tolata appunto a san Giovanni Battista; che esistesse una chiesa adia-cente, di cui le fonti non ci hanno lasciato traccia, è, quindi, unacongettura basata su altra congettura 130.

Sulla denominazione infine di Monte Calvario si possono farediversi ordini di considerazioni. Il toponimo Calvario, come afferma-no i due editori delle carte del monastero 131, sembra derivare dallaposizione leggermente rialzata rispetto alla città che richiama quelladel monte sul quale fu crocifisso Cristo. Negli antichi privilegi ponti-fici ed imperiali del secolo XI il Mons non è detto Calvarius ma

130 Per S. Pietro chiesa cattedrale: Crispolti, Perugia Augusta, p. 88; Pellini, Dell’Hi-storia di Perugia, II, p. 399; F. Bartoli, Storia della Città di Perugia scritta da FrancescoBartoli sopra memorie raccolte e compilate da Luigi Belforti, Perugia, V. Santucci, 1843,p. 189; M. Bini, Memorie storiche del Monastero di S. Pietro di Perugia dell’Ordine diS. Benedetto, raccolte e redatte da un Monaco di esso nel 1848. La Parte Prima contienela Storia del Monastero di S. Pietro a cominciare dalla sua fondazione (ms. in AMSP),p. 9; Elli, Cronotassi degli Abbati del Monastero di S. Pietro, p. 7; A. Pantoni, Monasterisotto la Regola Benedettina a Perugia e dintorni, in “Benedictina”, 8 (1954), pp. 231-256: p. 250; M. Montanari, Mille anni della Chiesa di S. Pietro in Perugia e del suopatrimonio, Foligno, Poligrafica F. Salvati, 1966, p. 9; C. Violante e C. D. Fonseca, Ubi-cazione e dedicazione delle cattedrali dalle origini al periodo romanico nelle città dell’Italiacentro-settentrionale, in Il romanico pistoiese nei suoi rapporti con l’arte romanica dell’Oc-cidente. Atti del I Convegno internazionale di studi medievali di storia e d’arte (Pistoia-Montecatini Terme 27 settembre - 3 ottobre 1964), Pistoia, Centro di Studi Storici - EnteProvinciale per il Turismo, 1966, pp. 303-346: p. 316. – La convinzione contraria (esi-stenza di una chiesa cattedrale adiacente a S. Giovanni Rotondo) è di R. Giordani,Dalle cattedrali alla cattedrale. Riflessioni sul problema della più antica cattedrale di Peru-gia, in Una città e la sua cattedrale: il duomo di Perugia. Convegno di Studio (Perugia26-29 settembre 1988), Perugia, Capitolo della cattedrale di S. Lorenzo, 1992, pp. 163-169; ripresa da G. Binazzi, Origine e primi secoli di una diocesi: i vescovi Costanzo edErcolano, in Una Chiesa attraverso i secoli. Conversazioni sulla storia della Diocesi diPerugia, coordinate da G. Casagrande e L. Tosi, Ponte S. Giovanni (Perugia), Quattro-emme, 1995, I: Le origini e l’età medievale, a cura di G. Casagrande, pp. 1-9.

131 Carte S.P., p. XIII.

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Caprarius 132, oppure locum Quimploianum 133. La denominazione Ca-prarius sarà recuperata dalla Vita C. Essa parlerà di « locum qui di-cebatur Calvarius vel Caprarius » (AA.SS., p. 115, col. I), con un’al-ternanza nella toponomastica che, se a prima vista dà l’idea di unainformazione imprecisa, in realtà dimostra che il redattore ha tenutoconto di entrambe le varianti attestate sin dai tempi più antichi (l’unadalla Vita A, l’altra dai privilegi). La stessa operazione compirà nel1606 Cesare Crispolti il quale, avvalendosi delle fonti documentarietestè citate propone la doppia denominazione accennando anchead « altri nomi », con probabile riferimento al “Quimploiano”, poi“Ploiano”, di alcuni fra gli antichi diplomi 134.

Accertata la plausibilità della Vita quanto alla preesistenza di unachiesa intitolata a S. Pietro nel luogo detto, si passa ora a prenderein esame i protagonisti della fondazione dell’ente insieme a Pietro,cioè il vescovo di Perugia Onesto e papa Giovanni.

Onesto è presente nelle cronotassi episcopali di FerdinandoUghelli e Pio Bonifacio Gams, rispettivamente come ventesimo eventitreesimo vescovo di Perugia 135. In entrambe il suo episcopatoè attestato per un brevissimo periodo, dal 965 al 967, ed entrambeforniscono la notizia della consacrazione da parte sua della nuovacattedrale di S. Lorenzo. Ughelli aggiunge che, in questa occasione,il vescovo donò ai Benedettini la chiesa di S. Pietro un tempocattedrale. In mancanza di fonti coeve, ho motivo di ritenere cheUghelli e Gams abbiano tratto queste notizie, anche se indiretta-mente, proprio dall’agiografia di S. Pietro abate. Sappiamo infattiche Ughelli era in diretto contatto con Iacobilli, nella cui Vita di S.Pietro Vincioli da Perugia, abbate cluniacense è narrata la donazionedi San Pietro da parte di Onesto e la consacrazione della cattedra-le di S. Lorenzo. Gams, dal canto suo, cita tra le sue fonti lostesso Ughelli e Ciatti, preferendo però evidentemente il primo al

132 Ivi, pp. 20, 30, 34, 48, 54.133 Questo toponimo, presente in un privilegio di Benedetto VIII presumibilmente

del 1022, troverà il suo equivalente nel locus Ploianus della bolla di Innocenzo II del1137 e dei diplomi di Federico I (1163) e di Enrico VI (1196). Carte S. P., pp. 6, 71,93, 107.

134 Crispolti, Perugia Augusta, p. 88.135 Cfr. P.B. Gams, Series episcoporum Ecclesiae Catholicae, Regensburg 1873, rist.

Graz, Akademische Druck-u.Verlagsanstalt, 1957, p. 714; Italia Sacra sive de episcopisItaliae ..., auctore F. Ughello Florentino, Romae, apud Bernardinum Tanum, 1643-1647;editio secunda aucta et emendata cura et studio N. Coleti, Venetiis, apud S. Coleti,1717, rist. anast. Bologna, A. Forni, 1972, I, coll. 1157-1158.

177LA «VITA» DI S. PIETRO ABATE

secondo, che poneva la fondazione dell’Abbazia nell’anno 969 enon tra il 965 e il 967.

La donazione della chiesa di S. Pietro da parte del vescovo farebbeincludere il monastero tra i numerosi enti monastici di fondazione ve-scovile e permetterebbe di avvicinare il caso perugino a quelli di altricenobi dell’Italia settentrionale inseriti dal vescovo diocesano nell’orga-nismo ecclesiastico della città mediante lo stanziamento della comunitàpresso basiliche già cattedrali e in sostituzione del clero secolare 136.

Infine, il fatto che il vescovo avrebbe rimesso il neonato cenobioalla diretta protezione della Chiesa di Roma sta ad indicare che ilpresule concesse al monastero l’esenzione dalla propria giurisdizione.Tale atto sarebbe confermato, seppur in maniera indiretta, dalla notitiasinodale del 1002 che, sebbene sia molto probabilmente un falso di-plomatistico, è stata sin ora considerata sostanzialmente attendibile quan-to al contenuto 137. In essa è riportato in forma narrativa un contenzio-so sorto tra il vescovo Conone, successore di Onesto, e l’abate delmonastero, in merito alla giurisdizione vescovile sull’abbazia. L’abate silamenta di aver ricevuto dei soprusi da parte del vescovo 138. Questi,

136 Cfr. G. Tabacco, Vescovi e monasteri, in Il Monachesimo e la Riforma ecclesiasti-ca (1049-1122). Atti della quarta Settimana internazionale di studio (Mendola, 23-29agosto 1968), Milano, Vita e Pensiero, 1971, pp. 105-123: p. 114.

137 Cfr. Carte S. P., doc. I, p. 4. La tesi che il documento sia un falso prodotto nelmonastero stesso è espressa da Bresslau e condivisa da Melampo, Leccisotti e Tabarelli:cfr. H. Bresslau, Papyrus und Pergament in der päpstlichen Kanzlei bis zur Mitte des XI.Jahrunderts, in “Mitteilungen des Intituts für österreichische Geschichtsforschung”, 9/15(1888); A. Melampo, Attorno alle bolle papali da Pasquale I a Pio X, in “Miscellanea distoria e cultura ecclesiastica”, 3, 4 (1904-1906), p. 69 dell’estratto; Carte S. P., p. 1. Chesi tratti invece di un originale, l’unico della cancelleria di Silvestro II ad essersi conser-vato, è convinzione di Kehr, seguito da Spinelli: cfr. P.F. Kehr, Regesta pontificum roma-norum. Italia pontificia sive repertorium privilegiorum et litterarum a romanis pontificibusante annum MCLXXXXVIII Italiae ecclesiis, monasteriis, civitatibus singulisque personis con-cessorum, Berolini, apud Weidmannos, 1909, IV, p. 67; G. Spinelli, Aspetti italiani delpontificato di Silvestro II, in Gerberto. Scienza, storia e mito. Atti del “Gerberti Sympo-sium” (Bobbio, 25-27 luglio 1983), Bobbio (Piacenza), Editrice degli A. S. B., 1985 (Ar-chivum Bobiense, Studia 2), pp. 273-307: p. 296.

138 Sul vescovo Conone come “nemico” di S. Pietro si sono offerti molti spunti. Siaggiunga questo, relativo allo Iacobilli. Il miracolo dell’elettuario vede confrontarsi Pietroabate e il vescovo di Perugia, che non può che essere Onesto: un vescovo che nell’occa-sione è mostrato in preda all’ira e per niente caritatevole nei confronti di poveri ederelitti. Narrando il miracolo, lo Iacobilli gli cambia nome (o meglio sostituisce il rife-rimento implicito a Onesto, « supradictus episcopus »): è Conone. Iacobilli sapeva cheConone ebbe pessimi rapporti con il monastero, e ritenne (giustamente, dal suo puntodi vista) che la sua figura meglio si addicesse a questo episodio, rispetto a quella diOnesto che tanto benevolo si era dimostrato nei confronti dei monaci.

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dal canto suo, dopo aver negato qualsiasi coinvolgimento nelle azionia danno dei monaci, richiede che S. Pietro torni sotto la sua giuri-sdizione in quanto, afferma, « monasterium illud quod iste abbas te-net ad meum episcopatum proprie pertinet, et nulli alteri iuri subia-cebit; si lex inde fieret, vester apostolatus nullam specialitatem in eohaberet». I privilegi dei pontefici precedenti, che Silvestro II adducecome prova della legittimità della situazione giuridica dell’ente, nonsono ritenuti sufficienti dal presule. Egli pretende di vedere il con-senso del suo predecessore: solo di fronte a questo muterà la suaposizione. Al che i sinodali affermano all’unisono: « Vidimus omnesaepistolam antecessoris tui, in qua et consensus erat et precibus uthoc fieret episcopus obnixe postulabat, cuius rei testes sumus, etsecundum canonicam sanctionem verum fuisse comprobamus ». Difronte a queste parole il vescovo è costretto a cedere ed a giurare dinon molestare più l’abbazia, a cui è definitivamente confermata laprerogativa di appartenere specialiter alla Chiesa di Roma.

In sostanza, nell’agiografia sarebbero toccati, seppure en passant,i punti più spinosi e controversi dell’origine dell’ente: la fondazionevescovile e soprattutto l’esenzione dal potere giurisdizionale ordina-rio, concessa in prima istanza dal vescovo stesso e ribadita in seguitodal pontefice; ciò a dimostrazione che, anche a distanza di secoli, taliquestioni rimanevano di vitale importanza per il monastero.

Anche la data della nomina di Pietro ad abate del monasteroperugino ha condotto nel corso dei secoli a diverse congetture, ed ètuttora un problema aperto.

Un elemento apparentemente marginale è introdotto dalla Vita C, quellapubblicata dal Pien negli Acta Sanctorum, là dove riporta il colloquio di Pie-tro con l’imperatore Ottone: « quapropter, lachrymis viduarum ac pauperumpermotus, Petrus Abbas Imperatorem adiit ... » (AA.SS., p. 116, col. I). Il pas-so è ripreso dalla Vita A: « tunc beatus Christi confessor, pauperum pupillo-rum quam viduarum lacrimis repletus, supradicto Octoni Imperatori viriliterdixit ... » (SP1, f. 14r). La Vita A si mostra più controllata dell’altra, perchédefinisce Pietro beatus Christi confessor; mentre la Vita C conferisce a lui iltitolo di abbas, che non torna. Infatti dalla narrazione risulta, come si è detto,come data del discorso di Pietro all’imperatore l’anno 967, due anni primadell’asserito giorno della consacrazione della chiesa di S. Pietro, 21 novembre969 – così è scritto nella Vita C. L’impressione che risulta da questa sovrap-posizione di elementi è che l’autore della Vita C, nella sua opera di rielabora-zione del testo originale secondo criteri di attendibilità storica, inserisca unagran quantità di particolari che alla fine entrano in contrasto l’uno con l’altro.

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139 Il Calzolai, unica fonte menzionata dal Ciatti, pone come anno di morte il667, data impraticabile dall’autore perugino in quanto, stando alla sua ricostruzione, ilmonaco a quella data non aveva né ricevuto in dono la chiesa, né incontrato l’impera-tore.

Ma il problema più spinoso concerne l’ordinale di quel «Iohan-nes tunc sanctissimus Romanus pontifex» (SP1, f. 15r, ripreso damolte tra le legendae pietrine e le opere erudite) che avrebbe confer-mato la nomina di Pietro, consacrandolo abate di S. Pietro.

Il primo erudito a tentare una identificazione precisa è FilippoFerrari che, nel Catalogus Sanctorum Italiae del 1613, parla di Gio-vanni XIII. A mio parere Ferrari compie in ciò una semplice opera-zione logica: nella Vita A Pietro incontra Ottone II all’indomani del-la cerimonia di incoronazione romana e, nello stesso periodo (« illisverò temporibus»), restaura la chiesa e compie il viaggio a Roma: ilpontefice in carica all’epoca di tutti e tre gli episodi, quindi, nonpuò che essere Giovanni XIII, papa dal 965 al 972, il quale effetti-vamente consacrò Ottone imperatore.

Tale identificazione sarà operata anche dalla maggior parte deglieruditi dei secoli XVII-XVIII (Ciatti, Iacobilli, Vincioli) e, ciò cheper noi è più rilevante, dal redattore della Vita C. Questi, nell’ur-genza di fornire quanti più dati storici possibili, riconosce nel pon-tefice Giovanni XIII e stabilisce come giorno di consacrazione del-la restaurata chiesa il 21 novembre 969. Come abbiamo visto ancheCiatti parla del 969 come anno di fondazione del cenobio, datamai presente in alcuna opera precedente. Se fosse possibile stabilirecon sicurezza che Ciatti trasse questa notizia dalla Vita C, l’anno dipubblicazione della sua opera (1638) sarebbe un utile riferimentocronologico ante quem per la redazione di questa Vita, di cui nonsono rimasti testimoni ad eccezione della versione a stampa deiBollandisti e di copie ad essa successive. La totale confusione cro-nologica che vige nell’opera dello scrittore perugino (ad esempio laconsacrazione ad abate da parte di Giovanni XIII nel 976, quandoquesto pontefice era già morto, e l’inserimento del 977 139 qualedata di morte del santo, innovazione totale rispetto alla tradizioneed estranea anche alla Vita C) non consente però nessuna ipotesiprecisa.

Passando ai nostri tempi, ancora negli anni Sessanta del secoloscorso Cencetti, favorevole all’identificazione seicentesca di GiovanniXIII, polemizzava con Leccisotti e Tabarelli che, spostando la data

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di fondazione dell’ente in avanti di una trentina d’anni, individuava-no in Giovanni XV il pontefice della consacrazione di Pietro 140.

La querelle sorge sulla già citata notitia del 1002 nella quale, a proposi-to dei privilegi emessi per l’ente dai predecessori di Silvestro II, si parla (algenitivo) di « Iohannis scilicet papae atque Gregorii eius successorum ». Ri-tenendo la parola successorum priva di senso, i due studiosi la emendanocon successoris: si tratterebbe a loro parere senza dubbio di Giovanni XV(985-996) e del “suo successore” Gregorio V (996-999). Da ciò la propostadi spostare la data di fondazione alla fine del secolo X. Cencetti al contra-rio reputa che non occorra in questo punto alcuna emendatio 141 o quantomeno non necessariamente questa emendatio. Egli sostiene che lo scriptoravrebbe sì potuto scambiare un plurale per un singolare, ma potrebbe an-che, verosimilmente, aver omesso uno o due nomi, per cui il testo origina-rio sarebbe « Iohannis scilicet papae atque <Benedicti et> Gregorii eius suc-cessorum ». Oppure (visto che nelle carte successive non è mai menzionatoun privilegio di Benedetto VII) avrebbe potuto voler ripetere la parola an-tecessorum (presente pochi righi sopra): in questo caso l’eius sarebbe riferitoallo stesso Silvestro II e non a Giovanni. L’argomento più convincente percui secondo Cencetti risulta improbabile un’identificazione del Giovanni deldocumento con Giovanni XV è che sappiamo per certo, dai diplomi diCorrado II ed Enrico III 142, che anche Ottone II aveva ricevuto un privile-gio a S. Pietro. Ora, a meno che il privilegio imperiale sia precedente aquello papale (cosa abbastanza improbabile), questo non può essere statoconcesso da Giovanni XV consacrato solo nel 985 e cioè ben due annidopo la morte di Ottone II: escludendo Giovanni XIV (del quale si cono-scono solo quattro documenti), il Giovanni in questione – conclude Cencet-ti – non può che essere Giovanni XIII.

A difesa dell’ipotesi di Leccisotti e Tabarelli, si potrebbe obiettare che idiplomi di Corrado II ed Enrico III presentano un elenco molto preciso dipapi nel quale a Giovanni succede immediatamente Gregorio, così comel’antecessorum a cui fa riferimento Cencetti potrebbe aver condizionato ilcopista nel caso (un genitivo plurale anziché singolare). Questo argomentorisulta però meno incisivo considerando che il diploma di Enrico III ri-prende quasi integralmente quello di Corrado II (limitandosi a poche ag-giunte tra cui un aggiornamento dei beni del monastero e un’estensionedell’elenco dei papi e degli imperatori a Corrado II, padre di Enrico III,ed a Giovanni, Benedetto, Gregorio e Clemente, successori di Benedetto VIII,l’ultimo papa citato da Corrado). La notitia del 1002, poi, molto probabil-

140 Carte S. P., doc. I, p. 4, note 4-5.141 Cencetti, L’Abbazia di S. Pietro nella storia di Perugia, pp. 47-50.142 Carte S. P., doc. III, p. 10; doc. VI, p. 25.

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mente non autentica, potrebbe aver preso come punto di riferimento pro-prio uno dei due diplomi imperiali. In questo caso le fonti non sarebberopiù tre bensì una.

Più pregnante potrebbe essere invece la considerazione fatta da Lecci-sotti e Tabarelli a proposito della consuetudine dei monaci di chiedere adogni nuovo papa ed imperatore la conferma dei loro privilegi: se si trattassedi Giovanni XIII, i monaci avrebbero omesso di fare tale richiesta a tutti isuoi successori fino a Gregorio V; invece, considerando il Giovanni del do-cumento come Giovanni XV, avremmo un elenco di papi pressoché ininter-rotto fino ad Alessandro II (dal privilegio di Alessandro II del 1065 a quel-lo di Pasquale II del 1115 abbiamo un buco nella documentazione ufficiale,vedi sopra Parte prima § 1). Con ciò comunque la controversia non apparerisolta; una osservazione non può essere considerata di certo una provastorica e non ha maggior valore della narrazione agiografica, nella quale ilcontesto allude con sicurezza a Giovanni XIII.

5. Da «nobili ortus prosapia» a «ex nobili Vintiolorum familia ortus »

Mi sono molto dilungata a proposito della redazione della Vita Bsulla plausibilità o meno che si possa parlare di un Pietro Vincioli.Concludevo che è impossibile l’appartenenza di Pietro a questa fami-glia, attestata a Perugia dalla metà del XIII secolo in poi ed i cuilegami con Agello risalgono addirittura ad epoca moderna. Quello sucui mi vorrei soffermare qui è invece il procedimento che ha con-dotto gli eruditi locali cinque-seicenteschi, primo fra tutti il redattoredella Vita B, ad identificare Pietro abate con Pietro Vincioli. Faccia-mo un passo indietro e torniamo alle parole della Vita A. In essa èscritto che Pietro proveniva dal pagus di Agello e che era nobiliortus prosapia. In maniera analoga, nei Dialogi gregoriani (riferimentocostante per l’agiografo di A) san Benedetto era presentato come« liberiori genere ex provincia Nursia exortus» 143. Molto probabil-mente quindi l’origine nobile di Pietro dipende – per così dire – dauna convenzione agiografica, è un richiamo al modello. Su di essa ineffetti non si soffermano più di tanto autori come Calzolai (che silimita a «nacque di nobili parenti») e Ferrari (che non cita affatto leorigini del santo). Quando invece sono gli eruditi locali a narrare legesta di Pietro abate, essi, con animo pienamente immerso nell’ideo-logia nobiliare del loro tempo, colgono immediatamente un possibilecollegamento tra le origini nobili, la provenienza da Agello e la fami-

143 Gregorii Magni Dialogi. Libri IV, Liber Secundus, Intr. (p. 71).

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glia dei Vincioli, che si fregiava allora del titolo di conti di Agello edi S. Valentino. In verità, si è visto, Pellini e Crispolti sono moltoprudenti; sono Alessi e Iacobilli a lanciarsi con decisione: S. Petrusde Vinciolis Abbas intitola l’uno, Vita di S. Pietro Vincioli da Perugial’altro. Lo stesso faceva l’anonimo redattore della Vita B, sostituendoal generico «nobili ortus prosapia» della Vita A il ben più condizio-nante « ex nobili Vintiolorum familia ortus».

Non è possibile stabilire se la Vita B abbia influenzato gli eru-diti dell’epoca, se sia avvenuto esattamente il contrario oppure seautori ed emendatore abbiano compiuto lo stesso processo di inno-vazione indipendentemente gli uni dagli altri. Indubbiamente peròil motore di tante febbrili rielaborazioni della primitiva leggenda èl’urgenza di creare una figura storica maggiormente credibile. Undato interessante a questo proposito è che la Vita C, nella qualetale esigenza è particolarmente evidente, non accoglie questa inno-vazione, al contrario ridimensiona anche le presunte origini nobilidel santo, passando da « nobili ortus prosapia » a « suos non igno-biles habuit parentes ». L’inversione di tendenza che si registra in Cè dovuta a mio parere all’apporto di Sinibaldo Tassi, estensore del-la Vita portata dall’Alegambe ai Bollandisti. Costui infatti, espertodelle genealogie nobiliari perugine, ben sapeva che i Vincioli nonpotevano assolutamente vantare un’origine tanto antica. Sta di fattoche i Bollandisti, pubblicando nel 1723 la Vita C – fonte ormailontana dal quadro locale – resistettero all’ascrizione del santo allaschiatta perugina dei Vincioli. Ma questo nel frattempo era divenu-to un dato acquisito. Basti solo ricordare alcuni fra i testimoni del-la nuova tradizione: nel 1816 Vincenzo Bini, parlando di Sacramor-re Vincioli, scrive:

Illustre non meno per la generosità della stirpe, che per la gloria dellearmi, degli onori della Toga, e della santità di vita fiorì molto prima delsecolo XV in Perugia la nobilissima famiglia dei Vincioli; ed io ad esserericonoscente al santissimo Monaco di questa famiglia, da cui la nostra cittàdee ripetere la fondazione di quel Monistero, al quale il cielo mi diede diappartenere ...; e in nota: San Pietro Vincioli de’ Signori di Agello mortonel 1007 fondò il Monistero di S. Pietro di Perugia, ove nel secolo XVfurono introdotti i Monaci della Congregazione di Santa Giustina, essendo-sene partiti i Cluniacensi, che innanzi lo abitarono 144.

144 V. Bini, Memorie istoriche della perugina Università degli Studi e dei suoi profes-sori, Perugia, F. Calindri - V. Santucci - G. Garbinesi, 1816, p. 383.

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Pochi anni dopo un altro studioso locale, Francesco Bartoli, siesprime in termini analoghi: «A’ tempi degli imperatori Ottoni, edanzi a’ tempi del I il Grande, fiorì in Perugia Pietro della peruginafamiglia Vincioli, Abate dell’ordine Benedettino, fondatore del Moni-stero di S. Pietro, nel luogo istesso che l’antica cattedrale occupa-va » 145. Ma ancora alla fine del secolo scorso Pantoni, Montanari edElli danno per scontato il cognome 146.

Esempio estremo delle distorsioni dovute ad una accettazione acri-tica della tradizione è offerto dal Montanari nel momento di offrireuna traduzione del privilegio di Benedetto VIII del 1022. Il documen-to originale recita: «Benedictus episcopus servus servorum Dei. Petrovenerabili abbati monasterii Beati Petri apostolorum principis» – e si èvisto che l’identificazione dell’abate in questione con il fondatore delmonastero è tutt’altro che scontata 147. Montanari traduce: «BenedettoVescovo e servo dei servi di Dio. A Pietro Vincioli Venerabile Abbatedel Monastero del Beato Pietro Principe degli Apostoli» 148. Evidente-mente l’autore ha trovato così convincente l’attribuzione di Pietro allafamiglia Vincioli da metterla in bocca anche al sommo pontefice.

Dal Seicento in poi, la preoccupazione di creare un san Pietro“storico” ha condotto i redattori delle Vitae B e C, come anche tuttigli altri autori che hanno narrato nelle loro opere la vita del santo,ad aggiungere particolari assenti nella Vita A. Nella tradizione dellaVita, questi nuovi elementi si sono mescolati a quelli presenti nellaversione originaria, determinando una confusione di date e nomi dicui è difficile venire a capo, se non si tiene presente che si tratta diinterpolazioni successive, frutto delle più svariate congetture intornoa tre soli dati storici presenti nella Vita A: la sosta di Ottone II interritorio perugino dopo l’incoronazione romana; il nome del vescovoda cui Pietro riceve in dono la chiesa (Onesto); la consacrazione diPietro ad abate da parte di un pontefice di nome Giovanni.

STEFANIA ZUCCHINI

145 Bartoli, Storia della Città di Perugia, p. 189.146 Pantoni, Monasteri sotto la Regola Benedettina a Perugia, p. 250; Montanari,

Mille anni della Chiesa di S. Pietro, p. 13; Elli, Cronotassi degli Abbati del Monastero diS. Pietro, p. 3.

147 Vedi sopra, all’altezza delle note 4-6.148 Montanari, Mille anni della Chiesa di S. Pietro, p. 20.