I MORTI IN QUESTUA. FIGURE DELL'ALTERITÀ NEI RITI TRADIZIONALI DEL MERIDIONE D'ITALIA

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Carmen Diiriibu�

(coord.)

Crina Bud, Ignazio E. Buttitta, Carmen Darabu�, Christian Eccher, Daiana Felecan, Hans Gehl, �tefan Mari�, Matteo Meschiari,

Maria-Terezia Pirau, Annemarie Sorescu-Marinkovié, Delia Suiogan, Ligia Tomoiaga, Nikolaus Tullius, Rodica-Cristina Turcanu

Strainul: schi�a imagologica

Editura Universitaµi de Nord Editura Ethnologica

Baia Mare, 2009

I MORTI IN QUl=.S TUA. FIGURE DELL'ALTERITÀ NEI RITI TRADIZIONA LI DEL MERIDIONE D'ITA LIA 15

I MORTI IN QUESTUA.

FIGURE DELL'ALTERITÀ NEI RITI TRADIZIONALI

DEL MERIDIONE D'ITALIA

Ignazio E. BUTTITTA, Italia

Cuvinte-cheie: pomana, tipologie de rituri tradi\ionale, vitalitate, dimensiune extraumana, epifanie.

Parole-chiave: atto della donazione, tipologie di riti tradizionali, vitalità, dimensione extraumana, epifania.

Rezumat: Simboluri ritualice structural prezente in iter-ul a numeroase sarbatori religioase tradi!ionale sunt �i practicile pomenilor: cereri, traditional prescrise, de oferire a unui bun, obicei ce se realizeaza in baza unor forme precise lìi in cadrul unor segmente spa�o-temporale definite, in acest areai aqioniìnd subiecti ce Ìlìi asuma rolul de postulan\i. Actul de dona\ie din partea ofertan\ilor presupune �i prevede un dar de schimb din partea pomanagiilor, acelìtia asumiìndu-lìi adeseori, dar nu neaparat in mod obligatoriu, o dimensiune performativa; recita, ciìnta, vocal sau la un instrument etc. Ceea ce definelìte irevocabil pomenile din punct de vedere ritualic tiniìnd cont �i de diferitele lor conotatii, este ca aceasta presta\ie de performanta, ea fiind una func\ionata, actorii fiind reprezenta\i in diferite contexte de ceremonial, ca adevarate ,,figuri aie alterita\ii", dobiìndelìte o dimensiune extraumana, divina, astefel inciìt din partea lor ofertantul se alìteapta sa primeasca aten\ie lìi protec\ie pentru viitorul vietii personale lìi a mediului de lucru, cu alte cuvinte asistam la un schimb de daruri, difuz �i diferit in timp. Indubitabila func\ie redistributiva pe care multe rituri �i-o asuma din punct de vedere istoric este lìi ea de luat in considerare. Prin urmare, lectura lor se va efectua in termeni pur �i simplu socio-func\ionali limita�, daca nu reductivi, fiind un accesoriu care ne ajunta la in\elegerea ritului. Este evident, prin urmare, ca sub aparentele diferente ce se pot observa in diferitele ocazii, timp, spa\ii �i/sau forme aie practicilor pomenii, exista o ideologie comunii perceputa in momentul recuno�terii statutului non ordinar asumat de pomanagii; intre lumea oamenilor �i lurnea divina trebuie sa existe un constant �i ritualic circuii de schirnburi cu scopul de a garanta reproducerea diferitelor procese vitale, la toate nivelele. Alteritatea pomanagiilor, instrainarea lor fa\a de lumea oamenilor !?i fa\a de viata cotidiana, mai este semnalata de caractere speciale sau de o presupusa condi\ie specifica a acestora. Postulan\ii trebuie in\elelìi prin urmare ca adevarate epifanii aie divinului sau ca emisari ai acestuia, iar riturile pomenilor trebuie observate in primul riìnd ca adevàrate schimburi dinamice intre oameni �i entitati divine ce preced �i inso\esc scaden\ele calendarului de sàrbàtoare. Pornind de la aceasta perspectiva, in lucrarea de fa\à sunt examinate diferite tipologii de rituri traditionale aie pomenii, varietatea lor precum �i vitalitatea acestora, apeliìnd la o serie de exemple concrete, in mare parte care privesc spa\iile geografice aie Siciliei, Sardiniei, pentru a ajunge apoi la pomenile in care actorii ritualici se configureazà, mai mult sau mai pu\in explicit, ca reprezentan\i I emsiari ai puterilor ctonio-infernale, sau ca ,,morfi".

Sintesi: Simboli rituali strutturalmente presenti nell'iter di numerose feste religiose tradizionali sono le pratiche di questua: richieste, tradizionalmente prescritte, di dazione di un bene, eseguite secondo precise forme e entro precisi segmenti spazio-temporali e agite da soggetti ritualmente demandati a rivestire il ruolo dei postulanti. L'atto della donazione da parte degli offerenti presuppone e prevede un contro-dono da parte dei questuanti che assume spesso, ma non necessariamente, una dimensione performativa: recita, canto, esecuzione musicale, etc. Ciò che qualifica inequivocabilmente le questue ritualmente connotate è comunque il fatto che la

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prestazione performativa è funzionale ma non necessaria all'efficacia del rito, venendo gli attori sempre a rappresentare nei diversi contesti cerimoniali delle vere e _p�oprie "figu:e �ell '.alterità", rappresentanti di una dimensione extraumana, segnatamente d1vma, da cm c1 s1 attende benevolente attenzione e protezione per il futuro familiare e lavorativo, cioè un contro-dono diffuso e differito nel tempo: quanto viene offerto ai questuanti nell'immediatezza dell'esecuzione rituale, non va inteso dunque semplicisticamente come retribuzione di una qualsivoglia prestazione, piuttosto come un dono dovuto a�le _forze e ali� entità_ che g_ar�t.iscono l'equilibrio cosmico e microcosmico, i cicli della natura e il ciclo

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Premessa. Simboli rituali strutturalmente presenti nell'iter di numerose feste religiose tradizionali, tutt'ora diffusamente vigenti nelle Isole e nel Meridione d' Italia, sono le pratiche di questua: richieste, tradizionalmente prescritte, di dazione di un bene, eseguite secondo precise forme e entro precisi segmenti spazio-temporali e agite da soggetti ritualmente demandati a rivestire il ruolo dei postulanti. Nell ' insieme dei riti di questua possono essere incluse pratiche che vanno dal furto rituale all'accatto di cibo e/o danaro, in ultima analisi tutte le attività itineranti, connesse a cadenze del calendario rituale tradizionale, dirette alla raccolta di denaro, alimenti o altri beni, ivi comprese le collette volte a sostenere le spese delle cerimonie festive.

L'atto della dazione da parte degli offerenti presuppone e prevede un contro-dono da parte dei questuanti che assume spesso, ma non necessariamente, una dimensione performativa: recita, canto, esecuzione musicale, etc. È da notare, tuttavia, che ciò che qualifica inequivocabi lmente le questue ritualmente connotate, è il fatto che la prestazione performativa sia funzionale piuttosto che necessaria ali ' efficacia del rito, venendo gli attori sempre a rappresentare nei diversi contesti cerimoniali delle vere e proprie "figure dell 'alterità", precipuamente rappresentanti di una dimensione extraumana, segnatamente divina, da cui ci si attende benevolente attenzione e protezione per il futuro familiare e lavorativo, cioè un contro-dono diffuso e differito nel tempo: quanto viene offerto ai questuanti nell ' immediatezza dell'esecuzione rituale, non può dunque essere semplicisticamente inteso come retribuzione di una qualsivoglia prestazione, piuttosto come un dono dovuto alle forze e alle entità che garantiscono

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l'equilibrio cosmico e microcosmico, i cicli della natura e il ciclo della vita sociale e individuale. La indubitabile funzione redistributiva che certo assumono molti riti di questua è storicamente da considerarsi, pertanto, derivata e accessoria e una loro lettura in termini meramente socio-funzionali limitata se non riduttiva, non conducente comunque rispetto alla comprensione delle ragioni prime del farsi del rito. È evidente, infatti, che al di sotto delle apparenti differenze osservabili nelle occasioni, nei tempi, negli spazi e nelle forme delle pratiche di questua, sottostà un comune assunto

ideologico che si coglie proprio a partire dal riconoscimento dello statuto non ordinario

assunto dai questuanti: tra mondo degli uomini e mondo divino deve sussistere un costante e ritualmente formalizzato, circuito di scambio al fine di garantire la riproduzione dei processi vitali a tutti i livelli. L'alterità dei questuanti, la loro estraneità rispetto al mondo degli uomini e al l ' ordinaria quotidianità, è d'altronde segnalata da particolari caratteri (costumi, maschere, immagini e segni del sacro sulle vesti, etc.) ovvero presupposta dalla specifica condizione dei questi (bambini, orfani, pastori, miserabili, etc.). I postulanti sono dunque da intendersi come vere e proprie epifanie del divino ovvero come suoi emissari .

I riti di questua devono essere pertanto osservati in primo luogo come delle vere e proprie dinamiche di scambio tra uomini e entità divine che precedono e accompagnano le scadenze del calendario festivo. Questo è indissolubilmente legato ai ritmi stagionali, i quali, sin dall' affermarsi delle pratiche agricole, hanno condizionato tecniche e tempi della produzione, scandendo nel l' avvicendarsi di tempi sacri e profani i ritmi della vita sociale. Ciascuna festa viene/veniva celebrata in un tempo preciso, nel momento in cui cioè i mutamenti stagionali spingevano a passare da un' attività all'altra. "L' aratura, la semina, la potatura, la raccolta dei diversi prodotti della terra venivano così a iscriversi in una dimensione religiosa, e i riti a questa connessi assolvevano precipuamente alla funzione di sacralizzare il tempo e lo spazio" (Buttitta 1990: 17). Date queste premesse dobbiamo considerare la questua rituale, al pari di altre pratiche, indice della persistenza di una ideologia magico-religiosa di tipo agropastorale. A partire da questa prospettiva in questa sede saranno brevemente esaminate diverse tipologie di riti tradizionali di questua, le loro varietà e vitalità, attraverso una serie di esempi concreti, in larga parte tratti dalle mie esperienze di ricerca in Sicilia e Sardegna per arrivare, infine, alle questue in cui gli attori rituali si configurano, più o meno esplicitamente, come rappresentanti/emissari delle potenze ctonio-infere, ossia come "i morti".

Exempla. Forme di questua ancora attualmente diffuse in diversi centri dell'Isola sono quelle rivolte alla raccolta del denaro (o di beni poi trasformati in denaro in genere attraverso vendite ali' asta) necessario a sostenere i costi delle feste patronal i e di altre importanti celebrazioni religiose locali e calendariali. Le operazioni di accatto sono direttamente agite o curate da diversi soggetti e con differenti modalità. Sovente è un "Governatore" a organizzare la raccolta dei fondi. Questi, designato di anno in anno (secondo criteri che variano da luogo a luogo) a presiedere alla realizzazione delle cerimonie festive, si fa carico, insieme ad altri (in genere familiari o amici), durante i l corso dell'anno, secondo tempi e spazi prestabiliti (e tra questi quelli stessi della festa), di raccogliere denaro o beni da mettere all'asta "in nome del Santo", "per la festa del

Santo". In alcuni centri al Governatore si affianca un Comitato organizzatore, più o

meno ufficiale, i cui componenti, che assolvono questo onere "per devozione", possono

restare invariati di anno in anno. Insieme a governatori e comitati organizzatori, altri

soggetti tradizionalmente demandati a curare l'organizzazione dei festeggiamenti sono,

laddove esse restano vitali e operanti, le Confraternite. In questo caso sono gli

appartenenti alla congregazione ad impegnarsi nelle attività di raccolta.

A Sant' Alfio, in provincia di Catania, per la festa patronale dei santi Alfio, Cirino e

Filadelfo che culmina l'ultima domenica di maggio, dell'organizzazione, e dunque della

riuscita della festa, è responsabile appunto un Governatore (Buttitta I. E., 1999: 146

ss.). Per tutto l'anno in cui resta in carica, il suo tempo libero dovrà essere dedicato

all'organizzazione della festa e al reperimento dei fondi necessari a sostenerne le spese.

In queste attività è coadiuvato dai familiari e dagli amici. Il Governatore fino a pochi

anni fa, non solo percorreva ogni domenica le strade del proprio paese, ma si recava a

questuare nei paesi limitrofi in occasione delle fiere e delle feste patronali ( cfr. Fresta

1992: 101-104). In passato, così come documentato per altre feste, venivano accattati

per Sant' Alfio da parte di mulattieri appositamente incaricati, mosto, frumento, legumi,

nocciole, che erano poi venduti. In società dove la circolazione del denaro era limitata,

questa era d'altronde la forma di "finanziamento" festivo più diffusa. Così, ad esempio,

Pasquarelli ricorda per la Basilicata: <<Li prucurature di certe feste religiose usano

andare pe ' l'aria (ne le aie), pe ' li cantine in ottobre e pe' li trappite, cercando grano,

vino e olio come contributo alle feste» ( 1987: 325). In effetti gli alimenti

tradizionalmente più questuati per contribuire alle spese delle celebrazioni del santo

Patrono o della Settimana Santa, erano, fino alle trasformazioni intervenute dal Secondo

dopoguerra, olio, frumento e legumi. Ricorda R. M. (nato nel 193 l ) a proposito della

festa del Nardu, celebrata il 6 gennaio a Santa Elisabetta (Ag): "Prima cuglivanu pi.fari

la.festa cu li muli, i cavaddi e cu li visazzi 'ncoddu, e cuglivanu picchì tannu sordi un ci

nn 'eranu, a ddi tempi nostri[ . . . ], pi pagari la musica si cci dava.frummentu, [ ... ]. Cu

cci dava un munzeddu di frummentu, cu cci dava un munzeddu di favi, e cu la visazza

'ncapu si jva cugliennu (Prima, per fare la festa, facevano la raccolta con i muli, i

cavalli, e con le bisacce addosso; e raccoglievano così perché allora, ai nostri tempi,

soldi non ce n'erano[ ... ], per pagare i musicanti si dava frumento[ ... ]. Chi offriva una

piccola quantità di frumento, chi offriva una piccola quantità di fave, e con la bisaccia si

andava raccogliendo)" (cfr. Galluzzo, lacono, Ragusa: 2004-2005). Non diversamente

A. M. (nato nel 1927), riferendo sulle modalità esecutive della festa di San Giuseppe a

Montallegro (Ag), ricorda: "Pi fari stafesta si raccugliva ufrummentu. Ognunu ci dava

chiddru ca putivamu [ ... ]e su vinnivanu, e cu li sordi sifaciva sta festa (Per fare questa

festa ri raccoglieva il frumento. Ognuno dava ciò che poteva[ ... ] e lo vendevano, e con

i soldi si faceva la festa)" (cfr. Scalia, Cipolla 2004-2005). A San Cataldo (Cl), fino a

un recente passato, il I gennaio, festa del Bamminu di fu Ratò (dell'Oratorio), gli

appartenenti alla Confraternita del SS. Sacramento andavano in giro con i muli e le

bisacce raccogliendo il frumento pi Gesù Bamminu. Ad Alimena (Pa) a questuare erano

i confrati della Compagnia di San Giuseppe. La mattina della festa, che ha luogo la

prima domenica di maggio, percorrevano le strade del paese, raccogliendo frumento

presso le famiglie che ne avevano fatto promessa.

l MORTI IN QUESTUA. FIGURE DELL'ALTERITA NEI Rl11 TRAD! ZJONALI DELMERJD!ONE D' ITALIA ����'--����������-=:::..::...:....:..=..::..=.:=:=-:.=-:..:..:::..::....:.::..:.=::..:_ � 1 9

Una particolare attività di questua, precipuamente caratterizzata dall'azione di un

singolo postulante in genere di sesso femminile, ha luogo, in Sicilia e in altre regioni

del Meridione d'Italia, per la festa di San Giuseppe (19 marzo), importante scadenza del

calendario cerimoniale contadino. In questa occasione vengono preparati, oltre che falò

di vario tipo (accesi la vigilia), ricchi e complessi altari e tavole sui quali fanno bella

mostra pani decorati e vivande insieme a immagini del Santo e della Sacra Famiglia

(cfr. Giallombardo 1 990, 2003 e 2006; Buttitta I. E. 1999: 57 ss., 2006 e 2007). Le

tavole vengono realizzate da un fedele in assolvimento di un voto fatto al Santo. Il rito

culmina nella cena offerta alla Sacra Famiglia e ai virgineddi, un numero variabile di

individui, in genere bambini, provenienti dalla famiglie disagiate del paese.

L'allestimento delle tavole richiede in alcuni luoghi che l'offerente raccolga i fondi

necessari sottoponendosi a giri di questua. A Salemi (Tp) chi ha fatto voto di preparare

una tavola raccoglie i fondi andando di porta in porta per tutto il paese. A Lercara

Friddi (Pa) le famiglie che ritengono di aver ricevuto una grazia o semplicemente

devote al Santo, "imbandiscono la tavulata, sostenendo le spese in proprio, oppure

raccogliendo denaro tra la popolazione, in segno di umiliazione" (Sangiorgio 1990:

105). A Ravanusa (Ag) la purmisioni della tavola può essere fatta affidandosi al proprio

reddito personale, ma più spesso può essere quella di "iri cugliennu ppi la tavulata di

San Giuseppi (lett.: andare raccogliendo per la tavolata di San Giuseppe); e talvolta la

promessa include che bisogna farlo a piedi scalzi" (Malfitano 1993: 22). Non

diversamente a Delia (Cl): "Se i campi sono in pericolo perché non piove da molto

tempo, se qualcuno della famiglia è ammalato, se una ragazza è già in età da marito e

non ha avuto nessuna richiesta, si ricorre a S. Giuseppe; si promette una tavolata e

penserà Lui ad evitare ogni malanno. Nelle promessa viene dichiarato se la tavulata

sarà fatta a proprie spese o con denaro raccolto 'di porta in porta' " (Vasapolli 1962-63:

127). Un comportamento non dissimile si osserva in associazione al culto di alcuni santi

patroni. A Calamonaci (Ag) le donne che hanno contratto un voto con san Vincenzo

Ferreri si preoccupano di organizzare un martedì dell'anno (giorno in cui hanno luogo i

viaggi a san Vicenzu) u manciarizzu per i virgineddi, dodici bambini appartenenti a

famiglie povere del paese. La raccolta dei fondi necessari viene effettuata dalla

questuante a piedi scalzi: con un vassoio su cui è deposta una immagine del Santo,

percorre il proprio quartiere accattando denaro e alimenti.

Forme di questue sono anche da considerarsi le novene del periodo invernale e altre

esecuzioni canore, musicali, coreutiche, mimiche itineranti. Si tratta, in questo caso, di

quelle che Clemente ha definito questue-cerimonie, "attività, che in uno spazio

comunitario definito e riconosciuto, e in un tempo tradizionalmente determinato, un

gruppo particolare di persone (agenti) realizza visitando le famiglie della comunità

(utenti) presso le loro case, proponendo a queste delle prestazioni espressive, e

ricevendone doni; tali doni (perlopiù alimentari) vengono usati successivamente in

modo collettivo o individuale dal gruppo" (Clemente 1982: I O 1 ). Gruppi di musici

attraversano gli abitati della Sicilia e di altre regioni meridionali nel periodo che va

dall'Immacolata all'Epifania, eseguendo brani musicali non di rado di

accompagnamento a canti che riguardano il viaggio di Giuseppe e Maria verso

Betlemme e la nascita di Gesù. Le loro prestazioni vengono ripagate da offerte in

denaro, dolciumi, vari cibi e bevande. Così a Longi (Me), nel corso della novena di

Natale gruppi di giovani, i picciotti da nuvena, percorrono l'abitato, sera dopo sera,

intonando canti tradizionali con l'accompagnamento di strumenti musicali per tutta la

notte: «qua e là -ricorda Falcone- qualche fedele li invita ad entrare in casa per

mangiare e bere qualcosa, specialmente ramette (pasta di nocciole e farina, infornata e

spalmata di zucchero) e giammellotte (dolci preparati al forno con uova e farina)»

( 1977: 62-63; cfr. Caravello 2003: 9-1 O). Anche le strade di Burgio, paese montano

della provincia di Agrigento, nel periodo che va dalla vigilia di Capodanno all'Epifania,

erano attraversate fino agli anni Sessanta da diversi gruppi di cantori "che facevano a

strina (la strenna), una questua itinerante di cibo e denaro" (Bonanzinga l 996a: 22). I

tempi e gli attori del rito erano diversi. La mattina del 31 gennaio erano i bambini a

uscire per raccogliere di porta in porta ceci e fave abbrustoliti, fichi secchi, carrube,

noci. Il giorno di Capodanno vedeva invece un gruppo di adulti itinerare per il paese,

recando un simulacro del Bambino Gesù, preceduti da un suonatore di tamburo. Ai

questuanti i devoti offrivano cudduri (biscotti di pasta reale), altri alimenti o denaro. L� notte, e poi fino all'Epifania, a questuare erano tre uomini vestiti da Re Magi.

Intonavano davanti agli usci dei devoti un breve canto che dopo aver descritto la loro

condizione di pellegrini e invitato ad adorare il Bambino Gesù, facevano esplicita

richiesta di doni, a strina appunto: "e ddàtini la strina, [ ... ], I ca lu Signuri a vvui cchiù

gràzia vi duna. I E s 'unn 'aviti strina, nni dati ddinari, I e s 'unn 'aviti strina, nni dati a

mmanciari (E dateci la strina, [ ... ], I che il Signore maggior grazia vi dona. I E se non

avete la strina, dateci denaro, I e se non avete denaro, dateci da mangiare)". Estintasi a

Burgio, ancora vitale resta la questua di Capodanno a Calamonaci (Ag). Qui la vigilia,

gruppi di bambini vanno di casa in casa, accompagnandosi al suono di un campanaccio

(campanotta), questuando dolci, salsiccia, frutta secca, e, sempre più spesso, denaro.

Questa pratica è detta iri facennu a strina (cfr. Bonanzinga 1996b: nota al brano

musicale n. 5). Il canto intonato dai bambini, insieme agli auguri contiene un

riferimento alle disgrazie che colpiranno il padrone di casa qualora non sia prodigo di

doni: "s 'un nni dati un vucciddatu, I vostru maritu vi cadi malatu. I[ ... ]. I S 'un nni dati

un cicireddu, I vostru maritu cci cadi / 'aceddu (se non ci date un buccellato, I vostro

marito si ammalerà. I[ .. . ]. I Se non ci date frutta secca, I a vostro marito cadrà il pene)".

Di analogo tenore la strina cantata la notte di San Silvestro a Ribera (Ag) da gruppi di

giovani accompagnati dal tamburel lo, dalfriscalettu e, anche qui, da campanacci: "s 'un

mi dati un purciddatu I vostru maritu vi cadi malatu; I s 'un mi lu dati ora ora I vostru

maritu vi ietta fora (se non ci date un buccellato, I vostro marito si ammalerà; I se non

ce lo date immediatamente, I vostro marito vi caccerà di casa)" (Ciliberto 1991: 20).

Altra festa del periodo invernale segnata in varie regioni italiane dall'esecuzione di

attività di questua alimentare, oltre che della legna necessaria all'accensione dei falò

che pure numerosi vengono accesi la vigilia, è quella di Sant' Antonio abate. In questa

occasione gruppi di musici e cantori si recano di casa in casa ricevendo cibi e/o denaro

in cambio delle loro esecuzioni. Così a Castelmauro, in Molise, dove i postulanti

chiedono la carne del maiale che è stato ucciso in quei giorni: "Oggi è sìdice di Iennare

/ ti minime a salutà, I ci minime cu sune e cante I pe i 'onore de quiste sante. I

Sand 'Andune de le Rocche I éi sapute cì cise Lu porche, I tu ne le può negà, I ca l 'éie

l MOR'n IN Q ESTUA. FIGURI:. D!:.LL.'AL.'mRrrA NEI Rrn TRADIZ JONJ\J.J DEL M ERI DI UNE o ' lTAUA ���������������__;:.:...:...:...�:..:::..:-==.:..::..:..:.::..::....:..:..:..=:.:_� 21

sentute sguagnalià. I Sand 'Andune vuò le salcicce, I le vò lunghe e le vò massicce. I Fa

mpresce ca vuleme e ntrà I e vulemè cangarià (Oggi è il sedici di Gennaio I ti veniamo

a salutare, I ci veniamo con suoni e canti I in onore di questo santo. I Sant' Antonio delle

Rocche I ha saputo che gli hai ucciso un porco, I tu non glielo puoi negare, I che lo ha

sentito stril lare. I Sant' Antonio vuole le salsicce, I le vuole lunghe e piene. I Fai presto

che vogliamo entrare I e vogliamo masticare)" (cit. in Meo 2008: 86). Di analogo tenore

sono le numerose canzoni di questua raccolte da Donatangelo Lupinetti in Abruzzo

eseguite da "gruppi vari e molteplici di uomini giovani e perfino ragazzi, che 'portano il

Sant'Antonio' nelle case al l'ùnico scopo di divertire per avere regali o per questuare", e

che non di rado indossando mascheramenti: "Tra loro c'è chi impersona il santo eremita

che incede solenne con bastone, barba e campanel lo; spesso c'è tutta una turba di

diàvoli, con nerofumo in faccia, cornetti in testa e tridenti in mano [ .. . )" ( 1959: 65-66).

Rivolti i saluti di rito e narrati episodi della vita del Santo, i postulanti inoltrano la loro

richiesta: "Sand 'Anduone mi' bbunigne, I famme 'ndrare 'n-questa vigne: I no ' zappà,

no ' pputà, I sulamente a vvenegnà. I Si mmi daje nu prìsutte I mi li magn 'assùtte

assùtte; I si mmi daje nu capelomme I mi li magne lomme lomme;. I si mi daje na

halline I ci faceme li tajuline (Sant' Antonio mio benigno, I fammi entrare in questa

vigna: I non per potare, non per zappare, I soltanto per vendemmiare. I Se mi dai un

prosciutto I me lo mangio asciutto, asciutto, I etc." (Montepagano); infine porgono gli

auguri rituali a chi è stato munifico di doni: "Bona sère, gente amice, I Sand 'Andone

v 'abbenedice; I vi s 'accresce lu patrimoni e, I pi l 'amore di Sand 'Andonie (Buona sera,

gente arnica, I Sant' Antonio vi benedice; I vi si accresce il patrimonio, I per amore di

sant' Antonio" (Lanciano); "Benediche fu bestiame I come so ' li vostre brame, I tutt 'j

frutte seminate I da Sand 'Andonie sarà huardate (Benediciamo il bestiame I com'è nei

vostri desideri, I tutti i frutti seminati I da Sant' Antonio saranno protetti)"

(Collecorvino) ( cfr. Lupinetti 1959: 1 I 7-133 ).

In alcune occasioni la questua è contestuale a performances di varia natura eseguite

da uomini mascherati da animali, demoni, etc. o da fantocci animati. Sono questi i casi

di San Fratello (Me), Prizzi (Pa), Mistretta (Me), Casalvecchio (Me). Il Giovedì e il

Venerdì Santo l'abitato di San Fratel lo è percorso dai Giudei. Sono uomini, perlopiù di

giovane età, vestiti con una divisa di stoffa rossa con ampie decorazioni gialle e oro,

con il capo ricoperto da elmetti da cui ricadono cappucci che coprono interamente il

volto. I Giudei disturbano i cortei processionali con squilli di trombe, rumore di catene,

corse, varie acrobazie. Si aggirano disturbando i passanti per le strade costringendoli a

dare del denaro e si introducono nelle abitazioni protestando l'offerta di cibo e vino

(cfr. Buttitta 1990: 163 ss.). A Prizzi, si svolge una non dissimile pantomima, la

Domenica di Pasqua. Lungo le strade corrono saltellando tre uomini: uno, travestito con

un costume giallo, una balestra in mano e una maschera a mò di teschio, impersona la

morte; due, abbigliati di tute rosse, con pelli di capra sulle spalle e sul viso larghi

mascheroni di latta guarniti di coma, rappresentano i diavoli. Tutti e tre debbono

ostacolare l'incontro tra i simulacri del Risorto e dell'Addolorata. Questi percorrono

l'abitato sin dalle prime ore del mattino, tra salti e acrobazie, infastidendo i passanti con

toccamenti e lazzi di vario genere e trascinando con loro qualche malcapitato da cui

pretendono denaro, vino e cibarie (cfr. Buttitta 1990: 169 ss.). Comportamenti analoghi

sono segnalati per il passato da Pitrè a Casteltermini ( 1881: 130-132).

Nel corso della Festa della Madonna della Luce a Mistretta escono i Giasanti, due

fantocci di cartapesta e stoffa, abbigliati da guerrieri e animati ciascuno da un operatore.

Intendono raffigurare Mitia e Cronos, mitici eroi fondatori della comunità, e danzano al

suono della banda in precisi luoghi e momenti del loro percorso. Tuttavia "la

performance coreutica non è circoscritta a questa sola giornata. Ancora oggi, nei giorni

dell'antivigilia e della vigilia della festa, i Gesanti vanno di casa in casa per offrire i

loro balli -questa volta accompagnati solo dal tamburo- in cambio di alimenti e

denaro" (Bonanzinga 1999: 89). Una questua di carattere non dissimile compiva una

maschera in forma di cammello a Messina in occasione della Festa dell'Assunta (Pitrè

1900: 157) e tutt'oggi compie u Camiddu a Casalvecchio Siculo (Bonanzinga 1999: 90.

Cfr. Pitrè 1900: 199 ss. ).

Tra le questue mascherate vanno anche segnalate quelle di Carnevale, documentate

in Sicilia soprattutto per il passato. In primo luogo quella dell'Orso, attualmente

presente a Saponara (Me), e un tempo variamente attestata in Sicilia (Pitrè 1913: 248),

per es. a Ribera (Ag) e ad Altavilla Milicia (Pa). In genere la maschera dell'orso

«abbigliato con pelli di capra e campanaci alla cintola, era legato a una corda retta da un

conduttore. I balli e le mimiche improvvisate per strada erano sempre ripagate con

l'offerta di beni alimentari» (Bonanzinga 2003: 64 ). Dal l'area peloritana proviene un

altro esempio. A San Filippo Superiore (Me), durante il periodo di Carnevale, uomini

con il volto ricoperto di nero fumo e il corpo avvolto in vecchie coperte, e pertanto detti

chiddi da cutra, si aggiravano per l'abitato conducendo un fantoccio (che alla fine

sarebbe stato gettato in un torrente) e chiedendo offerte in cibo e/o denaro.

I morti in questua. A San Marco d'Alunzio (Me), sui Nebrodi, a compiere i giri di

questua per Carnevale erano invece gruppi di bambini. Essi portavano in bocca un

rudimentale strumento, composto da due listelli di canna che tendevano una membrana,

detto cipittuta, che ne alterava la voce 1• In questo caso è evidente che è l'alterità fonica

a sottolineare altra e più radicale alterità. La voce "non umana" è cioè, al pari dello

status, della maschera e di altri precisi indizi, l'esplicitazione della funzione vicariale

rispetto ad ambigue entità, quali "i morti", portatrici di benessere e/o di sventura, che

periodicamente e necessariamente, si manifestano all'interno delle comunità (Buttitta

l 995a). Spesso, d'altronde, le performances rituali contengono riferimenti al benessere

futuro, anche a quello dell'annata agraria. I bambini/morti ricevono dunque doni per

garantire un futuro prospero alle famiglie e un esito felice ai raccolti (Buttitta l 995a).

«l doni ai fanciulli è ai poveri piacciono ai morti» segnalava Mauss ( 1991: 180).

Destinatari ideali dei riti offertori sono dunque i defunti. Chi effettivamente ne gode

sono i vivi. In particolare bambini, mendicanti, stranieri, al pari dei mascherati, nella

loro riconosciuta alterità, assumono sul piano cerimoniale il valore vicario dei morti.

Tutte queste categorie hanno in comune la liminalità, l'essere figure di margine sospese

tra natura e cultura, tra vita e morte. I bambini, sono coloro che non hanno superato i

riti di passaggio ali' età adulta, allo status di "uomini" ( cfr. Di Nola 2001: 169 ss. ); i

mendicanti sono non integrati, errabondi, non inseriti in un sistema di rapporti, di

l M< >R'I I 1:-.J QUhSTIJA. FIGURE DELL'i\LThRJTÀ NEI RJ'l1 ·1 RJ\Dl/.10:-.JALI DEI . MERJDIO. E D' ITALIA ������������������--=--.....:..=.:....::...::...::..:..:..::=..:....�- 23

reciprocità, non membri effettivi della comunità ( cfr. Le Goff 1988: 163-172). Si tratta

cioè, come ha notato Lévi-Strauss, di figure comunque altre rispetto al corpo sociale in

quanto ad esso "solo parzialmente incorporate" (1995: 73). Per l'uomo arcaico, ha

osservato Antonino Buttitta, "I sistemi segnici o simbolici non erano sentiti, in sostanza,

come estrapolazioni della realtà ma come sue emergenze, come allotropie. Fantasmi e

figure dell'immaginario 'sacro' vivevano una eterna epifania in oggetti e esseri

concreti, attraverso i quali agivano e parlavano in una metamorfosi illimitata" (I 995a:

11). Così dare ai poveri (e ai bambini) equivale a dare ai morti. Ai poveri sono destinati

gli avanzi del banchetto funebre e i cibi preparati per la ricorrenza dei Defunti. Non di

rado essi chiedono "in nome dei morti" (Lombardi Satriani, Meligrana 1989: 135).

Ricorda un ex colono di Marina di San Lorenzo in Calabria come al tempo della sua

infanzia il giorno dei morti gruppi di bambini andassero di casa in casa, cu nu saccuddu

ancoddu, chiedendo: "nd 'i dati i mari morti?", per ricevere piccole forme di pane e

fichi secchi. Questue infantili che vedono i postulanti chiedere in nome dei morti o

presentarsi come i morti stessi sono documentate e attualmente vigenti in Sardegna. Nel

Gerrei e nel Campidano di Cagliari "una raccolta veniva effettuata da centinaia di

bambini, i quali giravano per le abitazioni chiedendo is panixeddas (o is animeddas o is

paschisceddas), e cioè un obolo di pane o frutta o dolci che, peraltro, nessuno rifiutava.

La consuetudine, comunque, è sempre viva, in particolare a Sinnai" (Caredda 1990:

336). Ad Arzachena, la mattina del 2 novembre diversi gruppi di ragazzini, armati di

ceste o buste girano per le vie del paese e bussano alle porte urlando tutti insieme: Molti

e molti! Chi riceve la visita dona una o più manciate di caramelle, di frutta secca,

cioccolatini e qualche moneta. Fino a vent'anni fa venivano preparati dei dolci fatti in

casa gli aciuleddi e frutta secca e di stagione: fichi, noci, castagne, mele, mandarini e il

tradizionale pan di sapa1. Pratica analoga a quella di Arzachena è già segnalata a Nuoro

da Grazia Deledda: "Per i Santi si fa su mortu-mortu. In questo nome si compendiano i

dolciumi usati in tal giorno. Sono i papassinos, dolci di uva passa, di mandorle, di noci

e di nocciuole, riunite in una specie di poltiglia con sapa o con acqua zuccherata. [ ... ]

La sera di Tutti i Santi i sagrestani delle chiese di Nuoro si armano di un campanello e

di bisacce, e picchiano quasi ad ogni porta, chiedendo il mortu-mortu. Vengon loro dati

i papassinos, il pane, frutta secche, mandorle e noci. [ ... ]Compagnie di ragazze e di

bimbi imitano il costume dei sacrestani, e vanno per le case chiedendo il mortu-mortu"

(1995: 192).

La tradizione ricordata dalla Deledda è tutt'oggi vitale e diffusa in Barbagia, nelle

Baronie e nel Marghine come documentato da una recente indagine condotta da

Sebastiano Mannia. Al di là di qualche locale peculiarità le questue infantili sono

caratterizzate da un iter rituale analogo e ricorrono in due distinte occasioni, I e 2

novembre, rispettivamente festa di Ognissanti e Commemorazione dei Defunti e 31

dicembre. La denominazione più comune assunta dalla questua è quella di Su mortu

mortu (così ad Orani, Orotelli, Oniferi, Lei, Bolotana, Bottida, Burgos, Macomer); a

Fonni e a Ottana la questua prende rispettivamente il nome di Su Pruadoriu e di Su

Purgatoriu, ossia il Purgatorio, mentre ad Alà dei Sardi e Budduso è denominata Sa

Vita; a Orune il I novembre i bambini escono per A pedire a sas animas; a Dorgali,

Siniscola, Galtellì, il 2 novembre per Su peti coccone; a Lula il 31 dicembre per Su peti

24 [GNAZIO E. BU'ITlTfA

arina· nella stessa data a Bitti per Arina càputer e a Orgosolo per Sa cande/aria. Le

ques�e prendono avvio nelle prime ore del mattino. I bambini re�ando � c��tenitori

preventivamente preparati (federe da utilizzare a mo' di sacco, cesti e oggi, pm spess� zainetti) attraversanao \'abitato richiedendo alle famiglie di donare qualcosa. Ai

bambini oltre pani e dolci tradizionali (sa candeledda, su coccone, sos cocconeddos,

sos papassinos, etc.) realizzati appositamente per quest'occasione, vengo�o/�enivan? offerte fave, pane, noci, castagne, a volte qualche pezzo di formaggio e salsiccia. Oggi,

assai spesso, vengono offerti dei soldi. Il dono dovuto è richiesto anche attraverso

l'esecuzione di augurali formule tradizionali che divengono maledizioni qualora non

vengano adeguatamente accolti. Durante la questua mattutina i bambini di Lula,

presentandosi implicitamente come i Santi, intonavano una filastrocca:. "Peti arina,

_ santa Catirina / Peti coccone, santu Sarvatore I Peti papassa, santa Marznnassa I Peti

icu sicca, santa Margaita (Chiedi farina, santa Caterina I chiedi il pane, san Salvatore I

chiedi l'uva passa, santa Maria Ignazia I chiedi fichi secchi, santa Margerita)"; a Bitti, i

questuanti recitano: "arina capitò, patatas e basò a inintro de su saccu a z'.u

Juanneantò (dateci farina, patate e fagiuoli da metetre nel sacco per zio

Giovannantonio)"; a Orune si chiede: "a cundeus chi m 'hat mannadu Deus" o "non ne

dazzis a sas animas". A Galtellì, quando nel le case non v'erano più beni da donare o

per altre ragioni non si voleva aprire ai postulanti, i proprietari dicevano: a perdonare!

A quel punto i bambini rispondevano con una maledizione: "e tanno �orfa e istral�! (� allora un colpo di scure ! )". Non diversamente a Dorgali in caso di nsposta negativa 1

bambini rispondono: "su culu marteddau, postu in sa urredda, e fattu a chisinedda! (il

culo martellato, messo nel fornello e fatto in cenere ! )"; a Orgosolo: "cras manzanu in

terra nighedda! (domani mattina possiate ritrovarvi in cimitero!)"; a Pattada "gai tinne

restet ' cantu n 'has datu a mie! (che te ne resti quanto mi hai dato!)".

Attestazioni di analoghi comportamenti si hanno anche in altre regioni italiane. A

Potenza, in Basilicata, "li pizzent ', gridando dicevano carità a li vivi e carità a li mort '.

[n tutte le case di famiglie agiate sul fuoco stava il caldaio pieno di cuccìa [ .. . ], cioè

miscela di grano, granone e legumi cotti, per darla in limosina a quanti si prestavano a

chiedere la carità innanzi all'uscio" (Rivie\lo 1 893 : 20 1 -202 cit. in Buttitta 1 996a: 250).

Passarini ricorda che nelle Marche, a Fermo, "in molte famiglie del popolo

specialmente del contado mettevansi in quel giorno a lessar fave entro capaci pajuoli,

che poi le massaie dispensavano a manate alle amiche, ai poveri, e ai bambini del

vicinato andativi ad accattarle" ( 1 875 : 87). Per la Sicilia si può ricordare quanto

avveniva fino a poco tempo fa a Caronia dove, bambini e bisognosi andavano in giro

"con dei cestini o dei tovaglioli per la questua; ma oltre che ricevere pane, uova, noci,

fichi secchi e castagne», ricevevano anche "olio e vino pi l 'armuzzi di Mortt' (Falcone

1 977: 82). Comportamenti analoghi, infine, ha osservato pochi anni addietro Rosario

Perricone a Ribera (Ag) (Perricone 2000).

Le questue infantili, come s'è visto, non sono presenti in Sicilia per la sola Festa dei

Morti ma ricorrono in altre occasioni del calendario rituale tradizionale. Testimonianza

particolarmente significativa ci pare quella raccolta da Grazia Maria Fusto a �1ott� Sant' Anastasia sulle questue che avevano luogo il 3 1 dicembre. In quella occasione 1

bambini si recavano in piccoli gruppi, di porta in porta chiedendo la strina. Dinanzi alle

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abitazioni recitavano una filastrocca per ricevere in cambio i dolcetti che ogni padrona di casa aveva appositamente preparato. Questi dolci si chiamavano mastazzola: un impasto di pasta frolla ripiena di un composto a base di vino cotto. A volte qualche famiglia donava anche arance, mandarini e fichi secchi (Fusto 2003-2004: 1 I ). Particolarmente interessante il riferimento alla semina contenuto nel testo del canto di questua raccolto dalla voce di Giuseppe Pappalardo di Motta Sant' Anastasia (ex contadino di anni 94): "Haiu u cori quantu na nucidda I vaiu ciccannu na mugghieri bedda, I non mi ni curu su gghié picciridda I ci fazzu li scappuzzi cu la papuzzedda, / i quasitteddi cu la giangianedda. I O ma dati o ma pigghiu, I o ma fuiu do cuttigghiu; I c 'è npicciutteddu ca zappa e simina, I rapitimi a porta e datimi a strina. I Sentu nciauru no cufinu I m 'at 'a dari un mannarinu, I sentu n 'ciauru no straduni I m 'at 'a dari ncoppu di vastuni; I c 'è npicciutteddu ca zappa e simina, rapitimi a porta e datimi a strina (Ho il cuore piccolo come una nocciolina, vado in cerca di una bella moglie / non mi importa se è una ragazzina: I le faccio le scarpette eleganti, I le calzine con il sonaglino. I O me la date, o me la prendo I o la faccio fuggire con me dal cortile; / c'è un giovanotto che zappa e semina, I apritemi la porta e datemi i doni della festa. I Sento un profumo nella cesta, I mi dovete dare un mandarino, I sento un profumo nella strada I mi dovete dare un colpo di bastone, I c'è un giovanotto che zappa e semina, I apritemi la porta e datemi i doni della festa)".

Analoghi comportamenti e simbolismi rituali sono segnalati da Propp in varie regioni dell'ex Unione Sovietica ( 1 978: 77 ss.). Varie canzoni di questua facevano riferimento a un buon raccolto: "Dai, Signore, a chi I Abita in questa casa, / Segala folta, I Segala per cenare: I Da una spiga, otto, I Da un chicco un pane tondo, / Da mezzo chicco un pasticcio. I Vi dia il Signore I Vita ed esistenza, I E ricchezza, / Vi dia il Signore '. Ancora di meglio !" (�ejn cit. in Propp 1 978: 90-9 1 ); "Oh ! ovsen ', oh ! Koljada! I E a casa il padrone? I Non è in casa, I è andato a seminare i cereali, / Semina i cereali, I la spiga spigosa, la spiga spigosa, I il chicco chiccoso" (Cicerov cit. in Propp 1 978: 9 I ) . In alcuni casi, come a rendere ancor più esplicita la loro funzione, i questuanti procedevano a una semina simbolica: "in Siberia, all'alba di Capodanno, i 'braccianti' (cioè i bambini), isolati o in gruppo, vanno di casa in casa e 'seminano' l'avena, cosa che si fa anche in Russia. Essi gettavano i chicchi nell'angolo di 'ingresso' o 'bello' (dove ci sono le icone) e cantavano: Semino, soffio, continuo a seminare, I Faccio gli auguri di buon anno, I Auguro di avere bestiame, animali, / Un piccolo .figlioletto. Se era possibile, si facevano molti regali ai piccoli 'seminatori' che erano considerati i preannunciatori del futuro raccolto del grano e della felicità personale. [ ... ]. [Nel governatorato di Saratov] I l primo gennaio, di prima mattina, arrivano i bambini che portano diversi tipi di cereali (frumento, segala, ecc.), li spargono quindi per terra dicendo: affinché ci siano cereali, piselli, li gettiamo, o Signore, affinché ci sia un buon raccolto e frumento e lenticchie ed il padrone di casa goda di buona salute. Poi i bambini augurano buone feste e ricevono per questo dei soldi" (Makarenko cit. in Propp I O I - 1 02).

I l senso sotteso a tutti i riti precedentemente ricordati è palese: con i "morti" deve essere mantenuto un continuo circuito di scambio (in primo luogo alimentare) per rendere prospero il futuro raccolto e apportare benessere alla famiglia. Non è affatto un

26 �-_..::IG�N�AZ�IO�E�.�B�U�TTI�T�fA::_ _____________________ _

caso cioè che siano poveri e bambini a ricevere doni in precise occasioni rituali, né che

nei periodi critici gruppi di mascherati irrompano fragorosamente nello spazio abitato e

vadano questuando per case e fattorie. Simboli rituali riferibili ai morti, agli antenati,

sono infatti anche le maschere cerimoniali.

L 'alterità in maschera. Un sermone attribuito a Sant'Eligio ci segnala una serie di

usi praticati nel periodo delle calende di gennaio: travestirsi da vitello o da cervo, tenere

la tavola imbandita tutta la notte, dare e ricevere regali. A sua volta San Cesario

condanna coloro che si trasformano in bestie selvatiche indossando teste e pelli. E tale

condanna la ritroviamo nel concilio di Auxerre del 573-603 (Verdon 2004: 32-33)

L'uso di andar mascherati da animali, demoni, fantasmi, streghe e quant'altro è pratica

ben nota nel folklore europeo. Il loro tempo è quello che va dall'autunno inoltrato a

primavera. Già Dumézil osservava che "On a souvent constaté que la plupart des

mascarades pratiquées dans l'Europe moderne se situent, suivant les régions, à des

moments qui varient de Noel à Paques: tantòt à l'un de ces points extremes, tantòt à

\'une des stations chrétiennes qui en jalonnent I' intervalle; souvent dans un village, !es

rites sont répétés à plusieurs de ces dates; souvent ils sont placés sur l'une d'elles par un

choix en apparence capricieux" ( 1 929: 3-4). A titolo d'esempio, ricordiamo con Poppi

che in Trentino "le mascherate hanno luogo a certe giunzioni e passaggi cruciali del

ciclo stagionale. Fra questi il ciclo natalizio, col passaggio fra anno vecchio e anno

nuovo ed il ciclo di Carnevale, Quaresima e Pasqua, col relativo passaggio dall'inverno

alla Primavera" ( 1 998: 44). Le prime maschere appaiono i primi di novembre, e in questo senso va in primo

luogo segnalata la tradizione irlandese di Halloween che trova peraltro riscontro nel

continente europeo. Ricorda Maurice Revelard: "Il y a une cinquantine d'années, aux

environs de la fète des morts, les enfants de mon village, dans le centre du Hainaut

beige, avaient coutume de se procurer quelques betteraves, de les creuser, d'y sculpter

des visages et de les éclairer, par l'intérieur, d'un bout de chandelle. Munis de cette

lanterne impovisée ayant l'aspect d'un spectre, ils parcouraient les rues du village à la

nuit tombée, effrayant !es passants ou quémandant quelque menu cadeau. [ . .. ] Selon ma

mère qui avait partecipé régulièrement à la coutume avant la Première guerre mondiale,

ces visages de spectre s'identifiaient à des esprits de l'au-delà, aux morts qui revenaient

hanter le monde des vivants" (2000: 381 ). E Tokarev, che in Estonia: "Il giorno di San

Martino, il l O novembre, [ . . . ] un gruppo di giovanotti mascherati faceva il gior di tutte

le case con canti e musica, chiedendo regali: cibi, nastri, filati; essi battevano i padroni

di casa con rami, poi, ricevuto il dono, ringraziavano e danzavano. Il giorno di Santa

Caterina, il 25 novembre, era la volta delle donne; quella che le capeggiava assumeva la

parte della stessa Caterina, che era considerata la protettrice del bestiame e dei lavori

femminili" ( 1 969: 155).

Ciò che avveniva in area celtica e nord-europea, è altrimenti segnalato anche in

Sicilia, Calabria, Sardegna, dove le questue mascherate tradizionali sono sempre più

confuse o sostituite dagli usi commerciali della festa di Halloween. A Santa Caterina

Villermosa, si ricorda l'uso di questue da parte di gruppi di bambini che coperti con

lenzuola bianche e a lume di lanterna, andavano questuando dopo mezzanotte dolciumi

__ l _M_o_R1_1_1N_Q_U_ES_' _TU_A_. _Fl_G_URE __ D_EL_I._' AJ_:_rh_R_IT_A_,_E_I _RJ_·n_·1_1lA_D_1_z_1 o_N_A_L l_D_E_L_M_E_RJ_D_I O_E_D_'_I · 1_ALJ_A ___ 27

e alimenti per le abitazioni presentandosi esplicitamente come "i morti" (cfr. Greco,

Vizzini 2004).

Particolarmente interessante, in relazione ai mascheramenti animali, segnatamente a

quelli ippomorfi (cfr. Dumézil 1 929; Baumel 1954), una testimonianza di Pasquarelli

sulla "mascherata del cavalluccio", una "antica festa popolare che ha per oggetto di

augurare i prodotti della terra": "Una comitiva di quattro contadini, vestiti da vaccaro -

ed era il capo- da capraio, da porcaro e da contadina armata di uno specchio, girava fin

dall'alba per la campagna, ballando, cantando, facendo mille smorfie e scambietti, in

tutte le mandrie, e ricevevano in dono un agnello o un capretto o cacio o latte. A

mezzogiorno la comitiva girava il paese, raccogliendo manate di frumento e di legumi.

Colme le bisacce, i quattro si ritiravano per ricomparire in piazza l'ultima volta dopo il

vespro. Il capo portava al collo, sospeso ad un nastro, un cavalluccio d'argento, e

quest'emblema della festa si apparteneva all'Università" (1987: 330). Similmente può

dirsi per la mascherata del dzamala: in area slavo-balcanica durante festa di San Dimitri

(26 ottobre) «le dzamala, le chameau, sorte d'animai mythique en osier recouvert de

tissus et porté par une ou plusieurs personnes d'une maison à l'autre, était en réalité

moins un amusement que l'accomplissement d'un rite agraire: la tournée avait pour but

de souhaiter aux cultivateurs une "bonne récolte" pour l'année à venir, juste au moment

de l'enfouissement des graines» (de Sike 1 997: 217).

La data che comunque risulta più estesamente caratterizzata da scorribande di

mascherati in tutta Europa è quella di Carnevale ( cfr. Gaignebet 1974; Caro Baroja

1989; de Sike, a cura, 1 994. Per Italia: Rossi, De Simone 1977; Atzori 1997: in part.

165-180; Morelli, Poppi 1998; Orrù 1999; Bonanzinga, Sarica, a cura, 2003; Grimaldi,

a cura, 2003). Basti pensare ai Blumari, ai Matazini, ai lachè dell'arco alpino, veri e

propri demoni della vegetazione, o alle maschere teriomorfe, provenienti dallo spazio

boscoso e incolto, quali quella dell'Orso e dell'Uomo selvaggio assai diffuse in Nord

Italia, ma presenti anche in Sicilia (come già segnalato, a Saponara in provincia di

Messina), e quelle sarde dei mamutthones, dei merdules, dei boes, maschere queste

ultime che fanno la loro prima apparizione la vigilia di Sant' Antonio Abate insieme al

fuoco della tuva (Buttitta l . E. 2002: 139 ss.). Questa festa, infatti, nel Meridione

d'Italia e non solo, inaugura il tempo del Carnevale. Sant' Antonio è d'altronde investito

di una caratterizzazione ctonia, esibita attraverso simboli che spesso lo accompagnano

nell'iconografia: il fuoco, che una leggenda sarda vuole abbia rubato agli inferi, e il

maiale, l'animale ctonio per eccellenza, ritualmente sacrificato alle divinità della terra

da epoche remote (cfr. Frazer 1990: 561 ss. ; Giancristofaro 2005: 100 ss.; Gimbutas

1990: 146 ss.; Guthrie 1987: 266). Questi elementi insieme al consumo di favate (fave e

maiale) ampiamente diffuso in Sardegna in occasione della festa del Santo abate,

all'uso, osservato in Sicilia (a Santo Stefano Medio, in provincia di Messina), di offrire

in olocausto sul falò carni di maiale, alla consuetudine, diffusa in passato in varie

regioni d'Italia, di allevare uno o più maiali a spese dell'intera comunità, lasciandoli

liberi di circolare per il paese per essere poi venduti o macellati il giorno del Santo (cfr.

Bottiglioni 1922: 62-63; Buttitta I. E. 1999: 32 ss.; Giancristofaro 2005: 100 ss.;

Maticetov 1968; V alla I 894a e 1894b ), sono, infatti, tutti comportamenti rituali

riferibili a divinità infere (cfr. Rossi-De Simone 1977: 6 1 ; Piccaluga 1963: 244-245).

D · rtt.

dagli antenati inoltratosi l ' inverno, dipende più che mai la Vita. Da loro, at mo , ' · · I che in questo periodo di poca luce e di freddo trova�o occasi.one di . aggrr�st sul �

Perficie della terra è necessario però salvaguardarsi: potenti e pencolost, potenti su ' d 1· . .

perciò pericolosi e non tutti ben disposti verso i vivi. �iso�a allora ren er t proptzt no� mancando di offrire cibo e calore; bisogna tenerli a distanza accendendo fuochi, producendo rumori assordanti. Dumézil ha rilevato che uno d�

i valori d�lle .maschere "que le Christianisme a mieux effacée que les autres parce qu elle constttua1t un plus gros blasphème, c'est leur interprétation en 'ames des morts' ou e� ' génies du n_ionde des morts' [ . . . ]; les saisons où se font les mascarades sont remphes �u souv�n� des morts: les fameux Douze Jours son encore, dans la conscience po?ularre, voues a I�� culte" ( 1 929: 44). E Kerényi ha osservato che la masche�a ntuale. va messa m connessione anzitutto con i morti che essa, nella sua applicazione arcaica, rappresen� presso diversi popoli. Essa crea un rapporto tra vivi e morti. Gli � si trasform

.ano neg

.h

altri 0 più esattamente: la maschera determina una loro uruone che s1 compie nell:anima del portatore della maschera, non solo esteriormente. Essa è dunque lo strumento di una trasformazione unificatrice" ( 1 979: 444).

. , La maschera cerimoniale, dunque, lungi dall'essere travestimento, nascondimento, �

rivelazione, cosa concreta che enuncia drammaticamente la sua presenza e con essa il sovvertimento dell'ordine della quotidianità. Accanto alle maschere palesement� riferibili al risveglio primaverile si osservano maschere demoniache e zoomo�fe. S1 tratta di enfatizzazioni di una 0 dell' altra funzione propria delle maschere-mort1. Esse provengono comunque dall' aldilà, dal territorio non an�opizzato, dal selvaggio'. r�

c.�

o dunque le energie più pure. Esse raffigurano il caos mco�?ente ma nece�sano. En milieu rural, leur apparition dans les rues du village, leur v1s1te �ns les ma1sons et les fermes sont investies d'un role magique, garant de protectton, de bonhe�, de prosperité, de fertilité, de mariage, de fecondité [ . . . ] mais a�ss� de c�ntrole vorre de réprobation ou de punition. Tout en marchant le temps et, en de�1t du desordre �pparent que provoquent Jeurs sorties bruyantes, !es masques

. garanttssent la surv1e

,de l

� commaunauté et sont garants du retour à I' ordre socia! et au respect des regi es (Revelard 2000: 382). . . .

Il loro avvento dunque, segnalando la necessità della morte, impone il n�or_no ali� vita. Non diversamente può dirsi dell'opposizione lutto/gioia che contraddtstmgue t cortei funebri del vecchio Carnevale e di consimili figure (cfr. Propp 1 975: 43-8 1 e 1 978: 1 3 1 ss. ) . D'altronde la cadenza calendariale della fe�ta va c�rrelata, come suggerisce Toschi, alla germinazione del seme, al su.o .pass.aggto dal b�1.o,

alla luce, al movimento morte-vita: "Carnevale è una festa prop1ziatona della fert1hta della terra, dell 'abbondanza delle messi. Ora, per generare la nuova spiga o la nuova pianta, il seme deve trascorrere un periodo più o meno lungo sottoterra. Là, nel buio d�lle pla�he inferne, stanno le potenze della generazione, le divinità sotterranee, i démorn, le �rrne degli avi che nella giornata fatidica del ricominciamento del l 'anno, dell '_etemo

. ntorno

del ciclo produttivo, evocati da appositi riti, compaiono sulla terra, e v1 esercitano la loro forza" ( 1 976: 382).

I MORTI IN QUESTUA. FIGURE DELL'ALTERrrA NEI R m TRADl Z IONAU DEL MERJDIONE D'ITALIA ���--=-������--=--=-:....:..:...::..:.:.:....:..:::..:..:....:.:..:..:..::.:.=..:..::..:.:.:..:.::::.::::::..:.:.::::::.::::::.::.:.:.: ��:.:.:__� 29

Osservazioni conclusive. Rinviando per una più estesa analisi dei riti di questua a miei pecedenti lavori (Buttitta I. E. 2006, in part. pp. 1 53 ss. ) mi limiterò in questa sede a mettere in evidenza gli aspetti rituali più conducenti ai fini del presente contributo.

All' interno dei casi di questua presentati è dato distinguere diverse destinazioni finali dei beni raccolti: a) raccolte promosse da "governatori'', "comitati'', confraternite, gruppi più o meno organizzati dirette a finanziare le spese festive o a raccogliere i materiali necessari alla realizzazione di un rito (per es. legna per i falò); b) raccolte promosse da singoli devoti per grazia ricevuta finalizzate all'organizzazione di pranzi per i poveri, nelle quali la pratica della mortificazione (piedi nudi, reiterati itinerari, etc.) assume un ruolo qualificante; c) raccolte effettuate da maschere, demoniache, animali e quant' altro e questue organizzate da bambini e/o ragazzini volte sostanzialmente a raccogliere beni (alimenti, denaro, legna, etc.), ottenuti come "compenso/controparte" delle performances da queste messe in atto, destinati a una fruizione personale o collettiva. Più spesso ali ' organizzazione di un piccolo festino tra i questuanti.

Queste natllfalmente le finalità pratiche e immediate. In quanto "fatto sociale totale" (Mauss 1 99 1 ), la circolazione di beni e servizi esercitata nella logica del dono e controdono, assume valenze molteplici. Tra gli scopi fondamentali di tutte le dazioni cerimoniali vi sono certamente quelli di ingraziarsi periodicamente la divinità e di ritessere, rifondandole anch'esse ciclicamente, le relazioni sociali. Come ha osservato Malinowski: "Ogni atto importante di carattere religioso è concepito come un obbligo morale verso l' oggetto, lo spirito, o il potere adorato; esso soddisfa anche dei bisogni emotivi dell' esecutore; ma al di là di tutto questo ha anche, come dato di fatto, il suo posto in uno schema sociale, è considerato da una terza persona, o da terze persone, come loro dovuto, osservato e poi ripagato o ricambiato con atti analoghi. Quando, per esempio, al ritorno annuale delle anime dei defunti al loro villaggio, voi date un'offerta allo spirito di un parente morto, soddisfate i suoi sentimenti, e senza dubbio anche il suo appetito spirituale, che si nutre della sostanza spirituale del pasto; probabilmente esprimete il vostro sentimento di affetto per il morto. Ma è anche implicato un obbligo sociale: dopo che i piatti sono stati esposti per un certo tempo e lo spirito a finito il suo pasto rituale, ciò che resta -che non appare minimamente peggiore per il consumo ordinario dopo quello spirituale- è dato a un amico o a un parente acquisito ancora in vita, che successivamente restituirà un dono analogo" ( 1 972: 8 1 ) .

Va inoltre osservato che la circuitazione di beni e servizi "vincolata a un'etichetta di status di cui è parte" (Sahlins 1 980: 1 90), viene esercitata in due direzioni: orizzontalmente tra individui appartenenti alla stessa classe sociale o gruppi cui è riconosciuto uno status equivalente, e verticalmente tra individui o gruppi riconoscibili per ceto e per ruolo come "egemoni" (per qualifica, per età, per sesso) e "subalterni". Per ragioni di brevità, e senza alterare il senso generale del nostro discorso, mi limito a segnalare che nel caso delle questue cerimoniali di cui ci stiamo occupando, assunto che i questuanti sono inviati agenti per conto del santo o figure vicariali di entità extraumane e defunti, il rapporto di scambio è, ovviamente, operante tra soggetti appartenenti a livelli diversi. Ciò che merita di essere segnalato è l ' inversione di status

generata dall'agire rituale: i subalterni per sesso (donne), per età (bambini), per ceto

--

(poveri) divengono, nel tempo della cerimonia, egemoni. Il donatore "egemone" cioè,

manifestando la sua prodigalità, rafforza la propria immagine sociale e acquisisce

particolari meriti presso il ricevente, tuttavia si trova idealmente a rivestire, sul piano

rituale, un ruolo di inferiore.

I questuanti rituali sono sempre cioè altro da se stessi e precipuamente agenti del

sacro, inviati degli dèi. Il dono è dunque, tanto più quando rivolto agli dèi, una forma di

investimento a garanzia del futuro benessere: "Chi è caritatevole verso l 'umile fa un

prestito a Yahweh, e Yahweh glielo restituirà" recita un proverbio di Salomone (cit. in

Burkert 2003: 174). La dazione non è in nessun caso atto neutro. I l gesto del donare, è

solo in certi casi e solo indirettamente riferibile ali' istituto cristiano della carità. Esso si

inserisce sempre in un ampio circuito di relazioni e di scambi. Riprendendo alcune

osservazioni di Mary Douglas, Godbout osserva: "Il dono gratuito non esiste; [ . .. ].

Poiché il dono serve innanzi tutto a stringere rapporti; e un rapporto senza speranza di

restituzione (da parte di colui al quale si da o di un altro che si sostituisca a lui), un

rapporto a senso unico, gratuito i questo senso, non sarebbe tale" (1993: 14). Il donare

al questuante cioè non è mai dissipazione. Esso avrà sempre un ritorno su diversi piani

tra loro interconnessi: la gratitudine dei santi e dei defunti, il riconoscimento pubblico

della propria prodigalità, il consolidamento delle relazioni interpersonali, i l

mantenimento dell 'ordine sociale (cfr. Mauss 1991: in part. pp. 175-181). "Le cycle

alimentaire du don et du contre-don engage non l ' individu, mais le groupe tout entier, à '

qui il impose l 'obligation non du travail mais des pratiques magico-religieuses. Par des

offrandes alimentaires aux morts, par des rituels qui instaurent la tutelle des puissances

souterraines sur les espèces végétales, le groupe veille à relancer sans cesse la

circulation entre l 'espace souterrain (hypochthonion) et la surface de la terre

(epichthonion)" (Daraki l 985: 59).

Le prestazioni di dono e controdono, come definitivamente chiarito da Mauss, hanno

"carattere volontario, per così dire, apparentemente libero e gratuito, e tuttavia

obbligato e interessato»" (1991: 157). Questi "obblighi", infatti, vanno "osservati, e

osservati scrupolosamente [ ... ], l'inosservanza colloca l ' individuo in una posizione

intollerabile, mentre la negligenza del loro adempimento lo copre di obbrobrio"

producendo al sua espulsione "dall'ordine sociale ed economico" (Malinowski 1972:

79. Cfr. Lévi-Strauss 1969; Benveniste 1976: 47-75; Pouil lon 1 978; Finley 1 978: 61-

65; Seppilli 1986: 13-54; Mauss 199 1 ; Godbout 1 993; Salzano 200 1 ; Burkert 2003:

165-195). La obbligatorietà del contraccambiare, principio fondamentale della morale

del dono-scambio, esperita in ambito sociale, è il modello cui si conforma il rapporto

tra uomini e entità extraumane. Anche in questo caso il rapporto può essere individuale,

tra u�mo e dio, o collettivo, tra comunità (che spesso agisce attraverso un suo

rappresentante: il sacerdote, il re, etc.) e divinità. Ha osservato Burkert sulla reciprocità

del dare nella Grecia antica: "È con doni, ricambiati, che si stabiliscono e si

mantengono rapporti di amicizia, sia tra gli uomini [ ... ], sia tra l 'uomo e la divinità. La

stessa terminologia e ideologia regola i due tipi di rapporto, mediante lo scambio

(amoiba) di doni (dora) con un criterio di equivalenza (axion). La caratteristica

essenziale di un dono, la pertinenza del suo valore, è l 'aspettativa della reciprocità,

l MORTI L"l QUESTUA. FIGURE DELL'ALTERJTA NEI RJTI TRADIZIONALI DEL MERJOIONE D'ITALIA ���������������....::..:::::..:..:..::..=:...:..=::==..:.:::.:.:::..::....:.:.:.::::.:_� 3 1

amichevole e obbligatoria insieme, che costituisce le relazioni sociali. Le regole della

società e del la religione sono considerate omologhe" (Burkert 2003: 166).

Questa perpetua reciprocità del donare fonda, dunque, in ogni tempo e in ogni

cultura il rapporto tra immanente e trascendente, tra uomini e dei: in cambio di offerte

di monili, statue, edifici sacri, servitù, etc. e sacrifici di animali, alimenti, bevande, le

divinità garantiranno salute e prosperità ai loro fedeli. Questo rapporto è ben

sintetizzato da Riipke a proposito del sacrificio nella religione romana: "Io do al la

divinità qualcosa perché lei dia qualcosa a me. Non mi aspetto di norma, che mi sia

restituito il maiale che ho appena macellato per la divinità, ma mi aspetto come

controprestazione un buon raccolto (come in Catone), una buona semina, un felice parto

senza complicazioni, una purificazione, serenità dopo i l lutto, oppure successo negli

affari. In questa prospettiva il sacrificio assume qualcosa d'una stipulazione di

contratto, si arricchisce d 'una componente giuridica; con il fatto che io ho dato, la

divinità si trova impegnata a restituirmi qualcosa. Anzi, l ' impegno è reciproco: perché

io provvederò naturalmente a ringraziare di nuovo la divinità, con un successivo

sacrificio, se mi avrà dato qualcosa. È uno scambio continuo: la prospettiva di

concentrarsi su un episodio solo, su un unico "io do perché tu dia" della successione di

episodi, è restrittiva. Quella che si stabilisce è una concatenazione di attività di

reciprocità nel dare. Questo è il caso normale" (Riipke 2004: 165-166). '

Chi dona acquisisce dunque meriti mondani e oltremondani e infine il "diritto di

chiedere" in caso di necessità. Qualunque rito di questua vede sempre operare

dinamiche di circolazione e redistribuzione di beni, tanto materiali che immateriali,

fermo restando che l'opposizione materiale vs spirituale nelle società tradizionali, al

pari di quella anima vs corpo, non pare declinarsi con aristotelica nitidezza. Ricorda

Benveniste "Tutto ciò che si riferisce a nozioni economiche è legato a rappresentazioni

molto più vaste che mettono in gioco l ' insieme delle relazioni umane e delle relazioni

con la divinità; relazioni complesse, difficili, in cui le due parti sono sempre implicate"

(1976: 153). Anche il diverso destino finale dei beni raccolti può essere osservato

all' interno di una più generale concezione della festa come momento di promozione di

ordine e ricchezza, di ostentazione di una abbondanza mitica ciclicamente riaffermata.

La comprensione dei diversi comportamenti, se non può esulare da un esame, anche

diacronico, dei singoli istituti festivi, non può aver luogo che all'interno di un modello

sincronico. Partendo dalla constatazione che le azioni di questua sono sempre connesse

a precise cadenze del calendario rituale o comunque legate a celebrazioni festive, esse

possono essere considerate come reiterazione di ''un momento fondante della cultura e

degli organismi sociali grazie all 'uso regolato di grandi quantità di prodotti"

(Giallombardo 1999: 99), come momento costitutivo cioè di un iter volto alla

rifondazione del cosmos naturale e sociale (Buttitta l 996a: 256-265). In questo senso

tutte le questue, vuoi destinate a una fruizione indiretta e comunitaria dei beni raccolti

come nel caso delle manifestazioni festive (luminarie, complessi bandistici, fuochi

artificiali, macchine festive) o delle tavole di San Giuseppe (banchetti collettivi), vuoi a

una fruizione immediata e limitata a singoli o gruppi (denaro, dolciumi, carni,

formaggi, vino per gruppi di bambini e per i cantori), si propongono sempre "a un

tempo come dispositivo generatore (per chi riceve) e propiziatore (per chi dona) di abbondanza" (Bonanzinga 1 999 : 90).

Hanno osservato Mauss e Beauchat a proposito delle feste invernali eschimesi: "Un'altra festa che viene osservata presso gli stessi Unalit, ma il cui equivalente sembra che si trovi in tutti i paesi eschimesi, è quella dei morti. Essa comprende due parti essenziali. Si comincia col pregare le anime dei morti di volersi reincarnare momentaneamente negli omonimi che ogni morto ha in ciascuna stazione (di soggiorno invernale); poiché è usanza che l 'ultimo nato porti sempre il nome del l 'ultimo morto. In seguito, si caricano di doni questi omonimi viventi che rappresentano i morti, si scambiano doni per tutta l 'assemblea e si congedano le anime che abbandonano i loro habitat umani per tornarsene al paese dei morti. Così in quel momento, non solo il gruppo ritrova la sua unità, ma vede rafforzarsi in uno stesso rito i l gruppo ideale composto di tutte le generazioni che si sono succedute fin dai tempi remoti. Gli antenati mitici e storici e quelli più recenti vengono a mescolarsi ai viventi e tutti comunicano insieme con scambi di doni" (Mauss, Beauchat 1 976: 203-204)

NOTE

1 Le informaziorù relative a San Filippo e San Marco mi sono state forrùte dal dott. Mario Sarica 2 Informazioni forrùtemi dalla dott.ssa Marianna Columbano

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