Religione e medicina nel Nuovo Mondo: pratiche tradizionali indigene e sguardo europeo (XVI-XVII...

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CROISEMENTS DISCIPLINAIRES (MÉDECINE, ANTHROPOLOGIE, SOCIOLOGIE)

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CROISEMENTS DISCIPLINAIRES(MÉDECINE, ANTHROPOLOGIE, SOCIOLOGIE)

RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO:SGUARDI EUROPEI E PRATICHE

TRADIZIONALI INDIGENE

MANFREDI MERLUZZI

Medicina indigena e visione europea nel XVI secolo : il lungo para-digma della modernità

Nel 1953, l’antropologo statunitense R. Redfield, fondatore della social antrophology nordamericana, celebre studioso del rapporto tra civiltà e cultura, e della world view delle popolazioni «primi-tive», ragionando sulla formazione di quello che possiamo defi-nire oggi pensiero scientifico, spiegava come esso fosse una carat-teristica della modernità, sostenendo che le popolazioni primitive erano prive della cruciale distinzione tra l’immagine di sé stesse e quella del mondo fisico-naturale che li circondava. Le società «primitive», dunque, rispondevano alle sfide e alle difficoltà del mondo esterno, personalizzando e caricando emotivamente ogni aspetto del mondo che li circondava1. L’antropologo statunitense scriveva sul rapporto tra medicina e religione nelle culture dei nativi americani esattamente cinquecento anni dopo la trascrizione dal nahuatl al latino che diede vita al Codex Bandianus (1553)2, quat-trocento anni dopo la Historia del Nuevo Mundo (1653) del gesuita Bernabé Cobo3, opere di cui ci occuperemo più avanti. Si tratta di una curiosa coincidenza cronologica che, scandendo inevitabil-mente i secoli che separano tra loro questi sguardi sul mondo delle culture «altre», sottolinea la lentissima trasformazione dell’ottica occidentale riguardo alle pratiche tradizionali nelle medicine dei nativi americani.

1 R. Redfield, The primitive world and its transformation, Ithaca, 1953.2 Martín de la Cruz, Libellus de medicinalibus indorum herbis [1552-3], a cura

di J. Badiano, Città del Messico, 1991, detto anche Codex Bandianus.3 B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo, terminata nel 1653, venne pubblicata

integralmente solamente nel 1890-93 a Siviglia, a cura di M. Jiménez de la Espada, presso la Sociedad de Bibliófilos Andaluces. L’edizione a cui facciamo qui riferi-mento è B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo, in Obras del Padre Bernabé Cobo, a cura di F. Mateos, Madrid, 1956 (Biblioteca de Autores Españoles, 91-92).

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Argomento di questo contributo sarà appunto questo «sguardo miope», incapace di cogliere la profonda interdipendenza, nelle popolazioni dei nativi del Nuovo Mondo, tra la dimensione spiri-tuale/cosmica/collettiva e quella corporea/terrena/individuale. Interdipendenza che permeava inevitabilmente anche il rapporto tra mondo religioso e pratiche curative, determinando le funzioni e i ruoli di coloro che somministravano le cure e che fungevano da mediatori fra questi diversi piani. L’intersezione tra queste due dimensioni– motivo di interesse per lo studioso contemporaneo – sfuggiva nella sua poliedricità agli osservatori del XVI-XVII secolo, così come sfuggì ai successivi studiosi europei, o era data per « impossibile» a coloro che si occuparono della storia della medi-cina, almeno sino al superamento del paradigma positivista. Tale intersezione, per altro, è ancora viva presso alcune popolazioni discendenti dalle culture descritte dalle testimonianze spagnole del XVI e XVII secolo, ed è stata messa in evidenza dall’antropologo A. Lupo, che ha osservato come presso i Nahua esista ancor oggi una «stretta associazione tra facoltà percettive, mentali, entità animiche e parti del corpo» che «riflette la concezione monista caratteristica di tante culture «pagane». Tale associazione «non distingue nettamente anima e corpo, spirito e materia»4 e potrebbe probabilmente offrire una risposta alle osservazioni, più oltre richiamate, del gesuita Cobo riguardo all’incapacità dei nativi di specificare esattamente che tipo di malessere essi avessero.

Nel 1969, uno dei più noti studiosi della società azteca, J.  Soustelle, rilevava che « les notions et pratiques relatives à la maladie et à la medicine chez les anciens Mexicains se présentent comme un mélange inextricable de religion, de magie et de science». Di religione, dal momento che le popolazioni indigene ritenevano che alcune delle divinità potessero intervenire sia nel causare le infermità, sia nel provocarne la guarigione. Di magia, poiché la maggior parte delle volte la malattia veniva attribuita a qualche incantamento e si cercava di curarla proprio attraverso altre pratiche magiche. Di scienza, infine, perché la conoscenza delle proprietà terapeutiche delle piante e il loro l’uso, assieme a quello di alcuni minerali e delle tecniche dei salassi e dei bagni,

4 A. Lupo, Fuori di sè. Viaggi ‘sciamanici’ ed esperienze di malattia nel Messico indigeno e meticcio, in I Quaderni del Ramo d’Oro On-line, 2, 2009, L’inganno dei sensi, p. 124-142, cit. p. 129; Lupo rimanda a M. Augé, Genio del paganesimo,Torino, 2002 (ed. or. 1982), p. 73 ss. ; si veda anche il classico M. Mauss, Le tecniche del corpo (ed. or. 1936), ora in Id., Teoria generale della magia e altri saggi, Torino, 1991, p. 385-409.

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«donnent à la medicine aztéque, dans certain cas, une physionomie curieusement moderne». Tuttavia, dei tre aspetti, sottolineava il francese, non vi è dubbio che prevalessero i primi due, (che, ovvia-mente, non potevano essere accettati – né culturalmente, né social-mente – dagli spagnoli) e in particolare quello magico. Il medico, dunque, era soprattutto «un bon sorcier, admis et approuvé par la société, qui réprouvait le jeteur de sorts, l’ensorceleur»5.

La complessità della visione cosmologica dei nativi americani si rifletteva sulla strutturazione delle loro tradizionali pratiche cura-tive, alcune delle quali sono oggi ritenute di particolare interesse (soprattutto negli USA) da diverse discipline scientifiche: non solo l’antropologia, ma anche la storia delle religioni, la psichiatria6,la tossicologia, la chimica7, la psicologia, sino a presentarsi come strumenti utili per la pediatria8. Tuttavia, agli europei sbarcati nel Nuovo Mondo risultava difficile comprendere il rapporto olistico tra spirito, anima e corpo proprio dei sistemi culturali tradizio-nali indigeni senza catalogarlo nell’alveo della «superstizione», indipendentemente dalla predisposizione – favorevole o meno, indulgente o meno –nei confronti degli amerindi. Il domenicano Bartolomé de Las Casas, noto per le sue posizioni a difesa delle popolazioni indigene contro le violenze degli europei, distingueva, parlando della medicina Maya, tre tipologie di medici : médicos,

5 J. Soustelle, La vie quotidienne des Aztèques à la veille de la conquête espagnole,Parigi, 1969, p. 222.

6 D. P. Sulmasy, A biopsychosocial-spiritual model for the care of patients at the end of life, in The Gerontologist, 42, 3, 2002, p. 24-33; L. Kozak, L. Boynton, J.  Bentley, E. Bezy, Introducing spirituality, religion and culture curricula in the psychiatry residency program, in Medical Humanities, 36, 2010, p. 48-51.

7 Fra gli esempi dell’attenzione per le pratiche mediche tradizionali dei nativi, non solo amerindi, cfr : N. I. Hilgert, G. E. Gil, Reproductive medicine in Northwest Argentina : Traditional institutional systems, in Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine, 3-19, 2007; F. S. Ferreira, S. V. Brito, S. C. Ribeiro, W. O. Almeida, R. R. N. Alves, Zootherapeutics utilized by residents of the community Poço Dantas, Crato-CE, Brazil, in Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine, 5-21, 2009 (entrambi on-line : http://www.ethnobiomed.com).

8 Cfr. ad esempio gli studi sugli effetti dello «spiritual and religious engage-ment» legati ai diversi «models of child spirituality from different disciplinary perspectives» condotti da L. L. Barnes, G. A. Plotnikoff, K. Fox, S. Pendleton, Spirituality, religion, and pediatrics : Intersecting worlds of healing, in Pediatrics Journal of the American Academy of Pediatrics, June 2000, p.  899-908. Qui si afferma che «religious practices such as prayer represent the most prevalent complementary and alternative therapies in the United States. However, biomedi-cine has sometimes viewed faith and related religious worldviews as relevant only when they obstruct implementation of scientifically sound biomedical care. Recent efforts to arrive at a new synthesis raise challenges for pediatricians».

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herbolarios e hechiceros9. Gli herbolarios, spesso considerati infe-riori ai médicos, sia per le remunerazioni che per il loro status, venivano convocati generalmente per curare gli indigeni meno abbienti, mentre presso i signori indigeni vi erano sempre medici, pronti ad intervenire tempestivamente. Costoro ricorrevano in prima istanza all’uso di erbe e altri rimedi naturali tradizionali ma, subito dopo, veniva chiamato lo stregone/sacerdote che indivi-duava a quale divinità bisognava rivolgere il particolare sacrificio (compresi i sacrifici di individui con caratteristiche specifiche, inclusi, raramente, i figli dello stesso signore). Alle volte il medico ordinava a costui di confessare i propri peccati, in particolare l’adulterio e la fornicazione, ritenendo che potessero essere causa di irritazione di qualche divinità. Nei casi in cui fosse ammalato un indio comune, il medico interveniva senza l’intervento del sacer-dote, effettuando egli stesso la consultazione degli oracoli divini10.

La tassonomia delle professioni mediche presso gli amerindi, comune a molte delle fonti del XVI e XVII secolo, è ripresa in diversi studi novecenteschi di storia della medicina. P. Prioreschi, medico italiano trasferitosi negli USA, nella sua History of medi-cine, osserva che la distinzione tra «priest, physician, and sorcerer seems at times to be blurred»11, citando l’esempio di Diego de Landa, vescovo francescano di Yucatán, autore della Relación de las cosas de Yucatán del 1566 che utilizza i termini «hechicero» quattro volte : una in relazione con cirujano (chirurgo), un’altra con divinación e altre due con médico, affermando inoltre che le tre figure coincidevano12. Dal nostro punto di vista, tale sovrappo-sizione consente di sottolineare come per gli spagnoli non fosse chiara la distinzione che le culture dei nativi facevano di tali figure e nemmeno la loro funzione sociale, che era, invece, ovvia tra gli indigeni, dal momento che l’esercizio della medicina era eredi-tario13.

Se Prioreschi colloca le pratiche mediche dei nativi americani nel quadro delle «medicine primitive e arcaiche» accomunandole, nella prospettiva dell’evoluzione storica della disciplina, alle medi-cine dell’antico Egitto, dell’India e di altre grandi società arcaiche14,

9 B. de las Casas, Apologética Historia Sumaria, a cura di E. O’Gorman, II, Città del Messico, 1967, p. 514-515.

10 Ivi., p. 525 e 225-226.11 P. Prioreschi, History of medicine, 4 vol., Omaha, 2002 (I° ed. 1961).12 Landa’s relación de las cosas de Yucatán, a cura di A. M. Tozzer, Cambridge

(Mass.), 1941, p. 112, citato in P. Prioreschi, History of medicine… cit., p. 488.13 F. Guerra, La medicina precolombina, Madrid, 1990, p. 155-162.14 P. Prioreschi, History of medicine…cit., I, per la medicina primitiva, natura-

listica e pre-scientifica p. 9-70, per la medicina egizia p. 257-364, per le medicine

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altri, come il bio-chimico B. Ortiz de Montellano, rimarcano la presenza di agenti chimici attivi nelle preparazioni fitoterapeu-tiche degli Aztechi, non senza sottolineare come le loro pratiche comprendessero anche l’uso di rimedi assolutamente privi di effi-cacia dal punto di vista della composizione chimica in relazione al malessere specifico da curare. Partendo dalle conoscenze scien-tifiche attuali applicate allo studio delle culture del passato, egli sembra giungere alla conclusione che l’efficacia della medicina azteca (al netto delle pratiche magiche e rituali) dipendesse dalle sostanze chimiche impiegate, piuttosto che dagli effetti di tipo culturale, lasciando intendere che questi sarebbero una conse-guenza delle prime15.

La «miopia» dello sguardo europeo – deformazione della percezione e dell’attribuzione di senso, originata dall’adozione di una visione dettata dai canoni della cultura occidentale assunta come superiore – caratterizza la visione degli europei del Cinque e Seicento e, per quel che riguarda questo contributo, si declina prevalentemente attraverso le testimonianze di individui apparte-nenti al mondo iberico, siano essi ecclesiastici intenti a combattere la superstizione o laici. Tra questi ultimi, poi, vi erano diverse sensi-bilità legate alle specifiche competenze : medici che tendevano a ribadire la propria scientia come autonoma, pur recependo qualche utile rimedio dalle pratiche indigene, o amministratori, interessati a gestire il problema sanitario e demografico. La «miopia», fondata sulla dicotomia scienza/religione costruita e utilizzata dagli autori di età moderna, si prolungherà, come si è accennato, sino a quella frattura del paradigma positivista nelle scienze sociali che avrebbe consentito, intorno agli anni 1970, la trasformazione dei metodi, degli oggetti e dei presupposti di queste discipline16, anche se nella

dei nativi americani p. 469-520. V. anche G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità ad oggi, Roma-Bari, 2008 (I° ed. 1997), p. 14-34.

15 B. Ortiz de Montellano, Empirical Aztec medicine, in Science, 755, 1975, p. 215-220.

16 Per approfondimenti si rimanda al saggio introduttivo di M. P. Donato. Qui ci si limita a segnalare come, nell’ambito delle discipline storiche, questa trasfor-mazione abbia trovato una corrispondenza, negli ultimi decenni, con l’afferma-zione della «storia globale», che ha permesso di modificare gli strumenti concet-tuali dell’analisi dei rapporti tra Europa e altri mondi. Infatti, la sostituzione del paradigma di «diffusione» con quello di «circolazione» ha contribuito a rinnovare l’interesse per i saperi naturali delle Americhe, quali la botanica e i rimedi medici-nali. Su tali aspetti cfr. fra gli altri : P. Findlen, An artificial nature : Anatomy thea-ters, botanical gardens, and natural history collections, in K. Park, L. J. Daston (a cura di), The Cambridge History of Science, III, Early Modern Science, Cambridge, 2006, p. 272-292; H. J. Cook, Matters of exchange : Commerce, medicine and science in the Ducht Golden Age, New Haven, 2008.

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tradizione di una storia della medicina ad uso dei medici restano tracce del precedente approccio positivista, come nel caso della già citata History of Medicine di Prioreschi, scritta negli anni 1960 ma ancora adottata in ambito universitario negli Stati Uniti.

Ritornando all’antropologia, c’è da sottolineare che le osserva-zioni di Redfield sul rapporto tra civiltà e cultura, la visione del mondo delle popolazioni «primitive», la loro collocazione in rela-zione ad un percorso ascendente verso la definizione di un pensiero scientifico-razionale, non potevano prescindere dalle ipotesi di un altro celebre studioso, il britannico W. H. R. Rivers, studioso dallo spirito innovatore, neurofisiologo, psicologo sperimentale ed etnologo, a cui dobbiamo importanti studi pionieristici anche nell’ambito della psicotraumatologia17, che agli inizi del Novecento si occupò del rapporto tra medicina, magia e religione nelle popo-lazioni malesi e della Nuova Guinea18.

Rivers, nel quadro di un’antropologia agli esordi all’inizio del XIX secolo, sottolineava come «medicina», «magia» e «religione» fossero termini astratti, ciascuno dei quali connotava «a large group of social processes», attraverso i quali «mankind has come to regulate his behaviour towards the world around him». Egli rile-vava come, nelle società occidentali, questi tre gruppi di processi fossero abbastanza distinti tra loro e che uno di essi, la magia, era stato relegato nel «background of our social life», mentre gli altri due rappresentavano «distinct social categories widely different from one another, and having few elements in common». Tuttavia, egli osservava che « if we survey mankind widely this distinction and separation do not exist». Presso molte popolazioni, infatti, questi tre «sets of social process» appaiono strettamente correlati e inestricabili, e « the social processes to which we give the name of Medicine can hardly be said to exist, so closely is man’s attitude towards disease identical with that which he adopts towards other classes of natural phenomena»19.

17 Dello studioso britannico – attivo nel primo ventennio del XX secolo con importanti studi sui sistemi di parentela e creatore del metodo di raccolta dei dati genealogici per l’analisi dei sistemi di discendenza e parentela – si ricordano, fra le opere pubblicate postume: Psychology and ethnology, Londra, 1926, e Social orga-nization, del 1924 pubblicato a cura di W. J. Perry, Londra, 1968.

18 W. H. R. Rivers, Medicine, magic and religion: The Fitzpatrick Lectures delivered before the Royal College of Physicians of London 1915 and 1916, with a preface by G. Elliot Smith, Londra-New York, 2001 (I° edizione Londra, 1924).

19 Ibid., p. 1. Sul classico dibattito nell’antropologia nascente tra culture primi-tive e moderne rispetto alla scienza cfr., tra gli altri, R. Horton, Lévy-Bruhl, Durkheim, and the Scientific Revolution, in R. Horton, R. Finnegan (a cura di), Modes of thought: Essays on thinking in Western and Non-Western societies, Londra, 1973, p. 249-375.

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Si possono a questo punto rievocare le osservazioni di C.S.Kidwell, una studiosa della scienza specializzatasi nelle culture dei nativi americani20, per la quale la differenza tra Europei e nativi americani al momento del loro incontro risiedeva principalmente « in their differing assumptions about the nature of the physical world». Infatti, benché « the natural world of 1492 was alive with Aristotelian concepts of natural place, transmuta-tion of elements under the influence of philosophers’ stones, and mysterious forces of magnetism, to name but a few», gli Europei lo consideravano tuttavia sempre più come «purely mechanical», mentre, al contrario, i nativi americani «continued to view them as personal attributes of spiritual beings»21. La comprensione degli europei del mondo naturale si stava progressivamente fondando sul concetto di « lawful behavior of natural forces», mentre le credenze degli indios erano basate, al contrario, sul «willful beha-vior of those forces». Se gli Europei, quindi, presupponevano un’analisi razionale di tali forze, gli indios americani cercavano l’interazione con queste « forces of nature» attraverso sogni, visioni, cerimonie perseguendo « intuitive and personal ways of comprehending and controlling those forces»22. A presiedere queste funzioni di mediazione nelle società dei nativi americani erano preposti proprio quei sacerdoti e quelle diverse tipologie di attori «medico-sanitari» le cui pratiche gli osservatori spagnoli criticavano perché legate al mondo spirituale, animistico, reli-gioso dei culti preispanici23.

A lungo, dunque, gli studiosi europei e statunitensi hanno frainteso come le pratiche curative dei nativi americani, seppur con differenze specifiche, comprendessero nel contempo sia la dimensione terrena che quella animistica o sovrannaturale (come del resto avveniva in molte delle medicine arcaiche), sia quella individuale che quella sociale. Più recentemente, l’attenzione di coloro che, con approcci differenti, si avvicinano allo studio della medicina tradizionale indigena, si è soffermata proprio

20 C. S. Kidwell, A. Velie (a cura di), Native American studies, Edinburgo, 2005; C. S. Kidwell, H. Noley, G. Tinker (a cura di), A Native American theology, New York, 2001; C. S. Kidwell, Systems of knowledge, in A. M. Josephy (a cura di), America in 1492: The world of the Indian Peoples before the arrival of Columbus, New York, 1992; C. S. Kidwell, Native knowledge in the Americas, in Osiris, 2a serie, 1, 1985, Historical writing on American science, p. 209-228.

21 C. S. Kidwell, Native knowledge in the Americas… cit., p. 209-210.22 Ivi, p. 210.23 Un contributo da non trascurare è G. M. Forster, Relationship between

Spanish and Spanish-American folk medicine, in Journal of American Folklore, 66, 1953, p. 201-217.

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sulla dimensione spirituale e, come nel caso di molti ricercatori perlopiù statunitensi, sull’interazione tra i diversi piani24. Molte delle healing practices degli amerindi ricorrevano a complessi rituali religiosi, in cui gli aspetti simbolici e materiali erano volti a ristabilire l’equilibrio tra la dimensione terrena e quella ultrater-rena, tra il mondo degli dei (o degli spiriti, o degli antenati) e la comunità sociale di appartenenza. Strumento privilegiato d’ana-lisi delle conoscenze delle culture dei nativi americani diventa, secondo Kidwell, l’ethnoscience, in grado di comprendere non solo le manifestazioni culturali ma anche le relazioni valoriali tra di esse25 ; anche se la maggior parte degli studi recenti sulle medi-cine e sulle religioni dei nativi americani sono ancora condotti da antropologi e etnologi26.

Guardare gli indios attraverso gli occhi europei : le fonti e i loro pro-blemi metodologici

Al di là delle diverse metodologie e posizioni epistemologiche con cui sono impostate le ricerche degli studiosi citati, a questo punto, si rende necessario esaminare gli autori (ovvero le fonti del XVI e XVII secolo) che, con voci, ruoli, intenzionalità differenti hanno iniziato a configurare per il Nuovo Mondo il paradigma della modernità della medicina e quello della religione nettamente divisi.

Soffermandosi sulle differenze che supportavano la conce-zione scientifica degli Europei del XVI e XVII sugli indios ameri-

24 L. E. Sullivan (a cura di), Healing and restoring : Health and medicine in the world’s religious traditions, New York, 1989. J. Z. Bowers, E. Purcell, Aspects of the history of medicine in Latin America : Report of a conference, New York, 1979, in particolare alle p. 16-53 (Disease and concept of disease in Ancient Peru) e alla p. 54 che si sofferma sulla cultura Maya (Nutrition and Feeding Practices). Inoltre si vedano: G. M. Forster, Hippocrate’s Latin American legacy. Humoral medicine in the New World, Amsterdam, 1994; G. M. Forster, On the origin of humoral medicine in Latin America, in Medical Antrophology Quarterly, 1, 1987, p. 355-393.

25 C. S. Kidwell, Native knowledge in the Americas… cit., p. 211-215.26 Oltre ai già citati studi di Austin, Botta, Lupo, Signorini, segnaliamo, tra

gli altri : L. Andermann, ‘The Great Seeing’ : The senses in Zincacanteco ritual life, in D. Howes (a cura di), The varieties of sensory experience. A sourcebook in the antrophology of the senses, Toronto, 1991, p. 231-238; C. Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, 1987 (ed. orig. 1973) ; A. Lupo, Aire, viento, espíritu. Reflexiones a partir del pensamiento nahua, in J. A. González Alcantud, C. Lisón Tolosana (a cura di), El aire. Mitos, ritos y realidades, Barcellona, 1999, p. 229-261; A. Lupo, Incontro, fusione e conflitto tra saperi medici nel Messico indigeno, in L. Giamielli (a cura di), Mesoamérica como área de intercambio lingüístico y cultural, Siena, 2007, p. 77-94.

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cani, Kidwell osserva che l’utilizzo delle antiche fonti deve essere fatto con le necessarie accortezze, dal momento che sono di carat-tere più etnografico che storico27. Esse sono sincroniche piuttosto che diacroniche, ovvero forniscono un ritratto di una cultura in un momento dato della sua storia (come fossero un’istantanea) piuttosto che interessarsi alle sue trasformazioni evolutive nel tempo28. Queste osservazioni metodologiche ci introducono nella non trascurabile questione delle fonti disponibili per lo studio delle pratiche mediche e religiose delle popolazioni dei nativi ameri-cani e del modo in cui esse definiscono l’interazione tra il piano religioso-magico-culturale con quello medico. Alle notazioni di Kidwell, dunque, va senz’altro aggiunta la consapevolezza della prospettiva con la quale tali fonti sono state prodotte e del profilo dei loro estensori.

Le fonti del periodo sono numerose e ci testimoniano un certo interessamento da parte degli Europei per le pratiche mediche tradizionali degli indios, che ne evidenzia, talvolta con curiosità, altre con pregiudizio negativo, l’esoticità rispetto alle pratiche europee : in sostanza la diversità è spesso condannata perché legata ad un ambito religioso ritenuto dagli spagnoli del XVI secolo connotata da pratiche idolatriche, diaboliche o quantomeno segno distintivo di una cultura inferiore. Dal momento che, per quanto ne sappiamo, le popolazioni indigene americane non conoscevano sistemi di scrittura alfabetica paragonabili a quelli europei, le testi-monianze dei cronisti e naturalisti europei, in gran parte religiosi spagnoli, sono indispensabili per indagare molti aspetti della loro cultura. Ci troviamo dunque a lavorare su materiali raccolti da europei del XVI e XVII secolo su civiltà a loro contemporanee, ma le cui culture tradizionali si stavano rapidamente trasformando proprio a causa dell’incontro con la cultura degli spagnoli.

Nella nostra analisi partiremo dal gesuita spagnolo Bernabé Cobo, autore di una delle più ambiziose opere dedicate alla Historia del Nuevo Mundo, scritta tra il 1609 e il 1653, che ci offre un esempio, per molti versi paradigmatico, del punto di vista degli spagnoli del XVI e degli inizi del XVII secolo circa la medi-cina tradizionale dei nativi americani e le loro pratiche mediche e religiose. Cobo, infatti, si occupa della medicina tradizionale indigena nella prima parte della sua opera, nel XIII libro, dedi-cato alle religioni andine e in quello successivo. Nel primo, dopo

27 C. S. Kidwell, Native knowledge in the Americas… cit., p. 209-214.28 Ivi., p. 211.

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aver riferito le credenze e i culti incaici, egli si sofferma a lungo sui vari aspetti delle « idolatrias» andine : nel XIII capitolo tratta «De los sacerdotes y oficios que tenían» ; nel XIV «De los sortile-gios» ; nel XV «De los hechiceros médicos y las supersticiones que usaban en curar» ; nel XVI «De los adivinos, y cómo invocaban al demonio»29. In breve, per dirla con le sue stesse parole, si occupa di «cómo en todas las curas que hacían estos indios peruanos intervenían supersticiones y hechicerías»30. Successivamente nel capitolo X del libro XIV, dopo aver descritto il modo in cui si vesti-vano gli indigeni, la loro lingua, il loro sistema educativo, la loro arte militare, la loro conoscenza dell’agricoltura, affronta « lo que toca al arte de la medicina, de sus médicos y modo que tenían en curar»31.

Anche ad un autore come Cobo, molto accurato nella descrizione dei dettagli naturali, minerali e vegetali del Nuovo Mondo, quasi sempre raccolti o verificati personalmente in oltre quarant’anni di ricerca, conoscitore delle lingue indigene quechuae aymara, interessato anche alla stessa organizzazione della vita delle comunità indigene (spicca nella sua opera la descrizione del complesso sistema di suddivisione dell’area urbana del Cuzco in ceques, porzioni dal valore anche simbolico)32, sfugge la compren-sione del nesso fondamentale che legava le healing practices dei nativi con il mondo sovrannaturale33. Egli spiegava come, nono-stante si trattasse di «gente bárbara y de poco saber», fossero stati spinti dal loro «amor de la vida que es natural a todos los hombres» ad individuare i rimedi per «conservalla y defendella». Ma si trat-tava sempre di rimedi semplici, tradizionali, fondati sull’impiego di erbe medicinali e non sulla combinazione di più componenti. Nonostante i loro medici fossero «comúnemente viejos y experi-mentados», egli riteneva che gli indios raggiunsero «muy poco conocimiento» delle infermità «con distinción y nombres parti-

29 B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo… cit., II, rispettivamente alle p. 224, 225, 227.

30 Ivi., II, p. 256.31 Ivi., II, p. 256-258.32 Cfr. F. Matos, Introducción, in B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo… cit.,

p.  I-XLVII. Cobo conobbe personalmente, nei suoi soggiorni nelle diverse aree peruviane, personaggi quali Alonso Topa Atau, nipote dell’Inca Huayna Capac ed ebbe accesso alle tradizioni preispaniche. Sul sistema dei ceques e la sua inter-pretazione T. R. Zuidema, Etnologia e storia. Cuzco e le strutture dell’impero Inca,Torino, 1971 (ed. or. 1964) ; N. Wachtel, La vision des vaincus. Les indiens du Pérou devant la conquête espagnole, Parigi, 1971.

33 C. S. Kidwell, Native knowledge in the Americas… cit., p. 210.

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culares»34. Tale diffusa ignoranza, per la quale i pazienti risponde-vano solamente «que le duele el cuerpo, o que le duele y se le aflije el corazón», lasciando ai medici il difficile compito di fare le loro diagnosi, aveva portato ad una scarsa conoscenza dell’anatomia umana, del suo funzionamento e, pertanto, anche delle cure per rimediare alle sue infermità35.

Per queste ragioni, secondo il gesuita spagnolo, i medici si erano perfezionati soprattutto nel trattare piaghe e ferite, che rappresen-tavano «cosa patente y manifesta», giungendo a conoscere «parti-culares yerbas para curarlas»36. Infatti, senza gli strumenti intellet-tuali e concettuali per approfondire la conoscenza della fisiologia umana (che per il gesuita era di stampo ippocratico-galenico), essi avevano perfezionato le capacità curative riguardanti solo le mani-festazioni esterne e palesi37 : un’analisi che conferma sia quanto suggerito da Kidwell e Durand-Forster sulla differenza del pensiero scientifico europeo e indigeno dell’epoca successiva alla scoperta del Nuovo Mondo, che quanto osservato da Lupo.

Cobo –  che utilizza sempre il tempo passato quando si rife-risce a pratiche indigene preispaniche, come a sottolinearne la discontinuità con la «nueva república» ricca di «mucha piedad y religión»38, edificata grazie all’evangelizzazione degli spagnoli –è tuttavia costretto a riconoscere le approfondite conoscenze di piante medicinali delle popolazioni dei nativi, che erano state utili anche agli spagnoli : «se hallaban algunos grandes herbolarios, de los cuales habemos nosotros venido a conocer de muchas plantas que usamos ya en nuestras curas». Egli spiega come gli indi-geni conobbero pure «ser provechosa la evacuación por sangría y purga» ma «no supieron de pulso ni mirar la orina», poiché mancavano «del conocimiento de las venas» ; inoltre, non manife-starono alcuna «atención ni respeto en aplicar estas medicinas a las complexiones de los enfermos ni a las causas de que procedían los males ; porque no tuvieron noticia de los cuatros humores más de la sangre, sin investigar su naturaleza y propiedades».39 Il gesuita doveva però riconoscere alcuni successi delle tradizionali pratiche

34 B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo… cit., II, p. 256.35 Ivi., II, p.256-257.36 Ivi., II, p.257.37 A. I. Prieto, Missionary scientists : Jesuit science in Spanish South America,

1570-1810, Nashville (Texas), 2011, p. 99-101. Interessante il confronto con l’Historia Natural y Moral de las Indias di J. de Acosta, alle p. 101-105.

38 B. Cobo, La fundación de Lima, in B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo… cit., II, p. 282-461, p. 359.

39 Ivi., II, p. 257. Sulla teoria dei quattro umori vedi in sintesi G. Cosmacini,Storia della medicina e della sanità in Italia, Roma-Bari, 2005 (I° ed. 1987), p. 32.

318 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

curative indigene: in particolare, i salassi, che avevano portato a diverse guarigioni «particularmente en aquella peste general» del 1589, e la conoscenza di «yerbas extraordinarias y de muy gran virtud» per la cura delle ferite40.

L’attenzione alle diverse piante medicinali e ai loro utilizzi, alla presenza di strumenti per la catalogazione delle specie vegetali, riscontrabile oltre che in Cobo anche in altri cronisti-naturalisti spagnoli (López de Gómara, Sahagún, Hernández), rispecchia l’attenzione particolare che gli Europei maturarono, tra il XVI e XVII secolo, nei confronti del Nuovo Mondo, la sua alterità, ma soprattutto la sua straordinaria ricchezza di diverse specie bota-niche e zoologiche. A tale proposito è stato da tempo osservato che, proprio in seguito alla scoperta del Nuovo Mondo e delle esplorazioni geografiche, la botanica «va véritablement prendre son essor». Le nuove specie stimolarono i tentativi di classifica-zione e spinsero anche ad indagarne le proprietà curative. Inoltre, diverse specie vennero introdotte in Europa, dove furono creati dei giardini botanici per accoglierle e, contemporaneamente, vennero istituite cattedre di botanica presso diverse scuole di medicina europee. Così, nonostante i pregiudizi culturali dei religiosi e dei cronisti-naturalisti europei circa le pratiche mediche e religiose dei nativi, a seguito del contatto con il mondo americano e con quello asiatico, «dans tout le monde européen, cette botanique médici-nale tente lentement de se constituer en science»41.

Si impone qui una breve digressione circa gli agenti patogeni. Come nel caso della divinità azteca Tlaloc –  divinità dell’acqua, ritenuta responsabile delle malattie reumatiche e dei raffreddori –esisteva una stretta relazione esistente, per gli amerindi, tra le cause divine, magiche e naturali delle infermità42. L’idea di una pato-genesi dovuta ad un’influenza maligna sul corpo umano contem-plava anche l’« intrusione» in esso di oggetti estranei : pietre, insetti, vermi. In alcuni casi, infine, si riteneva che le malattie fossero

40 Fra i successi delle pratiche indigene, cita il caso di una frattura scomposta per la quale «los cirujanos» spagnoli pensavano di dover ricorrere all’amputazione, mentre un «indio viejo» riuscì a curarla con rimedi tradizionali nonché i risultati dei salassi nel corso della peste (B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo… cit., II, p. 257-258).

41 J. de Durand-Forest, Aperçu de l’histoire naturelle de la Nouvelle-Espagne d’après Hernandez, les informateurs indigènes de Sahagun et les auteurs du Codex Badianus, in J. Chenu, J.-P. Clément, J. de Durand-Forest, J. de Durand, M. Rojas Mix, A. Saint-Lu (a cura di), Nouveau Monde et renouveau de l’histoire naturelle, I, Parigi, 1987, p. 3-27, cit. p. 6-8. La studiosa menziona i giardini botanici di Padova, Pisa, Firenze, Bologna, Parigi e Montpellier e cita la prima cattedra di botanica che sorse a Padova nel 1553.

42 F. Guerra, Aztec medicine, in Medical History, 10, 1966, p. 315-338.

319MANFREDI MERLUZZI

causate da agenti naturali quali il calore (con effetti patologici alla testa, al cuore, agli occhi), o il freddo (all’addome)43.

È noto che nella cultura azteca dominava il concetto di tonalli :una parte, cioè, della personalità dell’individuo, collocata nella testa e correlata alla sua sorte e fortuna che, ricevuta alla nascita, era essenziale per determinarne la crescita, il vigore, il valore44. I nobili quindi possedevano più tonalli dei plebei, perché era necessario alle loro attività di governo45. Ma il vocabolo indicava allo stesso tempo anche «calore», « luce», «sole», «giorno», ed era possibile che un individuo perdesse il proprio tonalli, generalmente per punizione divina, cadendo così preda di ogni sorta di malattia e rischiando anche la morte. Per queste evenienze, la società azteca prevedeva un curatore specialista, lo tenonalmacan che si occupava di curare il tonalli, cercando di ricomporre la frattura intervenuta fra l’indi-viduo malato e le divinità da lui offese46. Tale continuo dialogo tra dimensione interna (individuo, anima, comunità, mondo terreno) e dimensione esterna (divinità, mito, cosmo, mondo ultraterreno) veniva scandito da pratiche rituali spesso collettive – che include-vano anche i sacrifici – in cui la presenza del canto e della musica coinvolgeva le figure che fungevano da mediatori tra questi due mondi, sacerdoti e sciamani.

43 P. Prioreschi, History of medicine… cit., I, p. 497; G. Somolinos D’Ardois, La medicina en las culturas mesoamericanas anteriores a la conquista, Città del Messico, 1978, p. 70. Sugli incantatori maligni, cfr. A. López Austin, Textos de Medicina Náhuatl, Città del Messico, 1975, p. 33. Per un confronto con la medicina europea si vedano A. Clericuzio, La macchina del mondo. Teorie e pratiche scienti-fiche dal Rinascimento a Newton, Roma, 2010 (I° ed. 2005), p. 67-88; M. P. Donato, Morti improvvise. Medicina e religione nel Settecento, Roma, 2010, soprattutto alle p. 75-112 e 131-160.

44 A. López Austin, The human body and ideology concepts of the Ancient Nahuas, 2 vols., Salt Lake City (Utah), 1988 (I° ed. 1980), I, p. 204-229 e p. 461 ss. Secondo alcuni studiosi, il concetto di tonalli potrebbe essere assimilato a quello occidentale di anima (cfr. G. Somolinos D’Ardois, La medicina en las culturas meso-americans… cit., p. 69-70) ; secondo Prioreschi, è difficile identificare l’«anima» con il tonalli, dal momento che vi erano altre «forze animistiche», ciascuna legata ad alcuni aspetti caratteriali e fisici dell’individuo, così come a determinate pato-logie, la teyolia, collocata nel cuore, oltre allo ihiyotl, collocato nel fegato. Per approfondimenti : P. Prioreschi, History of medicine… cit., I, p. 497-498; A. Lupo, Nahualismo y tonalismo. Transformación y alter ego, in Arqueología Mexicana, 35, 1999, p. 16-23; I. Signorini, A. Lupo, I tre cardini della vita. Anime, corpo, infermitá tra i Nahua della Sierra di Puebla, Palermo, 1989, p. 51-71; G. M. Foster, Nagualism in Mexico and Guatemala, in Acta Americana, 2, 1-2, 1944, p. 85-103; L. Tranfo, Tono e nagual, in I. Signorini (a cura di), Gente di laguna. Ideologia e istituzioni sociali dei Huave di San Mateo del Mar, Milano, 1979, p. 136-163.

45 B. Ortiz de Montellano, Aztec medicine, health, and nutrition, New Brunswick-Londra, 1990, p. 58.

46 P. Prioreschi, History of medicine… cit., I, p. 496-498.

320 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

Ritornando alle fonti, tra tutte le società di nativi americani, esse sembrano privilegiare quelle stanziali, focalizzandosi sulle princi-pali culture della mesoamerica : gli Aztechi o Méxica e i Maya, e del mondo andino, gli Inca ; anche se autori come Francisco López de Gómara (1510-1572) si occupano anche del mondo antillano, soprattutto in relazione alle patologie che gli spagnoli importarono in Europa da quelle isole.47 Diverse le fonti di area mesoamericana, ricche di elementi utili per la conoscenza del sistema di cura tradi-zionale, che ci consentono, in parte, di evincerne il collegamento con l’ambito religioso. Probabilmente la più sorprendente e ricca è l’opera del francescano Bernardino de Sahagún (1500-1590), scritta in nahuatl tra il 1558 e il 1569, successivamente tradotta dallo stesso autore in spagnolo tra il 1576 e il 1577, la Historia general de las cosas de Nueva España48. Composta avvalendosi di testimonianze e collaborazioni di nativi «habiles en su lengua» e conoscitori delle «antiguallas», con il supporto di codici pittogra-fici indigeni e di «cuatro o cinco colegiales, todos trilingues»49, la fonte – disponibile in due versioni manoscritte – è ben nota agli studiosi iberoamericanisti, poiché presenta caratteristiche di stra-ordinarietà, sia per l’originalità che per la complessità della sua struttura50. Così esordisce Sahagún nel Prologo :

El médico no puede aceradamente aplicar las medecinas al enfermo sin que primero conozca de qué humor o de qué causa procede la enfermedad. De manera que el buen médico conviene sea docto en el conocimiento de las medecinas y en el de las enfermedades, para aplicar conveniblemente a cada enfermedad la medecina contraria. Los predicadores y confesores,

47 Gómara si riferisce alla sifilide, che egli chiama «bubas» e che ritiene essere originale dell’isola di Hispaniola, F.  López de Gómara, Historia General de las Indias, II, Conquista del Méjico, [Saragoza, 1552], ed. P. Guibelalde, I, Barcellona, 1965, p. 54 ; Gómara (ivi., p. 191-192) racconta anche delle epidemie di «viruela» che considera quasi un contrappasso per aver contagiato gli spagnoli con « las bubas».

48 B. de Sahagún, Historia general de las cosas de Nueva España, a cura di J. C. Temprano, 2 vols., Madrid, 1990 (Crónicas de América, 55ª-55b).

49 Cit. in J. C. Temprano, Introducción, ivi., I, p. XV.50 Il primo esemplare, noto come Codex Florentinus, ricco di pregevoli illu-

strazioni è conservato presso la Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze (Codex Florentinus, ms 218-220, Collezione palatina) ; il secondo è posseduto dalla Biblioteca della Real Accademia de la Historia di Madrid (Códice castel-lano de Madrid, o Manuscrito de Tolosa, ms A77, Collección de Muñoz, 50.9-4812). Sui due manoscritti cfr. J. C. Temprano, Introducción, in B. de Sahagún, Historia general… cit., I, p. XXVII-XLI. Sull’opera di Sahagún si vedano, tra gli altri : M. S. Edmonson (a cura di), Sixteenth centry Mexico : The works of Sahagún,Albuquerque (N. Mexico), 1974; M. León-Portilla, Bernardino de Sahagún: pionero de la antropología, Città del Messico, 1999.

321MANFREDI MERLUZZI

médicos son de las ánimas; para curar las enfermedades espirituales conviene tengan esperitia de las medecinas y de las enfermedades espiri-tuales : el predicador de los viçios de la república para endereçar contra ellos su doctrina, y el confessor (sic) para saver preguntar lo que conviene y entender lo que dixeren tocante a su oficio. [...] Los pecados de idolatría y ritos idolátricos, y superstiçiones idolátricas y agüeros, y abusiones y ceri-monias idolátricas, no son áun perdidos del todo.

Para predicar contra estas cosas, y aun para saver si las hay, menester es de saber cómo la usaban en tiempo de su idolatría, que por falta de no saber esto en nuestra presencia hazen muchas cosas idolátricas sin que lo entendamos51.

Un altro importante contributo venne scritto, sempre in lingua nahuatl, da un medico indigeno latinizzato, nato a Zacapán (Xochimilco) verso la fine del XV secolo, che in età avanzata eser-citava presso il Collegio de la Santa Cruz di Tlaltelolco con il nome ispanizzato di Martín de la Cruz (14?-15?)52. La versione originale, intitolata Amate Cehuatl Xihuitl Pitli, ricca di disegni raffiguranti ben centonovantotto specie botaniche messicane utilizzate tera-peuticamente, purtroppo è andata perduta ma il testo è giunto sino a noi grazie alla traduzione in latino pubblicata nel 1522 da Juan Badiano (1484-1560), un indigeno di origine nobile che aveva risieduto presso lo stesso collegio, intitolata Libellus de medicina-libus indorum herbis (detta Codex Badianus). Vi vengono descritte le proprietà terapeutiche di piante, minerali ed animali dell’area mesoamericana e riveste particolare interesse proprio per esser stato composto da parte di un appartenente alla cultura nativa, costituendo, così, una delle poche fonti indigene a disposizione53.

Un passo importante nell’ampliamento sistematico delle cono-scenze sul Nuovo Mondo venne compiuto nel 1570, quando il sovrano spagnolo Filippo II insignì il noto medico e naturalista tole-dano Francisco Hernández (1515-1587), del titolo di protomédico general de nuestras Indias, islas y tierra firme del mar Océano affi-dandogli una spedizione scientifica nei territori americani, princi-palmente della Nuova Spagna. Hernández soggiornò in America centrale e Messico dal 1571 al 1577 raccogliendo abbondanti infor-mazioni e campioni di piante, animali e minerali del Nuovo Mondo (riempì oltre trentotto volumi di disegni e annotazioni). Egli si interessò alle loro potenzialità terapeutiche che vennero descritte

51 B. de Sahagún, Historia general… cit., I, p. 1.52 Fray Agustín de Betancourt, Cronica de la Provincia del Santo Evangelio de

Mexico, Città del Messico, 1697, p. 447-448.53 M. de la Cruz, Libellus de medicinalibus indorum herbis… cit.

322 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

nella sua Historia Natural de Nueva España54. Hernández scrisse anche la Nova Plantarum, animalium et mineralium mexicanorum historia55, in cui compì un’opera di adattamento dei dati raccolti sulla medicina dei nativi americani agli insegnamenti di Galeno e Dioscoride56. Purtroppo il medico toledano morì prima di pubbli-care la sua opera, che venne affidata dal re al suo medico di camera – il napoletano Nardi Antonio Recchi (o Recco) –, coll’intento di pubblicarne una edizione abbreviata, ma la sua morte ne impedì la pubblicazione che vide luce solo a Roma nel 165157.

Negli ultimi decenni del XVI secolo, l’interessamento della Corona di Spagna per i segreti del Nuovo Mondo era crescente, così, parallelamente alla missione affidata al medico Hernández, nel 1577, Filippo II ordinò la raccolta delle cosiddette Relaciones geográficas : un questionario in cinquanta paragrafi che era stato elaborato dal cronista e cosmografo reale Juan López de Velasco. Concepito come uno strumento di raccolta di dati sensibili per il governo dei territori americani, trattavano una gran quantità di aspetti della vita delle comunità indigene, dall’origine del nome alle circostanze della loro scoperta, dalla descrizione fisica dell’area alle « inclinaciones y manera de vivir». Vennero inoltrate al viceré del Messico e da questi alle autorità locali, alcaldes mayores e corre-gidores, affinché provvedessero alla loro compilazione. Rimaste incompiute alla morte del sovrano nel 1598, di questo ambizioso progetto si conservano solo centosessantotto relazioni sulla Nuova

54 Sulla Historia di Hernández cfr. Textos de medicina náhuatl, a cura di A. López Austin, Città del Messico, 1975, p. 125-140; J. M. López Piñero, J. Pardo Tomás, La influencia de Francisco Hernández, 1515-1587, en la constitución de la botánica y la materia médica modernas, Valenzia, 1996; R. Chabrán, C. L. Chamberlin, S. Varey (a cura di) The Mexican Treasury : The writings of Dr. Francisco Hernández, Stanford, 2000; S. Varey, R. Chabrán, D. B. Weine, Searching for the secrets of nature : The life and works of Dr. Francisco Hernández, Stanford, 2000; J. Pardo Tomás, Los cronistas de Indias y la ciencia. Francisco Hernández, un adelantado de la explor-ación naturale del Nuevo Mundo, in Ciencia y técnica en Latinoamérica en el período virreinal, I, Madrid, 2005, p. 56-76. Più in generale, si veda inoltre J. Pardo Tomás, M. L. Terrada, Alimentos, drogas y medicina en las primeras relaciones y crónicas de Indias in J. López Piñero (a cura di), Viejo y Nuevo Continente : la medecina en lo encuentro de dos mundos, Madrid, 1992, p. 195-220.

55 F. Hernández, Rerum medicarum nova Hispaniae thesaurus sev plantarum animalium mineralium mexicanorum historia, [1628], Roma, 1992.

56 J. Somolinos, Historical sources for research in Pre-Hispanic medicine in México, in Boletín de la Sociedad Méxicana de Histõria y Filosofía de la Medicina, II, 21-25, 1974, citato in P. Prioreschi, History of Medicine... cit., p. 496, n. 110.

57 S. Brevaglieri, Il cantiere del Tesoro Messicano tra Roma e l’Europa. Pratiche di comunicazione e strategie editoriali nell’orizzonte dell’Accademia dei Lincei (1610-1630), in S. Brevaglieri, L. Guerrini, F. Solinas, Sul Tesoro Messicano & su alcuni disegni del Museo Cartaceo di Cassiano dal Pozzo, Roma, 2007, p. 1-68.

323MANFREDI MERLUZZI

Spagna, trattanti di circa quattrocento pueblos o comunità, che rappresentano una fonte preziosa. Esse riportano, tra l’altro, osser-vazioni sulle condizioni sanitarie delle diverse etnie indigene e raccolgono le loro abitudini alimentari e i rimedi erboristici su cui basavano le proprie cure58.

Una personalità di riguardo è quella di Nicolás Monardes (1493-1588), medico sivigliano, attento alle virtù medicinali delle diverse specie botaniche, e sostenitore del fumo del tabacco come rimedio contro molti mali. Monardes scrisse diversi trattati scientifici: nel Diálogo llamado pharmacodilosis (del 1536), si dedicò allo studio degli autori classici, privilegiando Dioscoride. Successivamente ragionò di medicina greca e araba in De secanda vena in pleuriti inter graecos et arabes concordia (del 1539), ma si occupò del Nuovo Mondo sola-mente nel suo Primera y segunda y tercera partes de la historia medi-cinal de las cosas que se traen de nuestras Indias Occidentales que sirven en Medicina, pubblicato a Siviglia in varie fasi, tra il 1565 e il 1574, poi finalmente ripubblicato integralmente nel 158059.

Di diverso carattere, ma nata dall’esperienza diretta a contatto con le popolazioni dei nativi, è l’opera del domenicano Alonso de Molina (1513-1579), autore del Vocabulario en lengua castellana y méxicana, un dizionario bilingue ispano-nahuatl. Entrato in convento nel 1528, Molina fu il primo spagnolo a insegnare la lingua dei messicani. Egli pubblicò, già nel 1555, una prima versione del suo dizionario, solo in versione spagnolo-nahuatl e non bilingue. Il suo Vocabulario, uno strumento straordinario per la comprensione delle culture dei nativi mesoamericani, tra gli oltre ventitremila lemmi, ne contiene anche numerosi di ambito medico60.

Un testo dei primi decenni del XVII secolo, che raccoglie una serie di pratiche e rituali tradizionali che l’autore definisce « incantesimi», è quello del religioso Hernando Ruiz de Alarcón (15?-16?), il Tratado de las supersticiones y constumbres gentilicas

58 S. Gruzinski, La colonizzazione dell’immaginario. Società indigene e occiden-talizzazione nel Messico spagnolo, Torino, 1994 (ed. or. Parigi, 1988), p. 94-129; M. Canellas Anoz, Relaciones geográficas de España y de las Indias, in J. R. Gutiérrez, E. M. Ruiz, J. G. Rodríguez (a cura di), Felipe II y el oficio de rey : la fragua de un imperio, Madrid, 2001, p. 245-266.

59 N. Monardes, Primera y segunda y tercera partes de la Historia Medicinal : de las cosas que se traen de nuestras Indias occidentales, que sirven en Medicina,hechos por el Doctor Monardes, medico de Sevilla, Siviglia, 1580; C. R. Boxer, Two pioneers of tropical medicine : Garcia d’Orta and Nicolás Monardes, Londra, 1963; F. Guerra, Nicolás Bautista Monardes, su vida y su obra, ca. 1493-1588, Città del Messico, 1961.

60 A. de Molina, Vocabulario en lengua castellana y mexicana [1571], a cura di E. Hernández, Madrid, 1996.

324 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

entre los indios naturales de esta Nueva España, scritto nel 162961.Frutto di una indagine di cinque anni, svolta soprattutto nell’area settentrionale del Messico, è dedicato all’arcivescovo Francisco de Manso y Zuñíga, membro del Consiglio Reale delle Indie, succe-duto all’arcivescovo Pérez de la Serna, suo predecessore nella sede della Nuova Spagna che, secondo l’autore, lo aveva incaricato di svolgere un’inchiesta circa la persistenza delle pratiche idolatriche presso le popolazioni della Nuova Spagna. Purtroppo, sappiamo molto poco di Hernando Ruiz de Alarcón, fratello del dramma-turgo Juan Ruiz de Alarcón, tuttavia, studi recenti porterebbero a ritenere che la sua opera fosse stata scritta anche come reazione ad alcuni sospetti di scarsa ortodossia presentati davanti al tribunale inquisitoriale nei confronti del fratello Gaspar, anch’egli religioso62.

Di carattere minore è il « tratadillo» di Pedro Ponce de León (1546-1628), Breve relación de los dioses y ritos de la gentilidad,63

scritta anch’esso per ragioni religiose (l’autore tra il 1571 e il 1626 ebbe in carico la diocesi di Zumpahuacán) : per combattere, cioè, il tentativo di Satana di «usurpar la reverencia y adoración que a nuestro señor Dios berdadero se le deve», che era sostenuto da molti «entre los naturales desta nueva España creedores y que le invocan en sus obras pidiéndole fabor en las cosas que obran, no están olbidados de los nombres de sus Dioses que todavía viejos mosos y niños los tienen en memoria». Egli riferisce alcune testi-monianze delle pratiche mediche ancora in vigore presso i nativi, riprendendo l’idea che i «médicos de los indios son muy supersti-ciosos y se lleban tras si los coraçones de los inoçentes»64. Un’opera simile per caratteristiche e vocazione è l’Informe contra idolorum cultores del Obisbado de Yucatán, scritta nel 1605 da Pedro Sánchez de Aguilar (1555-1648), dottore in teologia e decano della cattedrale

61 H. Ruiz de Alarcón, Tratado de las supersticiones y constumbres gentílicas que oy viven entre los indios naturales desta Nueva España, escrito en México por el Dr. Hernando Ruiz de Alarcón, año de 1629, a cura di F. Del Paso y Troncoso, inAnales del Museo Nacional de México, 6, 1900, p. 125-224.

62 H. Ruiz de Alarcón, P. Sánchez de Aguilar, G. de Balsalobre, Tratado de las idolatrías, supersticiones, dioses, ritos, hechicerías y otras costumbres gentílicas de las razas aborígenes de México, a cura di F. del Paso y Troncoso, Città del Messico, 1953; M. Peña, Los hermanos de Juan Ruiz de Alarcon: ortodoxia y judaismo in Elementos, 43, 8, 2001, p. 47-51; F. W. King, Juan Ruiz de Alarcón, letrado y drama-turgo. Su mundo mexicano y español, trad. di Antonio Alatorre, Città del Messico, 1989.

63 P. Ponce de León, Breve relación de los dioses y ritos de la gentilidad, in P. Ponce, P. Sánchez De Aguilar et al., El alma encantada, Città del Messico, 1987; Hechicheros e idolatrías del México antiguo, Città del Messico, 2008.

64 P. Ponce de León, Breve relación de los dioses… cit., p. 11, 13-14.

325MANFREDI MERLUZZI

di Mérida (Yucatán)65, in cui si trovano descrizioni di eventi mira-colosi, superstizioni, pratiche idolatriche e mediche degli indigeni della provincia dello Yucatán nel secondo decennio del Seicento66.

Tra le fonti che si riferiscono alla civiltà Maya, oltre alla Relación de las cosas de Yucatán scritta nel 1566 dal già citato vescovo france-scano di Yucatán, Diego de Landa (1524-1579)67, possiamo contare sull’opera del domenicano Bartolomé de Las Casas (1484-1566). Autore di diversi testi incentrati sulla descrizione delle popola-zioni dei nativi e sulla loro impressionante riduzione demografica a causa dei maltrattamenti e delle violenze subite dagli spagnoli, nella Apologética Historia Sumaria, scritta nei primi anni 1550, e nella Historia de las Indias, scritta tra il 1527 e il 1561, ci descrive alcuni aspetti delle pratiche mediche indigene68.

Tra le fonti più tarde, si può annoverare senz’altro quelle legate al domenicano Francisco Ximénez (1666-1723), autore della Historia del Origen de los Indios de esta Provincia de San Vincente de Chiapas y Guatemala, conclusa nel 1722 ma inedita sino al 192969. Il vescovo domenicano, conoscitore di diverse lingue maya70, fu uno dei più intransigenti avversari della idolatria indigena e ordinò giganteschi autodafé nei quali vennero inceneriti preziosi manoscritti in gerogli-fici maya. Egli riferisce di aver scoperto nel 1701 un prezioso mano-scritto in lingua quiché, composto poco dopo la conquista spagnola da un indio latinizzato di etnia Quiché, sfuggito ai roghi da lui stesso organizzati, che scriveva nella sua lingua tradizionale, utiliz-zando il sistema alfabetico latino. Il testo, trascritto da Ximénez e noto anche con il nome di Popol Vuh, contiene la visione cosmo-

65 P. Sánchez de Aguilar, Informe contra idolorum cultores del Obispado de Yucatán [1639], Merida,1996.

66 R. A. Góngora-Biachi, Superstición, magia y enfermedad en el Yucatán del siglo XVI según la visión de Pedro Sánchez de Aguilar, in Revista Biomedica, 9, 1998, p. 250-255.

67 D. de Landa, Relación de las cosas de Yucatán, a cura di M. Rivera, Madrid, 1992. Il testo, ricco di informazioni per la conoscenza della cultura Maya, si sofferma oltre che sulle loro pratiche religiose sul sistema di calcolo ventesimale e sul calendario.

68 B. de Las Casas, Obras Completas, a cura di V. Abril Castelló, Madrid, 1992; sulla vasta produzione dedicata a Las Casas segnaliamo, tra gli studi recenti : L. Iglesias Ortega, Bartolomé de las Casas : cuarenta y cuatro años infinitos, Siviglia, 2007; I. Pérez Fernández, Fray Bartolomé de las Casas : Brevísima relación de su vida, diseño de su personalidad, síntesis de su doctrina, Salamanca, 1984; M. Mahn Lot, Bartolomeo de Las Casas e i diritti degli indiani, Milano, 1985.

69 Códice Ramírez, manuscrito del siglo XV intitulado: relación del origen de los indios que habitan esta Nueva España según sus historias, a cura di M. Orozco y Berra, Città del Messico, 1979.

70 Fu autore di una Gramática de los tres idiomas quiché, cakchiquel y subtuhil,e di un Tesoro de las tres lenguas cakchiquel, quiché y tzotzil.

326 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

logica e l’antica tradizione dei Quiché, di cui narra l’origine ripor-tando la cronologia dei loro signori etnici71. Pochi i riferimenti alle pratiche mediche tradizionali, ma di grande interesse: ad esempio, quello relativo ai dolori dentali, causati da una sorta di «vermi» che si inseriscono nei denti (in analogia con la medicina degli antichi egizi), e che vanno rimossi per la guarigione del paziente72.

Per quel che riguarda la civiltà andina, in particolare quella degli Incas, le fonti sembrano meno abbondanti, seppur ricche di informazioni importanti. Tra le fonti, oltre al testo già citato di Bernabé Cobo, abbiamo quello del gesuita José de Acosta (1540-1600), autore, tra l’altro, della Historia natural y moral de las Indias,pubblicata a Siviglia nel 159073. Dall’osservazione delle popola-zioni andine il gesuita dedusse alcune importanti conclusioni rispetto alla particolare fisiologia dovuta all’adattamento di queste popolazioni all’altitudine, avanzando anche alcune interpretazioni sorprendenti rispetto alle specie animali e vegetali americane, che ritenne derivate da specie del Vecchio Mondo74.

Altra fonte di grande interesse è indubbiamente quella del meticcio, discendente diretto degli Inca per linea materna, Garcilaso de la Vega (1539-1616), intitolata Comentarios reales de los Incas, la cui Primera parte, pubblicata a Lisbona nel 1609, è dedicata alla ricostruzione della società e della storia degli inca prima dell’arrivo degli spagnoli75.

Vi è infine, l’opera straordinaria attribuita ad un altro indio lati-nizzato, forse di discendenza incaica, Felipe Huamán Poma de Ayala (1566-1644), El primer Nueva Corónica y Buen gobierno (terminata forse nel 1615), anche grazie alle circa quattrocento illustrazioni, fornisce una fonte preziosa per la conoscenza del mondo andino prei-spanico e della sua inculturazione da parte degli spagnoli vista attra-verso lo sguardo di un indigeno di provincia di nobile discendenza76.

71 N. Pons Sáez, La conquista del Lacandón, Città del Messico, 1997.72 P. Prioreschi, History of medicine… cit., I, p. 486.73 J. de Acosta, Historia natural y moral de las Indias : en que se tratan de las

cosas notables del cielo, elementos, metales, plantas y animales dellas, y los ritos y ceremonias, leyes y gobierno de los indios, [Siviglia 1590], a cura di E. O’Gorman, Città del Messico, 2006.

74 A. I. Prieto, Missionary scientists… cit., in part. p. 143-168 e 195-220.75 G. de La Vega, Primera parte de los comentarios reales de los Incas [Lisbona,

1609], e Id., Segunda parte de los comentarios reales de los Incas: historia general del Perú [Cordoba, 1617], in Obras Completas, a cura di C. Saenz de Santamaría, Madrid, 1960 (Biblioteca de Autores Españoles, 132-135). Su Garcilaso si veda F. Saba Sardi, Introduzione. La cronaca e l’invenzione dell’America, in G. de la Vega El Inca,Storia generale del Perù, a cura di F. Saba Sardi, 2 vol., Milano, 2001, I, p. 7-102.

76 F. Guamán Poma De Ayala, Nueva Corónica y buen gobierno, a cura di J. V. Murra, R. Adorno, J. L. Urioste, Città del Messico, 1980.

327MANFREDI MERLUZZI

Il corpo come veicolo di essenze cosmiche : tra culto tradizionale e idolatria

L’avvicinamento alla tradizionale medicina indigena che consen-tono le fonti del XVI e XVII secolo, dunque, è in gran parte distorto dalla prospettiva giudicante propria degli scriventi. Tuttavia, la varietà e l’abbondanza delle fonti redatte in lingua spagnola o latina ci permette di constatare come vi fosse tra gli spagnoli trasferiti nel Nuovo Mondo, ma anche tra quelli restati nella madrepatria, soprattutto da parte della stessa Corona di Castiglia, un buon livello di interessamento per le tradizionali pratiche mediche dei popoli preispanici : a partire dallo sguardo benevolo di Bartolomé de Las Casas, passando per Bernardino de Sahagún che osserva come tra i nauathl vi fossero «buoni medici» sapienti, buoni conoscitori delle proprietà terapeutiche delle erbe, dei minerali, degli «alberi» e delle «radici», la cui scienza è fondata sull’esperienza, che sono in grado di ricomporre le fratture, di usare le purghe, i salassi e di «dare i punti alle ferite», insomma, come sintetizza il francescano « liberare dalle porte della morte»77. Tuttavia, egli segnalava l’esi-stenza di «cattivi medici» che sono dei truffatori ; e dal momento che non possiedono l’arte medica, i loro interventi determinano un peggioramento delle condizioni dei malati. Essi spesso adottano anche la magia o pratiche superstiziose per far credere che stiano effettivamente curando l’infermo. Sahagún passa poi a descri-vere le diverse categorie di questi stregoni hechizeros, anche qui distinguendo tra quelli che sono malvagi e quelli che non lo sono, e segnala la pratica degli «astrologi giudiziari» o «negromantici» – divisi anch’essi in onesti e malvagi – ai quali spetta l’analisi dei segni a partire dai calendari. Infine, indica la presenza di «uomini che hanno stipulato un patto con il diavolo» e che in base ad esso possono trasformarsi in diversi animali, desiderando e provocando per odio la morte di altri uomini attraverso l’uso di arti magiche, soprattutto scagliando sopra le proprie vittime una cattiva sorte che li ridurrà alla fame e alla morte78.

Proprio la continuità con cui Sahagún passa dalla descrizione della professione medica a quella di stregone può rappresentare l’indicatore dell’atteggiamento degli spagnoli nei confronti di alcuni aspetti delle pratiche della medicina tradizionale indigena che – è interessante notare – differiscono nella presentazione e nella sistematizzazione da quelle del gesuita Bernabé Cobo, già esaminate. Tra Cobo e Sahagún vi sono differenze non trascu-

77 B. Sahagún, Historia general… cit., II, p. 682.78 Ivi, II, p. 683.

328 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

rabili, non solo dal punto di vista diacronico (uno scrive nella seconda metà del Cinquecento e l’altro nella prima del Seicento), non solo rispetto alla appartenenza ad ordini religiosi con diverse concezioni rispetto alla propria missione evangelizzatrice e ai suoi mezzi (francescani e gesuiti)79, non solo riguardo al loro oggetto d’analisi (il solo mondo messicano da parte di Sahagún, entrambi, ma solo quello andino ci è pervenuto, per Cobo), ma anche per concezione e finalità del proprio lavoro: permettere ai missionari europei di conoscere il nemico da combattere, ovvero l’idolatria, per Sahagún; «averiguar la verdad de los sucesos de las Indias», per Cobo. Infine, differiscono anche per il metodo di analisi : se Sahagún concepisce il testo in lingua indigena con l’aiuto diretto di collaboratori indigeni «trilingui», per tradurla in spagnolo dopo diversi anni, Cobo concentrato maggiormente sulla descrizione della spettacolare alterità del Nuovo mondo, si avvale di testimoni indigeni.

L’interessamento ai rimedi erboristici o alle pratiche sanitarie indigene, private dei loro aspetti ritenuti pericolosi, non restava relegato agli ambiti più intellettuali dei due vicereami messicano e peruviano, ma alimentava le discussioni anche a livello governativo all’interno delle strutture amministrative e religiose americane. In alcuni casi si discutevano le pratiche indigene per verificarne la compatibilità con la religione cattolica e l’eventuale utilità per gli indios. Un caso interessante è rappresentato dal consumo di foglie di coca, in Perù e dal tentativo della Corona di Castiglia di discipli-narne l’uso. Il consumo della foglia della coca (la sua origine era legata ad un interessante mito) nella società inca era di carattere rituale e limitato solo a sudditi di rango molto elevato, particolar-mente fedeli al loro sovrano che ne faceva loro dono come ricom-pensa dei servigi prestati. Ma, a seguito della destrutturazione poli-tica e sociale dell’impero del Tawantinsuyu, il consumo si diffuse largamente anche tra i nativi di rango meno elevato, addirittura tra i lavoratori più umili che la utilizzavano come integratore alimen-tare, masticandone le foglie per alleviare la fatica. Abbiamo molte testimonianze del suo impiego tra i portatori indigeni e tra gli indios soggetti a prestazioni di lavoro forzato per lo stato (spagnolo), o ai lavoranti delle stesse piantagioni di coca. Essa era impiegata anche come mezzo per alleviare il dolore nelle infermità.

Negli anni Settanta del Cinquecento, le stesse autorità spagnole si interessarono alle potenzialità di tale rimedio nell’assistenza agli indigeni infermi, ipotizzandone l’uso nelle strutture sanitarie,

79 Cfr. a proposito F. Cantù, La conquista spirituale, Roma, 2010.

329MANFREDI MERLUZZI

gli hospedales de indios fondati proprio in quegli anni80. In Perù, il viceré Francisco de Toledo costituì una commissione governa-tiva composta da un giurista, un medico e un religioso, affinché studiasse direttamente gli effetti prodotti dall’uso della foglia della coca sui lavoratori indigeni delle miniere di Huancavelica. Si sospet-tava, infatti, che il suo abuso producesse un «mal incurable que es peor de la buba»81. I risultati dell’inchiesta furono sorprendenti. Non solo gli encomenderos e i signori etnici locali esigevano una parte del tributo in cesti di foglie di coca, ma poi le distribuivano a caro prezzo agli stessi indios, che spesso vendevano la propria razione di cibo per procurarsele : un mezzo per attenuare la fame, ma anche un aggravante della denutrizione dei nativi, una delle cause dell’alto tasso d’incidenza delle malattie. Seguendo i risul-tati dell’inchiesta vennero emanate disposizioni che limitavano la produzione e l’utilizzo della foglia di coca82. Tuttavia, l’uso della coca non venne abbandonato e se ne mantenne il consumo per gli indios che compivano lavori estenuanti. Venne inoltre imposto ai produttori la devoluzione di una quota pari all’1% del raccolto a favore dell’ Hospital de los Andes, costruito per gli indios mitayosa cui veniva distribuita la coca e i produttori furono obbligati a mandarvi i lavoranti malati. Vennero anche introdotte misure di tutela del lavoro indigeno, come la riduzione dell’orario di lavoro e altre misure igienico-sanitarie come il cambio dei vestiti con abiti da lavoro per far fronte all’umidità e l’assunzione di medici nelle piantagioni. La Corona accettò il regime proposto da Toledo, che venne codificato nella Recopilación de leyes de Indias83. Ma la prin-cipale obiezione della Corona riguardo all’uso della coca restava

80 La Corona di Castiglia, sotto Filippo II, rafforzò il controllo sugli ospedali per i poveri : D. Goodman, Power and penury. Government, technology and science in Philippe II’s Spain, Cambridge, 2002 (cito dalla trad. spagnola Poder y penuria. Gobierno, tecnología y ciencia en la España de Felipe II, Madrid, 1990, p. 234-238) ; M. Merluzzi, Politica e governo nel Nuovo Mondo. Francisco de Toledo viceré del Perù (1569-1581), Roma, 2003, p. 226-235.

81 L. Capoche, Relaciones general del asiento y Villa imperial di Potosí (1585), a cura di L. Hanke, Madrid, 1959, p. 175 (Biblioteca de Autores Espanoles, 122).

82 «Provisión para que no se plante mas chácaras de coca», Cuzco, 15 marzo 1571, pubbl. in F. De Toledo, Disposiciones gubernativas para el virreinato del Perú. 1569-1574, a cura di M. J. Sarabia Viejo, 2 vols., I, Siviglia, 1986, p. 113-114; «Provisión y auto con disposiciones adicionales sobre la coca», Cuzco 25 febbraio 1572, ivi, I, p. 142-147; Biblioteca Nacional del Perù, ms B 511, ff. 142v.-153v e Real Academia de la Historia, Madrid, coll. Mata Linares XXII, ff. 82-100, «Ordenanzas para la coca de los Andes del Cuzco», Cuzco, 3 novembre 1572.

83 Recopilación de Leyes de los Reynos de las Indias (1680), a cura di J. Manzano Manzano, I-V, Madrid, 1973, Lib. VI, tit. XIV, Ley 1 (Madrid, 18 ottobre 1569) e Ley 2 (Madrid, 11 giugno 1573).

330 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

di natura religosa : si temeva che fosse collegata ai culti religiosi precristiani. Per evitare il rischio dell’idolatria, si sollecitarono i religiosi alla massima vigilanza e si proibì ai produttori che si lavo-rasse la domenica e nei giorni festivi per permettere agli indigeni di assistere alla messa84.

Quest’esempio conferma come, anche quando si cercava di adottare, in tutto o in parte, alcune delle pratiche tradizionali dei nativi, lo si faceva con grande cautela, puntando essenzialmente a condannare e combattere tutte quelle pratiche che collegavano il piano curativo all’intervento di divinità o essenze ultraterrene. Ma queste, cosa che gli osservatori europei non sempre compre-sero, erano parte costitutiva dell’universo indigeno. Così, per gli aztechi, le divinità svolgevano un ruolo importante nell’inviare le infermità agli uomini e quindi, analogamente, potevano svolgere un ruolo fondamentale nella loro cura ; ad essi bisognava rivolgersi per comprenderne l’ira e placarla in modo da poter richiedere la rimozione del male85. Analogamente i Quiché, di etnia maya, come possiamo apprendere dalla lettura del Popol Vuh, adottavano dei rituali magici legati alla guarigione, studiati da Ralph Roys86.I loro « incantesimi di guarigione» prevedevano l’intervento di diverse divinità, ciascuna delle quali sovrintendeva a una precisa funzione nella visione cosmologica Quiché. Le divinità che più spesso erano coinvolte nelle pratiche curative erano i cosiddetti «quattro Bacab», ad essi si rivolgono frequentemente le invoca-zioni degli incantatori Maya. Nella visione cosmologica Quiché, erano fratelli che fungevano da mediatori tra il piano terrestre, o umano, e quello celeste, o sovrumano, poiché posti ai quattro angoli del mondo, da dove sostenevano il cielo. Nella lettura di tali invocazioni si può restare sorpresi dal tono aspro con cui in esse il curatore/mediatore tra piano umano e piano sovraumano si rivolge ai Bacab esseri appartenenti ad un piano divino, intimando loro con fermezza di intervenire in aiuto del paziente o di contat-tare altre divinità a tale scopo.

Non deve però sorprendere che venissero invocate divinità come i Bacab che avevano, diciamo così, natura multipla legata a valori numerici di natura simbolica, fondati sulla visione cosmo-logica della popolazione e su una «una stringente logica nume-rica»87 che coinvolgeva la rappresentazione sia del piano terreno che di quello ultraterreno, come hanno mostrato gli studi clas-

84 D. Goodman, Poder y penuria… cit., p. 239.85 E. M. Moctezuma, Tenochtitlan, Città del Messico, 2010 (I ed. 2006), p. 153.86 R. L. Roys, Rituals of the Baccabs, Norman (Ok.), 1965, p. XI.87 S. Botta, La religione del Messico antico, Roma, 2006, p. 62.

331MANFREDI MERLUZZI

sici di N. Wachtel e T. Zuidema per il mondo andino88 e di J. Soustelle e S. Botta per quello mesoamericano89. In particolare, il numero quattro era considerato particolarmente importante nella «gestione dello spazio che veniva pensato attraverso una divi-sione del piano terrestre in quattro settori orientati verso i punti cardinali» e, per gli aztechi, anche sull’asse del piano verticale, dove venivano situati tredici «cieli» e nove « inferi». Da studi più recenti emerge come anche « l’ordinamento del tempo seguisse le medesime priorità numeriche e stabilisse, attraverso i numeri più significativi, una sorta di osmosi concettuale con lo spazio» ; il numero quattro rappresentava «uno dei principali elementi strutturali della cosmovisione messicana» divenendo uno stru-mento indispensabile, a livello simbolico, per «rendere pensabili lo spazio, il tempo e i cicli festivi e garantire il funzionamento del sistema sociale, imponendo un ordine al territorio». Diversi studi hanno mostrato come « l’osservazione astronomica e il calcolo dei cicli naturali non rappresentavano una semplice espressione di una esigenza conoscitiva, ma erano subordinati all’elaborazione di un sistema strutturato nel quale venivano combinate in maniera coerente le nozioni riguardanti la natura con gli aspetti sociali della vita dell’uomo» di cui i calendari erano non solo l’espressione di un ordinamento del tempo, ma anche la «proiezione ideale delle priorità strutturali del sistema sociale», in un costante dialogo tra visione cosmica e visione terrena in cui attraverso la consulta-zione degli auspici legati ai calendari si determinavano i momenti propizi per le tappe principali della vita collettiva e individuale. La concezione dell’individuo dei nativi messicani presentava una «priorità logica di ciò che viene attribuito per divinazione rispetto a ciò che è proprio dell’uomo come conseguenza» della sua gene-razione, aspetto che emerge con grande evidenza nel complesso rituale battesimale dei Méxica90.

I missionari spagnoli compresero rapidamente che in ciò era sottintesa una peculiare visione dell’uomo che legava l’individuo ad un complesso sistema di «segni» che il sacerdote era in grado di identificare ma anche di attribuire, attraverso il nome, al neonato. Infatti, il sacerdote al quale veniva comunicato il momento esatto della nascita, dopo aver consultato i propri libri sacri determinava il giorno a cui il bambino sarebbe per sempre stato legato. Quindi

88 N. Wachtel, La vision des vaincus… cit. ; T. R. Zuidema, Etnologia e storia…cit.

89 J. Soustelle, La vie quotidienne… cit. ; S. Botta, La religione… cit.90 S. Botta, La religione… cit., p. 62.

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era in grado di trarre gli auspici per la vita futura del neonato e di stabilire quale fosse il momento migliore per l’imposizione del nome, in funzione del responso favorevole o sfavorevole degli auspici. La scelta del giorno implicava una interazione tra il piano umano e quello divino, consentendo di assecondare gli auspici favorevoli o contrastare quelli negativi. Si comprende, quindi, come l’individuo messicano fosse considerato, sin dalla nascita, come «esposto all’influenza di forze sovra determinate», le quali avevano il potere di stabilire il ruolo del nascituro nella società. Ma ciascun individuo rappresentava, anche un «veicolo di essenze extraumane, un ponte fisico con l’ordine cosmico, un’immagine sintetica del suo funzionamento»91.

Lo storico A. López Austin ricostruisce, attraverso lo studio delle nozioni di persona nel Messico antico, il ruolo del corpo umano all’interno delle dinamiche cosmiche e sociali mesoame-ricane, presentandoci un individuo «soggetto a forze sovrastanti alle quali egli deve necessariamente conformarsi»92. Tuttavia, tale condizione non rappresenta solo una semplice sottomissione, ma «un punto di equilibrio» : l’essere umano è infatti situato al centro del cosmo e la sua finitezza è garanzia di mantenimento dell’ordine cosmico (se vogliamo un mito opposto rispetto a quello cristiano dell’Eden). L’uomo rappresenta « il punto culminante del piano terrestre» costituendo l’essere nel quale «confluiscono tutte le qualità dei componenti dell’universo». Il corpo umano veniva quindi pensato dagli Aztechi come «veicolo di essenze cosmiche», immaginato e pensato in analogia con la stessa struttura dell’u-niverso, suddiviso quindi, come l’asse verticale del cosmo in tre livelli sovrapposti : inferi, terra, cieli. A ciascuno di questi ambiti era legata una delle principali entità animiche (ihiyotl, teyoelia, tonalli). Tre erano i centri vitali nei quali si svolgevano le funzioni umane principali e si concentravano le forze vitali (nelle aree corrispondenti ai tre organi : fegato, cuore, cervello). In corrispon-denza del fegato risiedeva la ihiyotl, nella quale si concentravano le passioni, il vigore fisico, i sentimenti ; nella zona del cuore vi era la più importante delle entità animiche: teyolia, nella quale risiede-vano le principali funzioni vitali e intellettuali (come conoscenza, memoria, abitudini, emozioni), Diversamente dal ihiyotl, essa possedeva anche una qualità collettiva : l’essenza condivisa degli appartenenti ad un medesimo gruppo, sociale o etnico, e rappre-sentava una eredità diretta del dio patrono, creava un legame

91 Ivi., p. 64.92 S. Botta, La religione… cit., p. 65 ; A. López Austin, The human body… cit.,

I, p. 285.

333MANFREDI MERLUZZI

sociale e trasformava il corpo in un luogo in cui si manifestavano le gerarchie e l’identità culturale. Nel cervello si concentrava la terza entità animica, o tonalli. Era una forza esterna, che si legava all’in-dividuo al momento della nascita e che influiva profondamente sul suo destino e sulla sua personalità. Esso rappresentava il punto di contatto tra l’uomo e il sovrannaturale, attraverso il tempo, che diventa in tal modo sostanza attiva del suo corpo e del suo vivere93.L’esperienza umana si collocava quindi in un punto di equilibrio tra i diversi piani attraverso il corpo; lo stato di salute era pensato nei termini di equilibrio/squilibrio tra le diverse entità animiche e componenti universali, mentre la malattia e la morte erano il risul-tato dell’incrinarsi di tale equilibrio.

Come si è visto, molti cronisti e naturalisti, da Bernardino de Sahagún a Bernabé Cobo, dovettero comunque riconoscere alcuni parziali successi della medicina indigena. Ciononostante, i loro rimedi perdevano, agli occhi degli osservatori europei, molto del loro effetto poiché gli indios non conoscevano le pulsazioni e non sapevano esaminare le urine, oppure non associavano il dosaggio delle terapie alla costituzione fisica del paziente e alla malattia. In breve, anche se le loro pratiche potevano risultare efficaci, non venivano comunque inserite nel quadro delle conoscenze di fisio-logia umana corrispondenti a quelle europee94. Erano opinioni – assai diffuse fra i cronisti esaminati – rivolte ad affermare che gli indios miravano soltanto ad un momentaneo sollievo dal dolore o dal disagio causato dall’infermità95. Ne è testimonianza autorevole Garcilaso, che nel confermare l’uso di purghe, cateteri e salassi, spiega che gli indigeni andini, non conoscendo l’esistenza dei quattro umori e non sapendo esaminare le urine, non potevano essere certi dei risultati raggiungibili attraverso di essi96. Comunque, la farmacopea degli Inca includeva l’impiego di elementi minerali (bitume, zolfo, solfato di ferro, ecc.), animali, vegetali.

Uno degli aspetti che maggiormente colpirono gli osservatori spagnoli fu il consumo di sostanze naturali che potevano indurre effetti stupefacenti. Il fenomeno era diffuso in Messico, ove pren-deva il nome di «peyotismo» a causa dell’utilizzo del peyote, una cactacea il cui consumo era diffuso tra i nativi97. Sahagún ci rife-risce che il consumo di peyote causava «visioni» che potevano essere sia gradevoli che spaventose, ma che l’uso del peyote dava

93 S. Botta, La religione… cit., p. 65.94 Cfr. G. Cosmacini, L’arte lunga… cit., p. 32, 61-62 e 68-82.95 B. Cobo, Historia del Nuevo Mundo… cit., IV, p. 199-200.96 G. de la Vega, Primera parte de los comentarios, II, Madrid, 1829, p. 163.97 H. Markowitz, American Indians…cit., I, p. 592-593.

334 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

agli indios il «coraggio per combattere e toglieva loro la paura, la fame e la sete, ragione per cui si era diffusa la convinzione che esso li proteggesse da ogni pericolo98.

Insomma, una larga parte delle cure tradizionali venivano dunque considerate come pratiche idolatriche o addirittura come manifestazioni di stregoneria. Nel quadro di uno sforzo crescente della Corona spagnola di convertire le popolazioni dei nativi americani alla fede cattolica, tali pratiche venivano indagate e perseguite99.

Nel corso del II concilio provinciale di Lima del 1567, oltre ad affrontare il problema delle soluzioni più efficaci per l’evangelizza-zione dei nativi, si discussero nel dettaglio anche molte «superstizioni» degli indigeni. Tra queste, venne segnalata la pratica della deforma-zione dei crani, diffusa presso diverse etnie, quali i Collas e i Puquinas, che legavano delle tavolette di legno al cranio dei neonati nei primi anni di vita. Vi erano diversi tipi di deformazione, ciascuna delle quali aveva i suoi significati particolari nell’universo simbolico e sociale indigeno ma la pratica inorridiva gli spagnoli che la collegavano alle superstizioni degli indios100. Le deformazioni del cranio erano diffuse, del resto, anche in Mesoamerica, specialmente tra i Maya.

In Perù, le riflessioni condotte nel concilio limense condus-sero ad una dura lotta per l’«estirpazione dell’idolatria» indigena, condotta da Cristóbal de Albornoz, che ha catturato l’attenzione della storiografia e che ha permesso comunque di ricostruire elementi della società tradizionale indigena, dei suoi culti e dei suoi riti101.

98 B. Sahagún, Historia General… cit., III, XI, p. 292. Per F. Hernández (Nova plantarum), invece, il peyote era consumato per indure visioni durante le quali gli indios ritenevano di intravedere il futuro, mentre la cactacea aveva ottimi effetti per la cura dei problemi articolari. Cfr. H. Scheiffer, Sacred narcotic plants of the New World Indians, New York, 1973, p. 57. Anche Acosta si soffermò sulle proprietà allucinogene delle piante utilizzate da sacerdoti e stregoni, notando come costoro mantenessero gli indios nell’ignoranza e nell’errore (J. De Acosta, Historia natural y moral... cit., p. 369-370).

99 F. Cantù, Coscienza d’America. Cronache di una memoria impossibile, Roma, 1992, p. 207-212; N. Wachtel, La vision des vaincus… cit., p. 145-152; sugli effetti delle epidemie, S. Gruzinski, La colonizzazione dell’immaginario… cit., p. 106-108. P. Duviols, Un inédit de Cristobal de Albornoz : la instrucción para descubrir todas las guacas del Pirú (1572), in Journal de la Société des Américanistes, 56, 1, 1967, p. 7-39.

100 Supersticiones de los indios sacadas del segundo Concilio Provincial de Lima que se celebró el año sesenta y siete (1567), in Collección Urteaga-Romero, III, Lima, 1916, p. 205.

101 Oltre al ricordato contributo di P. Duviols, e Id., Cultura andina y represión: procesos y visitas de idolatrías y hechicerias. Cajatambo siglo XVII, Cusco, 1986; segnaliamo P. Guibovich Pérez, Cristobal de Albornoz y el Taki onkoy, in Revista

335MANFREDI MERLUZZI

Oltre la medicina tradizionale amerindia, lo «shock biologico» e la «morte degli dei»

E’ ben noto che con l’arrivo degli Europei le popolazioni degli indios conobbero gli effetti devastanti di una nuova serie di pato-logie a loro sconosciute, che causarono sugli indigeni un vero e proprio shock biologico102. Esso contribuì alla destrutturazione del mondo tradizionale indigeno, coinvolgendo aspetti socio-politici, ma anche culturali, fino a minare la stessa sopravvivenza fisica di molte etnie di amerindi103.

A questo riguardo è stato osservato come l’autodistruzione divenne « il mezzo per raggiungere una dimensione che si confi-gurava come l’opposto della realtà vissuta in quel momento dagli indigeni, fatta di schiavitù, fame, pestilenze e morte». Anche in questo caso la dimensione terrena e quella ultraterrena acquisi-vano significato attraverso il reciproco dialogo. Nell’ideologia dei movimenti millenaristi di quegli anni, un «altro mondo» perfetto era considerato ormai imminente sulla terra, grazie alla prossima vittoria delle divinità indigene sul Dio dei cristiani : quella che per gli indigeni andini era stata il Pachacuti, la fine dei tempi, rappre-sentata dalla conquista e dalle sue tragiche conseguenze, stava per finire e un nuovo ordine sarebbe stato stabilito nell’universo104. In tale contesto, il suicidio-sacrificio svolgeva l’importante funzione di placare la furia degli dei, di rinnovare in modo armonico e fecondo il loro rapporto con gli indios e di accelerare l’avvento della nuova era. Coloro che, per la salvezza collettiva, offrivano se stessi in sacrificio avrebbero raggiunto immediatamente la beatitudine e sarebbero stati venerati come divinità.

In questa prospettiva si comprende anche la connessione di causa ed effetto tra il diffondersi di gravi epidemie e l’intensifi-carsi dei suicidi tra i nativi : come nel corso della «peste» del 1578 propagatasi in tutto il Perù, che fu particolarmente violenta nella

Historica, 15, 1991, p. 205-236; P. Duviols, L. Millones (cura di), Las informaciones de Cristobal de Albornoz. Documentos para el estudio del Taki Onqoy, Città del Messico, 1971.

102 Si vedano in proposito A. W. Crosby Ecological imperialism. The biological expansion of Europe, Cambridge, 1990; M. Livi Bacci, Conquista. La distruzione degli indios americani, Bologna, 2005.

103 F. Cantù, Coscienza d’America… cit. 104 M. Curatola, Il giardino d’oro del Dio Sole. Dei, culti e messia delle Ande,

Napoli, 1997, p. 190. Si vedano, T. R. Zuidema Etnologia e storia… cit., p. 226-227; N. Wachtel, La vision des vaincus… cit., p. 269-276; J. M. Ossio Acuña, Ideología mesiánica del mundo andino, Lima, 1973, p. XIX-XXIII ; M. Curatola, Mito y mille-narismo en los Andes : del Taki Onquoy a Inkarri. La visión de un pueblo invicto, in Allpachi, 10, 1977, p. 65-92.

336 RELIGIONE E MEDICINA NEL NUOVO MONDO

regione di Juli, dove si registrò un gran numero di suicidi105. Le popolazioni dei nativi andini rimasero colpite soprattutto dal fatto che gli europei sembravano immuni dalle malattie che contagia-vano quasi esclusivamente la popolazione indigena. Essi giunsero alla conclusione che « le loro disgrazie dipendevano dal fatto di aver abbandonato, o per lo meno trascurato, le loro antiche divi-nità, in favore degli dei cristiani. Questi ultimi, invece, non avevano commesso alcun sacrilegio, e quindi i loro huaca (Dio, Cristo, la Vergine, ecc.) non avevano motivo per punirli» ; inoltre, dato il legame tra individuo e comunità delle società indigene «bastavache solo pochi avessero abiurato la fede ancestrale perché la loro colpa si traducesse in una catastrofe collettiva». Curatola osserva che « in tale ottica, la malattia non è più un’alterazione organica provocata da agenti patogeni, ma una punizione sovrannaturale, il segno di una colpa da espiare e riscattare». Paradossalmente, il suicidio e la crisi del culto divenivano espressioni della stessa «ansia di purificazione e rappresentano altrettante vie di rigene-razione»106.

Volendo ridurre, sulle tracce di Todorov, il fenomeno della conquista americana e dei successivi decenni, al solo piano «semio-logico»107 potremmo affermare, semplificando, che anche nell’am-bito della comprensione del rapporto tra salute, cura e pratiche religiose, si trattò di una mancanza di intendimento reciproca. Non solo gli europei non compresero la medicina tradizionale indigena e il suo rapporto con il mondo ultraterreno, ma anche gli indios, non comprendendo le malattie trasportate nel loro mondo dagli europei, finirono per identificare come punizioni divine le epidemie che risparmiavano gli invasori cristiani, ricorrendo al suicidio per placare le proprie divinità adirate.

La natura della concezione medica indigena, che legava il piano terreno a quello ultraterreno, comprendendo al contempo l’ambito individuale e quello sociale, le pratiche di cura con quelle reli-giose, in cui gli aspetti simbolici e materiali erano volti a ristabilire l’equilibrio tra la dimensione terrena e quella ultraterrena, tra il mondo degli dei (o degli spiriti, o degli antenati) e la comunità sociale di appartenenza, si ritorse contro le popolazioni dei nativi nel momento dello «shock biologico» successivo all’incontro con gli europei. Il continuo dialogo tra dimensione interna (individuo,

105 J. de Acosta, Lettera al P. Everardo Mercuriano, Lima, 11 aprile 1579, in Monumenta peruana, II, (1576-1580), a cura di A. Egaña, doc. 23, Roma, 1958, p. 607-637, p. 625, cit. in M. Curatola, Il giardino d’oro… cit., p. 190.

106 M. Curatola, Il giardino d’oro… cit., p. 190-191.107 T. Todorov, La conquête de l’Amérique. La question de l’autre, Parigi, 1982.

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anima, comunità, mondo terreno) e dimensione esterna (divinità, mito, cosmo, mondo ultraterreno) veniva scandito da pratiche rituali spesso collettive e coinvolgeva le figure destinate a fungere da mediatori tra questi due mondi : sacerdoti e sciamani.

L’impossibilità di collocare le «malattie» diffusesi dopo lo sbarco degli europei all’interno di un quadro cosmologicamente fondato nelle tradizionali credenze, e combatterle con i rimedi consueti, rese per i nativi americani ancora più devastanti gli effetti demografici delle pandemie dei decenni successivi alla scoperta colombina. Questa impreparazione all’incontro con gli europei e le nefaste conseguenze che essa ha comportato venne identificata con la «morte degli dei». Infranto l’equilibrio tra mondo terreno e mondo ultraterreno, ogni equilibrio, fosse religioso, sociale o sani-tario, veniva a saltare108.

Per concludere, ci limitiamo a ricordare come sia stato neces-sario un plurisecolare e faticoso cammino per accostarsi all’uni-verso materiale e simbolico dei nativi con prospettive e chiavi di lettura che modificassero lo sguardo europeo posato su di esso dal XVI secolo fino alla metà del secolo scorso. Solo negli ultimi decenni, infatti – cadute le barriere sociali, culturali ed epistemo-logiche che rendevano incomprensibili le culture tradizionali e le pratiche curative degli indios – proprio quegli elementi che avevano reso sospetta di idolatria la cultura amerindia sono stati messi al centro dell’attenzione di studiosi di varie discipline e ricondotti al sistema olistico di cui furono espressione.

Manfredi MERLUZZI

Università di Roma Tre

108 Sul millenarismo indigeno e del Taqui Onqoy cfr. L. Millones, Un movi-mento nativista del siglo XVI : el taki onqoy, in Revista Peruana de Cultura, 3, 1964, p. 134-140 e Id., Nuevos aspectos del taki onqoy, in Historia y Cultura, 1, 1965, p. 138-140; F. Cantù, Coscienza d’America… cit., p. 195-216.