Campione diocesi lucane

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A dare uno sguardo alla storia della Lucania attraverso i secoli si possono rilevare frequenti mutamenti dei confini e diversi accorpamenti territoriali, che hanno determinato una mutevole configurazione della Regione. Lucania et terra Brittiorum 1 costituirono la regio III augustea e, successivamente, una delle provinciae dioclezianee 2 : si tratta di entità etnico-territoriali corrispon- denti in linea di massima alle attuali regioni Lucania e Calabria, anche se, in epoca antica centri come Metaponto 3 , Venosa 4 e Acerenza erano considerate per lo più città apule, mentre rientravano nei confini territoriali della Lucania Blanda Iulia, attualmente in Calabria, e Consilinum, Paestum, Velia, Buxen- tum, attualmente in Campania. 1 Si preferisce la formula Brittii/Brittiorum alla più diffusa Bruttii/Bruttiorum perché è quella attestata nelle titolature epigrafiche dei governatori e nelle compilazioni legislative: cfr. F. Grelle, Ordinamento provinciale e organizzazione locale nell’Italia meridionale, in L’Italia meridionale in età tardo antica, Atti del 38° Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto 2-6 ottobre 1998), Napoli 2000, p. 120, nota 12. 2 In Italia meridionale, a differenza del resto d’Italia, c’è una sostanziale coincidenza tra l’ordinamento regionale augusteo e quello provinciale dioclezianeo; per quel che riguarda in particolare la definizione dei confini provinciali di Lucania et Brittii cfr. A. Russi, La Lucania romana. Profilo storico-istituzionale, San Severo 1995, p. 85ss. e le puntuali osservazioni di Grelle, Ordinamento provinciale cit., pp. 115-123. Sul processo che precedette la provincializ- zazione dell’Italia cfr. A. Giardina, La formazione dell’Italia provinciale, in Storia di Roma, III/1, L’età tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino 1993, pp. 51-68. 3 Il territorio metapontino fu tolto alla Lucania e annesso all’Apulia et Calabria: cfr. F. Grelle, La geografia amministrativa della regio II e il riordinamento tardo antico, in Atti e Re- lazioni dell’Accademia Pugliese delle Scienze 46/1, 1989, p. 24ss; Russi, La Lucania cit., p. 85; Grelle, Ordinamento provinciale cit., pp. 118-120. 4 È emblematico di questa «ambigua identità territoriale» il famoso verso di Orazio, nato a Venosa, Lucanus an Apulus anceps (Sat. II,1,34); cfr. anche V. A. Sirago, Venusia al tempo di Augusto, Bollettino Storico della Basilicata 2, 1986, p. 12ss. Vetera Christianorum Ada CAMPIONE 37, 2000, 5-33 Le diocesi paleocristiane lucane nelle fonti letterarie fino a Gregorio Magno

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A dare uno sguardo alla storia della Lucania attraverso i secoli si possonorilevare frequenti mutamenti dei confini e diversi accorpamenti territoriali,che hanno determinato una mutevole configurazione della Regione. Lucaniaet terra Brittiorum 1 costituirono la regio III augustea e, successivamente, unadelle provinciae dioclezianee 2: si tratta di entità etnico-territoriali corrispon-denti in linea di massima alle attuali regioni Lucania e Calabria, anche se, inepoca antica centri come Metaponto 3, Venosa 4 e Acerenza erano considerateper lo più città apule, mentre rientravano nei confini territoriali della LucaniaBlanda Iulia, attualmente in Calabria, e Consilinum, Paestum, Velia, Buxen-tum, attualmente in Campania.

1 Si preferisce la formula Brittii/Brittiorum alla più diffusa Bruttii/Bruttiorum perché èquella attestata nelle titolature epigrafiche dei governatori e nelle compilazioni legislative: cfr.F. Grelle, Ordinamento provinciale e organizzazione locale nell’Italia meridionale, in L’Italiameridionale in età tardo antica, Atti del 38° Convegno di Studi sulla Magna Grecia (Taranto2-6 ottobre 1998), Napoli 2000, p. 120, nota 12.

2 In Italia meridionale, a differenza del resto d’Italia, c’è una sostanziale coincidenza tral’ordinamento regionale augusteo e quello provinciale dioclezianeo; per quel che riguarda inparticolare la definizione dei confini provinciali di Lucania et Brittii cfr. A. Russi, La Lucaniaromana. Profilo storico-istituzionale, San Severo 1995, p. 85ss. e le puntuali osservazioni diGrelle, Ordinamento provinciale cit., pp. 115-123. Sul processo che precedette la provincializ-zazione dell’Italia cfr. A. Giardina, La formazione dell’Italia provinciale, in Storia di Roma,III/1, L’età tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino 1993, pp. 51-68.

3 Il territorio metapontino fu tolto alla Lucania e annesso all’Apulia et Calabria: cfr. F.Grelle, La geografia amministrativa della regio II e il riordinamento tardo antico, in Atti e Re-lazioni dell’Accademia Pugliese delle Scienze 46/1, 1989, p. 24ss; Russi, La Lucania cit., p.85; Grelle, Ordinamento provinciale cit., pp. 118-120.

4 È emblematico di questa «ambigua identità territoriale» il famoso verso di Orazio, nato aVenosa, Lucanus an Apulus anceps (Sat. II,1,34); cfr. anche V. A. Sirago, Venusia al tempo diAugusto, Bollettino Storico della Basilicata 2, 1986, p. 12ss.

Vetera Christianorum Ada CAMPIONE37, 2000, 5-33

Le diocesi paleocristiane lucane nelle fonti letterarie fino a Gregorio Magno

6 ADA CAMPIONE

In questa nota mi propongo di ricostruire, alla luce delle fonti letterarie 5, lelinee fondamentali della cristianizzazione e della formazione delle diocesi delterritorio che costituisce l’attuale regione della Lucania 6.

Il compianto prof. Pedio, nel secondo dei suoi quattro volumi sulla Luca-nia, ha lamentato che «l’origine e le vicende delle prime comunità cristiane, lapresenza e l’organizzazione delle prime chiese vescovili nei paesi lucani e lapartecipazione dei loro vescovi alla vita locale non hanno mai seriamente in-teressato storici e studiosi. Nelle storie municipali dei grandi e dei piccoli cen-tri della Lucania questo argomento viene completamente trascurato e chi ri-tiene di affrontarlo si limita a riportare le vecchie serie dei vescovi senza rile-varne le inesattezze e le imprecisioni in cui sono incorsi coloro che per primile hanno redatte; o a riportarsi, senza aggiungere nulla, a quanto su questo ar-gomento ha scritto Giacomo Racioppi alla fine del secolo scorso» 7. È questal’epoca alla quale risalgono, infatti, i primi contributi critici sulla cristianizza-zione della Lucania 8.

5 Su questo tema ho in fase di pubblicazione un saggio di più ampio respiro, che prende inesame anche la documentazione storico-agiografica, epigrafica e archeologica. Per la diocesi diMetapontum, la cui esistenza allo stato attuale è documentata solo a livello archeologico-mo-numentale (cfr. L. Giardino, Grumentum e Metaponto. Due esempi di passaggio dal tardoan-tico all’altomedioevo in Basilicata, MEFR Moyen Age 103, 1991, pp. 827-858, spec. 842-845.847), in mancanza di attestazioni nelle fonti documentarie, si rimanda al saggio in pubblica-zione.

6 Sull’ opportunità di impostare la ricerca basandosi sugli attuali confini regionali e sulla ne-cessità di una revisione dell’opera del Lanzoni [Le diocesi d’Italia dalle origini al principio delsec. VII (a. 604), Faenza 1927], articolata in regiones augustee, cfr. quanto osservato daOtranto, Italia meridionale e Puglia paleocristiane, Bari 1991, pp. 16-21. Spia evidente del di-sagio e della confusione tra regioni moderne e ripartizioni territoriali dell’antichità si può co-gliere nel saggio di P. Testini – G. Cantino Wataghin – L. Pani Ermini, La cattedrale in Italia,Actes du XIe Congrès International d’Archéologie Chrétienne, Roma 1989, pp. 5-87; schedepp. 90-229, nel quale non figurano le diocesi di Metapontum e Grumentum.

7 T. Pedio, La Basilicata dalla caduta dell’impero romano agli Angioini. II. La Basilicatalongobarda, Bari 1987, p. 69; per la Basilicata, un limite della storiografia locale è costituitodall’interesse quasi ‘esclusivo’ per le vicende dell’alto medioevo: cfr. in proposito, le osserva-zioni di T. Pedio, Vecchie e nuove storie municipali nelle province continentali del Mezzo-giorno d’Italia, s.a (ma 1981), p. 16ss; Id., Per un codice diplomatico della Basilicata, StudiStorici Meridionali 11, 1991, pp. 37-48.

8 Alla metà dell’Ottocento il D’Avino, nella sua monumentale opera [Cenni storici sulleChiese Arcivescovili, Vescovili e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie annotati escritti dall’abate D’Avino, Napoli 1848] ripubblica monografie sulle diocesi lucane compilateda cultori locali, senza aggiungere nulla all’opera dell’Ughelli: sull’opera di Ughelli e diD’Avino cfr. le osservazioni di Otranto, Italia meridionale cit., pp. 10-12. Di diverso spessorei contributi di G. Racioppi, (Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, 2 voll., Roma1889, rist. anast. Matera 1970) e G. Fortunato (Rionero medievale, Trani 1899) che, per primi,cominciano ad esaminare, con taglio critico, le testimonianze cristiane della Lucania.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 7

La ricostruzione delle origini cristiane e la formazione delle diocesi in Lu-cania, così come nell’Italia meridionale e in tutto l’Occidente latino, è uno deiproblemi storiografici più difficili da risolvere a causa della scarsezza e tal-volta dell’inconsistenza delle fonti specifiche, sia letterarie che epigrafiche,iconografiche e archeologiche. Per lo storico del cristianesimo antico, la ca-renza di fonti è resa ancora più drammatica dalla sparizione di documenti, ca-taloghi, dittici e atti delle chiese locali conservati inizialmente negli archividiocesani. Questi dati, messi in evidenza da Giorgio Otranto 9 che si è occu-pato, a più riprese, delle origini cristiane del Mezzogiorno d’Italia, hanno de-terminato un vuoto nella tradizione storiografica 10, non colmato neppure dallenumerose ricerche condotte da studiosi di memorie locali, non sempre scienti-ficamente attrezzati per distinguere, nelle fonti, i motivi autentici e credibilida quelli leggendari. Nel settore della ricerca sulle origini cristiane, alla scar-sezza e frammentarietà delle fonti coeve o, comunque, autentiche fa riscontrouna ricca produzione di testi medievali, per lo più di tipo agiografico, che for-niscono dati non sempre verificabili e utili per una ricostruzione scientifica-mente fondata delle origini e del primo sviluppo delle antiche comunità cri-stiane. Proprio sulla base della acritica accettazione di questo vasto materialeagiografico, si sono sviluppate, nel corso dei secoli, diverse ricerche di chiaraispirazione municipalistica, che hanno spesso retrodatato la storia cristiana dinumerosi centri collegandola ad apostoli, martiri, santi o personaggi illustridel cristianesimo antico.

Per la Lucania basti pensare all’insistenza con cui agli inizi dell’OttocentoEmanuele Viggiano 11 e Francesco Paolo Volpe 12 hanno sottolineato che ad in-trodurre il cristianesimo, rispettivamente a Potenza e a Matera, sia stato l’apo-stolo Pietro 13.

Al pari di queste ricerche appena citate, destituite di storicità sono altre in-dagini che ipotizzano l’esistenza di nuclei cristiani con propri vescovi in Lu-

9 Cfr. le sue osservazioni in Italia meridionale cit., pp. 3-10.10 Cfr. supra le osservazioni di Pedio a proposito della Lucania.11 E. Viggiano, Memorie della Città di Potenza, Napoli 1805.12 F. P. Volpe, Memorie storiche profane e religiose su la Città di Matera, Napoli 1816.13 A proposito della presunta presenza di Pietro a Venosa cfr. quanto afferma Racioppi (Sto-

ria dei popoli cit., p. 144): «La sede episcopale di Venosa va annoverata tra le più antiche; e,considerata l’importanza della città ai tempi romani, non dubiterei di riattaccarne le originiall’era del cristianesimo antichissimo; senza però che io dia rilevanza storica alla tradizioneerudita, che in prova dell’asserita venuta del primo degli Apostoli in Venosa, afferma l’esi-stenza antica di una chiesetta, che il popolo dice di ‘S. Pietro dell’Oliveto’ o ‘dell’Olivento’(dal fiume omomnimo non lontano), e certi eruditi, correggendo senza diritto, trasformano in‘S. Pietro de Adventu’!».

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cania sin dal I secolo e alcune notizie secondo le quali un vescovo di nome Fi-lippo avrebbe retto la cattedrale di Venosa nel 238 14; Romano e Monocolloquella di Acerenza tra il 300 e il 337 15; Luciano avrebbe partecipato come ve-scovo di una diocesi lucana ad un concilio romano sotto papa Giulio I (337-352) 16; Equizio, come vescovo di Matera, sarebbe intervenuto ad un concilioromano del 482 17 e papa Gelasio avrebbe consacrato a Venosa una chiesa 18

individuata dallo Schettini nei pressi della nota chiesa della Trinità, appunto aVenosa 19.

14 La notizia, della cronaca di G. Cenna, è pubblicata da M. Pinto, Giacomo Cenna e la suacronaca venosina, Trani 1902; Racioppi, Storia dei popoli cit., p. 144. Il Racioppi menziona an-che, fra le tradizioni locali, un vescovo Giovanni che, emulo di Leone Magno, avrebbe respintonel 443 Attila e le sue schiere (già in Ughelli, Italia sacra 7, c. 168), anche se Attila non arrivòmai a Venosa. Cfr. anche Lanzoni, Le diocesi cit., pp. 298-299; ibidem pp. 19-20 (sul topos delvescovo che salva la città andando incontro ad Attila); sul ruolo del vescovo cfr. le osservazioni diA. M. Orselli, Il santo patrono cittadino: genesi e sviluppo del patrocinio del vescovo nei secoliVI e VII, in Agiografia altomedievale (a cura di S. Boesch Gajano), Bologna 1976, pp. 85-104.

15 F. Peccheneda (Dimostrazione dei diritti e prerogative della Regal Chiesa Metropolitanadi Acerenza, Napoli 1761), attingendo anche dall’Ughelli (Italia Sacra, 7, c. 13), ricostruisce lacronotassi episcopale acheruntina, fino a Giusto, il primo vescovo attendibilmente attestato chepartecipò al concilio simmachiano del 499. Lanzoni (Le diocesi cit., pp. 299-300) attribuisce lalista ad un ‘falsario inabile’ per l’origine chiaramente longobarda di alcuni nomi di vescovi in-seriti nella cronotassi.

16 Cfr. la questione in Lanzoni, Le diocesi cit., p. 329.17 G. Gattini, Note storiche della Città di Matera, Napoli 1882, p. 271ss; successore di Equi-

zio sarebbe stato Felice, che avrebbe partecipato ad un concilio africano del 484. La notiziaviene definita da Pedio ‘non accettabile’ (La Basilicata cit., p. 72).

18 G. Crudo, La Trinità di Venosa, p. 24ss. La tradizione attribuisce spesso a questo ponte-fice la consacrazione di numerose chiese; insieme al pontefice è ricordato il vescovo venosinoAsterio, predecessore di Stefano. Nella Vita di Sabino, vescovo di Canosa nella prima metà delVI secolo, si racconta che, oltre al presule canosino, Asterio di Venosa, Palladio di Salpi, Gio-vanni di Ruvo ed Eutichio di Trani si recarono a Barletta in occasione della consacrazionedella chiesa di S. Andrea ad opera di papa Gelasio (Vita Sabini II,5: AA.SS. Febr. 2,325); il lo-cus è generalmente ritenuto interpolato (Lanzoni, Le diocesi cit., pp. 291-294. 299), ma il re-cente rinvenimento, nel soccorpo della cattedrale di Barletta, di un laterizio con il mono-gramma di Sabino, ha fatto ipotizzare una committenza edilizia da parte del vescovo canosinoe, forse, suggerisce di riconsiderare il locus in questione: cfr. R. Giuliani, in P. Favia – R. Giu-liani, Preesistenze sacre nel sottosuolo della cattedrale di Barletta. Prime note sulle indaginiarcheologiche, Vetera Christianorum 34, 1997, pp. 329-347, part. pp. 343-345 e nota 46; R.Giuliani, Gli arredi plastici della basilica paleocristiana di Barletta, Vetera Christianorum 36,1999, p. 300. Secondo il racconto della Vita metrica di Lorenzo vescovo di Siponto, ancorauna volta papa Gelasio, alla presenza di questi stessi presuli, avrebbe consacrato la chiesa gar-ganica di S. Michele (AA.SS. Febr. 2,62); cfr. anche A. Campione, Storia e santità nelle dueVitae di Lorenzo vescovo di Siponto, Vetera Christianorum 29, 1992, p. 186, nota 66.

Per quel che riguarda la cronotassi episcopale venosina Pedio (La Basilicata cit., p. 72) ri-tiene ‘accettabile’ Asterio.

19 F. Schettini, Due monumenti paleocristiani inediti del Vulture e i loro riflessi sull’archi-tettura medievale, Archivio Storico Pugliese 19, 1966, p. 127.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 9

Un esempio emblematico della stratificazione di fonti, notizie e tradizioniantiche è costituito dalla leggenda di S. Laverio 20 del XII secolo, al cui nucleooriginario, secondo il Racioppi, sarebbe stata aggiunta nel XV o XVI secolouna parte in cui si narra che papa Damaso (366-384) avrebbe nominato primovescovo di Grumento un Sempronius Ato o Atto, antroponimi probabilmentemutuati dall’epigrafia pagana di Grumento 21. Si tratta di una notizia antisto-rica, dal momento che, come è noto, all’epoca di papa Damaso non è la sederomana a nominare i vescovi delle diocesi suburbicarie. Bisogna attendere an-cora circa un secolo perché il pontefice romano affermi il principio di consa-crare i vescovi dell’Italia suburbicaria dopo la designazione fatta dal clero edal popolo delle singole comunità 22.

Gli inizi

In assenza di notizie storicamente fondate, si può presumere che lanuova fede sia arrivata in Lucania tra II e III secolo, inizialmente sulla costaioni ca o tirrenica o nei centri ubicati sulla via Herculia 23 (Venusia, Potentia,

20 La fonte più dettagliata è la cosiddetta «Agiografia di S. Laverio» in Ughelli, Italia sacra7, coll. 488-496; cfr. G. Racioppi, L’agiografia di S. Laverio del 1162, Roma 1881; cfr. ancheG. Postiglione, Racioppi e l’Agiografia di S. Laverio alla luce di nuove acquisizioni, in Gia-como Racioppi e il suo tempo, Galatina 1975, pp. 147-154.

21 Cfr. Racioppi, L’agiografia di San Laverio cit.; Id., Storia dei popoli cit., pp. 153-154;Lanzoni, Le diocesi cit., pp. 324-325.

22 Il richiamo a papa Damaso è abbastanza ricorrente nella storia del cristianesimo locale peril ruolo fondamentale che questo pontefice ha svolto in riferimento all’affermazione e allo svi-luppo della Chiesa sia nel settore della ricerca agiografica e storica (promozione e diffusionedel culto dei martiri) che in quello dell’istituzionalizzazione del primato romano, dell’organiz-zazione della cancelleria pontificia e della monumentalizzazione e sistemazione di tombe deimartiri, catacombe ed edifici. Cfr., a tal proposito, le osservazioni di Carletti: «Damaso con-cepì e realizzò un progetto che, nella sua grandiosità e nella sua coerenza, non trova confrontiin tutta la tarda antichità: Roma, al termine del suo pontificato, era realmente circondata da unavera e propria ‘corona’ di centri di culto martiriali, cui affluivano un gran numero di fedeli ...Damaso riportò alla luce le cripte storiche delle catacombe romane con una vera e propria ‘ri-cognizione archeologica’... » (Damaso e i martiri di Roma, Città del Vaticano 1985, pp. 4-5).Cfr. anche C. Carletti, s.v. Damaso nell’Enciclopedia dei papi, in corso di stampa. Ringrazio ilprof. Carletti per avermi consentito di leggere, in bozze, il suo contributo.

23 Sul percorso della via Herculia, in seguito ai recenti rinvenimenti epigrafici cfr. M. Silve-strini, Epigraphica: Herdoniae, agro di Venusia, due nuovi miliari della via Herculia, in Epi-grafia e territorio. Politica e società 3, Bari 1994, pp. 227-268, spec. 252ss.; Ead., Epi-graphica: testi inediti dall’agro di Lucera e un nuovo miliario di Massenzio della via Herculia,in Studi in onore di Albino Garzetti, Brescia 1996, pp. 457-462. Alla via Herculia, progettatainizialmente per collegare Aequum Tuticum con l’interno della Lucania, fu poi aggiunto unsegmento che, attraverso il Sannio, collegava Aequum Tuticum con Aufidena: cfr. Grelle, Ordi-namento provinciale cit., pp. 121–122 e l’intervento di M. Silvestrini in Atti 38° Convegno di

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Grumentum) che attraversava la Regione collegando l’Appia con la Popilia 24.La prima notizia storica riferibile ad una possibile presenza cristiana in Lu-

cania è costituita da una disposizione imperiale 25, emanata nel 313 o nel319 26, che Costantino inviò a Rufino Ottaviano, corrector Lucaniae et Brittio-rum, residente probabilmente a Reggio Calabria 27. Con tale disposizione i cle-rici di quella provincia venivano esonerati ab omnibus muneribus perché po-tessero dedicarsi completamente al servizio della Chiesa. Questa notizia provache nei primi decenni del IV secolo dovevano esistere nella provincia comu-nità cristiane che disponevano già di una certa organizzazione gerarchica (cle-rici); tuttavia, sulla base di questo dato, non si può affermare che entro il IIIsecolo tutta la provincia era completamente cristianizzata. Si tratta, infatti, diuna disposizione di carattere generale che ricalca altre costituzioni imperialiemanate dallo stesso Costantino in riferimento a questioni analoghe 28. In piùcasi, infatti, – come ha rilevato Gaudemet 29 –, l’imperatore, per disposizionisimili, si rivolgeva ai rectores di provinciae, sia orientali che occidentali.

Va tenuto presente che la provincia Lucania et terra Brittiorum costituiva,dal punto di vista amministrativo, una sola realtà 30, per cui, nel nostro caso,non è facile, sulla base delle fonti, distinguere e specificare se alcuni fenomeniriguardino la Lucania o la terra Brittiorum, o entrambe: nei casi dubbi biso-gna ricorrere, per quello che è possibile, all’ausilio di altre fonti 31.

Studi sulla Magna Grecia cit., pp. 163-164, che sottolinea il particolare nesso esistente tra pro-vincializzazione e viabilità nell’Italia tardoantica.

24 In coincidenza con la riforma di Diocleziano sembra venga privilegiata la rotta navale Sa-lerno-Reggio Calabria rispetto alle strade interne Herculia e Popilia, così come la via Traianarispetto all’Appia, con uno slittamento degli interessi economici verso le coste: cfr. Grelle, Or-dinamento provinciale cit., pp. 120-121.

25Cod. Theod. 16, 2, 2 (Th. Mommsen), vol. I/2, Dublin-Zurich 1970, p. 835.26 Nel Codice Teodosiano il rescritto è datato al 319, ma il Seeck ha dimostrato che esso ri-

sale al 313: cfr. L. Cantarelli, La diocesi italiciana da Diocleziano alla fine dell’impero occi-dentale, Roma 1901, p. 150; G. Ferrari Dalle Spade, Immunità ecclesiastiche nel diritto ro-mano imperiale. Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, 99/2, 1939, pp. 162-163.

27 Cod. Theod. 7, 22, 1.28 Per tali riscontri, cfr. G. Otranto, La cristianizzazione della Calabria e la formazione delle

diocesi, Vetera Christianorum 32, 1995, pp. 352-353. 29 J. Gaudemet, L’Église dans l’empire romaine (IV-VI siécles), Paris 1958, pp. 176-178.30 Grelle sottolinea che lo sdoppiamento della denominazione della provincia Lucania et

Brittii non ha alcuna rilevanza né istituzionale né amministrativa (Ordinamento provincialecit., pp. 122-123).

31 A tal proposito va ricordata l’epistola di papa Gelasio indirizzata, tra l’altro, ai vescovi diLucania e Bruzio, che fa riferimento al fenomeno del sacerdozio femminile (Ep. 14: cfr. infra);questo fenomeno, come ha evidenziato G. Otranto, trova riscontro solo nel Bruzio: Il sacerdo-zio della donna nell’Italia meridionale, in Italia meridionale cit., pp. 95-121.

Il primo vescovo attendibilmente attestato per la Lucania è Exuperantius,ricordato in una epistola scritta da Uranio, discepolo di Paolino di Nola 32. Se-condo tale testimonianza il presbitero Postumiano ricordò a Paolino, ormai inpunto di morte (431), che bisognava saldare un debito di quaranta solidi, uti-lizzati per acquistare vestiti per i poveri. Paolino lo rassicurò profetizzandoche a breve sarebbe giunto qualcuno a saldare il debito. Dopo poco, infatti, ar-rivò un presbyter de Lucaniae partibus inviato dal vescovo Esuperanzio, conun dono di cinquanta solidi per il vescovo nolano. Allo stato attuale ignoriamola sede episcopale di Esuperanzio 33.

A confermare i collegamenti esistenti tra la Lucania e Nola tra la fine delIV e gli inizi del V secolo è un riferimento contenuto nel III dei carmina na-talicia di Paolino di Nola. Il vescovo nolano descrive la celebrazione della fe-sta di S. Felice e le folle di fedeli che si recano in pellegrinaggio a Nola pressola sua tomba il 14 gennaio, dies natalis del santo. Nel lungo elenco di pelle-grini provenienti dall’Italia meridionale vengono menzionati i Lucani e i fe-deli che coltivano le aride terre del Tanagro, corrispondente all’attuale fiumeNegro della Lucania 34. Si tratta di una notazione di rilievo perché include an-che la Lucania tra le regioni meridionali (Campania, Puglia, Molise) interes-sate, almeno dalla seconda metà del IV secolo, al flusso di pellegrinaggio checonduceva alla tomba di S. Felice 35, attestando in Lucania la presenza di cri-stiani in grado di dar vita alle prime forme organizzate di culto.

Il V secolo

A parte la disposizione di Costantino e le notizie di Paolino di Nola sullapresenza cristiana in Lucania, le prime fonti letterarie autentiche e credibili ri-conducono alla fine del V secolo 36, al pontificato di papa Gelasio (492-496),

32 Uranii presb. ep. de obitu S. Paolini ad Pacatum 3: PL 53, 861. 33 Lanzoni (Le diocesi cit., p. 322), pur rimanendo nell’incertezza, riporta il parere di altri

che attribuiscono Exuperantius alla diocesi di Paestum.34 Carm. 14, 55-60: «Lucani coeunt populi, coit Apula pubes et Calabri et cuncti quos adluit

aestus uterque, qui laeva et dextera Latium circumsonat unda... Campania.... gaudet... quisicca Tanagri colunt...» : in Paolino di Nola. I carmi. I, ed. A. Ruggiero, Napoli-Roma 1996,p. 224.

35 G. Otranto, Paolino di Nola e il cristianesimo dell’Italia meridionale, Vetera Christiano-rum 34, 1997, pp. 286-287.

36 Al V secolo risalgono anche importanti testimonianze epigrafiche ed archeologiche, non-ché la menzione di alcuni martiri attribuiti alla Lucania, riportata da alcuni dei codici più anti-chi del Martirologio gerolimiano: per un’analisi complessiva delle testimonianze del V secolorimando al saggio di prossima pubblicazione.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 11

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il cui epistolario, testimonianza preziosa per ricostruire il processo di cristia-nizzazione dell’Italia meridionale, assume un rilievo tutto particolare per laLucania, essendo una delle pochissime fonti cui attingere informazioni rela-tive all’organizzazione e alla vita interna delle comunità cristiane, oltre che inomi dei vescovi e delle diocesi esistenti in quell’epoca.

Alla fine del V secolo le chiese della Lucania sono interessate da una note-vole crisi, conseguenza anche delle travagliate vicende politiche di quegli anni edella guerra tra gli Eruli di Odoacre e i Goti di Teoderico (489-493) 37. La situa-zione di crisi e decadenza che interessava la vita politico-istituzionale e socio-re-ligiosa dell’Impero spinse il vescovo di Ravenna Giovanni, che svolse un im-portante ruolo di mediazione tra i due capi barbarici Teoderico e Odoacre, achiedere a papa Gelasio provvedimenti adeguati per riordinare molte chiesed’Italia che erano deserte e prive di ministri e avevano bisogno di interventi nor-malizzatori sul piano disciplinare, organizzativo, liturgico e dottrinale. Alla sol-lecitazione di Giovanni Gelasio risponde inviando, nel 494, una lettera ad uni-versos episcopos per Lucaniam, Brutios et Siciliam constitutos 38. L’epistola con-tiene ventotto decreti, tutti di notevole rilevanza per la storia delle comunità cri-stiane dell’Italia meridionale, riguardanti molte questioni tra cui l’accesso all’or-dine sacro, i rapporti tra clerici, la consacrazione di nuove chiese, la presenzadelle donne nelle comunità e il loro ruolo nella liturgia. Su tali questioni Gelasiorileva comportamenti anomali, detta norme precise e invita i vescovi delle re-gioni interessate a rispettare la tradizione ecclesiastica e la canonistica antica.

37 Già prima del conflitto tra Eruli e Goti la penetrazione di popolazioni barbariche avevacausato gravi contraccolpi all’assetto delle regioni dell’Italia meridionale: cfr. P. Corsi, Il Mez-zogiorno d’Italia tra Roma e Bisanzio, in Storia del Mezzogiorno, II/1, Salerno 1991, pp. 328-335. Sulla presenza dei Goti in Italia cfr. F. Giunta, Gli Ostrogoti in Italia, in Magistra Barba-ritas. I Barbari in Italia, Milano 1984, pp. 53-96.

Sulla presenza dei Barbari in Italia nei primi secoli cfr. L. Cracco Ruggini, I Barbari in Ita-lia nei secoli dell’Impero, in Magistra Barbaritas cit., pp. 3-51. Nella prima metà del IV se-colo furono stanziati in Italia gruppi di Sarmati con le loro famiglie (cfr. Cracco Ruggini, IBarbari cit., pp. 24-38); l’operazione prevedeva l’inquadramento di questi gruppi nell’ammini-strazione dell’apparato statale sotto il controllo di un apposito praefectus o praepositus che di-pendeva dal magister militum praesentalis a parte peditum (Cracco Ruggini, I Barbari cit., p.31). La Notitia Dignitatum registra un praefectus Sarmatarum gentilium per Brittios et Luca-niam (Not. Dign. Occ. 42,47): cfr. Russi, La Lucania cit., pp. 86-87. Anche per l’ Apulia et Ca-labria è attestato un praefectus Sarmatarum (Not. Dign. Occ. 42,46): sullo stanziamento diquesti gruppi in Puglia cfr. G. Volpe, Contadini, pastori, mercanti nell’Apulia tardoantica,Bari 1996, pp. 251-253. Lo stanziamento di questi gruppi nell’Italia meridionale avvenne so-prattutto nelle campagne: cfr. F. Grelle in F. Grelle – G. Volpe, La geografia amministrativaed economica della Puglia tardoantica in Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridio-nale fra tarda antichità e medioevo (a cura di C. Carletti e G. Otranto), Bari 1994, pp. 26-27.

38 Gel. Ep. 14, in A. Thiel, Epistolae Romanorum pontificum genuinae, Hildesheim-NewYork 1974 (= Thiel), pp. 360-379.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 13

Allo stato attuale a me pare difficile sostenere che tutte le questioni trattatein questa ‘epistola-enciclica’ 39 potessero interessare la totalità delle comunitàcristiane di Lucania, Bruzio e Sicilia, ai cui vescovi è genericamente indiriz-zata la lettera. Ma che alcuni problemi dovessero interessare la Lucania lo de-sumiamo da un’altra epistola gelasiana: sono i problemi connessi con la con-sacrazione di nuove chiese, per la quale si richiedeva l’autorizzazione pontifi-cia. Questo specifico tema Gelasio tratta in un’epistola indirizzata, tra il 495 eil 496, al vescovo potentino Erculenzio 40.

L’intervento del pontefice prende le mosse da una richiesta fatta da tal Tri-gezio, concernente una basilica che il devoto aveva innalzato in onore di S. Mi-chele e di S. Marco confessore su un terreno di sua proprietà. Il papa chiede adErculenzio di accertarsi se il terreno in questione è compreso nel territorio sot-toposto alla sua giurisdizione e, in caso affermativo, di provvedere alla consa-crazione solenne della chiesa. Lo stesso presule viene esortato ad informareTrigezio che, in seguito, non potrà accampare alcuna pretesa sulla nuova basi-lica, che sarebbe divenuta a tutti gli effetti proprietà della Chiesa.

A parte l’interesse della notizia in riferimento alle modalità e ai tempi dellacostituzione del patrimonium S. Petri Lucaniae, nell’epistola va messa in evi-denza l’espressione si ad tuam pertinet paroeciam: questa, da una parte ri-chiama l’esigenza di fissare normativamente i diritti giurisdizionali del ve-scovo, dall'altra qualifica il termine paroecia come sinonimo di diocesi 41.

L’esortazione conclusiva della lettera con cui il pontefice ribadisce che Tri-gezio non avrebbe potuto accampare alcun diritto di proprietà sulla chiesa dalui fondata riflette la questione delle ecclesiae publicae vel privatae 42. La co-struzione di edifici sacri ad opera di privati, che spesso, ritenendosi legittimi

39 Così è stata definita dal Lanzoni, Le diocesi cit., p. 329.40 Gel. Ep. 35: Thiel, p. 449. «Gelasius Herculentio episcopo Potentino. Trigetius huius pe-

titorii nobis insinuatione suggessit, in re sua, quae Sextilianus vocatur, basilicam se sanctorumMichaelis archangeli et Marci confessoris pro sua devotione fundasse. Et ideo, frater carissime,si ad tuam pertinet paroeciam, benedictionem supra memoratae basilicae sollemni venerationedepende. Nihil tamen fundator ex hac basilica sibi noverit vindicandum, nisi processionis adi-tum, qui Christianis omnibus in commune debetur».

41 A partire dalla seconda metà del IV secolo con il termine paroecia si indicava una comu-nità o un territorio soggetto alla giurisdizione di un presbitero o di un vescovo; la differenzia-zione tra paroecia (= territorio affidato ad un presbitero) e dioecesis (= territorio affidato ad unvescovo) cominciò ad affermarsi agli inizi del VI secolo: cfr. I. Mazzini, La terminologia dellaripartizione territoriale ecclesiastica nei testi conciliari latini dei secoli IV e V, Studi Urbinati43, 1974-1975, pp. 252-253.

42 La distinzione è nel Cod. Theod. 16, 5, 14; per la questione delle chiese pubbliche e pri-vate cfr. J. Gaudemet, L’Église cit., pp. 304-306. Sulla procedura inerente la dedicazione diuna chiesa cfr. W.M. Plöchl, Storia del diritto canonico, I, Milano 1963, pp. 271-272.

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proprietari, continuavano ad accampare diritti sulle nuove chiese, doveva es-sere un fenomeno già diffuso a quell’epoca, tanto da richiedere un interventodel pontefice. Gelasio fissò una vera e propria procedura che ogni laico era te-nuto a rispettare: questa prevedeva l’inoltro al papa di una richiesta (petitio-rum), nella quale l’interessato doveva dichiarare che la chiesa veniva costruitaa proprie spese su un terreno di sua proprietà; doveva impegnarsi a forniretutti gli oggetti di arredo necessari e provvedere al mantenimento del clero,senza reclamare alcun diritto sulla chiesa stessa. Garante degli impegni as-sunti dal fondatore sarebbe stato il vescovo nella cui diocesi insisteva lachiesa di nuova costruzione.

In più epistole Gelasio ritorna sulla questione adoperando sempre lo stessoformulario, che, evidentemente, era quello in uso nella cancelleria pontificia:tutto ciò prova l’interesse di queste epistole per lo studio della prassi cancelle-resca oltre che per la costituzione del diritto ecclesiastico.

La chiesa, come già detto, era dedicata a S. Michele e a S. Marco confes-sore 43. Il titolo di confessore dato a Marco esclude che si tratti dell’evangeli-sta o di un martire. È molto probabile che si tratti di Marco, vescovo della dio-cesi apula di Aecae tra III e IV secolo, la cui memoria ricorre nel Gerolimianoal latercolo del 5 novembre con il titolo di confessor 44.

A supportare tale ipotesi è la probabile dedicazione al Marco di Aecae diun’altra chiesa lucana nel territorio della diocesi di Grumentum 45. Il collega-mento tra il vescovo ecano Marco e la Lucania si può cogliere anche nelle in-tricate vicende della Passio duodecim fratrum che coinvolgono in prima per-sona Marco di Aecae e alcune diocesi e centri della Lucania, situati sulla viaHerculia 46.

43 Altri codici riportano la dedicazione a S. Martino anzichè a S. Marco.44 Tale titolo è attestato nei codici E (Epternacensis) e B (Bernensis) che sono due tra i co-

dici più antichi e degni di fede del Martirologio: AA.SS. Nov. II/2, pp. 586-587. Su Marco ve-scovo di Aecae cfr. M. De Santis, Marco, vescovo di Aecae tra III e IV secolo, Vetera Chri-stianorum 23, 1986, pp. 155-170.

45 P. Bottini, Nuove ricerche nelle necropoli di Grumentum, Bollettino Storico della Basili-cata 6, 1990, pp. 90-91; P. Favia, L’insediamento religioso rurale in Basilicata dal IV all’VIIIsecolo, in Alle origini della parrocchia rurale (IV-VIII sec.), Atti della Giornata tematica deiSeminari di Archeologia Cristiana (École Française de Rome, 19 marzo 1998), Città del Vati-cano 1999, pp. 326-329.

46 G. Otranto, Motivi agiografici nella ricostruzione di Herdonia paleocristiana, VeteraChristianorum 30, 1993, pp. 187-192. Favia, L’insediamento religioso cit., pp. 328 nota 43.334. I rapporti tra Aecae e la Lucania sono dimostrati anche dalla dedicazione a S. Secondinodi una chiesa in finibus Acheruntinis: cfr. la questione in Favia, L’insediamento religioso cit.,p. 341. Su Secondino, vescovo della diocesi daunia tra V e VI secolo cfr. quanto da me osser-vato in A. Campione – D. Nuzzo, La Daunia allle origini cristiane, Bari 1999, pp. 78-86; sullaHistoria inventionis S. Secondini ho in preparazione un contributo più ampio.

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L’altro santo cui è dedicata la chiesa è Michele: anche tale dedicazione èprobabilmente da mettere in rapporto con un culto diffuso nelle aree circo-stanti. Il culto dell’Angelo, come è noto, da Costantinopoli approdò in unagrotta sul monte Gargano verso la metà del V secolo 47. Dalla grotta garganicaben presto la devozione per Michele si diffuse nelle zone circostanti da doveprovenivano i primi pellegrini 48: la dedicazione all’Arcangelo di questa chiesae di un’altra nella diocesi di Larino – pure testimoniata dall’epistolario di Ge-lasio 49 – possono essere considerate il riflesso della diffusione del culto mi-caelico garganico a seguito, appunto, dei primi pellegrinaggi 50 sulla montagna.

47 Abitualmente si fa risalire l’arrivo del culto sul Gargano alla fine del V secolo; recenti in-dagini di Otranto hanno proposto la prima metà del V secolo: cfr. G. Otranto, Il «Liber de ap-paritione», il santuario di San Michele sul Gargano e i Longobardi del Ducato di Benevento,in Santuari e politica nel mondo antico (a cura di M. Sordi), Milano 1983, pp. 236-240. Sulsantuario garganico, da oltre un ventennio oggetto di studi e ricerche da parte di ricercatori estudiosi del Dipartimento di studi classici e cristiani dell’Università di Bari, cfr. Il santuario diS. Michele sul Gargano dal VI al IX secolo. Contributo alla storia della Langobardia meridio-nale (a cura di C. Carletti e G. Otranto), Bari 1980; Culto e insediamenti micaelici nell’Italiameridionale fra tarda antichità e medioevo (a cura di C. Carletti e G. Otranto), Bari 1994;L’Angelo, la Montagna, il Pellegrino. Monte Sant’Angelo e il santuario di San Michele delGargano, Foggia-Roma 1999.

48 Riferimenti ai primi pellegrinaggi, nel giorno della dedicazione del santuario, sono conte-nuti già nel Liber de apparitione sancti Michaelis Archangeli in monte Gargano, l’operettaagiografica anonima dell’VIII secolo, fondamentale per la ricostruzione della storia del santua-rio e del culto dell’Angelo sul Gargano: «Maxime tamen eiusdem die natalis, cum et provinciiscircumpositis plus solito conflua turba recurrat et angelicae virtutis maior quodammodo creda-tur adesse frequentia» (MGH Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saecc. VI-IX,Hannoverae 1878, p. 543). Sui pellegrinaggi al santuario garganico cfr. nel recente volumeL’Angelo, la Montagna, il Pellegrino cit., i contributi di A.E. Felle, La memoria e le scritture(pp. 30-41); I. Aulisa, Pellegrini al monte Gargano. Le testimonianze letterarie (pp. 42-49); S.Bettocchi – I. Aulisa, Vie di pellegrinaggio al Gargano (pp. 112-116).

49 Gel. Ep. 2, in S. Loewenfeld, Epistolae Pontificum Romanorum ineditae, Leipzig 1885, p.1. Gelasio dà a Giusto, vescovo di Larino, l’incarico di consacrare una chiesa dedicata all’Ar-cangelo e costruita per iniziativa di due fedeli, Priscilliano e Felicissimo, su un suolo di loroproprietà.

50 Cfr. Otranto, Il «Liber de apparitione», cit., pp. 239-240. Sulla diffusione e lo sviluppodel culto micaelico cfr. G. Otranto, La montagna garganica e il culto micaelico: un modelloesportato nell’Europa altomedievale, in Monteluco e i monti sacri, Atti dell’incontro di studio(Spoleto, 30 settembre – 2 ottobre 1993), Spoleto 1994, pp. 85-124; Id., Il culto di San Micheledal Gargano a Mont Saint-Michel in Normandia, alla Sacra in Val di Susa, Vetera Christiano-rum 36, 1999, pp. 71-107. La devozione dei Lucani per l’Arcangelo è attestata anche dalla de-dicazione di altre chiese in epoche successive: nel complesso monastico di S. Ippolito, il nu-cleo dedicato a San Michele, recentemente datato tra VIII e IX secolo (cfr. Favia, L’insedia-mento religioso cit., pp. 342-344, ivi bibliografia); il monasterium sancti Michaelis archangeliin monte Vulture che insisteva nel territorio di Rapolla: la prima attestazione ricorre in un pri-vilegio di Ottone III del 982; l’insediamento rupestre di S. Michele alle Grottelle, con interes-santi affreschi; il monastero sancti Michaelis archangeli de Monte Caveoso, sito nel territoriodi Acerenza: cfr. J.-M. Martin, Le culte de saint Michel en Italie méridionale d’après les actesde la pratique (VIe-XIIe siècles), in Culto e insediamenti cit., pp. 375-403.

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La devozione dei Lucani per l’Arcangelo è attestata anche dalla dedicazionedi altre chiese in epoche successive.

Ritornando all’epistola gelasiana, allo stato attuale delle conoscenze, non èpossibile individuare il luogo sul quale sorgeva la chiesa. Un dato mi parecerto: doveva trattarsi di un luogo non molto distante da Potenza, in quantorientrava nel territorio posto sotto la giurisdizione del vescovo potentino Ercu-lenzio 51. La questione è stata ripresa di recente: a Potenza è ubicata una chiesadedicata a S. Michele, datata tra XI e XII secolo, distante dall’antico nucleourbano; dopo recenti lavori di restauro, sono state rinvenute tracce riconduci-bili ad una più antica fase architettonica. Tuttavia, l’identificazione di questiresti con la chiesa dedicata a S. Michele e S. Marco citata nell’epistola di Ge-lasio non sembra confortata, allo stato attuale, da elementi archeologici pro-banti 52.

Allo stesso Erculenzio di Potenza, a Stefano di Venosa e a Giusto di Ace-renza papa Gelasio invia un’epistola datata al 494-495 53. Il pontefice comu-nica loro che gli pervengono molto spesso lamentele circa l’operato di alcunivescovi che, contravvenendo alle regole antiche e ai suoi decreti più recenti,innalzano alla dignità e all’ufficio clericale anche gli schiavi. Sabino, vescovodi Consilinum o Marcellianum, aveva ordinato presbitero un certo Antioco eammesso al clero suo fratello Leonzio, entrambi schiavi della matrona Placi-dia. Questa si era lamentata presso la sede pontificia per l’ordinazione fatta asua insaputa e in sua assenza. Il papa esorta i tre vescovi ad accertare la veritàdei fatti, interrogando i protagonisti dell’episodio. Se non è possibile risolvere

51 Pedio (La Basilicata cit., p. 78) riprende la notizia di ‘alcuni antichi cronisti’ secondo cuia Potenza, intorno al 410, e quindi prima dell’episcopato di Erculenzio, sarebbe stata costruitauna chiesa dedicata al Battista. Al di sotto dell’attuale duomo sono stati messi alla luce lacertimusivi databili tra V e VI secolo, riconducibili ad una chiesa paleocristiana: cfr. la scheda re-lativa a Potenza di M. Salvatore in Actes du Xe Congrès International d’Archéologie Chré-tienne cit., p. 112.

52 Cfr. la questione in Favia, L’insediamento religioso cit., pp. 331-332.53 Gel. Ep. 21: Thiel, p. 388: «Frequens equidem et assidua nos querela circumstrepit de his

pontificibus, qui neque antiquas regulas nec decreta nostra noviter directa cogitantes, obnoxiaspossessionibus obligatasque personas venientes ad clericalis officii cingulum non refutant. Nu-per etenim actores illustris feminae Placidiae petitorii oblatione conquesti sunt, Sabinum Mar-cellianensis sive Casilinatis urbis Antiochum servum iuris patronae suae, absentis dominae oc-casione captata, ad presbyterii honorem usque productum, eiusque fratrem Leontium clericalisofficii privilegio decorasse. Et ideo, fretres carissimi, inter supradictos actores et eos, qui con-ditionis extremae repetuntur, obiectam cognitionem vobis nostra auctoritate deputamus: etomni veritate discussa, si revera obiectam sibi maculam iustitiae refragationis non potuerit ra-tione diluere, Leontium clericum, quem gradus praefinitus legibus non defendit, ad sequendamcognationis suae necessitatem modis omnibus redhibete. Antiochum vero, quia propter sacer-dotium non iam potest retolli, si in suam ecclesiam in hoc, in quo est, honore desiderat collo-care, non veluti redditum sibi, sed habeat pro mysteriorum celebratione susceptum».

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diversamente la questione, Gelasio dispone che venga ripristinata la situazioneoriginaria; poiché Antioco, già ordinato presbitero, non poteva essere riportatoalla condizione di schiavo, il papa propone alla matrona di tenerlo come pre-sbitero a servizio della sua chiesa.

L’epistola in questione si rivela fonte importante non solo perché restitui-sce un tassello nella cronotassi episcopale delle tre diocesi lucane di Potenza,Venosa e Acerenza, ma anche perché consente di ricostruire alcuni momentidel vissuto quotidiano, che richiamano problemi di carattere generale riguar-danti le istituzioni ecclesiastiche, la costituzione del clero e i rapporti tra cle-rici e laici, i duo genera christianorum di cui, secondo la distinzione larga-mente accolta dalla tradizione 54, si componevano le antiche comunità cri-stiane.

La prima osservazione suggerita dall’epistola gelasiana riguarda la distin-zione tra Antioco, ordinato presbitero (ad presbyterii honorem usque produc-tus) e suo fratello Leonzio ammesso al clero (clericalis officii privilegio).Quest’ultimo, secondo Gelasio, poteva essere ridotto allo stato laicale e,quindi, alla sua primitiva condizione di schiavo, mentre il primo, a motivo delcarattere indelebile dell’ordine sacro, avrebbe dovuto continuare ad esercitareil sacerdozio nella ecclesia 55 di Placidia: evidentemente Leonzio aveva rice-vuto uno degli ordini minori (suddiacono, accolito, lettore, esorcista, ostiarioecc.), che non comportava il carattere della irreversibilità. Tale distinzione eravenuta gradualmente affermandosi sin dal III secolo ed era stata ufficialmentefissata in una costituzione dell’imperatore Arcadio nel 399 56, per la quale ve-scovi, presbiteri e diaconi, che costituivano gli ordini maggiori, dopo la con-sacrazione non potevano in alcun modo essere reintegrati nelle funzioni civili,diversamente dagli ordini minori.

54 Sui diversi gradi della gerarchia e sulla sua costituzione del clero cfr. Gaudemet, L’Églisecit., p. 98ss.

55 L’espressione in sua ecclesia si può intendere in un duplice modo: potrebbe trattarsi cioèdi un’ecclesia fatta costruire dalla matrona Placidia (così Favia, L’insediamento religioso cit.,pp. 318. 331-332; cfr. anche supra) oppure dell’ecclesia abitualmente frequentata dalla ma-trona. Non va dimenticato, infatti, che papa Gelasio fu l’autore di un’importante riforma stig-matizzata dall’espressione territorium non facit diocesim, che sanciva il diritto di scegliere,all’interno della diocesi di appartenenza, la chiesa da frequentare: cfr. Otranto, Italia meridio-nale cit., pp. 66-67.

56 Cfr. Cod. Theod. 12, 1, 163: «Si qui ex secundo divi patris nostri consulatu curiam relin-quentes clericorum se consortio manciparunt, si iam episcopi vel presbyteri diaconesve essemeruerunt, in sacris quidem et secretioribus dei mysteriis perseverent, sed aut substitutos prose curiae offerre cogantur aut iuxta legem dudum latam tradant curiae facultates; residui om-nes, lectores subdiaconi vel ii clerici, quibus clericorum privilegia non debentur, debitis moxpatriae muneribus praesententur».

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La decisione di consentire ad Antioco di continuare ad esercitare la fun-zione presbiterale nella ecclesia della sua padrona si configura come una solu-zione di compromesso tra il carattere indelebile del sacerdozio ministeriale ela richiesta di Placidia, che era ben radicata nel diritto e nella prassi della so-cietà romana.

Quanto al divieto di ammettere schiavi tra i clerici, va rilevato che esso ri-sente del processo di istituzionalizzazione della Chiesa che, a partiredall’epoca costantiniana, venne gradualmente mutuando modelli, procedure ementalità dell’Impero. Infatti, fino alla metà circa del III secolo lo schiavo po-teva accedere al diaconato e al sacerdozio: Callisto, da schiavo, era divenutoprima diacono e poi addirittura vescovo di Roma. Tra IV e V secolo, accantoalle qualità morali indicate da Paolo 57, altri requisiti furono richiesti per l’or-dinazione sacerdotale: sesso maschile, età, qualità fisiche e mentali, ecc. Traquesti assume un particolare rilievo la libertà che, come nella legislazione se-colare, diventa condizione indispensabile per l’ordinazione 58, in quanto l’eser-cizio del ministero sacerdotale non poteva conciliarsi con lo status di schiavo,che comportava inferiorità e dipendenza nei confronti del dominus 59.

Emerge da questa epistola un dato importante che, come vedremo, trovaconferma in altre lettere gelasiane: tra gli schiavi vincolati alle grandi pro-prietà terriere erano comprese persone che avevano conseguito un livello cul-turale sufficiente per essere elevate ai vari gradi della gerarchia ecclesiastica.

Dall’atteggiamento del pontefice riguardo al problema dell’ordinazione de-gli schiavi 60 è difficile capire se le ordinazioni illegittime fatte dai vescovi de-rivassero da ignoranza delle disposizioni conciliari e pontificie, oppure da unaprecisa volontà di contravvenire alla norma (utrum ignorantia an volun-tate... 61); tale voluntas potrebbe anche essere interpretata come un tentativo dicombattere la schiavitù: tentativo che, comunque, Gelasio non avalla.

57 1Tim 3, 8-13.58 Gaudemet, L’Église cit., pp. 136-140.59 Cfr. le osservazione di G. Otranto, [Due epistole di papa Gelasio I (492-496) sulla comu-

nità cristiana di Lucera, Vetera Christianorum 14, 1977, pp. 133-134], a proposito di un’altraepistola gelasiana che si sofferma sul problema delle ordinazioni illegittime di schiavi.

60 Cfr. anche le Epp. 20 e 22: Thiel, pp. 386-388. 389. Notevole fu il ruolo svolto da Gela-sio nel chiarire le prescrizioni giuridiche relative all’ordinazione di uno schiavo: cfr. Plöchl,Storia del diritto cit., pp. 230-231.

61 Ep. 20: Thiel, p. 386. Questa epistola è indirizzata ai vescovi Martirio di Terracina e Giu-sto probabilmente di Acerenza: l’attribuzione di questi due vescovi alle diocesi di Terracina eAcerenza è stata fatta sulla base delle sottoscrizioni conciliari del sinodo simmachiano del 499(MGH AA XII, p. 407).

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In un frammento attribuito alla stessa lettera 62 il papa esorta i tre vescovi inquestione, Erculenzio, Stefano e Giusto, a farsi mandare dal vescovo Repara-tus il presbitero Genitor, il quale tratteneva presso di sé il servo Septimus, pre-teso dal padrone, perché fosse giudicato. Del vescovo Reparatus non vieneprecisata la diocesi di appartenenza. Per Lanzoni è verosimile che Reparatusabbia retto una diocesi lucana 63. Considerato che secondo la testimonianzadell’epistolario gelasiano la diocesi di Grumentum risulta vacante 64, si puòipotizzare che Reparatus abbia retto la chiesa di Metapontum 65, diocesi per laquale, allo stato attuale delle ricerche, non conosciamo alcun nome di vescovo.

Da un’altra epistola 66 siamo informati che papa Gelasio affida a Stefano diVenosa e a Giusto di Acerenza 67 l’incarico di fare chiarezza su un episodio in-crescioso verificatosi nella diocesi di Salpi in Puglia. Un certo Brumario,spectabilis vir, ma dai modi violenti, aveva ucciso, apparentemente senza mo-tivo, un servus della chiesa di Salpi e aveva offeso in maniera molto grave ilvescovo Proficuo. I due vescovi lucani sono incaricati dal papa di fare chia-rezza sull’accaduto e di interrogare Brumario per conoscere la causa di tantaviolenza e delle pesanti accuse rivolte al vescovo. Qualora il colpevole avessecontinuato a tenere un atteggiamento di disprezzo, Giusto e Stefano potevanocomunicare al vescovo di Salpi, Proficuo, di adire le vie legali ordinarie.

Il coinvolgimento del vescovo Proficuo nella vicenda, intervenuto proba-bilmente in difesa del servus ecclesiae ucciso da Brumario, ha fatto ipotizzareche lo stesso servus facesse parte della gerarchia come presbyter o diaconus 68.

62 Il frammento è in Ph. Jaffé, Regesta pontificum Romanorum, I, Graz 1956, n. 653, p. 87.Nell’ed. Loewenfeld (ep. 10, p. 6) è considerato un’epistola a parte, ma indirizzata solo a Ste-fano ed Erculenzio; per Ewald Stefano è forse vescovo di Napoli (Loewenfeld, p. 6).

63 Le diocesi cit., p. 328.64 Cfr. infra p. 20.65 L’ipotesi è estensibile a una delle altre diocesi comprese, all’epoca di Gelasio, nel territo-

rio lucano.66 Gel. fragm. 14: Thiel, pp. 490-491: «Gelasius Iusto et Stephano episcopis. Frater et coe-

piscopus noster Proficuus Salpinae sacerdos ecclesiae petitorii nobis insinuatione suggessit,Brumarium spectabilem virum, quum nullis exstantibus causis servum ecclesiae gravissimacaede mactasset, tunc etiam et augendam violentiae suae pervicaciam supradictum antistitemgravissimis contumeliis affecisse. Et ideo, fratres carissimi, si a vobis admonitus ad iudiciumvestrum inquisitionemque convenerit, veritate discussa, unde tantus superbiae spiritus aut vio-lentiae conceptio fluxerit, quidve fuerit quod pontifex tanta laceraretur insolentia, nostris auri-bus relatione signate. Aut si forte simili praesumptione contempserit, potestatem sibi supradic-tus pontifex noverit esse concessam, quatenus apud iudicem provinciae atrocium iniuriarumquaerat propositione vindictam».

67 Nella superscriptio, tuttavia, non è specificata la diocesi di appartenenza dei due vescovi;essi sono concordemente attribuiti alle due diocesi lucane.

68 Otranto, Italia meridionale cit., p. 172.

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A Giusto di Acerenza 69 il papa indirizza un’altra lettera tra la fine del 494e il 495, in cui lo esorta a prendere adeguati provvedimenti nei confronti diGlirio, il quale, disprezzando la disciplina ecclesiastica, pretendeva di oboe-dire humanis legibus et publicae disciplinae. Dalla lettera si desume che Gli-rio all’interno della comunità ricopriva un ministerium ecclesiasticum di uncerto rilievo 70.

L’epistolario gelasiano fornisce diverse notizie anche sulla chiesa di Gru-mentum, senza mai citare il nome di un vescovo. Il pontefice, in una lettera dicui è pervenuto un solo frammento 71, incarica Sabino, vescovo di Consilinum,di consacrare diacono, secondo l’indicazione del popolo della civitas Grumen-tina, il defensor Quarto 72; egli precisa che la consacrazione poteva avvenireda parte del vescovo in qualità di visitator della diocesi grumentina (visitato-ris officio, non potestate proprii sacerdotis). Poiché l’incarico di consacrare ildiacono Quarto viene affidato al vescovo di Consilinum è legittimo supporreche, a quell’epoca, la diocesi di Grumentum fosse vacante.

Nel frammento sopra riportato il termine civitas mi pare adoperato come si-nonimo di ecclesia. Tale identificazione tra civitas ed ecclesia, già testimoniatain un’epistola di Celestino I 73, presuppone che il processo di progressiva cri-stianizzazione delle città, all’epoca di Gelasio, si sia già realizzato: era stato unprocesso lento e differente da zona a zona, che, a partire dal IV secolo, avevagradualmente trasformato la vita delle città, legate ai loro riti pubblici e civili 74.

I rapporti tra le diocesi di Consilinum e Grumentum sono attestati anche daun’altra epistola indirizzata ai vescovi Crispino, di sede ignota, e Sabino di Con-

69 L’attribuzione di Giusto alla diocesi di Acerenza dubbia per il Lanzoni (Le diocesi cit., p.300), è accettata dal Kehr (Italia Pontificia IX, Berolini 1962, p. 455); Loewenfeld e Ewald(ep. 13, p. 7) considerano Giusto vescovo di Larino, nel Molise.

70 Il Kehr (Italia Pontificia IX, p. 455) ipotizza che il ministerium ecclesiasticum fossequello episcopale.

71 Fragm. 6: Thiel, p. 486.72 Sulla figura del defensor e della sua evoluzione, cfr. Gaudemet, L’Église cit., pp. 367-368;

V. Recchia, Gregorio Magno e la Puglia, Bari 1969, pp. 25-36; L. Giordano, Giustizia e po-tere giudiziario ecclesiastico nell’epistolario di Gregorio Magno, Bari 1998, pp. 90-93 (ivi bi-bliografia).

73 Ep. 5: PL 50, 437. Celestino I, nell’epistola inviata ai vescovi di Apulia et Calabria, de-nuncia le manovre di alcuni laici che ambivano alla carica episcopale pur non essendone degni:cfr. C. Guarnieri, Nota sull’elezione episcopale in Apulia all’inizio del V secolo, Vetera Chri-stianorum 17, 1980, pp. 355-356. Nell’epistola il pontefice fa riferimento a civitates propriisdestitutae rectoribus e a ecclesiae quae propriis rectoribus carent con una chiara identifica-zione tra civitas ed ecclesia: cfr. Otranto, Italia meridionale cit., p. 154.

74 Su alcuni aspetti della vita delle città in rapporto alla religione cristiana nel IV secolo cfr.il pregevole studio di A. Di Berardino, I cristiani e la città antica nell’evoluzione religiosa delIV secolo, in Cristianesimo e istituzioni politiche. Da Costantino a Giustiniano, Roma 1997,pp. 45-79.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 21

silinum 75. Silvestro e Faustiniano, due clerici della chiesa di Grumentum, sierano rivolti al papa lacrymosa insinuatione perché, dopo essersi affrancati eaver servito nella chiesa in qualità di clerici, gli eredi del loro ex dominus pre-tendevano che fossero nuovamente privati della libertà. L’arcidiacono dellachiesa di Grumentum, invece di far risolvere la controversia da un tribunale ec-clesiastico, aveva consentito che la questione fosse trattata da un tribunale civile.

Questo comportamento abnorme dell’arcidiacono trova spiegazione inun’altra epistola inviata da Gelasio al comes Zeja 76, dalla quale apprendiamoche a rivendicare la proprietà dei due clerici Silvestro e Faustiniano era so-prattutto Teodora, che era riuscita a convincere l’arcidiacono di Grumentumad affidare la questione ad un tribunale civile. La vicenda, così ricostruita,evidenzia il potere di questa matrona Teodora e i rapporti che si creavano tranobiltà locale e rappresentanti del clero. Inoltre il fatto che Gelasio si rivolgaal comes Gothorum 77 e non piuttosto al corrector della provincia dimostranon soltanto la crisi che attraversava l’organizzazione politico-istituzionaledella provincia stessa in quell’epoca, ma anche, come ha rilevato Pedio 78, ibuoni rapporti intercorrenti tra i Goti ariani e la sede di Roma.

I concili simmachiani

Tra i vescovi destinatari delle epistole gelasiane, Giusto di Acerenza 79 eStefano di Venosa 80 parteciparono anche ai concili simmachiani, convocati aRoma tra il 499 e il 502 da papa Simmaco (498-514), per porre fine allo sci-sma dell’antipapa Lorenzo 81. Gli atti dei concili simmachiani 82 hanno un’im-

75 Gel. ep. 23: Thiel, pp. 389. 390. In una lettera precedente, cui abbiamo già fatto riferimento, indirizzata ai vescovi Erculen-

zio, Stefano e Giusto il papa si era lamentato proprio di Sabino di Consilinum che, violando lalegge, aveva ordinato due schiavi. Può sembrare strano che ora Gelasio affidi proprio a Sabinoil compito di ripristinare la legge in una questione simile; in realtà questo può essere dovuto alfatto che, proprio perché Sabino era stato sottoposto ad un’inchiesta del genere, poteva ben co-noscere i termini della questione.

76 Gel. ep. 24: Thiel, pp. 390-391.77 Viene definito Dilectissimus filius.78 Pedio (La Basilicata cit., p. 79).79 Giusto di Acerenza sottoscrive gli atti del concilio del 499: MGH AA. XII, cit., p. 407.80 Stefano di Venosa partecipa ai due concili del 501 e 502: MGH AA. XII, cit., pp. 433. 452.81 Per la recente revisione di questi sinodi e la inversione nella cronologia dei concili del 501 e

502 cfr. E. Wirbelauer, Zwei Päpste in Rom: der Konflikt zwischen Laurentius und Symmachus(418-514), (Quellen und Forschungen zur Antike Welt 16), München 1993; su tutta la questionecfr. anche T. Sardella, Societá Chiesa e Stato nell’etá di Teoderico. Papa Simmaco e lo scisma lau-renziano, Soveria Mannelli 1996, pp. 27-28; sullo scisma laurenziano Ead., ibidem, pp. 9-111.

82 La delegazione pugliese presente ai concili simmachiani fu molto numerosa; tra gli altri,Eutichio di Turenum e Probo dell’ager Carmeianus, attestano l’avvenuta trasformazione dei

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portanza particolare per la Lucania, perché consentono di recuperare, oltre chealcuni nomi di vescovi, anche la linea di ‘politica’ ecclesiastica perseguita, lacapacità di relazionarsi con Roma e/o con altre comunità cristiane, il grado diricezione e partecipazione alla discussione di temi e problemi dibattuti nellaChiesa dell’epoca.

Di particolare rilievo è la partecipazione del vescovo venosino Stefano aidue concili romani del 501 e del 502; in quest’ultimo concilio egli partecipaalla discussione relativa alla salvaguardia dei possedimenti ecclesiastici da in-tromissioni di laici ribadita con notevole fermezza 83. Il suo intervento, in li-nea con quanto sostenuto dai vescovi Lorenzo di Milano, Pietro di Ravennaed Eulalio di Siracusa, diocesi che avevano una notevole consistenza patri-moniale 84, può anche far ipotizzare l’esistenza nel Venosino di proprietà ec-clesiastiche di una certa consistenza 85 sul cui possesso e sulla cui amministra-zione ecclesiastici e laici dovettero essere spesso in disaccordo. E questoprova, a mio parere, che, almeno dalla fine del V secolo, venne gradualmentecostituendosi un patrimonium S. Petri Lucaniae 86, la cui gestione, ammini-strazione e crescita causarono episodi di conflittualità tra laici ed ecclesia-stici, ma diedero anche vita ad un sicuro sviluppo nel settore dell’edilizia reli-giosa. Ciò potrebbe essere provato dal rinvenimento, nell’agro di Lavello, in lo -calità Foragine, di un mattone recante una croce monogrammatica con brac -ci apicati, databile tra V e VI secolo: rinvenimento che induce ad ipotizza re

due vici in diocesi evidenziando la funzione poleogenetica del vescovo: cfr. Campione-Nuzzo,La Daunia cit., pp. 30 -32. 57-62. 97-101.

83 MGH AA. XII, cit., pp. 446-448. In seno alla chiesa il problema della inalienabilità delleproprietà ecclesiastiche e dell’ingerenza dei laici nell’amministrazione delle stesse fu molto di-scusso e oggetto di ripetute deliberazioni conciliari. Leone Magno, nel concilio di Roma del447, sulla spinta di alcune lamentele pervenutegli da parte di clerici siciliani perché alcuni ve-scovi alienavano i beni della chiesa, ammonisce a non seguire hoc perniciosissimum nequissi-mae depredationis exemplum «…. Sine exceptione decernimus ne quis episcopus de ecclesiaesuae rebus audeat quidquam vel donare, vel commutare, vel vendere … Nam presbyteri, veldiaconi, aut cuiusvis ordinis clerici qui conniventiam in ecclesiae damna miscuerint sciant seordine et communione privandos…» (Mansi 6, 493-494). Su queste problematiche si pronun-ciarono ripetutamente, nel VI secolo, i concili merovingici: cfr. concilio di Epaone (517), con-cili di Orléans (del 511. 538. 541. 549), Clermont (535), Parigi (556-573) Tours (567) Chalon(647-653).

84 Volpe, Contadini cit., pp. 359-360.85 Favia, L’insediamento religioso cit., p. 315, nota 10. 86 Circa due secoli dopo, nella biografia di papa Conone (686-687) si fa riferimento a sgravi

fiscali per il patrimonium Brittius et Lucaniae e all’esistenza di un apparato amministrativo le-gato alla gestione delle proprietà ecclesiastiche (Liber Pontificalis, I, Paris 1886, pp. 368-369;Burgarella [Le terre bizantine (Calabria, Basilicata, Puglia), in Storia del Mezzogiorno. II/2. IlMedioevo, Napoli 1989, p. 496, nota 55 e p. 498, nota 79] rileva come la vecchia denomina-zione provinciale fosse ancora in uso nella cancelleria pontificia.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 23

per questa zona, come per Canosa 87, l’esistenza di una figlina episcopale 88.Ai concili del 501 e 502 si registra la presenza anche di Amandus episco-

pus ecclesiae Potentinae 89. Come rilevato dal Lanzoni 90 e dal Kehr 91, è diffi-cile stabilire se si tratti di Potenza lucana o di Potenza picena; non si puòescludere, tuttavia, la diocesi lucana, anche perché il vescovo Erculenzio, acapo della diocesi potentina almeno fino al 495, risulta assente dai concilisimmachiani e quindi Amandus, come è stato ipotizzato da Racioppi 92,Gams 93 e Coniglio 94, potrebbe essere stato il suo successore.

Il VI secolo

Anche il VI secolo si conferma avaro di notizie tanto sulla Lucania in ge-nerale, quanto sulla diffusione del cristianesimo e sulle strutture ecclesiastichedella regione, segno di una marginalità che ha interessato i centri dell’Italiameridionale, soprattutto quelli interni e non posti sulle grandi vie di comuni-cazione. Dopo i concili simmachiani bisogna attendere più di mezzo secoloper poter registrare altre testimonianze sul cristianesimo lucano. Cassiodoro,per esempio, un autore ricco di notizie riguardanti l’Italia meridionale 95 e so-

87 Sui laterizi con il monogramma di Sabino rinvenuti a Canosa cfr. Volpe, Contadini cit.,pp. 101-106; sui recenti rinvenimenti degli stessi mattoni a Barletta cfr. Favia-Giuliani, Preesi-stenze sacre cit.; cfr. supra nota 18.

88 M. Salvatore, in Il Museo Archeologico Nazionale di Venosa, Matera 1991, pp. 278. 280;M. Salvatore, L’organizzazione della città e del territorio in rapporto alle attività produttive,in M. L. Marchi - M. Salvatore, Venosa: forma e urbanistica, Roma 1997, pp. 140-141. G. Sab-batini (Il Museo Archeologico cit., p. 141) ipotizza anche una provenienza canosina.

89 MGH AA., XII, cit., pp. 434. 454.90 Lanzoni, Le diocesi cit., p. 328.91 Kehr, Italia Pontificia IX, p. 484.92 Storia dei popoli cit., pp. 127. 145-146. Erroneamente Pedio (La Basilicata cit., p. 81) ri-

tiene che il Racioppi consideri Amandus vescovo di Potenza picena.La stessa confusione tra le due diocesi omonime era sorta a proposito del vescovo Faustino,

inviato come legato pontificio in Africa dei papi Celestino I e Zosimo: Racioppi (Storia dei po-poli cit., p. 145) lo ritiene vescovo di Potenza picena; così Lanzoni (Le diocesi cit., p. 390). IlLanzoni (ibidem) attribuisce a Potenza picena anche l’anonimo pontifex Potentinae urbis men-zionato in una epistola di papa Gelasio a Geronzio, vescovo di Valva. Una civitas lucana è at-testata in una Passio S. Emiliani, ma il riferimento non sembra attendibile: cfr. Lanzoni, Le dio-cesi cit., p. 436.

93 P. M. Gams, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae, Graz 1957, p. 913. 94 G. Coniglio, Note storiche sulla Chiesa di Puglia e Lucania dal V al IX secolo nei fondi

pergamenacei, in Puglia Paleocristiana II, Galatina 1974, p. 42.95 Cfr. le osservazioni di G. Polara in riferimento alla ‘sottovalutazione’ e alla ‘sottoutilizza-

zione’ delle Variae per la ricostruzione della storia d’Italia della prima metà del VI secolo: L’Ita-lia meridionale e le Variae di Cassiodoro, Atti del 38° Convegno di studi sulla Magna Grecia,

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prattutto la Terra Brittiorum di cui era originario, fornisce pochi elementisulla realtà socio-ambientale e politico-istituzionale della Lucania 96, senzafare alcun riferimento alle comunità cristiane, se si esclude un cenno a nonmeglio precisati ecclesiae saepta 97. Qui, come si apprende dalla denunciafatta dal corrector Lucaniae et terra Brittiorum 98, si era rifugiato, alla ricercadell’impunità, un certo Iovinus curialis che si era macchiato di un grave fattocriminoso. Teoderico, in segno di rispetto verso l’ecclesia che l’aveva accolto,diede ordine al prefetto del pretorio di condannare Iovinus soltanto alla rele-gazione perpetua nell’isola di Vulcano 99.

Anche se la storiografia più recente tende a ridimensionare gli effetti e leconseguenze della guerra greco-gotica (535-553) sull’assetto delle circoscrizioni

cit., pp. 9-12. A conferma di ciò, E. Zanini (Le Italie bizantine. Archeologia e organizzazione delterritorio nella provincia bizantina d’Italia, Bari 1998) nella ricca disamina di fonti utilizzateper la ricostruzione del periodo che va dalla guerra greco-gotica alla caduta dell’esarcato di Ra-venna, sembra non menzionare le Variae di Cassiodoro. Nel volume di Zanini non vi è neancheriferimento all’epistolario di papa Pelagio, pure coevo agli avvenimenti di cui si occupa l’A.

96 Cfr. V. A. Sirago, La Lucania nelle ‘Variae’ di Cassiodoro, Studi Storici Meridionali 5,1985, pp. 143-161. Da Cassiodoro (Var. 3,8) apprendiamo che tra gli anni 507-511 anche la Lu-cania, come altre regioni meridionali, attraversava un periodo di crisi che le impediva di versareregolarmente i tributi fiscali; per gli anni tra il 533 e il 535 (Var. 11,39), anche l’allevamento disuini (Lucania) e di bovini(Brittii), che negli anni precedenti aveva rifornito Roma, si era ridottoa tal punto che la provincia non riusciva a versare il tributo fiscale di mille solidi, già più voltesoggetto a sgravi fiscali: cfr. L. Ruggini, Economia e società nell’Italia annonaria. Rapporti fraagricoltura e commercio dal IV al VI secolo d. C., Milano 1961 (ristampa anastatica con ag-giunte Bari 1995), pp. 312-317.470. Su alcuni aspetti della vita economica e sociale tra IV e VIsecolo agile sintesi in P. Corsi, Il Mezzogiorno d’Italia tra Roma e Bisanzio, in Storia del Mez-zogiorno. II/1. Il Mezzogiorno antico, Salerno 1991, pp. 335-344.

97 Cassiod., Var. 3,47. L’espressione ecclesiae saepta ricorre nella legislazione e nella cano-nistica conciliare relativa al diritto d’asilo; tale diritto, inizialmente limitato alla sola chiesa, fuesteso, nel 431 da Teodosio II e Valentiniano, anche agli spazi adiacenti alla chiesa stessa: «…nec sola altaria et oratorium templi circumiectum, qui ecclesias quadripertito intrinsecus parie-tum saeptu concludit, ad tuitionem confugentium sancimus esse proposita, sed usque ad extre-mas fores ecclesiae, quas oratum gestiens populus primas ingreditur, confugientibus aram salu-tis esse praecipimus, ut inter templi quem parietum descripsimus cinctum et post loca publicaianuas primas ecclesiae quidquid fuerit interiacens sive in cellulis sive in domibus hortulis bal-neis areis atque porticibus, confugas interioris templi vice tueatur (Cod. Theod. 9, 45, 4 cit., p.520.522). Cfr. Gaudemet, L’Église cit., pp. 282-287; B. Biondi, Il diritto romano cristiano, I,Milano 1952, pp. 387-391. Ecclesiae saepta sono menzionati nei canoni 21 e 24 del concilio diOrléans del 541, pure a proposito del diritto d’asilo.

98 Sirago inserisce questo episodio tra le testimonianze relative alla Lucania, ma non si puòescludere a priori che, come per tutta la documentazione relativa a Lucania et Terra Brittiorum,sia un episodio riferibile alla Calabria.

99 Sull’episodio cfr. Sirago, La Lucania cit., p. 160; Polara, L’Italia meridionale nelle Variaecit., p. 20.

100 Cfr. le osservazioni di Otranto, Italia meridionale cit., p. 158; J.-M. Martin - Gh. Noyé,La Capitanata nella storia del Mezzogiorno d’Italia, Bari 1991, pp. 12-16.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 25

diocesane 100, questo evento bellico costituì un ulteriore motivo di preoccupa-zione e di crisi per alcune comunità cristiane dell’Italia meridionale, la qualenon fu interessata in modo uniforme dalle operazioni militari. La Lucania, co-munque, fu terreno di scontro tra i due eserciti 101. Come tramanda Procopio diCesarea, operazioni militari vi si svolsero con alterne vicende. Un ruolo diprimo piano nella strategia di riconquista dell’Italia meridionale da parte bizan-tina, ai tempi della seconda spedizione di Belisario (544-548), svolse il ricco la-tifondista lucano Tulliano 102, che godeva di prestigio e autorità presso Bruzi eLucani 103. Il generale bizantino Giovanni, incaricato da Belisario di condurre leoperazioni militari in Puglia, era riuscito a procurarsi l’alleanza dei latifondistidella zona proprio grazie a Tulliano. Questi, nel 546, si era recato da Giovanni,che si trovava a Canosa, per lamentarsi delle angherie inflitte dall’esercito im-periale alle popolazioni 104 – la cui resa ai Goti era stata dettata più da questo chedalla violenza subita dagli stessi – e, nello stesso tempo, per promettere a Gio-vanni l’appoggio di Bruzi e Lucani come sudditi tributari, qualora le cose fos-sero migliorate 105. Tulliano, dopo aver ottenuto garanzie dal comandante bizan-

101 Sulle fasi della guerra greco-gotica nell’Italia meridionale cfr. P. Corsi, Il Mezzogiornocit., pp. 344-350; puntuale ricostruzione in Burgarella, Le terre bizantine cit., pp. 417-421; cfr.anche L. Gatto, L’Italia meridionale ne la guerra greco-gotica di Procopio di Cesarea: gliaspetti militari, politici ed economico-sociali, in Incontri di popoli e culture tra V e IX secolo,Atti delle V giornate di studio sull’età Romanobarbarica, a cura di M. Rotili (Benevento, 9-11giugno 1997), Napoli 1998, pp. 31-58; l’A. sottolinea che Procopio, talvolta generico nei rife-rimenti alle città del Nord Italia, si rivela storico autorevole per quel che riguarda la descri-zione della realtà meridionale perché partecipò attivamente alle varie fasi della campagna mili-tare (ibidem, p. 34ss.).

102 Secondo Russi, Tulliano era forse figlio di Venantius corrector e praesul Lucaniae etBrittiorum: in tal caso Venanzio sarebbe stato uno dei maggiori proprietari terrieri della pro-vincia: La Lucania cit., pp. 108-109. 114.

103 Proc., De bello Goth. 3,18.104 Secondo l’Anonimo compositore del De re strategica Belisario, nella sua marcia di con-

quista, utilizzava la tecnica della ‘terra bruciata’, particolarmente dannosa per l’economia delterritorio (anche se non è possibile precisare in quale fase della guerra): cfr. A. Pertusi, Ordi-namenti militari, guerre in Occidente e teorie di guerra dei Bizantini (secc. VI – X), in Atti XVSettimana di Studi sull’Alto Medioevo, Ordinamenti militari in Occidente nell’Alto Medioevo,Spoleto 1968, pp. 653-654.

105 Secondo Burgarella (Le terre bizantine cit., p. 419) Tulliano, nelle richieste fatte a Gio-vanni, si era sentito garantito anche dalla recente legislazione di Giustiniano, e in particolaredalla Novella 130 (De transitu militum), emanata nel 546, che concedeva ai sudditi facoltà didenunciare i soprusi perpetrati dagli eserciti in transito.

106 Su questo episodio significativo della tarda antichità, «esempio straordinario di alleanzaverticale in età tardoantica, nonché di solidarietà tra padroni e coloni» cfr. Volpe, Contadinicit., p. 374, nota 46, ivi bibliografia.

107 Tra questi vi erano trecento Anti, barbari particolarmente esperti nei combattimenti nellezone impervie, che erano stati lasciati lì da Giovanni, dietro richiesta di Tulliano: Proc., Debello Goth. 3,22.

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tino, arruolò un esercito di contadini 106 e mercenari imperiali 107 e si mise aguardia dei valichi che immettevano nella regione 108. Totila, da parte sua,aveva attrezzato un contingente composto da Goti e da contadini cui avevadato ordine di forzare il passaggio ad ogni costo. Nello scontro prevalse Tul-liano e il suo esercito fece strage di Goti. Si trattò di un successo provvisorio;dopo poco i contadini di Tulliano, persuasi dai servi dell’aristocrazia romana,mandata in esilio in Campania, a ritornare al lavoro dei campi, e convinti delfatto che avrebbero ottenuto parte dei prodotti che spettavano ai loro padroni,defezionarono 109. Tulliano fuggì, i barbari mercenari si rifugiarono da Gio-vanni e tutta la zona tornò in mano dei Goti 110. Totila, prima di partire allavolta di Ravenna, lasciò un contingente di 400 uomini ad Acerenza, la cittàche più di tutte subì le conseguenze della guerra per la sua posizione strate-gica di castrum di frontiera tra Lucania e terra Brittiorum 111. Nonostante ilnumerosus exercitus inviato da Ravenna per arginare la conquista bizantina, laLucania, dopo alterne vicende, tornò sotto l’imperatore d’Oriente.

Giustiniano, nel 554, emanò la Pragmatica Sanctio con l’intento di riorga-nizzare la provincia riconquistata sul piano amministrativo, sociale ed econo-mico abrogando gli atti di Totila e reintegrando, con gli antichi privilegi e di-ritti su proprietà, schiavi e coloni, i possessores nei loro latifondi. Interlocutoriprivilegiati di Giustiniano furono i vescovi e i notabili locali, «corresponsabi-lizzati» nell’azione di amministrazione civile e fiscale dei territori della nuovaprovincia bizantina 112. In questi anni assurse al trono pontificio Pelagio I

108 Le truppe di Tulliano erano probabilmente collocate a difesa dei valichi di accesso nelVallo di Diano: o le Nares Lucanae, attraverso cui si accede alla Piana del Sele, o il valico diAtena Lucana, per entrare nell’Alta Val d’Agri: cfr. F. Burgarella, Tardo antico e alto Me-dioevo bizantino e longobardo, in Storia del Vallo di Diano, II, Salerno 1982, p. 24.

109 Cfr. quanto osserva Burgarella: «Si trattava di un ulteriore atto di esproprio ai danni deipossessores più cospicui ed elevati di rango, i quali, oltre ai patrimoni, perdevano, di conse-guenza anche il controllo delle clientele rurali. In quel particolare frangente ed in quella parti-colare area in cui la riconquista imperiale prendeva avvio col sostegno pieno e determinantedella classe dei latifondisti, ciò rappresentava un espediente tattico valido per disarmare questiultimi e scalzarli dal ruolo di collaboratori dei Bizantini» (Le terre bizantine cit., p. 419).

110 Proc., De bello Goth. 3,22. 111 Proc., De bello Goth. 3,23. Nell’Italia meridionale i Goti avevano degli insediamenti in

Campania, in particolare a Cuma e a Napoli; piccole guarnigioni erano presenti in qualche cittàfortificata, anche se non sempre in forma stabile. Durante la guerra greco-gotica le fonti fannoriferimento a guarnigioni stabili a Benevento, Acerenza e Rossano (Corsi, Il Mezzogiornod’Italia cit., p. 335). Secondo Procopio (De bello Goth. 4,26) il goto Moras era a capo dellaguarnigione di Acerenza; ad Acerenza si rifugiò, dopo la sconfitta, Ragnaris, un altro goto acapo della guarnigione di Taranto (De bello Goth. 4,34).

112 Burgarella, Le terre bizantine cit., pp. 421-424; sulla ripartizione amministrativa dell’Ita-lia bizantina cfr. Zanini, Le Italie bizantine cit., pp. 37-44. 53-63.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 27

(556-561), che riprese il dialogo con le comunità periferiche dell’Italia subur-bicaria, interrotto con papa Gelasio.

Le sue epistole forniscono notizie utili per la ricostruzione di alcune vi-cende delle diocesi di Grumentum e Potenza e consentono di conoscere ilprimo nome di un vescovo della diocesi di Grumentum, attestata fino aquest’epoca, solo indirettamente, nell’epistolario di papa Gelasio. Si tratta diTulliano che, da quanto si desume da un’epistola datata al 559 113, aveva pre-cedentemente scritto a Pelagio chiedendogli se accettava l’elezione a vescovodella vicina diocesi di Consilinum-Marcellianum del diacono Latino di Gru-mentum, unanimemente designato dal clero e dal popolo (a clero et ab omni-bus illic convenientibus). Papa Pelagio scrive a Tulliano 114, approvando l’ele-zione di Latino e sollecitando il vescovo ad inviare il diacono a Roma, munitodella lettera dimissoria, perché potesse essere consacrato la notte stessa diPasqua dopo il rito del battesimo. Il papa, inoltre, avverte Tulliano di esserevenuto già a conoscenza dell’elezione di Latino dagli abitanti del luogo e daun vescovo visitator della diocesi vacante, il potentino Pietro, destinatario diun’altra lettera del pontefice.

Anche in quest’ultima 115, il papa risponde a Pietro che lo aveva informatodell’elezione di Latino a vescovo di Consilinum-Marcellianum (ab omnibuselectus). Il papa sollecita Pietro affinché mandi a Roma al più presto Latino,munito di lettera dimissoria del suo vescovo (Tulliano), perché sia consacratoil sabato santo, senza dover aspettare fino al digiuno di Pentecoste. Dall’epi-stola si può cogliere un elemento interessante in riferimento al ruolo esercitatodal vescovo della diocesi di Potenza: il fatto che sia il potentino Pietro a co-municare al papa l’avvenuta elezione del diacono grumentino a vescovo diConsilinum lascia intendere che la diocesi di Potenza aveva un ruolo premi-nente sulle diocesi limitrofe ed era considerata la diocesi metropolitana dellaLucania; per tale ruolo istituzionale, dialogava con Roma in nome e per contodelle comunità cristiane della Lucania. E questo è confermato anche dal ruolodi visitator della chiesa di Consilinum svolto da Pietro. Ma a dialogare conRoma non erano solo i rappresentanti del clero, nel nostro caso i vescovi Tul-liano e Pietro, ma anche i laici, come dimostra l’intervento degli habitatores

113 Ep. 56, in P. M. Gassò-C. M. Batlle, Pelagii I papae epistolae quae supersunt (556-561),Montserrat 1956 (= Gassò-Batlle), pp. 146-148.

114 Sull’identificazione del vescovo Tulliano di Grumentum con il Tulliano diacono afferentealla cancelleria di papa Vigilio (dictator) cfr. Gassò-Batlle, p. 146. Lanzoni (Le diocesi cit., p.325) ipotizza che il vescovo Iulianus Pàtoma menzionato nelle Gesta S. Laverii possa essere ilvescovo Tulliano dell’epistola di Pelagio.

115 Ep. 58: Gassò-Batlle, pp. 153-154.

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loci, probabilmente di Consilinum, che si erano rivolti direttamente a Pelagiocomunicandogli la notizia della designazione di Latino a loro vescovo.

Le due lettere rispecchiano la prassi vigente nella elezione del vescovonelle comunità dell’Italia suburbicaria: questo, dopo essere stato eletto dalclero e dal popolo, costituito da tutti i battezzati, si recava a Roma per essereconsacrato; nel caso di elezione di una persona proveniente da altra diocesi, ilneo-eletto doveva ricevere il nulla osta del vescovo della propria diocesi e re-carsi a Roma con una lettera dimissoria per la consacrazione 116.

Al di là degli elementi sin qui evidenziati, che riflettono procedure e prassidella chiesa tra V e VI secolo, le due epistole confermano gli stretti rapportiesistenti tra la diocesi di Grumentum e quella di Consilinum-Marcellianum giàevidenziati dall’epistolario gelasiano 117: in caso di sede vacante di una delledue diocesi i pontefici affidano al vescovo in carica il compito di provvederealle esigenze della vicina comunità.

Allo stesso vescovo potentino Pietro papa Pelagio indirizza un’altra epi-stola 118 incentrata su una vicenda incresciosa. Pietro aveva inviato al ponteficeun libellum nel quale esponeva una questione insolita (negotium insolitum):un diacono, macchiatosi della colpa di incestum, aveva rifiutato di sottoporsi agiudizio perché si dichiarava innocente. Il pontefice, pur preso da molti impe-gni (multis inevitabilibus curis involutus), non si esime dall’inviare suggeri-menti riguardo alla questione ed esorta il vescovo ad intervenire poiché ilgrave episodio aveva suscitato scandalo nella Chiesa: la colpa doveva esseredebitamente punita perché servisse da monito per la comunità. Il compito affi-dato dal papa al potentino Pietro, vescovo metropolitano della Lucania, fapensare che il diacono in questione non appartenesse alla chiesa di Potenza,ma ad una delle diocesi lucane dell’epoca.

L’epistola offre una serie di notizie rilevanti per ricostruire sia il vissutodelle comunità cristiane antiche, sia alcune questioni di pertinenza del dirittocanonico. Nel rimandare ad un commento più dettagliato nel volume di pros-sima pubblicazione, in questa sede basti rilevare il motivo, abbastanza ricor-rente, del coinvolgimento del clero in azioni moralmente riprovevoli e lapreoccupazione del pontefice di richiamarsi alla tradizione biblica e conciliare(… scriptum habetur in legibus nostris …) per ribadire norme e comporta-

116 Gli esponenti del clero, già a partire dalla fine del IV secolo (concilio di Laodicea, canoni 41e 42), avevano bisogno che il vescovo, con una lettera, li autorizzasse a viaggiare. Tale principio èpiù volte ribadito anche successivamente: il canone 6 del Concilio di Tours (567) fa riferimento atentativi di falsificazione di queste lettere da parte di laici o di rappresentanti del clero: Ut nullusclericorum, vel laicorum, praeter episcopos, epistolia facere praesumat (Mausi, 9, c. 793).

117 Cfr. supra Gel. Fragm. 6: Thiel, p. 486.; Gel. ep. 23: Thiel, pp. 389-390.118 Ep. 95: Gassò-Batlle, pp. 225-227.

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menti corretti, che fossero di esempio per le comunità. Tale preoccupazione sipuò cogliere nell’affermazione ut ceteri habeant timorem, con cui il papa ri-prende 1Tim 5,20 volendo dare un fondamento biblico alle sue argomenta-zioni. Evidentemente le comunità cristiane dell’epoca, forse anche a motivodella crisi sociale e della instabilità politica, facevano registrare fenomeni didevianza anche a livello di gerarchia ecclesiastica.

Un’altra notizia di rilevante interesse per il cristianesimo lucano ricorre inun’epistola di papa Pelagio indirizzata a Giovanni vescovo di Larino 119 e fa ri-ferimento all’esistenza di alcuni monasteria in Lucania e nel Sannio 120. Ilpontefice, a più riprese e con perentorietà, ribadisce il divieto di ingerenza eintromissione, sia da parte dei laici, sia da parte di persone vicine al vescovo,nell’amministrazione dei monasteri stessi e dei loro possedimenti. Come è benevidente, l’intervento del pontefice è molto duro anche nei confronti di Gio-vanni, del quale sembra venga adombrato un diretto coinvolgimento nella vi-cenda o il conseguimento di un qualche interesse personale. Al vescovo ilpapa ribadisce che la sua azione deve essere mossa esclusivamente dalla curasacerdotalis, mirante ad individuare la strategia idonea a migliorare l’organiz-zazione interna e i proventi stessi dei monasteri e delle proprietà connesse. Èinteressante sottolineare la preoccupazione del papa per un più adeguato sfrut-tamento dei campi con colture più adatte e per una buona amministrazione de-gli stessi: un intervento, quindi, che, oltre a difendere i possedimenti ecclesia-stici dagli interessi di privati, mira ad ottimizzare la produttività stessa deimonasteri e dei possedimenti di propria pertinenza.

L’insistenza con cui il papa distingue i monasteria dalle possessiones puòforse far pensare che siamo in presenza di complessi monastici importanti, chedovevano disporre di proprietà terriere di notevole estensione 121. Se questa

119 Ep. 87: Gassò-Batlle, pp. 212-213: «Pelagius Iohanni episcopo Larinati. Nostrae auctori-tatis praeceptionibus libenter duximus annuendum, decernentes et praesenti dilectioni tuae auc-toritate mandantes, ut de monasteriis in Lucania et Samnio constitutis possessionibusque eo-rum, omni penitus sive consortium tuorum sive cuiuslibet laici potestate submota, sed nec tuaequoque caritati, quantum ad privata compendia pertinet, aliqua permissa licentia, sola sacerdo-talis cura pro utilitatibus praedictorum monasteriorum gubernandis possessionibusque eorum,quae sunt profutura disponas; ut nihil in his, sicut praefati sumus, privatis compendiis vendi-cando, ea tantum quae ipsis monasteriis utilitatibusque eorum, tam in dispositione congragatio-num quam in cultura possessionum ad ea pertinentium, necessaria esse perspexeris, competen-ter exerceas, et diligenti studio peragere non praetermittas, omni quibuslibet laicis, sive inpraefatis monasteriis, sive in possessionibus eorum, quicquam gerendi vel disponendi inter-dicta licentia».

120 Cfr. C. D’Angela, Dall’era costantiniana ai Longobardi, in La Daunia antica, Milano1984, p. 327.

121 Cfr. anche Favia, L’insediamento religioso cit., p. 319, nota 22.

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ipotesi risultasse accettabile si potrebbe teorizzare, nella Lucania del VI se-colo, l’esistenza di un monachesimo rurale al pari di quello convincentementeattestato per la Puglia da Paolino di Nola, nel basso Salento 122, e da papa Ge-lasio I nei pressi della comunità di Lucera 123. Questa sarebbe, di conseguenza,una delle pochissime notizie riguardanti la penetrazione del cristianesimonelle campagne della Lucania.

Poco rilevante ai fini dell’attestazione del fenomeno monastico in Lucania,nonostante l’utilizzazione che se ne è spesso fatta 124, è la notizia, trasmessa inun’epistola di Gregorio Magno 125, secondo cui una donna di nome Petronella,di origine lucana (de provincia Lucania genita), entrò in un monastero, delquale non viene fornita alcuna indicazione topografica. Sulla base del sem-plice riferimento all’origine lucana di Petronella si è automaticamente dedottal’esistenza di monasteri femminili in Lucania. Né pare accettabile, allo statoattuale della ricerca, l’ipotesi secondo cui il vescovo Agnello, che aveva con-vinto Petronella ad entrare in monastero, abbia retto una diocesi lucana 126.

Qualche elemento in più fornisce un’altra epistola di Gregorio Magno da-tata al 599 127, che menziona genericamente l’ecclesia Grumentina. Nella let-tera, inviata a Romanus, defensor del patrimonio ecclesiastico in Sicilia, vienericordato un tale Luminosus servus Sanctae Mariae, quod est parrochiae ec-clesiae Grumentinae, che, insieme alla moglie, subiva soprusi da parte del virclarissimus Salusius. Il pontefice esorta Romanus ad intervenire per garantirela protezione ecclesiastica a Luminosus e ad ammonire il responsabile. Ri-mangono comunque oscuri i motivi per i quali il pontefice si sia rivolto al de-fensor della Sicilia per una questione che interessava la diocesi di Grumen-tum; probabilmente in Sicilia risiedeva il vir clarissimus Salusius, che si erareso responsabile dei soprusi 128.

L’espressione servus Sanctae Mariae, quod est parrochiae ecclesiae Gru-

122 Paul. Nol., Carm. 17,85-88; cfr. Otranto, Paolino di Nola cit., pp. 284-286.123 Gel., Ep. 3: Loewenfeld p. 2; cfr. Otranto, Italia meridionale cit., pp. 208-219.124 L. Spera, L’evoluzione del cristianesimo in Basilicata attraverso le recenti acquisizioni

archeologiche, Studi Storici Meridionali 13, 1993, p. 101.125 Reg. ep. 4,6: MGH 1, 237-238.126 L’ipotesi è formulata da Coniglio (Note storiche sulla Chiesa cit., p. 46) il quale, peral-

tro, sembra far confusione tra lo zio vescovo e il nipote notaio, entrambi di nome Agnello: èquest’ultimo, infatti, autore dello stupro, ad essere fuggito in Sicilia.

127 Reg. ep 9,209: MGH 2, 195-196.128 Opere di Gregorio Magno. Lettere (VIII-X), a cura di V. Recchia, Roma 1998, p. 441

nota. 129 All’interno del perimetro urbano di età romana è stata identificata la chiesa di S. Maria

l’Assunta, l’unico monumento della diocesi di Grumentum sopravvissuto anche oltre il Me-

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mentinae 129 attesta una scansione in parrochiae del territorio che ricadevasotto la giurisdizione del vescovo di Grumentum: tale scansione in strutturesubdiocesane è attestata anche per altre diocesi dell’Italia 130.

Conclusione

In sede di conclusione, va sottolineato che le risultanze di questo lavorodevono essere verificate alla luce di una più ampia base documentaria, checomprenda anche le testimonianze storico-agiografiche, archeologico-monu-mentali ed epigrafiche. E su questo, come ho già anticipato 131, ho in fase dipubblicazione un saggio di più ampio respiro.

Per quel che riguarda la cristianizzazione e la formazione delle diocesi, lefonti letterarie, scarse e frammentarie, non consentono di risalire al di là degliinizi del IV secolo, anche se è presumibile che la nuova fede abbia raggiuntola Lucania tra II e III secolo, inizialmente nei centri costieri o ubicati sull’Her-culia, la più importante via che collegava l’Appia con la Popilia, e quindiRoma con la Terra Brittiorum. Tra la fine del IV e gli inizi del V secolo il cri-stianesimo lucano, o almeno parte di esso, si è dato forme stabili anche sulpiano dell’organizzazione del culto, come dimostra la notizia di Paolino diNola che attesta un flusso di pellegrini lucani alla tomba di S. Felice a Nola.Tale collegamento tra la Lucania e la comunità cristiana di Nola è evidenziatoanche dalla missione che il vescovo lucano Exuperantius, del quale si ignora

dioevo: cfr. Bottini, Nuove ricerche cit., p. 90; l’A., con estrema cautela, afferma che non èpossibile stabilire con certezza che si tratti della chiesa menzionata nell’epistola di GregorioMagno (ibidem, nota 6).

130 Questa epistola si può aggiungere alle altre due epistole di Gregorio Magno menzionateda Fonseca [Particolarismo istituzionale e organizzazione ecclesiastica delle campagnenell’Alto Medioevo nell’Italia meridionale, Atti XXVIII Settimana di Studi sull’Alto Me-dioevo, Cristianizzazione e organizzazione delle campagne nell’Alto Medioevo: espansione eresistenza, Spoleto 1982, p. 1183ss.] come in grado di offrire indizi probanti sull’esistenza distrutture subdiocesane a Canusium e a Consentia. Nella prima, datata al 591 (Reg. ep. 1,51:MGH 1,77) si fa riferimento a due parroechiales presbyteros nominati da Felice, vescovo diSiponto e visitator della diocesi di Canosa che versava in gravi difficoltà: sulla diocesi di Ca-nosa cfr. G. Otranto, La cristianizzazione, la diocesi, i vescovi, in Principi, imperatori, vescovi.Duemila anni di storia a Canosa, Venezia 1992, pp. 824-832; Campione-Nuzzo, La Dauniacit., pp. 27-52. Per l’epistola relativa alla diocesi cosentina, datata al 599 (Reg. ep. 9,122:MGH 2,124 ) cfr. S. Bettocchi, La Calabria nel Registrum Epistularum di Gregorio Magno,Vetera Christianorum 35, 1998, pp. 20-22; sulla diocesi di Consentia cfr. anche Otranto, Lacristianizzazione della Calabria cit., pp. 369. 371 e passim. Esclude una «distrettuazione ec-clesiastica di tipo parrocchiale» G. Vitolo, Vescovi e diocesi, in Storia del Mezzogiorno. III,Alto Medioevo, Napoli 1990, pp. 88-89.

131 Cfr. supra nota 4.

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la diocesi di pertinenza, affidò ad un presbitero, poco prima della morte diPaolino. Ed una caratteristica del cristianesimo lucano a me pare possa indivi-duarsi proprio nella sua capacità di rapportarsi alle regioni circostanti e, ov-viamente, a Roma: ne sono prova anche l’ipotizzato pellegrinaggio al santua-rio micaelico del Gargano della comunità cristiana di Potenza e la dedicazionedi chiese a santi locali come, oltre all’Angelo, Marco e Secondino di Aecae. Aparte i collegamenti e i rapporti con le realtà limitrofe il cristianesimo lucanorimane, in linea generale, piuttosto chiuso verso altre realtà territoriali e versol’Oriente. Tutto ciò è provato dall’assenza di vescovi provenienti dalla Re-gione a concili o ad ambascerie in Oriente. Come ha rilevato Otranto 132, talecaratteristica accomuna la Lucania e la Terra Brittiorum e la differenzia da al-tre regioni dell’Italia meridionale, come Puglia, Campania e Sicilia, i cui ve-scovi, invece, partecipano ai concili di Arles, Nicea, Serdica, Roma e svol-gono diverse ambascerie in Oriente, soprattutto tra V e VI secolo 133.

La vita cristiana in Lucania si dimostra abbastanza attiva e vivaceall’epoca di Gelasio, il quale, a più riprese, si interessò delle comunità di Po-tenza, Venosa, Acerenza e Grumentum 134, per la dedicazione e la fondazionedi chiese da parte di privati; per la costituzione di un patrimonium S. Petri Lu-caniae; per la soluzione di questioni riguardanti l’ordinazione di schiavi el’amministrazione della giustizia in cause che coinvolgono clerici e laici; peril superamento di contrasti tra rappresentanti della Chiesa e privati, i quali ten-tavano di interferire nella gestione dei beni ecclesiastici e probabilmente nefacevano un uso personale: sono tutte questioni di notevole rilevanza per lastoria della tradizione cristiana e per la costituzione del diritto ecclesiastico.Sulla base dell’assetto delle diocesi all’epoca di Gelasio, ho ipotizzato che ilvescovo Reparatus, possa essere stato vescovo di Metapontum.

Agli anni 499, 501 e 502 risalgono le uniche testimonianze sulla partecipa-zione di vescovi lucani a concili romani: si tratta di Giusto di Acerenza (499)e Stefano di Venosa (501. 502), ai quali sarei propensa ad aggiungere anche ilpotentino Amandus (501. 502).

132 Italia meridionale cit., pp. 88-93.133 Sulla partecipazione dei vescovi meridionali a concili e ambascerie in Oriente nei primi

sei secoli cfr. G. Otranto, Note sull’Italia meridionale paleocristiana nei rapporti col mondobizantino, in Studi sul cristianesimo antico e moderno in onore di Maria Grazia Mara (a curadi M. Simonetti e P. Siniscalco), Augustinianum 35, 1995, pp. 859-873.

134 Sono queste, oltre a Metapontum, le diocesi comprese entro i confini della Regione mo-derna. Per le altre diocesi della Lucania (Blanda Iulia, attualmente in Calabria, e Consilinum,Velia, Paestum e Buxentum, attualmente in Campania), si rimanda, comunque, alla sezione te-matica ad esse dedicata nel contributo in pubblicazione.

LE DIOCESI PALEOCRISTIANE LUCANE NELLE FONTI LETTERARIE FINO A GREGORIO MAGNO 33

Dopo i rivolgimenti legati alla guerra greco-gotica, che interessò da vicinola regione, le notizie sul cristianesimo lucano sono fornite da papa Pelagio cheinforma dell’esistenza di monasteria lucani; scrive al vescovo Pietro di Po-tenza, evidenziandone il ruolo di diocesi metropolitana della Lucania, e tra-manda il nome di Tulliano, l’unico vescovo a noi noto della diocesi di Gru-mentum.

Isolata la testimonianza di papa Gregorio Magno che, alla fine del VI se-colo, fa riferimento all’ecclesia Grumentina, evidenziandone l’organizzazionein parrochiae.

Le diocesi lucane dei primi sei secoli appaiono in contatto con Roma: ilpapa si rivolge più volte a vescovi lucani per dettare norme di carattere mo-rale, liturgico e disciplinare. Tra le diocesi, quelle di Potenza, Acerenza e Ve-nosa sembrano aver raggiunto un più alto livello organizzativo e di vita eccle-siastica. Gli stretti rapporti tra la periferia lucana e il centro romano fannosupporre che la chiesa di Roma, forse mediante famiglie aristocratiche, abbiaavuto un ruolo notevole nell’evangelizzazione della Lucania. Dalle pochis-sime fonti di cui disponiamo e dai contatti con Roma, la chiesa lucana appareinserita in un quadro di riferimento occidentale e romano (partecipazioni aconcili, lingua, prassi liturgica, disciplina).