Raymondus de Mausaco O.M. e l’inventario dei beni della diocesi teatina

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BIBLIOTECA DI «STUDI MEDIEVALI E MODERNI» SEZIONE MEDIEVALE 4 Università degli Studi „G. D’Annunzio“ di Chieti-Pescara Dipartimento di Studi Medievali e Moderni EPISCOPATI E MONASTERI A PENNE E IN ABRUZZO (SECC. XII-XIV) ESPERIENZE STORIOGRAFICHE E STORICHE A CONFRONTO a cura di Michele Del Monte LOFFREDO EDITORE - NAPOLI

Transcript of Raymondus de Mausaco O.M. e l’inventario dei beni della diocesi teatina

BIBLIOTECA DI «STUDI MEDIEVALI E MODERNI» SEZIONE MEDIEVALE 4

Università degli Studi „G. D’Annunzio“ di Chieti-Pescara Dipartimento di Studi Medievali e Moderni

EPISCOPATI E MONASTERI A PENNE E IN ABRUZZO

(SECC. XII-XIV)

ESPERIENZE STORIOGRAFICHE E STORICHE A CONFRONTO

a cura di

Michele Del Monte

LOFFREDO EDITORE - NAPOLI

INDICE

Premessa 5-8

ESPERIENZE STORIOGRAFICHE A CONFRONTO

L. PELLEGRINI, Vescovi e diocesi in Abruzzo. Un problema di definizione 11-42

G.G. MERLO, Sulle circoscrizioni ecclesiastiche del Piemonte dal tardo antico all’età moderna 43-59

A. RIGON, Vescovi e diocesi tra XIII e XV secolo nell’Italia nord orientale 61-80

EPISCOPATI E MONASTERI

T. DI CRESCENZO, Ancora su Gualterio vescovo e sul „rotolo“ di Penne. Per una più esatta datazione (1269) 83-141

M.G. DEL FUOCO, Raymondus de Mausaco O.M. e l’in-ventario dei beni della diocesi teatina 143-171

I. MARTELLI, I rapporti dell’abbazia di S. Clemente a Casauria con il papato e l’impero 173-200

V. SANTORO, S. Maria di Tremiti e i cistercensi di Casanova. Una „riforma“ duecentesca 201-275

L. MOLININI, Santità e rivendicazioni giurisdizionali nella diocesi dei Marsi: Oddone di Tagliacozzo (con Indizione del processo romano-canonico del 1240) 277-376

APPENDICE

T. DI CRESCENZO, Elenco analitico dei documenti medieva-li (secc. X-XV) conservati presso l’Archivio dell’arcidiocesi di Pescara-Penne 379-465

Indice dei nomi 467-537

MARIA GRAZIA DEL FUOCO

RAYMONDUS DE MAUSACO O.M. E L’INVENTARIO DEI BENI DELLA DIOCESI TEATINA

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Nell’archivio episcopale di Chieti si conserva la copia ottocen-tesca di un documento intitolato: Inventario dei beni della mensa arcivescovile di Chieti e di tutti i diritti e prerogative formato nel-l'anno 1323 d'ordine di Mons. fra’ Raimondo de’ Mausaco, vescovo di Chieti1.

1 Archivio Arcivescovile di Chieti d’ora in poi AAC, s.c., regesto e trascrizione parziale in A. BALDUCCI, Regesto delle pergamene della curia arcivescovile di Chieti, Casalbordino 1926, d’ora in poi BALDUCCI, Curia, 101-117. Per un primo orien-tamento sulla documentazione medievale dell’Abruzzo si veda: L. PELLEGRINI, Abruzzo medievale. Un itinerario storico attraverso la documentazione, Altavilla Silentina 1998 (Studi e ricerche sul Mezzogiorno medievale, 6). L’archivio della città ha vissuto per lunghi anni le conseguenze di una scarsa attenzione al patri-monio documentario. Solo nel 1926 ne pubblicava i regesti Antonio Balducci, che tre anni dopo proseguiva il lavoro di riordino e di regestazione delle pergamene dell'archivio del Capitolo della stessa città, cfr. A. BALDUCCI, Regesto delle perga-mene e dei codici del Capitolo metropolitano di Chieti, Casalbordino 1929. In intro-duzione ai regesti delle pergamene della Curia arcivescovile, l’autore delinea, con poche e chiare pennellate, lo stato di conservazione dei suddetti documenti, BALDUCCI, Curia, VII-VIII. Da allora qualcosa è cambiato. Si è proceduto al rior-dino dell’archivio, i cui primi risultati sono stati resi di pubblica ragione nell’arti-colo di F. FANTINI-G. FIORILLI-M.T. SPINOZZI, Riordinamento dell'archivio arcive-scovile di Chieti, «Archiva Ecclesiae» 26-27 (1983-1984), 313-315. Nel frattempo è cresciuto l’interesse per tale documentazione e i suoi contenuti storici, come mostrano le numerose tesi di laurea discusse nell’arco cronologico che va dal 1965 al 1996 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti (cfr. S. SBORDONE, Percorsi di ricerca. Tesi di laurea della Facoltà di Lettere e Filosofia [1965-1996], Chieti 2000, nn. 19, 32, 73, 85, 92, 179, 335, 344, 369, 428, 473, 475, 481, 487, 496, 570, 611, 614, 657, 702, 841, 967, 1009, 1025, 1152, 1174, 1228, 1389, 1427, 1541, 1555, 1562, 1623, 1650, 1660, 1679-80, 1828, 1849, 1889, 1986, 2011, 2091, 2116, 2144, 2195, 2202, 2224, 2241, 2243, 2248, 2249, 2256, 2268, 2340, 2346, 2490, 2503, 2519, 2562, 2592, 2638, 2641, 2709, 2745, 2785, 2828, 2846, 2916, 2963, 2973, 3070, 3085,

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L’inventario, in quanto tale, è introdotto da un titulus inquisi-tionis, da una littera e una executio commissionis che ci informano sia sui principali protagonisti, a incominciare dal vescovo, sia sui contenuti dell'inchiesta. A differenza dei documenti analoghi ana-lizzati in questo volume2, il nostro inventario presenta diretta-mente in apertura l’autore-committente: i l frate Minore Raimondo de Mausaco, uno della fitta schiera di frati Mendicanti che dagli anni Quaranta del Duecento in poi andarono ad inse-diarsi sulle cattedre episcopali3. La loro presenza nelle sedi episco-pali dell’Italia meridionale si andò infittendo ad opera di Innocenzo IV dopo la morte di Federico II4.

Abbiamo poche notizie circa la vicenda umana di Raimondo. Dai primi riferimenti documentari veniamo a sapere che fu eletto vescovo di Alba, diocesi suffraganea di Milano, nel 1311, da tale

3090, 3183, 3206, 3245, 3279, 3285, 3293, 3352, 3369, 3404-06, 3450, 3477, 3534, 3568). Alcune di queste tesi ci consentono di tracciare un quadro più com-pleto dell'effettivo contenuto documentario del suddetto archivio, ora collocato in un locale più adatto ad accogliere tale materiale e a permetterne la fruizione. Per gli anni successivi al 1996, ricordo oltre il lavoro di F. Fantini, ibid., 133 e di M. GROSSI, ibid., 158 rivisto e puntualizzato in S. Spirito a Maiella attraverso le perga-mene dell'archivio arcivescovile di Chieti, in Ricerche di storia abruzzese offerte a Vincenzo Monachino, Chieti 1986, 192-202, quello di L. PALAZZI, Santo Spirito a Maiella: fondo archivistico ed elementi per una ricostruzione storica tra il 1293 ed il 1317, tesi di laurea, relatore L. Pellegrini, Università “G. D’Annunzio” di Chieti, a.a. 1997-1998. 2 Si rimanda ai contributi di Luigi Pellegrini e di Tonia Di Crescenzo nel pre-sente volume.3 L’argomento ha destato l’interesse degli storici da quasi un ventennio. Per un primo approccio rimando al volume Dal pulpito alla cattedra. I vescovi degli Ordini Mendicanti nel ‘200 e nel primo ‘300. Atti del XXVII convegno internazionale (Assisi 14-16 ottobre 1999), Spoleto 2000 (Atti dei Convegni della Società internazionale di studi francescani e del Centro interuniversitario di studi francescani, n.s. 10).4 È superfluo sottolineare ancora una volta, in questa sede, la carenza di studi specifici sull’episcopato meridionale, carenza dovuta a diversi fattori che vanno dalla situazione degli archivi locali, diocesani e non, alla dispersione della documentazio-ne, fino alla sua distruzione. Per un primo approccio al problema e per i riferimen- ti bibliografici più aggiornati si veda L. PELLEGRINI, Vescovi mendicanti nell’Italia meridionale in ID., «Che sono queste novità?» Le religiones novae in Italia meridiona-le, Napoli 2000 (Mezzogiorno medievale e moderno, 1), 89-98.

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sede fu trasferito nel 1321 alla cattedra teatina5. Nella diocesi abruzzese Raimondo si fermerà solo cinque anni, poiché nel 1326 sarà trasferito ad Aversa, anche in questo caso in sostituzione di un eletto dal capitolo, un certo Pietro de Moreriis, canonicus Aquensis.

I. Problemi di cronotassi episcopale teatina

Non è mia intenzione, in questa prima fase del lavoro, affron-tare le problematiche connesse alla ricostruzione della vicenda sto-rica della diocesi teatina ad incominciare da quelle riguardanti la cronotassi episcopale6, tuttavia mi sembra opportuno sottolineare, in proposito, che l’iter relativo alle nomine episcopali della nostra diocesi non si discosta da quello delle altre diocesi dell’Italia, caratterizzato, dalla seconda metà del Duecento, dall’intervento sempre più frequente del papa.

Molteplici sono le ragioni di tale intervento, che si manifesta soprattutto in presenza di un dissenso del capitolo. Esse sono da ricercare sia nel «persistente processo di accentramento, livella-mento e controllo dell’episcopato italiano da parte della santa sede col forte supporto (…) della dottrina canonistica insegnata soprat-

5 I primi riferimenti documentari relativi a Raimondo si trovano in G. MOLLAT, Jean XXII (1316-1334). Lettres communes analisées d’après les registres dits d’Avignon et du Vatian, Paris 1904-1939 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 3 ser.); vol. III: 242, n. 12943, 247, n. 12988, 303, n. 13595, 313, n. 13707; vol. V: 109, n. 19335; vol. VI: 109, n. 24451, n. 24456, 121, n. 24578, 376, n. 27108; vol. VII: 265, n. 41282; vol. VIII: 356, n. 46063. 6 A riguardo è interessante quanto afferma A. VASINA, Vescovi e diocesi del basso medioevo italiano nella storiografia moderna, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo. Atti del VII Convegno di storia della chiesa (Brescia, 21-25 set-tembre 1987), a cura di G. DE SANDRE GASPARINI-A. RIGON-F. TROLESE-G.M. VARANINI, Roma 1990 (Italia Sacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 43), 1-27. Secondo l’autore la produzione delle cronotassi episcopali è in ascesa dal XVI secolo, dal momento in cui la riforma cattolica rivolge la sua attenzione alla vita episcopale e diocesana, sottolineando l’importanza della scelta del vescovo, momento di verifica del retroterra sociale e religioso-culturale di ogni cittadino chiamato alla dignità vescovile (ibid., 23).

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tutto a Bologna»; sia in «ragioni di ordine storico che cospirarono a rendere le chiese locali in Italia, certo dove più dove meno, piut-tosto omogenee e funzionali al sistema e agli organi centrali di governo della Chiesa e persino, talora, del suo Stato, quasi ne fos-sero divenute indispensabili strutture periferiche»7, a ciò si aggiun-ga un accenno, tutto da verificare, inserito nella lettera, con la quale Urbano IV confermava l’elezione di Nicola da Fossa alla sede teatina. Nella lettera il pontefice ricordava che, essendo stato revocato ai capitoli delle cattedrali del Regno di Sicilia il diritto di eleggere il vescovo e non volendo lasciare la diocesi teatina senza pastore per troppo tempo, concedeva al vescovo portuense, il car-dinale Giovanni da Toledo, il diritto di scegliere una persona da lui considerata idonea da porre sulla cattedra teatina e inoltre, se il capitolo avesse proceduto contro l’interdetto, l’elezione del vescovo sarebbe stata ritenuta nulla8.

Uno sguardo veloce alla cronotassi teatina della seconda metà del Duecento ci consente di formulare alcune considerazioni. La prima riguarda la provenienza e il ruolo svolto da ognuno dei vescovi prima della loro elezione. Essi appartenevano o ad un ordi-ne religioso, come il domenicano Rainaldo (1295-1303) e il fran-cescano Raimondo (1321-1326), o avevano incarichi particolari presso la curia romana, in quanto cappellani di cardinali: Nicola

7 Ibid., 22.8 AAC, Teate 46; BALDUCCI, Curia, n. 35. Nel documento si legge: «Sane bone memorie teatinus episcopus viam universe carnis ingresso et per hoc teatina ecclesia pastoris solatio destituta, cum ipsius / capitulum ad electionem procedere nequive-rit, eo pretextu quod apostolica sedes universis capitulis cathedralium ecclesiarum Regni Sicilie potestatem eli/gendi sibi episcopos penitus interdixit, nos nolentes quod eadem teatina ecclesia diutius sine presule remaneret, ne propter vacationem diutinam in / spiritualibus et temporalibus posset incurrere detrimentum, venerabi-li fratri nostro episcopo portuensi concessimus vive vocis oraculo de apostolice / ple-nitudine potestatis, auctoritatem ac plenam et liberam potestatem, ut revocata in irri-tum electione quacumque celebrata in ecclesia ipsa contra / interdictum huiusmodi, prefi[ceret] eidem ecclesie personam idoneam in episcopum et pastorem». Lo stesso annota F. UGHELLI, Italia Sacra sive de episcopis Italiae et insularum adiacentium, ed. secunda aucta et emendata cura et studio N. COLETI, VI, Venetiis 1720, 728 e A. L. ANTINORI, Annali degli Abruzzi, IX, parte II, Bologna 1973 s.a. 1262.

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da Fossa (1262-1286), canonico di S. Massimo in Forcone9, era cappellano del legato papale Giovanni da Toledo, il successore, Tommaso di Monte Odorisio (1286-1295), era cappellano di Giacomo Colonna10, oppure si trattava di familiari del papa, come Rainaldo e Mattia (maggio-luglio 1303), e il canonico napoletano Giovanni Crispano (1326-1336), che era cappellano di Giovanni XXII. La presenza presso la Sede apostolica è testimoniata sia per Tommaso di Monte Odorisio, che addirittura vi muore, sia per Rainaldo, infatti nel 1302 è registrata la spesa di due fiorini d’oro pagati dalla curia papale per il suo cavallo11. La presenza di Rainaldo presso la curia romana poteva essere giustificata dal fatto che, la cattedra teatina era stata assegnata ad un altro vescovo, Francesco d’Atri, eletto da Celestino V. L’elezione verrà revocata da Bonifacio VIII, secondo quanto riportato nei registri papali12.

9 Lo stesso si può osservare per le altre diocesi d’Abruzzo: il vescovo di Forcona-l’Aquila Nicola da Sinizzo era un cistercense, (1267-1294), C. EUBEL, Hierarchia catholica medii aevi ... ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta, Monasterii 1913, 98; N. KAMP, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I: Prosopographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, 1., Abruzzen und Kampanien, München 1983,(Münsterische Mittelalter-Schriften. Bd. 10/I,1) 26, come Giacomo monaco a Casanova, vescovo di Valva dal 1252 al 1261 (ibid., 72), a sua volta cappellano del cardinale di Santa Maria in Trastevere Stefano Conti; nello stesso periodo Gualtiero vescovo di Penne (1264-1284) era cappellano di Giovanni da Toledo e Gentile da Sulmona, vescovo di Teramo dal 1267 al 1270 (ibid., 58) anche lui, come Nicola da Fossa, cappellano del cardina-le Giovanni da Toledo.10 EUBEL, Hierarchia, 481. P.B. GAMS, Series Episcoporum ecclesie catholicae, Graz 1957, 875 colloca tra Tommaso e il successore Rainaldo l’episcopato di un certo Guglielmo (1292-1293). Anche Sinibaldo Baroncini (m. 1614) nella sua opera inedita sui vescovi di Chieti (Teatinorum episcoporum chronologia), conserva-ta presso la Biblioteca Vaticana, manoscritto Barb. Lat. 2291, sec. XVII, presenta lo stesso elenco: 125r: Tommaso; 127v: Guglielmo II (1292); 128v: Rainaldo (a margine da altra mano: 1296); 132r: Mattia (1302); 132v: Pietro I (1303).11 Archivio Segreto Vaticano, Rationes Camerae, vol. 22, p. 31 = Intr. et Ex 5 f. 37; 45r, rigo 4: «Item eisdem [marescalco] pro capistrarico [in interlinea: unus equus] presente per episcopum Theatinum II flor. auri».12 Les registres de Boniface VIII: Recuil des bulles de ce pape publiées ou analysées d’après les manuscrits originaux des archives Vatican, par G. DIGARD-M. FAUCON-

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Ma mentre la successione del domenicano Rainaldo a Tommaso di Monte Odorisio non offre alcun particolare problema cronologico e documentario, considerata la sua attestazione nei registri papali nel primo anno di pontificato di Bonifacio VIII, la decisione del papa di annullare l’elezione di Francesco d’Atri non viene riportata, però, dall’Eubel che, com’è noto, ha pubblicato, agli inizi del seco-lo scorso, la prima raccolta di cronotassi episcopali fondata su una ricerca sistematica delle fonti. Ebbene l’Eubel sostiene essere stato Tommaso di Monte Odorisio a sostituire Francesco d’Atri; la sua elezione da parte di Celestino V, sempre secondo quando afferma l’autore, senza però alcun riferimento alle fonti, non è stata revoca-ta bensì egli sarebbe stato trasferito presso la diocesi teramana, tra-sferimento mai accettato dall’interessato che avrebbe continuato a considerarsi eletto di Chieti. Questa tesi trova la sua negazione già solo nella considerazione che, al momento dell’elezione di Francesco d’Atri, nel 1286 secondo quanto affermato dall’Eubel, Celestino V non era ancora papa13. Questa breve ricostruzione della cronotassi teatina si conclude con Pietro, trasferito dalla diocesi dei Marsi, che sopravisse solo sette mesi all’elezione episcopale (maggio-novembre 1336). Tale trasferimento segue la decisione del papa di mettere fine ai dissensi sorti all’interno del capitolo, che non riusci-

A. THOMAS- R. FAWTIER, Paris 1884 (Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Rome, 2 ser. 1) 35-36, n. 84: «Venerabili fratri Raynaldo episco-po Theatino. Etsi juxta pastoralis officii debitum. - Sane dudum ecclesia Theatina per obitum bone memorie Thome episcopi Theatini, qui apud sedem apostolicam diem clausit extremum, solatio destituta pastoris, licet - fratrer Petrus de Murrone - antecessor noster - de dilecto filio Francisco de Adria, tunc archipresbitero eccle-sie de Orthon., Theatine diocesis, providisse dicatur. Revocata dicta provisione, preficitur in episcopum Theatinum prefatus Raynaldus, ordinis fratrum Pradicatorum. Dat. Laterani, XV Kal. maii, anno primo. In eudem modum capi-tulo ecclesie Theatine; .... civitatis et diocesis; vassallis ecclesie; populo civitatis et diocesis».13 Eubel, Hierarchia, 481: «Et revoc. Prov. De persona Francisci de Adria tunc apresb. De Orthona dioec. Theatin. per Coel. V facta, qui trasfertur ad Aprutin. (sed huic transl. non consentiens amplius pro electo Theatin. se gerit)». Il prede-cessore di Raimondo, Pietro, era stato trasferito dalla diocesi di Modon (Methone in Grecia, 1303-1321).

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va a trovare un accordo tra Tommaso Cipriani e Andrea Bartolomeo, entrambi appartenenti alla stessa canonica14.

Scorrendo attentamente la successione cronologica precedente, si nota che i trasferimenti da altra diocesi non sono numerosi: tre su nove vescovi. Sono dati questi che vanno a supportare la tesi per cui uno studio più accurato dell’episcopato meridionale ridi-mensionerebbe l’opinione secondo la quale i repentini trasferi-menti di vescovi erano finalizzati ad accrescere le entrate finanzia-rie della curia, poiché gli eletti pagavano, al momento della loro entrata in carica, sia le taxae pro communibus servitiis, in origine pari ad un terzo delle entrate lorde annuali, sia i minuta servitia, il cui ammontare dipendeva dal numero di cardinali presenti al momento della nomina15. Anche l’origine stessa dei vescovi, per la maggior parte non appartenenti agli ordini Mendicanti, con la sola eccezione del domenicano Rainaldo e del francescano Raimondo, potrebbe far riflettere sulla tesi che sostiene l’elezione di vescovi frati essere diventata un fatto di routine, soprattutto durante i primi trenta anni del secolo XIV, gli anni del pontifica-to di Giovanni XXII16.

14 Ibid.15 Tale tesi si ridimensionerebbe anche se si tenesse semplicemente in conside-razione il numero alto delle sedi diocesane dell’Italia meridionale: 187. Questa dis-tribuzione a maglie strette delle sedi aveva come immediata conseguenza un red-dito basso rispetto alle diocesi del settentrione. Per un approccio al problema e per la bibliografia di riferimento si veda G. VITOLO, Episcopato, società e ordini mendi-canti in Italia meridionale, in Dal pulpito alla cattedra, 169-200: 175 dove scrive: «85 diocesi non superavano i 100 fiorini di rendita (2/3) di cui 47 con non più di 50 fiorini ed alcune addirittura esenti perché povere».16 Si veda M. RONZANI, Note e osservazioni sui vescovi mendicanti in Italia cen-trale fino alla metà del secolo XIV, in Dal pulpito alla cattedra, 132-165: 136. Anche considerando le altre sedi diocesane dell’Abruzzo la situazione non cambia, duran-te gli anni Trenta del XIV secolo troviamo solo due mendicanti sulle sedi abruzze-si: Angelo Azaioli, domenicano, vescovo di L’Aquila nel 1328, trasferito poi alla sede fiorentina (per questa sede non vi è corrispondenza tra le date di elezioni dei vescovi e i nomi dei pontefici che avrebbero dovuto eleggerli!) e Pietro Borbelli, francescano, vescovo di Valva-Sulmona, eletto nel 1330.

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II. Raymondus de Mausaco, vescovo di Chieti

Mancando per i vescovi del periodo angioino un lavoro parago-nabile a quello condotto dal Kamp17 per il periodo svevo e in assenza dei Registri della cancelleria angioina per il regno di Roberto d’Angiò, siamo costretti ad affidarci all’erudizione locale. Il primo a informarci su Raimondo è Girolamo Nicolino18, uno studioso del XVII secolo, che ci offre una prima serie di notizie, corredate da qualche riferimento bibliografico di una certa utilità. L’erudito teatino ci informa che Raimondo era originario di Marsiglia, apparteneva all’ordine dei frati Minori e che la sua nomina segui-va alla rinuncia del confratello Guglielmo de Giniaco19. Su tali indi-cazioni abbiamo le testimonianze del documento di nomina di Raimondo in cui si legge che Guglielmo, eletto dal capitolo per viam compromissi concorditer, si porta a Roma, munito di decreto di elezione, per ottenere la conferma papale che gli viene negata a causa dell’opposizione del procuratore generale dell’Ordine. Alla fine il pontefice incarica Pietro, cardinale presbitero di S. Susanna, di risolvere il problema. Si giunse così alla rinuncia da parte di Guglielmo, il quale: «volens vitare litigiorum anfractus et dictam ecclesiam a longioris vacationis incommodis praeservare» rinuncia spontaneamente (sua sponte) a tutti i diritti che gli competono e che derivano dall’elezione episcopale20.Il nostro inventario, sia nel titulus inquisitionis che nella littera commissionis, presenta il de Mausaco in un altro ruolo, quello di

17 KAMP, Kirche und Monarchie.18 G. NICOLINO, Historia della città di Chieti, Napoli 1657 (rist. Bologna 1967), 154. Una prima ricostruzione della vicenda biografica di Raimondo sarà argomento di un lavoro di prossima pubblicazione.19 Anche L. WADDING, Annales Minorum seu Trium Ordinum a s. Francisco institutorum … Editio tertia accuratissima auctior et emendatior ad exemplar editio-nis J.M. FONSECA, VI, ad Claras Aquas 1931, ci riferisce del trasferimento di Raimondo prima a Chieti (628), poi ad Aversa (ibid., 68). 20 Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vatic., 71, 271b, ep. 607; cfr. anche Bullarium Franciscanum Romanorum Pontificium, III, Romae 1765, 195 n. 419.

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cancelliere ducale; mentre nella lettera anche Tommaso, il canoni-co al quale era stata affidata l’esecuzione materiale dell’inventario, è definito consigliere ducale e familiare del vescovo. L'appellativo ducale deve intendersi riferito al primogenito di re Roberto, Carlo, che interviene anche in relazione all'affitto del castello di Montesilvano, di pertinenza della chiesa teatina.

Nel 1259 il vescovo Alessandro21 concedeva il castello in enfi-teusi a Bernardo da Raiano, concessione confermata nel 1264 da Nicola da Fossa. Due lettere del 1291 sono spia di una situazione tutta da studiare alla luce degli equilibri che si erano creati, o erano venuti a mancare, nell’Italia meridionale dopo la sconfitta sveva. Nel primo documento si legge che il castello di Montesilvano, dato precedentemente in enfiteusi senza il beneplacito della sede aposto-lica, è attualmente occupato, sempre dai da Raiano, che avevano ricevuto l’aiuto di Manfredi, principe di Taranto22. Ad essere inca-ricato della restituzione è Berardo il vescovo prenestino, che, da Barletta, emana la seconda lettera23 con la quale a sua volta incarica l’arciprete di Lanciano di citare Carlo da Raiano, successore di Berardo, a comparire dinanzi al legato papale. La vicenda prosegue con l’intervento di Carlo di Calabria che, in un primo momento, ordina agli esattori della città di Chieti di ingiungere agli eredi di Carlo e Gentile da Raiano la riconferma dello strumento per le pre-stazioni dovute alla chiesa teatina24 e poi trasferisce al vescovo l'ap-pello interposto per le cause riguardanti gli affitti di Montesilvano25. La riconferma della concessione è testimoniata da una lettera del 1323 – quindi lo stesso anno in cui venne redatto l’inventario – con la quale Raimondo, dalla località di Castronuovo (Aq), ordina di redigere copia dello strumento con cui il suo predecessore Alessandro, nel 1259, col consenso del Capitolo, aveva ceduto in

21 E non Bartolomeo, come da annotazione su verso della pergamena di con-ferma di Nicolò da Fossa in AAC, Teate 49, BALDUCCI, Curia, n. 38.22AAC, Teate 89; BALDUCCI, Curia, n. 71.23 AAC, Teate 90; BALDUCCI, Curia, n. 72.24 Il documento è conservato in archivio alla collocazione AAC, Teate 156, BALDUCCI, Curia, n. 130.25 AAC, Teate 164; BALDUCCI, Curia, n. 138.

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enfiteusi il castello di Montesilvano a Bernado da Raiano26. Inoltre il castello, che rientrava così a far parte dei possedimenti della dio-cesi teatina, è testimoniato anche nell’inventario, dove si legge che i da Raiano pagavano un canone annuo di 14 once27.

Al rapporto di Raimondo con Carlo di Calabria fa riferimento anche il Nicolino, che però non sembra essere sicuro dell’informa-zione, se la introduce con un «si dice»28. Due secoli dopo un altro studioso locale, Giovanni Ravizza, riporta esattamente le stesse infor-mazioni. Egli scrive che nel 1322, quindi un anno dopo il trasferi-mento dalla sede piemontese a quella abruzzese, Raimondo diventa-va cancelliere ed intimo consigliere di Carlo duca di Calabria, vica-rio di re Roberto, e introduce questa affermazione con una annota-zione sul merito e la dottrina che caratterizzavano il vescovo.

L’immagine che si ricava dalla documentazione fino ad ora ana-lizzata29 è quella di un vescovo coinvolto profondamente negli avvenimenti politici del Regno. Pur con la consapevolezza di una ipotesi tutta da verificare, sembrerebbe quasi che la collaborazio-ne del de Mausaco con la casa Angioina, coincidente con il trasfe-rimento alla diocesi di Chieti, si avvii quando i d’Angiò prendono

26 AAC, Teate 158; BALDUCCI, Curia, n. 132.27 AAC, s.c., Inventario, 102: «Dominus Bernardus de Rayano pro Castro Montis Silvani quod tenet ad Ecclesia Theatin. debet dare annuatim uncias Quatuordecim videlicet in festo Resurrectionis et Nativitatis Domini et post mor-tem ipsius dictum Castrum Montis Silvani devolvitur ad Ecclesiam Theatinam».28 NICOLINO, Historia, 155: «di cui (Carlo) si dice che [Raimondo] fusse stato cancelliere e famigliare»; lo stesso viene sostenuto dal G. RAVIZZA, Memorie istori-che intorno la serie de' vescovi ed arcivescovi teatini, riunite, e compilate dall'istesso autore delle notizie biografiche degli uomini illustri della città di Chieti, Napoli 1830; 18: «1321. XXXVI. Dopo un anno e mezzo di vacanza, Frà Raimondo della fami-glia Mausaco della città di Marsiglia, dell'Ordine de' Minori, essendo Vescovo d'Alba in Savoja, fu nell'anno 1321. dal Pontefice Giovanni XXII. traslato nella Chiesa di Chieti. Uomo di merito, e di somma dottrina fu nell'anno 1322 eletto Cancelliere, ed intimo Consigliere di Carlo Duca di Calabria, Vicario di Re Roberto, da cui ricevè a favore della sua Chiesa la conferma di tutti i diritti, e pri-vilegj, che antecedentemente concessi gli avevano i Re, Imperatori e Pontefici sino a quell'epoca».29 Quanto qui presentato è solo il primo approccio alla documentazione. Mi riservo di approfondirne lo studio in una prossima pubblicazione.

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il potere nel sud-ovest del Piemonte, e sulla città di Alba30. Purtroppo la documentazione dell’archivio diocesano relativa a questo prelato è molto scarsa: si conservano solo quattro lettere. Oltre il nostro inventario, sul quale ci soffermeremo più avanti, e i due documenti attinenti il castello di Montesilvano, ai quali abbiamo accennato, ci resta una delibera del capitolo di Chieti relativa alla nomina del rettore di una cappella di recente costru-zione31 e un documento, successivo al trasferimento del vescovo ad Aversa, con il quale egli viene convocato presso il re per rende-re conto dell’occupazione del castello di Scorciosa, un avvenimen-to sul quale avremo modo di ritornare32. Dalle date topiche della documentazione emanata da Raimondo si deduce che il vescovo soggiornò in diocesi per un periodo relativamente breve. Allo stato attuale delle mie ricerche, e sulla base della documentazione fino ad ora rinvenuta, è possibile ricostruire parte dei suoi sposta-menti. A Chieti arriva nel 1321, l’anno successivo ottiene la nomi-na di cancelliere, nel 1323 si trova a Castronuovo (Aq). All’inizio di questo stesso anno, quando decide di far redigere l’inventario, Raimondo si trova a Napoli, come testimonia la datazione della littera commissionis33. Per il 1324 non abbiamo documentazione diretta, i registri vaticani conservano una lettera papale destinata ai vescovi di Nola e Caserta, incaricati di ricevere dal vescovo il giuramento di fedeltà alla chiesa romana34. Il Ravizza ci informa,

30 Per un primo approccio al problema si veda, oltre alla bibliografia specifica relativa alla dinastia angioina, M. TAMAGNONE, Il Piemonte in età comunale e le relazioni di Asti con Alba nel medio evo, Torino 1931. Per la dominazione angioi-na in Italia settentrionale si veda anche il volume Gli Angiò nell’Italia nord-occi-dentale (1259-1382), a cura di R. COMBA, Milano 2006 (Testi e studi. Scienze Umane, 195); per l’organizzazione ecclesiastica alla corte angioina si rimanda all’articolo di E. CANOBBIO, Per una prosopografia dell’ufficialità subalpina: perso-nale ecclesiastico al servizio degli Angiò, in ibid, 291-312.31 AAC, Teate 166, BALDUCCI, Capitolo, n. 23.32 AAC, Teate 175, Balducci, Curia, n. 147 sul regesto, sul verso della perga-mena di mano del Balducci: 146.33AAC, s.c., Inventario, 7: «Neapoli die decimo nono Martii sextæ indictionis».34 Archivio Segreto Vaticano, Reg. Vatic. 76, 295, ep. 896. Cfr. F. SAVINI, Septem dioeceses Aprutienses Medii Aevi in Vaticano tabulario, Romae 1912, 293.

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inoltre, che in questo stesso anno Raimondo avrebbe alienato i castelli di Orni e Lastignano per donarli in beneficio a due nipo-ti35. Il suo ruolo di cancellerie costringe Raimondo ad una fre-quente presenza a Napoli, dove prende casa, nella quale, a volte, si stilano gli atti che riguardano l’organizzazione politico-religiosa del Regno. È quanto avviene in un documento del 1325, nel quale appare come testimone; la copia viene redatta «die 23 eiusdem mensis novembris Neapoli in hospitio habitationis suprascripti domini ducalis cancellarii»36. Il 21 febbraio del 1326 sopraggiun-ge il trasferimento alla sede aversana.

III. Raimondo e il caso di Cecco d’Ascoli

Fin qui, in linea di massima, la documentazione rinvenuta in questa fase della ricerca. Come ho già avuto modo di osservare, l’im-magine che ne deriva è quella di un vescovo coinvolto nelle attività della casa regnante, poco impegnato in diocesi, ancora meno pres-so la curia romana, con una sola eccezione: nel settembre del 1327, ormai vescovo di Aversa, è a Firenze e condanna Cecco d’Ascoli (Francesco Stabili) al rogo per eresia37. I cronisti contemporanei riportano questa notizia senza darle particolare peso, ad eccezione del Villani che si sofferma dettagliatamente sull’accaduto38. Da lui

35 RAVIZZA, Memorie istoriche, 18.36 Il documento è edito in S. BORGIA, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, Roma 1763-1769, I-III: III, 284.37 Mi riservo di approfondire successivamente questa vicenda. La bibliografia su Cecco d’Ascoli è enorme, per un elenco accurato delle fonti che riportano la tra-scrizione in volgare del processo rimando al lavoro di A. BECCARIA, I biografi di maestro Cecco d'Ascoli e le fonti per la sua storia e per la sua leggenda, Reale Accademia delle Scienze di Torino (anno 1907-1908), Torino 1908, 1-94; si veda, inoltre, il lavoro di M. GIANSANTE, Cecco d’Ascoli. Il destino dell’astrologo, «Giornale di Astronomia», 23/2 (1997), 9-16.38 Cronica di Giovanni Villani a miglio lezione ridotta coll'aiuto de' testi a penna, Firenze 1823; libro decimo, cap. XL (vol. V-VI, p. 55-56): «Come in Firenze fu arso maestro Cecco d'Ascoli astrologo, per cagione di resia.»

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sappiamo che Cecco era l’astrologo del duca e che era riuscito a pre-vedere gli avvenimenti relativi a Ludovico il Bavaro. La ragione della sua condanna, secondo il Villani, non era da ricercare solo nel libro sulla sfera che Cecco avrebbe scritto quando era ancora a Bologna e che gli era costato già una prima condanna per eresia, ma nell’avversione del cancelliere del duca, che non vedeva di buon occhio la collaborazione tra Cecco e la famiglia Angioina. Secondo il cronista Marchionne di Coppo Stefani39, la condanna di Cecco dipese non tanto dai suoi scritti, ma dal fatto che aveva osato predire a Roberto d’Angiò la nascita di una figlia, Giovanna, sotto coordinate astrologiche tali da renderla in lussuria disordina-ta. Secondo l’autore, ad aggravare la sua posizione era la profonda inimicizia che provava per i frati Minori, inimicizia di cui non spiega le ragioni. Entrambi i cronisti sono concordi nell’affermare che la denuncia era partita dal medico Dino del Garbo, che sareb-be morto di li a poco, invidioso della fortuna di Cecco. Gli atti del processo e il documento di condanna sono andati perduti, si con-servano solo le trascrizioni in volgare, quando la figura e la vicen-da di Cecco avevano oramai assunto i contorni del mito. I prota-gonisti di questa vicenda sono gli esponenti del mondo cattolico in Toscana: Giovanni Orsini, legato papale in Tuscia, Francesco de’ Silvestri da Cingolo, vescovo di Firenze dal 1323 al 1341 e l’in-quisitore in Tuscia, il francescano Accursio Bonfantini40. Allo stato attuale della ricerca non mi è ancora possibile definire quale sia stato il ruolo svolto da Raimondo in questa vicenda. Effettivamente sembra strano che tra l’arrivo del vescovo a Firenze e l’esecuzione di Cecco sia trascorso pochissimo tempo. Perché tanta fretta? Era un segnale all’inquisitore, quasi a voler sottoli-neare la sua negligenza? Questa potrebbe essere una spiegazione, soprattutto se si considerano due lettere pontificie successive alla

39 Cronaca Forentina di Marchionne di Coppo Stefani, a cura di N. RODOLICO, Città di Castello 1903 (Rerum Italicarum Scriptores2 30/1), 1-433: 154: Rubrica 435a - Come il Duca fece ardere maestro Cecco d’Ascoli per eretico – non dedica alla vicenda più di un breve paragrafo.40 Su questo personaggio si veda E. RAGNI, Bonfantini Accursio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 12, Roma 1970, 10-11.

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condanna, nella prima il pontefice sollecita Accursio a proseguire nel suo ufficio41, mentre nella seconda si legge esplicitamente «olim inquisitor haereticae pravitatis in partibus Tusciae», la sua rimozione deve essere avvenuta tra il 1 luglio del 1328 e il 13 dicembre 132942. L’inquisitore ha avuto, probabilmente, proble-mi con la curia papale, forse a causa del suo operato, e non è detto che non abbia avuto dubbi circa la effettiva colpevolezza dell’ac-cusato. L’intervento di Raimondo è stato decisivo per le sorti del poeta, ma resta il dubbio sul mandante. Chi gli ha ordinato di intervenire? Il duca, il papa oppure l’iniziativa è stata dello stesso Raimondo?

IV. Questioni feudali

Il de Mausaco si presenta come un vescovo consapevole del pro-prio ruolo. Ed è questa l’immagine dipinta dagli storici locali, l’immagine di un presule tutto proteso a difendere i diritti della diocesi, nonostante la sua presenza a Chieti sia stata saltuaria, come ho già avuto modo di evidenziare. Se consideriamo però i documenti del suo successore, Giovanni, conservati nell'archivio diocesano, ci rendiamo conto che altra era la percezione che que-sti ha avuto dell’opera di Raimondo. Giovanni dovette impegnare un intero anno (1326-1327) nella ricostituzione del patrimonio diocesano pesantemente smembrato. Già nel settembre del 1326 è costretto a difendere, contro Raimondo, l’appartenenza del castello di Lastignano alla chiesa teatina43, ma non basta. I docu-menti papali che si succedono dimostrano che il vescovo Giovanni dovette rivolgersi alla curia papale per ottenere il riconoscimento dei propri diritti. Giovanni XXII interviene con due lettere, nella

41 Cfr. Bullarium Franciscanum, V, Romae 1898, 352, n. 719: Avignone il 1 luglio 1328.42 Con questa lettera Giovanni XXII incarica Guglielmo Dulcini, nunzio apo-stolico, e Grimaldo di Prato, frate Minore, di indagare sui beni che frate Accursio avrebbe dovuto percepire dalla sua attività di inquisitore; ibid., 455, n. 831.43 AAC, Teate 169, BALDUCCI, Curia, n. 144.

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prima, datata 22 novembre, dichiara nulla la vendita di Lastignano e di una parte di Orni e ordina al vescovo di Cassino e all’abate del monastero di Oxford – mentre a rendere pubblico il documento veniva incaricato Gerardo de Valle, canonico napo-letano, Campaniae Maritimaeque rector – che si adoperino affin-ché vengano restituiti alla chiesa teatina, nello spazio di tre mesi, i beni ingiustamente alienati44, ordine ribadito nella seconda, datata 29 novembre45 e inviata direttamente a Raimondo.

L’intervento del pontefice deve aver ottenuto l’effetto sperato se l’11 marzo dell’anno successivo compaiono davanti a Pietro, vescovo Prenestino e vicecancelliere sacrae romanae curiae, Pietro de Argello e Marcello de Mausaco per restituire i beni, mentre il vescovo si fa carico di restituire la somma da loro precedentemen-te pagata46.

Se la precedente alienazione si era risolta nel giro di poco più di un anno, non siamo al corrente di come si sia conclusa la vicen-da dell’alienazione del feudo di Scorciosa a Roberto Morello. Nella lettera, con la quale il 23 marzo 1327 Giacomo di Valente e il notaio Nicola di Canale invitano Raimondo, oramai vescovo di Aversa, a comparire davanti al re per riferire sull’alienazione del castello, il Morello è qualificato come miles fidelis nostrae maiesta-tis. Il documento aggiunge, inoltre, che il Morello: «dum olim teneret et possideret immediate ac in capite a nostra Curia Castrum Scorzose de Aprutina provincia ante flumen cum homi-nibus, vassallis, iuribus et pertinentiis suis omnibus sub certo feu-dali servitio seu (…) quam ipsi Curie nostre prestabat»47. Il feudo apparteneva, quindi, al demanio reale. Ma quando è avvenuta

44 AAC, Teate 174; BALDUCCI, Curia, n. 145 sul regesto, sul verso della perga-mena di mano del Balducci: 148; SAVINI, Septem dioeceses, 293; MOLLAT, Jean XXII (1316-1334), VI, 376, n. 27108, quest’ultimo sostituisce Raimondo con il successore, Giovanni.45 SAVINI, Septem dioeceses, 295.46 AAC, Teate 173; BALDUCCI, Curia, n. 146 sul regesto, sul verso della perga-mena di mano del Balducci: 145.47 AAC, Teate 175; BALDUCCI, Curia, n. 147 sul regesto, sul verso della perga-mena di mano del Balducci: 146.

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questa alienazione? L’inventario riporta il giuramento degli uomi-ni di Scorciosa, i quali, in presenza di Tommaso, attestano che da circa trent’anni sono consueti dare a Roberto Morello, che aveva ricevuto il castello dalla chiesa teatina, una somma di dieci once, nella festa dell’Assunzione48. Quindi l’alienazione del castello da parte di un vescovo di Chieti deve retrodatarsi di almeno tren-t’anni circa, rispetto alla data 1323 del nostro documento, cioè agli anni Novanta del XIII secolo. Per quanto concerne Raimondo, sembrerebbe quasi che la sua scelta non sia caduta a caso su questo luogo e su questo feudatario. Roberto Morello aveva avuto altri problemi con la diocesi: una delibera di Carlo, primogenito di re Roberto, lo riguarda direttamente. Siamo nel settembre del 1322, Raimondo, definito qui già cancellarius noster, si rivolge al vicario regio per risolvere un problema che riguardava la persona del Morello, al momento soldato nelle file dell’esercito, il quale aveva confessato di possedere, a nome della moglie, la metà del castello di Muccia, e che aveva fatto omaggio ligio e giuramento di fedeltà al vescovo. Il contratto di locazione, però, era andato perduto e sia il notaio che i testimoni erano morti. Allo stato attuale della ricerca non si conoscono i motivi della prigionia dell’interessato (nunc de mandato nostro captivum), che durerà fino al 1327, se si considera che nel documento prece-dentemente analizzato si legge che il Morello era in Castro Orni tunc noster carcer inclusum49, andava ad aggravare la situazione. Carlo invitava il vescovo a riformulare un nuovo contratto, nel rispetto delle leggi vigenti nel Regno50.

Nel tentativo di ricostruzione a grandi linee della vicenda di Raimondo, in questa prima fase della ricerca, ci siamo imbattuti

48 AAC, s.c., Inventario, 85.49 Si veda nota 43.50 Per la raccolta della documentazione relativa alla legislazione angioina, soprattutto per il regno di Roberto d’Angiò si veda R. TRIFONE, La legislazione angioina, II, Napoli 1921 (Società Napoletana di Storia Patria. Documenti per la storia dell’Italia Meridionale), 203-204, cap. CXXIV.

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in alcuni dei possedimenti feudali della diocesi teatina51 che ritor-neranno nell’inventario: Lastignano, Orni, Scurcola. Sono queste le località di cui Raimondo desiderava conoscere lo stato giuridi-co e i rapporti con la mensa episcopale. Tenendo presente che il documento è una copia tarda dell’originale andato perduto, che presenta aggiunte di secoli successivi, e supponendo che sia inte-gro soprattutto nella parte trecentesca, egli progettava già di alie-nare questi beni in favore dei nipoti? Può considerarsi il docu-mento di cui ci stiamo occupando più un dossier che un inventa-rio nel senso stretto del termine? Se andiamo a considerare il materiale presente in archivio, ci si accorge immediatamente che quasi tutti i vescovi del XIII e XIV secolo si erano preoccupati di riaffermare i loro diritti feudali su alcuni territori della diocesi: Montesilvano, Orni, Lastignano, Villa Scorciosa, solo per fare alcuni esempi. Si potrebbe ipotizzare, quindi, un ennesimo tenta-tivo, da parte di Raimondo di formalizzare definitivamente la geo-grafia dei possedimenti feudali della diocesi stessa, non solo con le attestazioni documentarie già presenti, ma anche con le testimo-nianze dei cittadini, chiamati a giurare su quanto andavano affer-mando.

V. L’inventario dei beni della diocesi teatina

Non ci resta, a questo punto, che ritornare ad una presentazio-ne un poco più analitica della fonte dalla quale siamo partiti.

L’inventario è organizzato in due sezioni, ma mentre la prima ci informa dell’iter giuridico che precede l’inchiesta ed è costitui-ta da un titulus inquisitionis, una lettera comissionis e una executio commissionis, la seconda rappresenta la inquisitio vera e propria.

51 Una prima ricostruzione dei possedimenti feudali della diocesi nell’arco cro-nologico compreso tra il IX e XI secolo è offerta dal lavoro di L. PELLEGRINI, La città e il territorio nell’alto medioevo, in Chieti e la sua provincia. Storia arte cultura, Chieti 1990, 227-277: 273ss.

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Il titulus inquisitionis è una breve lettera introduttiva nella quale Raimondo individua sia la persona a cui affidare l’incarico di censore, il canonico teatino Tommaso Cipriani, come si legge nella littera commissionis52, sia gli stessi elementi da censire, parti-culariter i possedimenti colti e incolti, pascoli, prati, frutteti, muli-ni, animali, debitori e ogni tipo di diritto esercitato dal vescovo sulla città di Chieti e nei castra di Villamagna, Lastignano, Orni e Forca e nelle loro pertinenze. L’incarico di redigere il mandato fu affidato ad un certo Grimaldo53 notaio apostolico, mentre ad accompagnare Tommaso nella sua opera era il notaio Biscardo de Cana, incaricato di autenticare le dichiarazioni dei testimoni. Per avviare l’inchiesta Tommaso ordina a Corrado di Buccerio, nun-zio curiale, di pubblicizzare il bando nella città di Chieti in locis ad hoc consuetis il penultimo giorno di marzo dello stesso anno. Qualsiasi persona della città o del circondario che avesse avuto dalla chiesa teatina un qualsiasi possedimento, sotto qualsiasi tito-lo doveva comparire davanti a Tommaso entro otto giorni a parti-re da quello del bando.

Per quanto concerne Tommaso Cipriani, è ipotizzabile che egli svolgesse il ruolo di vicario episcopale54, soprattutto a causa del-l’assenza del vescovo, costretto dai suoi impegni ad allontanarsi spesso dalla diocesi, benché la presenza di vicari non sia attestata nelle diocesi abruzzesi all’inizio del XIV secolo, ad esclusione di quella dei Marsi, divisa per motivi amministrativi in tre vicarie55. Nella lettera di commissione, dove anche il Cipriani è definito consigliere e familiare del duca, si mette in risalto sia la legalità e la

52 Le Rationes decimarum Italiae. III: Aprutium, Molisium. Le decime dei secoli XIII-XIV, a cura di P. SELLA, Città del Vaticano 1936 (Studi e Testi, 69), 252 ripor-tano, nelle decime del 1308, un chierico di nome Ciprianus.53 Il copista dell’inventario, non riuscendo a leggere il patronimico, aggiunge un «de [….]».54 Nel 1333 il canonico aversano Pietro da Tocco era vicario di Raimondo per una causa relativa ad un beneficio appartenente alla diocesi di Penne, il documen-to è conservato presso l’Archivio diocesano di Pescara-Penne, alla collocazio-ne: Penne cd 31 f 1503.55 Si veda il contributo di Luigi Pellegrini in questo volume.

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circospezione acquisita durante altre attività legate agli interessi del vescovo stesso «in aliis nostris negociis jam probata», sia la fiducia e la familiarità con gli affari della chiesa teatina. Tommaso Cipriani si ripresenta alla nostra attenzione alcuni anni dopo, e precisamente nel 1335, alla morte del vescovo Giovanni Crispano. Nel momen-to di decidere il nome del successore il capitolo, non riuscendo a trovare un accordo tra i canonici teatini Tommaso Cipriani e Andrea Bartolomeo, li elegge entrambi. L’intervento del pontefice era così programmato, egli vi trasferirà il vescovo marsicano Pietro Ferro, che reggerà la diocesi solo sette mesi. La familiarità del Cipriani con i problemi e l’organizzazione della diocesi, acquisita proprio durante l’episcopato di Raimondo, ne faceva il successore ideale, e, a mio modesto parere, il suo nome era presente già tra quelli proposti per sostituire Raimondo, la scelta di Giovanni Crispano, canonico napoletano e cappellano papale, è stata, ancora una volta, una scelta del pontefice, in linea con la successione sul seggio episcopale teatino di una serie di vescovi provenienti, dalla metà del XIII secolo in poi, dall’entourage della curia romana.

Ma torniamo all’inventario. Dopo questa sezione giuridica atta ad ufficializzare l'inchiesta, definendone modi e tempi, segue l'e-lenco dei possedimenti. Si comincia con la città di Chieti e le sue pertinenze. In successione troviamo i demani56, i seminativi57 e i censuali58. Immediatamente dopo si rivolge l'attenzione ai diritti episcopali di vario genere e natura: di carattere fiscale, rivendica-zioni nei confronti della comunità civica o castrale per quanto riguarda la nomina di ufficiali pubblici (camerari, notai, giudici) o il risarcimento di eventuali danni provocati: «Item dicit quod de omnibus damnis datis seu guastitis per animalia ipsius Civitatis (in) rebus et bonis hominum dictæ Civitatis accipitur pecuniam per ipsum Episcopum et officiales suos secundum statuto olim facto per universitatem eadem»59, si legge, infatti, nell’inquisitio.

56 AAC, s.c., Inventario, 9-11.57 Ibid., 12-17.58 Ibid., 27-34.59 Ibid., 35.

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L’elenco prosegue con i beni di Lastignano riportati nella stes-sa successione già seguita per Chieti: demani60, fuochi di Lastignano soggetti alla tassa di un tareno d’oro al vescovo per la festa dell’Assunta61, i redditi per possesso62 e quelli per censo63, per concludersi con i redditi feudali, secondo un'inchiesta svolta dal re di Sicilia64. Procedimento analogo per Villamagna65 e la fra-zione di Casalnuovo66; per Forca67 e il castrum Scorzosa68. In que-sto caso ad aprire l'elenco sono i fuochi del castrum, seguiti dai possessori non residenti69. L’inchiesta si estende, a questo punto, alla chiesa e al castrum di S. Maria in Baro e ai diritti che questa chiesa esercitava in Lanciano, Scorzosa e le loro pertinenze70. Si prosegue con i redditi della chiesa di S. Severino71; un quaderno dei sinodi dei redditi […] suddivisi in citra e ultra flumen Piscarie72; l'elenco dei baroni feudatari73, la quota che i chierici devono paga-re per la santa visita74; l'elenco dei luoghi che pagavano la decima e la quarta dei morti75; i redditi feudali76, le gabelle dei mulini, dei porti, dei prati, dei giardini e dei redditi di Sculcola77.

Fin qui l’inchiesta sembra seguire un percorso che parte dalla sede diocesana e si irradia man mano verso i territori più esterni.

60 Ibid., 39-40.61 48 in tutto, Inventario, 41.62 Ibid., 42-46.63 Ibid., 47-49.64 Ibid.65 Ibid., 50.66 Ibid., 65.67 Ibid., 80-82.68 Ibid., 82-85.69 Ibid., 85.70 Ibid.71 Ibid., 88-91.72 Ibid., 96-102.73 Ibid., 102.74 Ibid.75 Ibid., 108.76 Ibid., 110.77 Ibid.

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Questo schema viene interrotto all’improvviso dalla presenza di altri riferimenti cronologici che vanno ben oltre il XIV secolo. Si tratta dell’inventario dei beni mobili e immobili di Pollutri, dei calices noviter relicti, dei possedimenti della chiesa e l'elenco degli uomini che dovevano pagare il censo per i possedimenti ottenuti dalla chiesa di S. Salvatore di Pollutri, delle locationes del 1418 e del 14[.]478. Il giorno 27 di giugno del 1511 questo inventario veniva consegnato alla curia di Chieti per «dominum Salomonem beneficiatum in Ecclesia Sancti Salvatoris de Pollutro». A Pollutri segue S. Maria di Caramanico79; le circoscrizioni parrochiali con le rispettive quote da pagare pro sinodo, pro procuratione, pro quar-ta80; per ritornare, poi, all'elenco di uomini e possedimenti81. Tutta questa sezione, che esula cronologicamente dal XIV secolo, è introdotta da un titolo che porta una data successiva: il 1541. Al f. 113 si legge infatti: «Hoc est inventarium omnium bonorum mobilium et stabilium [……….] de Pollutro82 datorum et assi-gnatorum in [presentia] venerabilis viri domini Dominici Archipresbiteri præfatæ Ecclesiæ et filii legitimi Masii Rubei per manus proborum hominum, videlicet Iohannis de Fertio et Angeli Ciccarelli de eodem dicto Castro Pollutri, ac etiam scrip-tum per manus mei notarii Donati de Montrecozo habitatori Casalis [...........] (sic) ab anno Domini Millesimo quingentesimo quadragesimo primo die septimo mensis Augusti quartæ indictio-

78 Ibid., 113-123. È difficile ipotizzare la data indicata. Questa potrebbe oscil-lare tra il 1424 e il 1494, se si considera che questo inventario viene consegnato alla curia di Chieti, come successivamente si precisa, solo nel 1511. Anche il tentativo di ricostruzione della data in base all’indizione riportata non ha dato risultati posi-tivi. Secondo i calcoli di H. GROTEFEND, Taschenbuch der Zeitrechnung, Hannover 199113, 140 neanche una delle indizioni riportate dal trascrittore corrisponde all’anno di riferimento; il 1418 dovrebbe corrispondere alla 11a indizione (12a nel-l’inventario), il 1541 alla 14a (4a nell’inventario) e così via. Mi riprometto di ritor-nare sul problema successivamente.79 AAC, s.c., Inventario, 125-132.80 Ibid., 133-148.81 Ibid., 148-159.82 cfr. PELLEGRINI, La città e il territorio nell’alto medioevo, 254.

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nis, […]». A conclusione, e precisamente al f. 159, ricompare il canonico Tommaso supradictum che attestava i redditi ed i censi dovuti dagli uomini di Scorzosa alla chiesa di S. Maria in Baro.

Questi, in linea di massima, i contenuti dell'inventario83. Ma la scomparsa dell’originale trecentesco presenta una serie di proble-mi ai quali, in questa sede, possiamo solo accennare. Come è stato già osservato, l'originale è andato perduto, ma un inventario del 1737, un tempo presente in archivio e ora non più reperibile, face-va riferimento a un documento analogo, o meglio a un esemplare di data certamente molto anteriore in quanto oramai «[…] tutto roso dai sorci», come lo descrive il Balducci, il quale non precisa però se si trattava di una copia precedente a quella pervenuta, oppure dell’originale; personalmente sarei propensa a pensare che si tratti di una copia84 a partire da quanto affermato nella prima pagina: gli appellativi Arcivescovile e monsignore sono, infatti, anacronismi se riferiti al XIV secolo, poiché la sede teatina diven-ta arcivescovato solo nel XVI secolo85, ma tali anacronismi, ai quali si aggiunge il titolo arcivescovile posto davanti al nome di Raimondo nel Titulus inquisitionis della pagina immediatamente successiva, sono giustificati solo se si colloca la copia visionata dal Balducci tra il XVI e il XVII secolo. Ci si deve chiedere, inoltre, se e quanto dell’originale sia andato perduto, e se la presenza di diverse mani possa rimandare a una pluralità di trascrittori della copia pervenuta. Lo stato in cui era ridotto il documento visiona-to dal Balducci, che rendeva certamente molto difficile la com-prensione del testo, potrebbe aver spinto il trascrittore a inserire sul secondo foglio una leggenda, finalizzata ad aiutare il lettore ad interpretare gli spazi vuoti, le linee continue, i tratteggi vari, tanto frequenti da comprometterne, talvolta, la lettura. In essa si legge

83 Da qualche tempo lavoro alla trascrizione di questo documento. I risultati saranno tra breve resi di pubblico dominio.84 BALDUCCI, Curia, XI. In archivio è presente parecchio materiale, special-mente quello trasferito dall’archivio del capitolo, non ancora completamente sche-dato. Una ricerca tra questo materiale potrebbe riservare delle sorprese in proposi-to.85 UGHELLI, Italia sacra, 755-772.

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che: «__________ (una linea continua nel testo) importa una scrittura rasa o lacera, (la stessa linea) sotto una parola importa, che questa sia stata interpretata; ........................... (una linea trat-teggiata) importa che una parola sia inintelligibile; (la stessa linea posta) sotto una parola che sia stata interpretata; La maggiore o minore estensione (della stessa linea) farà discernere la maggiore o minore mancanza delle parole».

Che il nostro inventario sia opera di un lavoro di aggiorna-menti successivi o dell’accorpamento di brandelli di diversi inven-tari presenti in archivio in un unico documento lo dimostrano anche le molteplici date a cui abbiamo precedentemente accenna-to. Esse accompagnano esplicitamente la parola «inventario» rife-rita, però, non alla diocesi teatina, ma a due località sottoposte alla sua giurisdizione: il castrum Pollutri e il territorio di Caramanico.

Questa molteplicità di date ripropone il problema dal quale siamo partiti: quanto è sopravvissuto del nucleo trecentesco? In attesa del lavoro di attenta analisi di tutta la documentazione due-trecentesca presente in archivio – che consentirebbe di effettuare una ricerca più dettagliata della ricorrenza dei nomi presenti nel nostro inventario all’interno della documentazione archivistica locale – si è cercato di trovare riferimenti utili nella documenta-zione già analizzata. È stato così possibile individuare in altri documenti conservati nell'archivio diocesano alcuni nomi che ricorrono nel nostro documento. È il caso di un certo Corrado domini Trasmundi che appare a f. 10 tra i confinanti di una vicen-na e, a f. 28, ancora tra i confinanti di un pezzo di terreno il cui contratto di locazione è conservato ancora in archivio86. Il con-tratto di affitto di due mulini presso il fiume Pescara viene stipu-lato tra Pietro Ugolini e Bartolomeo, arcidiacono teatino, e Corrado di Trasmondo e Francesco di Tommaso di Chieti. Il documento è datato il 19 maggio 1312. Anche il notaio che sti-pula il contratto è per noi di interesse. Si tratta, infatti, dello stes-so notaio Anzellotto che a f. 36 è tra i personaggi chiamati a testi-

86 AAC, Teate 126; BALDUCCI, Curia, n. 99.

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moniare sui diritti episcopali. In archivio sono presenti quattro documenti sottoscritti dal nostro notaio datati tra il 1300 e il 132687. Di un secondo notaio, un certo Matteo de Balviano, che incontriamo sempre tra i testi chiamati ad esprimersi sui diritti episcopali, sono conservati due documenti collocati nell’arco cro-nologico 1297-130988.

L’elenco potrebbe continuare, allo stato attuale della mia ricer-ca sono 12 i personaggi che sono attestati in altri documenti di questa prima metà del secolo XIV. Si tratta solo di esempi: il Nicola di maestro Arcangelo (f. 11), confinante di un terreno in contrada Calcasacco e potrebbe essere lo stesso Nicola, questa volta con l’appellativo «suddiacono» che, insieme al notaio Davide, nel 1326 vende a Bernardo di Giovanni di Sant’Angelo, procuratore dell’ospedale di S. Maria della Misericordia, dipendente dal monastero di S. Croce in Roccamontepiano un terreno presso Manoppello, contrata «Arcosano», per tre once e dodici tareni d’agento89. Al f. 14 un certo Nicolaus Nicolai di Chieti dichiara di possedere nel territorio della città, in contrada de Penne un pezzo di terreno. Per questo personaggio si potrebbe ipotizzare una omo-nimia con il notaio Nicola di Nicola che redige il documento con il quale il vescovo Bartolomeo, nella cattedrale di Chieti, «ante altare beati Justini situatum in confexione eiusdem ecclesiae», dichiara scomunicato Antonio di Cantelmo, perché possedeva illegittimamente Montesilvano90.

87 Oltre al documento citato alla nota precedente, il notaio Anzellotto redige altri tre documenti: AAC, Teate 109, 130, 168; BALDUCCI, Curia, nn. 87, 105, 142.88 Questo giudice redige il documento presentato dal vescovo Rainaldo O.P. a Francesco di Benedetto, giudice della città di Chieti, per l’autentica e la pubblica-zione nel regno di Sicilia. Il documento riguardava la decisione attinente al rifiuto dei monaci di S. Tommaso di Paterno di ricevere il vescovo di Chieti per la visita e di prestargli ubbidienza e i diritti di procurazione. Giovanni, vescovo tusculano e delegato di Bonifacio VIII, decide a favore del vescovo di Chieti. (AAC, Teate 102; BALDUCCI, Curia, n. 84). Al 15 maggio1309 è datato un altro documento del nostro notaio (AAC, Teate 114; BALDUCCI, Curia, n. 91).89 AAC, Teate 167; BALDUCCI, Curia, n. 143.90 AAC, Teate 209; BALDUCCI, Curia, n. 183.

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VI. I Cantelmo e la diocesi teatina nel XIV secolo

I Cantelmo erano subentrati ai da Raiano nel possesso del castello in un periodo indefinito tra il 1323 – nel nostro inventa-rio infatti sono ancora presenti come responsabili del pagamento del censo di affitto – e il 1339, anno in cui Benedetto XII si rivol-ge a Roberto, re di Sicilia, affinché aiuti il vescovo a rientrare in possesso di Montesilvano e di Forca tenuti da Rostaino Cantelmo nonostante il contratto scaduto. Il 1354 rappresenta l’anno di svolta. In questo anno due documenti attestano la presenza, per lo stesso feudo di Montesilvano, di due feudatari: lo scomunicato Antonio Cantelmo, presente allo stato attuale della ricerca solo in questo documento, e Camilla, moglie di Rostaino, per la quale si emette una ricevuta di avvenuto pagamento del censo dovuto alla chiesa teatina. La scomunica di Antonio potrebbe testimoniare una contesa del castello tra due rami della stessa famiglia, contesa conclusa con la scomunica. Tra il 1354 e il 1360 si susseguono una serie di documenti che provano sia la presenza di un contratto di enfiteusi, andato purtroppo perduto, sia il tentativo da parte dei Cantelmo di sottrarre il feudo alla diocesi per realizzare, probabil-mente, il progetto di ampliare i propri possedimenti verso il mare, considerato che il vasto complesso feudale della famiglia era col-locato, per lo più, tra il Morrone e il versante occidentale della Maiella. La documentazione ci presenta un iter giuridico comple-to: dalla citazione presso la curia romana dove il Cantelmo dove-va rendere conto del suo operato, fino all’ingiunzione di lasciare il feudo, emessa in prima istanza da Bartolomeo, ma confermata da Almerigo di Ugone, canonico di Bourges e uditore del papa, che lo condannava a pagare anche le spese processuali. Il Cantelmo ricorre contro questa sentenza, senza risultato. Nel frattempo il pontefice aveva delegato un certo Bozio de Turre, sagrista della chiesa avignonese, ad occuparsi della vicenda. Tra il 3 marzo e il 15 agosto del 1358 Bozio incarica tutti i suoi rappresentanti in loco di divulgare la scomunica di Rostaino: da Giovanni, abate secolare di S. Maria di Caramanico, commissario e subdelegato di Bozo, a Manfredo, arciprete di Bucchianico, a Tommaso, prepo-

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sito di Atessa. Ognuno di loro emana una copia del documento di scomunica di Rostaino, che nel frattempo era riuscito a coalizzare un buon numero di sostenitori. Non sappiamo come si sia con-clusa la vicenda, gli ultimi due documenti analizzati possono con-siderarsi l’estremo tentativo per salvare un possedimento della dio-cesi, destinato a venir definitivamente sottratto alla sua giurisdi-zione. La prima lettera è del vescovo di Chieti, Bartolomeo, che ordina di redigere un transunto del documento di condanna di Bozio; l’altra è una lettera della regina Giovanna ai giustizieri d’Abruzzo, con la quale ordina loro di difendere il vescovo e la chiesa91. L’intervento di Giovanna a sostegno del vescovo, e non solo in questo caso, è sufficente ricordare la storia quasi paral-lela dei de Turre che occuparono il castrum di Villamagna e Forca Bobolina, essa testimonia che anche nel XIV secolo i vescovi si trovarono, al momento dell'arrivo nella diocesi loro affidata, di fronte a forze centrifughe: da una parte alcune realtà locali (chie-se, monasteri) tenteranno ripetutamente di sottrarsi ai diritti epi-scopali92; dall'altra i signori feudali che cercavano di espropriare i feudi loro affidati dai vescovi. Un’occhiata veloce alla sola docu-mentazione presente in archivio basta per renderci conto che le zone «calde» sono proprio quelle che compaiono nell'inventario di Raimondo: Montesilvano, Orni, Forca, Lastignano, Villamagna.

Queste poche pagine sono solo un primo risultato del lavoro di ricostruzione delle vicende relative a Raimondo, il frate francesca-no vescovo di Chieti, e alla chiesa teatina tout court. Lo stato della documentazione in Italia meridionale rende difficile questo lavo-ro di ricostruzione, costringendo gli interessati a lunghi ed este-

91 Per i riferimenti bibliografici sui Cantelmo si rimanda alle voci sugli espo-nenti della famiglia nel Dizionario biografico degli italiani, 18, Roma 1975, 257- 279. Per quanto concerne i loro rapporti con l’ordine fondato da Celestino V si veda PELLEGRINI, «Che sono queste novità?», 356-357. Per la documentazione pre-sente nell’Archivio arcivescovile di Chieti si vedano i regesti in BALDUCCI, Curia, nn. 166, 183, 187, 189, 192, 194, 197, 199-202, 207, 211, 215.92 Un esempio per tutti sia la vicenda della chiesa di S. Salvatore e S. Gerusalemme di Pescara, che proseguirà fino al Settecento.

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nuanti tentativi di recupero di un materiale sparso, per fare solo due esempi, tra archivi diocesani, non sempre accessibili e con una documentazione molto spesso non catalogata, e quelli privati, gelosa-mente custoditi. Per quanto concerne Raimondo sarà importante ricercare, riunire e analizzare la documentazione emessa prima e dopo l’episcopato teatino, durante il periodo trascorso nella dio-cesi di Alba e in quella di Aversa.

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