A. La Marca, Scavi di Bruno Murdaca a Locri Epizephiri: un esempio di ricerca antiquaria nel primo...

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editoriale progetto 2000 ISTITUTO PER GLI STUDI STORICI COSENZA MODELLI E PROSPETTIVE Atti del convegno di studi in onore di Giovanni Azzimmaturo fondatore e presidente emerito dell’Istituto per gli Studi Storici di Cosenza Cosenza, Casa delle Culture, 24 marzo 2007 Ricerche archeologiche e storiche in Calabria a cura di GIOACCHINO LENA

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editoriale progetto 2000

IstItuto per glI studI storIcIcosenza

Modelli e prospeTTiveAtti del convegno di studi in onore

di Giovanni Azzimmaturo fondatore e presidente emeritodell’Istituto per gli Studi Storici di Cosenza

Cosenza, Casa delle Culture, 24 marzo 2007

ricerche archeologichee storiche in Calabria

a cura di Gioacchino Lena

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© editoriale progetto 2000Prima edizione, Cosenza, aprile 2008ISBN 978-88-8276-313-8

In copertina: Tabula Peutingeriana, particolare dell’Italia meridionale e della Sicilia.

Direttore editoriale: dott. Demetrio GuzzardiDirettore artistico: arch. Albamaria Frontino

Per informazioni sulle opere pubblicate ed in programma e per propostedi nuove pubblicazioni, ci si può rivolgere a: editoriale progetto 2000Via degli Stadi, 27 - 87100 Cosenza; telefono e fax 0984.34700e-mail: [email protected] - www.editorialeprogetto2000.it

datI edItorIalI

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SCAVI DI BRUNO MURDACA A LOCRI EPIZEPHIRI:UN ESEMPIO DI RICERCA ANTIqUARIA

NEL PRIMO OTTOCENTO

di antonIo la MarcaDipartimento di Archeologia e Storia delle Arti,

Facoltà di Lettere e Filosofia - Università della Calabria

Il presente lavoro, che ha come oggetto di indagine lo scavo eseguito dal sacerdote Bruno Murdaca a Locri Epizefiri nel 1825, è parte di una più ampia ricerca che si sta conducendo insieme al dott. Antonello Savaglio con lo scopo di ricostruire attraverso le carte d’archivio la storia dei primi colpi di piccone, del collezionismo e dell’attività antiquaria in Calabria durante il vicereame spagnolo e il dominio di Casa Borbone1.

Ho voluto presentare in questa sede una prima sommaria notizia, poiché ritengo importante dare voce a questo filone di studi, che certa-mente può portare nuovi e interessanti contributi alla ricerca archeologica della Calabria.

In Italia, come in altri paesi di intensa attività storiografica, lo studio delle fonti d’archivio rappresenta un settore di ricerca relativamente nuovo ed è caratterizzato da una molteplicità di iniziative che non han-no ancora dato luogo a quei rapporti di studio organici e regolari che

1 La ricerca si avvale di fonti archivistiche inedite conservate negli archivi me-ridionali a cominciare dal Grande Archivio di Stato di Napoli. Le fonti riguardano relazioni, dispacci e carteggi inviati dalle province alla capitale, le fonti diplomatiche politiche e amministrative, quelle private e soprattutto gli atti notarili riguardanti l’argomento. Il progetto mira alla regestazione del materiale reperito secondo cri-teri uniformi e adeguato programma informatico per avviare la formazione di una banca dati capace di immagazzinare i brani fossili indicizzandoli sistematicamente per nome, luoghi e soggetti e consultabili sia dai partecipanti alla ricerca che da altri utenti. Si aspira, altresì, a ricostruire una mappa geografica delle scoperte e l’identità degli uomini che furono protagonisti dei rinvenimenti. Cfr. A. savaglIo, Scavi di antichità, esperienza antiquaria e tesoretti monetali in Calabria tra XVI e XIX, in «Rivista Storica Calabrese», a. XXI, (2000), nn. 1-2, p. 146, nota �; A. savaglIo, Ricerca antiquaria e scoperte archeologiche in Calabria e a Luzzi in Età Moderna, in A. la Marca (a cura di), Archeologia nel territorio di Luzzi: stato della ricerca e prospettive. Atti del convegno di studi, Luzzi 20 maggio 1998, Soveria Mannelli, 2002, pp. 129-146. Ringrazio Antonello Savaglio per la sua disponibilità e grande generosità: è solo per merito suo se oggi abbiamo la possibilità di aggiungere questa nuova pagina di ricerca antiquaria a Locri Epizephiri.

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contraddistinguono da tempo altri settori storiografici. Lo spontaneo fiorire di iniziative volte a studiare la storia del territorio attesta ormai da tempo che quella delle fonti d’archivio non è una moda più o meno contemporanea, bensì un interesse sicuro e consolidato degli odierni studi storici. Tutto ciò che in qualche modo è stato schedato e riordinato rappresenta solo una parte della massa documentaria, il mare magnum come lo chiama Augusto Placanica, di cui si conosce l’approssimativa consistenza ma della quale è del tutto ignoto il contenuto.

Purtroppo o per fortuna, l’archivio ha diversi linguaggi, e per chi sa leggerli rappresentano una grande possibilità, poiché sono dei serbatoi inesauribili per poter ricostruire la storia della ricerca antiquaria in Cala-bria2. Abbiamo il linguaggio dello storico delle istituzioni o dell’economia, il linguaggio dell’architetto, dell’urbanista, o dello storico della città e del territorio, il linguaggio del geografo e anche quello dell’archeologo.

Nell’ultimo trentennio molti archeologi, soprattutto nelle regioni a noi limitrofe, sostenuti da storici e da paleografi, stanno interrogando le carte d’archivio, per individuare nuovi siti, antichi ritrovamenti e col-lezioni antiquarie, per poter aggiungere nuove pagine alla storia della ricerca archeologica. Si è passata in rassegna una mole impressionante di documentazione e ricostruito, attraverso gli atti notarili e le carte del Ministero della Pubblica Istruzione, una mappa cronologica e geografica delle scoperte di antichità avvenute in quelle regioni tra Cinquecento e Ottocento.

Ma se in altre regioni sono state avviate ricerche sistematiche sull’ar-gomento con buoni risultati e con pubblicazioni anche di un certo interes-se3, in Calabria, purtroppo, questo filone di studi non è stato ancora preso

2 Cfr. I. prIncIpe, La ricostruzione della Calabria negli archivi di Cassa Sacra a Ca-tanzaro e Napoli, in 1783 - Il progetto della forma, collana della Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Reggio Calabria, 198�, pp. 7-19; AA. VV., Fonti cartografiche nell’Archivio di Stato di Napoli, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Archivio di Stato di Napoli, Napoli, 1987.

3 V. FarInella, Archeologia e Pittura, Torino, 1992; A. capurso, La ricerca archeo-logica in Basilicata fino all’Unità d’Italia, in «Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera», nn. 2�-26, 199�, pp. 27-78; v. verrastro, Fonti per la storia dell’archeologia in Basilicata nell’Archivio di Stato di Potenza, in «Bollettino Storico della Basilicata», 1997, pp. 1�9-196; AA.VV., Studio sulle provenienze degli oggetti rinvenuti negli scavi borbonici del Regno di Napoli, 2006 (catalogo). Molto interessante il recente lavoro di M. pagano, r. prIscIndaro, Studio sulle provenienze degli oggetti rinvenuti negli scavi borbonici del Regno di Napoli, che tratta di collezionismo e di archeologia napoletana tra il XVIII e il XIX secolo. Nell’opera, per la prima volta, le collezioni sono prese in considerazione in tutta la loro enormità e ricchezza. Il Museo Archeologico Na-zionale di Napoli, una delle più ricche collezioni archeologiche d’Europa, conserva e, troppo spesso, nasconde nei suoi labirintici magazzini collezioni raccolte in più

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in seria considerazione. Nella nostra regione, allo stato attuale, manca una vera storia dell’archeologia che illustri i primi tentativi di scavo, anche se negli archivi i riferimenti a ritrovamenti antichi sono numerosissimi4. Vorrei citare, a mo’ di esempio, due tesi di laurea discusse presso l’Uni-versità della Calabria, che hanno avuto come oggetto d’ingagine la ricerca antiquaria nella Calabria del primo Ottocento�.

La prima tesi ci dà notizie su scoperte avvenute a Castroregio, a Bel-vedere Spinello e ad Ardore. I documenti relativi a Castroregio, custoditi in fascicoli del Tribunale Misto, ci informano della scoperta di un tesoro rinvenuto nel 17�8 da parte di Nicola Camodeca e Giorgio Metallo, che furono denunziati alle autorità per aver agito autonomamente e senza permesso delle autorità. Per Belvedere Spinelli i documenti sono del 180� e riferiscono della scoperta di un tesoro avvenuta, l’anno prima, nella contrada Giardino di Crichimi da parte di Domenico Giulianetti. I documenti della Pubblica Istruzione ci informano che ad Ardore nel 1844, furono trovati «�00 medaglioni di argento alcuni dei quali attribuiti a Sibari e ad ignoti re d’Epiro».

Il secondo lavoro è il risultato dello studio approfondito di docu-menti trovati sempre presso l’Archivio di Stato Napoli, relativi ad alcune scoperte archeologiche avvenute in Calabria tra 1830 e il 18�9. L’esame di queste testimonianze consente di arricchire le conoscenze sul percor-so storico-artistico di quegli anni, sull’azione di difesa da parte della Soprintendenza del Regno in merito a ritrovamenti di monete a Borrello (Reggio Calabria) e San Donato di Ninea (Cosenza), di un antico sepolcro

di duecento anni di scavi e acquisti, frutto di un’accorta politica promossa dal re di Napoli. I Borbone furono, inoltre, promotori di campagne archeologiche in tutto il territorio del Regno. Molti dei materiali del Museo napoletano sono appartenuti a piccoli e grandi collezionisti che posero le basi della storia dell’archeologia. L’edi-zione di un’enorme quantità di documenti conservati nell’Archivio storico della Soprintendenza da modo, a chi non ha la fortuna di potervi accedere direttamente, di consultare per i propri studi il materiale documentario. Inoltre la corrispondenza indicata tra l’oggetto acquisito dal Museo in anni lontani e l’odierno numero di in-ventario consente una facile rintracciabilità del singolo oggetto. Spesso, infatti, non poche pubblicazioni, nel prendere in considerazione dati antiquari, non specificano, se non rare volte, l’identificazione degli oggetti trattati con quelli materialmente conservati nel Museo di Napoli.

4 A. savaglIo, Ricerca antiquaria e scoperte archeologiche in Calabria…, cit., pp. 129-146.

� C. rocca, Alcune scoperte archeologiche in Calabria (1830-1859) nei documenti dell’Archivio di Stato di Napoli, tesi di laurea discussa presso l’Università degli Studi della Calabria, a.a. 2002-2003 (relatore M. Paoletti); F. bruno, Scoperte archeologiche di età borbonica in Calabria nei secoli XVIII e XIX, tesi di laurea discussa presso l’Uni-versità della Calabria, a.a. 2003-2004 (relatore M. Paoletti).

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e una lastra in marmo con iscrizione funeraria in lettere a Hipponion, del restauro della colonna nello Heraion di Capo Lacinio, e alla chiesa della Roccelletta. I documenti relativi a Laureana di Borrello sono del 18�9 e ci informano della scoperta di «un vaso di rame pieno di monete di oro e argento, da parte di due contadini». Nel comune di San Donato di Ninea, nel 183�, in un fondo di proprietà del sig. Campilongo, venne ritrovata una notevole quantità di monete d’argento. Sono datate al 1846-47 le lettere inviate al re, da parte del cavaliere D. Antonio Bonafede Sotto Intendente del Distretto di Crotone, per informarlo riguardo l’impor-tanza del restauro dell’unica colonna superstite (delle novantasei) del tempio di Capo Colonna6. Negli anni 1844-18�4, la Soprintendenza del Regno interviene sull’azione di difesa delle mura dell’antica chiesa della Roccelletta, in seguito al loro danneggiamento causato dai proprietari dei terreni collocati in quel luogo e sulla demolizione delle casupole co-struite da un tal D. Giuseppe Massara di Borgia, vicino all’antico tempio denominato La Roccelletta.

Quelli descritti sopra sono solo alcuni esempi di scavi d’archivio, ma, come possiamo bene immaginare, innumerevoli sono le possibilità e le potenzialità che offre questo genere di studi, indispensabile per riuscire a tracciare una vera storia dei rinvenimenti archeologici del periodo preso in esame.

Breve excursus storico sulla ricerca antiquaria a Locri

Prima di parlare dello scavo di Bruno Murdaca a Locri Epizefiri, vorrei ripercorrere, molto brevemente, la storia della ricerca archeologica di questa importantissima colonia magno-greca a partire dal XVI secolo fino al primo quarto del XIX.

Locri ha sempre suscitato un vivo interesse negli studiosi, che se ne sono occupati all’interno della più generale storia della Magna Grecia, a partire dal XVI secolo. In un periodo in cui le indagini archeologiche non avevano ancora avuto inizio, i primi autori hanno fatto soprattutto riferimento alle fonti storiche antiche7, e hanno citato avvenimenti legati al passato di questa colonia magno-greca. A queste fonti hanno conti-nuamente attinto soprattutto eruditi e studiosi locali8 quali Alberti, Barrio,

6 Per l’ultimo restauro si veda: r. spadea (a cura di), Ricerche sul santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna di Crotone, Roma, 2006.

7 F. nIutta, Le fonti letterarie ed epigrafiche, in Locri Epizefiri, I, Firenze, 1977, pp. 2�8-334.

8 Sul prezioso contributo dato all’archeologia antiquaria dagli studiosi locali si veda: A. la Marca, Il ruolo degli studiosi locali, in «Calabria Letteraria», a. XLIV, n. 1-2-3, gennaio-febbraio-marzo 1996, pp. 43-46.

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Marafioti, Cluverio, e poi successivamente Macrì, Scaglione e Capialbi9.Il domenicano Leandro Alberti10, che compì un viaggio in Italia meri-

dionale nel 1�2�, è il primo che individua, dopo lunghi secoli di abbandono, che ne avevano cancellato il ricordo, il luogo dove sorgeva l’antica Locri Epizefiri. L’Alberti identificò, sulla scorta dei classici, il Capo Zefiro con Capo Bruzzano e ubicò l’antica città presso la località Paglialopoli, ricono-scibile per una torre costiera cinquecentesca11; ma, secondo quanto scrive l’autore, dell’antica Locri erano appena visibili poche vestigia12.

Gabriele Barrio13 riesce a fornirci una descrizione topografica preci-sa del luogo dove, a suo parere, sorgeva Locri, ma, nonostante fosse un buon conoscitore delle antichità calabresi, l’erudito catanzarese identifica Locri con Gerace14.

Anche Marafioti1� ripete l’errore del Barrio situando Locri nell’odierna Gerace. Marafioti riprende, come Alberti e Barrio, il racconto di Tito Livio

9 Per uno studio sulla Magna Grecia nella letteratura storico-geografica del XVI e XVII secolo, si veda F.W. von hase, Storia delle esplorazioni archeologiche nella Magna Grecia, in Un secolo di ricerche in Magna Grecia. Atti del XXVIII convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 7-12 ottobre 1988, Napoli, 1989, pp. �3-83; p.e. arIas, M.c. parra, s.v. Locri, in Bibliografia Topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, Pisa-Roma, 1981, pp. 191-249.

10 l. albertI, Descrittione di tutta l’Italia, Bologna, 1��0 (Venezia, 1�96). Leandro Alberti mostra di avere una buona conoscenza della Calabria, anche se non sempre riesce a conciliare le notizie che gli provengono dall’osservazione diretta e dalle carte nautiche, con i dati suggeriti dalla Geografia di Tolomeo. L’Alberti riesce a stabilire, sulla scia del Tolomeo, i confini della Calabria del Cinquecento «Cominciando dal fiume Lauro, e seguitando il mar Tirreno allo stretto canale della Sicilia, e quindi piegandosi, per lungo il lido del mare, e camminando infino a Roseto posto intorno al golfo di Taranto», l. albertI, Descrittione…, cit., p. 192.

11 Nell’opera dell’Alberti «troviamo la prima particolareggiata esposizione di età moderna sulla geografia, la storia e i costumi, le condizioni economiche e sociali della Calabria che, per ragioni storico-geografiche, era rimasta per tanto tempo al di fuori delle principali vie di comunicazione�, A. De FrAnciscis, Ricerche sulla topografia e i monumenti di Locri Epizefiri, Napoli, 1971, pp. 18-19.

12 Vigile, attento, egli osserva, annota, confronta quel che vede con i testi che ha letto, ma segue soprattutto i consigli di Giovanbattista Martirano, uomo eminente tra gli eruditi calabresi; c. turano, Calabria antica, Reggio Calabria, 1977, pp. 143-144, 1�9.

13 g. barrIo, De antiquitate et situ Calabriae libri quinque, Roma, 1�71. Con questa opera dedicata all’archeologia e alla storia della Calabria, il Barrio si pone un du-plice fine: di erigere un monumento alla sua terra e di richiamare l’attenzione degli studiosi sull’Italia meridionale. Nel 1��8, a Basilea, era uscito il libro del medico e umanista a. de FerrarsI galateus, Liber de situ Japigiae.

14 Anche se alcune delle identificazioni proposte dal Barrio sono infondate e fantasiose, la sua topografia ha un certo valore, nei limiti della cultura dell’epoca; c. aMpolo, La scoperta della Magna Grecia, in Magna Grecia, I (a cura di G. puglIese carratellI), Milano, 1978, pp. 47-84.

1� g. MaraFIotI, Croniche et antichità di Calabria, Padova, 1601.

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sulla conquista di Locri da parte dei Cartaginesi16. L’interesse del Marafioti, a differenza degli altri eruditi, si sposta, però, dai riferimenti storici e topogra-fici a quelli archeologici, menzionando la presenza di quattro templi: Giove Olimpio, Minerva, Venere, e il famoso e ricco tempio di Proserpina.

Neanche il famoso geografo Philipp Clüver (Cluverius), comunque, si distaccherà da un’evocazione letteraria e storica della città unita alla conoscenza diretta dei luoghi; egli situa l’antica Locri dopo il Promonto-rium Zephyrium, ovvero nell’odierna Gerace17.

Nella cartografia del Cinquecento e del Seicento non furono registrati avanzi di Locri il cui sito si riscoprì nel Settecento ad opera di viaggiatori stranieri18, primo fra tutti il tedesco Johann Hermann von Riedesel19, che situò l’antica Locri al di sotto di Gieraci. Il suo viaggio in Calabria, fu molto breve, dall’11 al 1� maggio 1767. Il Riedesel ha il merito di aver identificato, primo tra i moderni, dopo tanti secoli di abbandono, il luogo dove sorgeva l’antica Locri. Nella sua visita affrettata e superficiale, come lui stesso scrive, nota che i resti di questa città «erano tutti in mattoni ad eccezione di pochi muri fatti invece in pietra. Riconoscibili erano soltanto gli avanzi di alcune tombe; il resto era una massa di muratura dalla forma inqualificabile». Dalla diversa tecnica rilevata, il Riedesel pensò che le costruzioni in mattoni appartenessero alla Locri romana.

Altro viaggiatore straniero, che per primo compie un tour quasi completo sulla fascia costiera calabrese, è Henri Swinburne20, gentiluo-

16 Liv., XXIV, 1,7.17 F. cluverIus, Italia antiqua, II, Lugduni Batavorum, 1624, pp. 1003-1304.18 «I viaggiatori del ’700 erano quasi tutti archeologi: studiavano le rovine con

metodo, le misuravano e discutevano problemi» h. tuzet, Voyagerurs français en Sicile au temps du Romanticisme, Paris, 194�, p. 244. La ricerca archeologica è, comunque, impegno di pochi. Essa infatti è per lo più prerogativa del clero e dei ceti nobili, che sono tra i pochi depositari, nei conventi e nelle case delle più antiche famiglie, di biblioteche alle quali è possibile attingere; r. spadea, Archeologia e percezione dell’antico, in La Calabria. Le regioni dall’Unità ad oggi, Torino, 198�, pp. �63-691.

19 J.h. von rIedesel, Reise durch Sizilien und Gross-Griecheland, Zürich, 1771; c. turano, Calabria antica…, cit., p. 172. Riedesel rappresentava un tipo di viaggiatore nuovo e diverso da quello che in genere aveva dominato fino alla metà del 1700, sia da quello dell’illuminista enciclopedistico del Grand Tour. Per lui il viaggio era un’avventura dello spirito, per ritrovare le vestigia del mondo classico da rivedere come ideale di pura e incontaminata bellezza.

20 h. sWInburne, Travel in the two Sicilies in the years 1777, 1778, 1779 and 1780, London, 1783. Egli ricorda che alcuni archeologi avevano pensato che Locri sorgesse sullo stesso sito di Gerace, altri che invece fosse vicino al mare, ed esattamente nella pianura in un luogo chiamato Paglialopoli, dove nota lui stesso la presenza di molti resti tra cui alcuni mattoni ed un grande ambiente ben conservato ma senza iscrizioni, colonne o fregi. Il viaggiatore inglese, in un primo momento ritiene che l’antica Locri

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mo inglese che visita la Calabria nel 1777 e nel 1778. Dalla sua opera si possono attingere poche notizie su Locri, poco convinta, inoltre, risulta la sua opinione sull’ubicazione della città21.

Alla fine del Settecento giunge in Calabria l’abate De Saint-Non22. La relazione del viaggiatore francese fornisce un esame molto dettagliato dei vari luoghi che visita, compresa anche l’antica Locri. Le prime infor-mazioni riguardo a questa città furono forniti al Saint-Non da un prete di Gerace, il quale gli aveva raccontato che precedentemente vari autori avevano alterato l’ubicazione di Locri, e che ciascuno l’aveva localizzata secondo il proprio pensiero e le proprie idee. Il Saint-Non descrisse mi-nuziosamente le vestigia dell’antica Locri, che visitò insieme al vecchio canonico che lo aveva ospitato.

Il 4 aprile 1833 Vito Capialbi informava il signor Pietro Bellotti, commissario onorario dell’Istituto di corrispondenza archeologica, che il marchese Domenico Venuti, nel 1783, a Locri aveva istituito uno scavo nel vallone dove rinvenne una statua di bronzo. Questa insieme ad altre statue di metallo, di marmo, di oro e d’argento, vasi, monete, candelabri, tripodi furono caricati su un bastimento francese che purtroppo s’incendiò nel canale di Piombino. È difficile, pertanto, valutare la reale consistenza del nucleo di materiali antichi recuperati dal Venuti a Locri e in buona parte destinati al museo di famiglia23.

Il Settecento si chiude con Francesco Bielinski24, conte polacco che si limita a citare solo i nomi delle città calabresi visitate, mentre dedica a Locri più di due parti del suo manoscritto del 1791, con l’aggiunta di una pianta topografica con le tre colline di Abbadessa, Mannella e Castellace,

potesse sorgere in pianura e che l’acropoli fosse a Gerace, interpretando male il passo di Strabone che asseriva sorgesse sulla cima di una collina chiamata Esopis.

21 Di questo acuto studioso mi piace invece sottolineare la sua analisi, pur-troppo, terribilmente attuale per la nostra regione; cito testualmente «Rilevo una drammatica contraddizione in Calabria tra la condizione di sottosviluppo sociale ed economico e le grandi possibilità naturali che, se realizzate adeguatamente, consentirebbero benessere e civiltà». Da allora, purtroppo, è cambiato veramente poco per la Calabria.

22 c.r. de saInt-non, Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples e de Sicile, Paris, 1783.

23 Le raccolte del museo sono andate completamente disperse in seguito alla vendita, e la loro consistenza è valutabile sulla base del ritrovamento di un inventario; cfr. M.c. parra, Con Domenico Venuti e Francesco Bielinski in Calabria: una chiave di lettura di viaggi e di esplorazioni archeologiche, in Storia della Calabria antica, II, Roma, 1974. M.c. parra, Da Napoli alla Calabria, tra antiquaria e viaggio, leggendo casi esemplari, in s. settIs, M.c. parra (a cura di), Magna Graecia. Archeologia di un sapere, Catalogo della mostra, Catanzaro 19 giugno-31 ottobre 200�, p. 66.

24 M.c. parra, Con Domenico Venuti e Francesco Bielinski in Calabria…, cit. p. 67.

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nella quale i luoghi sono segnati con lettere dell’alfabeto (fig. 1)2�.Nel 1814 il canonico Michelangelo Macrì26, in una lezione accademica

tenuta ai membri dell’Accademia Pontaniana, fornisce alcuni chiarimen-ti sulla topografia di Locri, sulla città di Gerace e sul ritrovamento di un’antica iscrizione27.

Alla luce di quanto scritto risulta che Locri è nota nell’ambito delle fonti storiche almeno dal Cinquecento, ma è solo con gli eruditi ed i viaggiatori del Settecento che si comincia a conoscere con chiarezza la sua esatta ubicazione. Le prime vere indagini approfondite del sito ri-salgono al 1830, con il duca di Luynes28 e, al 18�6 con lo studioso locale Pasquale Scaglione29.

Scavo di Bruno Murdaca a Locri Epizefiri

Presso l’Archivio di Stato di Napoli30 è stato recentemente rinvenuto un interessante fondo relativo ad uno scavo archeologico ufficiale effettuato a Locri, e diretto da Bruno Murdaca31, forse dietro l’indicazioni di Mi-chelangelo Macrì32.

2� Si tratta del più antico grafico dell’antica Locri prima dell’esplorazione e della pubblicazione della relazione e di una carte del duca di Luynes nel 1930.

26 M. Macrì, Lezione accademica, in «Atti dell’Accademia Pontaniana», III, 1819, pp. 79-130. A Locri sul finire del 1700 fu rinvenuto un ricco vaso, studiato dal mar-chese Michele Arditi, M. ardItI, Illustrazioni di un antico vaso trovato nelle ruine di Locri, Napoli, 1791.

27 Il primo scavo statale venne praticato a Locri, forse dietro l’indicazioni del canonico Michelangelo Macrì, che nei primi anni dell’Ottocento «nella zona tra la collina e il mare notò resti di acquedotti, di necropoli, in costruzioni in mattoni, sta-tuette in bronzo, piombi, vasi e resti della cinta muraria per un giro di cinque miglia», C. turano, Alla ricerca di Locri antica, in «Historica», a. XXIII (1970), n. 3, p. 148.

28 h. duc. de luynes, Ruines de Locres, in «Annali dell’Instituto di Corrispon-denza Archeologica», II, 1830, pp. 3-12.

29 p. scaglIone, Storia di Locri e di Gerace messe in ordine ed in rapporto con le vicende della Magna Grecia, di Roma e del Regno delle Due Sicilie, Napoli, 18�6. Grazie a questi due scavi Locri viene conosciuta anche al di fuori dei confini locali, cfr. M.c. parra, Locri Epizefiri, in M.C. Parra (a cura di), Guida archeologica della Calabria. Un itinerario tra memoria e realtà, Bari, 1998, p. 22�.

30 v. gleJIeses, La storia di Napoli, Napoli, 1990, p. 22�; n. arIcò, Archiviare il Dominio nel Castello della Storia, in Il Progetto del Disegno, a cura di I. prIncIpe, Reggio Calabria, 1982, p. 26.

31 Parroco della chiesa arcipretale di Sant’Antonio abate di Santa Maria della Pietà della terra di Condojanni. Deceduto nell’agosto del 1827.

32 Nei primi anni dell’800 «nella zona tra la collina e il mare notò resti di acque-dotti, di necropoli, costruzioni in mattoni, statuette in bronzo, piombi, vasi e resti della cinta muraria per un giro di cinque miglia», M. Macrì, Lezione accademica…, cit., p. 80.

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Carta del manoscritto di viaggio di Francesco Bielinski dedicata a Locri.

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Questo carteggio consta di 39 fogli, che riguardano la corrisponden-za tra la Real Segreteria e Ministero di Stato di Casa Reale, l’Intendenza della Prima Calabria Ulteriore, il sottointendente di Gerace; il diario di scavo di Bruno Murdaca (sette fogli), una lettera della Reale Accademia Ercolanese, e l’elenco del materiale consegnato presso il Museo di Napoli (quattro fogli). L’arco di tempo è compreso tra il 16 novembre 1824 e il 18 giugno 182733.

Nella prima lettera, indirizzata al Ministero e Real Segreteria di Stato della Polizia Generale, il sottointendente di Gerace scrive testualmente «nel suolo ove già fu Locri potrebbero eseguirsi degli scavamenti per con-to del Governo con vantaggio di ricavarsene pezzi magnifici di antichità». E poi continua «tale operazione produrrebbe pure il sollevamento della classe bisognosa de’ lavoratori, che vi si potrebbero adoperare».

Nella missiva è indicata approssimativamente la spesa di �00 ducati e l’impiego di dodici operai, oltre a un direttore dei lavori, che assicura di poter essere con successo il sacerdote don Bruno Murdaca, del comune di Condojanni.

Nonostante lo scetticismo espresso in alcune lettere, dove si sottoli-nea la difficoltà sulle reali possibilità di trovare materiali interessanti da tali scavi, ma che si dovrebbero intraprendere comunque anche se solo come sussidio agli operai, il 18 novembre 1824 con sovrana risoluzione, ribadita con un’altra lettera il 4 dicembre dello stesso anno, fu prescritto «di far eseguire per Real conto lo scavo nel sito ove un tempo fu la città di Locri, facendosi sorvegliare e dirigere detto scavo dal sacerdote don Bruno Murdaca, indicato dal Sottointendente di Gerace come persona intesa di simili cose» 34.

33 Con il decreto di Ferdinando I del 13 maggio 1822 acquista importanza particolare la creazione della Commissione di Antichità e Belle Arti, incaricata sia dell’azione generale di vigilanza sul patrimonio artistico, che del rilascio delle licen-ze per l’esportazione; essa era composta dal direttore del Museo Reale, da due soci dell’Accademia Ercolanese e da altri due membri dell’Accademia di Belle Arti. A causa però della vastità del territorio di sua competenza, non disponendo di mezzi economici sufficienti né di personale diffuso nelle diverse province, l’azione della Commissione era molto limitata. Con il decreto del 14 maggio 1822 si affidava la sorveglianza delle campagne di scavo archeologico contemporaneamente agli Inten-denti delle Province e al Direttore del Real Museo i quali si sarebbero dovuti avvalere in questa azione rispettivamente dei Sindaci municipali e dei soci corrispondenti dell’Acca-demia Ercolanese; in caso di ritrovamenti questi ultimi avrebbero dovuto compilare un rapporto dettagliato, da sottoporre all’esame della Commissione di Antichità e Belle Arti, alla quale toccava il compito di valutare l’importanza dei ritrovamenti e di proporre le misure necessarie alla loro migliore conservazione.

34 ASN, Ministero dell’Interno, II Inventario, fascio 2079, busta 479.

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I lavori iniziarono il 18 aprile 1825 e durarono cinque settimane, fino al 30 maggio; richiesero una somma complessiva di �00 ducati, suddivisi tra i 12 operai addetti al saggio; per il responsabile dello scavo si stabilì una paga giornaliera di sei carlini.

Il 1º giugno 182� gli oggetti d’antichità dello scavo Murdaca, rac-chiusi in una cassa sigillata, sono inviati all’Intendente della Provincia di Reggio dal sottointendente di Gerace; da Reggio, via mare, sono spediti a Napoli, presso il Real Museo (fig. 2), sulla nave Speronara del signor Giuseppe Formica di Napoli. Il nolo contenuto è di 3.20 ducati da pagarsi all’atto della consegna.

Il materiale locrese viene consegnato formalmente, con lettera datata 3 dicembre 1826, davanti al cavalier Michele Arditi, direttore del Museo Reale Borbonico e soprintendente degli Scavi di Antichità del Regno3�, e don Giuseppe Campo, controloro e funzionario del Museo medesimo, il quale,

Figura 2. Veduta del Real Museo Borbonico (da a. MorellI, Musée Royal Borbon. Vues et descriptions de galeries, Naples 1835, tav. IV).

3� Michele Arditi nel 1807 viene designato da Giuseppe Bonaparte direttore del Real Museo e degli Scavi, e riconfermato nella carica anche dopo la restaurazione borbonica. Il marchese Arditi nel 1822 fece ricorso alla nomina di Ispettori agli Scavi nelle diverse province; ma i loro primi tentativi di svolgere attività di sorveglianza vennero ben presto frustrati dalle difficoltà di svolgere un incarico che rimaneva a titolo onorifico, senza cioè adeguati mezzi finanziari e senza la necessaria autorità. Nel 1824 per supplire alle inadempienze registrate si stabilì di affiancare ai sindaci e agli incaricati dal direttore del Museo anche «…agenti di polizia, ne’ quali si abbia una fiducia maggiore imponendosi loro sotto più stretta responsabilità, d’investigare e vigilare tutte le operazioni de’ ricercatori, e d’avere cura particolare che non si nascondano, né si involino gli oggetti ritrovati»; r. dalla negra, Storia della tutela

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«col presente atto (datato Napoli 1827) dichiaro di averli, tal qual descritti, ricevuti, e passati ne’ Magazzini per le Superiori disposizioni».

Il Murdaca si attenne alle disposizioni di Michele Arditi, e redasse un diario dove elencò, in modo accurato, tutti gli oggetti affiorati dal terreno, la precisa rendicondazione di tutte le fasi dello scavo, le giornate degli operai con le relative paghe. Lo scavo si svolse nel luogo detto La Badessa, ma furono effettuati saggi anche in altre zone.

Da uno scavo condotto con i mezzi e le modalità del tempo e con le finalità di cui abbiamo accennato sopra, quindi, non ci si può attendere molto, ma è chiaro che il tutto va analizzato e calato nella realtà dell’epoca, quando le ricerche archeologiche erano finalizzate alla scoperta di «pezzi magnifici di antichità», quindi il lavoro del Murdaca si potrebbe definire «scavo per la raccolta di materiale degno di essere poi esposto presso il Museo di Napoli»36.

La conferma che si scava per l’oggetto prezioso ci viene dalla lettera di disappunto inviata da Bruno Murdaca alla Real Casa, che recita testual-

Locri, tempio di Marasà.

archeologica, in Un secolo di ricerche in Magna Grecia…, cit., pp. 88-89; s. recIse, I giornali di scavo, in Antichità e Belle Arti…, cit.

36 Il Regno delle Due Sicilie, dal 1822, provvide ad una propria legge che tu-tela il ritrovamento e l’esportazione delle antichità, e nel Regio Museo Borbonico di Napoli si raccolgono tutti quegli oggetti antichi che la Reale Accademia giudica degni di acquisto. E così che si formano le collezioni del Museo di Napoli, grazie ai ritrovamenti di Nola, Capua, della provincia di Salerno, di Taranto, della Calabria, accanto ai due fondamentali di Ercolano e Pompei; P.G. guzzo, La Magna Grecia. Italici e Italioti, Milano, 1996, p. 103; s. de caro, Il tesoro di Napoli, in P.G. guzzo, La Magna Grecia. Italici e Italioti, Milano, 1996, pp. 160-163.

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mente: «…non si è trovato altro che piccoli oggetti e ho perso la speranza di trovarne altri migliori, anzi neppure uguali per non dire propriamente nulla. Tale mia idea resta fondata sul riflesso che non solo ho fatto scavare nei luoghi soliti, ma neppure ho lasciato altri luoghi dove non si scavò mai, e non si è potuta trovare nulla. Stimerei perciò sospendersi detto scavo e trovare un luogo che offra speranze di migliori risultati».

Nel resoconto il Murdaca esprime a chiare lettere la sua delusione, anche se a dire il vero nel diario di scavo vengono segnalati moltissimi oggetti, alcuni dei quali anche di un certo pregio. Centoundici è il nu-mero totale dei manufatti inviati alla Direzione del Museo Reale e So-praintendenza degli Scavi di Antichità, suddivisi per materiali e descritti sommariamente, con le misure in once.

«Notamento degl’oggetti rinvenuti nello scavo di antichità eseguito in Locri di Regio conto, e rimessi in questo Real Museo Borbonico con Real carta de’ 26 luglio scorso anno».

oro1 - Un piccolo orecchino /creduto anello/ del diametro di 10/12 di oncia.

argento 2 - Orecchino, creduto anello, del diametro di un’oncia.3 - Moneta siracusana del diametro di un’oncia.

Pinax raffigurante il rapimento di Persefone.

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bronzo 4 - Quattro monete di picciolo modulo molto mal conservate.� - Statuette con picciola basetta, sullo stile Etrusco, con ambi le mani alzate, forse

per sostegno di uno specchio, alta once 7½ per tre.6 - Altra simile senza basetta; ma con una foglia ai piedi, mancante del braccio

sinistro, alta once 8 per tre.7 - Altra simile, che termina sotto de’ piedi con testa di Ariete, e nelle mani simil-

mente alzate, tiene alcuni fogliami, con due piccioli Arieti, che si attaccavano forse a qualche patera, o altro, alta once undici e mezza per 4½.

8 - Idoletto seduto su di un tronco, mancante della mano sinistra; alto once 5 e ½ per due.

9 - Sfinge di buona scoltura seduta colle gambe di dietro, alta once 3 e ½ per 2.10 - Testa e collo di un Ippogrifo di buona scoltura, alta once 6 per 2½.11 - Leoncino sdraiato a terra, lungo once 3 e ½ per 2.12 - Testina di Bue oncia una in quadro.13 - Leoncino lungo once 2 per una.14 - Leoncino lungo once due per una.1� - Altro lungo once due per una e 2/11.16 - Altro lungo ancia una e ½ per una.17 - Altro di scoltura inferiore, lungo once 2 ¾ per una e ½. 18 - Cignaletto lungo once due per una.19 - Vasetto detto orciolo ad un manico, distaccato, alto, compreso il manico once

7 e ½ per 3 e ½.20 - Manico di vase a cerniere lungo once 3 e ½ per due.21 - Altro quasi simile lungo once 3 per 2.22 - Altro più piccolo lungo once 2 per 1 e ½.23 - Altro diverso di once 2 ½ per due.24 - Pezzo circolare, forse uno specchio, del diametro di once 7.2� - Specchio con porzione del manico del diametro di once 7.26 - Altro simile del diametro di once 6 ½.27 - Altro simile del diametro di once 6.28 - Pezzo circolare del diametro di once 6.29 - Frammento di un pezzo circolare, con porzione di manico lungo once nove

per cinque.30 - Manico col suo cerchio forse un passabrodo, a cui manca la coppa. L’estremità

del manico termina con una testa di oca, lungo once 13 per 5.31 - Pallina del diametro di 10/12 di oncia.32 - Sei pezzi di frammenti diversi, ed inservibili.

vetro 33 - Anforetta color blu striata celeste, e giallo, rotta e mancante di un pezzetto

nella sommità, e di manichi alta once 4 per 2½.34 - Altra simile mancante porzione del bocchino, alta once 3 ½ per 2 ½.Vasi così

detti Etruschi.3� - Vasetto detto lacrimale con quattro figure color nere, mancante di un manico;

ed il piede è staccato, alto once 9 e ½ per 3 ½.

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36 - Altro simile con tre figure nere, mancante de’ manichi, ed il piede e staccato, alto once 9 per 3 ½.

37 - Vasetto detto lacrimale con due figure nere, e vase con pianta, la bocca, il manico, ed il piede sono staccati, alto once 10 ½ per tre ½.

38 - Altro simile con due figure, ed una quadriga nere, mancante della bocca, e piede, alto once sette per 2 ½.

39 - Altro simile ai precedenti con quattro figure nere, mancante di manico, rotto il collo, e piede staccato, alto once 7 per 2 ½.

40 - Altro simile con una figura nera, rotto nel collo, e piede staccato alto once sei per 3.

41 - Altro simile con una figura di color giallastro mancante di bocca, e manico, alto once 7 per 2 ½.

42 - Vaso detto Prefericolo con una figura nera mancante di bocca, e tutto spati-nato, alto once 4 per 2 ½.

43 - Unquentario, che figura un Idolo accovacciato ad imitazione Egizio alto once 4 ½ per 2 ½.

44 - Frammento di terracotta, che presenta in rilievo la testa con porzione del busto di donna, alto once 5 per 3.

4� - Vase così detto Gutto che presenta la forma di un’oca, col suo bocchino sulla schiena, che manca, largo once 6 ½ per 5.

46 - Lacrimale con ornate sul piano superiore del vase, mancante di bocca, e manico, alto once 4 ½ per 2 ½.

47 - Altro simile mancante di bocca, alto once 5 per 2.48 - Altro simile con ornati nel corpo, e nella sommità, mancante di bocca, e manico,

alto once 3 ½ per una e ½.49 - Altro simile al precedente mancante di manico, alto once 4 per 1 e ½.�0 - Piattino tutto nero, del diametro di once 4, alto oncia una e ½.�1 - Altro simile del diametro once 3 e ½, alto oncia 1 e ½.�2 - Vase detto Prefericolo, figurante una testa di donna con bocca a nasiterno,

che manca, alto once sette per 3.�3 - Unquentario di terra cotta, figurante la testa del dio Cepi, mancante delle

orecchie, alto once 3 per 3 e ½.�4 - Melo granato di terra cotta, alto once 3 ½ per 3 e ½.�� - Cotogno di creta cotta, alto once tre per 4.�6 - Vase detto Balsamaro ad imitazione Egizio, con una figura e due animali color

nerastro, mancante di bocca, alto once 5 ½ per 5 ½.�7 - Vase detto anfora della stessa fabbrica del suddetto con tre animali color ne-

rastro, mancante porzione della bocca, alto once 6 per 3 e ½.�8 - Vase detto Lacrimale con vari ornati, mancante di bocca, e lesionato nel corpo,

e piede staccato, alto once 9 per 3 e ½.�9 - Altro simile con ornati a graticola, rotta la bocca e mancante del manico, alto

once 8 per 3.60 - Altro simile con ornati nella sommità, mancante di piede, e bocca, alto once

sette per 3.61 - Altro simile più piccolo mancante di bocca, e manico alto once 5 per 2.62 - Altro simile con ornati, mancante come sopra, alto once 6 per 2 ½.

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63 - Altro mancante di bocca, manico e piede, alto once 5 ½ per 2.64 - Vase detto Urna a tre manichi tutto nero, mancante di due manichi alto once

3 e ½ per 3 e ½.6� - Altro a due manichi di color rossiccio, lesionata nel corpo, alto once 3 e ½ per 3.66 - Prefericolo di terra cotta, alto once 5 e ½ per tre.67 - Piccola Langella tutta nera, mancante di bocca, e manichi, alta once 5 per 3 e ½.68 - Anforetta tutta nera con fascia giallastra nella sommità, alta once 5 per 3.69 - Unquentario ad imitazione Egizio strajato nero, alto once 3 per 2.70 - Orcolo inverniciato nero nella parte superiore, alto once 5 per 3.71 - Altro simile, alto once 4 e ½ per 3.72 - Altro simile tutto nero, mancante della metà della bocca, alto once 4 e ½ per 2 e ½.73 - Altro simile di terra cotta, alto once 5 e ½ per 3 e ½.74 - Pendolo di terra cotta strajato nero, alto once 5 e ½ per 3.7� - Tazza tutta nera con due manichi, alta once 2 e ½ per 8 e ½.76 - Tazza a forma di sputarola ad un manico alta once 3 per 8 e ½ di diametro.

bassI rIlIevI dI terra cotta77 - Frammento con due mezze figure, una di vecchio, e l’altra di donna, che tiene

in mano una spiga di grano, e nell’altra un gallo, alto once sette e ½ per 6 e ½.78 - Altro frammento con due teste, repliche del suddetto, alto once 3 per 4 ½.79 - Altro frammento con due mezze figure una di vecchio, e l’altra di donna, che

viene rapita dal primo, alta once 4 e ½ per 5.80 - Altro frammento una testa con busto di donna, alto once 4 ½ per 3 ½.81 - Altro frammento con testa, e busto di uomo, alto once 4 ½ per 3 e ½.82 - Altro frammento con testa di donna, e porzione del busto con mani, nelle quali

tiene un vase, ed un’asta, alto once 4 per 4 ½.83 - Altro frammento la parte di dietro di una quadriga con porzioni del carro, e

figura, alto once 6 per 8.

FraMMentI dI vasI FIguratI84 - Sei frammenti, formando la bocca di un gran vase con manichi a voluta con

numero 48 figure, e sei carri a 4 cavalli tutti neri; questi frammenti sono stati riuniti ed attaccati sopra di un gran vase moderno, giusta gli ordini Superiori e piazzato nel-l’Officina de’ Vasi.

8� - Sei frammenti, formando porzione di altra bocca di Vase a due manichi con due ordini di figure, quali se ne contano in detti frammenti numero 15, e tre carri a quattro cavalli tutti neri.

86 - Due frammenti di porzione di altra bocca di Vase con due ordini di figure color giallastro, quali se ne contano in detti due frammenti numero 14, ed un Leone.

87 - Tre frammenti formando la metà di altra bocca di Vase con numero dieci figure, un carro, quattro cavalli e due sfingi color nero.

88 - Un frammento di porzione di altra bocca di Vase con una figura, un carro e quattro cavalli tutti neri.

89 - Un frammento come sopra con quattro figure nere.90 - Un altro frammento di bocca di Vase con vestige di figure e di animali neri.91 - Un altro frammento simile con vestige di figura, ed ornati neri.92 - Un altro frammento di bocca di Vase più piccolo con due figure, ed un animale.

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93 - Un altro frammento di un gran Vase a Campana con vestige di due figure color giallastra.

94 - Un frammento di coverchio di Urna con tre figure color nero.9� a 110 - Sedici frammenti diversi, tutti con vestige di figure color nere.111 - Un frammento di un manico a voluta.

«Oggi li tre dicembre 1826 noi qui sottoscritti Cavalier don Michele Arditi Di-rettore del Museo Reale Borbonico, e Sopraintendente degli Scavi di Antichità, e don Giuseppe Campo controloro funzionante del Museo medesimo; avendo riscontrato e verificato i sopra descritti oggetti di Antichità rinvenuti in Locri in uno scavo eseguito di Regio conto, e rimessi dalla Segreteria di Stato di casa Reale in questo Real Museo con Real rescritto de’ 26 luglio scorso; si è passato a farne la formale consegna ad esso signor Campo, il quale, col presente atto (datato Napoli 1827) dichiara di averli, tal quali descritti, ricevuti, e passati né Magazzini per le Superiori disposizioni».

Firmati Giuseppe Campo - Cavalier Arditi. (Per copia conforme) Il Segretario della Direzione del Museo Reale Borbonico, Francesco Verdi.

Possiamo così riassumere il prezioso carico locrese:Oro: n. 1 orecchino; Argento: n. 2 orecchini e una moneta di Siracusa; Bronzo: n. 32 pezzi di cui quattro monete, statuette di figure umane

e animali, e altro;Vetro: n. 2 anforette color blu striata celeste e giallo;Vasi così detti Etruschi: n. 41 vasi di vario tipo (anfore, aryballoi,

skyphoi);Bassorilievi di terra cotta: n. 7 pezzi (penso possa trattarsi di pi-

nakes);Frammenti di vasi figurati: n. 2� pezzi di crateri e vasi di grandi

dimensioni.Pur se ancora in fase di studio, tantissimi sono gli spunti e le rifles-

sioni che possiamo trarre dalla lettura di queste carte. Vorrei, in questa sede, sottolineare solo alcuni punti:

• l’importanza di questa indagine archeologica inedita avvenuta nel 182� in una grande città magno-greca, della quale sappiamo che gli scavi ufficiali iniziano solo nel 1830 con il duca di Luynes37;

• la scrupolosa cura (richiamata in più di una lettera) per il restauro di un c.d. vaso etrusco costituito da sei frammenti che formano la bocca di un grande vaso con manici a volute e che presentano 48 figure, sei carri e quattro cavalli tutti neri. Per il restauro di tale manufatto viene coinvolta l’Officina dè restauri de vasi, e il restauratore, un tal Gargiulo, propone, dopo il restauro, un interessante allestimento «…di riunirla e poi sovrapporla ad un corpo di vaso moderno, onde possa meglio godersi

37 h. duc. de luynes, Ruines de Locres…, cit.

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nella galleria dei vasi del Museo»38. Per questo lavoro e per l’allestimento viene richiesto il parere della Reale Accademia Ercolanese, che fornisce indicazioni e suggerimenti tecnici;

• sul significato del termine vaso etrusco si potrebbe aprire una lunga pagina. Per gli studiosi del ’700 i vasi che venivano fuori occasionalmente dalle necropoli dell’Etruria o dell’Italia meridionale erano opera degli Etruschi; o al massimo si potevano supporre delle officine locali per i vasi rinvenuti in Sicilia39;

• lo scavo, nonostante lo scetticismo iniziale, viene sostenuto anche perché fonte di guadagno per gli operai40;

• trasporto dei manufatti rinvenuti con la nave, all’epoca il mezzo sicuro e più economico41.

• la serietà nell’affrontare i lavori;• la precisa rendicondazione di tutte le fasi dello scavo;• la presenza costante e diretta della Real Casa;• il grande interesse, agli inizi del XIX secolo, verso la ricerca archeo-

logica42. Nelle province del Regno di Napoli la storia di questa attenzione

38 Mi sembra il caso di evidenziare l’atteggiamento dal restauratore Gargiulo, che si preoccupa di rendere fruibile nel migliore dei modi il vaso restaurato.

39 Cfr. F. gIudIce, La collezione archeologica del Banco di Sicilia, AA.VV., Il mito siamo noi, in «Archeologia Viva», a. XXIV, n. 110, marzo-aprile 2005, p. 63. Nel 1764 Johann Joachim Winckelmann (Geschichte der Kunst des Altertums, Dresden, 1764), sulla base del disegno e delle iscrizioni, si era pronunciato sulla grecità dei vasi allora noti. Ma è solo dal 1828 in poi, in seguito alle numerose testimonianze ceramiche che affioravano dalle necropoli dell’Italia meridionale e dell’Etruria (in particolare da Vulci), che si rimise tutto in discussione. F. Gerhard, nel 1831 (Rapporto Volcente, in «Annali dell’Istituto di corrispondenza archeologica», 1831), ammise l’origine attica di questi vasi, ma suppose che degli artisti greci si fossero trasferiti in Etruria. Ma è O. Jahn (con la pubblicazione della collezione del re Ludovico di Baviera conservata nella Pinacoteca di Monaco, oggi presso l’Antikensammlungen), che allarga lo sguardo all’intera gamma delle provenienze dei vasi greci, offrendo un quadro dei rinvenimenti in tutta l’area mediterranea, che gli consente di porre in una luce corretta il problema della loro presenza in Etruria, Sicilia e in Italia meridionale, quali mercati importanti ma non necessariamente luoghi di produzione. Sull’argomento si veda ancora: M.c. parra, Da Napoli alla Calabria, tra antiquaria e viaggio, leggendo casi esemplari…, cit. p. 66; a. MIlanese, s. de caro, W. Ha-milton e la diffusione in Europa della moda dei vasi greci, in ibidem, pp. 9�-100.

40 Non mi sembra cosa da poco conto; oggi, purtroppo, queste nobili finalità non vengono lontanamente pensate.

41 Fino all’avvento della ferrovia la navigazione, sia marittima che interna, co-stituì il principale sistema di trasporto delle merci e di diffusione delle idee, nonché di collegamento a ogni livello e su ogni distanza.

42 Oltre ai delicati problemi di organizzazione delle varie collezioni del Museo di Napoli, istituito con decreto del 1816, la rinnovata dinastia borbonica volle anche affrontare in sede legislativa il più ampio tema della tutela del patrimonio storico-

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al patrimonio culturale comincia molto presto: le tappe storiche e le istanze culturali che hanno dato origine e primo impulso ad un’effettiva dinamica di salvaguardia si datano al periodo corrente tra l’instaurazione della dinastia borbonica, con l’avvento di Carlo di Borbone nel 1734, e la morte del figlio e successore Ferdinando (1825)43.

La politica di tutela attuata nel Regno di Napoli era nata dall’esigenza di salvaguardare un patrimonio che il re non rinunciò mai a considerare di propria esclusiva e personale pertinenza, ma che, nei modi in cui si tradusse in concreti atti legislativi, finì col realizzare un’effettiva parziale garanzia di salvaguardia su un piano pubblicistico, provandosi ad attuare un indispensabile controllo statale su una così peculiare categoria di beni. È certo comunque che si deve a tali provvedimenti se quel patrimonio poté essere salvato dagli abusi cui poteva andare incontro.

Conclusioni

Quando si parla di archeologia solitamente si pensa allo scavo stratigrafico e ci si dimentica della ricchezza documentaria conservata negli archivi come un’ulteriore tappa per conoscere meglio il territorio e le attività umane che si sono intervallate nel corso dei secoli.

artistico e archeologico del Regno. Il marchese Ruffo nel 1822 scrive al direttore del Museo, Michele Arditi, una preoccupata lettera nella quale si fa esplicito riferimen-to ad un regolamento degli scavi emesso nel 1819, in base al quale già si sarebbe dovuto provvedere alla corretta conservazione di quelle antichità. Purtroppo tale regolamento non è finora emerso agli studi.

43 Lo sforzo principale dei governanti restaurati, fu quello di tentare di dare maggiore attuazione pratica all’insieme delle norme ereditate dai decenni precedenti (Decreto di Ferdinando I del 13 maggio 1822). Nei secoli XVII e XVIII gli editti sulla salvaguardia, soventi promulgati da potenti cardinali della curia romana, si fanno più frequenti, nonché precisi e circostanziati. È un segnale, questo, di una crescente consapevolezza del valore economico, oltre che estetico, dei beni artistici, fonte di ricchezza e di prestigio interna-zionale. Controllo degli scavi e divieto di esportazione (detta estrazione nei documenti secenteschi e settecenteschi) divengono temi centrali dei proclami. È del 1733 l’Editto del cardinale Alessandro Albani, del 1802 l’Editto del cardinale camerlengo Doria Panphilj, che fa seguito al chirografo di Pio VII Chiaramonti del medesimo anno, è del 7 aprile 1922 l’Editto del cardinale Pacca, la prima, organica sistemazione giuridica, relativa alla salva-guardia dei beni culturali.; cfr. F. bottarI, F. pIzzIcannella, L’Italia dei tesori. Legislazione dei beni culturali, museologia, catalogazione e tutela del patrimonio artistico, Milano, 2002, pp. 31-37. Sull’argomento si veda il saggio di p. d’alconzo, L’anello del Re. Tutela del patrimonio storico-artistico nel Regno di Napoli (1734-1824), Firenze, 1999, interessante ricognizione archivistica e bibliografica riguardo del raro, sorprendente, meditato atteggiamento dei Borbone nei confronti della tutela archeologica ed artistica. «L’Italia, del resto, ha avuto una coscienza civile e istituzionale su tali problemi che affonda le sue radici in una tradizione assai più lunga e più robusta che in ogni altro paese d’Europa e, oserei dire, del mondo». Cfr. s. settIs, Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, Torino, 2002, p. �.

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Le ricerche di scavi antiquari nel Meridione, ad eccezione di alcuni lavori monografici dedicati ai siti più importanti della Magna Grecia, come dicevo sopra, non sono stati oggetti di studio approfondito. Le nuove esigenze collegate agli studi più recenti hanno contribuito ad alimentare l’interesse degli studiosi per le fonti d’archivio relativi a scavi archeologici. Questo nuovo indirizzo di indagine ha dato risultati sorprendenti e inaspettati, e se da una parte si è venuto a conoscenza di interessanti inediti ritrovamenti, dall’altro si è fatta nuova luce sull’attività di archeologi del passato poco conosciuti.

L’archeologia deve trovare nello scavo d’archivio quella possibilità in più, per riuscire a diradare molte nebbie che ancora avvolgono tanti insediamenti antichi, anche di una certa importanza. La conoscenza del collezionismo e degli scavi d’antichità presso l’Archivio di Napoli e degli archivi del meridione d’Italia potrebbe, con uno studio lungo e attento, dare informazioni di non poco conto su evidenze archeologiche ormai, in alcuni casi ignorate dagli studiosi contemporanei. La ricostruzione di contesti di provenienza, infatti, consentirebbe di riportare alle cronache archeologiche scoperte lontane così da riscrivere nuove pagine di archeo-logia. C’è un nuovo entusiasmo per i risultati ottenuti in alcune regioni e ciò dovrebbe spingere a cercare un’intesa con l’Ufficio Centrale dei Beni Archivistici, un momento d’incontro con archivisti e con studiosi della materia, allo scopo di indicare un modo nuovo di ricostruire, attraverso i documenti, la storia archeologica, sottolineando soprattutto le origini più remote delle ricerche archeologiche nei territori calabresi.

Al di là delle singole proposte interpretative, in merito a quanto si può dedurre dal fondo archivistico qui presentato, accanto a notizie che riguardano lo scavo operato dal Murdaca, i manufatti rinvenuti, le giornate lavorative, la paga degli operai, le notizie di costume, sul significato che aveva allora la denominazione di vaso etrusco, si possono ritrovare informa-zioni che riguardano il linguaggio dell’epoca, il rapporto con gli operai, la corrispondenza e la precisione nell’informare la Real Casa, la puntualità nei pagamenti degli operai, la possibilità che un prete, uno dei pochi uomini colti in quel periodo, potesse essere affidato un incarico così importante, ma nello stesso tempo difficile da portare avanti in maniera adeguata, la possibilità di capire come avvenissero i trasporti all’epoca, insomma uno spaccato su un periodo storico del Mezzogiorno d’Italia forse ancora poco studiato. Quindi, per concludere, mi auguro che questo genere di studi venga portato avanti con serietà e convinzione perché una revisione approfondita nell’Archivio e nelle collezioni del Museo archeologico di Napoli e in tutti gli archivi del Mezzogiorno può sicuramente contribuire ad arricchire le conoscenze e a razionalizzare, promuovere e valorizzare questo grande patrimonio troppo a lungo lasciato a languire.

antonIo la Marca

36�

rIcerche archeologIche e storIche In calabrIa

INDICE

A Giovanni Azzimmaturo commemorazione e dedica dei lavoriIntroduzione di gIoacchIno lena e MIchele azzIMMaturo �

Parte Prima

La Calabria dalla Preistoria al Tardo Antico

«Métauros, il fiume e l’omonimo “υφορμοσ»di rossella agostIno 13

Rinvenimento di necropoli romana in Reggio Calabriadi eMIlIa andronIco 31

Osservazioni preliminari sulle ceramiche d’impastoda Francavilla Marittima (CS)di carMelo colellI 43

Ancore litiche pre e protostoriche dai fondali del Crotonesedi MargherIta corrado �9

In Magna Sila. Dai primi uomini al Tardo Imperonel cuore della Calabriadi doMenIco MarIno e arMando talIano grasso 6�

Per un censimento dei relitti antichi lungo la costa crotonese.Nota preliminaredi salvatore MedaglIa 93

Le laminette auree orfiche di Calabriadi MarIa angela Merolla 121

Attestazioni di piatti da pesce dalla Calabria:alcune riflessioni tra produzione ed iconografiadi FabrIzIo Mollo 131

366

IndIce

Alcune riflessionisullo stato della ricerca archeobotanica in Calabriadi donatella novellIs 143

Magistrati con potere censorionelle città del Bruzio in età romanadi antonIo zuMbo 163

Parte seconda

La Calabria nel Medioevo

Archeologia medievale in Calabria:stato degli studi e prospettive di ricercadi adele coscarella 189

Motte e villaggi abbandonati in Calabria. Ricerche archeologiche a Motta San Demetrio, Rocca Angitolae Mileto Vecchiadi Francesco antonIo cuterI 197

Lo sfruttamento della Vallata dello Stilaro in Età Bizantinadi danIlo Franco 217

Conquiste saracene, turche e barbaresche e difesa dell’identitànelle Calabrie tra l’VIII e il XIX secolodi steFano vecchIone 221

Parte terza

La Calabria nell’Età Moderna

Del libero pensiero. Saverio Procida e i critici musicali calabresidi aMedeo FurFaro 271

Scavi di Bruno Murdaca a Locri Epizephiri:un esempio di ricerca antiquaria nel primo Ottocentodi antonIo la Marca 277

367

La costa dei promontori lacini: evoluzione storicadi gIoacchIno lena 297

Il «nemico invisibile». Cosenza durante la peste 16�6-16�7di antonello savaglIo 31�

Una storia biologica in Calabria: l’azione selettivadella malaria verso la thalassemia ed il favismodi antonIo tagarellI 333

Alexis de Tocqueville precursore della Riforma Agrariadi eMIlIo tardItI 343

Giuseppina Le Maire e la Colonia Silana di Federicidi Walter FIlIce 349

IndIce

368

colophon

Finito di stampare nel mese di aprile 2008dalla tipografia Grafiche Gigliotti - Lamezia Terme

per conto dell’editoriale progetto 2000del dott. Demetrio Guzzardi

Via degli Stadi, 27 - 87100 Cosenza