Una vita al di là dei confini. Un ricordo di Celso Macor a quindici anni dalla sua scomparsa

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9 Nel 1995 erano trascorsi sei anni dalla ca- duta del muro di Berlino e soltanto quat- tro dalla proclamazione dell’indipendenza della Repubblica di Slovenia, in seguito riconosciuta dalla Comunità Economica Europea e accolta nella compagine delle Nazioni Unite. Sarebbe dovuto passare an- cora un decennio prima che il piccolo sta- to ex jugoslavo potesse entrare a far parte dell’Unione, mentre per l’applicazione de- gli Accordi di Schengen dovette attendere il 2008. Nel frattempo, in preparazione alla celebrazione ufficiale del 22 dicembre 2007, erano state rimosse le barriere fisi- che che dal 1947 dividevano a Gorizia la piazza della stazione Transalpina. Eppure era ancora il 1995 quando Celso Macor, intervistato in merito alla rimozione del- la rete su quel piazzale che una dozzina d’anni dopo sarebbe diventato un simbolo dell’integrazione europea, rispondeva con parole dal significato inequivocabile: Si è perduto tanto sangue per un confine che è sempre una spartizione contro natura e contro storia; spartizione, però, che nella sua assur- UNA VITA AL DI LÀ DEI CONFINI di Gabriele Zanello dità costringe popoli ed etnie a vivere insieme ed a tenere saggio conto gli uni degli altri. I confini potevano avere un senso quando ve- ramente segnavano una barriera di difesa contro la prepotenza, contro chi minacciava l’indipendenza e la libertà. Oggi che tutto questo si sa che dovrà regolarsi su altri equili- bri, i confini sono solo una violenza al diritto dell’uomo alla sua umanità. A cinquant’anni UN RICORDO DI CELSO MACOR A QUINDICI ANNI DALLA SUA SCOMPARSA Celso Macor.

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Nel 1995 erano trascorsi sei anni dalla ca-duta del muro di Berlino e soltanto quat-tro dalla proclamazione dell’indipendenza della Repubblica di Slovenia, in seguitoriconosciuta dalla Comunità Economica Europea e accolta nella compagine delle NazioniUnite.Sarebbedovutopassarean-cora un decennio prima che il piccolo sta-to ex jugoslavo potesse entrare a far parte dell’Unione, mentre per l’applicazione de-gliAccordidiSchengendovetteattendereil 2008. Nel frattempo, in preparazione allacelebrazioneufficialedel22dicembre2007,eranostaterimosselebarrierefisi-che che dal 1947 dividevano a Gorizia la piazza della stazione Transalpina. Eppure era ancora il 1995 quandoCelsoMacor,intervistato in merito alla rimozione del-la rete su quel piazzale che una dozzina d’anni dopo sarebbe diventato un simbolo dell’integrazione europea, rispondeva con paroledalsignificatoinequivocabile:

Sièperdutotantosangueperunconfinecheèsempre una spartizione contro natura e contro storia; spartizione, però, che nella sua assur-

UNA VITA AL DI LÀ DEI CONFINI

di Gabriele Zanello

dità costringe popoli ed etnie a vivere insieme ed a tenere saggio conto gli uni degli altri. I confini potevano avere un sensoquandove-ramente segnavano una barriera di difesa contro la prepotenza, contro chi minacciava l’indipendenza e la libertà. Oggi che tutto questo si sa che dovrà regolarsi su altri equili-bri,iconfinisonosolounaviolenzaaldirittodell’uomo alla sua umanità. A cinquant’anni

UN RICORDO DI CELSO MACOR A QUINDICI ANNI DALLA SUA SCOMPARSA

CelsoMacor.

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dalla guerra, mezzo secolo che ha percorso il tempo di un’era, in una prospettiva che non è solo europea ma da governo del mondo, i con-finisonosorpassati.Questo,ingenerale.Per-sonalmente,poi,iovivoesento“aldilà”deiconfini;nell’utopia,sesivuole.Ubbidiscoalleleggi, ma non le sento quando violentano la mia anima che considera la terra senza recinti. L’uomo è fratello anche nella diversità; anzi la sua diversità è comune ricchezza spirituale1.

Nonè facile riassumere lavitadiMacor,giornalista e scrittore isontino scomparso ormai quindici anni fa, ma forse queste sue parole,nellequaliaposteriorièfintroppofacile riconoscere il tono della profezia, possono ambire a riassumere l’idealità che finoall’ultimohaanimatol’impegnodaluiprofuso con tenacia e coerenza. Una delle costanti della sensibilità umana diMacorè stata infatti la consapevolezza di essersi trovato a vivere non soltanto nel tempo del tramonto di un mondo, ma anche in uno spazio geografico incerto e drammatica-mentesegnatodall’esperienzadelconfine.Proprio accostandosi a quel margine egli ha potuto dare libero corso alla lungimiranza politica, al rinnovamento culturale, alla re-sponsabilità comune per la pace, all’idea di un mondo diverso. Non è un caso che il confinecompaiaancheneltitolodiunadel-

le sue prose più emblematiche, Dulà che la Furlania ’a finìs(“DoveilFriulitermina”),una denuncia lucida che fonda l’impegnati-va eredità dello scrittore:

Ué ’l è un altri vivi, un altri murî da storia: ’l è un murî di anima tal mont che si fâs grîs, ’l è unmurîdiperaulisdivônstalsflandôr,talbonsunsûr da grandi’ lenghis che sopressin dut tuna invasioncunaltri’armis.Son li’ lezdaeconomia a talpassâ ogni diviarsitât di cultu-ra e di etnia. Pragmatisin, ué, no chel strazzâ timp che si clama puisia2.

MacornacqueaVersa,pressoRomansd’I-sonzo, il 4 agosto 1925. La sua adolescen-za, negli anni che precedevano il secondo conflittomondiale,èefficacementerievo-cata insieme con il ricordo del parroco del paese,donMicheleGrusovin,daluistessopresentato come una delle figure che piùavevano inciso sulla sua formazione:

Era difficile per un ragazzo di tredici, quat-tordici anni accettare ed essere riconoscente a chi gli rubava l’aria felice della libera cam-pagna delle vacanze, i giochi con i fagiani e le lepri nelle folte giuncaie in riva al Judrio, facendogli subire intere mattinate di studio rigidamente controllato, o lezioni di tedesco, nella scrittura gotica3.

1 Paolo Iancis, Il salto oltre la rete. Conversazione con Celso Macor, in «’Zuf de Zur. Informa giovani di Go-rizia/Gorica/Gurizza/Görz», a. V, n. 19, 11 febbraio 1995, p. 2.

2 «Oggi c’è un altro vivere, un altro morire della storia: è un morire d’anima nel mondo che ingrigisce, un mori-re di parole d’avi nello splendere, nel suonar bene delle grandi lingue che annullano tutto invadendo con altre

armi. Sono le leggi dell’economia a calpestare ognidiversità culturale ed etnica. Pragmatismo, [oggi,] non quello spreco di tempo che si chiama poesia» (CelsoMacor,“Dulàchelafurlania’afinìs”,inI fucs di Belen, Braitan,Brazzano1996,p.374,trad.p.435).

3 Id. - Luigi Tavano, “Mons.Michele Grusovin: no-vant’anni nella storia goriziana”, s.l., s.n., 1987(estrattodaIniziativa Isontina,89,1987).

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Conseguita la maturità classica presso il Li-ceo“DanteAlighieri”delcapoluogoisonti-no,giàneiprimianniSessanta,all’esordiodella propria attività di pubblicista, ebbe modo di collaborare in qualità di corri-spondente con il quotidiano romano “Il po-polo”,organodellaDemocraziaCristiana.Dal 1962 curò i servizi giornalistici del Co-munediGoriziafinoadassumereilruolodiresponsabiledell’Ufficiostampaepub-bliche relazioni. Il versante più imponente della sua operosità è senza dubbio quello legato al settimanale diocesano “Voce Isontina”,delqualeMacor fuanchevice-direttore per una dozzina d’anni a partire dal 1979. Dai quasi millesettecento articoli stesi fra il 1964 e il 1998, e in particolare dallerubriche“Contromano”e“Panoramapolitico”,siricavalosforzoassiduodilet-tura profonda degli eventi culturali, politi-ci ed ecclesiali del Goriziano; una lettura disincantata e sapienziale, ispirata da una pacata parresia, da una franchezza che na-turalmente non poteva non suscitare anche malumori o insofferenze. Anche le forme dell’essenzareligiosadiMacor,cosìcomeemergono da questi scritti, appaiono per un verso debitrici nei confronti della grande tradizionedelcattolicesimosocialefioritoanche nella Contea a cavallo fra Ottocento e Novecento, per altro segnate da una cer-ta schiettezza e ritrosia proprie del mondo contadino delle sue origini. A una ispirazione intimamente cristiana va ricondotta l’attenzione nei confronti della diversità, che trovò modo di esprimersi an-chenegliarticolidi“Alpinismogoriziano”,il notiziario della locale sezione del Club

Alpino Italiano; la linea editoriale da lui promossa nella veste di direttore, dal 1973 al1988,nonriflettevasoltantolapassionedi una vita, ma insisteva sulla montagna come luogo di incontro e sulla cultura alpi-na come patrimonio comune di fratellanza. Sono più di un centinaio gli articoli fir-mati per “Iniziativa Isontina” e “NuovaIniziativaIsontina”,altrarivistadicuifudirettore dal 1979 al 1996; rispetto alle rubriche del settimanale diocesano, negli “Appunti per undiario” la prospettiva siallarga e l’osservazione tende ad abbrac-ciare il lungo periodo. La collaborazione con“StudiGoriziani”,infine,preseformain una trentina di contributi, soprattutto recensioni, che confermano, oltre alla va-stitàdiinteressi,lafinezzadianalisielosforzo persistente per una sintesi rispetto-sadellaspecificitàdelterritorioisontino.In stretto legame con l’attività pubblicisti-ca nacquero, nel corso del tempo, anche numerosi studi di interesse storiografico,letterario e ambientale: sul Friuli goriziano e su Gorizia, sul Collio e sulle Alpi Giulie, sull’Isonzo (finalmente fiume di pace, in un titolodel1965)esulTorre,maanchesull’alpinismo e sugli alpinisti, in parti-colare su Julius Kugy, al quale dedicò un saggio già nel 1966. Ad essi si associarono, soprattutto negli anni Novanta, fortunate edizioni arricchite da splendidi corredi fo-tografici,moltideiqualirealizzatidaCarloTavagnutti: volumi pregevoli, i cui testi di commento, nella loro essenzialità, cerca-no l’equilibrio con le immagini, mentre le traduzioni(soprattuttointedescoeinslo-veno,maancheininglese)ribadisconol’o-

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rizzonte, non soltanto ideale, dell’incontro di culture ed etnie diverse. La scrittura in friulano di Macor diven-ne pubblica con le tredici ampie liriche di Impiâ peraulis(“Accendereparole”),volu-metto edito nel 1980 con una premessa di Ervino Pocar, il grande germanista e tra-duttore al quale lo scrittore dedicò un’accu-ratabiografiaapparsanel1996.In realtà l’attenzione al friulano era divenu-ta produttiva subito dopo il sisma del 1976, ma la data non deve condurre a conclusio-ni sbrigative, sebbene l’intento dichiarato dall’autore stesso suggerisca un’interpre-tazione a senso obbligato: “Vevi ancia jo peraulis di dî, / ricuarz di meti ta suarza, /princhepassàslafalz”4. Infatti è soltan-toesteriorel’affinitàdiMacorconimoltiche, sull’onda emotiva provocata dal sisma, hannovolutofissarenell’impressionepoeti-ca l’immagine di un Friuli non ancora sfre-giato dalla catastrofe; la lucida percezione della scomparsa di un mondo aveva nella sua sensibilità origini più remote, riguardo alle quali gioverebbe forse un confronto con le voci della finis Austriæ. SeesclusivoèilpostoricopertodaMacornel contesto letterario del Friuli orientale, gliesiti letterari fannosìche lasuafisio-nomiaappaiaancorpiùdefinitanelquadrocomplessivo della scrittura in friulano del post-terremoto. La carica vitale e l’intento pedagogico rendono i suoi brani immuni

dall’autocommiserazione, capaci addirit-tura di esorcizzare malinconia e rimpianto, oltre che di risvegliare una concreta assun-zione di responsabilità civile anche a fronte di un innegabile tracollo.Pursenzal’afflatoepicodellepoesie,anchei tredici racconti friulani raccolti sotto il ti-tolo I vôi dal petarôs (“Gliocchidelpetti-rosso”,1986)perseguonofinalitàanaloghee costituiscono tanto un ideale messaggio postumo formulato da chi era rimasto escluso dalla storia o aveva subito nel silen-zio le atrocità delle guerre, quanto una sor-ta di risarcimento dei posteri per coloro che si erano trovati a combattere dalla parte che sarebbe stata sconfitta e chepertantononavevano avuto diritto a una commemora-zione nella propria terra. Le colpe e le pene scoperte nelle pieghe più vergognose della storia del Novecento incrociano dunque, in modo non infecondo, la disperazione, i ri-morsi, lo sconforto e le sconfitte diPieri,Tita, Tunin e di molti altri personaggi, che diventanofiguradiinnumerevolialtrivinti ed esclusi della storia5. Non senza incertez-ze da parte dell’autore: la Lienda e alegoria di un studiât e di un paîs muart(“Leggen-da e allegoria di un istruito e di un paese morto”) ammette l’incapacità dell’intellet-tuale di salvare quanto nel mondo di ieri parlava di vincolo solidale e di autenticità, ma nella dignità di quelle pagine narrative velatamenteautobiografichelasceltadella

4 «Avevo anch’io parole da dire, ricordi da incornicia-re, prima che passasse la falce» (C.Macor, “Impiâperaulis par un ciant”, in I fucs di Belen,cit.,p.17).

5 La forte connotazione storica e gli agganci concreti rendono vive e contemporanee le pagine dei racconti,

conferendo alla contingenza delle vicende un valore paradigmatico già reclamato dalle poesie: «E tu, po-pul dal Friul: chista no jè dome / la storia mê» [E tu, popolodelFriuli:questanonèsololamiastoria](Id.,“Flôrdiciamp”,ivi,p.23,trad.p.51).

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scrittura cerca ugualmente di comporre lo scacco del passato e l’impegno nel presente.

’L era ’za soreli alt, ma ’l paîs no si sveava. ’L era muart pal vêr. Li’ ciampanis no sunavin ’za di ains. I ciamps senza ciavai e bûs; dome qualchi tratôr al roseava ’l ajar rugnant di là da grobiis. I ’zovins a’ fevelavin un lengaz laît, cun vôs clopa, che veva dal feminîti; a’ disevin segloz di monadis jemplant al uéit cun qualchi crostula par bulada6.

Le prose di Macor denunciano tutta lacomplessità di una scrittura soltanto appa-rentemente piana, scorrevole, monodica. Al di là delle risonanze corali dell’uni-verso contadino, del quale costituiscono un’immagine nitida ed eloquente, inquie-tudine e ombre funeree attraversano ogni pagina, e sono costate all’autore i rimpro-veri di pessimismo e di amarezza mossi daunacriticasoventesuperficiale.Inreal-tà la composizione delle fratture e la paci-ficazioneconilpassatosifannoneltem-po sempre più profondamente desiderate, cosicché nella raccolta poetica successiva, Se ’l flun al mûr (“Se il fiumemuore”)(1989),glistessititolidellesezioni,artico-late sull’alternarsi delle stagioni e dei tem-

pi liturgici, indicano ancora la volontà di leggere e interpretare la storia alla luce di unafiduciametastorica.Malosmarrimen-to oscilla senza posa tra una prospettiva nonpacificae l’aperturadiunospiraglioche negli anni successivi pare irrobustirsi, come rivelano le prose, in gran parte liri-che, di Tiara(“Terra”)(1991)elePuisiis a Viarsa(“PoesieaVersa”)(1994):

Jo ’a cori e trami cula pena sul sfuei blanc; e i vôi mi s’ciampin lontan tun orizont che si fâs fluscdaltenarchemipartaalcûr.Unsflandôrrôs al brusa li’ schenis dai cuei ’za taponâz dai gespui.Siviarzpalaltunzîlclârchedalze-lestalgangiafintalfontscûrdulàchesiimpìinli’stelis jemplantalfirmamenteciariantsulamêanimapinsîrscheno’nd’ànfin.Talmisteriscosàin che sinti intôr di me no sai se ’a soi ’za muart s’ciafojât di tant amôr o se ’a voi same-nant speranzis par gnovi’ ’zornadis7.

Con l’inclusione di Puisiis e fruzzons pu-blicâs e no, la produzione letteraria di Macorinfriulanoèstatariunitanel1996in due volumi intitolati I fucs di Belen (“IfuochidiBeleno”)8. La raccolta ha valore determinante an-che per la revisione complessiva operata

6 «Il sole era già alto, ma il paese non si risvegliava. Era morto davvero. Le campane non suonavano da anni. I campi erano senza cavalli e senza buoi, soltanto qual-che trattore mordicchiava l’aria brontolando al di là dei mucchi di pietre. I giovani parlavano un linguaggio lai-do,lavoceflaccida,iltimbrofemminile;dicevanostu-pidaggini in quantità, riempiendo i vuoti con qualche bestemmia,daspacconi»(Id.,“Liendaealegoriadiunstudiât e di un paîs muart”,ivi,p.158,trad.p.276).

7 «Ecco. Io corro e tremo con la penna sul foglio bianco; e gli occhi mi fuggono lontano verso un orizzonte che

si vela per il tenero che mi porta il cuore. Un fulgore rosso brucia le schiene dei colli già coperti dal vespero. Sidischiudeinaltouncielochiarochedalcelestetra-scolorafinoalfondalebuiodovesiaccendonolestellepopolandoilfirmamentoecaricandosullamiaanimapensierisenzafine.Nelmisteronascostochesentoin-torno a me non so se sono già morto soffocato da tanto amore o se vado seminando speranze per giorni nuovi» (Id.,“Animadiunatiara”,ivi,p.387,trad.p.450).

8 Sono continuate ininterrottamente, nel corso deglianni, le ristampe di singoli brani, che molti operatori

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dall’autore su tutte le sillogi precedenti, ma un bilancio sulla sua opera non può che essere ancora provvisorio. Infatti le possi-bilità di indagine vengono ulteriormente ampliate dall’ormai prossima consegna dell’intero fondo dei suoi scritti all’Ar-chiviodiStatodiGorizia,concordatanelcorso del 2012 e incoraggiata dal ricono-scimento dell’interesse culturale del fondo stessodapartedelMinisteroperibeniele attività culturali. L’accesso ai materia-li finora conservati con amorevole curadalla consorte permetterà non soltanto di consultare i numerosi inediti, le poesie e i frammenti dispersi, gli scambi epistola-ri, le versioni preparatorie di prefazioni, interventi e relazioni, ma anche di entrare nellaboratoriodiMacor,distudiarnestra-tegie e criteri, o di comprendere i diversi momenti della scrittura così come sonostati illustrati dall’autore stesso negli ap-punti di presentazione delle proprie opere. Già a dieci anni dalla morte, avvenuta a Gorizia il 28 novembre 1998, era compar-so postumo Ài samenât un ciamp di barbu-rissis. Ho seminato un campo di fiordalisi (2008): questo primo frutto di una dove-rosa riscoperta propone l’edizione degli scritti contenuti in un’agenda che – segna-lailcuratoreRienzoPellegrini–“accostae compone facce complementari e solidali di una personalità che nell’esercizio assi-duo del giornalismo e della letteratura, nei

suoi diversi generi, ha espresso intenzioni e ideali non divaricati”, così da provarne“nel concreto, nello svolgersi dei fogli, la coerenza di fondo, pur con le perplessità, conleincrinaturechel’esisterenonelide”9. Un materiale difficilissimo da valorizza-re, eppure di straordinaria importanza, è costituito dall’enorme quantità di foglietti suiqualiMacor,neimomentipiùdisparati,non soltanto annotava appunti, ma racco-glieva con paziente meticolosità centinaia di termini destinati a cadere in disuso: era-no le voci del friulano di Versa, con con-taminazioni di quello di Lucinico, raccolti come tasselli di un idioletto tanto fedele alla tradizione quanto tenacemente anco-rato a luoghi e tempi di una vicenda umana ben precisa, e restituiti alle pagine come un impasto linguistico che riceve profondi-tà storica dalle voci più arcaiche, ampiezza geograficadaifrequentigermanismi,spes-sore affettivo dal lessico familiare. Lavorare sugli scritti prodotti daMacornell’intero arco della sua carriera intellet-tualeconsente,indefinitiva,dicompren-dere più chiaramente alcuni snodi della storia friulana abbracciando con uno sguardo critico gli anni di vita culturale, sociale e politica goriziana che lo hanno visto tra i protagonisti. Un primo tenta-tivo in questa direzione è costituito dal volume postumo Celso Macor. Identità e incontri (1999),doveè raccoltounbuon

culturali del Goriziano ricordano con affetto e ripro-pongono nei momenti di importanza comunitaria; nel 1999 alcuni scritti vengono nuovamente pubblicati con la traduzione slovena in Cui ciantaraja dopo di me? Kdo bo pel za menoj? [Chi canterà dopo di me?],

a cura di Jurij Paljk.9 Cfr.l’introduzioneinC.Macor,Ài samenât un ciamp

di barburissis. Ho seminato un campo di fiordalisi, a curadiRienzoPellegrini,Gorizia,BibliotecaStataleIsontina, 2008, p. 6.

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numero di articoli giornalistici; tuttavia, a motivo delle numerose sfaccettature dell’impegno pluridecennale in cui si è spesaquestapersonalitàcosìcomplessaediscreta, rimane arduo anche tracciare un profilo dell’uomo pubblico. Certamentemolti dei corsivi, in particolare quelli trat-tidallaprimapaginadi“VoceIsontina”,fanno eco alle tematiche della scrittura letteraria(Se ’l flun al mûr),malaprosadispiega ulteriori risorse di disincantata analisi critica e postula insieme una vo-lontà di intervento immune dai compro-messi, dai radicalismi e dalle chiusure provinciali o identitarie. Senza cadute

nella retorica, attraversa ciascuna di quel-le pagine una robusta tensione etica, non soffocata dallo sguardo retrospettivo né paralizzata dal senso di colpa per non aver saputo formulare ipotesi alternative di sviluppo e opporre resistenza alle leggi economicheesocialichehannosfiguratoil volto umano della campagna. Sono molte le pagine di Macor che sor-prendono per la loro clamorosa attualità; molte anche le pagine che possono solle-vare sensi di colpa: per non aver saputo cogliere l’invito a difendere il territorio da un consumo irrazionale e dalla conse-guente “venetizzazione” del paesaggio;per non aver vigilato sui mostri ecologici che incombono sulle valli, sulla pianura e sul mare della regione; per non aver sem-pre saputo valorizzare l’identità, in parti-colare quella friulana, in modo libero da rivendicazioni e contrapposizioni asfis-sianti;perl’inerziaolasufficienzaconcuisi è guardato e si continua a guardare nei confronti dello sloveno, dimenticando gli sforzi compiuti per favorire la conoscenza reciproca; per lo scandalo della fortissima riduzione dell’insegnamento del tedesco dalle scuole superiori della regione, una perdita che aMacor, educato ad appren-dere quella lingua nella scrittura gotica, sarebbe apparsa affatto incomprensibile. È per questo che le parole di quest’uomo, se negli anni in cui furono scritte davano voce a coraggiose speranze, nel tempo agro che stiamo attraversando possono nuovamente risuonare almeno come esortazione utile a ritrovare la rotta e a seguirla con fedeltà.

Gabriele Zanello

Inprimopiano,CelsoMacor.

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