Un poco noto frammento altomedievale del De divisione di Boezio (Vercelli, Biblioteca Capitolare,...

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Per Gabriella Studi in ricordo di Gabriella Braga a cura di M PALMA C VISMARA EDIZIONI UNIVERSITÀ DI CASSINO 2013 ARCO INZIA III e

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Per Gabriella Studi in ricordo di

Gabriella Braga

a cura di

M PALMA C VISMARA

EDIZIONI UNIVERSITÀ DI CASSINO

2013

ARCO INZIA

III

e

Copyright © 2013 – Università degli Studi di Cassino e del Lazio meridionale Via G. Marconi 10 – Cassino (FR) ISBN 978-88-8317- -0

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Finito di stampare nel mese di settembre 2013

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SABINA MAGRINI

Un poco noto frammento altomedievale del De divisione di Boezio (Vercelli, Biblioteca Capitolare, CXXXI)

Nel 1998 John Magee ha pubblicato l’edizione critica del De di-visione di Boezio1. Al termine della sua prefazione, laddove affronta la complessa questione della tradizione altomedievale del testo boe-ziano e delle contaminazioni subite con i Topica di Aristotele in traduzione latina, lo studioso analizza il ruolo che il mondo in-sulare avrebbe potuto giocare, direttamente o indirettamente, nella trasmissione dell’opera e osserva come «Even the survival of a 9th-c. caroline witness with a strong predilection for Irish abbreviations would be very suggestive, but no such thing is known to me»2.

In realtà, è possibile che un testimone del genere possa essere sfuggito a Magee suo malgrado e che il frammento del De divi-sione, ora guardia finale staccata del manoscritto CXXXI della Bi-blioteca Capitolare di Vercelli – reso noto con un certo dettaglio soltanto nel 20013 e oggetto di questo breve contributo – possa corrispondere per alcuni aspetti a tali requisiti .

La ricchezza e l’unicità del fondo manoscritto della Biblioteca Capitolare di Vercelli sono conosciute dai più e da tempo4. Alla sede vescovile di Vercelli si sono succedute tra il IV e il X secolo di-verse figure di rilievo, che hanno contribuito con il peso della loro

1 Anicii Manlii Severini Boethii De divisione liber, critical edition, translation, prolego-mena and commentary by J. Magee, Leiden – Boston – Köln 1998. Si tratta della prima edizione moderna e completa del testo. Per le edizioni precedenti, i commentari e le tra-duzioni in italiano e inglese vd. ibid., p. XIV.

2 Boethii De divisione liber, p. LXXIV. 3 PASSALACQUA – SMITH 2001, pp. 403-404. 4 La scarsa disponibilità di strumenti di accesso a tale collezione è lamentata, tuttavia,

da CASAGRANDE MAZZOLI 1994.

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influenza politica e culturale ad arricchire la biblioteca episcopale, mentre ancora tra XII e XIII secolo lasciti significativi da parte di singoli prelati hanno ulteriormente incrementato il patrimonio li-brario disponibile ai canonici ed arcipreti vercellesi.

I doni dei vescovi Eusebio (345-371) e, soprattutto, Liutwardo (880-899), arcicancelliere di Carlo il Grosso tra gli anni 878 e 887, Attone (924-960) e Leone (999-1026), membro della corte di Ot-tone III, nonché le disposizioni testamentarie del magister Cotta (1194), per citarne soltanto alcuni, spiegano infatti perché i libri di-sponibili nell’ambito della Basilica di Sant’Eusebio a Vercelli fos-sero molti e per vari aspetti assai vicini ai modelli, interessi e gusti diffusi nei grandi centri culturali d’Oltralpe5.

Più specificatamente, tra i diversi donatori ricordati dai necro-logi eusebiani figura l’arciprete Mandolo Alciati, il cui testamento datato 30 aprile 1210 prevedeva la distribuzione di buona parte dei suoi libri agli arcipreti di Sant’Eusebio suoi successori6. Tra questi codici è riconoscibile anche il contenitore del frammento in que-stione: il ms. CXXXI.

Si tratta di un esemplare membranaceo (mm 290 × 192) di buona qualità, attribuibile agli anni a cavallo tra i secoli XII e XIII, contenente Gregorio Magno, Liber pastoralis seguito da una For-mula pastorum excerpta ex auctoritate sanctorum patrum (ff. 1ra-83rb) e Bernardo di Clairvaux, Epistola ad Henricum Senonensem archie-piscopum (ff. 83va-94vb), De considerazione ad Eugenium (ff. 95ra-133va), De diligendo Deo (ff. 133va-147va), Apologia (ff. 147va-158ra), che corrisponde in buona sostanza all’item sommariamente descritto nel testamento di Mandolo come Pastoralia beatorum Gre-gorii et Ambrosii et scripta beati Bernardi abbatis Clarevallis que in eodem volumine continentur.

5 GAVINELLI 2001; EAD. 2000, pp. 374-384; FROVA 1994. 6 Cf. obiit nel necrologio Vercelli, Biblioteca Capitolare, XXXIII, f. 129r. Il testamento,

insieme a una copia autentica, è conservato in Vercelli, Archivio Capitolare, Atti privati (1210-1211), Cartella XIV. Il testo è pubblicato in PASTÈ 1915, pp. 208-209.

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A ulteriore riprova del nesso esistente tra il manoscritto CXXXI e il lascito di Mandolo si può anche osservare che il testamento del-l’arciprete è stato vergato nel margine inferiore ed esterno del verso della prima guardia del CXXXI stesso e che la trascrizione sembra essere attribuibile ad una mano dei primi del secolo XIII del tutto affine a quella che ricorre anche in un altro codice donato da Man-dolo agli arcipreti eusebiani, ossia il necrologio ms. XXXIII, (e.g. a f. 128r in un obiit del 1214).

Sembra dunque possibile ricollegare il codice CXXXI all’am-bito eusebiano ab antiquo. Non risulta invece altrettanto chiaro quan-do e secondo quali modalità la collezione libraria degli arcipreti ver-cellesi, di cui il codice in questione faceva parte, sia stata unita a quella vescovile se è vero, come è stato ipotizzato7, che almeno ini-zialmente biblioteca episcopale e biblioteca degli arcipreti fossero due realtà distinte.

Il riscontro con i più antichi inventari utili della libraria di Sant’Eusebio a Vercelli fornisce, tuttavia, informazioni preziose a tale proposito. Di quest’ultima esistono, come è noto8, oltre a un primo scarno inventario della prima metà del secolo XII, due in-ventari più tardi: il primo (incompleto) della prima metà del secolo XIV e un secondo del 1426. Il ms. CXXXI sembra riconoscibile in entrambi: nel primo, all’ultimo banco, sotto la descrizione Pasto-ralia sanctorum Gregorii et Ambrosii et scripta beati Bernardi; nel secondo, sotto la descrizione Item liber Gregorii regule pastoralis scriptum in carta cum duobus asseribus coperti de corio albo9. Se tale identificazione fosse corretta10, il manoscritto risulterebbe confluito

7 Circa la possibilità dell’esistenza di più biblioteche intorno alla basilica di S. Eusebio vd. FERRARIS 1995, p. 109 n. 16.

8 GAVINELLI 2000, pp. 378-384. 9 Vd. rispettivamente FERRARIS 1995, p. 262 nr. 44 e p. 264 nr. 23. 10 Ferraris esprimeva qualche perplessità circa la possibilità di riconoscere i codici la-

sciati da Mandolo nella Biblioteca Capitolare così come descritta del 1426 a causa della imprecisione dei titoli riportati dall’inventario. FERRARIS 1995, p. 109 n. 16.

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nella biblioteca, futura Capitolare di Vercelli tout court, già nella prima metà del secolo XIV11.

Delle coperte «de corio albo», tuttavia, il codice CXXXI non riporta alcuna traccia. La legatura attuale del codice è del tutto af-fine a quella di gran parte dei codici appartenenti alla Biblioteca Capitolare12: si tratta di una legatura in mezza pelle, su tre doppi nervi in pelle allumata attribuibili al secolo XV-XVI, su spesse assi di legno (forse non coeve) con dorso settecentesco in cuoio bruno rossiccio. La forte tendenza a stingere del cuoio bruno rossiccio usato per foderare il dorso di questo manoscritto e di molti altri della Capitolare ha comportato la presenza, nelle carte immedia-tamente a contatto con i contropiatti, di macchie brune di forma esattamente corrispondente a quella degli orli della coperta ribat-tuti sui contropiatti stessi.

Nei manoscritti, dove non vi erano guardie di protezione, le macchie hanno interessato direttamente il blocco dei fogli e solo suc-cessivamente (tardo Ottocento) sono stati inseriti tra le carte mac-chiate del blocco dei fogli e i contropiatti stessi fogli di guardia pro-venienti da manoscritti liturgici di origine locale13. Nei manoscritti come il codice CXXXI, dove le guardie erano già presenti, le mac-chie invece hanno interessato queste ultime.

Tale dettaglio non è di poco conto poiché permette di rico-struire con buona approssimazione la presenza e la posizione delle guardie nel manoscritto CXXXI a partire probabilmente dal secolo XVII, ossia dall’epoca in cui venne rivestito con l’attuale legatura. È possibile ipotizzare, infatti, che al tempo della sua rilegatura il

11 Il mancato riferimento all’opera di Bernardo di Chiaravalle nell’inventario del 1426 non sembra indebolire l’ipotesi di identificazione, dal momento che nelle caselle dello stesso dorso, probabilmente settecentesco, del codice CXXXI, è tracciato il solo titolo «Liber / Pa-storalis / S. Gregorii Papae».

12 Vd. descrizione delle legature antiche non originali che sostituiscono – almeno in parte – quelle descritte nell’inventario del 1426 in MALAGUZZI 1998, pp. 14-15, 28-29 e in UGGÈ 2005, passim (e.g. scheda nr. XIV).

13 È il caso, ad esempio, di quanto accade nel ms. Vercelli, Biblioteca Capitolare, CI. Tali guardie aggiunte non appaiono macchiate, segno che quello della perdita di colore era oramai un fenomeno esaurito nel tempo.

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codice recava oltre alla guardia iniziale, quella cioè con il testa-mento di Mandolo ricopiato nei margini, anche le attuali due carte di guardia finali. Le tre guardie, infatti, recano tutte tracce evidenti della tinta bruna degli orli della coperta ribattuti sui contropiatti. Più precisamente, dalla forma e dall’intensità di colore delle mac-chie – una sorta di offset degli orli della coperta – si può dedurre che la guardia con il frammento del De divisione fosse la prima delle due guardie finali e che fosse stata collocata con il verso an-teposto al recto oltre che con la scrittura rovesciata. Non è dato sa-pere, tuttavia, se già in quest’epoca il foglio di guardia contenente il frammento di Boezio fosse staccato o meno. In effetti, la ricerca sul foglio di fori di cucitura corrispondenti a quelli che interessano il blocco del codice non ha dato un esito pienamente soddisfa-cente: ne risultano rilevabili solamente due su tre14. Gli altri due fogli di guardia (l’iniziale e il secondo finale) sono invece tuttora saldamente ancorati al blocco.

Nella Descrizione dei codici esistenti nell’archivio Capitolare di S. Eusebio in Vercelli compilato dal canonico archivista Pietro Canetti nel decennio 1878-1888 a proposito del manoscritto CXXXI si trova (p. 202):

In un foglio staccato, e posto dentro questo codice per essere con-servato, si legge un brano di Severino Boezio come si raccoglie verso il fine del foglio: Severini Boetii Quintus explicit. Incipit Communis speculatio.

Evidentemente nella seconda metà dell’Ottocento, quando Ca-netti descriveva i codici della Capitolare, il foglio con il frammento boeziano era sciolto e così sarebbe rimasto sino ai nostri giorni. Quanto alla sua disposizione, le tracce lasciate da insetti xilofagi che attaccarono in simultanea l’asse posteriore e le due guardie finali del

14 La disposizione di questi fori, corrispondenti alla cucitura del doppio nervo di testa e di piede, conferma tra l’altro la posizione rovesciata del foglio.

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manoscritto non lasciano dubbi: sequenza corretta recto-verso e scrit-tura non rovesciata.

Sebbene non si abbiano dati su quando il foglio in questione sia stato ‘integrato’ nel manoscritto CXXXI15, è certo tuttavia che esso ne abbia fatto parte e da molti secoli. La constatazione è importante in considerazione dell’interesse del frammento in sé.

Il foglio misura mm 293 × 202. È in pergamena molto spessa, giallastra con evidenti tracce dei follicoli e lisières. La rigatura è stata eseguita a secco con incisione sul lato pelo con l’ausilio di uno stru-mento che ha lasciato un solco assai largo e profondo. La lunghezza delle righe, debordanti oltre la giustificazione, è assai variabile. I fori guida per la rigatura non sono visibili. Lo specchio rigato, definito da linee di giustificazione singole, misura mm 11<252>30 × 14<171>17 e conta 45 righe. La scrittura inizia al di sopra del primo rigo e lo segue spesso con andamento incerto.

La scrittura è tracciata da una sola mano che usa una penna dalla punta tagliata al centro e sottile nonché inchiostro di colore bruno sia per il testo che per il titulus e le litterae notabiliores. Il modulo è me-dio-piccolo, il ductus posato, l’andamento quadrilineare molto accen-tuato e la spaziatura tra le parole sostanzialmente rispettata.

Si tratta, per il testo, di una carolina nervosa con forme angolose e notevoli sedimenti di ascendenza insulare come dimostra l’analisi delle singole lettere, del tratteggiamento generale, delle abbreviazioni e della tipologia di errori attestati. Si vedano in particolare: l’uso della f onciale (e.g. a f. I’v rigo 28), della g semionciale (e.g. a f. I’r. rigo 36, 37, 40; a f. I’v rigo 10), delle m, n spezzate (a f. I’v rigo 28), della n onciale (e.g. a f. I’r rigo 32); della p aperta e angolosa (e.g. a f. I’r rigo 29, 33; a f. I’v rigo 13), della q acuta (e.g. a f. I’v rigo 16); le aste di d, l che terminano con ispessimenti a frusta che talora sem-brano incerti denti di lupo (f. I’r rigo 25, 29); il tratteggiamento ge-

15 La medesima considerazione vale anche per il secondo foglio di guardia finale: ri-gato a secco su pergamena assai diversa per colore e consistenza da quella del foglio con il De divisione, privo di scrittura ad eccezione delle parole aggiunte sul verso ‘[e]cclesie Aqui-legien[sis]’ di mano del sec. XIV.

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nerale dritto, serrato e alquanto spigoloso; la normale presenza delle abbreviazioni tipicamente insulari per enim, est e vel (e.g. a f. I’r rigo 32 e 33; I’v rigo 1, 6, 33); il raddoppiamento della s in ostenssum per ostensum corretto su ostendum a f. I’r rigo 36). Per il titulus (f. I’v rigo 42-43) è stata invece usata una maiuscola ibrida, a tratti rifatta su un modello in capitale rustica (E, T, R) e a tratti di ispirazione onciale o semionciale (G, V).

Il foglio con tutta evidenza sembra essere stato recuperato da un codice di qualità mediocre e vergato da una mano poco calligrafica sebbene attenta alla correttezza del testo16.

La ricerca di altri frammenti dello stesso manoscritto tra le guar-die dei codici della Capitolare di Vercelli17 e nel faldone contenente i frammenti staccati dalle legature dell’Archivio o da quelle librarie in occasione degli ultimi restauri non ha dato esito favorevole, così co-me è abortito il confronto con altri codici della stessa Biblioteca alla ricerca di eventuali somiglianze. Si potrebbe forse cogliere una certa affinità tra la mano del frammento in questione con quella che ha vergato il manoscritto Vercelli, Biblioteca Capitolare LXXX che Si-mona Gavinelli18 descrive come una carolina attribuibile all’Italia nordoccidentale e al secolo IX, ma quest’ultima manca di qualsiasi evidente influsso insulare. Negativi altresì sono stati i confronti con diversi prodotti attribuiti agli scriptoria altomedievali attivi a Novara, Tortona, Pavia, Ivrea, Bobbio, Milano.

Nella impossibilità, allo stato attuale, di trovare termini di con-fronto più precisi per questa mano così individuale nella sua sintesi tra elementi carolini ed insulareggianti, una mancata attribuzione topica e

16 L’uso dei dittonghi, di ph e di y è in genere competente e diversi sono gli interventi di revisione di prima mano: f. I’r rigo 36, 43 e f. I’v rigo 3, 14, 27, 28.

17 Il tempo a mia disposizione in situ, tuttavia, non mi ha permesso un esame molto approfondito. Mi sono basata per questo aspetto della ricerca soprattutto sulle esistenti descrizioni dei manoscritti ad uso interno della Biblioteca gentilmente messe a mia di-sposizione dal conservatore, Timothy Leonardi. Colgo l’occasione per ringraziarlo del-l’aiuto competente offertomi.

18 GAVINELLI 2007, p. 61.

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una datazione ‘larga’, compresa tra il tardo IX e tutto il X secolo po-trebbero quindi non essere del tutto fuori luogo.

Da un punto di vista testuale, l’interesse del foglio è molteplice. Esso contiene la sezione finale del De divisione (inc. ‘vel quando nisi determinatione non noscitur’; expl. ‘brevitas patiebatur diligenter expres-simus’)19 inframezzata da un frammento dei Topica di Aristotele (inc. ‘praedicaretur de his de quibus’; expl. ‘non participat genere’)20 segui-to dall’incipit della Communis speculatio de rethoricae cognatione (inc. ‘Quanta sibimet ars rethorica’; expl. ‘errorem divisa de singulis’)21.

Già nel 1958 Lorenzo Minio Paluello dimostrò che assai presto nella storia della trasmissione del De divisione un bifolio dei Topica aristotelici si trovò erroneamente inserito in un fascicolo, contami-nando così tutta la tradizione del testo boeziano22. Ad oggi non sono noti manoscritti che si possono far discendere sicuramente da un ra-mo della tradizione esente da tale interpolazione: i più antichi te-stimoni esaminati da Magee per la sua edizione del De divisione – databili tra la seconda metà del secolo X e il secolo XI e derivanti dalle scuole del tardo secolo X – sono infatti anch’essi riconducibili al ramo ‘contaminato’23. Parimenti, anche il frammento contenuto nel manoscritto CXXXI presenta tracce cospicue della medesima in-serzione: la sezione dei Topica compresa nel testo del frammento vercellese corrisponde interamente alla porzione contenuta nel se-condo folio del bifolio ipotizzato da Minio Paluello e non reca al contempo alcuna traccia di espunzione.

In una fase molto alta della storia della trasmissione dell’opera di Boezio – a giudizio di Magee forse tra il 525 e il 590 e nello stesso Vivarium – furono inoltre raccolte insieme le monografie boeziane concernenti la dialettica (De differentiis topicis, De divisione, Intro-

19 PL 64, coll. 889B-892A. La sezione nell’edizione curata da Magee Boethii De di-visione liber, si trova alle pp. 44, r. 2 - 50, r. 5.

20 PL 64 col. 944B-D. La sezione nell’edizione dell’Aristotele latinus MINIO PA-LUELLO 1969, si trova alle pp. 184, r. 7 - 85, r. 5.

21 PL 64, col. 1217, 1. 22 MINIO PALUELLO 1958. 23 Boethii De divisione liber, p. 64.

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ductio in syllogismos categoricos, De syllogismis categoricis, De syllogismis hypotheticis), tre brevi testi tratti dal De differentiis topicis e la Com-munis speculatio de rhetorica cognatione24. Nel corso dei secoli IX e X, tuttavia, quando si rinnovò l’interesse per l’opera di Boezio e si riprese a leggerla, collazionarla e copiarla «the corpus of monographs, along with the ancient index, collation notes, etc., began to disintegrate as individual works were selected for copying and others were left out»25. Gli estratti (superflui rispetto al De differentiis topicis in versione in-tegrale) e la Communis speculatio (una mera ‘lecture note’) in questo processo furono ben presto ‘scartati’ dalla tradizione: tra i dodici testimoni antichi del corpus delle monografie boeziane esaminati da Magee, ad esempio, solo tre presentano la Communis speculatio26. Come si è visto, invece, quest’ultima è regolarmente attestata nel frammento del manoscritto CXXXI.

Il frammento vercellese riporta, dunque, ad una fase della tra-dizione del De divisione di Boezio in cui era possibile che questo cir-colasse ‘contaminato’ dall’inserzione di brani dei Topica aristotelici e accompagnato da tipologie testuali destinate ben presto a perdere interesse per i più. La datazione al tardo secolo IX o secolo X pro-posta su base paleografica non sembra quindi contraddire quanto emerge dall’analisi dei contenuti.

Anche una eventuale presenza ab antiquo del frammento a Ver-celli non parrebbe del tutto priva di fondamento. Si è visto, infatti, come il foglio contenente il frammento del De divisione sia stato im-piegato come guardia – almeno dal secolo XVIII – di un mano-scritto sicuramente appartenuto al peculio librario eusebiano a par-

24 Si è conservata traccia di questa operazione in un indice collocato in testa al De dif-ferentiis topicis e presente nei manoscritti Orléans, Bibliothèque municipale, 267 (pro-babile sec. X seconda metà), Paris, Bibliothèque nationale de France, n.a.l. 1478 (tardo sec. X), Valenciennes, Bibliothèque municipale, 406 (secc. X-XI) e Montecassino, Ar-chivio dell’Abbazia, 191 (sec. XI). Vd. MAGEE 1994, pp. 3-7; Boethii De divisione liber, pp. 60-74.

25 Boethii De divisione liber, p. 74. 26 Si tratta dei codici: Chartres, Bibliothèque municipale, 100 (secc. X-XI), Città del

Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 8591 (sec. XI); Paris, Bibliothèque na-tionale de France, lat. 11127 (secc. X-XI). Vd. MAGEE 1994, 2, 6-7, 46.

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tire dall’inizio del secolo XIII. Se anche il frammento in questione fosse stato aggiunto al codice CXXXI, successivamente alla sua rile-gatura risalente ai secoli XV-XVI, è però assai probabile che esso sia stato recuperato da qualche manoscritto conservato localmente, ma-gari in cattive condizioni e destinato a fornire materiale di reim-piego. Lo stesso inventario del 1426 elenca diversi codici di con-tenuto affine e in precarie condizioni di conservazione:

Item liber de aliquibus terminis loycalibus scriptus in carta, cum se-miasseribus ligatus sine eius principio sive modicis valoris;

Item liber retorice scriptum in carta sine asseribus et cohopertura;

Item liber super Porfirio, scriptum in carta sine asseribus27.

A giudizio di Simona Gavinelli, fu proprio «lo stato desolato delle legature» dei manoscritti della Capitolare a far sì che nel corso del secolo XV fosse necessario provvedere ad una loro massiccia so-stituzione28.

Vercelli, per posizione geografica e per vari avvenimenti di ca-rattere storico politico, godette nel tardo secolo IX e nel X di un ruolo di rilievo nel regno d’Italia: la città apparteneva alla provincia ecclesiastica facente capo a Milano; non distava molto dalla stessa capitale del regno, Pavia; era centro di un comitato direttamente gestito dalla marca di Ivrea che controllava a sua volta i passi alpini verso la Borgogna; si trovava lungo il percorso di uno dei due iti-nerari che permettevano ai pellegrini di attraversare la pianura pa-dana29.

Non si può ritenere casuale, quindi, la presenza in quegli anni a capo dell’episcopio cittadino di figure di sicuro rilievo ‘internazio-

27 FERRARIS 1995, pp. 266 nr. 48, 267 nrr. 67 e 74. 28 GAVINELLI 2000, p. 383 n. 34. 29 GANDINO 2004, p. 83; DELOGU 1994, pp. 330-333; GAVINELLI 1988, p. 350 do-

ve vengono brevemente indicate le tappe di questo itinerario (Moncenisio, Ivrea, Vercelli, Novara, Milano) e il suo punto di incrocio (Milano) con l’altro (S. Gallo, Milano, Pavia, Piacenza, Bobbio).

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nale’ quali Liutwardo (880-899), Attone (924-960) e Leone (999-1026)30 che arricchirono la collezione libraria locale con i loro doni e committenze aprendola così alle mode, alle idee e ai nuovi interessi circolanti in centri culturali anche lontani31.

Sono ben noti, ad esempio, gli scambi di libri intercorsi nell’ul-timo decennio del secolo IX tra il vescovo di Vercelli e abate di Bobbio Liutwardo – già arcicappellano oltre che arcicancelliere di Carlo il Grosso – e il bibliotecario dell’abbazia di San Gallo Notkero Balbulo. Quest’ultimo, tra l’altro, gli dedicò sue opere quali la ce-lebrazione storiografica dei Gesta Karoli Magni imperatoris e il re-pertorio noto come Liber hymnorum32. Qualche anno più tardi fu, invece, il vescovo Attone, di origine milanese, a promuovere la circo-lazione libraria nell’episcopio, donando libri propri e commissio-nandone altri: si trattò perlopiù di testi consoni ai suoi interessi di studioso di diritto canonico e di esegeta biblico33. Da ultimo, all’ini-zio dell’anno Mille, con il lascito di una decina di codici da parte del vescovo Leone a Sant’Eusebio, affluirono a Vercelli esemplari caro-lingi e ottoniani di produzione transalpina. La circostanza si spiega facilmente, del resto, se si considera che Leone era di origine ger-manica, ricoprì importanti ruoli istituzionali presso la corte dell’im-peratore Ottone III prima di essere investito del vescovato di Vercelli nel 999, mantenne questi legami anche successivamente ed era soprattutto un accanito lettore e postillatore di testi. Tra i codici pervenuti a Vercelli durante il suo episcopato vanno annoverati un Evangeliario di origine bavarese (il ms. Vercelli, Biblioteca Ca-pitolare CXXXIV) e un Sacramentario (il ms. Vercelli, Biblioteca Capitolare CLXXXI) dato in dono o in pegno da Enrico, vescovo di Würzburg (995-1018)34.

30 GANDINO 1998. 31 Per un inquadramento più generale sul tema vd. da ultimo GAVINELLI 2009. 32 GAVINELLI 2001, pp. 239-240. 33Ibid. 34 CASTRONOVO 1994, p. 316.

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San Gallo, Bobbio, Würzburg – tutte fondazioni religiose di ascendenza insulare – tra la fine del secolo IX e il X furono, come è noto, importantissimi centri di rinascita culturale. A San Gallo, a ca-vallo dei secoli IX e X, Notkero Balbulo tradusse in alto tedesco al-cune opere dell’Organon aristotelico quali le Categoriae e il De inter-pretatione, conosciute in latino grazie alla traduzione boeziana, e pro-vò a ricostruire idealmente la successione dei testi dell’intero corpus di Boezio nonché ad arguire da opere di Boezio note, quali l’In To-pica Ciceronis, possibili paralleli contenuti in altre sue opere, cono-sciute soltanto tramite tradizione indiretta (e.g. il De topicis diffe-rentiis e il De syllogismis hypotheticis)35. Non sembra, tuttavia, che Notkero avesse conoscenza diretta del De divisione. A parte forse qualche eccezione, ciò sarebbe accaduto solamente alcuni anni più tardi con Gerberto d’Aurillac che, come riporta Richerio suo disce-polo a Reims sul finire del secolo X, fu tra i primi ad avere letto di-rettamente il De divisione e le altre monografie di Boezio: Gerberto, tra le altre cose, aveva conosciuto Leone prima che fosse nominato vescovo di Vercelli, fu nominato abate di Bobbio nel 982 e vi ri-siedette per qualche mese, dedicandosi allo studio e alla scoperta di manoscritti contenenti testi nuovi. Tra questi si annovera, forse, an-che un testimone del De astronomia di Boezio, ora andato perso36.

Fu, poi, proprio tra San Gallo e Würzburg che durante il secolo X ripresero a circolare opere sino ad allora ‘scomparse’ in forma diretta quali la Rhetorica ad Herennium e il De inventione di Cice-rone37: la conoscenza di esse, ad esempio, da parte di Gunzone, un intellettuale novarese cui lo stesso Attone vescovo di Vercelli si era rivolto per avere chiarimenti su una questione di diritto canonico, si può ipotizzare derivi da una sua permanenza a San Gallo tra il 964 e il 96538.

35 MAGRINI 2008, p. 298. 36 Cf. la lettera 15 del 22 giugno 983 ( 1961). 37 WINTERBOTTOM 1986. 38 GAVINELLI 1991, p. 263.

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I contatti e gli scambi tra la Svizzera, la Baviera e l’Italia nord-occidentale erano non soltanto resi possibili dalla vicinanza, ma an-che favoriti dal sistema delle nomine e dei movimenti dei prelati da Sud verso Nord e viceversa39 e dall’attrazione per le scuole d’Ol-tralpe da parte dei grammatici delle città italosettentrionali40. A ciò va necessariamente aggiunto anche l’apporto determinato dall’af-flusso dei pellegrini, spesso irlandesi o comunque di origine insu-lare, che si fermavano lungo gli itinerari padani sopra accennati do-ve Milano, Vercelli, Bobbio, ad esempio, erano tappe quasi obbli-gate41.

Del resto, già in virtù del capitolato olonese dell’anno 825 in cui Pavia, capitale del Regnum, viene individuata quale centro di studi per gli studenti di Milano, Brescia, Lodi, Bergamo, Novara, Vercelli, Tortona, Acqui, Genova, Asti e Como, era stato garantito in qual-che modo lo scambio culturale tra le diverse aree dell’Italia nord-occidentale. Come obietta Francesco Lo Monaco, non è ben chiara la reale portata di tale decisione42, ma è sicuro tuttavia che almeno per un certo periodo insegnanti ed allievi si mossero da più parti per confluire a Pavia. È risaputo che qui all’inizio del secolo IX era attivo il magister Dungal, un irlandese inviato nella capitale del Regnum per insegnare esegesi scritturale e proprietario di una ricca biblioteca – poi lasciata a Bobbio –, costituita in buona parte di codici in mi-nuscola carolina spesso originari da Saint-Denis, nella Francia del

39 FERRARI 1991. 40 Oltre al già menzionato Gunzone, recatosi a San Gallo poco dopo la metà del se-

colo X, si può ricordare a tale proposito anche il grammatico novarese Stefano, maestro a Würzburg, tornato a Novara e responsabile della rinascita della scuola della città intorno al 970. GAVINELLI 1991, p. 264.

41 Sull’importanza di Vercelli nell’alto Medioevo come punto di scambio e di sosta sulla via dei pellegrinaggi per Roma vd. DOLCETTI CORAZZA 1998. A tale ruolo giocato dalla città si attribuisce, ad esempio, la presenza nella Biblioteca Capitolare del cosiddetto Vercelli Book del tardo secolo X (Vercelli, Biblioteca Capitolare, CVII), almeno dal se-colo XII. Si tratta di un codice del tardo secolo X che costituisce un testimone tanto pre-zioso quanto raro della produzione poetica anglosassone altomedievale: GANDINO 1998, p. 33 n. 59. Sul possibile ruolo giocato dalla presenza irlandese a Milano e sui rapporti di quest’ultima con la fondazione monastica insulare di Bobbio vd. GAVINELLI 1988.

42 LO MONACO 1981, p. 10.

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Nord, e non esenti in qualche caso dall’influenza della minuscola in-sulare43.

Una eventuale presenza ab antiquo a Vercelli del codice conte-nente il foglio del De divisione in esame potrebbe essere messa in relazione con il contesto appena delineato: in un ambiente come quello vercellese, aperto alle suggestioni provenienti dai centri cul-turali più attivi del tempo e attraversato da uomini ed idee di cul-tura insulare, essa non parrebbe affatto fuori luogo.

43 FERRARI 1972, pp. 35-37.

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RATT ATTIN

Fig. 1 – Vercelli, Biblioteca Capitolare, CXXXI, guardia finale, recto

MAGRINI UN POCO NOTO FRAMMENTO ALTOMEDIEVALE

MAGRINI UN POCO NOTO FRAMMENTO ALTOMEDIEVALE

Fig. 2 – Vercelli, Biblioteca Capitolare, CXXXI, guardia finale, verso

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GEMMA GUERRINI FERRI Tessere per un puzzle: i manoscritti dei Trionfi di Francesco Petrarca p. 102 RENZO IACOBUCCI Osservazioni sul compendio volgarizzato del Regimen Sanitatis e sul Libro de li antichi facti de li gentili o de li pagani (Napoli, Biblioteca Nazionale, XIV G 11/4-5) p. 10 ANNIBALE ILARI L’oratorio di Santa Margherita secus muros s. Iohannis. Ricerca storico-bibliografica p. 10 MARCELLA ILARI Ercole Bottrigari traduttore del De musica di Boezio. Il Proemio p. 111 SILVIA MADDALO Una libraria più degna che sia mai stata fatta. Ovvero: intorno alla formazione della collezione urbinate p. 1133 SABINA MAGRINI Un poco noto frammento altomedievale del De divisione di Boezio (Vercelli, Biblioteca Capitolare, CXXXI) p. 11

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MANUELA MARI Culti e identità (mutanti) di una polis greca: il caso di Anfipoli p. 1169 JEAN-MARIE MARTIN Quelques réflexions sur les relations entre le Mont-Cassin et San Vincenzo al Volturno p. 1227 LUISA MIGLIO Caterina degli Alberti Corsini. Notizie inedite (e non) p. 12 MASSIMO MIGLIO Frammenti contemporanei. 1952-1956 p. 126 ALFREDO MARIO MORELLI Guglielmo da Pastrengo e i codices Catulliani antiquiores: un riesame p. 12 PIERO MORPURGO L’amoroso affanno: armonie e disequilibri delle passioni p. 13 LAURA MOSCATI Sulla libertà contrattuale tra Code de Commerce e Codice italiano del 1882 p. 13 MICHELE NAPOLITANO Tragedia greca e opera in musica. Note in margine a un matrimonio mancato p. 13 ERICA OREZZI L’inventario dei libri commissionati dall’abate Desiderio: considerazioni su alcune identificazioni p. 13 GIULIA OROFINO Le vie delle Bibbie. Da Tours a Roma (e ritorno) p. 139

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MARINA PASSALACQUA Gerberto di Aurillac e dintorni p. 1413 STELLA PATITUCCI UGGERI Paolo e Tecla nell’iconografia di età paleocristiana p. 14 FRANCA PETRUCCI NARDELLI Testi e legature p. 1443 EUGENIO POLITO Il complesso archeologico di Cassino: uno sguardo d’insieme nel segno di Ummidia p. 1453 ANNA PONTANI Silvio Falcone e Michelangelo: un ‘garzone’ a margine della ‘tragedia della sepoltura’ p. 146

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