Officine epigrafiche per un colombario, in L’officina epigrafica romana. In ricordo di Giancarlo...

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MARIA GRAZIA GRANINO CECERE OFFICINE EPIGRAFICHE PER UN COLOMBARIO Nell’estate del 1984 a Roma, nella Villa Doria Pamphilj, du- rante lavori di restauro e di adattamento della Palazzina dell’Al- gardi e delle aree ad essa adiacenti per la nuova funzione che le era stata assegnata di sede diplomatica per il periodo in cui sa- rebbe spettata all’Italia la presidenza della CEE, si rinvenne del tutto casualmente un colombario, dalla sobria ma assai gradevole decorazione musiva e pittorica, che sin dai primi momenti è stato denominato «di Scribonio Menofilo», per l’iscrizione in mosaico inserita nel pavimento (1). Il colombario viene a trovarsi nell’ambito della necropoli af- ferente all’antico tracciato della via Aurelia, nei pressi del luogo – villa Corsini – in cui Pier Santi Bartoli (2) ricordava il rinveni- mento di numerosi colombari andati al tempo distrutti e dove nel- la prima metà dell’800 si rinvennero sia il cd. piccolo colombario che il grande colombario Doria Pamphilj, le cui pareti affrescate sono state oggetto di mostre recenti a Roma (3). (1) F . CATALLI, Villa Pamphilj: una nuova scoperta archeologica, «Arch.Laziale», 8, Roma 1987, pp. 147-151; ID., La necropoli di Villa Doria Pamphilj, Suppl. Forma Urbis 5, Roma 1997; F . FERAUDI-GRUÉNAIS, Ubi diutius nobis habitandum est: die Innendekoration der kaiserzeitlichen Gräber Roms, Palilia 9, Wiesbaden 2001, pp. 43-45 e figg. 24-26 e da ultimo F. CATALLI., s.v. C. Scribonii Menophili monumentum, in Lex.Top. Urbis Romae. Suburbium, V, Roma 2008, pp. 49- 51. In particolare sui mosaici pavimentali C. CALCI, F. CATALLI, Pavimenti degli ultimi sepolcri scoperti nella necropoli di Villa Doria Pamphilj, in A. PARIBENI (a cura di), Atti del VII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Pompei, 22-25 marzo 2000, Ravenna 2001, pp. 293-310. Il monumento è attualmente in corso di studio per un’adeguata pub- blicazione a cura dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma e ho il piacere di far parte del gruppo di lavoro che a tal fine si è costituito, con il compito di prendere in esame la consistente e interessante documentazione epigrafica. (2) P.S. BARTOLI, Gli antichi sepolcri, overo mausolei romani et etruschi, trovati in Roma e in altri luoghi celebri, nelli quali si contengono molte erudite Memorie, Roma 1697, pp. IX-X e tavv. 3-24. (3) C. CARUSO ET ALII, Ut rosa amoena. Pitture e iscrizioni del Grande Colombario di Villa

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Maria Grazia Granino CeCere

offiCine epiGrafiChe per un ColoMbario

nell’estate del 1984 a roma, nella Villa Doria pamphilj, du-rante lavori di restauro e di adattamento della palazzina dell’al-gardi e delle aree ad essa adiacenti per la nuova funzione che le era stata assegnata di sede diplomatica per il periodo in cui sa-rebbe spettata all’italia la presidenza della Cee, si rinvenne del tutto casualmente un colombario, dalla sobria ma assai gradevole decorazione musiva e pittorica, che sin dai primi momenti è stato denominato «di Scribonio Menofilo», per l’iscrizione in mosaico inserita nel pavimento (1).

il colombario viene a trovarsi nell’ambito della necropoli af-ferente all’antico tracciato della via aurelia, nei pressi del luogo – villa Corsini – in cui pier Santi bartoli (2) ricordava il rinveni-mento di numerosi colombari andati al tempo distrutti e dove nel-la prima metà dell’800 si rinvennero sia il cd. piccolo colombario che il grande colombario Doria pamphilj, le cui pareti affrescate sono state oggetto di mostre recenti a roma (3).

(1) f. Catalli, Villa Pamphilj: una nuova scoperta archeologica, «arch.laziale», 8, roma 1987, pp. 147-151; id., La necropoli di Villa Doria Pamphilj, Suppl. Forma Urbis 5, roma 1997; f. Feraudi-Gruénais, Ubi diutius nobis habitandum est: die Innendekoration der kaiserzeitlichen Gräber Roms, palilia 9, Wiesbaden 2001, pp. 43-45 e figg. 24-26 e da ultimo F. Catalli., s.v. C. Scribonii Menophili monumentum, in Lex.Top. Urbis Romae. Suburbium, V, roma 2008, pp. 49-51. in particolare sui mosaici pavimentali C. CalCi, F. Catalli, Pavimenti degli ultimi sepolcri scoperti nella necropoli di Villa Doria Pamphilj, in a. Paribeni (a cura di), Atti del VII Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Pompei, 22-25 marzo 2000, ravenna 2001, pp. 293-310. il monumento è attualmente in corso di studio per un’adeguata pub-blicazione a cura dell’istituto archeologico Germanico di roma e ho il piacere di far parte del gruppo di lavoro che a tal fine si è costituito, con il compito di prendere in esame la consistente e interessante documentazione epigrafica.

(2) P.s. bartoli, Gli antichi sepolcri, overo mausolei romani et etruschi, trovati in Roma e in altri luoghi celebri, nelli quali si contengono molte erudite Memorie, roma 1697, pp. iX-X e tavv. 3-24.

(3) C. Caruso et alii, Ut rosa amoena. Pitture e iscrizioni del Grande Colombario di Villa

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un colombario come quello detto di C. Scribonius Menophi-lus, scavato e restaurato nel corso degli ultimi decenni e quindi secondo gli attuali criteri scientifici e per ben più della metà giun-to a noi nella sua condizione originaria, con le pareti in cui sono ancora leggibili i graffiti e spesso anche le iscrizioni dipinte sull’in-tonaco, con buona parte delle tabelle, di marmo o in terracotta ancora inchiodate o ammorsate sotto o nei rispettivi loculi, si offre all’epigrafista come un documento d’eccezione, stimolante per gli interrogativi che è in grado di suscitare e nello stesso tempo quale valido strumento per suggerire qualche risposta alle tante doman-de di quella che potremmo definire «l’epigrafia dei colombari».

nel cogliere l’invito che viene proposto in nome e in ricordo di un maestro quale Giancarlo Susini, che tale strada ha indicato e profondamente tracciato, è parso di qualche interesse la possibi-lità di individuare le diverse operatività di officine in un contesto epigrafico del tutto particolare come quello appunto di un colom-bario.

Sembra opportuno offrire preliminarmente uno sguardo d’in-sieme, seppur rapido, del monumento. Questo è strutturato in tre ambienti quasi del tutto sotterranei: uno, che chiameremo a (fig. 1), di più ampie dimensioni (4,85×3), sul quale si aprono altri due ambienti, b e C, di dimensioni pressoché uguali (2,10×1,10); solo di questi ultimi è conservata la volta a botte, mentre è perduta la copertura della stanza più ampia. in un primo tempo si doveva accedere al complesso tramite una scala lignea, che metteva in co-municazione l’ambiente a con una stanza sopraterra che potrem-mo definire di «servizio», destinata anche alle celebrazioni dei riti funebri. in un momento successivo, ma di poco, come la stessa documentazione epigrafica rivela, si decise di realizzare una scala (lungo la parete nord degli ambienti b e C), aprendo un varco nel vano C, scavando altre nicchie lungo un lato della scala e nella parete di fondo di quello che venne a formarsi quale ambiente D.

un calcolo approssimativo consente di attribuire al colom-bario, che nell’ambiente a prevedeva almeno 9 file di loculi, più

Doria Pamphilj, Milano 2008; S. tortorella, Colombari di Villa Doria Pamphilj a Roma: fram-menti di decorazione pittorica, in e. la roCCa, s. ensoli, s. tortorella, m. PaPini (a cura di), Roma. La pittura di un impero, Milano 2009, pp. 151-155 e 264-265. ampia bibliografia sul grande colombario è presente in r. linG, The painting of the Columbarium of Villa Doria Pamphili in Rome, in e.m. moormann (a cura di), Functional and spatial analysis of wall painting. Proceeding of the Fifth International Congress on Ancient Wall Painting. Amsterdam, 8-12 September 1992, leiden 1993, pp. 127-135.

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di 500 loci, e conseguentemente di considerarlo, come il vicino «grande colombario» rinvenuto ca. 150 anni prima, tra quelli di grandi dimensioni, destinato ad accogliere le ceneri di un note-vole numero di individui. appartiene, dunque, a quella tipologia di edilizia funeraria che vede i suoi primi esempi realizzati in età triumvirale o protoaugustea e che, a quanto sembra, appare ab-bandonata già in età flavia. anzi, come già indicato in uno studio di carattere generale a tale tipologia dedicato (4), il colombario di Scribonio Menofilo, con quello grande di Villa Doria pamphilj, può ascriversi tra quelli di carattere imprenditoriale, ovvero co-struiti per committenza di un singolo individuo o di un piccolo gruppo di consorziati, e in particolare tra i primi realizzati nel tempo fra quanti finora rinvenuti.

Ciò trova conferma nella documentazione epigrafica così

(4) m.G. Granino CeCere, C. riCCi, Monumentum sive columbarium libertorum et ser-vorum: qualche riflessione su motivazioni e successo di una fisionomia edilizia, in Epigrafia 2006. Atti della XIVe Rencontre sur l’Épigraphie in onore di Silvio Panciera con altri contributi di colleghi, allievi e collaboratori, Tituli 9, roma 2008, pp. 323-337.

fig. 1. roma, colombario detto di Scribonio Menofilo: ambiente a.

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come nella decorazione pittorica, quest’ultima parte integrante dell’impianto originario e molto simile nei due monumenti. il col-lega Thomas fröhlich, al cui studio è stata affidata, ha da tempo posto in risalto le significative somiglianze tematiche e stilistiche, con i dovuti limiti, tra il fregio figurato del colombario e alcuni elementi di quelli sotto la villa della farnesina, quando non anche con la sala delle maschere della casa di augusto (5). ora proprio un recente saggio di eugenio la rocca (6) invita ad anticipare di almeno un decennio questi insigni documenti della pittura roma-na rispetto alla data tradizionale e quindi agli anni ’30 a.C. Tale collocazione cronologica potrebbe ben rispondere a quanto sug-gerito dalla documentazione epigrafica pertinente al primo utiliz-zo del monumento in esame.

il piano originario del colombario, cui vanno riferiti sia la de-corazione pittorica che i pavimenti in mosaico, riguarda ovvia-mente anche l’inquadramento delle nicchie, simile a quello del cd. grande colombario: tabelle sono dipinte al di sotto dei loculi per indicarvi all’interno in colore rosso o nero i nomi dei defunti (fig. 2). la menzione progressiva dei loculi non era segnata, come talvolta è documentato per i grandi colombari urbani, da un nu-merale dipinto o graffito presso il loculo: qui sono i coperchi delle olle che recano, su una superficie appena scialbata, quando con-servata, il numero progressivo, numero che riparte dall’unità per ogni parete.

i testi epigrafici, come d’uso in questa tipologia di monumen-ti, si limitano a rivelare quasi sempre la sola onomastica dei defun-ti: si tratta in gran parte di individui di status libertino; pochissimi sono gli ingenui, solo tre casi certi su ca. 200, i cui nomi sono conservati; in numero non superiore appaiono gli schiavi.

per una realtà che potrebbe apparire di primo impatto tan-to definita almeno nell’aspetto sociologico e culturale, se non in quello cronologico, dal momento che i tempi d’uso possono dilatarsi a tutto il i sec. d.C. (7), ci attenderemmo un’uniformità

(5) t. FröhliCh, Le pitture del Colombario di C. Scribonius Menophilus a Roma, in a. Co-ralini ( a cura di), Vesuviana. Archeologie a confronto. Atti del Convegno Internazionale, Bologna, 14-16 gennaio 2008, bologna 2009, pp. 381-401.

(6) e. la roCCa, Gli affreschi della casa di Augusto e della villa della Farnesina. Una revi-sione cronologica, in e. la roCCa, P. leon, C. Parise PresiCCe, Le due patrie acquisite. Studi di archeologia dedicati a Walter Trillmich, bCom Suppl. 18, roma 2008, pp. 223-242.

(7) l’iscrizione che rivela nel testo il dato cronologico più recente è quella di uno Zmaragdus, Imp(eratoris) Titi Caesaris Aug(usti) ser(vus), morto all’età di 22 anni.

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di utilizzo dei vari loculi, cosa che sostanzialmente riscontrarono gli scopritori per il coevo cd. «grande colombario», dove i nomi dei defunti sono dipinti in rosso o in nero nelle relative tabelle e solo 4 nicchie erano corredate da una semplice tabellina in marmo (8).

in questo di Scribonio Menofilo vediamo invece l’attuarsi di una molteplicità di soluzioni, seppur discrete nel complesso, di certo in parte contemporanee, probabilmente dettate dalle diver-se possibilità economiche dei singoli o dal diverso impegno finan-ziario che ciascuno intese investire o da un più sentito desiderio di «personalizzare» la sepoltura in un monumento per definizione collettivo.

Talvolta il nome è stato semplicemente graffito in corrispon-denza della tabella, forse in via provvisoria, spesso poi divenuta definitiva; oppure una lastrina di marmo, anche di pregio, è stata ammorsata nello spazio racchiuso dalla tabella dipinta, o fissata

(8) Ch. hülsen, Le iscrizioni del Colombario di Villa Pamfili, «röm. Mitt. », 8, 1893, pp. 145-165.

fig. 2. particolare di una parete dell’ambiente a.

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fig. 3. loculo sigillato con lastra marmorea stondata superiormente.

fig. 4. loculo sigillato con lastra marmorea rettangolare.

fig. 5. loculo chiuso da toppa di malta rivestita di intonaco con iscrizione dipinta.

fig. 6. loculo chiuso da laterizio con iscrizione incisa.

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con chiodi per personalizzare e arricchire il loculo, come nel caso in cui è presente anche una piccola mensa.

una discreta percentuale di loculi sono stati invece sigillati con una lastra, realizzata in marmo bianco o colorato (fig. 3) ston-data superiormente, o rettangolare con o senza cornice, talvolta ammorsata su una toppa di malta (fig. 4).

altre due modalità di chiusura del loculo sembrano, poi, ca-ratteristiche del colombario in esame e in particolare relative alla sua prima fase d’uso, come possono indicare la paleografia, alcuni aspetti dell’onomastica dei defunti (9), il formulario usato (10). Si tratta dei casi in cui la nicchia è stata chiusa:

– o con una toppa di malta rivestita da un sottile strato d’in-tonaco, sul quale è stata dipinta l’iscrizione (fig. 5);

– o con un laterizio dalla forma centinata, sul quale l’iscrizio-ne è stata incisa e rubricata (fig. 6).

pur in tale varietà di soluzioni, che tra l’altro s’intrecciano con fasi cronologiche diverse, appare tuttavia possibile individua-re l’operatività di qualche bottega, e in particolare nelle prime fasi di utilizzo del colombario.

l’opera di uno specialista, talvolta di una stessa mano possia-mo riconoscere in alcune iscrizioni dipinte sia nelle tabelle desti-nate in origine a contenere i nomi dei defunti, sia nei testi dipinti sopra le toppe di malta con sottile intonaco. nel primo caso in più di una tabella si individua una mano esperta, come indica, pur nella difficoltà di lettura, l’impaginazione corretta del testo e l’uniformità di tratto delle lettere; e molte altre iscrizioni simil-mente dipinte, non sempre purtroppo leggibili, rivelano la mano dello scriptor, di chi era specialista della scrittura a pennello (11).

(9) Degni di nota in tal senso sono la mancanza di cognomina per individui di status li-bertino, la mancanza di aspirazione in nomi come Nicep(h)or, la frequenza dell’uscita in -aes del genitivo singolare della i declinazione (vd. m. leumann, J.b. hoFmann, Lateinische Laut- und Formenlehre, 5. auflage, München 1977, p. 419; V. Väänänen, Le latin vulgaire des inscriptions pompéiennes, berlin 1959, p. 83), il ricorrere stesso di alcuni gentilizi dal suono vagamente arcaico come Pinarius o Basilius. alcune di queste caratteristiche si riscontrano anche nel vicino cd. grande colombario, come notava, Chr. hülsen, art. cit., supra nt. 8, pp. 164-165.

(10) a tale prima fase d’uso si può ascrivere ad es. la formula ossa ... hic o heic sita (sunt) o la semplice indicazione ol(l)a(m) dat seguita dal nome di chi ha ceduto il loculo. Da non trascurare è la frequenza del theta nigrum (che compare nella documentazione urbana già nei primi decenni del i sec. a.C., vd. r. FriGGeri, C. Pelli, Vivo o morto nelle iscrizioni di Roma, Tituli 2, roma 1980, pp. 161-163 e 170) , dipinto o inciso prima o dopo il nome del defunto o semplicemente accanto al loculo.

(11) Sulla figura dello scriptor, che eseguiva su commissione iscrizioni dipinte e operante generalmente nelle officine lapidarie, vd. C. zaCCaria, Scriptor: lo scrittore che non deve scrivere, in m.G. anGeli bertinelli, a. donati (a cura di), Serta antiqua et mediaevalia VI. Usi e abusi

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Così, sebbene operante ad un livello qualitativamente inferiore, l’opera di uno stesso individuo si può riconoscere in almeno tre testi dipinti sulla toppa di malta a chiusura di alcuni loculi (12).

Del resto esperti di scrittura a pennello dovevano operare con frequenza nei colombari della necropoli aurelia, come suggeri-scono le numerose iscrizioni dipinte del cd. grande colombario e probabilmente di altri coevi, che dovevano trovarsi nei dintorni. non credo sia possibile dire, allo stato attuale delle nostre cono-scenze, se questi fossero «liberi professionisti» o individui ope-ranti nell’ambito di officine, anche eventualmente lapidarie.

passando poi dall’uso del pennello a quello dello scalpello, la documentazione epigrafica del nostro colombario consente di vedere come nell’officina si incidesse, certo, il materiale litico, ma non solo.

Considerando le poche tabelle marmoree decorate qui rin-venute, non più di una decina, noteremo che quattro tra queste si rivelano a due a due opera probabilmente di una stessa mano.

È direi scontato che appartenenti ad una stessa familia, in un lasso di tempo ravvicinato, si servissero di una stessa botte-ga, come rivelano gli elementi decorativi e l’incisione delle lettere di due tituli (figg. 7 e 8) relativi ad appartenenti a liberti di Titii Annii. le due tabelle, come si noterà, presentano una medesima soluzione decorativa: questa è molto semplice nella sua struttura, per cui dobbiamo presumere che se ne trovassero già pronte di

epigrafici, Atti del Colloquio Internazionale di Epigrafia Latina (Genova 20-22 settembre 2001), roma 2003, pp. 237-254, in part. pp. 244-245.

(12) Tutti acquistati, questi, come indica l’espressione DE seguita dal nome, sia da Possilla per sé e per il figlio, sia da Luxiaia dallo stesso Q. Basilius Q.l. Nicepor, proprietario di molte altre ollae nel colombario.

fig. 7. Tabella marmorea relativa a Titii Annii.

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simili in più luoghi. Ma entrambe presentano particolari che ne fanno, credo, opera di una stessa bottega, sia per l’aspetto deco-rativo che per quello epigrafico. Si noti a tal fine come il solco più interno della cornice sia superiore che inferiore si interrompa pri-ma dello spazio risparmiato per l’ansa laterale, come sia del tutto simile la forma dei segni d’interpunzione e come il solco e il tratto delle lettere (ad es. la V con l’asta sinistra che s’incurva lievemente verso l’esterno) e le apicature suggeriscano l’operatività persino di uno stesso individuo.

Ma legami familiari, almeno in base all’onomastica, non sem-brano aver avuto Crittia Anthusa (fig. 9) e Decimia Soteris (fig. 10):

fig. 8. Tabella marmorea di un T. Annius Lucriocon medesimi elementi decorativi della precedente.

fig. 9. Tabella marmoreadi Crittia Anthusa.

fig.10. Tabella marmorea di Decimia Soteris con me-desimi elementi decorativi della precedente.

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eppure per entrambe venne scelta una tabella marmorea dagli elementi decorativi del tutto simili. anche questi sono alquanto usuali, ma non è certo frequente il loro abbinamento, ovvero le pseudoanse decorate al loro interno da due solcature curve con-vergenti e l’inquadramento in basso con un semplice solco, in alto con un motivo a onde con anse ribattute da brevi solcature curve.

per quanti poi desideravano procedere alla chiusura delle nicchie ma non avevano la necessaria disponibilità economica o non erano disposti a spendere la somma necessaria per far inci-dere il nome del defunto su marmo, nel colombario di Scribonio Menofilo si offriva una soluzione meno costosa, ma ugualmente dignitosa e accurata. Qui sono state rinvenute a chiusura di loculi almeno una trentina di iscrizioni incise su laterizio, una soluzione che, per quanto ne so, in ambito urbano non trova riscontri.

Tra queste si propone all’attenzione quella di L. Medusius L.l. Faustus (fig. 11) (13). appare di particolare interesse poiché sono ben visibili sotto il testo inciso tracce chiare dell’ordinatio: una linea centrale e le linee guida a binario per disporre il testo su 4 righe; e nella parte destra si può notare anche il disegno di alcune lettere. l’ordinator in un primo momento sembra aver

(13) Misura cm. 18×17,5 ed ha uno spessore di 3,5.

fig.11. iscrizione sepolcrale di L. Medusius Faustus su laterizio.

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tracciato le lettere per indicare il nome del defunto al nominati-vo, come può notarsi dalla presenza di una I e una V disegnate tra le ultime tre lettere di MEDVSIO e il TVS sotto FAVSTI. e ciò non stupisce, poiché in queste iscrizioni, nonostante il ricorrente formulario ossa hic sita, il nome è indicato anche al nominativo oltre che al genitivo (14). Ma alla r. 2 il disegno di una O che si sovrappone a V e S indica un ripensamento; non può escludersi che sia avvenuto lo stesso nella riga precedente e che la O di MEDVSIO sia stata incisa sul disegno della lettera. in ogni caso le incertezze e forse le incomprensioni tra la fase dell’ordinatio e quella dell’incisione hanno condotto a un esito del nome, una volta inciso, di certo errato, con un gentilizio al dativo e un cognomen al genitivo: la rubricatura presente nelle lettere fa intendere che anche la committenza non dovesse avere grande dimestichezza con la scrittura.

Degna di nota è la forma di alcune lettere: la A e la V dai tratti molto divaricati, la S sbilanciata in avanti, le I quasi sempre mon-tanti, la D che sembra risentire della forma corsiva. Caratteristiche paleografiche, queste, che si ritrovano anche nelle iscrizioni di A. Curius Xseno (fig. 12) e di T. Cornelius Hilarus (fig. 13), simili anche nella distribuzione del testo, che presenta la medesima for-mula, mancante dell’ultima riga, SITA, per la quale, però, erano

(14) Vd. ad esempio, infra, i casi citati di A. Curius Xseno, Postumia Rufa e Valeria Nice.

fig. 12. iscrizione di A. Curius Xseno. fig. 13. iscrizione di T. Cornelius Hilarus.

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state delineate le linee guida. nell’iscrizione di Xseno si ha anche la linea verticale mediana.

allo stesso gruppo sembrano appartenere le iscrizioni di una Scribonia, di una Postumia Rufa (15), di una Valeria Nice. Quella di Scribonia è inserita nella stessa parete in cui su due chiusure in laterizio si ricorda come l’olla sia stata data da C. Scribonius: il formulario è diverso, ma vi è affinità di supporto e cronolo-gia. altre simili non presentano linee guida e palesano minor cura nella forma delle lettere; altre tre, tutte riferibili a Marcii Nassii, rivelano invece grande attenzione nella resa delle lettere, anche se di piccole dimensioni (fig. 14).

Dinanzi a questi documenti si pone inevitabilmente il dubbio se l’iscrizione sia stata incisa prima o dopo la cottura; con la con-seguente ricaduta che a livello di organizzazione del lavoro ciò può aver comportato. Qualche dato credo venga in aiuto per dare una risposta.

le chiusure non hanno tutte le medesime dimensioni, presen-tando un’oscillazione di 2-3 cm sia in altezza che in larghezza e spesso presentano una centina di forma irregolare: non sembrano dunque prodotti di uno stampo, quanto piuttosto frutto di mate-riale riadattato, ovvero ricavato da un laterizio di ampie dimen-

(15) Vd. fig. 6.

fig. 14. iscrizione di un esponente dei Marcii Nassii.

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sioni. lo spessore è consistente, prevalentemente sui 3 centimetri e mezzo, quando misurabile, e l’argilla appare molto depurata e compatta, come quella usata abitualmente per le tegole, il che può ben addirsi alla cronologia del monumento. le sottili linee incise presso il margine in alto a destra di un laterizio di chiusura del loculo di una Pinaria (fig. 15), sembrano resti di quelle tracciate, a quanto sembra, proprio per guidare il taglio della centinatura. Se poi si osserva l’ordinatio presente su un buon numero di do-cumenti, come abbiamo notato, non si può non far riferimento a quelle caratteristiche dell’incisione che rimandano all’esperienza lapidaria (16).

Di conseguenza, credo si possa affermare che le iscrizioni sono state incise dopo la cottura.

nel colombario sono presenti altre iscrizioni su chiusure in laterizio in cui il testo è stato più graffito che inciso. Ma si tratta solo di rari casi, forse due soltanto tra quanti rinvenuti, e non ca-sualmente destinati solo ad un uso «provvisorio», per indicare la proprietà di un loculo e forse non più sostituiti. l’uno è di Pos(s)illa (fig. 16) (la stessa di cui è noto il locus di sepoltura e quello del figlio, vd. nt. 12) ed il v(iva) che precede il nome non dà luogo ad

(16) Sembra difficile ammettere che le sottili linee guida potessero non subire alcuna modifica in fase di cottura e, d’altro canto, nel caso di un’incisione sull’argilla ancora fresca, sarebbe stato visibile un addensarsi del materiale di risulta del solco lungo i margini delle lettere.

fig. 15. laterizio di chiusura del loculo di una Pinaria, recante in alto forse tracce di lineeper guidare il taglio della centinatura.

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equivoci; l’altro di Cornelius Salvius, che ebbe sepoltura in uno dei loculi doppi dell’ambiente a.

la durezza e la compattezza dell’argilla usata può aver age-volato l’incisione certo non facile su tale materiale e la presenza dell’ordinatio che s’intravede in più documenti induce a supporre che abbia inciso il testo sul laterizio colui che abitualmente opera-va sul marmo. Ciò rivela in ogni caso da un lato la perizia del sin-golo incisore, dall’altro l’estrema «duttilità» dell’officina, in grado di soddisfare le più diverse esigenze, «pronta», come osservava Susini, «a elaborare con operatori diversi linguaggi diversi» (17).

(17) G.C. susini, Officine epigrafiche: problemi di storia del lavoro e della cultura, in actes de VIIe Congrès International d’épigraphie grecque et latine, Constantza, 9-15 septembre 1977, bucaresti-paris 1979, p. 45.

fig. 16. laterizio di chiusura con iscrizione graffita.