Un ministero degli esteri sui generis: la Giunta dei Confini della Repubblica di Genova
Foreign terrorist fighters: una nozione ai confini del diritto internazionale, in Federalismi.it...
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di Mirko Sossai Ricercatore confermato di diritto internazionale
Università degli Studi Roma Tre
Foreign terrorist fighters: una nozione ai confini del diritto
internazionale
2 5 S E T T E M B R E 2 0 1 5
Foreign terrorist fighters: una nozione ai confini del diritto
internazionale*
di Mirko Sossai Ricercatore confermato di diritto internazionale
Università degli Studi Roma Tre
Sommario: 1. Introduzione. 2. La necessità di aggiornare le misure antiterrorismo. 3. Il nuovo volto
della violenza jihadista: i foreign fighters. 4. Lo status giuridico dei foreign fighters nel diritto internazionale
umanitario. 5. Le nuove figure criminose previste nella ris. 2178 (2014). 6. Il paradigma della
prevenzione. 7. Osservazioni conclusive.
1. Introduzione
Con legge 17 aprile 2015 n. 43,1 il Parlamento ha convertito il decreto-legge in materia di contrasto al
terrorismo che il Consiglio dei ministri aveva adottato nel mese di febbraio.2 Si tratta un passaggio di
rilievo: rappresenta, a livello nazionale, la risposta immediata agli attacchi terroristici verificatisi a Parigi
agli inizi dell’anno, nel corso dei quali avevano perso la vita 17 persone. Tuttavia, le misure adottate –
sia l’introduzione di nuove figure di reato sia taluni strumenti preventivi – rispondono soprattutto
all’esigenza di non differire ulteriormente l’attuazione nel nostro Paese degli obblighi derivanti dalla
risoluzione 2178 (2014), con la quale il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha inteso affrontare il
dilagare del fenomeno dei foreign fighters.3 Va subito rilevato che la decisione del Consiglio qualifica
ulteriormente i combattenti stranieri come ‘terroristi’, caratterizzazione non priva di conseguenze
problematiche, soprattutto rispetto al coordinamento delle misure là contenute con le norme del diritto
internazionale umanitario. Occorre a tale riguardo sottolineare che la ris. 2178 deve essere inserita nel
contesto delineato in particolare dalle ris. 2170 (2014) e 2199 (2015), le quali contengono una serie di
* Articolo sottoposto a referaggio. 1 G.U. Serie Generale n. 91 del 20 aprile 2015. 2 Decreto legge 18 febbraio 2015 n. 7, in G.U. Serie Generale n.41 del 19 febbraio 2015. 3 UN Doc. S/RES/2178 (2014), 24 settembre 2014.
misure finalizzate primariamente a prosciugare le fonti di finanziamento dello Stato islamico in Iraq e
nel Levante (ISIL), che ha assunto il controllo ampi territori in Siria e in Iraq.4
La legge 43/2015 si allinea ad analoghe misure adottate da altri Paesi europei.5 A tal proposito, occorre
evidenziare che la decisione del Consiglio di sicurezza ha creato forti aspettative rispetto al ruolo che
l’Unione europea è chiamata a svolgere nel sostegno agli sforzi degli Stati membri, nell’armonizzazione
delle misure, nello scambio di informazioni e nella lotta all’estremismo e alla radicalizzazione. Nelle due
sessioni del Consiglio ‘Giustizia e affari interni’, tenutesi nell’ottobre e nel dicembre 2014, durante il
semestre di presidenza italiana, i ministri della giustizia e degli affari interni dei 28 membri avevano
sottolineato l’urgenza di compiere progressi in alcuni ambiti: sul versante preventivo, l’ultimazione dei
lavori sulla direttiva relativa ai dati del codice di prenotazione PNR (Passenger Name Record) e il
rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen; sul versante repressivo, la
necessità di emendare ulteriormente la Decisione quadro sulla lotta al terrorismo del 2002, per recepire
le nuove figure criminose previste dalla ris. 2178.6 Fattispecie che sono pure contenute in un protocollo
addizionale alla Convenzione sulla prevenzione del terrorismo, approvato dal Comitato dei ministri del
Consiglio d’Europa nel maggio 2015.7
2. La necessità di aggiornare le misure antiterrorismo
Il 24 settembre 2014, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel corso di un incontro presieduto
dal presidente statunitense Obama, ha approvato la ris. 2178, imponendo agli Stati l’adozione di misure
nei confronti dei ‘combattenti terroristi stranieri’. L’approccio globale della decisione, adottata in base al
Capitolo VII della Carta dell’ONU, poggia su tre pilastri: il contrasto alla radicalizzazione e
all’estremismo violento, mediante iniziative che coinvolgano la società civile degli Stati membri; le
misure di prevenzione in senso stretto, soprattutto rispetto ai controlli sul movimento dei sospetti
terroristi; la risposta giudiziaria, nel senso dell’anticipo della tutela penale, erigendo a reati atti c.d.
preparatori, ossia che precedono la commissione di un atto terroristico.
4 Sul tema delle fonti di finanziamento dell’ISIL si veda il rapporto del Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (GAFI): Financial Action Task Force, Financing of the terrorist organization Islamic State in Iraq and the Levant (ISIL), Paris, 2015. 5 Council of the European Union Doc. 5206/2/15, Criminal justice response to the phenomenon of foreign fighters - Compilation of replies, 16 marzo 2015. 6 V. Doc. 16526/14, Conclusioni del Consiglio ‘Giustizia e Affari Interni’, sessione n. 3354, 4-5 dicembre 2014. V. anche la Dichiarazione dei membri del Consiglio europeo alla Riunione informale dei capi di Stato o di governo Bruxelles, tenutasi il 12 febbraio 2015, http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2015/02/150212-european-council-statement-fight-against-terrorism. 7 CM(2015)61 final, 19 maggio 2015.
A ragione della qualificazione del terrorismo complessivamente inteso come minaccia alla pace e del
carattere generale degli obblighi previsti, la ris. 2178 (2014) è stata immediatamente accostata alle
precedenti risoluzioni 1373 (2001) e 1540 (2004). Si tratta di decisioni assai criticate dalla dottrina,
perché con esse il Consiglio di sicurezza avrebbe agito ultra vires, esercitando poteri legislativi non
previsti dalla Carta dell’ONU.8 Anzitutto si sosteneva che situazioni ‘astratte’, come il terrorismo
internazionale e la proliferazione di armi di distruzione di massa, non potessero in quanto tali ricondursi
alla nozione di minaccia alla pace in base all’art. 39 della Carta dell’ONU, e pertanto costituire il
presupposto dell’azione in base al Capitolo VII. Tuttavia, avevamo ritenuto che tale determinazione
rimanesse in realtà all’interno del margine di discrezionalità assegnato dalla Carta al Consiglio di
sicurezza e che l’art. 41 della Carta dell’ONU potesse in effetti costituire una base giuridica adeguata,
avendo rilevato il formarsi di un consenso intorno al fatto che il Consiglio stesso potesse emanare
misure urgenti, di natura vincolante e carattere generale, al fine di contrastare la grave minaccia alla pace
e alla sicurezza rappresentata dalle attività terroristiche di attori non statali su scala globale.9 Ma il
presupposto di tale tesi poggiava sul fatto che le ris. 1373 e 1540 essenzialmente riproducessero
obblighi precedentemente inseriti in trattati multilaterali, che gli Stati erano invitati a ratificare, come la
Convenzione contro il finanziamento del terrorismo. Più problematica risulta l’applicazione di questo
schema argomentativo alla ris. 2178, dal momento che non esisteva al momento della sua adozione
alcun testo pattizio in materia di combattenti stranieri. La risoluzione si ispira invece, in maniera
evidente, a un documento redatto su iniziativa dei governi del Marocco e dei Paesi Bassi, nel quadro del
Global Counter-Terrorism Forum, una piattaforma ‘informale’ di cooperazione multilaterale nel contrasto al
terrorismo: si tratta del Memorandum sulle buone pratiche per una più efficace risposta al fenomeno
del combattenti terroristi stranieri.10 Quasi che il Consiglio di sicurezza, nell’adottare la ris. 2178, abbia
in effetti agito alla stregua di un organo materiale della Comunità internazionale,11 esercitando così poteri
nuovi, non previsti dallo Statuto, al fine di fornire un ulteriore livello di legittimità o attuazione a misure
che gli Stati avevano già deciso per la gestione di interessi generali.12 Peraltro il progetto di risoluzione
8 Nella dottrina italiana si vedano ad es. V. R. CADIN, I presupposti dell’azione del Consiglio di sicurezza nell’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite, Milano, 2008, pp. 305-312; P. GARGIULO, Non-proliferazione delle armi di distruzione di massa e lotta al terrorismo, in S. MARCHISIO (a cura di), La crisi del disarmo nel diritto internazionale, nel quarto centenario della morte di Alberico Gentili, XIII Convegno SIDI, Napoli, 2009, p. 235 ss. 9 M. SOSSAI, La prevenzione del terrorismo nel diritto internazionale, Torino, 2012, pp. 49-53. 10 GCTF, The Hague-Marrakech Memorandum on Good Practices for a More Effective Response to the FTF Phenomenon, 19 settembre 2014, in http://www.thegctf.org. 11 E’ questa una possibile chiave interpretativa che si richiama alle note tesi di P. PICONE, ora in Comunità internazionale e obblighi “erga omnes”, III ed., Napoli, 2013. 12 Questa impostazione si basa sul fatto che il contrasto al terrorismo costituisca oramai un interesse generale della Comunità internazionale e sulla tesi, da noi condivisa, dell’esistenza nel diritto internazionale generale di
aveva ricevuto il sostegno di oltre centro Paesi, che con ciò avevano espresso l’urgenza di contrastare,
secondo un approccio globale, la complessità e le trasformazioni in atto nell’estremismo islamista.
Oltre alla questione della base giuridica dei poteri del Consiglio ad adottare decisioni c.d. legislative,
perplessità aveva soprattutto suscitato il contenuto della risoluzione stessa. Pur in presenza di un
esplicito riferimento alla necessità di attuare le misure là contenute rispetto ai foreign fighters operanti a
sostegno dell’ISIL e del fronte Al-Nusrah, la ris. 2178 manca di una definizione di terrorismo. Avrebbe
potuto riferirsi al paragrafo 3 della ris. 1566 (2004) che ne contiene una, 13 sulla quale si era raccolto un
ampio consenso tra gli Stati, espresso anche nel quadro dei negoziati verso una convenzione globale, e
che era stata anche richiamata dalla giurisprudenza internazionale.14 Tre sono le condizioni cumulative
su cui si fonda la definizione: si deve trattare di atti (1) compiuti con l’intento di causare la morte di una
persona o di procurare gravi lesioni, o la cattura di ostaggi, (2) al fine di provocare uno stato di terrore,
intimidire la popolazione o di costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o
a astenersi dal compiere un qualsiasi atto; (3) i quali costituiscano fattispecie di reato secondo i trattati
internazionali in materia di terrorismo.
Già nei giorni dell’approvazione della ris. 2178, un’autorevole voce aveva evidenziato, in assenza di un
definizione di terrorismo, il rischio di possibili abusi derivanti dall’indeterminatezza delle fattispecie
delittuose previste dalla risoluzione, al punto da ritenere che “Res. 2178 (2014) wipes out the piecemeal
progress made over 13 long years in introducing protections of human rights and the rule of law into
the highly problematic manner in which the Security Council exercises its supranational powers.”15
3. Il nuovo volto della violenza jihadista: i foreign fighters
La minaccia dei combattenti stranieri rappresenta l’evoluzione di un fenomeno non nuovo: nel
trentennio successivo al 1980, si stima sia stato tra 10 e 30 mila il numero di coloro che hanno lasciato il
proprio paese di nazionalità o residenza per unirsi a gruppi armati, mossi da una motivazione ideologica
norme in materia di prevenzione e repressione di attività terroristiche, norme soprattutto produttive di obblighi erga omnes. Cfr. V.J. PROULX, Transnational Terrorism and State Accountability: A New Theory of Prevention, Oxford - Portland, 2012. Per una discussione del tema della legittimità secondo il diverso approccio del diritto transnazionale, v. C. MURPHY, Transnational Counter-Terrorism Law: Law, Power and Legitimacy in the ‘Wars on Terror’, King's College London Law School Research Paper No. 2015-14, http://ssrn.com/abstract=2570929. 13 K. AMBOS, Our terrorists, your terrorists? The United Nations Security Council urges states to combat “foreign terrorist fighters”, but does not define “terrorism”, in EJIL: Talk!, 2 ottobre 2014, http://www.ejiltalk.org. 14 Special Tribunal for Lebanon, Interlocutory decision on the applicable law: terrorism, conspiracy, homicide, perpetration, cumulative charging, STL-11-01/I/AC/R176bis, 16 febbraio 2011. 15 M. SCHEININ, Back to post-9/11 panic? Security Council resolution on foreign terrorist fighters, in Just Security, 23 settembre 2014, http://justsecurity.org.
religiosa16 Naturalmente il fenomeno sta assumendo dimensioni considerevoli in Siria e in Iraq: secondo
una fonte, nella seconda metà del 2014 la cifra dei foreign fighters in quei territori si aggirerebbe intorno
alle 20 mila unità, il 20% dei quali provenienti dal continente europeo.17 Ciò è strettamente legato alle
trasformazioni in atto nell’estremismo jihadista: non più tanto o solo la guerra di Al-Qaida al ‘nemico
lontano’ – gli Stati Uniti – ma invece la lotta al ‘nemico vicino’, cioè i regimi corrotti e filo-occidentali,
considerati eretici, con l’obiettivo di ottenere un proprio paese, uno stato ‘islamista’.18 I messaggi che
l’ISIL ha veicolato sono di due tipi: terrificanti verso l’occidente e, al contempo, seducenti nei confronti
degli arabo-sunniti. Una ‘narrazione’, come è stato osservato, che si nutre di “recriminazioni storico-
immaginarie, vere frustrazioni, false identificazioni, e distorsione di miti occidentali”19 e che colpisce
l’immaginario dei giovani jihadisti.
Così, sono tre gli aspetti del fenomeno che meritano di essere evidenziati ai nostri fini. Anzitutto, non
esisterebbe un profilo tipico del foreign fighters, dato coloro che combattono in Siria apparterrebbero ad
almeno novanta nazionalità diverse, sebbene la maggior parte continuerebbe a provenire da Giordania,
Libano, Libia, Arabia Saudita e Tunisia.
Il secondo tema è quello del reclutamento. Le più recenti analisi confermano che ciò avviene sia a
livello locale, attraverso contatti diretti con ex foreign fighters, sia a livello globale, attraverso le
piattaforme social, la cui influenza sarebbe particolarmente rilevante in Europa.20
Infine, occorre valutare il tipo di minaccia che i combattenti stranieri costituiscono per la pace e la
sicurezza internazionali. In primo luogo, è ancora difficile valutare l’impatto della loro presenza. Resta il
fatto che tale scenario di guerra ha attratto un numero di combattenti stranieri provenienti dall’Europa
maggiore rispetto ad ogni altro conflitto nei precedenti vent’anni. La preoccupazione forse maggiore tra
gli stati occidentali concerne il fenomeno del c.d. blowback, ossia l’eventualità che gli ex foreign fighters
16 T. HEGGHAMMER, The Rise of Muslim Foreign Fighters: Islam and the Globalization of Jihad, in International Security, Winter 2010/2011, p. 53 ss. 17 Cfr. Munich Security Report 2015: “Collapsing Order, Reluctant Guardians?”, in https://www.securityconference.de/en/activities/munich-security-report, a p. 38. 18 Cfr. anche l’intervento del Presidente francese Hollande nel corso della sessione del Consiglio di sicurezza durante la quale è stata adottata la ris. 2178: “Le terrorisme n’est pas une réalité nouvelle. Depuis des années, nous l’affrontons, mais il a pris une autre dimension, il a une prétention. Il veut conquérir des territoires, il veut organiser des États, il veut soumettre des populations, il frappe des populations civiles, des femmes, des enfants. Il a de nouveaux noms : il ne s’appelle plus
seulement Al‑Qaida, ou Al‑Qaida au Maghreb islamique, mais Boko Haram ou Daech. Justement, Daech est l’incarnation la
plus récente de cette folie terroriste. Son caractère est nouveau en ce sens qu’il a la volonté de conquérir, et aussi d’attirer un nombre croissant de nos concitoyens, où qu’ils soient, pour rejoindre ce combat” (UN Doc. S/PV.7272, 21 settembre 2014). 19 M. GIRO, La sfida che ci lancia lo Stato Islamico, in Limes, 2014, http://www.limesonline.com/la-sfida-che-ci-lancia-lo-stato-islamico/67586. 20 V. J. KLAUSEN, Tweeting the Jihad: Social Media Networks of Western Foreign Fighters in Syria and Iraq, in Studies in Conflict & Terrorism, 2015, p. 1 ss.
possano essere coinvolti, una volta ritornati nei loro Paesi di origine, nella preparazione ed esecuzione
di atti di terrorismo.21
4. Lo status giuridico dei foreign fighters nel diritto internazionale umanitario
La ris. 2178 introduce la nozione di ‘foreign terrorist fighter’, definendola come segue: “individuals who
travel to a State other than their States of residence or nationality for the purpose of the perpetration,
planning, or preparation of, or participation in, terrorist acts or the providing or receiving of terrorist
training, including in connection with armed conflict”. I tre elementi essenziali della definizione sono il
carattere ‘straniero’ dei combattenti; la loro qualificazione come terroristi; la loro partecipazione a un
conflitto armato. Quanto al primo carattere, la nozione sembrerebbe a una prima lettura escludere la
situazione in cui un individuo lasci il proprio Paese di residenza per tornare nel proprio Paese di origine:
ad esempio, il caso di un siriano residente in uno stato europeo che si diriga in Siria. Tuttavia, alla luce
dell’oggetto e dello scopo della risoluzione, l’interpretazione corretta della congiunzione ‘o’ tra
residenza e nazionalità pare quella maggiormente estensiva a comprendere anche le situazioni appena
delineate.
Più problematico appare il riferimento al carattere terrorista dei foreign fighters, associato alla loro
partecipazione a un conflitto armato. Per comprendere i possibili esiti problematici di una tale
definizione di combattente straniero terrorista, occorre prendere le mosse dal tema della possibile
esistenza di un conflitto armato e della questione della qualificazione giuridica della presenza dei foreign
fighters secondo il diritto internazionale umanitario.
Anzitutto, sebbene la tesi sostenuta dagli Stati Uniti continui ad essere quella della perdurante esistenza
di un conflitto armato di carattere non internazionale con Al-Qaida,22 si è sottolineato da più parti che la
c.d. ‘guerra al terrore’ debba in realtà distinguersi secondo le sue componenti: si dovrà verificare in ogni
caso il superamento della soglia individuata, per i conflitti armati internazionali, dall’art. 2 comune alle
21 Su questo aspetto v. D. BYMAN – J. SHAPIRO, Homeward Bound? Don't Hype the Threat of Returning Jihadists, in Foreign Affairs, November/December 2014, https://www.foreignaffairs.com/articles/iraq/2014-10-01/homeward-bound. Una diversa ipotesi è quella del trasferimento dei combattenti stranieri da uno scenario jihadista ad un altro. Cfr. A. REED – J. DE ROY VAN ZUIJDEWIJN – E. BAKKER, Pathways of Foreign Fighters: Policy Options and Their (Un)Intended Consequences, ICCT Policy Brief, April 2015, http://www.icct.nl/download/file/ICCT-Reed-De-Roy-Van-Zuijdewijn-Bakker-Pathways-Of-Foreign-Fighters-Policy-Options-And-Their-Un-Intended-Consequences-April2015(1).pdf. 22 V. H. KOH, The Obama Administration and International Law, discorso tenuto all’incontro annuale dell’American Society of International Law, 25 marzo 2010, in http://www.state.gov/s/l/releases/remarks/139119.htm: “the United States is in an armed conflict with al-Qaeda, as well as the Taliban and associated forces, in response to the horrific 9/11 attacks, and may use force consistent with its inherent right to self-defense under international law”.
quattro Convenzioni di Ginevra, nell’esistenza di un conflitto tra Stati, e, per i conflitti interni,
nell’esistenza di scontri di una certa intensità tra le forze armate di uno Stato e gli insorti oppure tra
gruppi organizzati all’interno di uno Stato.23
In via preliminare, occorre precisare che i foreign fighters non ricadono nella categoria dei mercenari in
base al diritto dei conflitti armati internazionali: certamente perché non soddisfano la condizione di
essere motivati da scopo di lucro.24 Lasciando in questo contesto da parte il tema delle eventuali
connessioni tra Al-Qaida e l’ISIL, non vi sono dubbi invece rispetto al caratterizzare gli scenari violenti
in Siria e in Iraq come conflitti armati di carattere non internazionale. Piuttosto, il caso siriano evidenzia
l’esistenza di una situazione complessa in cui non è sempre agevole individuare le diverse parti del
conflitto, anche per la difficoltà a verificare se le diverse fazioni ribelli soddisfino le condizioni per la
loro qualificazione come gruppo armato organizzato. Dal 2013, le forze armate siriane sono coinvolte
in un conflitto armato non-internazionale contro, almeno, l’Esercito siriano libero (ESL), Al-Nusrah e, a
partire dall’aprile di quell’anno, l’ISIL. A contribuire alla frammentazione dello scenario, si
aggiungerebbero i conflitti che vedono opposti di diversi gruppi armati.25
Quanto dunque allo status dei combattenti stranieri in Siria,26 essi entrano a far parte del gruppo
organizzato ISIL, che costituisce una parte non-statale del conflitto armato non-internazionale,
sottoposto all’art. 3 comune alle quattro convenzioni di Ginevra e al diritto internazionale
consuetudinario in materia.27 Tuttavia, l’identificazione dei membri del gruppo armato è significativa
essenzialmente dal punto di vista della protezione della popolazione civile che non può essere oggetto
di attacco, mentre rappresenta un punto fermo il principio per cui gli insorti non sono legittimi
combattenti e possono essere puniti, compresi i foreign fighters, per il solo fatto di aver preso parte al
23 L’art. 3 comune non contiene una definizione di conflitto armato non internazionale: nel caso Tadic, si è stabilito che esiste un conflitto armato quando abbia luogo una violenza armata tra autorità governative e gruppi armati organizzati oppure tra gruppi armati organizzati all’interno dello Stato. V. ICTY, The Prosecutor v. Dusko Tadic, IT-94-1-T, sentenza del 7 maggio 1997, par. 561-568; The Prosecutor v. Fatmir Limaj, IT-03-66-T, sentenza del 30 novembre 2005, par. 94-170. Vi è da precisare che il II Protocollo addizionale prevede una definizione più restrittiva di conflitto armato non internazionale: anzitutto, introduce la condizione del controllo del gruppo armato su parte del territorio; in secondo luogo, esclude dalla sua applicazione i conflitti armati tra gruppi armati non statali. V. pure ICRC, How is the Term “Armed Conflict” Defined in International Humanitarian Law?, Opinion Paper, marzo 2008. 24 Sul tema, v. S. PERCY, Mercenaries: The History of a Norm in International Relations, Oxford, 2007. 25 V. S. CASEY-MASLEN, The War Report: Armed Conflict in 2013, Oxford, 2014, a p. 207. Costituiscono un gruppo armato anche le Unità di protezione popolare curde (Ypg) che si oppongono all’ISIS. 26 V. il pregevole lavoro di S. KRAEHENMANN, Foreign Fighters under International Law, Academy briefing No. 7, 2014, http://www.geneva-academy.ch. 27 V. UN Doc. A/HRC/27/CRP.3, Report of the Independent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic. Rule of Terror: Living under ISIS in Syria, 19 novembre 2014, par. 76.
conflitto.28 Rimane che la caratterizzazione giuridica, sul piano interno o internazionale, o politica di un
gruppo armato come terrorista è irrilevante rispetto all’esistenza di un conflitto armato regolato dal
diritto internazionale umanitario.29
Vi è da sottolineare in ogni caso che il diritto internazionale umanitario espressamente proibisce gli atti
di terrore. Quanto ancora alla regolamentazione dei conflitti armati non internazionali, l’art. 3 comune
alle quattro Convenzioni di Ginevra contiene già un divieto implicito di compiere attacchi terroristici.
Con riguardo alle persone che non prendono parte attiva nel conflitto, la disposizione proibisce, in ogni
situazione, la violenza contro la vita e la persona nonché la presa di ostaggi, elementi che caratterizzano
la maggior parte degli atti di terrorismo. L’art. 4 (2)(d) del II Protocollo addizionale proibisce gli atti di
terrorismo nei confronti di tutte le persone che non partecipano direttamente alle ostilità o non vi
partecipino più. Il successivo art. 13 (2) del II Protocollo specifica che sono vietati gli atti violenti
compiuti con il fine primario di “diffondere il terrore tra la popolazione civile”. Infine, in base al
principio di distinzione, il diritto umanitario vieta una serie di altri atti che, se compiuti al di fuori di un
conflitto armato, sarebbero comunemente qualificati come di carattere terroristico:30 ci si riferisce ad
esempio agli attacchi indiscriminati o sproporzionati, agli attacchi nei confronti di determinate categorie
di beni, come i monumenti o i luoghi di culto oppure gli oggetti indispensabili alla popolazione civile, o
installazioni che contengono forze pericolose. Preoccupazione invece è stata espressa dal Comitato
internazionale della croce rossa (CICR) rispetto alla sovrapposizione e possibile ‘fusione’ tra diritto
internazionale umanitario e il quadro giuridico internazionale in materia di terrorismo, soprattutto con
riguardo alla qualificazione come terrorista di atti che sono leciti o comunque non vietati dal diritto dei
conflitti armati, come gli attacchi nei confronti di personale e installazioni militari.31
Va constatato che la Commissione internazionale indipendente di inchiesta sulla Siria ha rilevato che a
partire dall’aprile 2013 l’ISIL, in quanto gruppo armato parte del conflitto, ha violato i suoi obblighi nei
confronti dei civili e delle persone hors de combat, violazioni gravi che costituiscono crimini di guerra. La
Commissione ha concluso che gli attacchi nei confronti della popolazione civile si sono manifestati
“through the coordinated campaign of spreading terror among the civilian population. The terror
inflicted on the civilian population is clearly evidenced by witness and victim accounts”. Ha poi
specificato che tale terrore è stato inflitto mediante una imposizione sistematica di restrizioni dei diritti
28 N. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, IV ed., Torino, 2014, a p. 363. 29 S. KRAEHENMANN, Foreign Fighters under International Law, cit., p. 23. 30 Cfr. inter al. J. PEJIC, Armed Conflict and Terrorism: There is a (Big) Difference, in A. SALINAS DE FRIAS – K. SAMUEL – N. WHITE (eds.), Counter-Terrorism: International Law and Practice, Oxford, 2012, p. 171 ss.; B. SAUL, Terrorism and International Humanitarian Law, in B. SAUL (ed.), Research Handbook on International Law and Terrorism, Cheltenham, 2014, p. 208 ss. 31 ICRC, International Humanitarian Law and the challenges of contemporary armed conflicts, ottobre 2011, a p. 48.
e delle libertà fondamentali e attraverso la commissione su vasta scala di violazioni del diritto
umanitario e di crimini di guerra “including sentencing and executions without due process, killing,
mutilation, rape, sexual violence, forced pregnancy, torture, cruel treatment, the use and recruitment of
children, and outrages upon personal dignity”.32
5. Le nuove figure criminose previste nella ris. 2178 (2014)
Si è detto della qualificazione come terroristi dei foreign fighters, ai sensi della ris. 2178 (2014). In effetti, al
suo paragrafo 6 la decisione impone agli Stati di perseguire penalmente il trasferimento verso un Paese
diverso da quello di residenza al fine di commettere, pianificare, preparare o partecipare ad atti
terroristici o allo scopo di fornire o ricevere addestramento terroristico; il finanziamento di tali
trasferimenti; infine, il reclutamento di soggetti destinati a trasferirsi in altri Paesi per commettere atti di
terrorismo.
Risulta cruciale allora, rispetto a quanto sopra evidenziato, stabilire quale interpretazione debba darsi
all’espressione atti di terrorismo nel contesto di un conflitto armato quale quello siriano.33 Occorre
tener conto del fatto che le più recenti convenzioni in materia di terrorismo contengono clausole di
eccezione che delimitano il loro campo di applicazione escludendo le attività delle forze armate nel
corso di un conflitto armato, in quanto disciplinate dal diritto internazionale umanitario. Uno dei motivi
principali per il quale non si è giunti all’approvazione di una convenzione globale in materia di
terrorismo riguarda proprio l’inserimento e il contenuto di una clausola di tale tenore, in relazione
essenzialmente al problema se e fino a che punto la mera partecipazione alle ostilità e gli atti dei gruppi
armati che siano leciti secondo il diritto umanitario possano ricadere nell’ambito di applicazione della
convenzione globale e quindi qualificarsi come terroristi.34 In realtà, la più recente clausola sulle
eccezioni inclusa nella Convenzione contro il terrorismo nucleare35 è da interpretarsi nel senso che le
32 UN Doc. A/HRC/27/CRP.3, Rule of Terror: Living under ISIS in Syria, cit., par. 77. 33 La questione del rispettivo ambito di applicazione e delle possibili sovrapposizioni tra diritto internazionale umanitario e il quadro giuridico internazionale di contrasto al terrorismo è stata notoriamente affrontata dalla giurisprudenza italiana, su cui v. G. DELLA MORTE, Sulla giurisprudenza italiana in tema di terrorismo internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 2009, p. 443 ss.; M. MANCINI, Defining Acts of International Terrorism in Time of Armed Conflict: Italian Case Law in the Aftermath of September 11, 2001 Attacks, in Italian Yearbook of International Law, 2009, p. 115 ss. 34 V. già M. HMOUD, Negotiating the Draft Comprehensive Convention on International Terrorism: Major Bones of Contention, in Journal of International Criminal Justice, 2006, p. 1031 ss 35 UN Doc. A/RES/59/290, 13 aprile 2005. UNTS, vol. 2445, p. 89. L’art. 4 (2) recita: “The activities of armed forces during an armed conflict, as those terms are understood under international humanitarian law, which are governed by that law are not governed by this Convention”. Il successivo par. 3 precisa che “The provisions of paragraph 2 of the present article shall not be interpreted as condoning or making lawful otherwise unlawful acts, or precluding prosecution under other laws”.
attività delle forze armate di una parte, solo quando disciplinate dal diritto dei conflitti armati, in quanto
lex specialis, non sono oggetto della convenzione.
Il CICR ha sottolineato che la criminalizzazione come reato di tipo terroristico (e non come reato in
quanto tale) della mera partecipazione a un conflitto armato con un determinato gruppo organizzato,
finirebbe per indebolire il principio fondamentale di uguaglianza dei belligeranti, ossia dell’uguaglianza
dei diritti e degli obblighi delle parti di un conflitto armato, anche di carattere non internazionale.36 In
questo senso, una possibile lettura della ris. 2178 che armonizzi gli obblighi là contenuti con il diritto
dei conflitti armati, senza ricorrere all’applicazione dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite,37
potrebbe essere quella di interpretare l’espressione ‘atti terroristici’, quando compiuti nel corso di un
conflitto, come violazioni del diritto internazionale umanitario.
D’altro canto, è evidente che lo scopo delle misure introdotte dal Consiglio di sicurezza sia quello da un
lato di impedire e dall’altro di erigere a delitto i viaggi in territorio estero finalizzati a prendere parte a
gruppi armati considerati come terroristi. In questo senso, si è allora osservato che la risoluzione
potrebbe intendersi come unicamente applicabile ai gruppi terroristici menzionati nel suo paragrafo 10,
ossia l’ISIL e Al-Nusrah: tuttavia non si può non rilevare che l’obiettivo di tale decisione rimane quello
di una sua applicazione generale.38
In effetti, la stessa relazione al disegno di legge di conversione del d.l. 7/2015 riconosce nella ris. 2178
l’enfasi sull’aspetto associativo rispetto ai comportamenti di quanti si trasferiscono all’estero per unirsi a
gruppi operanti con finalità terroristiche, quando rileva che “le condotte cui fa riferimento la predetta
risoluzione trovano oggi un’adeguata sanzione, nella nostra legislazione penale, la quale colpisce,
attraverso, gli articoli 270-bis e 270-sexies del codice penale,39 l’organizzazione, il finanziamento e la
partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo anche internazionale”.40
36 Per altri autori, ciò si porrebbe in contrasto con lo spirito della norma contenuta nell’art. 6 (5) del II Protocollo addizionale che incoraggia gli Stati a concedere la più larga amnistia possibile alle persone che avessero preso parte al conflitto armato. V. ad esempio J. PEJIC, Terrorist Acts and Groups: A Role for International Law, in British Yearbook of International Law, 2004, p. 71 ss., a p. 75. Va precisato in ogni caso tale disposizione non impone un preciso obbligo di accordare, al termine delle ostilità, una generale amnistia, ma solo un generico impegno. Cfr. N. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, cit., p. 341. 37 Sul tema dell’invocazione dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite nel quadro delle misure antiterroristiche v. L. GRADONI, Il lato oscuro dell’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite, in M. MECCARELLI – P. PALCHETTI – C. SOTIS (a cura di), Le regole dell’eccezione. Un dialogo interdisciplinare a partire dalla questione del terrorismo, Macerata, 2011, p. 263 ss. 38 S. KRAEHENMANN, Foreign Fighters under International Law, cit. p. 11. 39 Occorre ricordare che ai sensi dell’art. 270-sexies c.p., “[s]ono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di
In tal modo, quanto all’introduzione di nuove figure di reato nell’ordinamento italiano sulla base della
ris. 2178, l’intervento del legislatore si è proposto unicamente di rendere punibili quelle specifiche
condotte che non trovavano ancora una completa considerazione nella vigente legislazione penale.
Così, l’obbligo di reprimere il trasferimento verso un Paese diverso da quello di residenza al fine di
commettere, pianificare, preparare o partecipare ad atti terroristici o allo scopo di fornire o ricevere
addestramento terroristico, viene attuato mediante una modifica all’art. 270-quater c.p., concernente il
reato di arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale, per rendere punibile il soggetto
arruolato, dal momento che il mettersi in viaggio altro non è che “l’esplicazione di un precedente
reclutamento, ossia di immissione volontaria e consapevole in una milizia, votata al compimento di
azioni terroristiche”.41
In relazione all’art. 270-quinquies c.p., la legge 43/2015 prevede anche la punibilità non soltanto di chi
addestra e dell’addestrato, ma anche di chi si ‘auto-addestra’ alle tecniche terroristiche,
indipendentemente da una interazione con un addestratore, ossia della condotta della persona che
avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento di atti di violenza o di
sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, pone in essere condotte con le
medesime finalità.42 Perplessità erano state manifestate sin dall’approvazione del decreto legge a
proposito delle difficoltà a distinguere l’attività informativa rispetto a quella di addestramento: ragione
per cui il legislatore è intervenuto in sede di conversione modificando l’ultima parte dell’art. 270-
quinquies c.p. richiedendo che l’agente ponga in essere “comportamenti univocamente finalizzati alla
commissione delle condotte di cui all’art. 270-sexies”.43 Nell’estendere il reato di addestramento ai c.d.
‘lupi solitari’, il legislatore va oltre quanto in effetti richiesto dagli obblighi contenuti nella ris. 2178, per
conformarsi alle soluzioni seguite in Paesi europei come la Francia: tuttavia, tale fattispecie non è
contemplata nel nuovo Protocollo alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione del
terrorismo che si limita a prevedere la punibilità di chi riceve addestramento.
Come si è osservato, la ris. 2178 è stata criticata la mancanza in essa di una definizione di terrorismo, e
per i rischi di abuso che ne possano derivare, quanto al rispetto del principio di legalità e più in generale
un'organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”. 40 Relazione al disegno di legge di conversione del d.l. 7/2015 - terrorismo internazionale e proroga delle missioni internazionali delle Forze armate. 41 Ibidem. 42 La giurisprudenza aveva in realtà già ampliato la punibilità dell’addestrato per comprendere anche la condotta del soggetto che si auto-addestra. Cass. pen., sez. I, 6 novembre 2014 (dep. 30 gennaio 2014), n. 4433, Pres.
Giordano, Rel. Rombola , in Cass. pen., 2014, p. 4128 ss. 43 V. S. COLAIOCCO, Le nuove norme antiterrorismo e le liberta della persona: quale equilibrio?, in Archivio penale, n.2/2015, http://www.archiviopenale.it.
dei diritti umani, nonostante il continuo riferimento ad essi in diversi passaggi della decisione. Quanto
alla sua attuazione a livello nazionale, i dubbi maggiori hanno riguardato tanto l’indeterminatezza della
fattispecie quanto l’anticipazione sempre più marcata della tutela penale ad atti preparatori sempre più
remoti rispetto a futuri atti con finalità di terrorismo. In tal senso, è stato sottolineato che, trattandosi di
fattispecie a doppio dolo specifico, esse sarebbero caratterizzate da accentuata soggettivizzazione, con
le conseguenti difficoltà di prova del dolo, a meno di non cedere a scorciatoie probatorie: ciò
confermerebbe la natura in realtà meramente ‘simbolica’ delle norme incriminatrici contenute nella
legge 43/2015.44
6. Il paradigma della prevenzione
Quanto agli strumenti di carattere preventivo, la ris. 2178 ribadisce l’obbligo di prevenire i movimenti di
terroristi e gruppi attraverso controlli alle frontiere e sul rilascio dei passaporti, nonché mediante misure
di prevenzione della contraffazione, la falsificazione e l’uso fraudolento degli stessi.45
Va ricordato che gli obblighi di due diligence46 di prendere tutte le misure praticabili a prevenire il
terrorismo internazionale, già contenuti in strumenti di natura pattizia e poi riaffermati dal Consiglio di
sicurezza, a partire dalla ris. 1373 (2001), costituiscono l’ulteriore specificazione del principio di diritto
internazionale generale, a tutela della sovranità statale,47 il quale obbliga lo Stato a non consentire
scientemente che il proprio territorio sia utilizzato per atti contrari ai diritti degli altri Stati, secondo
l’autorevole definizione della Corte internazionale di giustizia nell’affare dello stretto di Corfù.48 La nota
Dichiarazione dell’Assemblea generale sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati del 1970 ha
poi sancito, in base ai principi di non intervento negli affari interni e del divieto dell’uso della forza nelle
relazioni internazionali, l’obbligo di non tollerare sul proprio territorio attività organizzate dirette alla
commissione di atti di terrorismo in un altro Stato.49
44 A. CAVALIERE, Considerazioni critiche intorno al d.l. antiterrorismo, n. 7 del 18 febbraio 2015, in Diritto penale contemporaneo, 2015, http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1427701889CAVALIERE_2015a.pdf, a p. 11. 45 Secondo un a., talune delle misure previste nella ris. 2178 – ad esclusione chiaramente di quelle che richiedono la criminalizzazione di alcune condotte – produrrebbero effetti diretti negli ordinamenti interni: in realtà, ciò che non si può escludere, a nostro avviso, è che talune norme contenute nella risoluzione abbiano carattere self-executing. Cfr. A. PETERS, Security Council Resolution 2178 (2014): The “Foreign Terrorist Fighter” as an International Legal Person, Part I, in EJIL Talk!, 20 November 2014, http://www.ejiltalk.org/security-council-resolution-2178-2014-the-foreign-terrorist-fighter-as-an-international-legal-person-part-i. 46 V. R. BARNIDGE, Non-State Actors and Terrorism: Applying the Law of State Responsibility and the Due Diligence Principle, The Hague, 2008. 47 K. TRAPP, State Responsibility for International Terrorism, Oxford, 2011, a p. 64. 48 ICJ, Corfu Channel (United Kingdom v. Albania), sentenza del 9 aprile 1949, in ICJ Reports 1949, p. 4 ss. a p. 22: “l’obligation pour tout l’Etat, de ne pas laisser utiliser son territoire aux fins contraires aux droits d’autres Etats”. 49 UN Doc. ris. 2625 (XXV) del 24 ottobre 1970.
Il controllo sul movimento dei terroristi va dunque ricompreso nell’alveo delle misure di prevenzione.50
Significativamente la ris. 2178 parrebbe perseguire in realtà un duplice obiettivo: non soltanto di
impedire i trasferimenti dei foreign fighters verso destinazioni in cui realizzare attività terroristiche, ma
anche di tutelare i Paesi di origine, siano essi quelli di nazionalità o di residenza, in particolare rispetto
alle minacce rappresentate tanto dalle attività di reclutamento quanto dal c.d. blowback.51
Uno strumento fondamentale di prevenzione è la rilevazione degli spostamenti dei sospetti terroristi e
la condivisione delle informazioni tra gli Stati. Oltre al tema controverso dell’acquisizione dei dati sui
passeggeri alla prenotazione del viaggio,52 un elemento fondamentale della ris. 2178 riguarda
l’acquisizione e il trasferimento su base bilaterale e multilaterale delle informazioni ai fini di monitorare
e prevenire i trasferimenti. In questo contesto, il Consiglio di sicurezza incoraggia l’Interpol a fornire un
contributo nel rafforzamento della cooperazione tra gli Stati.53
A tal proposito, va evidenziato che diverse sono le misure che il legislatore italiano ha previsto con
riguardo alla tutela e alle attività delle agenzie di intelligence, compresa la possibilità per i servizi di
informazione e sicurezza di effettuare colloqui investigativi con detenuti al fine di prevenire atti con
finalità terroristica. Risponde ancora alla necessità di un coordinamento su scala nazionale delle indagini
relative a procedimenti penali e procedimenti di prevenzione in materia di terrorismo, l’attribuzione di
tali funzioni al Procuratore Nazionale Antimafia.
Del complesso delle misure contenute nella legge 43/2015, in questa sede ci si limiterà a sottolineare
alcuni profili in relazione al ritiro dei documenti validi per l’espatrio. L’adempimento da parte del nostro
Paese a quanto stabilito dalla ris. 2178 si è caratterizzato dall’estensione nei confronti dei foreign fighters
del modello già impiegato per la lotta alla mafia delle misure preventive applicate dall’autorità
giudiziaria.54 Le modifiche al D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. ‘Codice antimafia’) hanno infatti
50 Su questo punto v. anche T. RUYS, Of Arms, Funding and 'Non-lethal Assistance': Issues Surrounding Third-State Intervention in the Syrian Civil War, in Chinese Journal of International Law, 2014, p. 13 ss. 51 Nel maggio 2015, la direzione esecutiva del Comitato contro il terrorismo delle Nazioni Unite ha inviato al Consiglio di sicurezza il primo di una serie di tre rapporti sullo stato di attuazione della ris. 2178 da parte degli Stati maggiormente toccati dalla minaccia dei combattenti stranieri: v. UN Doc. S/2015/338, 14 maggio 2015. 52 Sulle lacune esistenti rispetto all’utilizzo di sistemi di acquisizione dei dati dei viaggiatori, si vedano le raccomandazioni formulate dallo stesso Comitato contro il terrorismo: UN Doc. S/2015/377, Gaps in the use of advance passenger information and recommendations for expanding its use to stem the flow of foreign terrorist fighters, 26 maggio 2015. 53 A conferma della crescente rilevanza di questa organizzazione internazionale nello scambio di informazioni tra gli Stati, il Segretario generale dell’INTERPOL Jürgen Stock ha evidenziato nel corso di un intervento al Consiglio di sicurezza che il numero dei profili registrati nei propri database è passato da meno di 1.000 a 4.000 foreign fighters dal momento dell’adozione della ris. 2178 al maggio 2015. Cfr. UN Doc. S/PV.7453, 29 maggio 2015. 54 V. già A. BALSAMO, Decreto antiterrorismo e riforma del sistema delle misure di prevenzione, in Diritto penale contemporaneo, 2015,
ampliato l’ambito operativo della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, proprio al fine di
“prevenire il trasferimento all’estero dei potenziali terroristi”, come argomenta la relazione al disegno di
legge di conversione, la quale sottolinea che “l’applicazione di una misura di prevenzione personale
implica una serie di obblighi comportamentali limitativi della liberta di circolazione, nonché il ritiro del
passaporto e la sospensione degli altri documenti validi per l’espatrio”.
In ambito europeo, diversi Stati hanno introdotto misure relative al ritiro dei permessi di soggiorno e
dei documenti di viaggio.55 A destare maggiore preoccupazione sul piano giuridico sono le iniziative
intraprese da diversi Paesi non soltanto per escludere temporaneamente propri cittadini dal territorio56
ma soprattutto per disciplinare le circostanze in cui sia possibile la revoca della cittadinanza quale
strumento volto a prevenire il ritorno dei foreign fighters nel proprio territorio. Il tema è stato dibattuto in
relazione agli ampi poteri che il governo britannico ha esercitato nel privare della cittadinanza sospetti
terroristi, anche se vi fosse stato un rischio di apolidia.57
7. Osservazioni conclusive
L’adozione della ris. 2178 da parte del Consiglio di sicurezza, con le sfide poste dalla sua esecuzione
negli ordinamenti nazionali,58 riassume in sé molti dei temi della difficile risposta collettiva al terrorismo
internazionale.59 Una valutazione del contributo delle Nazioni Unite nel contrasto al terrorismo mette
in risalto luci ed ombre, quasi che ad ogni risultato raggiunto si contrapponga quasi specularmente un
fallimento. In primo luogo, a fronte dell’unanime accordo intorno alla condanna del terrorismo in ogni
sua forma e manifestazione, alla sua qualificazione come minaccia alla pace e alla sicurezza
internazionale, rimane ancora senza soluzione la questione della definizione. Secondo, pur
riconoscendo il ruolo decisivo del Consiglio di sicurezza e, in misura minore dell’Assemblea generale,
http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1425297684BALSAMO_2015a.pdf. 55 P. BAKOWSKI – L. PUCCIO, Foreign Fighters: Member States’ Responses and EU Action in an International Context, European Parliament Research Service, February 2015; L. VIDINO – L. PIGONI – A. SNETKOV, Foreign Fighters: An Overview of Responses in Eleven Countries, Zurich, 2014. 56 V. la recente adozione nel Regno Unito del ‘Counter-Terrorism and Security Act 2015’, su cui K. ROACH, Thematic Conclusions and Future Challenges, in K. ROACH (ed.), Comparative Counter-Terrorism Law, Cambridge, 2015, p. 683 ss., a p. 684. 57 Per le implicazioni internazionalistiche v. G. GOODWIN-GILL, Mr Al-Jedda, Deprivation of Citizenship, and International Law, Information paper submitted to the UK Parliament, 2014. At: www.parliament.uk/documents/joint-committees/human-rights/GSGG-DeprivationCitizenshipRevDft.pdf. 58 V. anche la dichiarazione adottata da 48 Ministri degli affari esteri e degli interni il 28 luglio 2015, al termine di un summit convocato a Madrid dal Governo spagnolo, in occasione dell’incontro speciale del Comitato contro il terrorismo delle Nazioni Unite dedicato al tema dei foreign fighters, pubblicata in http://www.un.org/en/sc/ctc/docs/2015/Spain_MinisterialMeeting_FTF.pdf. 59 Cfr. L. VAN DEN HERIK – N. SCHRIJVER (eds.), Counterterrorism Strategies in a Fragmented International Legal Order: Meeting the Challenges, Cambridge, 2013.
nel disegno di un’architettura di misure di contrasto al terrorismo, continua a essere problematico su
diversi piani il configurarsi un potere legislativo del Consiglio stesso. Terzo, pure in presenza di una
serie articolata di obblighi internazionali di lotta al terrorismo, confermata anche da un’ampia adesione
alle convenzioni contro il terrorismo, manca in realtà di un adeguato controllo sulla loro attuazione da
parte degli Stati, volto ad assicurarne efficacia e a escludere abusi. Quarto, sebbene dopo l’11 settembre
2001 le Nazioni Unite abbiano contributo positivamente al delinearsi del paradigma della prevenzione
del terrorismo, al fine di privare i terroristi dell’accesso alle risorse, ai mezzi e ai luoghi per compiere le
proprie attività, è emerso drammaticamente il tema del coordinamento giuridico tra le misure previste –
si pensi alle c.d. sanzioni mirate – e le altre norme del diritto internazionale, a partire dal diritto
umanitario, sino a quelle a tutela dei diritti umani, laddove l’argomento della vincolatività delle decisioni
del Consiglio di sicurezza è stato spesso utilizzato per giustificare il sacrifico delle garanzie dei diritti
fondamentali.60 Sullo sfondo, vi è il tema della lotta al radicalismo e all’estremismo,61 pure presente nella
ris. 2178, sul quale gli Stati e le organizzazioni internazionali sono certamente chiamate a uno sforzo
maggiore.
60 V. inter al. M. SCHEININ – M. VERMEULEN, Unilateral Exceptions to International Law: Systematic Legal Analysis and Critique of Doctrines that Seek to Deny or Reduce the Applicability of Human Rights Norms in the Fight Against Terrorism, EUI Working Papers LAW No. 2010/08. 61 Si veda pure il I pilastro della strategia antiterroristica globale, adottata dall’Assemblea generale, UN Doc. A/RES/60/288, The United Nations Global Counter-Terrorism Strategy, 8 settembre 2006.