REVIEW of D.L. Kellogg, Marathon Fighters and Men of Maple: Ancient Acharnai (Oxford 2013).

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Incidenza dialoghi di storia greca anno 11, 2013 antico dell’

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Incidenza

dialoghi di storia greca

anno 11, 2013

antico dell’

Incidenza dell’Anticodialoghi di storia grecaanno 11, 2013

Pubblicazione annualeRegistrazione del Tribunale di Napoli n. 5337 del 14.10.2002

ISSN: 1971-2995

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bliografia moderna straniera, non sempre, poi, è correttamente osservato il genere dei termini traslitterati dal Greco e dal Latino), si fonda su un progetto originale: esso, infatti, supera la visione polis-centrica che animava ancora lo studio di Jones e riesce nell’intento di fornire «un quadro teorico e metodologico di partenza» (p. 239) attraverso il quale accostarsi allo studio delle realtà locali del mondo greco – e delle poleis e degli ethne – secondo un punto di vista comune, che renda però conto delle profonde differenze esistenti tra le due strutture statuali. Il volume si segnala inoltre per il rigore metodologico con cui sono indagati i fenomeni antichi, scevro da schematismi modernizzanti e sensibile alla prospettiva evolutiva (a questo proposito, si veda in particolare il paragrafo su quelli che l’A. definisce «palinsesti istituzio-nali»: pp. 25-30), e per l’approccio storiografico attento con cui sono analizzate le fonti antiche ed è discussa e contestualizzata la bibliografia moderna, che è corposa, aggiornata e sempre pertinente. D’altra parte, la stessa impostazione eminente-mente teorica del volume fa sì che le singole argomentazioni proposte si rivelino spesso non troppo innovative; i numerosi esempi riportati, nella prima come nella seconda parte, si dimostrano adeguati a motivarne e corroborarne la tesi di fondo, ma, per quanto riccamente commentati, non sono mai studiati nella loro specificità: la finalità soltanto introduttiva del lavoro, programmaticamente dichiarata sin dal sottotitolo e ribadita, infine, anche nelle Conclusioni, non viene infatti mai tradita e il libro si chiude lasciando attendere analisi più dettagliate delle singole realtà locali del mondo greco, peraltro in parte già condotte in altre sedi dalla stessa A. [cfr. ‘I decreti onorifici dei demi attici e la prassi politica delle realtà locali’, in La prassi della democrazia ad Atene nel IV secolo, a cura di E. Culasso Gastaldi, Alessandria 2004, 91-125; ‘Raggruppamenti locali e organizzazione territoriale in Tessaglia’, in Forme sovrapoleiche e interpoleiche di organizzazione nel mondo greco antico (Atti del Convegno Internazionale. Lecce, 17-20 settembre 2008), a cura di M. Lombardo, Lecce 2008, 377-387].

Bianca Borrelli([email protected])

dAnielle l. KelloGG, Marathon Fighters and Men of Maple: Ancient Achar-nai. Oxford University Press, Oxford 2013, pp. XIV-348. ISBN 978-0-19-964579-4.

sia consentita una premessa: nella prefazione a questo libro Danielle Kellogg (di qui in avanti l’A.) spiega che la dissertazione dottorale da cui esso deriva fu discussa nel 2005 e che il lungo ritardo nella pubblicazione è stato dovuto, fra le altre cose, alla «quasi totale rivisitazione e considerazione di molte delle idee contenute» nella tesi dottorale. È legittimo ritenere che gli otto anni trascorsi costituiscano un ritardo un po’ eccesivo, reso peraltro possibile dalla peculiarità di un ambiente accademi-co, quello statunitense, dove si può ottenere il ruolo di Assistant Professor anche senza una monografia, purché il lavoro dottorale sia stato completato con successo.

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Nondimeno, il presente recensore, che ebbe l’opportunità di leggere parti di quella tesi dottorale, non può esimersi dal misurare la distanza dalle pratiche accademiche italiane, dove tesi dottorali che meriterebbero ben altre revisioni ed approfondimenti sono immediatamente pubblicate e dove raccolte di articoli più o meno estemporanee, libri, libricini, talora praticamente invisibili e/o introvabili, ma certamente dotati di IsBN, sono velocemente stampati da un sistema editoriale prono, per ragioni di sudditanza economica, alle esigenze dell’Accademia. E sono, ça va sans dire, valutati alla stregua di ‘monografie’. Il libro di cui chi scrive cercherà, nei limiti delle sue competenze, di indicare pregi e difetti, può se non altro rivendicare di essere stato pubblicato da una casa editrice ufficialmente fondata nel 1586.

I «Maratonomachi forti come l’acero» richiamati nel titolo sono, ovviamente, gli abitanti di Acarne e si tratta di una felice citazione dagli Acarnesi di Aristofane (v. 181) che ben si adatta a quella che, se non fosse stato per un volume di Maria Platonos-Yiota del 2004 (su cui vedi SEG LIV nr. 14), è di fatto la prima monografia dedicata al più grande dei demi attici. Come è noto, l’attenzione verso i demi e le realtà rurali dell’Attica risale a due celebri volumi della metà degli anni ’80 di Robin Osborne e David Whitehead e può apparire sorprendente che uno specifico studio dedicato ad Acarne abbia dovuto attendere tanto tempo. C’è da chiedersi se a ciò non abbia contribuito la perentoria affermazione di Moses Finley, citata dall’A. (p. 3), in cui lo studioso di origine statunitense, in un suo celebre articolo del 1977 su ‘The Ancient City: From Fustel de Coulanges to Max Weber and Beyond’, giudicava irrilevanti le storie di singole città in virtù del loro carattere descrittivo, positivista ed antiquario. In verità, la divisione stessa del libro in cinque capitoli – dedicati rispet-tivamente all’individuazione del sito, alla demografia, all’organizzazione politica ed economica, all’identità e agli stereotipi sugli Acarnesi, ed ai culti attestati – denuncia chiaramente l’approccio antiquario che lo pervade. In questo, di per sé, non c’è niente di biasimevole, ed anzi le tre appendici in cui l’A. raccoglie le informazioni sui rinvenimenti archeologici nell’area di Acarne, le principali iscrizioni provenienti da o relative ad Acarne e la prosopografia degli Acarnesi sono senz’altro strumenti che accompagnano utilmente la lettura del testo e potranno anche essere di aiuto, in particolare l’appendice prosopografica, a future ricerche.

Nondimeno, sorprende che i dati, ovviamente scarsi, e le riflessioni che avreb-bero potuto sostanziare una ricostruzione del ruolo di Acarne nella più vasta realtà dell’Attica di età preclistenica siano disperse lungo tutto il volume: siamo informati a p. 21 che Acarne è fra i demi attici che mostrano segni di insediamento già nelle Dark Ages, e che fu quindi un polo di attrazione per le popolazioni locali in età ar-caica tanto da conseguire un’ampia quota buleutica nella città clistenica; dobbiamo però attendere p. 135 per apprendere che la citazione di Acarne in Pindaro (Nem. II 16-17; l’ode è databile al 485 ca.) mostra una forte identità del demo all’alba della democrazia ateniese, tale da far sospettare che questa identità abbia preceduto l’in-corporazione di Acarne nel sistema clistenico; con l’occasione viene anche riferito incidentalmente, e si ritorna poi sulla questione a p. 151, che secondo una recente tesi (il riferimento è a G. Anderson, The Athenian Experiment, Ann Arbor 2003) una piena unificazione civica dell’Attica non fu conseguita prima della fine del VI

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secolo. In breve, si ha come l’impressione che l’A. abbia avuto timore a trovare uno spazio in cui considerare in maniera organica ciò che poteva essere di aiuto in una riflessione sullo sviluppo di Acarne in età arcaica, preferendo organizzare il suo materiale in una più tranquilla cornice antiquaria. In questo senso, almeno, credo sia stata un’occasione persa.

Il primo capitolo è per molti versi il più interessante: di fronte al paradosso per cui il demo più grande dell’Attica risulta essere archeologicamente non individuabile con certezza – salvo essere approssimativamente localizzato nell’area di Menidhi, che non a caso è stata ridenominata Acharnes, in virtù soprattutto della testimonianza di Tucidide (II 21,2) che lo pone a sessanta stadi da Atene in direzione del Parnete – viene mostrato convincentemente che in realtà Acarne doveva essere costituita da una pluralità di piccoli insediamenti nucleati cui si aggiungevano un certo numero di fattorie isolate. Questa tesi, in verità, non è del tutto nuova: come ha ricordato recentemente Paulin Ismard nel suo La Cité des réseaux (Paris 2010), la presenza di diversi piccoli villaggi era già stata ipotizzata da Pierre Roussel (‘sur quelques inscriptions attiques’, RA 1941, studio ignoto all’A.), ma è merito di questo libro averlo dimostrato definitivamente. L’insediamento principale è individuato presso la chiesa di Aghia saranda Martyres, circa un chilometro ad ovest del centro moderno: alcune iscrizioni murate all’interno della chiesa, testimonianze di viaggiatori della prima età moderna relative a resti archeologici oggi non più visibili ed alcune recenti scoperte fanno ritenere che Aghia saranda costituisse un nucleo importante del demo legato soprattutto all’espletamento di funzioni pubbliche. Poiché anche la chiesa di Aghios Ioannis, all’estremità occidentale del centro moderno, è associata ad alcuni resti archeologici ed è nelle sue immediate vicinanze che nel 2007 è stato scoperto il teatro del demo, l’A. individua, attraverso le evidenze delle aree funerarie che erano certamente poste al di fuori dell’abitato, i limiti di questo sito che, partendo da Aghia Saranda, si era andato espandendo fino all’estremità occidentale di Me-nidhi. Ma mostra che anche la ben più distante area di Yerovouno/Lykotrypa (due chilometri a sud di Menidhi) e quella di Aghios Nikolaos che si affaccia sul fiume Cefiso (a sud-est dell’abitato moderno), che hanno restituito entrambe significati-vo materiale archeologico, dovevano con ogni probabilità far parte di Acarne. Da tutto ciò l’A. ricava che il modello per cui ad ogni demo ateniese corrispondeva un singolo insediamento – modello che già nella sua prima formulazione contemplava eccezioni – non funziona più nel momento in cui le eccezioni si vanno moltiplicando ed indicano come molti dei demi con una larga rappresentanza buleutica fossero in realtà costituiti da più insediamenti. È il modello, dunque, che va riconsiderato.

Ad un demo di tale estensione doveva corrispondere una popolazione assai significativa ed è perciò alla sua determinazione numerica e alla demografia di Acarne che è dedicato il secondo capitolo. L’A. osserva anzitutto che il dibattito fra ‘high counters’ e ‘low counters’ in relazione alla popolazione dell’Attica prima dello scoppio della guerra del Peloponneso appare essersi stabilizzato, grazie soprattutto all’autorità di Mogens Hansen, a favore dei primi, che assumono la presenza nel 431 a.C. di circa 60.000 cittadini maschi adulti. Di seguito, tenendo conto della quota di ben ventidue buleuti spettante ad Acarne (cioè il 4,4 % del totale) e adoperando gli

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strumenti con cui, negli studi recenti, si è cercato di trasformare la quota buleutica in popolazione totale (ivi comprese donne, minori, meteci e schiavi), l’A. mostra come la popolazione non potesse in nessun caso essere inferiore a 5.000 persone e si aggirasse probabilmente intorno al doppio di questa cifra. Il problema, tuttavia, è costituito da un passo tucidideo (II 20,4) in cui si afferma che Acarne era in grado di fornire tremila opliti, un contingente che comporterebbe un numero irragio-nevolmente alto della popolazione acarnese. scartata l’ipotesi che possa essersi trattato di un’esagerazione retorica di Tucidide, la soluzione cautamente proposta è l’accoglimento dell’emendazione di ὁπλῖται in πολῖται, un errore relativamente comune nella tradizione manoscritta: tale emendazione, tuttavia, non ha avuto for-tuna fin quando è prevalsa la tesi dei ‘low counters’, perché la presenza di 3.000 cittadini maschi avrebbe comunque comportato una popolazione troppo elevata; viceversa, nel quadro teorico oggi vincente degli ‘high counters’, la cifra approssi-mativa di 3.000 appare ragionevole. La parte finale del capitolo è invece dedicata alla questione della mobilità degli Acarnesi, per verificare sulla base dell’evidenza epigrafica disponibile (le iscrizioni funerarie, ma non solo) quanti dei cittadini che portavano il demotico di Ἀχαρνεύς realmente continuassero a risiedere ad Acarne: qui l’A. arriva a conclusioni in linea con gli studi più recenti, che hanno mostrato la complessità del fenomeno migratorio, osservando che la mobilità non era diretta esclusivamente verso il complesso urbano di Atene ed il Pireo, ma anche verso aree extra-urbane ed in direzione delle cleruchie ateniesi, e che comunque un consistente numero di Acarnesi aveva continuato a risiedere, se non stabilmente quantomeno stagionalmente, ad Acarne.

Nel capitolo dedicato a politica ed economia, viene in primo luogo affrontata la questione delle assemblee del demo e con molto buon senso si rifiuta la tesi, di fatto basata su un’unica fonte letteraria (Dem. LVII 10), secondo cui le assemblee dei singoli demi si tenevano ad Atene. Un demo della grandezza di Acarne avrà per lo più tenuto le sue assemblee all’interno del demo stesso, forse, come suggerisce l’A., utilizzando a questo scopo il teatro. Di seguito si passano in rassegna i magistrati del demo attestati nelle iscrizioni, notando che oltre al demarco, necessariamente presente in tutti i 139 demi attici, Acarne è uno dei tredici demi clistenici in cui è presente la figura del tesoriere (tamias) ed è l’unico in cui risulta un segretario (grammateus), circostanza di certo legata alla sua estensione geografica e demografica. Soprattutto, però, il capitolo deve confrontarsi con il tema che ogni studioso della democrazia ateniese ha ben presente in relazione ad Acarne: poiché la quota buleutica di ogni tribù era più o meno equamente divisa fra le tre trittie (ciascuna delle quali forniva sedici o diciassette consiglieri), come è possibile che nella sesta tribù, la Oineide, vi fosse un demo la cui quota buleutica era superiore a quella di una trittia? La tesi autorevolmente sostenuta da John Traill, secondo cui vi erano in realtà due demi di Acarne (così come, ad esempio, vi erano due demi di Peania), uno appartenente alla trittia della città mentre l’altro forniva da solo l’intero contingente buleutico della trittia della mesogaia, non trova riscontro nelle fonti, dove i villaggi divisi in due demi sono chiaramente identificati in quanto tali. L’A. avanza l’ipotesi che il demo fosse uno solo e che tuttavia, quando la tribù Oineide aveva la pritania, una parte

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dei suoi buleuti, corrispondente ad uno degli insediamenti che costituivano Acarne, si staccasse per unirsi ai buleuti della città. Ma è una soluzione di ordine pratico che non convince più di tanto: se è vero che il demo di Acarne era costituito da una pluralità di villaggi, non sarebbe stato molto più semplice strutturarli sin dall’inizio all’interno di due differenti demi? L’obiezione è superabile ammettendo, come di fatto fa l’A., che i membri di questi villaggi avessero già sviluppato, al momento delle riforme clisteniche, un forte senso di identità comune, tale da non consentirne la divisione in due demi; e si può anche immaginare che siano stati uomini politici provenienti dall’area di Acarne ad ottenere, al momento delle riforme, questa ec-cezionalità. Ciò conferma però che la risposta ad un problema che è prettamente storico, e non solo tecnico, non potrà venire, se mai sarà conseguibile, da un’analisi esclusivamente antiquaria.

Dopo aver analizzato, alla fine del terzo capitolo, le iscrizioni che si riferiscono a questioni economiche della vita del demo (locazioni di spazi pubblici; compensazioni ai proprietari fondiari attraverso i cui terreni passava l’acquedotto per la rinuncia ai diritti sulle risorse idriche sotterranee), nel capitolo successivo viene trattato il tema della formazione dell’identità acarnese e degli stereotipi che riguardavano gli Acarnesi. sfugge, in verità, perché tale materia compaia a questo punto del volu-me, a metà strada fra l’economia del demo ed i suoi culti. si tratta, ad ogni modo, di un capitolo che, attraverso un’attenta analisi delle fonti letterarie ricostruisce assai bene l’immagine degli Acarnesi a diversi livelli cronologici. In età classica, gli Acarnesi appaiono, come mostra il coro dei demotai di Acarne nella commedia aristofanesca, una comunità dal carattere testardo e belligerante (i «Maratonomachi forti come l’acero»), ma al tempo stesso fortemente legata alla propria terra ed alle attività economiche che vi avevano luogo. Fra queste, anzitutto, la produzione del carbone ottenuto dal legname presente sulle pendici del Parnete – il coro degli Acarnesi è, non a caso, un coro di carbonai – e, più in generale, la ricchezza agricola di un territorio ricco di viti, spesso impiantate sui terreni che i produttori di carbone avevano precedentemente denudato della loro vegetazione. È merito dell’A. l’aver però mostrato che nelle fonti di età post-classica l’immagine di Acarne muta pro-fondamente, acquisisce connotazioni dionisiache e, in netto contrasto con la fama bellicosa dei suoi abitanti di età classica, tende ad associarsi ad un ambiente pacifico e bucolico. Una trasformazione che viene messa in relazione con gli eventi succes-sivi a Cheronea, in cui il contingente militare di Acarne potrebbe aver subito grosse perdite, e con l’emergere di altri centri di attrazione nell’area rurale dell’Attica che la ridistribuzione delle quote buleutiche nel 307/6 a.C. lascia chiaramente intuire.

Da ultimo, il capitolo sulla religione passa in rassegna il pantheon del demo così come è ricavabile dal breve paragrafo del periegeta Pausania dedicato ad Acarne (I 31,6) e dalle iscrizioni rinvenute, sviluppa utili considerazioni in merito all’iden-tificazione fra i resti materiali provenienti dall’area di Acarne e i santuari ed altari dedicati a questi culti, e mostra come la partecipazione degli Acarnesi a culti e ceri-monie religiose che si tenevano in altre aree dell’Attica, nonché la celebrazione delle Dionisie rurali ad Acarne stessa, costituiscano ulteriori prove dell’importanza del demo nel quadro dell’Attica di età classica. In questa sede non ci si può che soffer-

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mare su pochi punti valorizzati dall’A. Fra i culti citati da Pausania quello di Apollo Agyieus («protettore delle strade») ben si addice ad una località la cui importanza era legata anche alla sua centralità nel sistema stradale dell’Attica, mentre quello di Atena Hippia trova ampie conferme nel materiale epigrafico ed è localizzabile con certezza nell’area di Aghia saranda, il centro politico del demo. Non è invece citato da Pausania il culto di Ares e Atena Areia, testimoniato da due iscrizioni fra cui la celebre stele contenente il giuramento degli efebi e quello di Platea fatta erigere dal «sacerdote di Ares e Atena Areia, Dione figlio di Dione, Acarnese». L’A. mostra come questo culto, che contemplava anche una festività degli Areia, è l’unico culto di Ares attestato con certezza nell’Attica di età preromana e deve avere avuto un ruolo importante nella costruzione di un’identità acarnese centrata intorno al tema della bellicosità dei suoi abitanti. Infine, le due pagine dedicate al culto di Oineus, eroe eponimo della tribù di cui faceva parte Acarne e qui probabilmente venerato, meritano attenzione: sebbene non siano stati presi in considerazione alcuni recenti studi di François de Polignac sul rapporto tra eroi eponimi delle tribù clisteniche e aree di pertinenza di queste tribù, la tradizione mitologica su Oineus, che sarebbe stato tra coloro che introdussero la vite in Attica, viene appropriatamente messa in relazione con la già ricordata importanza dei vigneti nell’economia e nell’identità del demo e conduce l’A. a ritenere che attraverso la figura di Oineus «gli Ateniesi cooptarono un aspetto dell’identità acarnese per utilizzarla in un contesto pan-attico, intrecciando gli Acarnesi più saldamente nel tessuto dell’Attica unificata» (p. 174).

In definitiva, questo libro sarà necessariamente il punto di partenza di ulteriori studi su Acarne, ma un’osservazione finale è necessaria: quasi tutti i capitoli ter-minano con un paragrafo di conclusioni, e le appendici finali sono precedute da un breve capitolo conclusivo di quattro pagine in cui sono ripercorsi i risultati conseguiti nei singoli capitoli. C’è ancora molto, in questa strutturazione del discorso, di una dissertazione dottorale, a dimostrazione di come, nonostante gli otto anni trascorsi, è mancato qualcosa a trasformare una pur bella dissertazione in una monografia.

Marcello Lupi ([email protected])

la rivelazione segreta di Ermete Trismegisto, I-II, a cura di P. sCArPi. Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2009-2011, pp. IX-543, IX-651. ISBN 978-88-04-58352-3, 978-88-04-60426-6.

‘Dall’oro dei morti all’oro per la vita. Piccola difesa della letteratura’ è il titolo che Paolo scarpi ha dato al suo saggio in corso di stampa nel volume curato da Marisa Tortorelli Ghidini, Aurum. Funzioni e simbologie dell’oro nelle culture antiche, édito per i tipi de L’Erma di Bretschneider. In questa sede, particolare rilevanza assume proprio il sottotitolo del contributo, che sembra illustrare efficacemente anche uno dei presupposti che stanno sul fondo dei due volumi che qui si recensiscono. In più