Traduzione e tradizione. Le traduzioni degli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury

22
Quaderni del Circolo Filologico Linguistico Padovano - 28 - fondati da Gianfranco Folena

Transcript of Traduzione e tradizione. Le traduzioni degli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury

Quaderni del Circolo Filologico Linguistico Padovano- 28 -

fondati da Gianfranco Folena

Lingue testi cultureL’eredità di Folena vent’anni dopo

Atti del XL Convegno Interuniversitario(Bressanone, 12-15 luglio 2012)

a cura di Ivano Paccagnella e Elisa Gregori

Questo volume è stato stampato con il contributodel Dipartimento di Studi linguistici e letterari

dell’Università degli Studi di Padova

ISBN 88-6058-047-1© 2014 Esedra editrice s.r.l.via Palestro, 8 - 35138 PadovaTel e fax 049/723602e-mail: [email protected]

INDICE

Furio Brugnolo, Ivano Paccagnella, Gianfelice Peron Premessa IX

Pier Vincenzo Mengaldo PerGianfrancoFolena,vent’annidopo 1

Lorenzo Renzi Folenanotoemenonoto 5

Sandra CovinoImaestridiFolenaelastoriadellalinguaitalianaoggi 27

Daniela Goldin Folena Iltestocomemediatoretralingueeculture.Latraduzione 49

Fabiana Fusco Unariflessionesullastoriaelaterminologiadellatraduzione 73

Elisa Guadagnini, Giulio Vaccaro Uncontributoallostudiodel«volgarizzareetradurre»:ilprogettoDIVO 91

Sonia Barillari Dalvolgarizzamentoalrifacimento.UnPurgatorioveneto 107

Margherita Lecco“Tradurre”nellaletteraturaanglo-normanna.IlprologodelRoman de Waldef 131

Martina Di FeboTraduzioneetradizione.LetraduzionidegliOtia Imperialia diGervasiodiTilbury 145

Patrizio Tucci «Baillierenfrançoislesartsetlessciencesestunlabeurmoultprofittable».NicoleOresmetraduttoredell’Etica Nicomachea(1370) 159

Michael RyzhikLatraduzionedellepoesieanticheperlaFestadelleCapanne(Hosh’anot)neivolgarizzamentidellibrodipreghiereebraicoingiudeoitaliano 173

Marco Bianchi SulLucreziodiAlessandroMarchetti.Contestoeuropeoeanalisiinternadiunatraduzione 185

Irene Fantappiè «Ilsolve et coagula dellastoria».TraduzioneetradizioneinFortinieFolena 209

Rachele Fassanelli «OliveriusfiliusdominiRolandi».Ladiffusionedell’’onomasticaletterariaromanzanellaPadovadeisecoliXIIeXIII 231

Luciano Morbiato Eroie«pamòi».Ladoppiatracciaonomasticafogazzariana 249

Stefano Saino MetastasioelalezionediRinuccini 261

Bruno CapaciL’impostoremalinconico.EpiloghinonlietineidrammigiocosidiGoldoni 277

Edoardo Buroni Linguaestile«all’ombraamenadelGigliod’or».Il viaggio a ReimsdiRossinieBalochi 295

Alessandro Bampa ItrovatoriinLiguriaePiemonte 313

Michela Scattolini L’imitazionedantescanell’Huon d’Auvergne 331

Kazuaki UraGiovanniQuirini,lettore“sintagmatico”diDante,Rime,LVIIeLXVIII 349

Andrea CecchinatoLavarietàlinguisticanellaproduzionevolgareaPadova 371

Andrea Comboni TestiinpavanoeinveroneserusticonelleantologiediFeliceFeliciano.Proposteperunanuovaedizione 385

Helmut Meter«Immediatezza»e«naturalità»nelNovellinodiMasuccio.Lamisoginiacomeesempio 395

Ivano Paccagnella Lacommedia“cittadina”daRuzanteallaVeniexiana 413

Mirka Zogović «Lelinguedellacommediaelacommediadellelingue».Ilplurilinguismodellecommedieragusee 435

Andrea Battistini L’analisiretoricaapplicataatestiscientificiefilosofici 449

Elisa GregoriFlorideaelealtre.PoetidiFranciainitaliano 463

Gaia Guidolin LetteretraunitalianoinEuropaeuneuropeoinItalia 487

Rossana Melis«Ehvia,cimancherebb’altro».Goldoninellaricezioneottocentesca 515

Mariarosa Giacon Lalinguadelviator.AltrenoteperItaly/Itaca 539

Wolfram Krömer Unapossibilitàdell’autocommento 561

Angelo Pagliardini Esilioeritornonellaletteratura“nazionale”.LuigiMeneghellodall’EuropaaMalo 569

Antonio DanieleRealtàefinzioneinLuigiMeneghello 587

Furio Brugnolo PrimiappuntisullalinguaelostilediFolena 601

Gianfelice PeronFolenanelDuecento.Osservazionisuitemielostile 625

Indicedeinomi 651

Martina Di Febo

TRADUZIONE E TRADIZIONELE TRADUZIONI DEGLI OTIA IMPERIALIA DI GERVASIO DI TILBURY

Nel Medioevo il verbo mediolatino translatare 1 indica un’operazione che si propone di trans-portare la sententiam da una lingua all’altra, con tut-to ciò che questa operazione implica a livello di complessità ermeneutica ed esegetica. Per tradurre la sententiam, divulgarla, è necessario ricorrere alla glossa, alla spiegazione, demandando all’attività di traduzione, in pri-mis, il compito di far comunicare i sistemi di modellizzazione secondaria espressi dalle due lingue, ovvero gli universi concettuali e categoriali di due culture in contatto. E se il problema del dialogo interculturale è sem-pre stato alla base della traduzione, maggiormente lo è in un’epoca in cui manca il concetto di autorialità e in cui le principali linee-guida, in sede di traduzione, non coincidono con la ricerca estetico-artistica, quanto con quelle didattico-funzionali. Come ricorda Folena metre en romanz, sporre in volgare 2 sono espressioni che innanzitutto richiamano la necessità didasca-lica dell’atto di traduzione. E mentre Folena, in Volgarizzare e tradurre, si concentra essenzialmente sulla nascita, ad opera degli umanisti e di Bruni in particolare, di una concezione moderna della traduzione, intesa come ri-creazione della tessitura retorica e semantica del testo di partenza (quella che i teorici ottocenteschi e novecenteschi chiameranno traduzione equi-valente o «addomesticante»);3 l’aspetto culturale della traduzione e le sue implicazioni storico-antropologiche, fondamentali all’interno delle prassi traduttorie medievali, restano un po’ in ombra. Fino al Trecento, secondo la ricostruzione cronologica dello studioso, la traduzione sottostava a due possibili opzioni di derivazione classica, rivitalizzate dall’attività di Gero-lamo: la traduzione letterale (verbum ad verbum) e quella tesa a cogliere il significato globale: sensum ad sensum; sententiam ad sententiam. All’interno di questo quadro, Folena ricorda le posizioni di Brunetto Latini e di Jean de Meun, quest’ultimo promotore di una traduzione didattica in prosa, capa-

1 Dal supino di transfero, translatare conserva la pregnanza semantica di un’operazione quasi fisica, implicita nell’atto traduttorio.

2 G. Folena, Volgarizzare e tradurre, Torino, Einaudi, 1991, pp. 29-40.3 M. Morini, La traduzione, Milano, Sironi Editori, 2007, p. 43.

MARTINA DI FEBO146

ce di inglobare anche l’aneddotica storica coeva in vista di una fruizione moderna: attraverso la glossa Jean de Meun attribuisce al «bien traslater un più preciso contenuto culturale e tecnico» che si contrappone «implicita-mente al vecchio enromancier» o rifacimento in versi in volgare.4

Nonostante la ribadita sindrome di inferiorità dei volgari e di inade-guatezza rispetto alla lingua eterna, il latino, i traduttori duecenteschi non rinunciano, dunque, alla propria opera, interpretando il compito della traduzione per sententiam come uno sforzo ermeneutico maggiore che im-plica il costante ricorso al commento esplicativo. La traduzione medievale sembra porsi come terza via rispetto alle due modalità «addomesticante» e «straniante» individuate da Schleiermacher5 nel 1813; opzioni definite da Venuti come «domesticating translation» e «foreignizing translation».6 Il traduttore medievale, infatti, rivendica la propria individualità e non scom-pare dietro l’originale, come nella traduzione addomesticante, contempo-raneamente non si ostina a conservare costrutti oscuri dell’originale, ma cerca di spiegarli e di commentarli procedendo allo scambio interlinguisti-co tra due sistemi culturali percepiti nella loro sincronia, sia che si tratti di testi latini classici che di testi coevi. Ora, proprio la glossa e il commento rivestono un ruolo centrale nella costruzione del complesso rapporto tra traduzione e tradizioni culturali. Considerato, tuttavia, che alla stessa fami-glia linguistica di tradizione<tradere si collega anche traditore, la relazione tra traduzione e tradizione si complica a fronte di quei probabili tradimenti ingenerati dall’incomprensione del traduttore, che in quanto traduttore/traditore, secondo il fortunato bisticcio inventato da Du Bellay,7 innova ri-spetto all’originale, ponendosi nella condizione di dare vita a differenti fi-liazioni tematiche e contenutistiche.

Di questo complesso rapporto costituiscono un significativo esempio gli Otia Imperialia e le sue traduzioni in francese da parte di due traduttori che per formazione e sensibilità divergono notevolmente. Gli Otia e le suc-cessive traduzioni rappresentano un laboratorio delle pratiche di translatio

4 Folena, Volgarizzare e tradurre, cit., pp. 20-23.5 F. Schleiermacher, Über die verschiedenen Methoden der Übersetzens», in Abhandlungen der

philosophischen Klasse der Königlich-Preussischen Akademie der Wissenchaften aus den Jahren 1812-1813, Realschul-Buch-handlung, Berlin, 1816, pp. 143-172, trad. it. «Sui diversi metodi del tradurre», in La teoria della traduzione nella storia, a cura di S. Nergaard, Bompiani, Milano, 1993, pp. 143-179. La traduzione “straniante” è secondo Schleiermacher quella che reca in sé tracce di un sentimento di estraneità, das Gefühl des Fremden, pp. 151-153.

6 L. Venuti, The Translator’s Invisibility: A History of Translation, London and New York, Routledge, 1995, pp. 20 e segg.

7 Citata e ricordata da Folena, Volgarizzare e tradurre, p. 3, la frase di Joachim Du Bellay è divenuta celebre. In riferimento ai cattivi traduttori, infatti, l’erudito francese afferma: «vra-yement mieux dignes d’estre appellés traditeurs que traducteurs», J. Du Bellay, La deffence et illustration de la langue françoise, éd. crit. publiée par H. Chamard, Paris, Droz, 1948, I.V.i, p. 39.

LE TRADUZIONI DEGLI OTIA IMPERIALIA 147

tra sistemi culturali in contatto, esplicitando quell’opera di ricostruzione testuale che dalla lingua di partenza conduce a quella di arrivo. Si può parlare, infatti, di ricostruzione testuale dal momento che, essendo la stru-mentalità didascalica prioritaria nell’azione traduttoria medievale, la glossa va a modificare il dettato dell’originale, producendo, in alcuni casi, sposta-menti semantici essenziali.

Il corpus testuale costituito dagli Otia e dalla sue traduzioni è interessato da un’attività di translatio pluridimensionale. Innazitutto perché una parte dei racconti contenuti nella terza decisio degli Otia, ovvero tanti mirabilia, è già il risultato di una duplice operazione di traduzione: Gervasio raccoglie le storie da informatori orali, che sicuramente non parlano in latino e le trascrive in lingua latina. Queste stesse narrazioni verranno a loro volta ri-trasferite in francese da Jean d’Antioche e da Jean de Vignay. È interessante dunque valutare se in questo processo di successive traduzioni si produce un’aggregazione di motivi, in grado di rifondare o di modificare una tradi-zione culturale. Scegliamo, a questo proposito, di analizzare alcuni raccon-ti imperniati su figure femminili ascrivibili alle tipologie della fata o della strega, poiché in questo campo il duplice processo di traduzione implica una serie di ‘tradimenti’ innovativi.

Alla base di alcuni capitoli degli Otia si situa, dunque, un’operazione di trascrizione e di traduzione: dall’oralità alla scrittura; dal volgare al latino. A livello concettuale questa duplice operazione implica una perdita e un’ag-giunta. Una perdita perché l’universo culturale del trascrittore-traduttore Gervasio si sovrappone a quello dell’informatore sovradeterminandolo e modificandolo. Un’aggiunta, poiché di fronte alla percezione della diffici-le traducibilità di concetti o di complessi dell’immaginario, a pieno titolo definibili come realia culturali, il traduttore-trascrittore sente la necessità di inserire una sorta di glossa metalinguistica, registrando lo spettro sinonimi-co della lingua di partenza, il volgare. Il risultato è un composto diverso ri-spetto a quello di origine, in quanto il concetto veicolato dal termine latino non necessariamente coincide con quello dell’informatore, cui, tuttavia, si rinvia attraverso la notazione sinonimica. La sinonimia permette così di in-globare in un’unica figura le differenti tipologie espresse dalla divergente terminologia volgare e latina.

Un esempio è offerto dal capitolo 86:

Lamias, quas vulgo mascas aut in gallica lingua strias nominant, fisici dicunt esse ymaginationes. Larve vero quasi larium exemplaria fantastica, que yma-gines et figuras hominum representant cum non sint homines. […]. Verum Augustinus ispas ex dictis auctorum ponit demones esse, qui ex animabus male meritis corpora aerea implent. Dicuntur autem lamie, vel pocius lanie, a la-niando, quia laniant infantes. […] Ut autem moribus ac auribus hominum satisfaciamus, constituamus hec esse feminarum ac virorum quorundam infor-tunia, quod de nocte celerrimo volatu regiones transcurrunt, domos intrant,

MARTINA DI FEBO148

dormientes opprimunt, ingerunt sompnia gravia, quibus planctus excitant. Sed et comedere videntur et lucernas accendere, ossa hominum dissolvere, dissolutaque nonnumquam eum ordinis turbatione compaginare, sanguinem humanum bibere et infantes de loco ad locum mutare.8

Gervasio, descrivendo le phantasiae/lamiae fonde in un unico concetto nozioni differenti provenienti in parte dalla sua cultura clericale, in parte derivanti dalla Weltanschauung degli informatori orali. Vediamo così come le lamiae di origine antica, reinterpretate in senso demoniaco già da Agosti-no e da Isidoro, si confondano con altre creature del folklore, protagoniste di estatici voli di gruppo, in grado di entrare nelle case e di praticare atti di cannibalismo o di vampirismo. La sinonimia tra lamia, striga e masca era già attestata dal VII-VIII secolo.9 Delle azioni attribuite alle streghe il volo notturno collettivo non apparteneva, tuttavia, alle mascae o strias o lamiae. Gervasio opera un’agglutinazione di motivi, una sorta di crasi culturale che produce una nuova fisionomia della lamia/strega.10

Se si parte infatti dalle definizioni di Isidoro il processo di crasi emerge

8 Gervasio di Tilbury, Otia imperialia. Recreation for an emperor, ed. and transl. by S. E. Banks and J. W. Binns, Oxford, Clarendon Press, 2002, dec. III, 86, p. 722.

9 Al lemma striga Du Cange et al., Glossarium mediæ et infimæ latinitatis, conditum a Carolo du Fresne domino Du Cange, Niort, L. Fabre, 1883-1888, 10 voll. ; edizione elettronica : ht-tpp://www. ducange.enc.sorbonne.fr. riporta il can. 16 del Synodus S. Patricii: «Christianus, qui crediderit esse lamiam in speculo, quæ interpretatur Striga, excommunicandus, quicu-mque super animam famam istam imposuerit». Nell’Editto di Rothari si condanna l’omicidio delle presunte streghe, Edictum Rotharis Regis tit. 116: «Nullus præsumat aldiam aut ancillam alienam quasi Stringam, quam vulgus dicit, aut mascam occidere». Sui nomi della strega, cfr. R. Caprini, I nomi della “strega” in Europa: dalla lingua alla storia, ai testi, in «Strumenti critici», 2, 2003, pp. 161-182; R. Caprini e M. Alinei, Sorciere, колдунья, witch, hexe, bruja, strega, in «Atlas Linguarum Europae, Commentaires», edd. W. Viereck et alii, I.7, Roma, Istituto Poli-grafico e Zecca dello Stato, 2007, pp. 169-225.

10 Se si confrontano le mulierculae e le lamiae di Gervasio con alcuni ritratti stregoneschi della letteratura romanza della fine del secolo XII, ci si accorge della loro distanza. Nei testi letterari antico-francesi la figura della sorcière è fortemente influenzata dalle caratteristiche della maga antica. Cfr. F. Gingras, Préhistoire de la sorcière d’après quelques récits français des XIIme et XIIIme siècles, in «Florilegium», 18.1, 2001, pp. 31-50. Si veda il ritratto delle streghe in Amadas et Ydoine, roman du XIIIe siècle édité par J. R. Reinhard, Paris, Champion (CFMA, 51), 1926; vv. 2023-2038: «Qu’elles sevent de nuit voler/Partout le mont et de la mer/Faire les ondes estre em pais/Comme la terre et puis apres /Defors la graine venir /Arbres nai-stre, croistre et florir /Et sevent par encantement /Resusciter la morte gent ;/De vis l’une a l’autre figure/Muer par art et par figure/Houme faire asne devenir/Et ceus qu’il veulent endormir/Et puis songer cou leur plaist/Bestes orgener en la forest/Mur remuer et trembler tours/Et les ewues courre a rebours». A questo proposito è utile un confronto con la descri-zione di Apuleio, Metamorphoseon libri 11, recensuit C. Giarratano; editionem alteram paravit P. Frassinetti, Torino, Paravia, 1960, I, 8: «Saga inquit et divina, potens caelum deponere, terram suspendere, fontes durare, montes diluere, manes sublimare, deos infimare, sidera exstinguere, Tartarum ipsum inluminare. Amatorem suum, quod in aliam temerasset, unico verbo mutavit in feram castorem».

LE TRADUZIONI DEGLI OTIA IMPERIALIA 149

abbastanza chiaramente.

Larvas ex hominibus factos daemones aiunt, qui meriti mali fuerint. Quarum natura esse dicitur terrere parvulos et in angulis garrire tenebrosis. Lamias, quas fabulae tradunt infantes corripere ac laniare solitas, a laniando specialiter dictas.11

Il capitolo di Gervasio è, significativamente, introdotto dalla definizio-ne isidoriana/agostiniana secondo la funzione certificativa delle auctorita-tes. Le successive affermazioni si riferiscono, invece, a testimonianze orali di informatori fededegni, le cui concezioni sulle donne volanti erano state già registrate dal Canon episcopi:

Quaedam sceleratae mulieres retro post Satanam conversae, daemonum illu-sionibus et phantasmatibus seductae, credunt et profitentur se nocturnis horis cum Diana paganorum dea et cum innumera multitudine mulierum equitare super quasdam bestias et multa terrarum spatia intempestae noctis silentio per-transire, ejiusque jussionibus velut dominae obedire et certis noctibus ad ejus servitium evocari.12

La lamia/larva si connette dunque al corteo notturno di Diana: Gerva-sio unifica così i diversi tratti per delineare un profilo organico della lamia/strega che si sposta in volo collettivo e penetra poi nelle case per turbare il sonno degli uomini o per aggredirli.

Vediamo ora quali siano le scelte adottate dai due traduttori della fine del secolo XIII-prima metà del secolo XIV degli Otia.

Nel testo di Jean d’Antioche il capitolo 86 è così reso:

Vous devez sçavoir de ces estries que je vousay devant amentues (cap. 85), que elles sont appellés en latin lamies, c’est à dire «desirantes», pour ce qu’elles de-sirent maintes foys les enfants. Et ainsi sont appellés en latin aultrement larves. Les naturiens dient que ce sont ymaginacions de nuyt. […] Mays es livres de la Cité de Dieu et selonc ce que dit saint Augustin, se sont des deables qui emplent de mauvays armes corps de l’air. […] Des estries doncques selon saint Augu-stin nous povons dire qu’elles sont deables, mays pour satisfaire aux meurs et aux oreilles des hommes, nous disons que c’estoit mesaventures des femmes et d’aulcuns hommes, qui vont courant de nuyt isnelement par les terres aussy come en volant et entrent es maysons et greifvent les dormans et leur font veoir de griefz songes, dont ils s’esveillent mainteffoys en plourant et aussi les estries voit on aulcuneffoys mengier et alumer les lumieres en la maison et desjoindre

11 Isidoro di Siviglia, Etymologiarum sive Originum libri XX, recognovit brevique adnota-tione critica instruxit W. M. Lindsay, Oxford University Press American Branch, 1911, voll. 2, t. 1, l. VIII, XI, 101-103.

12 Burcardo di Worms, Decretorum libri XX, Canon Episcopi, PL, 140, col. 976.

MARTINA DI FEBO150

os d’hommes et joindre desordonneement et boire sang d’hommes et remuer enfants de lieu en lieu.13

In Jean de Vignay il testo assume il seguente andamento:

Les estries que aucuns apelent lamies, les phisiciens dient que se sont yma-ginacions de par nuit. […] Et saint Augustin si dit, ou livre de La Citè de Dieu que ce sont deables qui se mettent es cors qui morurent en mauvés estat. Et les apele l’en lamie, ou lanie, qui mieux vaut dire, que il sont dites lanie de lanio/lanias despecier, car il despiecent les enfants. Et les autres les appellent larve de la meson, pour ce qu’il entrent es meson soudainement et sont exemple de fantasie et representent es mesons fourmes et ymages d’onmes.[…]. Mes a fin que nous dyon au gré du commun des gens poson que ce soient aucunes fames enfourtunees qui soient hastivement transportees par pluseurs regiones et en-trent es mesons et aprengnent les gens et les facent songier divers songes qui les esmeuvent a plaindre et sont veues mengier et alumer feu et lumiere, et de-sjoignent les membres des gens en tel manière que il ne seront james rejointes aussi conme devant et boivent sanc et portent les enfants d’un lieu en autre.14

Innanzitutto la nota metalinguistica cancella il termine provenzale ma-sca, in quanto di secondario interesse per i lettori francesi.

Il testo di Jean d’Antioche resta sostanzialmente fedele all’originale, distanziandosene soltanto nella quantitativa distribuzione di genere delle lamie: «femmes et aulcuns hommes» (lat. feminarum ac virorum, di quantità imprecisata ma paritaria). Nella traduzione di Jean de Vignay, riscontria-mo, invece, la presenza di variazioni minime, ma significative. Innanzitutto la spiegazione etimologica di larve si distanzia dal testo latino, poiché «larve de la meson» deriva dall’abitudine delle larve di penetrare nelle case e non dall’essere simulacra di familiari; in secondo luogo l’accenno alla compo-nente maschile del cetu lamiarum viene definitivamente cancellato. La pe-netrazione delle mura domestiche era una delle azioni delle lamie descritte da Gervasio nel capitolo 85 e nel corso del capitolo 86 (domo intrant), che Jean de Vignay anticipa, rafforzando il procedimento di condensazione/fissazione dello stereotipo della strega. Una prassi già sperimentata dal tra-duttore anche in altri testi, come ad esempio, nel volgarizzamento dello Speculum Historiale di Vincent de Beauvais. Nel capitolo 95, De transformatis, Vincenzo, attingendo direttamente dalle Etymologiae, XI, IV di Isidoro, ri-porta esempi di metamorfosi dall’umano al ferino (Circe, lupi dell’Arcadia, ecc.), quindi aggiunge:

13 Jean d’Antioche, Les traductions françaises des Otia imperialia de Gervais de Tilbury par Jean d’Antioche e Jean de Vignay, édition de la troisième partie par C. Pignatelli et D. Gerner, Genève, Librairie Droz, 2006. III, 86, p. 320.

14 Ivi, III, 86, p. 321.

LE TRADUZIONI DEGLI OTIA IMPERIALIA 151

Sed et quidam asserunt strigas in hominibus fieri. Ad multa enim latrocinia fi-gure sceleratorum mutantur, sive magicis artibus, sive herbarum veneficio totis corporibus in feras transeunt.15

Passo che nella traduzione di Jean de Vignay diviene:

Et aussy aucuns afferment que estries sont faites d’ommes et de femmes qui se transforment pour faire moult de larrecins et de mauvaistiez ou par art ma-gique par enchantement ou par malefice de venin de herbes de quoy ilz tran-sportent les corps en autre fourmes (BnF, fr. 312, f. 57 vb ; BnF, fr. 308-311, f. 55va).

Notiamo l’inserimento dell’elemento femminile («ommes et femmes»; hominibus), ma soprattutto, nella frase conclusiva, la presenza del verbo transporter che in antico francese ha il significato di tradurre, mentre in me-dio francese acquista quello, conservato anche in epoca contemporanea, di «spostare da un luogo all’altro».16 L’uso di transporter associato al corpo sembra evocare il volo corporeo delle streghe, spesso tramutate in animali, come nell’antichità classica.

Gervasio aveva interpretato attraverso la lente della sua cultura teologica le narrazioni di informatori orali che raccontavano di viaggi estatici, dive-nuti attraverso le diverse filiazioni testuali voli di streghe; Jean d’Antioche e Jean de Vignay aggiungono ulteriori elementi che tradiscono i rispettivi universi culturali di appartenenza; le differenti strategie di traduzione e quindi i rispettivi destinatari.

Jean d’Antioche dimostra una maggiore propensione per la traduzione per sententiam, come spiega nella sua introduzione alla traduzione di Cice-rone, dove esplicitamente teorizza la prassi del traduttore, il quale poche volte traduce «parole par parole»:

Et aucune fois et plus sovent sentence por sentence et aucune fois, por la grant oscurité de la sentence li covint il sozjoindre et acreistre.17

Le aggiunte, infatti, rivelano lo sforzo di cercare un’equivalenza tra il termine colto latino e quello volgare, oppure mirano a creare un reticolato semantico che unifichi le diverse attestazioni testuali. Il traduttore dimo-stra di avere chiara percezione della diversità delle lingue e della loro pari

15 Vincenzo di Beauvais, Speculum Historiale, Doctrinale, riproduzione elettronica dell’edizio-ne di Douai, 1624, in Atelier Vincent de Beauvais; http://atilf.atilf.fr./bichard, Speculum Historiale, 95.

16 Dictionnaire du Moyen Français, edizione elettronica, www.atilf.fr/dmf; transporter.17 Citato da D. Gerner, «Introduction», in Les traductions françaises des Otia imperialia de

Gervais de Tilbury par Jean d’Antioche e Jean de Vignay, cit., p. 27.

MARTINA DI FEBO152

dignità, in quanto tutte dotate di particolarità che impongono lo sforzo di conoscere e penetrare sia la lingua di partenza, ma soprattutto quella di arrivo.18

All’inizio del capitolo 86 la ripresa esplicativa, assente nell’originale lati-no («de ces estries que je vous ay devant amentues»), serve per stabilire in maniera stringente l’identità tra le estries dei capitoli 85 e 86. Ugualmente nel capitolo 93 l’associazione tra estries e fee avviene sulla base di un’inferen-za, esplicitata, nel testo latino, soltanto nel capitolo 86.

Hoc equidem a viris omni exceptione maioribus cotidie scimus probatum, quod quosdam huiusmodi larvarum quas fadas nominant amatores audivimus.19

Jean d’Antioche, tuttavia, non traduce, nel capitolo 86, la frase latina quos quosdam huiusmodi larvarum e fornisce le testimonianze sull’amore delle fate senza alcuna esplicazione, ma con puro valore probatorio-asseverativo.

Mays ce sçay je bien que j’ay oy dire et maintes gens l’ont esprouvé, comment aulcuns ont esté amoureux des femmes et tandis comme il se maintindrent en l’amour des fees.20

Nella traduzione del capitolo 93, troviamo, invece, la seguente aggiunta:

Asserebant se, dormientibus viris suis cum cetu lamiarum celeri penna mari transire.21

E disoient qu’elles laissoient leurs maris dormans et aloient courre par le mon-de avec les estries et les fees.22

Il richiamo alle fees, assenti nel testo latino, è giustificato appunto dall’equivalenza sinonimica lamiae/larvae, a loro volta sinonimi di strias o fadas, istituita da Gervasio.

La tendenza ad unificare le diverse tipologie del femminile perturbante, fate o streghe, già attiva in Gervasio diviene dunque sempre più marcata in Jean d’Antioche, per conoscere la definitiva codificazione in Jean e Vignay.

Hoc equidem a viris omni exceptione maioribus cotidie scimus probatum, quod quosdam huiusmodi larvarum, quas fadas nominant, amatores audivimus.

18 Ibidem: «Quar chascune lengue si a ses proprietez et sa maniere de parler; et por ce nul trasleateour o interpreteor ne porroit james bien traslater d’une lengue a autre s’il ne s’en-formast a la maniere et as proprietez de cele lengue en qui il traslate».

19 Gervasio di Tilbury, Otia Imperialia, cit., III, 86, p. 730.20 Jean d’Antioche, Les traductions françaises des Otia Imperialia, cit., III, 86, p. 328.21 Gervasio di Tilbury, Otia Imperialia, cit., III, 93, p. 742.22 Jean d’Antioche, Les traductions françaises des Otia imperialia, cit., III, 93, p. 338.

LE TRADUZIONI DEGLI OTIA IMPERIALIA 153

Et aucun racontent et dient que il ont esprouvé moult de fois et veu et oï une manière de fourmes de gens, hommes et fames par semblant, que l’en apelle fees en la langue françoise, qui ainment les honmes et se couchent avec eulz, et se transformoient en pluseurs formes et en pluseurs manieres de cors. […] Et de ces fees faisoient moult d’autres merveilles, si conme nous avons oï raconter en pluseurs histoires anciennes.23

La breve aggiunta sulla metamorfosi delle fate rientra nella riformula-zione coerente delle tipologie del femminile demoniaco, ormai tutte con-cidenti e unitarie: la confusione tra fate e streghe, come già accennato da Jean d’Antioche, è una realtà per Jean de Vignay, tanto che faerie diviene sinonimo di diabolico.

Al termine del capitolo 86, laddove Gervasio riporta il versetto di Isaia sulla profondità del giudizio divino (Iudicia Dei abissus multa), Jean de Vi-gnay avverte l’esigenza di distinguere chiaramente questi esseri sovrannatu-rali da quelli angelici:

Mes tant sai je bien que les anges de Dieu ne se muent pas en tiex fourmes ne en tiex faeries.24

Per misurare, infatti, l’impatto del background culturale di Jean de Vi-gnay, a sua volta riflesso di un immaginario collettivo che nel XIV secolo propone ormai un’immagine organica del femminile diabolico, bisogna soffermarsi sui brevi ma significativi interventi e le rapide notazioni che, inserite all’interno del gruppo dei racconti dedicati alle streghe o fate, de-lineano un ben preciso orizzonte ideologico.

Alcuni esempi:

Gervasio di Tilbury, Otia, III, 85, p. 718

Jean d’Antioche, III, 85, p. 318

Jean de Vignay, III, 85, p. 319

Narrabat eque miranda, quod hominibus raptis draci vescebantur, et se in humanas species transfor-mabant.

Elle contoit merveille des dracs, comment ils men-goyent les hommes qu’ilz ravissoient et comment ilz se transformoyent en l’umaine semblance.

Et cele fame en contoit trop de merveilles: car les fames qu’il ravissoient avoient en-fans de ses draques, et esto-ient draques comme eulz et se transmuoient en tele fourme humaine comme il vouloient.

La centralità della trasformazione femminile malefica è ribadita proprio dal travisamento del racconto della testimone sui draghi. Il passo latino non

23 Jean de Vignay, Les traductions françaises des Otia imperialia, cit., III, 86, p. 327.24 Ibidem.

MARTINA DI FEBO154

contiene particolari difficoltà tali da generare lo scollamento della traduzio-ne di Jean de Vignay, il quale, pur non appartendendo alla schiera dei bons latimiers,25 sembra, in questo punto, sovrapporre alla metamorfosi degli uomi-ni-drago, le proprie immagini mentali del femminile perturbante e diabolico.

Gervasio di Tilbury, Otia, III, 86, p. 726

Jean d’Antioche, III, 86, p. 324

Jean de Vignay, III, 86, p. 325

Ut quod mandatum in bo-num operatur ad bonum, hoc eius pacientia mali ope-rentur ad nostre infirmita-tis illusionem ac penam.

Et ce fait il pour ce que son commandement nous fassons bien avec les bons angelz et par sa souffrance pareillement les mauvays angelz fassent ennuy et derision a nostre fragilité.

Et aussi conme il veult que les bons angels facent bon-nes œuvres, aussi sueffre il que les mauvés facent selonc leur nature mauvaisse pour tenir les bons crestiens en fermeté et pour echarnir les mauvés et les mettre en pain-ne.

Come nel capitolo sulla Dama dell’Esparvier (cfr. ultra), la distinzione del-la virtù dei sacramenti riposa sulla divisione tra buoni e cattivi cristiani; Jean di Vignay propone una scissione manichea dell’universo dei credenti : bons e mauvais subiscono effetti diversi così che la derisione spetta solo ai secondi.

Il racconto della dama dell’Esparvier costituisce un ulteriore esempio del compimento del processo di demonizzazione delle donne ignote. La dama al termine della consacrazione non è sollevata da uno spirito diaboli-co, ma è ella stessa creatura demoniaca.

Gervasio di Tilbury, Otia, III, 57, p. 664

Jean d’Antioche, III, 57, p. 260

Jean de Vignay, III, 57, p. 260

Domina spiritu diabolico levata avolat.

La dame fut levee de terre par le deable.

L’esperit du deable qui s’estoit mis en fourme de fame, que l’en cuidoit que ce fust fame naturel s’envola par la fene-stre de la chapelle.

L’appropriazione del corpo della donna da parte del demonio si pone-va in linea con l’evoluzione infernale della tipologia sovrannaturale, come

25 Gerner, «Introduction», cit., pp. 134-135. Come nota il suo editore, Jean de Vignay non è un teorico della traduzione, le sue conoscenze non possono competere con la globalità delle nozioni contenute negli Otia, spesso commette quindi errori per ignoranza. Si veda, inoltre, sulle capacità traduttorie di Jean de Vignay, C. Buridant, La traduction du latin au français dans les encyclopédies médiévales à partir de l’exemple de la traduction des Otia imperialia de Gervais de Tilbury par Jean de Vignay et Jean d’Antioche, in Translation and Theory and Prac-tice in the Middle Ages, a cura di J. Beer, Kalamazoo, Mediavel Institute Publications, 1997, pp. 135-160.

LE TRADUZIONI DEGLI OTIA IMPERIALIA 155

accade all’interno del Roman de Badouyn.26

Nel testo di Jean de Vignay, vediamo che all’identificazione della dama dell’Esparvier con uno spirito diabolico seguono le riflessioni sulle virtù dei sacramenti e della messa, a patto di osservarne strettamente la liturgia. L’accenno agli eretici, contenuto nel testo di Gervasio, scompare e al suo posto il traduttore aggiunge una notazione sui poteri dei sacramenti, dagli effetti salvifici sui veri credenti e distruttivi sui falsi:

Et poez savoir que les sacrements ont vertu et verité en euls a ceus qui les cro-ient, et destruction et venjehance aus despisans.27

La liturgia conferma tutto il suo valore nel suo irrigidimento formale, vero e proprio argine contro le potenze maligne, così, mentre Jean d’An-tioche, penetrando la sententia del testo di Gervasio, mette in luce le impli-cazioni teologiche della transustanziazione,28 Jean de Vignay si limita alla ripetizione meccanica del dogma e di un ordo missarum, il cui scopo princi-pale è la ritualità sociale:

Gervasio di Tilbury, Otia, III, 57, p. 668

Jean d’Antioche, III, 57, p. 262

Jean de Vignay, III, 57, p. 263

Tuba dominica sonat in ewamgelio, verum inter se-creta sacerdotis opera Chri-stus ipse descendit.

Et aprés ce vient la trompe de l’Evangile, qui nous monstre que le Seigneur et bien pres. Et quant vient au sacrement, le Seigneur mesmes vient.

L’envangilles ets la buisine qui sonne pour assembler la gent, mais les tres saintes œuvres sont au secret que le prestre dit et par ses parolles autant en descent du ciel entre ses mains comme il en nasqui de la Vierge Marie.

Per una serie di fraintendimenti o di sovrapposizioni di immagini cul-turali, in Jean de Vignay, il Vangelo riveste la funzione sociale di chiamare a raccolta i fedeli, mentre il momento della transustanziazione è investito

26 Cfr. L. Harf-Lancner, Morgana e Melusina. La nascita delle fate nel Medioevo, Torino, Ei-naudi, 1989 (ed. or. Genève, 1984), pp. 457-523. Composto all’inizio del secolo XIV, in versi, del Roman de Baduoin si sono conservati pochi frammenti, mentre sono giunte fino a noi le riscritture in prosa del secolo XV. Le livre de Baudoyn, conte de Flandre, suivi de fragments du Roman de Trasignyes, publiés par C. P. Serrure et A. Voisin, Bruxelles, 1836. Si veda anche Badouin de Flandres, ed. E. Pinto-Mathieu, Paris, Libraririe générale française, 2001. La ru-brica che narra l’incontro con la dama così recita: Comment Badoin conte de Flandres espousa le dyable, Le livre de Baudoyn, p. 15.

27 Les traductions française des Otia Imperialia, cit., p. 261.28 L’appartenenza di Jean d’Antioche ad un contesto ecclesiastico determina sia la natu-

ra degli episodi aggiuntivi, ascrivibili al campo del miracolo, sia gli interventi sull’originale latino, di cui conserva anche gli elementi teologici e liturgici; cfr. C. Pignatelli, «Introduc-tion», in Les traductions françaises, cit., pp. 49-54.

MARTINA DI FEBO156

da un processo di comparazione semplificante: ricordare la nascita dalla Vergine ha una funzione plastica, iconica, quindi incisiva. Jean d’Antioche, invece, conserva la polemica anti-ereticale che contrassegnava il testo di Gervasio, così come i moniti contro i cattivi comportamenti dei fedeli che abbandonano la chiesa prima della consacrazione. Nell’enumerazione dei momenti liturgici si sofferma, inoltre, con precisione e ridondanza. La sua stessa interpretazione di certi esseri fantasmatici resta sospesa, ambigua, fedele all’incertezza che contraddistingue Gervasio.

Il formalismo esteriore della liturgia induce a cancellare qualsiasi vaga indulgenza ai mondi interiori dei personaggi che popolano alcuni racconti degli Otia, così, mentre Jean d’Antioche, nell’episodio melusiniano della moglie di Raimondo, si sofferma sul conflitto interiore che attanaglia Rai-mondo, sia al momento di decidere il matrimonio con la sconosciuta sia prima di infrangere il tabù, Jean de Vignay si limita a riportare le linee principali della vicenda senza alcuna fenditura introspettiva. Al contrario, la curiosità del marito sembra giustificata dal legittimo sopetto sulla proba-bile natura maligna della donna.

Gervasio di Tilbury, Otia, I, 15, p. 90

Jean d’Antioche, I, 15, pp. 420-421

Jean de Vignay, II, 15, p. 421

Affectum maritus exposuit uxori, que diutinam felici-tatem ex condixione ser-vata obicit et infelicitatem minatur secuturam si con-tempnatur. Tandem pre-ceps in precipitium miles non temperatur intermina-tione pene neque precibus flectitur ut a stulto propo-sito desistens sue consulat utilitati. […] Erepto linteo quo balneum operitur, mi-les ut uxorem nudam vi-deat accenditur, statimque domina in serpentem con-versa […] disparuit.

Ne scet le meut qu’il luy vint volonté de veoir la dame nue. […] Ainsy s’en va le chevalier en son cou-raige grant et andoyant, et ores doubte l’avanture du peril et lui semble folie a faire, or es se desdaigne de doubter et de mespri-ser paour en tel endroit ; une fois se conseille a son prouffit et se veult retraire de sa folle pensee, aultref-foys quide que dommage n’en puist avenir. Et tou-teffoys au dernier se laissa tresbucher a sa folie et va en la chambre ou la dame se baignoit et oste le lim-cel de la courtine pour veoir la dame nue. Mays tantost que ce fut fait, la dame devint serpent.

Si avint .i. jour que la dame se baignoit, que le cheva-lier fu venu de chacier et trouva la dame al baing, si ot merveilleuse volenté de veoir la nue, car il doutoit qu’ele n’eust en lui aucune chose perilleuse. Et la dame li dist : «Sire, se vous ne me tenez le couvenant que vous me promeistes, sachiez que je ne serai james fors que en paine et en meschief et vous meismes en arez a souffrir”. Le chevalier ne la voult croi-re, mes geta hors le drap de desus la cuve et descouvri la dame, et si tost conme il l’ot veue, elle fu tantost muee en serpent.

Il latente dissidio che assale Raimondo nel testo di Gervasio, viene espli-citato e drammatizzato da Jean d’Antioche, mentre Jean de Vignay azzera

LE TRADUZIONI DEGLI OTIA IMPERIALIA 157

tutto il pathos generato dalla violazione di un patto e dalla successiva scom-parsa della dama. Lo stesso ardente desiderio di vedere la donna nuda si tramuta, in realtà, in un sospetto sulla vera natura della moglie (qu’ele ne eust aucune chose perilleuse) e non bastano le parole della donna ad aprire il varco della riflessione in Raimondo che, con una gestualità decisamente più violenta rispetto agli altri testi, viola il suo spazio intimo. Jean de Vignay sembra, dunque, operare una schematizzazione semplificante dei racconti, confermando, nei confronti di alcune creature straordinarie, il processo di demonizzazione già avviato da Gervasio.

Ancora qualche breve riflessione sulle soluzioni traduttorie del termine latino fantasia, vera e propria cartina di tornasole per saggiare le difficoltà, insite in una traduzione per sententiam, e le diverse opzioni di un’operazione verbum ad verbum. Sempre nell’ottica di una traduzione glossata, Jean d’An-tioche duplica spesso il termine latino con quello francese. Un esempio è offerto dai contesti in cui Gervasio usa la parola fantasia che, nell’im-mediata traduzione francese, assume sfumature semantiche diverse, rin-viando alla prima facoltà di appercezione, come stabilito dalla gnoseologia neoplatonica e scolastica. Nel testo di Gervasio, infatti, fantasia non indica una vis dell’anima, bensì un essere incarnato e corporeo, tendenzialmente malefico. Il traduttore sente, così, la necessità di sostituire la parola latina con il termine francese che allude alla realtà fattuale degli esseri fantastici: fantosmez:

cap. 85: «Des dracs et des fantosmes», Gervasio di Tilbury, dec. III, cap. 85: «De lamiis, dracis et fantasiis»; cap. 93: «Fantasies et fantosmez de nuyt»; Gervasio di Tilbury, dec., III, cap. 93: « fantasias».

In altri luoghi, invece, laddove la sentenza è particolarmente oscura o difficile, Jean d’Antioche procede secondo il principio della traduzione straniante, venendo meno alle sue stesse affermazioni:

demones corporum formis fantasticis et larvatis, quasi larium, hoc est domorum, familiaritatem in figura tenentibus indui sustinet.29

Il souffre que les deables soient vestus de corps fantastis qui emporte familiarité domestique.30

Jean de Vignay, invece, utilizza spesso il calco fantasie, concorrendo allo spostamento semantico dello stesso termine francese. Non più facoltà dell’anima, ma figura incarnata, la fantasie di Jean de Vignay diviene sinoni-

29 Gervasio di Tilbury, Otia Imperialia, cit., III, 86, p. 724.30 Jean d’Antioche, Les traductions françaises des Otia Imperialia, cit., III, 86, p. 324.

MARTINA DI FEBO158

mo di demoni, streghe, lamie operanti nella realtà e capaci di tramutarla:

cap. 85: «Des estries et d’autres fantasies»; Gervasio di Tilbury, dec. III, cap. 85: «De lamiis et dracis et fantasiis»; cap. 93: «les fantasies de par nuit»; Gervasio di Tilbury, dec. III, cap. 93: «fantasias».

In conclusione, dunque, possiamo vedere come Jean d’Antioche e Jean de Vignay rappresentino due linee del volgarizzare medievale : entrambi mossi alla comprensione del testo, la coscienza teorica di Jean d’Antioche della non diretta equivalenza tra due sistemi linguistici, lo conduce a tra-durre le sentenze attraverso glosse, spiegazioni, commenti nel tentativo, tuttavia, di restare aderente al testo; Jean de Vignay, invece, sembra dimo-strare maggiore attenzione all’orizzonte d’attesa dei suoi lettori, senza porsi troppe questioni sull’attività di traduzione, la quale nella sua strumentalità meglio si presta ad essere plasmata dall’asse ideologico del traduttore e del suo tempo. Obiettivo di Jean de Vignay non è tanto quello di cogliere la specificità espressiva e contenutistica del testo, quanto quella di cercare di ridurre la fonte a categorie già accettate e condivise; non una forma di conoscenza, quanto invece una ricerca di conferme.