Capitolo 5 - Gli apporti della pragmatica e della traduttologia alla traduzione giuridica

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CAPITOLO QUINTO GLI APPORTI DELLA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA ALLA TRADUZIONE GIURIDICA 1. La pragmatica 1.1 Rapporti con la semantica Le conclusioni della pragmatica hanno influenzato i giuristi, portandoli a considerare la “forza illocutoria” dei diversi enunciati linguistici; oltre ad avere un “significato” questi posseggono infatti una “forza”, ossia una fun- zione comunicativa svolta in una determinata situazione. In particolare, sono state recepite le teorie degli atti linguistici (speech acts), elaborate da Austin e Searle, che considerano i diversi enunciati linguistici come altret- tanti tipi di azioni. Così, insieme all’attenzione tradizionale per la seman- tica, i giuristi hanno sviluppato anche un’attenzione per la pragmatica. Com’è noto, la semantica si occupa del significato delle espressioni lin- guistiche – parole o frasi – al di fuori delle situazioni in cui vengono utiliz- zate. Tesi semantica centrale è che le regole di una lingua fissano una volta per tutte il significato di ogni espressione. La pragmatica si concentra invece sulla situazione comunicativa. Essa è stata definita come “la disciplina che si occupa del significato in un conte- sto” (Bianchi, 2003: 11). Fino agli anni Settanta ebbe scarsa diffusione, es- sendo considerata una branca della semantica. In seguito ha conosciuto un impetuoso sviluppo, che tuttavia ne ha reso difficile la sistemazione. Un’al- tra definizione della pragmatica è quella che la considera come “la disci- plina che studia l’interazione fra la struttura linguistica e l’uso linguistico” (Bazzanella: 101-102). L’ampiezza dei campi coinvolti nella ricerca pragmatica, evidente da queste definizioni, rende difficile circoscriverne e definirne l’ambito. In re- altà, più che di una teoria pragmatica, ancora oggi si preferisce parlare di una “prospettiva” pragmatica, relativamente ad ogni livello e aspetto del- l’uso della lingua (Bazzanella: 102). Questa disciplina così definita intra- prende due ricerche complementari. Da un lato essa studia l’influenza del contesto sulla parola. Per esem- pio soltanto il contesto permette di precisare il significato della frase

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CAPITOLO QUINTO

GLI APPORTI DELLA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA

ALLA TRADUZIONE GIURIDICA

1. La pragmatica

1.1 Rapporti con la semantica

Le conclusioni della pragmatica hanno influenzato i giuristi, portandolia considerare la “forza illocutoria” dei diversi enunciati linguistici; oltre adavere un “significato” questi posseggono infatti una “forza”, ossia una fun-zione comunicativa svolta in una determinata situazione. In particolare,sono state recepite le teorie degli atti linguistici (speech acts), elaborate daAustin e Searle, che considerano i diversi enunciati linguistici come altret-tanti tipi di azioni. Così, insieme all’attenzione tradizionale per la seman-tica, i giuristi hanno sviluppato anche un’attenzione per la pragmatica.

Com’è noto, la semantica si occupa del significato delle espressioni lin-guistiche – parole o frasi – al di fuori delle situazioni in cui vengono utiliz-zate. Tesi semantica centrale è che le regole di una lingua fissano una voltaper tutte il significato di ogni espressione.

La pragmatica si concentra invece sulla situazione comunicativa. Essa èstata definita come “la disciplina che si occupa del significato in un conte-sto” (Bianchi, 2003: 11). Fino agli anni Settanta ebbe scarsa diffusione, es-sendo considerata una branca della semantica. In seguito ha conosciuto unimpetuoso sviluppo, che tuttavia ne ha reso difficile la sistemazione. Un’al-tra definizione della pragmatica è quella che la considera come “la disci-plina che studia l’interazione fra la struttura linguistica e l’uso linguistico”(Bazzanella: 101-102).

L’ampiezza dei campi coinvolti nella ricerca pragmatica, evidente daqueste definizioni, rende difficile circoscriverne e definirne l’ambito. In re-altà, più che di una teoria pragmatica, ancora oggi si preferisce parlare diuna “prospettiva” pragmatica, relativamente ad ogni livello e aspetto del-l’uso della lingua (Bazzanella: 102). Questa disciplina così definita intra-prende due ricerche complementari.

Da un lato essa studia l’influenza del contesto sulla parola. Per esem-pio soltanto il contesto permette di precisare il significato della frase

“Francesca ha finito un altro libro” (dove si tratta di sciogliere un caso diambiguità). La disambiguazione è effettuata in alcuni casi dal contesto lin-guistico, in altri casi dal più esteso contesto extralinguistico.

Dall’altro lato, la pragmatica studia l’influenza della parola sul conte-sto. Essa permette ad esempio di precisare se “Guarda!” serve ad impartireun ordine, a rivolgere un invito o a formulare una supplica. In questa pro-spettiva, i parlanti utilizzano il linguaggio per modificare la situazione deldiscorso, e in particolare per influenzare le azioni dei loro interlocutori. Èla celebre frase di Austin “dire è fare”, parlare significa agire. Ogni enun-ciato serve a compiere un atto, regolato da istituzioni, norme e conven-zioni.

1.2 La lingua come azione: Austin e Searle

La teoria “contestualista” argomenta in favore di un’immagine di lin-guaggio in senso lato ripresa da Wittgenstein, sostenendo che la semanticadelle espressioni linguistiche dipende dal loro uso (Bianchi, 2003: 128-129). Essa si ricollega in particolare al “secondo Wittgenstein”, autore delleRicerche filosofiche pubblicate postume nel 1953, secondo il quale il lin-guaggio è inestricabilmente legato ad un contesto, formato da azioni, usi eistituzioni (Penco: 104).

Le condizioni di verità di un enunciato come “l’abito è blu” variano,per esempio, in dipendenza dell’uso concreto dell’enunciato medesimo.Esso sarà vero solo se l’abito è blu. E tuttavia lo stesso enunciato può es-sere usato per dire una varietà di cose distinte. In determinati contesti soloun abito blu a tinta unita sarà considerato blu e l’enunciato riferito ad unabito blu a righe sarà falso: in altri contesti, invece, un abito blu a righe saràconsiderato blu e l’enunciato riferito a quell’abito sarà pertanto vero. Inaltre parole, la semantica intrinseca delle espressioni linguistiche non è suf-ficiente da sola a determinare le condizioni di verità (Bianchi, 2003: 128-130).

In questa prospettiva, il significato di un’espressione costituisce un in-sieme di restrizioni su ciò che è possibile comunicare in un’occasione spe-cifica: sono le circostanze d’uso a permetterci di determinare l’interpre-tazione appropriata. Le espressioni linguistiche di per sé possiedono solodei sensi occasionali: è questa in estrema sintesi la conclusione principalealla quale pervengono le prospettive contestualiste.

Tornando all’esempio dell’abito blu, molte risposte saranno possibili inciascuna circostanza, ma tutte dovranno essere compatibili con le restri-zioni che il significato intrinseco e convenzionale di “blu” impone (adesempio che il blu sia un colore in un sistema di colori e che se un oggettoè blu esso non può essere giallo): il che salva dall’obiezione secondo cui le

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prospettive contestualiste permettono di dire qualsiasi cosa con qualunqueespressione vanificando la distinzione fra usi corretti e scorretti. In alcunecircostanze d’uso, quindi, determinate interpretazioni saranno più ragio-nevoli di altre e, dato uno scopo, saranno a questo appropriate (Bianchi,2003: 129).

Nella prima metà del Novecento a Cambridge operava Wittgenstein,ad Oxford lavorava Austin.

È stato scritto a questo proposito (Penco: 118): “Aristotelico nello spi-rito, Austin era infastidito dalla vaghezza del richiamo all’uso linguisticoche andava di moda tra i seguaci del secondo Wittgenstein, affascinati dalloslogan «il significato è l’uso». Egli cercava una definizione sistematica chesembrava improponibile in un quadro wittgensteiniano. Se gli entomologiclassificano migliaia di farfalle, perché non classificare gli usi linguistici,anziché dichiarare subito che ce ne sono infiniti?”.

Il testo più famoso di Austin è senza dubbio How to Do Things withWords del 19621. Si tratta delle lezioni tenute ad Harvard nel 1955 e pub-blicate postume.

La prima distinzione in ordine di tempo sviluppata da Austin è quellafra enunciati performativi ed enunciati constativi.

Se “prometto” non descrivo un’azione, ma in realtà la compio. Nelmomento stesso in cui dico al mio interlocutore “prometto”, compiol’azione di promettere e mi impegno a mantenere la promessa. Austin pro-pone di definire enunciati di questo tipo “performativi” (dall’inglese toperform: eseguire), contrapponendoli ai constativi che contengono inveceuna semplice asserzione. Formulare un enunciato performativo equivale acompiere l’azione, a condizione che tale enunciato venga proferito in cir-costanze appropriate. Ad esempio si può dire “Battezzo questa nave” inmodo performativo solo in presenza di determinate circostanze, dette “difelicità”. Se le condizioni di performatività non sono rispettate si avrà in-vece un fallimento dell’azione, detto “infelicità”.

Successivamente Austin abbandonerà la dicotomia fra performativi econstativi in favore di “famiglie” più generali di atti linguistici connessi inmodo sistematico fra loro. Egli affermerà infatti che è possibile, per ognitipo di enunciato, distinguere un “atto locutorio”, un “atto illocutorio” eun “atto perlocutorio”.

L’atto locutorio corrisponde al fatto di dire qualcosa ed è oggetto distudio da parte di sintassi e semantica.

Ma ogni volta che pronunciamo un enunciato, lo facciamo per unoscopo in varia misura determinato. L’atto illocutorio corrisponde all’azione

1 Traduzione italiana: AUSTIN J.L. (1997), Come fare cose con le parole, Genova, Marietti.

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che viene effettivamente compiuta: affermazione, ordine, minaccia, pro-messa, avvertimento e così via.

L’atto perlocutorio, infine, corrisponde agli effetti ottenuti dall’atto il-locutorio, alle sue conseguenze comportamentali o psicologiche, intenzio-nali o involontarie.

Alcuni studiosi di pragmatica hanno osservato che fra le varie influenzesubite da Austin vi è stata anche quella dovuta alla frequentazione dei giu-risti, tanto che la sua teoria degli atti linguistici è stata definita “una dot-trina del giudizio in abiti moderni, ovvero una teoria dell’esternazione delgiudizio” (Leonardi, cit. in Bazzanella: 149).

Altri autori hanno rivolto una critica radicale ad Austin e ad ogni clas-sificazione dettagliata degli atti linguistici, ripercorrendo per molti versi lastrada già indicata da Wittgenstein, che vedeva nella dipendenza del signi-ficato dal contesto, e nella varietà irriducibile dei singoli contesti, un osta-colo insormontabile ad una classificazione vera e propria (Penco: 126).

Successivamente sono state tentate svariate classificazioni della “forzaillocutoria”. Quella più nota è stata proposta da Searle in sostituzione diquella di Austin, che egli riconosce tuttavia come proprio modello di par-tenza2.

La sua classificazione si basa su dodici “dimensioni” significative di va-riazione, che permettono di differenziare un atto linguistico da un altro.

La dimensione più importante è lo scopo dell’atto, poiché questo rap-presenta sempre un tentativo di indurre l’interlocutore a fare qualcosa. Peresempio lo scopo di una promessa è l’assunzione, da parte del parlante, diun impegno personale.

In questa prospettiva è possibile distinguere cinque tipi di atti che sipossono compiere proferendo un enunciato (Bianchi, 2003: 64-66).

Gli “atti rappresentativi” sono gli atti linguistici con cui esprimiamo lenostre credenze sul mondo (come gli atti di asserire, classificare, descri-vere, concludere ecc.)

Gli “atti dichiarativi” sono gli atti linguistici con cui modifichiamostati del mondo (come gli atti di nominare, condannare, licenziare ecc.).

Gli “atti espressivi” sono gli atti linguistici (ringraziare, salutare, ralle-grarsi ecc.) con cui esprimiamo i nostri sentimenti e più in generale i nostristati psicologici.

Gli “atti direttivi” sono gli atti linguistici con cui cerchiamo di indurregli altri a fare o a non fare qualcosa (come gli atti di ordinare, vietare, ri-chiedere, consigliare ecc.).

Infine, gli “atti commissivi” sono gli atti linguistici con cui ci impe-

2 Traduzione italiana: SEARLE J.R. (1992), Atti linguistici, Milano, Bollati Boringhieri.

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gniamo a fare qualcosa in futuro (come gli atti di promettere, incaricare, ri-fiutare, acconsentire ecc.).

L’uso degli atti dichiarativi e direttivi è sempre regolato da istituzioni enorme e il parlante deve avere un determinato status affinché siano efficaci3.

Concludendo, in mancanza di un’analisi del contesto non siamo ingrado di dire con quale forza illocutoria è stato proferito un enunciato. Laforma imperativa per esempio non basta da sola ad indicare un ordine.Inoltre, come è possibile che a una medesima struttura grammaticale cor-risponda il compimento di diversi atti illocutori, così uno stesso atto illo-cutorio può essere compiuto per mezzo di diverse strutture grammaticali.

1.3 Applicazioni al linguaggio giuridico

La pragmatica è stata utilizzata, come prima la semantica, negli studisul linguaggio giuridico, in particolare in quelli riguardanti la sua normati-vità. Come si vedrà nella seconda parte di questo capitolo, essa ha influen-zato anche la traduttologia descrittivista e quella funzionalista, sviluppatea partire dagli anni Settanta.

Sul versante dei giuristi ha scritto Cornu (2000: 45-46): “Le droit attache au langage certains effets de droit. Plus précisement,

il dote les actes de langage de conséquences juridiques. Le prononcé d’uneparole devient, en vertu du droit, générateur de droit. Dans les actes con-sensuels, l’expression verbale du consentement suffit, par elle-même et àelle seule, à lier juridiquement son auteur, qu’il s’agisse de l’échange desconsentements, dans les actes juridiques plurilatéraux, ou de la manifesta-tion unilatérale de volonté, dans les systèmes qui admettent l’engagementunilatéral (“j’offre”, “j’autorise”, “je reconnais”).

“Depuis toujours le droit admet que parler c’est agir. La théorie lin-guistique des actes de langage a, pour cette raison, connu d’emblée chez lesjuristes un immense succès. L’effet performatif du langage a de nombreusesapplications en matière juridique. Il y présente d’ailleurs la particularitéd’être doublement encadré par le droit. C’est le droit positif qui pose sesmarques et dans la cause et dans l’effet de l’acte de langage; c’est lui quidétermine les conditions juridiques auxquelles est subordonné l’effet per-formatif, et les conséquences juridiques en lesquelles il consiste”.

Scrive, in termini più generali, Belvedere (1994: 28):

3 Il volume di Penco (v. Bibliografia) riporta a p. 128 una tabella che riepiloga le clas-sificazioni di Austin e Searle. Sugli atti linguistici nel diritto v., da ultimo, con riferimentoanche ad Habermas, CAO D. (2007), Legal Speech Acts as Intersubjective CommunicativeAction, in WAGNER A., WERNER W., CAO D. (2007), Interpretation, Law and the Construc-tion of Meaning, Dordrecht, Springer.

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“Appartiene alla dimensione pragmatica del linguaggio la individua-zione delle sue tre funzioni principali: quella descrittiva, quella prescrittivae quella espressiva. Il linguaggio viene cioè utilizzato per descrivere situa-zioni e trasmettere conoscenze e informazioni; dirigere (o influire su) com-portamenti altrui; esprimere e trasmettere sentimenti ed emozioni”.

Premesse queste tre funzioni del linguaggio in generale, si osserva cheil linguaggio giuridico viene usato in discorsi sia prescrittivi che descrittivi.

Non vi è dubbio che abbiano carattere prescrittivo gli atti normativi, lesentenze, gli atti amministrativi e i contratti. È invece oggetto di un eternodibattito lo status dei discorsi della dottrina, che in prevalenza sono statituttavia considerati descrittivi (Belvedere: 29).

È inoltre sempre possibile che una funzione espressiva accompagni invaria misura quella prescrittiva o quella descrittiva (Scarpelli: 984-986).L’esempio tipico è costituito dai dispositivi retorici nell’oratoria forense(Mortara Garavelli, 2001: 189-224). Fra questi, la metafora viene conside-rata non solo come una figura retorica tipica, ma anche come uno stru-mento cognitivo, adatto a comunicare nozioni astratte (Scarpa: 64-66).Altri studiosi osservano che la varietà delle forme nel diritto ricorda quellaesistente in letteratura: vi sono generi, monologhi, narrazioni, dialoghi(Pelage, 2000: 4).

Infine, sono frequenti i discorsi che non appaiono allo stato puro, sic-chè (Belvedere: 29): “Possiamo parlare di discorsi descrittivi, prescrittivi edespressivi con riferimento alla prevalenza (non necessariamente quantita-tiva) di un tipo di proposizione e, quindi, alla funzione pragmatica del di-scorso nel suo complesso: ad esempio la motivazione «in fatto» di una sen-tenza comprende proposizioni descrittive che non alterano però il carat-tere globalmente prescrittivo del discorso costituito dalla sentenza stessa”.

Occorre a questo punto aprire un inciso, per parlare di un campo d’in-dagine a sé stante, avente ad oggetto la funzione espressiva, noto negli StatiUniti come Law as literature, ma presente in modo analogo anche in altripaesi.

Esso analizza il contributo della letteratura agli studi giuridici e si arti-cola (Sansone: 77-83) in tre diverse prospettive.

La prima sottolinea la comune natura retorica del diritto e della lette-ratura, nello sviluppo di una comunità, e osserva che il diritto è un potentemezzo di integrazione culturale, una funzione svolta tradizionalmenteanche dalla letteratura.

La seconda prospettiva parte invece dall’assunto che la narrativa rap-presenta una componente centrale del ragionamento giuridico e della pra-tica legale, idonea a spiegare la decisione del giudice in maniera più auten-tica e concreta di quanto non faccia il ricorso al sillogismo giuridico.

Infine, l’ultima prospettiva è focalizzata intorno all’attività di interpre-

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tazione, con la denominazione Legal texts as literary texts (Weisberg, cit.in Sansone: 76):

“Law-as-literature involves the parsing of such legal texts as statutes,constitutions, judicial opinions, and certain classic scholarly treatises as ifthey were literary works. Thus, the law-as-literature critic may assumethat there has been conscious authorial control of the semantic and struc-tural complexities of a legal text, and will subject the intrinsic text to theconventional techniques of «meaning» interpretation normally applied topoems, plays, or novels”.

Occorre aggiungere (Sansone: 83) che l’applicazione delle teoriedell’interpretazione letteraria all’interpretazione giuridica, improntata aduna esaltazione del ruolo soggettivo dell’interprete (in analogia al lettore diun’opera della letteratura), si pone come alternativa ai modelli interpreta-tivi di tradizione giuspositivistica incentrati sulla nozione di oggettività deltesto. Tali tesi hanno consentito una interpretazione progressista dellenorme giuridiche, rivelandosi estremamente importanti in particolare nel-l’evoluzione dell’interpretazione costituzionale.

Per i fini che qui interessano spicca fra gli esponenti del Law as litera-ture americano James Boyd White, in quanto egli è stato autore all’iniziodegli anni Novanta di un’importante opera intitolata Justice as Translation,oltre ad aver rilanciato all’inizio degli anni Settanta l’intero movimento delLaw as literature con un’altra sua opera, significativamente intitolata TheLegal Imagination. Sulla traduzione egli afferma:

“Think for a moment of the fundamental activity of the lawyer orjudge faced with a case or question in the world. It is to seek to resolve itby turning in the first instance to judgements of others – expressed instatutes or constitutional provisions or regulations or earlier decisions bycourts – that claim to speak with authority to the matter at hand. Thelawyer or judge must think about which of these texts is entitled to defer-ence, and if so how much, and also what the text should be said to mean inthis new context. All of these judgements should be reasoned out, and onecan expect them to be contested. As I argued in Justice as Translation, thelast judgement, about what the text means in this new context, is itself aspecies of translation, requiring the exercise of a most difficult and chal-lenging art. And this whole legal enterprise has as its goal the definitionand achievement of justice”4.

Tornando agli atti linguistici, un altro aspetto importante da sottoli-neare, rilevante per la traduzione giuridica, è che essi si realizzano in mododiverso, a seconda della lingua giuridica considerata (Garzone, 2007: 224):

4 “Interview with James Boyd White”, Michigan Law Review, 2007: 1403-1419.

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“[Nei testi legislativi inglesi o americani] l’utilizzo di shall nella enun-ciazione di norme con valore deontico o performativo dà luogo a un pro-blema di una certa importanza ai fini della traduzione in italiano, dove perentrambe le funzioni si tende ad utilizzare il presente indicativo (…) Va pe-raltro notato che non è oggi insolito trovare in alcune tipologie testuali diprofilo internazionale forme verbali al futuro con significato performativoo deontico, ad esempio nei contratti («il proprietario non sarà ritenuto re-sponsabile per la sospensione dell’attività»)”.

In merito all’influenza della pragmatica su altri settori disciplinari, glistudiosi approdano a una conclusione comune (Bazzanella: 164 e 167):

“L’interesse per gli atti linguistici si è sviluppato per lo più in seguito allavoro di Searle, e la lettura di questa nozione è fondamentalmente la sua,non quella di Austin (…)

“Le nozioni di atto linguistico, forza illocutoria, effetti perlocutori ecc.sono entrate a far parte non solo della teoria pragmatica, ma degli stru-menti interdisciplinari di base, utili in vari campi di ricerca e rispetto ad og-getti di studio molto diversi”.

A conferma di questa influenza si vedrà fra breve che la pragmatica, re-sasi autonoma dalla linguistica negli anni Settanta, ha fortemente condizio-nato anche la traduttologia quale sviluppatasi nelle facoltà di lingue, tradu-zione e lettere, in particolare le sue correnti descrittiviste (Toury) e funzio-naliste (Vermeer) che sono nate insieme nello stesso periodo in cui nascevala pragmatica.

2. La traduttologia

2.1 Principali tendenze contemporanee

È fondamentale iniziare ricordando che il concetto di traduzione iden-tifica una vasta gamma di fenomeni della comunicazione umana. A ri-guardo è invalsa la tripartizione proposta dal linguista Roman Jakobson inun saggio del 19595 e ben riassunta da Salmon (2003: 29-30):

“a) traduzione endolinguistica o intralinguistica (o riformulazione): ov-vero la ricodifica di un messaggio all’interno di una stessa lingua naturale,compreso ciò che viene detto a qualcuno (destinatario secondario) e che,da questi riferito (in quanto tramite), giunge modificato a un terzo (desti-natario primario);

“b) traduzione interlinguistica, ovvero il passaggio di un messaggio tra

5 JAKOBSON R. (1959), Aspetti linguistici della traduzione, in NERGAARD S. (1995),Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani.

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due lingue naturali, comprese le situazioni di diglossia (l’utilizzo parallelo,con ruolo diverso, di lingua e dialetto); la traduzione tra due lingue può es-sere passiva (verso la lingua madre) o attiva (verso la seconda lingua);

“c) traduzione intersemiotica (o trasmutazione o trasposizione), ovveroil passaggio da un codice a un altro quando almeno uno dei due codici nonè una lingua naturale: dal testo scritto a quello cinematografico, dall’im-magine alla musica, dalla formula algebrica al disegno geometrico, ecc.”.

Nel presente capitolo si analizzerà solo la seconda categoria, ossia latraduzione vera e propria di natura interlinguistica.

Fino agli anni Sessanta la “teoria della traduzione” costituiva uno degliambiti secondari della linguistica. Il centro d’interesse dei linguisti era al-trove, e la traduzione veniva studiata come fenomeno astratto. Essa eravista in sostanza come un “trasporto” di equivalenti testuali dalla lingua dipartenza alla lingua di arrivo. Il suo aspetto extralinguistico (comunica-tivo) in altre parole veniva ancora ignorato.

Né questa impostazione cambiò quando la traduzione venne studiatasoprattutto nell’ambito della linguistica contrastiva, che analizzava i si-stemi di corrispondenze fra coppie di lingue.

Nel 1964 Eugene Nida pubblicò Toward a Science of Translating, ilprimo vero e proprio “trattato” di traduttologia (Salmon: 109-110). Nida, lacui attività principale era quella di traduttore della Bibbia, vi sviluppa la no-zione di “equivalenza dinamica” che consente al traduttore, in aggiunta alla“equivalenza formale”, di variare di volta la traduzione, per trasmettere allettore un effetto simile a quello prodotto dall’originale sul lettore straniero.

Tra i padri della traduttologia linguistica va anche annoverato JohnCatford, che nel 1965 pubblicò A Linguistic Theory of Translation. AnEssay in Applied Linguistics, nel quale si conferma l’indispensabile ruolodella linguistica in questo campo di studi.

Su questo periodo è stato osservato (Tymoczko: 28) che: “the linguis-tic approaches to translation developed and evolved in the last half centuryremain vigourous in their contributions to translation studies”.

Mentre la disciplina della traduzione si chiamava in quegli anni “teoriadella traduzione”, questa nozione si è frammentata successivamente invarie denominazioni:

a) nei paesi anglofoni Translation Studies ma anche spesso Translato-logy 6;

6 L’espressione Translation Studies ha un doppio significato: da un lato designa unaprecisa corrente di studi sulla traduzione, descritta nel seguito di questo capitolo e il cuimassimo rappresentante è Gideon Toury; dall’altro da questo primo significato se ne è de-rivato un secondo, più ampio, che designa gli studi sulla traduzione in generale ed è quindisinonimo di “traduttologia”. Nel titolo del presente volume, Translation Studies è utiliz-zato in questa seconda accezione.

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b) nei paesi francofoni traductologie (da cui l’italiano “traduttologia”);c) nei paesi germanofoni Übersetzungswissenschaft 7 ma anche spesso

Translatologie.Negli anni Settanta alle teorie prescrittive di Nida e Catford, giudicate

astratte, si contrapposero nuovi approcci descrittivi, comprendenti stu-diosi provenienti da aree geografiche diverse i quali, almeno inizialmente,non si identificarono in una corrente di pensiero unica. In un secondotempo la maggior parte di essi si raccolse attorno alla proposta dello stu-dioso (e traduttore) americano James S. Holmes, il quale formulò nel 1972l’espressione Translation Studies, una scelta che rifletteva il desiderio dicreare un terreno del tutto autonomo dalla linguistica per questo tipo distudi8.

Secondo Holmes la ricerca sulla traduzione, rinunciando all’illusoriostatus di “scienza” o di “teoria”, doveva avere carattere empirico e perse-guire un duplice obiettivo: descrivere il processo traduttivo e il suo pro-dotto, così come si manifestano nella realtà dell’esperienza, e formulare iprincipi generali grazie ai quali è possibile realizzare e spiegare questi fe-nomeni. I due propositi corrispondono ai rami principali della disciplina,descrittivo e teorico, a cui si aggiunge un ramo applicativo (che studia la di-dattica della traduzione).

È stato osservato da Salmon (2003: 45) che umori postmodernisti in-fluenzano lo scetticismo nutrito dai primi Translation Studies verso le“pretese della scienza e della teoria”.

Osserva similmente Nergaard (1995: 14): “La denominazione che daora in poi viene data alla disciplina è Translation Studies. La si vuole chia-mare così perché non è una scienza, forse nemmeno una teoria, ma certa-mente un campo di studi”.

L’autore che si adopera maggiormente nella promozione della correntedescrittiva è senza dubbio Gideon Toury, esponente della scuola di TelAviv. Egli decide di concentrarsi non sul processo traduttivo in astratto,ma sulle realtà osservabili costituite dai testi effettivamente tradotti. Nellasua concezione soltanto in una seconda fase la ricerca avrebbe potuto rico-struire il processo traduttivo ispiratore di una specifica traduzione(Agorni: 16-19).

Qui interessa sottolineare che Toury, allargando enormemente lo spet-tro delle relazioni potenziali fra testo di partenza e testo di arrivo, proponeuna nozione estremamente ampia di traduzione. Infatti per equivalenza

7 È significativo che Roberto Bertozzi (1999: 14) traduca Übersetzungswissenschaftcon “traduttologia”.

8 Nel 1972 Holmes lesse una relazione dal titolo The Name and Nature of TranslationStudies, durante il Terzo congresso internazionale di linguistica applicata di Copenhagen.

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egli intende “qualsiasi genere di relazione che si ritiene caratterizzi una tra-duzione in circostanze specifiche”, una definizione che abbraccia l’interosistema di legami possibili fra un testo tradotto e un testo originale (ve-dremo nel paragrafo dedicato alla Translational action l’enorme impor-tanza di questa prima intuizione). Inoltre, questo scioglimento dei vincolitradizionali gli permette di considerare la traduzione come un fenomenoche appartiene primariamente al sistema linguistico e culturale di arrivo(target orientation) e a prestare un’attenzione prioritaria ai procedimentiche ne determinano l’accettabilità in tale sistema.

Entrando nel dettaglio, Toury riconosce nella sola metatestualità il re-quisito minimo affinché un testo si qualifichi come traduzione, preve-dendo (almeno) tre postulati: deve esistere un testo fonte (the source-textpostulate), il testo tradotto deve essere stato generato per mezzo di un’ope-razione di trasferimento (the transfer postulate), infine deve esistere unqualche tipo di rapporto [corsivo nostro] tra il testo fonte e la traduzione(the relationship postulate), rapporto la cui struttura, aggiungiamo noi,varia con le circostanze pragmatiche.

Questa definizione così aperta di traduzione sarà portata fino al-l’estremo dalle teorie funzionaliste, dapprima dalla Skopostheorie di Reiss,Vermeer e Nord, quindi dalla Translational action di Holz-Mänttäri.

Per il momento è sufficiente ricordare (Salmon: 119; Garzone, 2005: 59e 2007: 202; Agorni: 44) che l’orientamento funzionalista presenta nume-rosi punti in comune con le correnti descrittiviste nate nello stesso pe-riodo. È Toury in persona a riconoscerlo:

“Interestingly, the first formulations of the Skopostheorie by Vermeer(e.g. 1978) almost coincided with the beginning of my own switch to target-orientedness (Toury 1977) – which sheds light on how changes of scholarlyclimate occur, especially considering that for quite a while the two of uswere practically unaware of each other’s work” (cit. in Garzone, 2005: 59).

Quest’ultima studiosa a riguardo così commenta: “È significativo chele due impostazioni teoriche, quella descrittivista e quella funzionalista,sviluppatesi in parallelo, abbiano solo tardivamente riconosciuto le proprieaffinità” (Garzone, 2005: 62-63).

In tempi più recenti, i Translation Studies hanno conosciuto una“svolta culturale” (cultural turn), che può essere così riassunta (Tymoczko:42-43):

“Although some early descriptive studies raised questions about ideol-ogy and politics, most early descriptive research had a focus that was moreliterary than ideological. More recent descriptive studies of translation, bycontrast, have been invested in questions pertaining to ideology and poli-tics (…) Power [has been seen] as a motivating factor in cultural domainssuch as translation.

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“A major development of this second phase of descriptive translationstudies, dating from the end of the 1980s, has been dubbed «cultural turn».The term gained currency with the publication of the collection of essaysedited by Susan Bassnett and André Lefevere, Translation, History andCulture (1990)”.

“The work of Lawrence Venuti can be situated in the context of thecultural turn as well, touching its various diverse strands and combining adescriptive approach to translation with a focus on ideology and power, aswell as self reflexivity about the discipline”.

All’interno di questa corrente la traduzione viene definita soprattuttocome un atto di comunicazione fra culture diverse. Oltre agli studiosi oc-cidentali partecipano a questo dibattito studiosi postcoloniali appartenentia diversi paesi; infatti in un contesto non occidentale la traduzione diventaun’occasione importante per porre questioni su storia, rappresentazione epotere. Un esempio largamente noto di questa problematica è costituitodal ruolo che ha svolto la traduzione nella transizione democratica del SudAfrica.

Infine, nello stesso periodo dei Translation Studies si sono svolte anchele riflessioni decostruzioniste sulla traduzione, esemplificate dagli scritti diJacques Derrida. In una conferenza all’università della California tenuta inlingua inglese, egli così descrisse la decostruzione in generale:

“For instance, one assertion, one statement, a true one, would be, andI would subscribe to it: deconstruction is neither a theory nor a philoso-phy; it is neither a school nor a method. It is not even a discourse, nor anact, nor a practice. It is what happens, what is happening today”9.

La visione teorica di Derrida smantella una serie di assunti della tradi-zione occidentale: l’esistenza della distinzione fra testo di partenza e testodi arrivo; la figura e l’autorità dell’autore; l’esistenza di un significato de-terminabile, in quanto tale trasferibile da una lingua all’altra.

Il testo, frammentato secondo il procedimento tipico del poststruttu-ralismo, non più rappresentativo dell’essere ad esso esterno, si ri-costitui-sce mediante l’atto traduttivo nella scrittura di un nuovo testo originale.

Inoltre, la traduzione non individua più l’invarianza ma, al contrario,la non presenza e la non identità. Scrive Gentzler (2001: 157-165):

“In his essay Différance from Margins of Philosophy (1982), Derridacoins the neologism différance to refer not to what is there (language), butwhat is not there, and thus calls into question any ontological approachthat attempts to determine a notion of Being based on presence (…)

“The problem, according to Derrida, is that the trace (of that partic-

9 NEWMARK K. (2006), Deconstruction, in KRITZMAN L.D. ed. (2006), The ColumbiaHistory of Twentieth-Century French Thought, New York, Columbia University Press.

CAPITOLO QUINTO126

ular thing which is not) can never be presented as a phenomenon might.It is always differing and deferring, erasing itself in the act of disclosure(…)

“Instead of translations fixing the same meaning, translations can alsoallow further room for play, extend boundaries, and open up new avenuesfor further difference (…) Derrida calls into question any definition oftranslation as transporting, reproducing, representing, or communicatingthe «meaning» of the original. On the contrary, translation can be viewedas a lively operator of différance, as a necessary process that distorts orig-inal meaning (…)

“The translator extends, enlarges, or makes languages grow. The en-largement is not a linear, systematic one, but one which is fragmentary,happening only at «infinitely small points»”.

Occorre aggiungere che la distinzione fra le diverse correnti della tra-duttologia fin qui ricordate non è sempre netta, esistono sovrapposizioni,e ciascuna corrente rinvia in modo più o meno esplicito a tutte le altre.

Questa rassegna si può concludere con una osservazione avanzata dapiù autori, riguardante l’attuale carattere pluridisciplinare della traduttolo-gia, quale sviluppata nelle facoltà di lingue, traduzione e lettere.

Agorni (2005: 9-12) riassume bene la questione, ricordando che si parladi “multidisciplina”, “interdisciplina” o “metadisciplina”: questa utilizzainfatti strumenti mutuati da altri settori, ma di volta in volta li trasformarendendoli adatti a soddisfare proprie esigenze di ricerca.

Si spingono oltre Arduini e Stecconi (2007: 46-47):“Negli ultimi quarant’anni i traduttologi hanno preso a prestito le pro-

spettive teoriche di una vasta gamma di discipline più o meno contigue (…)Il risultato è una grande opera di messa in rete delle conoscenze relative aitesti e ai segni, dalla quale la traduttologia esce come un’autentica transdi-sciplina. Tuttavia, ciascuno di questi campi di studio esercita una forza cen-trifuga che finora i Translation Studies non sono stati in grado di bilanciarecon una forza centripeta di potenza comparabile (…) La vocazione inter-disciplinare ha prodotto, per così dire, un gran numero di noccioli nellatraduttologia”.

Peraltro, occorre notare che mentre il termine francese traductologie equello tedesco Übersetzungswissenschaft sembrano rinviare ad un con-cetto unitario della disciplina, quello inglese di Translation Studies apparepiù idoneo ad accogliere una diversità di tradizioni, metodi ed obiettivi.

Per le finalità del presente volume merita un’attenzione particolare lateoria dello skopos, sviluppatasi prevalentemente in Germania e in Finlan-dia a partire dagli anni Settanta, con i lavori di Hans Vermeer (il suo inizia-tore nel 1978), Margret Ammann, Justa Holz-Mänttäri, Hans Hönig, PaulKussmaul, Sigrid Kupsch-Losereit, Christiane Nord, Katharina Reiss e

GLI APPORTI DELA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA … 127

Heidrun Witte10. La teoria dello skopos rientra a sua volta nell’ambito degliorientamenti funzionalisti più volte menzionati nel capitolo precedente.

2.2 Le origini della Skopostheorie

In traduttologia lo sviluppo della teoria dello skopos, negli anni Ot-tanta, è associato tradizionalmente ai nomi di Reiss e Vermeer, che hannoscritto in tedesco, mentre la diffusione in inglese della teoria stessa si devea Nord.

Essa è stata preparata in Germania dalla precedente scuola traduttolo-gica di derivazione linguistica, ben ricostruita da Salmon (115-118), la cuiesposizione sarà qui ripresa nelle sue grandi linee.

La studiosa, dopo aver ricordato i nomi di Otto Kade, Wolfram Wilss,Jörn Albrecht, Albrecht Neubert, Gert Jäger, Werner Koller, oltre aglistessi Reiss, Vermeer e Nord, riporta un’affermazione di Bianchi (1989:45):

“La parola chiave della Übersetzungswissenschaft sul piano normativoè «equivalenza». Per qualche tempo all’inizio (soprattutto dalla scuola diLipsia) è stato usato il termine «invarianza», ma ben presto si è sentita lanecessità prima di coniugarlo, poi di sostituirlo con un’altra più elasticanozione, quella di equivalenza appunto”.

Aggiunge Salmon:“In realtà il concetto di «invariante», che resta ancora piuttosto dibat-

tuto, non si esaurisce in quello di equivalenza in quanto si riallaccia inmodo più marcato all’ambito strutturalista (con invarianza la scuola pra-ghese intendeva il significato che sopravvive intatto a tutte le sue possibiliespressioni)11.

Prosegue Salmon:“In seguito, parte della traduttologia tedesca, soprattutto la scuola di

10 Questo elenco è a p. 235 di Schäffner 1998 b (v. Bibliografia).11 Bertozzi (1999: 49) così commenta: “[Si individuava] nel contenuto in senso stretto,

nella sola dimensione informativa del testo, l’unica componente che può e deve restare in-variata. «Il compito traslatorio sta nel conservare il contenuto informativo di un testo comeinvariante, nonostante si verifichi un cambiamento di codice»: così Koller riassume l’obiet-tivo primario della Translationslinguistik della Scuola traduttologica di Lipsia, definendouna posizione sintomatica di quello che è stato all’inizio un orientamento più generale dellaricerca strettamente linguistica sulla traduzione, ricerca che circoscrisse via via la propriaindagine all’ambito dei testi specialistici, ovvero dei testi per i quali si potesse partire da unprimato del contenuto sulla forma e per i quali, pertanto, l’equivalenza potesse essere real-izzata garantendo invarianza a livello del contenuto: semantic invariance (Inhaltsinvari-anz).” Per una rassegna sul concetto di equivalenza nella storia recente della traduttologiav. FAWCETT P. (1997), Translation and Language. Linguistic Theories Explained, Manches-ter-Northampton: St. Jerome Publishing.

CAPITOLO QUINTO128

Lipsia, si è orientata in direzione della linguistica testuale e della pragma-tica, ponendo così le basi delle teorie funzionaliste.

“Fin dai primi anni Settanta, gli studi critici di Neubert sull’invarianzaspostavano l’attenzione sugli aspetti pragmatici che rendevano sterile l’os-sessiva indagine della lingua nella sua struttura astratta. Di fatto il nucleoinvariante del significato si trasformava (cioè «variava») nel nucleo «equi-valente» della lingua d’arrivo. Come osserva Roberto Bertozzi, l’inva-rianza è comunque un concetto relativo, contingente e concreto: «una in-varianza astratta, ovvero indipendente dallo scopo da perseguire, non esi-ste» (1999: 57). Il concetto di equivalenza, in tal modo, perfezionava quellodi invariante”12.

Infine Salmon conclude:“La traduttologia linguistica tedesca ha comunque costituito un anello

di congiunzione nell’evoluzione della teoria della traduzione contempora-nea. L’attenzione dei linguisti tedeschi per la differenziazione contestuale,per il rapporto fra testo e destinatario e di conseguenza per la funzione te-stuale è stata la premessa per la più nota proposta teorica, la Skopostheo-rie”.

Noi aggiungiamo che lo stesso legame è stato sottolineato in terminianaloghi da Gentzler (2001: 69).

2.3 La tipologia dei testi: Reiss

Già la traduttologia linguistica tedesca aveva iniziato a riflettere sulruolo dei tipi di testo (cosiddetta übersetzungsrelevante Texttypologie),nell’ambito della valorizzazione che essa aveva compiuto della linguisticatestuale applicata agli studi sulla traduzione.

Katharina Reiss nel suo volume Möglichkeiten und Grenzen der Über-setzungskritik del 1971 approfondì ulteriormente la riflessione, classifi-cando i testi in diversi “tipi” (Texttypen), sulla base delle funzioni del lin-guaggio individuate da Bühler, e affermando che la scelta della strategiatraduttiva dipende in ultima analisi dal tipo di testo da tradurre.

Nella sua Sprachtheorie (1934) Bühler aveva individuato tre funzioni dellinguaggio: la Darstellungsfunktion, tradotta dagli autori italiani “funzionerappresentativa” o “referenziale”, l’Ausdrucksfunktion, tradotta “funzioneespressiva” e l’Appellfunktion, tradotta dagli autori italiani “funzione ap-pellativa” o “conativa”. È stato osservato che l’opera di Bühler “rientra

12 Secondo Bertozzi (1999: 91) “si tratta quindi, per il traduttore, di distinguere travariabili e invarianti, di individuare, volta per volta, quali componenti, quali strutture deltesto, a livello di contenuto, a livello espressivo, a livello pragmatico, possono o devonovariare, e quali invece impongono il loro primato e si affermano come invarianti”.

GLI APPORTI DELA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA … 129

nella formulazione classica del funzionalismo, cioè di un programma scien-tifico che studia le funzioni del linguaggio a preferenza dei suoi aspetti for-mali e le riconduce alle loro condizioni dialogiche e situazionali” (Formi-gari, cit. in Bazzanella: 106).

Nella concezione di Reiss, ogni testo svolge più funzioni comunicative,ma una di esse è prevalente. Pertanto, nella traduzione dei testi rappresen-tativi l’invarianza va ricercata sul piano del contenuto, mentre nella tradu-zione dei testi appellativi essa va ricercata a livello di effetto.

Nel corso di oltre un decennio, la studiosa perfezionò le sue tipologiefino a darne una versione definitiva in Grundlegung einer allgemeinenTranslationstheorie, scritta insieme ad Hans Vermeer nel 1984. In que-st’opera la Reiss mantiene i precedenti tipi testuali, cambiandone i nomima non la sostanza. Distingue infatti fra “testi informativi” (informativerTexttyp), “testi espressivi” (expressiver Texttyp) e “testi operativi” (opera-tiver Texttyp).

Aggiunge poi una seconda e più profonda distinzione, stando alla qualei testi si caratterizzano non solo come Texttypen ma anche come Textsorten(denominazione che gli autori italiani traducono con “varietà” o “genere”).In sostanza i Textsorten sono esplicitazioni dei Texttypen: per esempio il ge-nere “manuale” appartiene al tipo informativo; il genere “opera letteraria”appartiene al tipo espressivo; il genere “pubblicità” appartiene al tipo ope-rativo13. Reiss prevede anche generi ibridi, come ad esempio una brochureturistica, contenente elementi di tutti e tre i tipi.

La prima operazione che deve compiere un traduttore è quella di indi-viduare il tipo e il genere testuale del testo di partenza formulando, su que-sta base, una gerarchia di principi e di criteri che orienteranno la sua stra-tegia traduttiva.

È stato osservato (Schäffner, 1998 b: 237) che la tipologia di Reiss pre-suppone ancora in linea generale una “costanza della funzione” (Funktion-skonstanz) fra testo di partenza e testo di arrivo. Più precisamente (Hönig,1997: 9):

“When discussing the translation of her text types, Reiss does this witha view to preserving the function of the source text. She is aware of the factthat there are changes of function through translation, but she essentiallysees them as exceptions. So the focus of her approach is still on the sourcetext”.

Rispetto a questo schema, alcuni anni dopo Vermeer affermerà che lafunzione del testo di arrivo può anche essere diversa dalla funzione del

13 In ambito letterario il concetto di Textsorte equivale a quello di Textgattung (generetestuale), ovvero il romanzo, la biografia, la favola, il racconto, la poesia ecc. (Bertozzi: 35).

CAPITOLO QUINTO130

testo di partenza (Funktionsveränderung o “cambiamento della fun-zione”).

Basando la strategia traduttiva sui tipi e sui generi testuali, Reiss af-ferma che non esiste una traduzione corretta in modo astratto, preparandocosì la teoria dello skopos (di cui sarà anche un’esponente). Ma al di fuoridi questa precisa corrente teorica sono innumerevoli gli studiosi che hannoelaborato classificazioni dei tipi e dei generi testuali, fra le quali si torna asottolineare quella dovuta a Sabatini, maturata come supporto a un’analisidel linguaggio giuridico e articolata in “testi molto vincolanti”, “testi me-diamente vincolanti” e “testi poco vincolanti” (supra Capitolo III).

2.4 La Skopostheorie: Vermeer

Nel 1978 Hans Vermeer, professore della Facoltà di linguistica appli-cata presso l’università di Mainz-Germersheim in Germania, pubblicò unarticolo intitolato Ein Rahmen für eine allgemeine Translationstheorie 14.

In questo conciso saggio, considerato oggi come l’inizio della teoriadello skopos, Vermeer sposta l’attività di traduzione dall’ambito della lin-guistica a quello della pragmatica, dichiarando che tale attività costituisceun atto comunicativo, di volta in volta contraddistinto da uno scopo di-verso.

Tipi e generi testuali quali definiti da Reiss non sono più entità asso-lute, ma vengono influenzati dallo scopo comunicativo del testo di par-tenza e del testo di arrivo. La strategia traduttiva è determinata, di volta involta, dalla negoziazione fra tutti questi elementi, compresenti in ciascunasituazione determinata. Nella concezione di Vermeer la funzione del testodi arrivo, come si è già detto, può infatti essere diversa dalla funzione deltesto di partenza.

2.5 Sviluppi della teoria dello skopos

Il già accennato Grundlegung einer allgemeinen Translationstheorie diReiss e Vermeer (1984 e 1991) ha conferito una sistemazione generale aquesta teoria, che è stata poi diffusa fuori della Germania principalmenteattraverso le opere in inglese di Christiane Nord.

Nelle intenzioni dei suoi principali esponenti, la Skopostheorie è unateoria generale della traduzione, che si applica a tutti i tipi e generi di testi.

Essa rispecchia un più ampio spostamento della riflessione dal pianoformale a quello funzionale. In tale evoluzione ha influito il ruolo cre-

14 In Lebende Sprachen, 1978, 23, 95-98.

GLI APPORTI DELA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA … 131

scente della pragmatica (Gentzler: 70; Nord, 1997: 14; Schäffner, 1998 b:236). Questa teoria appartiene infatti alla più ampia famiglia dei functiona-list approaches, che hanno profondamente innovato gli studi sulla tradu-zione nel corso degli anni Ottanta.

Nella sua prima formulazione la traduzione appare vincolata dalloscopo del testo di arrivo (purpose of the target text), scopo che viene indi-cato, nelle condizioni ideali, dall’iniziatore (initiator) della traduzionestessa con riferimento ad un ricevente finale (receiver). Holz-Mänttäri, inmodo più analitico, fa seguire all’initiator un commissioner e fa precedereil receiver da uno user (cit. in Nord, 1997: 20-22).

Poiché lo scopo del testo di arrivo varia a seconda dell’initiator, puòanche essere diverso dallo scopo del testo di partenza. Se sono identiciReiss e Vermeer parlano di “costanza della funzione”, in caso contrario di“cambiamento della funzione”. In quest’ultima eventualità l’obiettivo“qualitativo” della traduzione deve essere l’adeguatezza (adequacy) alloscopo del testo di arrivo.

Sempre nelle condizioni ideali, tale scopo viene stabilito nell’incarico ditraduzione (Übersetzungsauftrag in tedesco, translation brief in inglese).Quando ciò non accade lo scopo si considera “implicito” in ciascuna situa-zione comunicativa e deve essere “ricavato” dal traduttore sulla base delleinformazioni a sua disposizione.

La teoria di Reiss, Vermeer e Nord consente quindi tanto una tradu-zione orientata al testo di partenza quanto una traduzione orientata al testodi arrivo, a seconda dello scopo, come anche di “tarare” la traduzione suqualunque punto intermedio fra queste due estremità (Gentzler: 71; Nord,1997: 29; Schäffner, 1998 b: 237). In particolare, essa permette di determi-nare caso per caso il grado di precisione semantica necessaria nella tradu-zione del lessico specialistico (Hönig e Kussmaul, cit. in Nord, 1997: 14).

Come già detto, lo scopo è il risultato di una negoziazione fra tradut-tore ed initiator e viene stabilito nell’incarico di traduzione.

Le nozioni di “negoziazione” in Vermeer e in Eco sono molto vicine.Il primo ne ha tuttavia una visione più ristretta (Vermeer, 1998: 183):

“Vi saranno casi in cui il traduttore riterrà utile applicare una data stra-tegia traduttiva per ottenere un testo di arrivo ottimale dati lo skopos e i de-stinatari specifici – chiamiamolo skopos 1. Se le circostanze contingenti, in-cluse le richieste avanzate dal committente, costringono il traduttore a de-viare dalla propria traduzione ottimale, parleremo invece di «skopos incircostanze date» o skopos 2. Il risultato dell’accordo tra traduttore e com-mittente potrà non coincidere con il testo ottimale dal punto di vista deltraduttore nel suo ruolo di specialista, ma sarà comunque ottimale date lecircostanze. Esistono dunque due diverse condizioni ottimali: l’optimum1, ideale per lo specialista, e l’optimum 2, di natura pragmatica (…)

CAPITOLO QUINTO132

“È responsabilità del traduttore produrre una traduzione potenzial-mente ottimale nelle circostanze del caso specifico.”

Riassumendo, Vermeer concepisce la traduzione finale come il risultatodi una serie di “negoziazioni”, che avvengono tra parti che possono avan-zare skopoi anche diversi.

Inoltre nella teoria dello skopos la traduzione di un testo non è l’unicaazione possibile, in quanto scopi particolari possono richiedere azioni di-verse dalla traduzione vera e propria: proposta al committente di non tra-durre; proposta di un riassunto nella lingua di arrivo; proposta di una meragist translation (ossia una traduzione molto approssimativa, volta solo adare un’idea del contenuto); proposta di effettuare un adattamento e nonuna traduzione (Vermeer e Holz-Mänttäri, cit. in Nord, 1997: 21; inoltreHatim – Mason, cit. in Nergaard: 17).

Ad una simile conclusione portano gli assunti della teoria dello skopos,fra cui una definizione molto ampia del concetto di “traduzione”, che al-larga ulteriormente quella già estesa fornita da Toury (supra). La tradu-zione viene infatti definita da Vermeer come una “offerta di informazioni”(Informationsangebot), una caratteristica questa di grande importanzanella Skopostheorie come sottolineato da Agorni (2005: 47):

“Partendo da una definizione di testo quale offerta di informazioni daparte di un produttore ad un ricevente, la traduzione viene consideratacome un’offerta di informazioni ai membri di una determinata lingua ecultura, informazioni ricavate da una precedente offerta redatta in una lin-gua diversa. La traduzione è dunque un prodotto derivato, e i traduttorisono responsabili del delicato processo di selezione e trasmissione delle in-formazioni ad un ricevente”.

Si aggiunga che in questo caso la parola “informazione” comprendetutte le funzioni possibili del linguaggio, come definite nella prima parte diquesto capitolo dedicata alla pragmatica (Reiss e Vermeer: 61). Vengonopertanto incluse nella nozione di “offerta di informazioni” sia la tradu-zione in senso proprio che le altre forme di “azione traduttiva” (una no-zione quest’ultima più ampia della traduzione). Per limitarci ad un soloesempio, la traduzione di un testo giuridico può svolgere una funzioneperformativa, se si tratta di una traduzione autentica come definita nel Ca-pitolo II, oppure funzioni di ogni altro tipo, le quali possono richiedere“azioni traduttive” diverse dalla traduzione (ad esempio svolge una fun-zione constativa il mero riassunto in italiano di una legge straniera, il qualecostituisce pur sempre una “offerta di informazioni”).

Si arriva così alla definizione di traduzione data da Ammann, collabo-ratrice di Vermeer (cit. in Nord, 1997: 112-113):

“On the basis of modern translation theory we can talk of «transla-tion» when a source text (of oral or written nature) has, for a particular

GLI APPORTI DELA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA … 133

purpose, been used as a model for the production of a text in the target cul-ture”.

Altre correnti della traduttologia hanno invece mantenuto una distin-zione fra la traduzione in senso proprio e le “altre forme di traduzione te-stuale ultilingue”, pur ammettendo la legittimità per il traduttore di appor-tare importanti cambiamenti strutturali al testo di partenza in base alle esi-genze del destinatario del testo di arrivo (Scarpa: 124).

La nascita della teoria dello skopos è stata legata alla crescente domandadi traduzioni di testi specialistici a contenuto non letterario (Agorni: 47;Gentzler: 73; Schäffner, 1998 b: 239). Inoltre questa teoria è sorta nell’am-bito dell’insegnamento universitario della traduzione ed in questo parti-colare contesto si è rivelata maggiormente efficace (Hönig e Kussmaul:38).

La traduttologia funzionalista ha ricevuto molte critiche, elencate e re-spinte puntigliosamente nell’opera di Nord (1997). La più stimolante, peri fini che qui interessano, è la seguente (Tymoczko: 35 e 37):

“There can be multiple and conflicting textual functions that compli-cate the movement from source text to target text. This postpositivist per-spective is also frequently neglected by functionalists in favor of sugges-tions that the dominant functions of a text can be determined, that a hier-archy of functions can be established (…) Such concerns suggest that onthe level of skopos there are problems of indeterminacy, indeterminaciesthat can only be resolved by interpretation based on the perspective of thetranslator”.

Inoltre, mentre alcuni studiosi hanno messo in dubbio la possibilità diapplicare la Skopostheorie alla traduzione di testi giuridici (Trosborg, Cao),altri hanno confermato tale applicabilità in linea generale (Garzone) o a ta-lune condizioni (Madsen). Si seguirà qui l’opinione di questi ultimi, dopoaver ricordato che Vermeer stesso (Reiss e Vermeer: 158) ha sostenutoespressamente la possibilità di estendere alla traduzione giuridica la suaSkopostheorie. Scrive per esempio Garzone (2007: 203-204):

“Alcuni dei concetti affermati dai funzionalisti, sfrondati degli assuntipiù provocatori, corrispondono ad alcune delle più essenziali norme dicomportamento del traduttore giuridico: di fronte a un dato testo fonte, ènecessario non solo tenere conto del genere di appartenenza e del suo sta-tus nella cultura all’interno di cui esso è stato generato, ma ai fini dellascelta di una strategia traduttiva risulta assolutamente fondamentale consi-derare lo scopo per cui esso sarà utilizzato nella cultura destinataria dellatraduzione, valutando in particolare la persistenza – o, al contrario, la ces-sazione – della sua forza giuridica”.

Un esempio di legame stretto fra funzione della traduzione e strategiadel traduttore proviene dall’Unione europea, nelle cui istituzioni si è per

CAPITOLO QUINTO134

così dire sancito che la precisione delle traduzioni varia con la funzionedelle stesse:

“Translations should be accurate, clear and «fit for purpose» (wherebythe required quality of the translation depends on its destination) … Forexample, documents destined for publishing or legal texts require better-quality translations (and thereby more resources) than documents for in-ternal use”15.

Inoltre: “The Commission’s Directorate-General for Translation gearsits quality control procedures to «fitness-for-purpose»: incoming docu-ments are classified according to 5 different translation quality types(TQT), each having specific quality control procedures ranging from fullrevision (for key legal or political documents, including legislation) tocross-reading or sample checks (…) This TQT classification system alsopermits to deliver high-quality translations for the Commission’s priori-ties and to apply a «fit-for-purpose» approach to all documents”16.

È palese che questo approccio derivi da un mutamento nei rapporti fraqualità, costi e tempi, riscontrato non solo nelle istituzioni europee ma piùin generale in tutta l’economia globalizzata, ai sensi del quale l’obiettivodella qualità non costituisce più un elemento indipendente ma una varia-bile dei costi e dei tempi.

Ancora: le partizioni di uno stesso testo giuridico possono svolgerefunzioni differenti e richiedere pertanto strategie traduttive a loro volta di-verse. È il caso già ricordato della motivazione e del dispositivo di una sen-tenza.

Entrando nel dettaglio, Hönig e Kussmaul (1982: 58-60), esponenti an-ch’essi della Skopostheorie, hanno elaborato un cosiddetto principle of thenecessary degree of precision (i due autori hanno tradotto così l’espressionetedesca Prinzip des notwendigen Differenzierungsgrad), che è dipendentedallo scopo della traduzione e che ricorda da vicino il già esaminato “cal-colo delle perdite”. Essi scrivono:

“The word «necessary», of course, again emphasises the fact that infunctionalist approaches there can never be absolutes – what is necessarydepends on the function of the translation.

“For instance, the term «public school» implies such a large amount ofculture-specific knowledge that it is impossible to render its meaning«completely» in a translation. Within a functionalist approach, however,

15 Court of Auditors, Special Report n. 9/2006 concerning translation expenditure in-curred by the Commission, the Parliament and the Council together with the institutions’replies, Official Journal of the European Union, C 284, 21 November 2006.

16 European Commission, Directorate-General for Translation (DGT), Annual Activ-ity Report 2005, cit.

GLI APPORTI DELA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA … 135

the function of a word in its specific context determines to what degree thecultural meaning should be made explicit. The translation must be «seman-tically precise enough».

“This is, of course, not only true for cultural terms. Practically all lex-ical items contain several semantic features and it depends on (verbalised)co-textual or (implied) contextual information which of them is activated”.

2.6 La Translational action: Holz-Mänttäri

Negli stessi anni della Skopostheorie (1984) prende forma la teoria dellaTranslational action (translatorisches Handeln) di Holz-Mänttäri, nellaquale appare evidente, come già in Vermeer, il grande influsso della pragma-tica. Le due teorie sono oggi considerate come strettamente apparentate.

Nella Translational action la traduzione viene descritta come un pro-cesso di negoziazione/cooperazione che coinvolge una serie di soggetti edi ruoli: l’iniziatore, ossia il soggetto che ha necessità della traduzione; ilcommittente, ossia il soggetto che affida l’incarico al traduttore; l’autoredel testo di partenza; l’autore del testo di arrivo, in pratica il traduttore;l’utilizzatore del testo di arrivo, per esempio il venditore che lo usa comepubblicità; infine il ricevente del testo di arrivo, per esempio il cliente chelegge tale pubblicità.

Ognuno di questi soggetti e ruoli è portatore di suoi scopi primari e se-condari che interagiscono con tutti gli altri soggetti e ruoli.

Nella Translational action, ancora di più che nella Skopostheorie, iltesto di partenza è considerato come un mero strumento per la realizza-zione della funzione comunicativa di volta in volta assegnata alla tradu-zione. Esso può anche prendere forme del tutto nuove, come per esempioistruzioni, indici dettagliati o accordi, che specifichino le caratteristiche deltesto da produrre in un’altra lingua (Sarcevic, 1997: 107). La parola“traduzione”, e la stessa più ampia nozione di “azione traduttiva”, sonospesso sostituite da un’espressione ancora più estesa, quella di “produ-zione di testi transculturale” (Schäffner, 1998 a: 4).

Le ricostruzioni fin qui esposte delle teorie funzionaliste della tradu-zione, ivi comprese quelle all’apparenza più estreme, possono sembraresolo eleganti esercizi intellettuali, ma queste teorie rispecchiano in realtàevoluzioni reali dell’attività traduttiva. Si possono fare alcuni esempi rife-riti ai metodi di drafting bilingue adottati in Canada.

Innanzitutto, Sarcevic (1997: 107) osserva che nel caso si adotti la con-cezione della traduzione sostenuta da Holz-Mänttäri rientrano nella no-zione di traduzione anche il parallel drafting e il joint drafting, poiché inqueste due forme di co-redazione un testo di partenza nel senso classicoviene a mancare ed è sostituto da un indice concordato fra i due drafter.

CAPITOLO QUINTO136

Più in generale, la co-redazione costituisce una delle tante forme di“produzione di testi” contemplate dalle teorie funzionaliste della tradu-zione (Sarcevic, 1997: 112):

“Since the eighties legal translators have gradually become text produ-cers with drafting responsibilities, thus decreasing their dependence on thesource text. As active members of the drafting process, they are now wi-dely permitted to make legal as well as linguistic decisions. Possessingfirst-hand knowledge of the legislative intent, they are no longer bound tothe source text to determine the true intent. This has broadened their de-cision-making power considerably, enabling them to help determine whatought to be said – not only in the target text but also in the source text.Moreover, they are encouraged to cooperate with the other drafter(s) todetermine how the original intent can be best expressed. Thus it can besaid that the translator’s first consideration is no longer fidelity to thesource text but rather fidelity to the uniform intent of the single instru-ment, i.e. what the legislator or negotiators intended to say”.

Infine, la negoziazione/cooperazione gestita dal traduttore si estendeanche, per lo meno nell’esperienza del Canada, alle corti che interpretanoed applicano la legge multilingue, attraverso l’informazione di ritornocontenuta nelle sentenze (Sarcevic,1997: 272):

“No longer isolated from the drafting process, the modern legal trans-lator has assumed a dynamic role in the communication process, enablinghim/her to interact with the other text producers and even with receiverswho interpret and apply the texts”.

Per concludere, è stato osservato (Gentzler: 71) che “the emergence ofa functionalist translation theory marks an important moment in the evo-lution of translation theory by breaking the two thousand year old chainof theory revolving around the faithful vs. free axis. Functionalist ap-proaches can be either one or the other and still be true to the theory, aslong as the approach chosen is adequate to the aim of the communication”.

2.7 Alcuni esempi di translational action in ambito giuridico

La Skopostheorie e la Translational action, fin qui esposte, apparten-gono alla più ampia categoria delle teorie funzionaliste della traduzione.Esse riflettono evoluzioni reali della prassi traduttiva. Per dimostrare que-sto assunto si esamineranno nel seguito alcuni esempi di attività linguisti-che in varia misura assimilabili alla nozione di translational action.

Il primo esempio è tratto dall’esperienza della Corte di giustizia delleComunità europee.

Nel cosiddetto “procedimento pregiudiziale” un giudice nazionale sirivolge alla Corte per ottenerne una pronuncia sull’interpretazione o sulla

GLI APPORTI DELA PRAGMATICA E DELLA TRADUTTOLOGIA … 137

validità di una norma di diritto comunitario, pronuncia che il medesimogiudice nazionale ritiene necessaria in via preliminare affinché egli possadecidere una determinata controversia sottoposta al suo giudizio.

La domanda di pronuncia pregiudiziale trasmessa dal giudice nazionalepuò essere redatta in una qualunque delle 23 lingue ufficiali dell’Unioneeuropea. Dopo il suo deposito in cancelleria viene tradotta non solo versoil francese, lingua di lavoro interna della Corte, affinché questa possa trat-tarla, ma anche verso tutte le altre lingue ufficiali, dovendo essere notificataa tutti gli Stati membri, affinché possano presentare le loro osservazioniprima della pronuncia della Corte.

A questo riguardo si registra un’importante novità (Gallo: 269):“I giuristi linguisti della Corte di giustizia non svolgono attualmente

compiti redazionali (…) Ciò potrebbe non essere più vero in un prossimofuturo, se il regolamento di procedura della Corte dovesse essere modifi-cato per consentire la notifica agli Stati membri non più della traduzionedelle domande di pronuncia pregiudiziale, che sono documenti assai nu-merosi e prolissi, ma di una sintesi [corsivo nostro] delle stesse. Il compitodi redigere questa sintesi potrebbe infatti essere affidato, nei singoli casi, adun giurista linguista della lingua in cui è redatta la domanda di pronunciapregiudiziale (fermo restando che la Corte continuerebbe a disporre, ai finidella deliberazione, di una traduzione integrale verso il francese, lingua dilavoro interna)”.

Una siffatta proposta di modifica è dettata da esigenze funzionali (Od-done: 281):

“Le domande di pronuncia pregiudiziale costituiscono la parte piùcomplicata del nostro lavoro (…) I tempi di traduzione, per esigenze diprocedura, sono strettissimi: attualmente disponiamo, per effettuare la tra-duzione, di 20 giorni dal deposito della domanda in cancelleria, e ciò indi-pendentemente dalla difficoltà e dalla lunghezza del testo di partenza. Ladifficoltà di tradurre una domanda di pronuncia pregiudiziale è dovutaanche al fatto che non di rado i giudici nazionali, quando inoltrano la loroordinanza di rinvio alla Corte, non si pongono affatto nell’ottica del mul-tilinguismo per cui, anziché limitarsi ad esporre il contesto di fatto e di di-ritto che ha dato luogo alla controversia dinanzi ad essi pendente, si adden-trano in sofisticate disquisizioni dottrinali o storiche senza rendersi contoche ciò, in sede di traduzione nelle diverse lingue ufficiali, può prolungarei tempi e soprattutto comporta un elevatissimo rischio di errori e frainten-dimenti che potrebbero ripercuotersi negativamente sulle successive fasidel processo”.

In base alle statistiche della Corte, questa ha ricevuto 221 domande dipronuncia pregiudiziale nel 2005 (negli ultimi dieci anni il massimo è stato264 e il minimo 210).

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Successivamente, il regolamento di procedura della Corte è stato mo-dificato, per cui attualmente il suo art. 104 § 1 così recita:

“Le decisioni dei giudici nazionali di cui all’articolo 103 sono comuni-cate agli Stati membri nella versione originale, accompagnata da una tradu-zione nella lingua ufficiale dello Stato destinatario. Se ciò è opportuno acausa dell’ampiezza della decisione del giudice nazionale, tale traduzione èsostituita dalla traduzione nella lingua ufficiale dello Stato destinatario diun sunto della decisione che servirà di base alla sua presa di posizione. Ilsunto include il testo integrale della o delle questioni proposte in via pre-giudiziale e comprende, in quanto tali elementi figurino nella decisione delgiudice nazionale, l’oggetto della causa principale, gli argomenti essenzialidelle parti nella causa principale, una presentazione succinta della motiva-zione del rinvio pregiudiziale, nonché la giurisprudenza e le disposizionicomunitarie e nazionali fatte valere [tutti i corsivi sono nostri]”.

Diverso è il secondo esempio. Le lingue di lavoro del Tribunale penaleinternazionale per l’ex-Yugoslavia e del Tribunale penale per il Ruandasono l’inglese e il francese, ma i regolamenti di procedura di entrambi i tri-bunali sanciscono il diritto dell’accusato, dei testimoni e della difesa diusare la propria lingua o un’altra lingua. L’interpretazione e la traduzionesono effettuate da servizi linguistici appositamente costituiti in seno alledue cancellerie (art. 3 Reg. ICTY e art. 3 Reg. ICTR, quasi identici nellaloro formulazione).

In particolare, l’intera documentazione ricevuta dall’Ufficio del Procu-ratore deve essere tradotta, a prescindere dalla sua rilevanza, affinché leprove siano disponibili in tutte le lingue utilizzate nel processo. Qui inte-ressa osservare che lo stesso Ufficio del Procuratore effettua una tradu-zione preliminare e approssimativa dei documenti, finalizzata a decidere sepossono o meno essere prodotti in giudizio. In un secondo tempo i docu-menti così selezionati vengono tradotti in modo certificato dai Servizi lin-guistici delle cancellerie dei due tribunali per poter essere utilizzati nelcorso del processo.

In questo esempio è evidente che ogni traduzione è determinata dal suoscopo e che, nonostante la sua natura approssimativa disposta in taluni casispecifici da norme o da prassi, essa possa essere a fondamento di decisioniessenziali.

Il terzo esempio proviene invece dall’esperienza dei già ricordati giuri-sti-linguisti operanti in seno al Consiglio dell’Unione europea. Come si ègià visto nel Capitolo II, citando in proposito un brano di Gallas, nel con-trollare le diverse traduzioni essi possono retroagire, modificando anche iltesto originale dell’atto, il che li fa assurgere a redattori:

“La revisione delle diverse versioni linguistiche rappresenta soltanto unaparte del lavoro del giurista linguista: l’elemento che realmente distingue la

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sua attività da quella di un revisore o, più in generale, di un traduttore è datodalla possibilità di operare interventi diretti sul «testo base» (…) Il marginedi manovra di cui dispone il giurista linguista è piuttosto ampio e si puòspingere fino alla riformulazione [corsivo nostro], integrale o parziale, dipassaggi o brani del testo. L’unico limite che il giurista linguista incontra ècostituito dal divieto di modificare il merito dell’atto, vale a dire il contenutoprecettivo delle disposizioni che esso contiene” (Cossu: 152-153).

Il quarto esempio è assimilabile in parte al primo, pur essendo riferitoad una norma vigente nella legislazione italiana. Il Testo unico sull’im-migrazione17, al comma sesto dell’art. 2, afferma un principio generale:

“Ai fini della comunicazione allo straniero dei provvedimenti concer-nenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, gli atti sono tradotti, anche sin-teticamente [corsivo nostro] in una lingua comprensibile al destinatario,ovvero, quando ciò non sia possibile, nelle lingue francese, inglese o spa-gnola, con preferenza per quella indicata dall’interessato”.

Con riferimento al decreto di espulsione, la giurisprudenza ha preci-sato che una traduzione sintetica può garantire sufficientemente la finalitàdel diritto alla difesa che il comma settimo dell’art. 13 del Testo unico miraa presidiare, senza che vi sia necessità di una traduzione integrale18.

Occorre aggiungere che l’idoneità del contenuto della sintesi conosceun duplice ordine di controlli, amministrativi e giurisdizionali.

Innanzitutto, “l’aver ancorato [la legittimità della traduzione sintetica]ad un giudizio di natura finalistica impone un controllo di quanto tradottoal fine di verificare in concreto se siano state riportate tutte le informazioninecessarie. Sarà onere della pubblica amministrazione individuare con cer-tezza tali informazioni e del giudicante verificare che nella traduzionesiano stati riportati tutti gli elementi idonei a consentire l’esatta e piena co-noscenza del provvedimento”19.

Inoltre, la giurisprudenza ha dichiarato che “in tema di espulsione am-ministrativa dello straniero, il vizio di indeterminatezza della contesta-zione espulsiva, scaturente dalla difformità tra formula apposta nel decretoe sua sintesi formulata nell’atto tradotto e consegnato al destinatario uni-tamente al primo, non lascia immune da illegittimità il decreto stesso, mane determina la nullità, attesa la funzione strumentale e procedimentaledell’atto di comunicazione”20. In altre parole, è nullo il decreto tradotto

17 DLgs 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni.18 Cass. civ. n. 16032/2001 e n. 28858/2005.19 LIBRI M. (2006), Le competenze del giudice di pace in materia di immigrazione, in

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, Incontro di studio sul tema: immigrazione esistema penale, Roma, 26-28 giugno 2006.

20 Cass. civ. n. 7085/2003.

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con formule talmente sintetiche da rendere indeterminata la contestazioneespulsiva.

In riferimento a questo esempio, si può concludere che anche nella le-gislazione italiana non mancano esigenze funzionali riguardanti i tempi e icosti del multilinguismo, già esaminate a proposito del Protocollo di Lon-dra in materia di brevetto comunitario.

In modo del tutto simile, a livello di istituzioni dell’Unione europea, lostesso effetto hanno prodotto i successivi allargamenti a nuovi Stati mem-bri, per cui il nostro ultimo esempio di attività linguistica assimilabile aduna translational action ci riporta nell’ambito della Direzione generaledella traduzione presso la Commissione. Pressata da consistenti restrizionidi bilancio da un lato, dall’introduzione di nuove lingue ufficiali dall’altro,la DGT ha intrapreso una politica di riforma, incentrata sul principio delfit-for-purpose, in base al quale il tipo di traduzione dipende dallo suoscopo. In questo quadro essa si propone fra l’altro di diminuire l’attività ditraduzione vera e propria, a favore di nuove forme di attività traduttiva in-tesa in senso lato:

“Alongside full translation, which continues to be the main activity inthe Directorate-General for Translation, the development of other fit-for-purpose products continued: the «translation hotline», for short and quicktranslations; editing, for linguistic improvements to the originals ; sum-maries, rather than full translation, to provide quick information of thecontent of a text, etc.”21.

2.8 L’esigenza di un’etica: Nord

La cancellazione delle frontiere classiche della traduzione, per ricom-prendervi anche forme di elaborazione e di adattamento, e ancor prima ilsopravvento delle considerazioni pragmatiche su quelle linguistiche nellatraduttologia, hanno prodotto una libertà quasi assoluta e senza precedentidella traduzione, costringendola a porsi il problema dei suoi limiti in ter-mini completamente nuovi. Venendo meno i tradizionali vincoli esterni,era necessario chiedersi se occorreva darsi dei vincoli interni, in modo vo-lontario e non più prescrittivo.

Uno dei temi più rilevanti della traduttologia odierna è infatti rappre-sentato dall’etica della traduzione, emerso anche per effetto di alcune let-ture estreme delle conclusioni a cui approdavano la Skopostheorie, la Tran-slational action ed altre teorie contemporanee. Morini (2007: 88-90) ha benriassunto la questione, per cui si riprenderanno qui le sue osservazioni:

21 European Commission, Directorate-General for Translation (DGT), Annual Activ-ity Report 2005, cit.

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“Se lo skopos è sempre sovraordinato all’equivalenza, le modalità ditranscodifica da una lingua all’altra possono dipendere, in certi casi, daprogetti ideologici (in senso lato) piuttosto che da principi traduttivi. Peresempio, che cosa succede se il testo d’arrivo è chiamato a svolgere unafunzione propagandistica nella cultura di arrivo? Oppure: può il traduttoresentirsi giustificato a produrre sempre e comunque una versione «scorre-vole» del testo di partenza (una versione cioè che risponda allo scopo di in-trattenere senza fatica il lettore)? Secondo Vermeer lo scopo di una tradu-zione giustifica sempre le stategie e i metodi traduttivi scelti (…)

“Vermeer è tuttavia l’unico, fra i traduttologi di scuola funzionalista, adaccettare le estreme conseguenze delle sue premesse teoriche (…) In untesto recente in cui passa in rassegna le teorie funzionalistiche della tradu-zione ed espone, implicitamente ed esplicitamente, i principi di una pro-pria teoria funzionalistica, Christiane Nord propone di bilanciare il con-cetto di «funzione» con quello di «lealtà» – dove l’idea di lealtà rimanda aun concetto di traduzione come risultante di un patto fra diversi contra-enti:

“La mia personale versione dell’approccio funzionalistico [scriveNord] si regge su due colonne: funzione più lealtà [loyalty] … È esatta-mente la combinazione di questi due principi che conta, anche se ci pos-sono essere casi in cui sembrano cozzare l’uno con l’altro. La funzione siriferisce ai fattori che fanno funzionare un testo d’arrivo nel modo volutonella situazione d’arrivo. La lealtà si riferisce alla relazione interpersonalefra il traduttore, l’emittente del testo di partenza, i destinatari del testod’arrivo, il committente. La lealtà limita il numero di funzioni giustificabilidel testo d’arrivo per un particolare testo di partenza, e rende necessariauna negoziazione dell’incarico traduttivo fra traduttori e clienti”.

Occorre aggiungere che il concetto di lealtà è presente in Nord già apartire dalla fine degli anni Ottanta, in un saggio dal significativo titolo Lo-yalität statt Treue (“Non fedeltà ma lealtà”), cioè nello stesso periodo incui Reiss e Vermeer conferiscono una sistemazione generale alla teoriadello skopos.

Morini così conclude: “La studiosa reintegra il testo di partenza lad-dove la Skopostheorie lo aveva cancellato dall’orizzonte della traduttolo-gia: il traduttore deve tenere conto non solo dei suoi scopi, ma anche delfatto che esiste un numero limitato di «funzioni giustificabili del testo d’ar-rivo per un particolare testo di partenza»”.

Infine Scarpa (2008: 91) definisce il modello “funzionalità e lealtà”come una versione più equilibrata della Skopostheorie.

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