SULLA TRADUZIONE DI LOGOS NEL CAP. 20 DELLA POETICA DI ARISTOTELE

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1 SULLA TRADUZIONE DI LOGOS LOGOS LOGOS LOGOS NEL CAP. 20 DELLA POETICA DI ARISTOTELE * * * * (Giorgio Graffi) […] la force d’un mot et même de plusieurs mots et même de phrases et de discours entiers. (L.-F. Céline, Voyage au bout de la nuit) ABSTRACT. The article investigates the different renderings of the term lovgo" as it occurs within chapter 20 of Aris- totle’s Poetics. 94 translations have been taken in account, from the end of the 13 th century until the beginning of the present one: 13 of them are Latin translations, 20 Italian, 17 French, 27 English, and 17 German. First, it is established which of these renderings can be considered equivalent (e.g., discorso, discours, speech, or frase, phrase, Satz, etc.). Then both their diachronic and cross-linguistic distribution is presented, with the help of some statistical graphs, and some explanations are proposed to account for the observed differences. Finally, a (tentative) answer is given to the question of which rendering might be the most adequate. 1. Uno dei traduttori della Poetica, Valentin García Yebra, nell’introduzione al suo lavoro (García Yebra 1974, p. 122) ricorda le “regole d’oro” a cui deve attenersi qualsiasi traduzione: dire tutto quello che dice l’originale; non dire nulla che l’originale non dica, e dirlo tutto con la correttezza e la naturalezza che la lingua in cui si traduce permette. Nessuno, credo, vorrà obiettare nulla a queste regole, che del resto derivano dal più comune buon senso: si tratta, piuttosto, di specificarle un po’ meglio, soprattutto l’ultima delle tre, ossia che la traduzione deve essere pienamente adeguata nei limiti della lingua di arrivo. Qui vogliamo affrontare un problema specifico di questo genere, ossia la traduzione del termine lovgo" nel cap. 20 della Poetica aristotelica (cioè da 1456b 20 a 1457a 30 dell’edizione Bekker): il problema consiste nel fatto che tale termine non ha un equivalente esatto in nessuna delle lingue moderne che prenderemo in considerazione (italiano, francese, inglese, tede- sco). L’esistenza e l’ampiezza di tale problema ci sono dimostrati dal fatto che le varie traduzioni divergono nella resa del termine in questione. Naturalmente, questa divergenza non è totale, in quanto alcune traduzioni concordano nelle scelta dei traducenti: è comunque un fatto che l’uniformità manca, in tutte le lingue citate. Diverso è il caso delle traduzioni latine, la larga mag- gioranza delle quali rende lovgo" con oratio (ma anche qui non mancano le eccezioni). Questo indu- ce a pensare che i due termini siano da considerare equivalenti nelle due lingue classiche, dove e- sprimerebbero un unico concetto: in realtà, come vedremo più avanti (§ 7), la situazione è più com- plessa, e non si può trovare nemmeno nella tradizione latina un esatto equivalente del concetto ari- stotelico di lovgo". In ogni caso, nelle lingue moderne tale concetto è scomparso, o per lo meno non esiste più un unico termine tecnico con cui lo si possa rendere. Quindi, il problema che si pone al traduttore, relativamente alla terza delle “regole d’oro” citate più sopra, è quello di fornire una tra- duzione che rispetti il testo originale, ma senza forzare il significato dei termini della lingua di arri- vo. In ciò che segue, cercheremo di valutare in che misura le varie traduzioni esaminate rispettino questa “regola d’oro”. 2. lovgo", come è ben noto, è parola altamente polisemica in greco antico, ed anche in Aristotele. L’Index Aristotelicus del Bonitz (Bonitz 1870, s.v.) riporta quattro significati principali, così defini- ti: “I. vox, lingua, sermo.[…] II. lovgo" ab oratione transfertur ad eas notiones ac cogitationes quae voce et oratione significantur. […] III. lovgo" i q cogitandi ac ratiocinandi facultas. […] IV. lovgo" i q ratio mathematica”; all’interno di ognuno di questi significati sono poi distinte diverse accezioni, indicate con numeri arabi, e all’interno di alcune di tali accezioni sono introdotte ulteriori distinzio- * Un vivo ringraziamento a tutti coloro che hanno letto precedenti versioni di questo lavoro, fornendomi molti utili sug- gerimenti: Paola Cotticelli, Stefano Pagliaroli, Savina Raynaud, Gherardo Ugolini. Come sempre, questi ringraziamenti non vanno interpretati come una chiamata di correo. Ringrazio anche Paolo Frassi, che mi ha messo a disposizione le varie definizioni riportate nei dizionari francesi, e un anonimo revisore di “Athenaeum”, sia per le sue puntuali segnala- zioni di alcuni refusi, che per varie e stimolanti obiezioni: di alcune di esse ho tenuto direttamente conto introducendo qualche modifica nel testo presentato, mentre ad altre, come si vedrà, ho cercato di dare risposta in nota. Un ringrazia- mento particolarmente sentito, poi, va al dr. Federico Righi, che mi ha suggerito la disposizione “tabellare” dei termini utilizzati nei vari tipi di traduzioni, ed è l’autore dei vari grafici che corredano il testo.

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SULLA TRADUZIONE DI LOGOSLOGOSLOGOSLOGOS NEL CAP. 20 DELLA POETICA DI ARISTOTELE ∗∗∗∗ (Giorgio Graffi)

[…] la force d’un mot et même de plusieurs mots et même de phrases et de discours entiers.

(L.-F. Céline, Voyage au bout de la nuit) ABSTRACT. The article investigates the different renderings of the term lovgo" as it occurs within chapter 20 of Aris-totle’s Poetics. 94 translations have been taken in account, from the end of the 13th century until the beginning of the present one: 13 of them are Latin translations, 20 Italian, 17 French, 27 English, and 17 German. First, it is established which of these renderings can be considered equivalent (e.g., discorso, discours, speech, or frase, phrase, Satz, etc.). Then both their diachronic and cross-linguistic distribution is presented, with the help of some statistical graphs, and some explanations are proposed to account for the observed differences. Finally, a (tentative) answer is given to the question of which rendering might be the most adequate.

1. Uno dei traduttori della Poetica, Valentin García Yebra, nell’introduzione al suo lavoro (García Yebra 1974, p. 122) ricorda le “regole d’oro” a cui deve attenersi qualsiasi traduzione: dire tutto quello che dice l’originale; non dire nulla che l’originale non dica, e dirlo tutto con la correttezza e la naturalezza che la lingua in cui si traduce permette. Nessuno, credo, vorrà obiettare nulla a queste regole, che del resto derivano dal più comune buon senso: si tratta, piuttosto, di specificarle un po’ meglio, soprattutto l’ultima delle tre, ossia che la traduzione deve essere pienamente adeguata nei limiti della lingua di arrivo. Qui vogliamo affrontare un problema specifico di questo genere, ossia la traduzione del termine lovgo" nel cap. 20 della Poetica aristotelica (cioè da 1456b 20 a 1457a 30 dell’edizione Bekker): il problema consiste nel fatto che tale termine non ha un equivalente esatto in nessuna delle lingue moderne che prenderemo in considerazione (italiano, francese, inglese, tede-sco). L’esistenza e l’ampiezza di tale problema ci sono dimostrati dal fatto che le varie traduzioni divergono nella resa del termine in questione. Naturalmente, questa divergenza non è totale, in quanto alcune traduzioni concordano nelle scelta dei traducenti: è comunque un fatto che l’uniformità manca, in tutte le lingue citate. Diverso è il caso delle traduzioni latine, la larga mag-gioranza delle quali rende lovgo" con oratio (ma anche qui non mancano le eccezioni). Questo indu-ce a pensare che i due termini siano da considerare equivalenti nelle due lingue classiche, dove e-sprimerebbero un unico concetto: in realtà, come vedremo più avanti (§ 7), la situazione è più com-plessa, e non si può trovare nemmeno nella tradizione latina un esatto equivalente del concetto ari-stotelico di lovgo". In ogni caso, nelle lingue moderne tale concetto è scomparso, o per lo meno non esiste più un unico termine tecnico con cui lo si possa rendere. Quindi, il problema che si pone al traduttore, relativamente alla terza delle “regole d’oro” citate più sopra, è quello di fornire una tra-duzione che rispetti il testo originale, ma senza forzare il significato dei termini della lingua di arri-vo. In ciò che segue, cercheremo di valutare in che misura le varie traduzioni esaminate rispettino questa “regola d’oro”. 2. lovgo", come è ben noto, è parola altamente polisemica in greco antico, ed anche in Aristotele. L’ Index Aristotelicus del Bonitz (Bonitz 1870, s.v.) riporta quattro significati principali, così defini-ti: “I. vox, lingua, sermo.[…] II. lovgo" ab oratione transfertur ad eas notiones ac cogitationes quae voce et oratione significantur. […] III. lovgo" i q cogitandi ac ratiocinandi facultas. […] IV. lovgo" i q ratio mathematica”; all’interno di ognuno di questi significati sono poi distinte diverse accezioni, indicate con numeri arabi, e all’interno di alcune di tali accezioni sono introdotte ulteriori distinzio- ∗ Un vivo ringraziamento a tutti coloro che hanno letto precedenti versioni di questo lavoro, fornendomi molti utili sug-gerimenti: Paola Cotticelli, Stefano Pagliaroli, Savina Raynaud, Gherardo Ugolini. Come sempre, questi ringraziamenti non vanno interpretati come una chiamata di correo. Ringrazio anche Paolo Frassi, che mi ha messo a disposizione le varie definizioni riportate nei dizionari francesi, e un anonimo revisore di “Athenaeum”, sia per le sue puntuali segnala-zioni di alcuni refusi, che per varie e stimolanti obiezioni: di alcune di esse ho tenuto direttamente conto introducendo qualche modifica nel testo presentato, mentre ad altre, come si vedrà, ho cercato di dare risposta in nota. Un ringrazia-mento particolarmente sentito, poi, va al dr. Federico Righi, che mi ha suggerito la disposizione “tabellare” dei termini utilizzati nei vari tipi di traduzioni, ed è l’autore dei vari grafici che corredano il testo.

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ni, indicate con lettere latine minuscole. È dunque difficile sostenere che, anche all’interno della so-la Poetica, il termine abbia sempre lo stesso valore, e debba essere reso sempre con un unico termi-ne nella lingua di arrivo. Stando all’indice dei termini greci contenuto nell’edizione di Tarán-Gutas 2012, il lessema in questione ricorre, in forme diverse, nei passi seguenti: 1447a 22 e 29, 1447b 11, 1448a 11, 1449a 9 e 17, 1449b 8, 10, 25 e 28, 1454a 18, 1454b 18, 1455a 34, 1455b 17, 1456a 37, 1456b 6, 7, 8 e 21, 1457a 3, 6, 23, 25, 27, e 28, 1459a 13, 1460a 27, 1461b 16. Sono inoltre da regi-strare le seguenti occorrenze, non indicate nell’indice di Tarán-Gutas: 1450 b6, 1450b 10, [1450b 13]1, 1450b 16. È quindi probabile che non abbia sempre lo stesso valore, e che sia perciò reso dai traduttori in modi diversi. Ad esempio la traduzione latina di Riccoboni 1579, a proposito della qua-le García Yebra 1974, p. 43 e p. 44, nt. 62, osserva che si sforza (pur con varie eccezioni) di ricorre-re sempre al medesimo traducente per ogni parola greca, rende nella maggior parte dei passi citati sopra (16) lovgo" con oratio, ma in 13 casi lo traduce con sermo, ed in uno (1454b 18) con liber2. Per fare un altro esempio, questa volta da una lingua moderna: Paduano 1998 rende lovgo" 11 volte con discorso, 5 con parola, due volte con prosa e altrettante con storia, e una volta ciascuno con argomento, dialogo, linguaggio, scritto e trattato; in due casi, poi, non lo traduce3. Tuttavia, non sembra irragionevole ipotizzare che nel cap. 20, il cosiddetto “capitolo linguistico” della Poetica, il termine sia stato impiegato da Aristotele con un valore tecnico, e quindi costante: e dunque non stu-pisce che tutte le occorrenze di lovgo" in tale capitolo siano rese nella traduzione del Riccoboni con oratio, e in quella di Paduano con discorso. Come vedremo, però, non tutti i traduttori, compresi al-cuni latini, hanno adottato una scelta analoga, e hanno invece utilizzato, in alcuni casi, traducenti diversi all’interno dello stesso cap. 20 della Poetica. Limiteremo la nostra analisi al solo capitolo in questione, ritenendo giustificata questa limi-tazione dal suo carattere particolare all’interno dell’opera. Esamineremo anzitutto (§ 3) i tre luoghi (1456b 21, 1456b 38 - 1457a 10, 1457a 23-30) in cui si registrano le varie occorrenze di lovgo". Le traduzioni sono state reperite in base all’elenco contenuto in Schrier 19984, e, per gli anni seguenti, tramite una ricerca bibliografica personale. Su queste basi, abbiamo censito 109 traduzioni, di cui 18 latine5, 22 italiane, 17 francesi6, 32 inglesi e 20 tedesche; l’elenco è riportato alla fine del presen-te studio7. Abbiamo escluso dal nostro censimento le traduzioni rimaste allo stato di manoscritto (il cui elenco si può reperire in Schrier 1998). Le traduzioni prese in considerazione nel presente lavo-ro non sono però tutte quelle censite, per vari motivi. Innanzitutto abbiamo considerato solo quelle, integrali o non integrali, che contengono comunque l’intero cap. 20, e ciò ha comportato tanto delle aggiunte quanto delle sottrazioni: quindi rientrano nella nostra rassegna tanto la traduzione contenu-ta in Baratin-Desbordes 1981, pp. 100-102, anche se si limita al solo capitolo in questione, quanto il commento senza traduzione di Rostagni 1945, perché propone nelle note un traducente di lovgo" per ognuno dei tre passi in cui tale termine ricorre; viceversa, non vi rientrano le traduzioni di De’ Zuc-coli 1937 e Nestle 1934, che omettono il cap. 20, e neppure quella del Metastasio, in quanto contie-ne solo la traduzione di 1456b 20-21; anche queste traduzioni incomplete sono comunque riportate nell’elenco finale, precedute da un asterisco. Inoltre, abbiamo escluso dal nostro esame quattro tra-duzioni latine (Buhle 1799-1800, Dübner 1848, Du Val 1619, Marinelli 1585, anch’esse indicate con un asterisco), perché identiche ad altre quattro (rispettivamente, Tyrwhitt 1794, Ritter 1839, Riccoboni 1579 e Pazzi 1542), almeno per i passi che ci interessano (non abbiamo condotto un con-

1 Espunto in Tarán-Gutas 2012. 2 In un caso (1450b 10) il passo che contiene il termine non è tradotto. 3 In 1449b10 per una scelta stilistica, in 1450b13 perché espunge il passo relativo. 4 Con un’integrazione: la traduzione italiana di Sorge 1961 non compare in tale elenco. 5 Delle quali una (Margoliouth 1911) è assolutamente a sé, essendo condotta non sull’originale greco, ma sulla tradu-zione araba di Abū Bišr Mattā. 6 Egger 1875 contiene due traduzioni: quella del curatore e quella “letterale” di Parnajon 1875. 7 Le date indicate per le varie traduzioni sono quelle dell’edizione effettivamente consultata; nel caso in cui si è fatto uso di una ristampa moderna, si è indicata la data dell’edizione originale, riportando l’indicazione della ristampa nella bibliografia finale.

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fronto globale). D’altro lato, alcune traduzioni censite non si sono potute prendere in esame per dif-ficoltà di reperimento: le abbiamo contrassegnate con un doppio asterisco. Il numero totale delle traduzioni considerate è dunque 94, di cui 13 latine, 20 italiane, 17 francesi, 27 inglesi, e 17 tede-sche; esse sono distribuite su un arco cronologico che va dalla fine del XIII secolo (Guglielmo di Moerbeke) fino al 2010 (Guastini).

Nel § 4 mostreremo con quali termini le occorrenze di lovgo" nei passi citati sopra siano state rese nelle varie traduzioni considerate, e se il traducente sia lo stesso oppure diverso a seconda dei casi. Vedremo poi (§ 5) quali di questi termini (ad es. discorso, discours, speech, frase, phrase, Satz, ecc.) possono essere considerati equivalenti nelle varie lingue: a questo fine, ci serviremo delle definizioni che se ne trovano, da un lato, in dizionari “generali” (come il Battaglia per l’italiano o l’ Oxford English Dictionary per l’inglese) e dall’altro in alcuni lessici di terminologia linguistica, sia plurilingui che monolingui. Una volta stabiliti tali equivalenti, analizzeremo (§ 6) la distribuzio-ne dei vari traducenti attraverso le diverse epoche e le diverse lingue. Nel § 7 cercheremo di fornire una spiegazione dei motivi di queste diverse rese. Ci domanderemo infine (§ 8) quale possa essere la traduzione più adeguata di lovgo" nei passi considerati, posto che essa esista. 3. Com’è ben noto, il cap. 20 della Poetica aristotelica appare come abbastanza estraneo all’argomento generale dell’opera, trattandosi di una sorta di trattatello grammaticale inserito nel quadro di una discussione che, in termini moderni, si definirebbe di estetica, tanto che alcuni inter-preti, a partire dal Metastasio8, lo hanno considerato spurio. Questi dubbi, abbastanza diffusi nel corso dell’Ottocento, si sono poi progressivamente rarefatti, e le edizioni critiche più recenti della Poetica non sembrano mettere in discussione la sua autenticità. Inoltre, il testo trasmesso è alquanto corrotto, soprattutto per quanto riguarda la nozione di a[rqron: infatti, questa entità è elencata, in 1456b 21, dopo o[noma e rJh'ma, ma, nel corso del capitolo, è definita prima di queste ultime; e la sua definizione (1457a 6-10) appare così contorta e contraddittoria da indurre vari interpreti (come Ro-stagni 1945, Gallavotti 1974, Lanza 1987) ad espungerla dal testo. Al primo dei due problemi elen-cati ha proposto una soluzione la recente edizione Tarán-Gutas 2012, constatando come la traduzio-ne araba di Abū Bišr Mattā (redatta intorno al 940 in base a una traduzione siriaca andata perduta) elenchi in 1456b 21 a[rqron prima di o[noma e rJh'ma; ma neppure questa edizione è riuscita a dare una soluzione definitiva al problema del secondo dei due passi (che appare irrimediabilmente cor-rotto anche nella tradizione siriaco-araba), per il quale ha proposto l’espunzione di alcune parti e la diversa collocazione di altre. L’incertezza sulla lezione esatta da attribuire al passo ha tra le sue conseguenze il fatto che varie traduzioni di esso riportano una sola occorrenza del traducente di lo-vgo". Nel presente studio non affronteremo questi problemi di carattere filologico, dato che il nostro obiettivo è diverso: ci domandiamo infatti quale sia la traduzione più adeguata del termine in que-stione, e se sia più opportuno renderlo sempre in modo identico, oppure modificarlo a seconda del passo in cui si trova. Nei resoconti qui riportati, comunque, indicheremo quali sono le traduzioni in cui appare un solo traducente di lovgo" nel contesto 1456b 38 – 1457a 10.

Torniamo quindi ai diversi luoghi in cui appare lovgo" nel cap. 20 della Poetica. Di esso si registrano, tanto in Kassel 1965 che in Tarán-Gutas 2012, sette occorrenze (1456b 21, 1457a 3, 1457a 7, 1457a 23, 1457a 25, 1457a 27, 1457a 28), che si riconducono a tre passi diversi. Il primo di questi è 1456b 20-21, in cui lovgo" è elencato come ultima delle parti di cui si compone la levxi",

8 Per una panoramica dettagliata della questione, vd. Morpurgo-Tagliabue 1967, pp. 14-17. Agli studiosi che hanno po-sto in dubbio l’autenticità del capitolo esaminati dal Morpurgo-Tagliabue si possono aggiungere, tra gli altri, Warrin-gton 1963, p. 35, nt. 1, che afferma che tale capitolo “is recognized by most scholars as an interpolation” e lo colloca in appendice alla sua traduzione, e Whalley, la cui traduzione (pubblicata postuma nel 1997) non contiene i capitoli 20, 21 e 22, riprodotti poi in appendice, a cura dei curatori. Al contrario, Morpurgo-Tagliabue 1967, pp. 154-155, sostiene con forza l’autenticità del capitolo. Analoga è la posizione di Belardi 1975, p. 70: “il contenuto e la collocazione del XX si spiegano […] per la concezione che Aristotele ebbe del linguaggio poetico come costituito da linguaggio semantico più abbellimenti stilistici”.

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dopo stoicei'on, sullabhv, suvndesmo", a[rqron, o[noma, rJh'ma e ptw'si"9. Il secondo passo (1456b 38 – 1457a 10) è invece quello cui si è appena accennato per segnalarne gli aspetti problematici dal punto di vista filologico, e lovgo" vi è introdotto per definire le posizioni che il suvndesmo" o l’ a[rqron possono o, rispettivamente, non possono occupare all’interno di esso. Il terzo passo (1457a 23-30) fornisce la definizione di lovgo", elencandone le caratteristiche, che sono le seguenti: 1) è un’entità dotata di significato composta di altre entità anch’esse dotate di significato (e come tale si contrappone all’o[noma e al rJh'ma, che sono sì dotate di significato, ma non sono composte da parti dotate di significato; 1457a 23); 2) non deve necessariamente contenere un rJh'ma (1457a 25): ad es., il lovgo" di ‘uomo’10 non lo contiene (1457a 27); 3) è “uno in due modi” (ei|" dev ejsti lovgo" di-cw'", 1457a 28), ossia 3a) “significante una cosa sola” (e}n shmaivnon) oppure 3b) “da congiunzione di più cose” (ejk pleiovvvnwn sundevsmw/): la definizione di uomo è un esempio di 3a), l’Iliade (sun-devsmw/ ei|") di 3b). 4. Esaminiamo ora come le varie traduzioni considerate (disposte in ordine cronologico) rendono le diverse occorrenze di lovgo" nel cap. 20 della Poetica aristotelica. 45 di tali traduzioni (che indiche-remo d’ora in poi come gruppo A), utilizzano sempre lo stesso termine; 31 (indicate come Gruppo B), invece, ricorrono allo stesso traducente solo per 1456b 21 e 1457a 23-30; infine, 18 traduzioni (Gruppo C) ricorrono a termini diversi per rendere lovgo" in 1456b 21 da un lato e in 1457a 23-30 dall’altro. La proporzione tra questi tre gruppi di traduzioni è resa visivamente dal grafico che se-gue:

gruppo A;

45

gruppo B;

31

gruppo C; 18

Gruppi di traduzioni

gruppo A

gruppo B

gruppo C

Le traduzioni appartenenti ai tre gruppi sono elencate, in ordine cronologico, nelle tre tabelle se-guenti:

9 Anche nella resa di tutti questi termini si riscontra una grande varietà presso gli autori, con la sola eccezione di o[noma e rJh'ma, in genere resi rispettivamente con ‘nome’ e ‘verbo’ (e sul significato di quest’ultimo termine in Aristotele ci sarebbe da riflettere, anche se in questo caso la traduzione è probabilmente adeguata; cf. Graffi 1986). Limitandosi alle sole traduzioni italiane del termine levxi", osserviamo che esso è reso con: a) ‘locuzione’ (Segni 1549, Piccolomini 1575); b) ‘favella’ (Castelvetro 1570); c) ‘elocuzione’ (Valgimigli 1934, Mattioli 1956, Pittau 1972, Pesce 2000, Zanat-ta 2004); d) ‘linguaggio’ (Albeggiani 1965, Gallavotti 1974, Lanza 1987, Paduano 1998, Barabino 1999, Fusillo 2001, Donini 2008); e) ‘discorso’ (Barco 1876, Pistelli 1937); f) ‘espressione’ (Sorge 1961); g) ‘enunciazione’ (Guastini 2010). 10 “Animale terrestre bipede” (Topici, libro I, cap. 7, 103a 27).

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GRUPPO A (traduzioni costanti)

AUTORE ANNO TRADUCENTE Valla 1498 oratio Pazzi 1542 oratio

Vettori 1573 oratio Piccolomini 1575 orazione Riccoboni 1579 oratio Heinsius 1611 oratio Curtius 1753 Rede

Anonimo 1760 oratio Pye 1788 sentence

Tyrwhitt 1794 oratio Buhle 1798 Rede

Hermann 1802 oratio Chénier 1825 discours Knebel 1840 Satz Stahr 1860 Satz

Cougny 1876 discours Wharton 1883 sentence Bywater 1909 speech

Margoliouth 1911 statement Fyfe 1927 phrase

Valgimigli 1934 proposizione Pitcher 1942 phrase (in un caso [1457a 3]

phrasal unit)11 Rostagni 1945 proposizione Mattioli 1956 proposizione Gohlke 1959 Satz Gigon 1961 Satz

Warrington 1963 speech Else 1967 utterance

Hubbard 1972 statement Gallavotti 1974 discorso Fuhrmann 1976 Satz

Dupont-Roc - Lallot 1980 énoncé Baratin-Desbordes 1981 énoncé

Janko 1987 utterance Lanza 1987 discorso

Halliwell 1995 statement Heath 1996 utterance Gernez 1997 énoncé

Paduano 1998 discorso Pesce 2000 discorso

Benardete-Davis 2002 speech Zanatta 2004 discorso Donini 2008 discorso Lambin 2008 énoncé Guastini 2012 discorso

11 Abbiamo collocato Pitcher all’interno di questo gruppo di traduttori, dato che sembra trattarsi di una variante sostan-zialmente stilistica.

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GRUPPO B: traduzioni identiche in 1456b 21 e 1457a 23-30, ma diverse in 1457a 3, 1457a 6 AUTORE ANNO Traducente 1456 b21 e 1457a 23-30 Traducente 1457a 3,

1457a 6 Guglielmo di Moer-

beke 1280 ca.

oratio sermo, oratio

Segni 1549 oratione oratione, parlare Castelvetro 1570 diffinitione ragionamento Goulston 1623 oratio periodus, oratio Dacier 1692 oraison (1457a 23 oraison ou discours) discours (solo 1457a 6) Taylor 1811 sentence period, word

Twining 1812 discourse or speech sentence (solo 1457a 6) Anonimo 1819 sentence speech, sentence

Weise 1824 Sinnausdruck; Sinnausdruck (Satz) 1457a 25 Rede Ritter 1839 oratio enuntiatum Walz 1840 Satz Rede (solo 1457a 6)

Buckley 1853 sentence period, word Ueberweg 1869 Wortverbindung Satz Susemihl 1874 Wort- und Satzgefüge; (1457a 25, 28 solo

Wortgefüge) Satz

Parnajon 1875 oraison discours Egger 1875 oraison discours (solo 1457a 6)

Schmidt 1875 Wortgefüge Satz Barco 1876 proposizione discorso

Hatzfeld-Dufour 1899 locution groupe, locution Butcher 1911 sentence or phrase sentence Pistelli 1937 discorso12 proposizione, frase Potts 1953 statement sentence (solo 1457a 3) Grube 1958 statement phrase, sentence Sorge 1961 proposizione proposizione, discorso

Albeggiani 1965 discorso proposizione, discorso Dorsch 1965 phrase or proposition (1457a 24, 26, 28 solo

proposition) phrase, speech

Pittau 1972 frase proposizione, discorso Hutton 1982 unified utterance phrase, expression Hardy 1990 locution phrase

Magnien 1990 énoncé phrase Fusillo 2001 discorso proposizione, discorso

Delle traduzioni del gruppo B, come si vede, 15 (Guglielmo di Moerbeke, Segni 1549, Goulston 1623, Taylor 1811, Anonimo 1819, Buckley 1853, Hatzfeld-Dufour 1899, Pistelli 1937, Grube 1958, Sorge 1961, Albeggiani 1965, Dorsch 1965, Pittau 1972, Hutton 1982, Fusillo 2001) rendono le due occorrenze di 1457a 3 e 1457a 6 con due termini diversi. Inoltre, si tenga presente che 5 tra-duzioni (Dacier 1692, Twining 1812, Walz 1840, Egger 1875, Potts 1953) riportano una sola occor-renza del termine nel passo in questione, dunque non si può parlare di uniformità nella scelta del traducente. Quindi, solo 11 traduzioni sulle 31 del Gruppo B rendono in modo identico lovgo" in 1457a 3 e 1457a 6. Questo rapporto è rappresentato nel grafico che segue:

12 In 1456b21, Pistelli aggiunge tra parentesi quadre elocuzione.

7

15

5

11

Analisi Gruppo B

due termini diversi in

1457a3 e 1457a6

una sola occorrenza

resa identica di logos in

1457a3 e 1457a6

Passiamo ora all’elenco delle traduzioni del Gruppo C.

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GRUPPO C: traducenti diversi nei vari passi AUTORE ANNO Traducente

1456b 21 Traducente 1457a 23-30 Traducente

1457a 3, 1457a 6 Norville 1671 diction discours discours, chose Anonimo 1705 speech oration or discourse 1457a 23, dis-

course 25, speech 27, oration 28 discourse; 1 sola

occorrenza, 1457a 6

Batteux 1771 oraison discours discours Haus 1815 sententia sententia 1457a 23 e 25, sermo sive

oratio 27, oratio 28 oratio aut senten-

tia, oratio Saint-Hilaire 1838 discours discours 1457a 23, 28, proposition

25, 27 phrase, proposi-

tion Ruelle 1883 discours discours 1457a 23, 28, proposition

25, 27 phrase, proposi-

tion Stich 1887 Satz Satz (Wortgefüge) 1457a 23, Wortge-

füge 24, 26, 28 Rede (solo 1457a

3) Gomperz 1897 Wortgefüge Redegefüge 1457a 23, 25, Wortgefüge

27, 28 Rede

Margoliouth 191113 sermo sententia sermo Gudeman 1921 Satz (Wortgefü-

ge) Wortgefüge (Satz) 1457a 23, 25, 28,

Satzgefüge 27 Satz

Epps14 1942 clause or sen-tence

clause clause or senten-ce, sentence or

clause Voilquin-Capelle 1944 expression locution (ou expression 1456a 23) proposition

Cooper 1947 [1913]

speech (or Uni-fied utterance)

speech (or Unified utterance) 1457a 23, composite utterance 25, sentence 27, speech (sentence or whole utter-

ance) 28

expression (solo 1457a 6)

Golden 1968 sentence speech 1457a 23, 25, 28, phrase 27 speech, sentence Schönherr [rev. E. G. Schmidt]

1972 Satz Satz 1457a 23, 24, 26, Wortgefüge 28 Satz

Whalley15 1997 statement or sentence

sentence or phrase 1457a 23, speech 25, 27, 28

utterance, phrase

Barabino 1999 frase frase 1457a 23, discorso 25, 27, 28 discorso, frase Schmitt 2008 Satz Phrase bzw. Satz 1457a 23, Äußerung

25, 27, 28 Satz, Rede

Nel gruppo C, come si vede, i termini spesso variano anche all’interno dello stesso passo: solo cin-que traduzioni su 18 (Norville 1671, Batteux 1771, Margoliouth 1911, Epps 1942, Voilquin-Capelle 1944) ricorrono ad unico termine (rispettivamente, discours, sententia, clause e locution) per rende-re lovgo" in 1457a 23-30.

Anche per quanto riguarda il passo sulla congiunzione e l’articolo, solo cinque traduzioni (Batteux 1771, Gomperz 1897, Gudeman 1921, Voilquin-Capelle 1944, Schönherr 1972) usano lo stesso termine per rendere lovgo" sia in 1457a 3 che in 1457a 6; tre (Anonimo 1705, Stich 1887,

13 Trad. latina dalla traduzione araba di Abū Bišr Mattā. 14 Il caso di questa traduzione è un po’ particolare, in quanto, come si vede, il suo uso è sostanzialmente costante. Tutta-via, visto che l’endiadi introdotta in 1456b21 si riduce poi, in 1457a23-30, al solo termine clause, ci sembra più coeren-te ascrivere tale traduzione al terzo gruppo anziché al primo. L’opzione opposta, naturalmente, sarebbe ugualmente ra-gionevole. 15 Stando alla prefazione dei curatori (p. ix), la traduzione “was substantially complete by 1970”. Cf. anche sopra, nt. 8.

9

Cooper 1947) ne rendono una sola occorrenza (Anonimo 1705 e Cooper solo quella di 1457a 6, Stich quella di 1457a 3); le altre 10 traduzioni ricorrono a termini diversi per ciascuno dei due passi indicati. La proporzione tra questi tre diversi gruppi è rappresentata dal grafico che segue:

5

3

10

unico termine in

1457a 3 e 1457a 6"

una sola occorrenza

di λόγος tra 1457a

3 a 1457a 6

due termini diversi

per 1457a 3 e

1457a 6

Nella maggior parte delle traduzioni, il termine che rende lovgo" in 1457a 3 e in 1457a 6 (identico o diverso per ciascuno dei due passi, oppure utilizzato una sola volta) coincide con uno di quelli che ricorrono in 1456b 21 oppure in 1457a 23-30. 4 traduzioni (Stich 1887, Gomperz 1897, Cooper 1947 e Voilquin-Capelle 1944) fanno invece ricorso ad un termine apposito (rispettivamente, Rede, expression, proposition), tanto in 1457a 3 che in 1457a 6. Quattro traduzioni (Margoliouth 1911, Gudeman 192116, Epps 194217, Schönherr 1972) usano il traducente di 1456b 21 sia in 1457a 3 che in 1457a 6. Una sola traduzione, ossia Batteux 1771, ricorre invece al termine che si ritroverà in 1457a 23-30 (discours). Due traduzioni (Haus 1815, Golden 1968) ricorrono in un caso al termine di 1456b 21, nell’altro a uno di quelli usati in 1457a 23-3018. Le altre traduzioni possono essere ri-partite come segue: cinque (Anonimo 1705, Saint-Hilaire 1838, Ruelle 1883, Whalley 1997, Bara-bino 1999) impiegano uno dei termini utilizzati in 1457a 23-30 solo per rendere l’occorrenza in 1457a 6; due (Norville 1671, Schmitt 2008) solo per rendere l’occorrenza in 1457a 3. Queste diffe-renti opzioni possono essere visualizzate come segue (il grafico va letto partendo dal numero di tra-duzioni, quattro, che rendono lovgo" in 1457a 3 e in 1457a 6 con un termine apposito, e proseguen-do in senso orario):

16 Si noti che questa traduzione aggiunge a Satz l’alternativa Wortgefüge, in 1456b21. 17 Consideriamo l’alternativa presente in questa traduzione (clause or sentence, sentence or clause) come una pura va-riante stilistica. 18 Haus, per l’esattezza, rende l’occorrenza di 1457a 3 con l’alternativa oratio aut sententia.

10

4

4

12

5

2identico traducente specifico di

λόγος in 1457a 3 e 1457a 6

stesso traducente in 1456b 21,

1457a 3 e 1457a 6

stesso traducente in 1457a 23-

30, 1457a 3 e 1457a 6

traducenti in 1457a 3 e 1457a 6

uno identico a 1456b 21, l'altro a

1457a 23-30

stesso traducente in 1457a 23-30

e 1457a 6

stesso traducente in 1457a 23-30

e 1457a 3

5. La varietà dei termini impiegati per la traduzione di lovgo" è dunque notevole, non solo da lingua a lingua, ma anche all’interno delle singole lingue. Possiamo però cercare di stabilire delle corri-spondenze tra i termini utilizzati in italiano, francese, inglese e tedesco, e in certi casi anche all’interno di una sola di queste lingue, determinando delle “classi di equivalenza” tra i vari tradu-centi. In questa operazione, le traduzioni latine devono essere trattate a parte, data l’equivalenza, almeno apparente, di lovgo" con oratio: anche se nelle 13 traduzioni latine considerate oratio non è il solo termine a comparire, la sua prevalenza è comunque evidente, in quanto è usato costantemen-te in 8 di esse (Valla 1498, Pazzi 1542, Vettori 1573, Riccoboni 1579, Heinsius 1611, Anonimo 1760, Tyrwhitt 1794, Hermann 1802); in altre 3 (Guglielmo di Moerbeke, Goulston 1623, Ritter 1839) ricorre tanto in 1456b 21 che in 1457a 23-30 (presso Guglielmo di Moerbeke e Goulston, an-che in 1457a 6); in una (Haus 1815) ricorre, insieme ad altri termini, tanto in 1457a 23-30 quanto in 1457a 3 e 1457a 6. L’unica traduzione latina tra quelle esaminate che non ricorre a oratio è dunque Margoliouth 1911, che ovviamente va considerata a parte, data l’epoca più tarda rispetto alle altre e, soprattutto, il fatto che essa non sia quella del testo greco della Poetica, ma della sua traduzione a-raba19. Inoltre, alcune traduzioni in lingue moderne ricorrono ad un semplice prestito dal latino ora-tio, ossia orazione in italiano (2 casi), oraison in francese (4) e oration in inglese (1): consideriamo dunque tutti questi termini come equivalenti.

Dobbiamo ora determinare le classi di equivalenza tra i vari termini delle lingue moderne. Riepiloghiamo anzitutto tali termini lingua per lingua, riportando tra parentesi il numero delle tra-duzioni in cui compaiono. In italiano, riscontriamo i termini seguenti: discorso (14 traduzioni), pro-posizione (9), frase (3), diffinitione (1), parlare (1), ragionamento (1); in francese: discours (9), é-noncé (5), phrase (4), locution (3), proposition (3), chose (1), diction (1), expression (1); in inglese: sentence (13), statement o utterance (11; consideriamo questi due termini come sinonimi; vd. più sotto), discourse o speech (10; idem come la coppia terminologica precedente), phrase (8), clause o proposition (2; anche in questo caso consideriamo sinonimi i due termini, per i motivi che verranno

19 Come mi fa notare Stefano Pagliaroli, nel latino medievale sermo è spesso sinonimo di oratio: questo potrebbe spie-gare l’alternanza terminologica che troviamo in Guglielmo di Moerbeke come una semplice variante stilistica, e farci anche interpretare la scelta terminologica di Margoliouth come equivalente, nelle intenzioni del traduttore, a oratio. Continueremo però, nei nostri conteggi, a trattare sermo e oratio come lemmi non sinonimi.

11

esposti più avanti), period (2), word (2), expression (2); in tedesco, Satz (14 traduzioni), Rede o Re-degefüge (7), Wortgefüge, Wortverbindung, Phrase (8), Satzgefüge (1) 20. Per stabilire quali di que-sti termini possano essere considerati equivalenti, tra le varie lingue o anche all’interno di una sin-gola lingua, siamo ricorsi sia a dizionari generali monolingui che a lessici specialistici di linguistica. I primi sono: Battaglia 1961-2002 per l’italiano; il Trésor per il francese; l’Oxford English Dictio-nary (OED) per l’inglese e il Duden per il tedesco (gli ultimi tre consultati nelle rispettive edizioni elettroniche). Tra i secondi, abbiamo fatto ricorso in primo luogo ad alcuni di quelli che presentano sistematicamente equivalenze tra termini in lingue diverse: Marouzeau 1961 (italiano, francese, in-glese, tedesco), Springhetti 1962 (latino, italiano, francese, inglese, tedesco, e inoltre spagnolo) e Nash 1968 (francese, inglese, tedesco, e inoltre russo). Poi abbiamo utilizzato lessici che forniscono solo a volte i corrispondenti in altre lingue dei lemmi definiti: i tedeschi Lewandowski 1975 e Bußmann 2008, e gli italiani Beccaria 1989 e Cotticelli Kurras 2007, che deriva, con varie revisioni ed adattamenti, dalla terza edizione (2004) del lavoro di Bußmann. Infine, abbiamo consultato an-che alcuni lessici specialistici monolingui: il francese Dubois et al. 1994 e gli inglesi Crystal 1985, Trask 1993 e la traduzione inglese (1996) della seconda edizione del lessico di Bußmann. In base all’esame di questi dizionari e lessici, abbiamo stabilito le seguenti classi di equivalenza tra i diffe-renti termini che ricorrono nelle varie traduzioni esaminate con una frequenza statisticamente signi-ficativa, classi che si aggiungono a quella di oratio, già stabilita sopra:

Lingua Classe di equi-valenza Latino Italiano Francese Inglese Tedesco

1 oratio orazione oraison oration 2 discorso discours discourse

(speech) Rede (Redege-füge)

3 sententia frase phrase sentence Satz 4 proposizione proposition clause (propo-

sition)

5 groupe, locu-tion21

phrase Phrase, Wort-gefüge, Wort-verbindung

6 enuntiatum énoncé statement, ut-terance

Äußerung

La classe 2 non ha bisogno di particolari giustificazioni: essa si trova tanto in Marouzeau 1961 quanto in Springhetti 1962; inoltre, Nash 1968 tratta come equivalenti discours, discourse e Rede (a cui aggiunge Gespräch). L’assunzione di una sinonimia tra discourse e speech è giustificata, oltre che dai due lessici già citati, dalle due seguenti definizioni che si possono trovare nell’OED (s.v.):

discourse: […] 5. A spoken or written treatment of a subject, in which it is handled or discussed at length; a dissertation, treatise, homily, sermon, or the like. (Now the prevailing sense.).

speech: […] III.8.d.: An address or discourse of a more or less formal character delivered to an audience or assembly; an oration; also, the manuscript or printed copy or report of this. […].

Ugualmente, non appare problematico assumere la sinonimia (almeno nel contesto che stiamo trat-tando) tra i termini tedeschi Rede e Redegefüge.

20 Paola Cotticelli mi informa che Redegefüge e Satzgefüge sono sostanzialmente sinonimi, e che il secondo termine ha ormai sostituito il primo. Questo comporterebbe dunque di calcolare non più in 7, ma in 8, le traduzioni in cui ricorre Rede oppure un suo sinonimo. Nei grafici che seguono, non ho tenuto conto di questa variazione, che, date le sue di-mensioni minime, non avrebbe comunque influito in modo significativo sui risultati globali. 21 Nella traduzione francese di Hatzfeld-Dufour 1899, groupe ricorre in 1457a 3 e locution in 1457a 6: in questo caso, quindi, ci è sembrato corretto considerare i due termini come sinonimi. Negli altri casi, invece (1456b 21 e 1457a 23-30) locution è difficilmente interpretabile come sinonimo di groupe: per questo motivo, abbiamo collocato tali casi tra gli “altri termini”. Vd. anche più avanti, nt. 23.

12

Anche la classe 3 si basa, in larga parte, sulle equivalenze terminologiche presentate nei les-sici di Marouzeau, di Springhetti e di Nash, ma con qualche problema in più: infatti Marouzeau 1961, Springhetti 1962 e Beccaria 1989 indicano, per l’inglese, non solo sentence, ma anche clause come equivalenti all’italiano frase, e tanto la traduzione inglese di Bußmann, quanto Cotticelli Kur-ras 2007 indicano solo clause come equivalente di frase e di Satz. Potrebbe sembrare dunque più adeguato collocare clause nella classe 3 anziché, come si è fatto, nella classe 4. Tuttavia, alcune de-finizioni che troviamo nell’OED suggeriscono una differenza di significato tra i due termini:

clause: 1. a. A short sentence; a single passage or member of a discourse or writing; a distinct part or mem-ber of a sentence, esp. in Gramm. Analysis, one containing a subject and predicate. […]

sentence: […] 6. a. A series of words in connected speech or writing, forming the grammatically complete expression of a single thought; in popular use often […], such a portion of a composition or utterance as ex-tends from one full stop to another. […]

Cf. anche la definizione nel dizionario specialistico di Crystal 1985:

clause: A term used in some models of GRAMMAR to refer to a UNIT of grammatical organization smaller than the SENTENCE, but larger than PHRASES, WORDS or MORPHEMES.

Clause ha quindi un valore più specifico di sentence, in quanto si riferisce, in senso grammaticale, a una frase semplice caratterizzata dalla presenza di soggetto e predicato. Un’analoga distinzione troviamo poi, tanto in italiano quanto in francese, nelle definizioni di frase e phrase da una parte, e di proposizione e proposition dall’altra:

frase: Breve costrutto di parole (legate da nessi logici e sintattici) con senso compiuto; espressione, locuzio-ne, proposizione, modo di dire (Battaglia 1961-2002, s.v.).

frase: Unità strutturale di massima estensione nell’ambito della grammatica, composta di unità inferiori (sin-tagmi, lessemi, morfemi) e costruita secondo specifiche regole sintattiche […] (Beccaria 1989, s.v.).

proposizione: […] 2. Ling.: unità discorsiva minima per mezzo della quale il parlante dà espressione for-malmente compiuta ai propri contenuti mentali e affettivi; ha come elementi necessari il soggetto (talora sot-tinteso) e il predicato (verbale o nominale) (Battaglia 1961-2002, s.v.).

proposizione: Unità sintattica, con cui si indica ogni frase elementare costituita da soggetto e predicato […] (Beccaria 1989, s.v.).

phrase: […] I. C. LINGUISTIQUE 1. [Unité ling. définie au moyen de critères variés] a) GRAMM. CLASS. Assemblage de mots caractérisé par la complétude sémantique, la cohésion grammaticale et par les pauses qui l’entourent (à l’écrit par les signes de ponctuation forte) (Trésor, s.v.).

Selon la grammaire traditionnelle, la phrase est une unité de sens accompagnée, à l’oral, par une ligne proso-dique et limitée, à l’écrit, par les signes typographiques qui sont, en français, la majuscule et le point. La phrase peut contenir plusieurs propositions […] (Dubois et al. 1994, s.v.).

proposition: […] II.B.1.b. GRAMM. SCOL. Unité syntaxique construite autour d’un verbe, et qui peut être soit une phrase simple (proposition indépendante), soit un élément de phrase complexe (proposition princi-pale, subordonnée) (Trésor, s.v.).

On donne le nom de proposition aux phrases élémentaires dont la réunion par coordination ou subordination constitue la phrase effectivement réalisée: la proposition est une unité syntaxique élémentaire constituée d’un sujet et d’un prédicat (Dubois et al. 1994, s.v.).

Le classi 4 e 5 sono probabilmente quelle che necessitano di maggiori giustificazioni. Nel lessico tecnico della linguistica contemporanea, l’inglese proposition non corrisponde all’italiano proposizione o al suo omografo francese proposition ed ai suoi equivalenti, come pure l’inglese phrase non corrisponde all’italiano frase e ai suoi equivalenti. Infatti proposition, in inglese, indica il contenuto semantico della frase, dichiarativa oppure (nell’uso tecnico dei linguisti) anche di altre modalità:

13

A term derived from philosophy, where its status is controversial, and often used in LINGUISTICS as part of a GRAMMATICAL or SEMANTIC analysis. It refers to the UNIT of MEANING which constitutes the subject matter of a STATEMENT in the form of a SIMPLE DECLARATIVE sentence. […] (Crystal 1985, s.v.).

The semantic content of a statement. […] (Trask 1993, s.v.).

[…] By ‘proposition’ one usually understands the language-independent common denominator of the mean-ing of sentences which express the factuality of a given state of affairs. […] (Bußmann, trad. ingl., s.v.).

La stessa definizione si trova anche nell’edizione originale tedesca del lessico di Bußmann, come pure in Cotticelli Kurras 2007: questo senso più nuovo e tecnico del termine proposizione non va confuso con il senso più tradizionale che abbiamo illustrato sopra, ossia di unità sintattica i cui componenti essenziali sono il soggetto ed il predicato. Questo significato tecnico del termine propo-sition appare confermato anche dalle definizioni dell’OED:

[…] 4. a. Something which is asserted or avowed; a sentence or form of words in which this is done; a statement, an assertion. b. spec. in Logic. (a) A statement which is capable of truth or falsity; (also occas.) a mental formulation of that which is expressed by such a statement (b) Either of the premises of a syllogism; esp. the major premise. […] (OED, s.v.).

Queste definizioni ci inducono a far corrispondere, nella nostra classe 4, all’italiano proposizione e al francese proposition, l’inglese clause, non l’inglese proposition. Tuttavia, c’è da rilevare che clause appare in una sola traduzione inglese (Epps 1942), per di più in alternativa con sentence, e che nella traduzione inglese di Dorsch 1965 ricorre proposition, con un senso che è quello dell’italiano proposizione o del francese proposition; per questo abbiamo classificato proposition assieme a clause (che, riteniamo, sarebbe stato il termine più corretto, in base a quanto appena os-servato)22.

Veniamo ora all’inglese phrase. La definizione dell’OED suona come segue:

Phrase: […] 2.c. Grammar. A small, unified group of words (in a sentence) that does not include both a sub-ject and a predicate or finite verb; (more recently also) a single word having an equivalent syntactic function; (gen.) any syntactic unit larger than a word and smaller than a clause.

Queste sono invece le definizioni di phrase che troviamo in tre lessici specialistici:

A term used in GRAMMATICAL analysis to refer to a single ELEMENT of STRUCTURE containing more than one WORD, and lacking the SUBJECT-PREDICATE structure typical of CLAUSES. […] (Crystal 1985, s.v.).

1. A synonym for constituent. In this sense, any constituent, even a clause, may be regarded as a phrase. 2. A synonym for maximal projection […]. In this sense the term ‘phrase’ contrasts with clause. 3. Tradition-ally, and very loosely, a label applied to any string of words which someone wants to consider, regardless of its syntactic status. […] (Trask 1993, s.v.).

1. Term for word groups without a finite verb that belong together syntactically. In contrast, the term ‘clause’ denotes a syntactic construction with a finite verb; thus clause stands hierarchically between phrase and sentence […] (Bußmann, trad. ingl., s.v.).

Phrase, dunque, si oppone a clause come “gruppo di parole (in genere)” a “struttura soggetto-predicato”: pertanto non può essere considerata equivalente a frase, e neppure a proposizione, ma a gruppo di parole o sintagma (come in Beccaria 1989 e in Cotticelli Kurras 2007); Nash 1968 elenca locution, expression e groupe de mots come equivalenti francesi dell’inglese phrase, e come equi-valenti tedeschi Redewendung e Wortgefüge.

Riassumiamo quanto detto a proposito delle classi di equivalenza 3, 4 e 5. L’inglese clause ha in comune con l’italiano proposizione e il francese proposition il fatto di indicare, in grammati- 22 Questa è la traduzione che Dorsch (1965) dà della definizione di lovgo" in 1456a 23-24: “A phrase or proposition is a composite of sounds with a meaning, and some parts of it have a meaning of their own”. La stessa disgiunzione (phrase or proposition) appare nell’elenco delle mevrh th'" levxew" di 1456b 20-21: riteniamo che il traduttore abbia voluto rendere in questo modo il valore di lovgo" sia come “gruppo di parole” (phrase; su questo termine, vd. quanto segue immediatamente) che come “struttura soggetto-predicato” (proposition).

14

ca, una struttura semplice (cioè non contenente altre strutture dello stesso tipo) dotata di un soggetto e di un predicato: abbiamo dunque collocato questi tre termini nella classe di equivalenza 4. Essi si oppongono perciò, rispettivamente, a sentence, frase e phrase, i quali possono indicare anche strut-ture complesse o non necessariamente caratterizzate dalla presenza di un soggetto e di un predicato. Inoltre, per quanto appena detto, ogni proposizione è una frase, ma non ogni frase è una proposizio-ne. Questo è il motivo per il quale abbiamo collocato il tedesco Satz (che può significare tanto frase che proposizione) nella classe 3, ossia assieme a frase e ai suoi equivalenti. La classe 5 contiene in-vece i termini equivalenti, nella terminologia della linguistica moderna, all’italiano sintagma (o gruppo di parole): collochiamo perciò l’inglese phrase in questa classe, assieme ai francesi groupe et locution23, e ai tedeschi Phrase/Wortgefüge/Wortverbindung24. Passiamo ora alla classe 6. L’equivalenza tra énoncé e utterance è indicata in tutti i lessici specialistici consultati (Marouzeau 1961, Springhetti 1962, Nash 1968, Lewandowski 1975); tale equivalenza è estesa al tedesco Äußerung in Nash 1968. Diverse sono invece le traduzioni di altri lessici: anche Lewandowski 1975 indica come equivalente di Äußerung l’inglese utterance, ma co-me equivalente francese énonciation; l’equivalenza tra Äußerung e utterance è asserita anche in Bußmann 2008, in cui manca però l’indicazione di un equivalente francese; invece, sia Marouzeau 1961 che Springhetti 1962 fanno corrispondere a énoncé e utterance i tre termini tedeschi Aussage, Vortrag e Mitteilung. Ci sembra che, nonostante queste parziali discordanze, si possa asserire una sostanziale equivalenza tra Äußerung, utterance e énoncé25: il termine tedesco è entrato in uso solo recentemente (la prima traduzione ad utilizzarlo, tra quelle considerate qui, è Schmitt 2008), e sono proprio i lessici specialistici più recenti a considerarlo equivalente al termine inglese. Aggiungiamo che Cotticelli Kurras 2007 indica sia utterance che Äußerung come equivalenti di enunciato.

La sinonimia, in inglese, tra statement e utterance è ricavata dai lessici plurilingui di Marou-zeau 1961 e Springhetti 1962, che fanno corrispondere entrambi questi termini al francese énoncé. La linguistica degli ultimi decenni non considera però questi due termini come sinonimi, come mo-strano le seguenti definizioni:

statement

A term used in the classification of SENTENCE FUNCTIONS, and defined sometimes on GRAMMATICAL and sometimes on SEMANTIC or SOCIOLINGUISTIC grounds. SYNTACTICALLY , a statement is a sentence which contains a SUBJECT occurring before a VERB […]. Semantically, it is used primarily to convey information.

23 Abbiamo però conteggiato come equivalente all’inglese phrase una sola delle 3 occorrenze di locution che abbiamo registrato, ossia quella in Hatzfeld-Dufour 1899, 1457a 6, perché è l’unica in cui, a nostro avviso, tale termine ha il va-lore di “groupe de mots constituant un syntagme figé” (Trésor, s.v.). Negli altri casi (Voilquin-Capelle 1944, Hardy 1990) ha invece quello di “acte de parole du locuteur” (Trésor, s.v.). Quest’ultimo valore ha anche expression in Voil-quin-Capelle 1944, 1456b 21 e 1456a 23, e quindi non abbiamo conteggiato neanche quest’ultimo termine nella nostra classe 5. 24 Il revisore solleva alcune riserve in merito all’analisi qui proposta dei termini proposition, phrase e clause. Relativa-mente a proposition, ricorda che esso “così come proposizione, rimanda al contenuto della frase, alla sua semantica”, e tuttavia spesso “si trova usato come equivalente di frase”; riguardo a phrase, osserva che “da qualche tempo lo si può trovare, oltre che col suo tradizionale significato di sintagma, anche col significato equivalente a frase”. Tutto questo è senz’altro vero (si veda del resto quanto osservato più avanti, nt. 38): ma in questa sezione abbiamo presentato il valore tecnico dei termini in questione, dal quale, naturalmente, molti testi, a cominciare dalle traduzioni della Poetica qui e-saminate, possono deviare, e di fatto in alcuni casi deviano. A proposito di clause, il revisore osserva poi che “il termi-ne, e la conseguente nozione, sono state di fatto imposte nella terminologia grammaticale recente dalla grammatica ge-nerativa, ma con un significato tecnico specifico, e non come semplice sinonimo di sentence”. Non sono in grado di da-tare l’epoca in cui clause ha assunto il valore tecnico illustrato qui, ma essa è certamente precedente alla grammatica generativa, come questa citazione (a cui se ne potrebbero aggiungere varie altre) documenta: “(…) clauses (…) resem-ble sentences in their construction, but form only part of a communication, e.g. ‘I see that the door is red’” (Jespersen 1933, p. 96). 25 Äußerung e utterance significano tanto ‘enunciato’ quanto ‘enunciazione’: con il primo dei due termini si indica un’entità linguistica, con il secondo l’atto compiuto dal parlante nel produrre questa entità. In questa sede, ci riferiamo al primo di questi due valori. Cf. le definizioni di utterance riportate più avanti, in questo stesso paragrafo.

15

The term is usually contrasted with three other major sentence functions: QUESTION, COMMAND, EXCLAMA-

TION (Crystal 1985, s.v.).

One of the fundamental sentence types of traditional grammar, having the form of an assertion that some proposition is true. An example is Lisa is a translator (Trask 1993, s.v.).

[…] 2 Synonym for proposition. […] (Bußmann, trad. ingl., s.v.).

utterance

A term used in LINGUISTICS and PHONETICS to refer to a stretch of speech about which no assumptions have been made in terms of linguistic theory (as opposed to the notion of SENTENCE, which receives its definition from a theory of GRAMMAR) […] (Crystal 1985, s.v.).

A particular piece of speech produced by a particular individual on a particular occasion (Trask 1993, s.v.).

1. The string of words or written symbols produced by the speaker between two pauses. An utterance can consist of a single word or several sentences. As opposed to the abstract term sentence which relates to the level of langue […], the utterance works on the level of the parole and refers to actual speech sequences in specific situations […] (Bußmann, trad. ingl., s.v.).

Statement è quindi considerato oggi sinonimo di “enunciato assertivo”, quando non addirittura di proposition (nel senso descritto più sopra); utterance ha invece un significato molto più generale, potendosi riferire a qualunque espressione linguistica emessa in una data circostanza. Tuttavia, nell’OED troviamo, tra le altre, queste definizioni, che suggeriscono una vicinanza molto maggiore tra i due termini:

statement: […] 2. a. Something that is stated; an allegation, declaration. […] 3. a. A written or oral commu-nication setting forth facts, arguments, demands, or the like.

utterance: […] 5. a. That which is uttered or expressed in words; a spoken (or written) statement or expres-sion; an articulated sound. […]

Riteniamo quindi che i traduttori inglesi della Poetica che hanno fatto ricorso a statement per rende-re lovgo""""26 abbiano inteso il termine in questo senso più generico, anziché in quello tecnico della linguistica più recente: per questo motivo, l’abbiamo considerato sinonimo di utterance. 6. Definite dunque le classi di equivalenza tra i vari traducenti di lovgo", possiamo passare ad esa-minarne la distribuzione nelle varie traduzioni considerate. La tabella sottostante riporta il numero delle traduzioni in cui ricorrono i termini appartenenti alle classi di equivalenza (indicate col nume-ro d’ordine utilizzato sopra) nelle varie lingue27. I termini equivalenti sono distinti in base alle lin-gue sull’asse verticale, e secondo i diversi gruppi di traduzioni (A, B e C) sull’asse orizzontale. Il totale dei termini è superiore al numero complessivo delle traduzioni, in quanto, come sappiamo, le traduzioni dei gruppi B e C ricorrono a più termini per rendere le varie occorrenze di lovgo". Per questo motivo, non abbiamo indicato il totale generale dei traducenti utilizzati, in quanto non ci pa-re significativo. Il numero totale delle traduzioni per ogni classe di termini equivalenti è indicato nel riquadro in basso a destra per ciascuna di esse (abbiamo ovviamente conteggiato il termine una sola volta per ogni traduzione, anche se le sue occorrenze sono più di una).

26 Si tratta di Margoliouth 1911 (gruppo A), Potts 1953 (gruppo B), Grube 1958 (gruppo B), Halliwell 1995 (gruppo A), Whalley 1997 (gruppo C).

27 Si noti che le classi 3 e 6 contengono anche termini latini (rispettivamente, sententia ed enuntiatum), che vi sono stati inclusi in base a Springhetti 1962, che li indica come equivalenti a quelli delle lingue moderne appartenenti alle mede-sime classi.

16

Latino

Italiano

Francese

Inglese

Tedesco Totali

1. Gruppo di traduzioni

oratio orazione oraison oration

A 8 1 9 B 3 1 3 7 C 1 1 1 3

Totali 12 2 4 1 0 19

2. discorso discours discourse

(speech) Rede (Redege-

füge)

A 7 2 3 2 14 B 6 3 3 2 14 C 1 4 4 3 12

Totali 14 9 10 7 40 3.

sententia frase phrase sentence28 Satz A 2 5 7 B 2 2 7 5 16 C 2 1 2 4 4 13

Totali 2 3 4 13 14 36 4.

proposizione proposition clause (pro-position)29

A 3 3 B 6 1 7 C 3 1 4

Totali 9 3 2 14 5.

groupe (lo-cution)30

phrase Wortgefüge (Wortver-bindung, Phrase)

A 2 2 B 1 4 3 8 C 2 5 7

Totali 1 8 8 17 6.

enuntiatum énoncé utterance (statement)

Äußerung

A 4 6 10 B 1 1 3 5 C 2 1 3

Totali 1 5 11 1 18 Come si è accennato sopra (p. 000), queste classi di equivalenza non comprendono tutti i termini u-tilizzati nelle varie traduzioni, ma solo quelli la cui frequenza è statisticamente significativa. Gli al-

28 Butcher 1911 conteggiato anche in 5; Epps 1942 conteggiato anche in 4. 29 Epps 1942 conteggiato anche in 3; Dorsch 1965 conteggiato anche in 5. Si ricordi quanto osservato sopra (p. 000) a proposito dei termini inglesi clause e proposition. 30 Cf. ntt. 21 e 23.

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tri traducenti, che naturalmente ricorrono solo nei gruppi di traduzioni B e C, sono i seguenti (in or-dine alfabetico, con l’indicazione del numero di traduzioni che li presentano): chose (1), diffinitione (1), diction (francese, 1), expression (francese 1, inglese 2), locution (francese, 3)31, parlare (1), pe-riodus, period (3), ragionamento (1), Satzgefüge (1), sermo (3), word (2), per un totale di 20. Possiamo riassumere la distribuzione delle varie classi di traducenti stabilite in questo para-grafo mediante il seguente grafico (in cui, ad eccezione di oratio, abbiamo adottato come etichetta per ciascuna delle classi il termine italiano corrispondente, anche quando, come accade per le classi 4 e 5, tale termine non ricorre in nessuna delle traduzioni italiane considerate; d’ora in poi, per se-gnalare il valore metalinguistico di ciascuno di questi termini, lo scriveremo tra apici):

19

40

36

14

17

18

20

Classi di traducenti

oratio

discorso

frase

proposizione

sintagma

enunciato

altro

Il grafico qui sotto riporta invece la distribuzione delle varie classi di termini suddivisi per lingua:

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

oratio discorso frase proposizione sintagma enunciato

latino

italiano

francese

inglese

tedesco

TOTALE

31 Vd. nt. 23.

18

I confronti effettuati fin qui prescindono dalla dimensione tempo. Vediamo ora di analizzare invece l’evoluzione delle modalità di traduzione attraverso i secoli, dapprima esaminando la distribuzione dei tipi di traduzione (secondo i gruppi A, B e C definiti sopra), e poi quella dei vari termini utiliz-zati. Il primo tipo di variazione è riassunto nella tabella seguente:

SECOLO NUMERO DI TRADUZIONI RIPARTITE PER TIPO Gruppo A Gruppo B Gruppo C Totale

Prima del 1500 1 1 2 XVI 4 2 6 XVII 1 2 1 4 XVIII 5 0 2 7 XIX 6 15 5 26 XX 23 10 9 42 XXI 5 1 1 7

Totali 45 31 18 94

Questi risultati sono rappresentati nel grafico sottostante:

14

1

5 6

28

1 2 20

15

11

0 0 1 25

10

2

64

7

26

49

0

10

20

30

40

50

60

< XVI sec. XVI sec. XVII sec. XVIII sec. XIX sec. XX-XXI sec.

Gruppo A

Gruppo B

Gruppo C

Totale

La tabella che segue mostra invece la distribuzione dei termini traducenti, suddivisa per secoli sull’asse verticale e per le diverse classi di termini sull’asse orizzontale (per ogni classe di traducen-ti è prima indicato il totale per ogni periodo cronologico, poi tra parentesi il numero delle sue occor-renze per ciascun gruppo di traduzioni):

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SEC. CLASSI DI TRADUCENTI SUDDIVISI PER SECOLO E GR UPPI DI TRADUZIONI 1

(‘oratio’) 2

(‘discorso’) 3.

(‘frase’) 4.

(‘propo-sizione’)

5. (‘sintagma’)

6. (‘enun-ciato’)

Prima del 1500

2 (1A+1B)

XVI 5 (4A+1B) XVII 3 (1A+2B) 2 (1B+1C) XVIII 4 (2A+ 2C) 4 (2A +2C) 1 (A) XIX 5

(1A+3B+1C) 13

(2A+7B+4C) 17

(3A+10B+4C) 3 (1B+2C) 7 (5B+2C) 1 (B)

XX 15 (6A+5B+4C)

17 (3A+6B+8C)

10 (3A+5B+2C)

9 (2A+3B+4C)

15 (9A+4B+2C)

XXI 6 (4A+1B+1C)

1 (C) 1 (C) 1 (C) 2 (1A+1C)

Tot. 19 40 36 14 17 18 La fortuna di ciascuna classe di traducenti attraverso i secoli è illustrata dal seguente diagramma:

0

5

10

15

20

25

< XVI sec. XVI sec. XVII sec. XVIII sec. XIX XX-XXI sec.

oratio

discorso

frase

proposizione

sintagma

enunciato

Dall’esame di questi dati si possono trarre alcune osservazioni. Innanzitutto, si può notare come le traduzioni “costanti” (cioè quelle del gruppo A) siano più numerose di quelle degli altri due gruppi presi insieme sia nei secoli più lontani che all’epoca contemporanea: dalla traduzione di Guglielmo di Moerbeke fino a tutto il Settecento contiamo infatti 11 traduzioni del primo gruppo contro 8 degli altri due (5 del gruppo B e 3 del gruppo C). Analogamente, contiamo nel XX secolo 21 traduzioni del gruppo A, contro un totale di 19 traduzioni per gli altri due gruppi (10 nel gruppo B e 9 nel gruppo C); questa tendenza si conferma nel secolo appena iniziato: 5 traduzioni di tipo A, contro una sola per ciascuno degli altri due tipi. L’unico secolo “in controtendenza” è dunque l’Ottocento, in cui le traduzioni costanti sono solo 6, rispetto a 15 del gruppo B e a 5 del gruppo C. Questa distribuzione cronologica dei vari tipi di traduzione non è priva di correlazione con quella dei vari traducenti: fino a tutto il Settecento, ‘oratio’ (con i suoi equivalenti letterali in italia-

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no, in francese, e in un caso anche in inglese) è il termine che registra la maggioranza assoluta delle traduzioni in cui ricorre (14, contro 7 degli altri termini32); infatti è pressoché il solo traducente con una frequenza statisticamente significativa fino a tutto il XVI secolo, rimane dominante nel XVII, nel XVIII entra in concorrenza con ‘discorso’, declina fortemente nell’Ottocento, fino a scomparire del tutto, in coincidenza con la scomparsa delle traduzioni latine33.

Cosa accade nel XIX secolo, nel XX e nel primo decennio del XXI? Invece di un solo ter-mine prevalente, come accadeva fino a tutto il Settecento, ce ne sono due: ‘discorso’ e ‘frase’. Il primo compare a partire dal Seicento, il secondo dal secolo successivo: ‘frase’ prevale lievemente su ‘discorso’ tanto nell’Ottocento (17 traduzioni contro 13), come nel Novecento (17 contro 15); vi-ceversa, ‘discorso’ predomina nel primo decennio del presente secolo (6 traduzioni, contro una sola in cui compare ‘frase’). In sintesi, ‘discorso’ prevale su ‘frase’ per quanto riguarda nell’intero arco di tempo in cui si collocano le traduzioni della Poetica (40 traduzioni contro 36), ma non nell’Ottocento e nel Novecento (28 contro 34). Un altro concorrente di ‘discorso’ e di ‘frase’, a par-tire dal XX secolo, è ‘enunciato’: questo termine compare molto più di recente rispetto agli altri du-e, cioè in modo significativo solo dagli anni ’80, ma da quel momento in poi realizza un numero di occorrenze che è secondo soltanto a ‘frase’; inoltre ‘enunciato’ è l’unico termine, assieme a ‘discor-so’, che registra più di una occorrenza nel XXI secolo (due). Questi tre termini sono dunque quelli che hanno la maggiore fortuna in epoca recente. La loro distribuzione all’interno dei vari gruppi di traduzioni è però abbastanza diversa: a partire dall’Ottocento, ‘discorso’ compare in 12 traduzioni del gruppo A, 13 del gruppo B e 9 del gruppo C; ‘frase’, rispettivamente, in 6, 16 e 13; ‘enunciato’, in 10, 5 e 3. Le differenze sono ancora più nette considerando solo il XX e il XXI secolo (l’Ottocento, si ricordi, è l’unico secolo in cui le traduzioni del gruppo A sono in minoranza): in tale periodo, ‘discorso’ compare in 10 traduzioni del gruppo A, 6 del gruppo B e 5 del gruppo C; ‘frase’, rispettivamente, in 3, 6 e 9; ‘enunciato’, in 10, 4 e 3. Quindi, mentre ‘discorso’ ed ‘enunciato’ sono preferiti dai traduttori che rendono lovgo" in maniera costante, ‘frase’ è invece il termine preferito da chi ne varia la resa.

Veniamo infine alle altre due classi di traducenti, che sono quelle meno numerose rispetto alle altre. ‘Proposizione’ compare solo a partire dal XIX secolo (in 3 traduzioni), registra un numero più che triplo di occorrenze nel XX secolo (10 traduzioni), mentre ne presenta una sola nel XXI. I termini equivalenti a ‘sintagma’ ricorrono anch’essi solo a partire dal XIX secolo, in un numero di traduzioni vicino a quello del secolo successivo (7 contro 9), mentre ricorrono una sola volta nel XXI secolo. A proposito dei termini appartenenti a quest’ultima classe, si noti inoltre che: 1) con un’unica eccezione (groupe in Hatzfeld-Dufour 1899), essi sono utilizzati solo dalle traduzioni in-glesi e tedesche; 2) in 5 traduzioni del gruppo C (Stich 1887, Gudeman 1921, Schönherr 1972, Whalley 1997, Schmitt 2008), alternano con il termine equivalente a ‘frase’, ed in 4 di esse i due termini sono di fatto introdotti come sinonimi, mediante la collocazione di uno dei due di seguito all’altro tra parentesi, o l’uso di disgiunzioni come or o bzw. (l’unica eccezione è Schönherr 1972).

A mio parere, queste diverse distribuzioni dei vari tipi di termini, tanto sull’asse cronologico che tra i vari gruppi di traduzioni, non sono casuali, ma rispecchiano alcuni mutamenti essenziali nella concezione di quella entità che Aristotele chiama lovgo". Dobbiamo quindi interrogarci anzi-tutto sul valore che questo termine ha nel cap. 20 della Poetica e in altri passi aristotelici assimilabi-li; poi dovremo spiegare perché al dominio quasi incontrastato di oratio e dei suoi equivalenti lette-rali nelle lingue moderne subentri, a partire dal XIX secolo, una così grande varietà di traducenti, accompagnata, nell’Ottocento, da una maggioranza di traduzioni incostanti nelle scelte terminologi-che; ancora, dovremo domandarci le ragioni del progressivo, graduale, imporsi di ‘discorso’ nelle traduzioni del gruppo A, e dell’improvvisa fortuna che sembra arridere ad ‘enunciato’; inoltre, è uti- 32 In questi calcoli, teniamo conto solo dei termini raccolti nelle sei classi di equivalenza definite sopra, ossia quelli che presentano una frequenza statisticamente significativa; comunque, gli altri termini con cui è reso lovgo" nelle traduzioni fino a tutto il Settecento sono 6 (1 prima del 1500, 2 nel Cinquecento, 3 nel Seicento): quindi il totale delle occorrenze di oratio è superiore a quello di tutti gli altri termini messi insieme. 33 La traduzione latina di Margoliouth 1911, come si è già detto, è un caso a parte.

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le indagare i motivi della presenza dei termini meno frequenti (ma comunque statisticamente signi-ficativi) ‘proposizione’ e ‘sintagma’, e della peculiare distribuzione del secondo di questi due (solo nelle traduzioni in lingue germaniche e spesso in alternanza con ‘frase’). A questi interrogativi cer-cheremo di dare una risposta nel prossimo paragrafo. 7. Torniamo dunque alla definizione di lovgo" che troviamo nel cap. 20 della Poetica, 1457a 23-30, riassumendone gli aspetti essenziali (per la terminologia originale greca, cf. §3, sopra). In tale pas-so, il lovgo" è definito come: 1) entità significativa composta di più entità significative, con l’aggiunta, in forma che può equivalere, negli usi moderni, a una parentesi o a una nota a piè di pa-gina34, che non è necessario che una di queste entità sia un rJh'ma; 2) rappresentazione di un’unità, in due modi diversi e alternativi: o in quanto significa una cosa sola (come la definizione di ‘uomo’), o “per connessione” (come l’Iliade). È importante notare come queste caratteristiche siano attribuite al lovgo" anche in altre opere di Aristotele, sicché si può ragionevolmente concludere che la defini-zione di questo concetto che troviamo nella Poetica non sia occasionale, ma esprima quelle che so-no le idee costanti del Filosofo in merito al problema. Per quanto riguarda la natura composta del lovgo", si può citare il cap. 4, 16b 26-28 del De Interpretatione, in cui si dice che esso ejsti fwnh; shmantikhv, h|" tw'n merw'n ti shmantikovn ejsti kecwrismevnon, wJ" favsi" allj oujc wJ" ka-tavfasi" (“è una voce significativa, le cui parti, ancorché separate, sono a lor volta significative (come singoli termini, non come affermazioni)”, trad. in Sainati 1968, p. 210). Nel medesimo tratta-to, Aristotele cita anche esempi di lovgoi senza rJh'ma: ancora una volta, la definizione (lovgo") di ‘uomo’ (cf. De Int., 5, 17a 13-15), e, inoltre, il sintagma kalo;" i{ppo" (cf. id., 16a 22). Per quanto riguarda poi la seconda delle due caratteristiche attribuite al lovgo"nel cap. 20 della Poetica, ossia che esso è la rappresentazione di un contenuto unitario in due modi diversi, si può citare An. Post., II, cap. 10, 93b 35 ss., Met. VII, cap. 4, 1030b 9 e VIII, cap. 6, 1045a 13: in tutti questi passi si af-ferma che, mentre l’Iliade è un lovgo" unitario “per connessione”, la definizione (oJrismov") lo è per-ché indica un solo oggetto. L’attenzione degli interpreti si è concentrata in modo particolare sulla distinzione tra i due tipi di lovgoi, “brevi” (la definizione e la frase enunciativa semplice) o “lunghi” (ad es., l’Iliade), per arrivare a conclusioni inevitabilmente opposte: ossia, secondo alcuni studiosi, Aristotele vorrebbe in primo luogo distinguere i due tipi, secondo altri, invece, ne vorrebbe sottolineare le proprietà comu-ni. Tra gli studiosi del primo gruppo, si colloca senz’altro Morpurgo-Tagliabue 1967, secondo cui i due tipi di lovgo" sono contrapposti l’uno all’altro come “discorso unitario” e “discorso pseudo-unitario” (cf., ad es., p. 147); il secondo tipo è quindi “subordinato” al primo (cf. ad es. p. 145). Questa contrapposizione tra due tipi di “discorso” viene collegata da Morpurgo-Tagliabue a quella introdotta nella Retorica (1409a 24-26) tra levxi" eijromevnh e levxi" katestrammevnh: la prima sa-rebbe un “discorso unitario”, la seconda “pseudo-unitario”; si può però osservare che questo colle-gamento è valido solo se si considerano lovgo" e levxi" come equivalenti, il che non è affatto pacifi-co. Senza introdurre una tale gerarchia tra due tipi di lovgo", anche Ax 2000 mette in maggior risalto le loro differenze che le loro identità. Secondo Ax (p. 55), nel cap. 20 della Poetica Aristotele op-porrebbe infatti lovgo"1 (“isolierter Logos, Satz”) a lovgo"2 (“Text, z. B. die Ilias”). Questa conclu-

sione sarebbe il risultato di un procedimento diairetico applicato alle varie parti della levxi": 1) [± segmentabile] (fwnhv divisibile vs. fwnhv indivisibile); 2) [± componibile] (fonemi35 vs. suoni degli animali); 3) [± significativo] (nome, verbo, lovgo" vs. sillaba e congiunzione); 4) [± con parti signi-

34 E infatti la traduzione di Warrington 1963 così rappresenta questa aggiunta. 35 “Phoneme” è utilizzato da Ax 2000, p. 55, Tavola 2, per rendere stoicei'a, con un evidente anacronismo terminolo-gico. Tuttavia, non sarei così drastico come il revisore di “Athenaeum” nel considerarlo anche un anacronismo concet-tuale: è infatti possibile che Aristotele intendesse con stoicei'on l’elemento minimo distintivo di significato, nel senso di Trubeckoj. A questo proposito, si consideri anche quanto scrive Vineis in un saggio in cui sottolinea l’isomorfismo tra concezione della realtà e concezione del linguaggio presso gli antichi: “uguali criteri e gli stessi principi strutturali di fondo ineriscono alla differente distribuzione sia dei grafemi – e diciamo pure dei fonemi – costitutivi dei significanti linguistici” (Vineis 2011 [1990], p. 53; corsivo mio).

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ficative] (lovgo" vs. nome e verbo); 5) [± temporalizzato] (verbo vs. nome); 6) [± congiunto] (lo-vgo"2 vs. lovgo"1). Tra coloro che, invece, hanno insistito sull’essenziale unità dei due tipi di lovgo"

si collocano Belardi 1985 e Thornton 1986. Belardi scrive: “Aristotele trova la fondazione dell’unità per le tre forme del lovgo"36 o nell’unità ontologica del referente, o nell’unità formale, e-steriore, della verbalizzazione mediante levxi", ossia attraverso l’eJllhnivzein. Ora, poiché la lingua greca non è più lingua greca se si eliminano i τε e i καί […] è ovvio che ciò che dà unità all’Iliade – come al giudizio complesso – sono le particelle congiuntive” (Belardi 1985, pp. 137-138). A pare-re di Thornton, “à bien voir, les deux types d’unité textuelle qu’Aristote a découverts ne sont pas en distribution complémentaire, et ne séparent pas seulement les lovgoi petits des grands” (Thornton 1986, p. 176): infatti, si può pensare a una lunga descrizione asindetica di un individuo, composta di più frasi, che sarebbe dunque oJ e}n dhlw'n, ma non sundevsmw/ ei|", mentre invece avrebbe entrambe le caratteristiche se le varie frasi fossero coordinate tramite congiunzioni (cf. ibid.). Tuttavia, la di-stinzione aristotelica richiama una distinzione della linguistica testuale moderna, ossia quella tra co-referenza e coesione (cf. ibid.).

Ritengo che la posizione più corretta sia quella di Belardi o Thornton, anche se non trovo le loro argomentazioni del tutto convincenti (che la semplice presenza di congiunzioni sia sufficiente a definire l’Iliade un lovgo" mi sembra un po’ troppo semplice, e il ricorso alla linguistica testuale moderna un po’ azzardato). Tuttavia, un’interpretazione come quella di Morpurgo-Tagliabue mi pa-re insostenibile: nessuno dei passi aristotelici ricordati sopra permette di assumere una “subordina-zione” di un tipo di lovgo" all’altro. Anche l’analisi di Ax, per quanto acuta, arriva a porre una con-trapposizione netta tra i due tipi di lovgo" che non mi pare suffragata dai testi: Aristotele afferma che ejsti oJ lovgo" dicw'", non che oJ lovgo" dicw'" levgetai, diversamente dal to; o[n della Meta-fisica. Direi dunque che i vari tipi di lovgo" esemplificati da Aristotele (definizione, giudizio, intero testo) sono differenze specifiche che si collocano però, nella visione del Filosofo, all’interno di uno stesso genus proximum (Graffi 2004, p. 262), che potremmo così definire: “enunciato continuo di varia lunghezza logicamente connesso”37. Nelle epoche successive, invece, un tale genus proximum non verrà più riconosciuto, né dai grammatici né dai filosofi, anche se rimarranno in uso il termine lovgo" in greco e l’equivalente oratio per il latino. Questo sembra accadere già con la tarda Antichi-tà. Boezio, infatti, a proposito dell’espressione sundevsmw/ ei|" di De Int., 5, 17a 9, riferita ad un tipo di lovgo" e che ricorre identica nella Poetica, 1457a 29, la rende con coniunctione una, e così com-menta: “alia vero oratio est una, quae per coniunctionem una est, ut si dies est, lux est” (Boezio 1877-1880, Pars Prior, p. 75). Più o meno nella stessa epoca, Prisciano, traducendo quasi letteral-mente la definizione di lovgo" di Dionisio Trace, dà la ben nota definizione di oratio come “ordina-tio dictionum congrua, sententiam perfectam demonstrans”, e aggiunge che tale definizione è quella “generale”, in quanto “oratio dicitur etiam liber rhetoricus nec non unaquaeque dictio hoc saepe nomine nuncupatur, cum plenam ostendit sententiam” (Prisciano 1855-1858, vol. II, pp. 53-54). Tanto Boezio quanto Prisciano introducono anche la distinzione tra oratio perfecta e oratio imper-fecta. Nei termini del traduttore e commentatore di Aristotele, “orationum vero aliae sunt perfectae, aliae inperfectae. Perfectae sunt ex quibus plene id quod dicitur valet intellegi, inperfectae in quibus adhuc plenius animus exspectat audire, ut est Socrates cum Platone” (Boezio 1877-1880, Pars po-sterior, pp. 8-9). Nei termini del grammatico, “sicut igitur apta ordinatione perfecta redditur oratio, sic ordinatione apta traditae sunt a doctissimis artium scriptoribus partes orationis, cum primo loco nomen, secundo verbum posuerunt, quod licet ostendere a constructione, quae continet paene om-nes partes orationis. a qua si tollas nomen aut verbum, imperfecta fit oratio” (Prisciano 1855-1858, vol. III, p. 116). Tanto Boezio quanto Prisciano, dunque, pongono delle distinzioni che non si ri-scontrano nel pensiero dello Stagirita: infatti assumono come oratio “per eccellenza” quella che contiene un nome e un verbo, relegando invece al dominio dei casi marginali, da un lato, oratio in

36 Le quali, secondo Belardi, sono le seguenti: “definizione”, “singola dichiarazione (ossia giudizio semplice)”, “testo complesso e compiuto, sia pure il più ampio possibile”. 37 Ringrazio Gherardo Ugolini per questo suggerimento.

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quanto sintagma, e oratio in quanto testo connesso. Questa concezione di oratio si consoliderà du-rante il Medioevo, tanto che nel XIV secolo Ockham potrà distinguere oratio “in senso lato” (large) e “in senso stretto” (stricte): nel primo senso, “quaelibet definitio est oratio”; nel secondo, “oratio est congrua dictionum ordinatio, ubi verbum congruit, et nomen vel aliquid loco nominis”; “et sic definitiones et talia ‘homo albus’, ‘Sortes musicus’ non sunt orationes”, conclude Ockham (1978, p. 390). Oratio si è quindi specializzato nel significato di ‘frase’, in modo particolare di ‘frase sempli-ce’. In latino, continua ad essere usato per indicare anche altre entità, ma un concetto di oratio cor-rispondente al lovgo" di Aristotele non esiste più (cf. Graffi 2004, p. 265). Quando poi, col nascere delle lingue moderne, non ci sarà più neppure il termine corrispondente ad oratio (a parte le sue rese letterali con orazione, oraison, ecc.), ai traduttori non resterà altro che ricorrere a espressioni che non possono corrispondere esattamente a lovgo" nel senso di Aristotele. Questa è dunque, ci pare, la premessa storica essenziale per comprendere il motivo delle rese così diverse che lovgo" ha nelle traduzioni della Poetica nelle lingue moderne.

Come si è visto, fino a tutto il Settecento l’alternativa pressoché unica ai termini della classe ‘oratio’ è ‘discorso’, che del termine latino conserva la stessa latitudine di uso, ma anche gli stessi equivoci. Il Manzoni, in un passo del trattato Della lingua italiana su cui ha posto l’attenzione Vi-neis 2011 (1998), p. 76, osservava che né “parti dell’orazione” quanto “parti del discorso” rendono adeguatamente partes orationis: la prima, in quanto il vocabolo latino “non è tradotto, ma imitato materialmente”; la seconda, in quanto è “interpretato falsamente; giacché Oratio in questo caso si-gnificava Proposizione” (Manzoni 1974, pp. 672-673, nt. 1). La testimonianza di Manzoni è impor-tante, perché ci mostra che, con l’Ottocento, la distinzione tra oratio nel senso di ‘discorso’ da un lato, e di ‘proposizione’ (o ‘frase’) dall’altro è ormai assunta con chiarezza. Questa distinzione si rispecchia nel diversificarsi delle traduzioni di lovgo": a volte esso è reso con ‘discorso’, a volte con ‘frase’ o anche con ‘proposizione’; questo termine ricorre quasi esclusivamente nelle lingue, come l’italiano e il francese, in cui esso è considerato, nell’uso comune, sinonimo di ‘frase’, mentre è molto più raro, se non assente, in inglese e in tedesco, dove ha un senso più ristretto e più tecnico (cf. sopra, § 5) 38.

Gli altri due tipi di traducenti, ossia ‘sintagma’ ed ‘enunciato’, hanno una storia un po’ di-versa. Riassumiamo quanto già osservato: ‘sintagma’ compare solo a partire dall’Ottocento, ma la sua diffusione è limitata, con poche eccezioni, alle lingue germaniche; ‘enunciato’, invece, compare (con la sola, curiosa eccezione della traduzione latina di Ritter 1839) solo a partire dal XX secolo. La scelta di questo tipo di traducente ha probabilmente lo scopo di recuperare l’unità del concetto aristotelico di lovgo" mediante un termine opportuno: visto che l’elemento comune ai differenti tipi di lovgoi (definizioni, giudizi semplici, testi) è l’essere una combinazione di parole, termini come phrase o Wortgefüge sono evidentemente adatti allo scopo, senza essere avvertiti come troppo tec-nici. Termini del genere mancano però in italiano e in francese: sintagma e syntagme sono soltanto tecnici, e di attestazione piuttosto recente (solo dal 1919 per l’italiano, cf. De Mauro 2000, s.v., e dal 1916 per il francese, cf. Trésor, s.v.); d’altra parte, gruppo di parole o groupe de mots, oltre ad essere stilisticamente pesanti, sono troppo generici. Più difficile spiegare il perché del tardivo, ma rapido imporsi del tipo ‘enunciato’, la cui distribuzione non è invece coerente con la divisione dei gruppi linguistici, essendo il termine frequente nelle traduzioni francesi e inglesi, ma raro in quelle tedesche ed assente in quelle italiane. Per quel che riguarda l’ambito francofono, si può pensare ad un’influenza diretta degli studi di Benveniste, molti dei quali hanno per oggetto la nozione di énon-cé e il suo rapporto con quella di énonciation (cf. ad es. Benveniste 1966, cap. 20 e 21). L’interesse

38 L’uso di ‘proposizione’ come termine grammaticale, spesso impiegato addirittura come sinonimo di ‘frase’ (si veda-no, ad esempio, le citazioni da Pagliaro 1962 riportate più avanti, § 8), pur essendo esso un termine di origine logica, si può spiegare con l’influenza esercitata dalla Grammaire générale et raisonnée di Port-Royal, che, basando l’analisi del-la categoria grammaticale di frase su quella logica di proposizione, utilizza soltanto il secondo di questi termini (cf. Graffi 2004). La grammatica di Port-Royal influì, com’è ovvio, sulla tradizione grammaticale francese, ma anche su quella italiana, che da quella francese dipendeva largamente; in misura minore (anche se non trascurabile) su quella in-glese e quella tedesca: questo può spiegare la limitata diffusione di ‘proposizione’ in queste ultime due lingue.

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di Benveniste per l’aspetto comunicativo del linguaggio si collegava esplicitamente alla prospettiva pragmatica che si era sviluppata tra Gran Bretagna e Stati Uniti intorno alla metà del XX secolo (cf. Benveniste 1966, cap. 22): e in questa prospettiva pragmatica, spesso ante litteram, probabilmente si collocano i traduttori inglesi che ricorrono a termini del tipo ‘enunciato’. In altre parole, rendendo lovgo" come énoncé, utterance oppure Äusserung si insiste sul suo aspetto di realizzazione linguisti-ca concreta, prescindendo dalla sua forma grammaticale (e in questo modo l’etichetta può applicarsi indifferentemente a tutte le specie di lovgoi ricordati da Aristotele).

8. A conclusione di questo lavoro, domandiamoci dunque quale possa essere il termine più adeguato per rendere lovgo" nel cap. 20 della Poetica aristotelica, ammesso che un tale termine esista: certa-mente, una traduzione mediante la lunga perifrasi proposta sopra (“enunciato continuo di varia lun-ghezza logicamente connesso”) non sarebbe utilizzabile. Data dunque la distanza concettuale che esiste tra il valore del termine aristotelico e i vari traducenti utilizzati nel corso dei secoli, distanza che abbiamo motivato nel paragrafo precedente, la soluzione più adeguata potrebbe anche essere quella di lasciare il termine nell’originale, riservando ad eventuali note esplicative l’illustrazione dei suoi diversi significati39. Questa soluzione sarebbe forse un po’ troppo comoda. In ogni caso, si può provare a compiere una sorta di “valutazione comparativa” delle varie traduzioni considerate: ed è quello che faremo qui.

Osserviamo anzitutto che, dalla rassegna terminologica condotta sopra (§ 5) dobbiamo trarre una provvisoria, ma importante, conclusione: ‘discorso’, ‘frase’, ‘proposizione’, ‘sintagma’, ‘enun-ciato’ non possono essere considerati sinonimi e nessuno di loro può essere considerato esattamente sinonimo di oratio. Questa conclusione contrasta con quanto sostenuto, o almeno implicato, da au-torevoli interpreti come Pagliaro, Morpurgo-Tagliabue o Belardi. Il primo di essi alterna abbastanza liberamente i tre termini ‘frase’, ‘proposizione’, ‘discorso’, e, implicitamente, anche ‘sintagma’, come traducenti di lovgo": ad es., dopo aver reso (Pagliaro 1962, p. 89) lovgo" di 1457a 3 con ‘di-scorso’, a p. 92 dice che “vi sono casi in cui la congiunzione è posta ad introdurre una proposizio-ne” (corsivo mio). Questa incertezza di Pagliaro è rivelata anche dall’ambiguità di un’altra sua af-fermazione (id., pp. 136-137): “il lovgo" […] è frase, proposizione, discorso”: se qui si intende dire che i tre termini italiani sono sinonimi, questa posizione non può essere condivisa; se invece si in-tende che l’area semantica del termine aristotelico corrisponde alla somma di quelle dei tre termini italiani, non si può che essere d’accordo, anche se la ragione di questa differenza va spiegata. Mor-purgo-Tagliabue 1967, pur mostrando una preferenza per ‘frase’ come termine più generico per lo-vgo", lo alterna con ‘discorso’ e ‘proposizione’, che assume dunque nella sua trattazione un valore generico oltre a quello più specifico di traducente di lovgo" ajpofantikov"; inoltre, in un caso alme-no, Morpurgo-Tagliabue 1967, p. 69, assume l’equivalenza di lovgo" con ‘sintagma’. Infine, piutto-sto ambiguo è lo statuto di ‘discorso’, che a volte alterna con ‘frase’ nel suo valore generico, a volte rende, di fatto, levxi". Belardi 1975, p. 179, dal canto suo, afferma che lovgo" può essere reso “con uno di questi sinonimi: discorso, proposizione, frase, enunciato, etc.”. Queste diverse rese non sono invece indifferenti, in quanto il significato di questi termini, come pure dei corrispondenti in altre lingue moderne, non è affatto identico, come si è notato sopra (§ 5). Stabilito dunque che le varie traduzioni moderne di lovgo" non possono essere considerate indifferenti né tanto meno equivalenti, possiamo ora tornare più da vicino al cap. 20 della Poetica e domandarci se sia più opportuno tradurre le varie occorrenze del termine in modo costante, oppure utilizzando lo stesso traducente in 1456b 21 e in 1457a 23-30, ma traducenti diversi in 1456b 38 – 1457a 10, oppure infine traducenti diversi per le occorrenze in ciascuno dei tre passi. In altre parole, sono più adeguate le traduzioni del gruppo A, del gruppo B o del gruppo C? Una prima risposta mi pare chiara: le traduzioni del gruppo C non possono essere considerate adeguate. Aristotele elenca infatti lovgo" all’inizio del capitolo, assieme a tutti gli altri elementi della levxi", e poi procede a de-finirli: lovgo" ha dunque un valore tecnico preciso, che viene perduto rendendolo con termini diver-

39 Per es., notare, con Ax 2000, p. 48, che “lovgo"= Wortgruppe, Satz, Definition, Text, menschliche Sprache”.

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si. Scartate dunque le traduzioni del gruppo C, dobbiamo ora vedere quale degli altri due gruppi di traduzioni rappresenti la scelta più adeguata: le occorrenze di lovgo" nei passi relativi alla congiun-zione e all’articolo (1456b 38 – 1457a 10) alludono ad un’entità che è identica, o almeno dello stes-so genere di quella che viene elencata in 1456b 21 e viene definita in 1457a 23-30, oppure si tratta di entità diverse, almeno dal punto di vista di noi lettori moderni? Prima di azzardare una risposta a questa domanda, torniamo su quale possa essere la resa più appropriata del termine in questione ne-gli ultimi due contesti citati. Anche in questo caso, si può procedere per eliminazione. Anzitutto, tanto ‘frase’ quanto ‘proposizione’ sono traduzioni inadeguate, perché questi termini, nelle lingue moderne, hanno un’estensione troppo ristretta rispetto a lovgo" in Aristotele: le definizioni, da un lato, non sono frasi e tanto meno proposizioni, e dall’altro non si può chiamare in nessuno di questi due modi l’Iliade40. ‘Sintagma’, oltre ad essere praticamente inutilizzabile in italiano e in francese per il suo valore troppo tecnico41, che lo rende quindi inadatto a un testo che, sia pure grammaticale, non è comun-que un trattato di linguistica in senso moderno, non è soddisfacente neppure in inglese (phrase) o in tedesco (Wortgefüge): infatti non rimanda a quello che l’aspetto fondamentale del lovgo" secondo Aristotele, ossia il “significare un’unità” (cf. oltre a Poetica 1457a 28, anche in De Int., cap. 5, 17a 15-16). Inoltre, l’opposizione inglese tra phrase e clause non rende il primo termine molto adatto a rendere il giudizio semplice. ‘Discorso’ presenta la difficoltà inversa: si applica senza troppi pro-blemi a testi come l’Iliade, meno bene ai giudizi semplici, ancora meno alle definizioni42; tuttavia, ha, più o meno come il latino oratio, una connotazione più generica degli altri termini esaminati fi-nora, e risulta dunque un po’ più adeguato. ‘Enunciato’ è forse ancora meno problematico: infatti il termine non indica nessuna struttura linguistica specifica (“a term used […] to refer to a stretch of speech about which no assumptions have been made in terms of linguistic theory”, lo definisce Crystal 1985, cf. sopra, p. 000); quindi animale terrestre bipede, Socrate corre e l’intera Iliade pos-sono essere chiamati enunciati. Tuttavia, anche questa traduzione non soddisfa completamente, in quanto non si può assumere pacificamente che con lovgo" Aristotele intenda “un frammento di di-scorso senza ulteriori assunzioni teoriche”, se non altro per il fatto che un’assunzione teorica esiste, ossia che esso deve “significare un’unità”, “essere logicamente connesso”. In sintesi, ci pare co-munque che ‘discorso’ ed ‘enunciato’ siano più soddisfacenti di ‘frase’, ‘proposizione’ e ‘sintag-ma’. Torniamo ora alla resa di lovgo" nel passo relativo all’articolo e alla congiunzione. Il grado di corruzione di questo passo rende probabilmente disperata l’impresa di chi cerca di asse-gnarvi un’interpretazione coerente, e quindi anche di chi aspira a trovare una traduzione adeguata del termine che ci interessa. Come abbiamo visto nel § 4, la maggior parte delle traduzioni del gruppo B sceglie due traducenti diversi per le due occorrenze di lovgo" in 1457a 3 e 1457a 6; e, tra le traduzioni del gruppo C, solo cinque scelgono un unico traducente. Anche gli studi più accurati testimoniano di difficoltà del genere: si pensi all’oscillazione di Pagliaro tra ‘discorso’ e ‘proposi-zione’ a proposito di 1457a 3 (cf. sopra, p. 000). Ancora, Pagliaro traduce lovgo" in 1457a 6 con ‘di-scorso’ (p. 94), ma poi, richiamando il passo in questione (p. 96), usa ‘frase’. Una simile oscillazio-

40 E questo con buona pace di traduttori illustri, come ad esempio Valgimigli, che afferma, in una nota a 1457a 23-24, che la definizione di uomo è “la proposizione più semplice”, e l’Iliade “la proposizione più complessa”. Una simile cri-tica alla traduzione di Valgimigli, come a quelle identiche, in questo caso, di Rostagni e Albeggiani, è formulata da Scarpat 1950, p. 18, che però dichiara di preferire la resa di lovgo" con ‘frase’, “che è termine più generico e meglio s’adatta, per es., a comprendere anche l’oJrismov", la definizione, mentre sarebbe poco adatto il termine «discorso» e an-che il termine «proposizione»” (ibid.). Rimane però evidente l’inadeguatezza di chiamare ‘frase’ un testo come l’Iliade. 41 ‘Combinazione di parole’ sarebbe altrettanto insoddisfacente: infatti, oltre ad essere molto pesante, avrebbe gli stessi limiti di phrase o Wortgefüge, ossia non rimanderebbe in modo immediato ed intuitivo ad un’unità semantica come quella espressa dal lovgo" nel senso di Aristotele. 42 La difficoltà di rendere lovgo" quando si riferisce a definizioni è ben visibile quando si esaminano traduzioni dell’Organon, in cui questo uso del termine è frequente: così Morpurgo-Tagliabue 1967 usa talvolta ‘sintagma’, talvolta ‘sintagma definitorio’, talvolta ancora ‘proposizione definitoria’; Sainati 1968, ‘espressione definitoria’, ‘definizione’, ‘definizione essenziale’; Colli 1955, il più delle volte, ‘discorso definitorio’.

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ne si ritrova anche in un recente saggio di Swiggers e Wouters, i quali dapprima scrivono che una delle caratteristiche che distinguono il suvndesmo" dall’a[rqron “is the possibility of constituting a phrase (or syntagm) vs. the property of marking off a phrase or a subsyntagm” (Swiggers-Wouters 2002, p. 107; corsivi miei), ma alla pagina seguente, nella traduzione di 1456b 38 – 1457a 10 ricor-rono, per rendere lovgo", a utterance (attenendosi sotto questo aspetto alla traduzione di Janko 1987). Del resto, più avanti (p. 114), gli stessi studiosi, riferendosi alle possibili traduzioni di lovgo", lo descrivono come “a term which can be translated as ‘phrase’, in its more general sense (i.e. stretch consisting of combined meaningful units), but which could also perhaps be understood (and translated) as ‘discursive expression’ or even ‘utterance’”.

La nostra conclusione, dunque, è che ‘discorso’ o ‘enunciato’ siano i termini che rendono nel modo meno inadeguato, rispetto agli altri utilizzati attraverso i secoli, lovgo" come lo intende Aristotele nel cap. 20 della Poetica e negli altri passi della sua opera in cui affronta argomenti che oggi definiremmo “di carattere grammaticale”. Del resto, non è probabilmente un caso che, come si è notato, ‘discorso’ ed ‘enunciato’ prevalgano nelle traduzioni del gruppo A, mentre gli altri tre tipi di termini prevalgono negli altri due gruppi di traduzioni: i traduttori che hanno considerato lovgo" come un termine tecnico si sono preoccupati di renderlo con un equivalente nelle lingue moderne che non fosse palesemente improprio43.

43 A una soluzione in parte analoga a quella qui proposta giunge anche García Yebra 1974, pp. 317-318, nt. 293. Dopo aver osservato che oración, usato ad es. nella traduzione spagnola di Ordoñez, non può essere un termine adeguato per rendere lovgo", in quanto “no se puede pensar que un poema de varios millares de versos constituya «una sola ora-ción»”, così conclude: “creo que, de los términos disponibles, «enunciación» o «enunciado» es el mejor”.

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zig 1887 Susemihl 1874 Aristoteles, Ueber die Dichtkunst, griechisch und deutsch und mit sa-

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