Zêlos in Platone e Aristotele. Sulle variabili emotive della gelosia

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SYMBOLON STUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE Direttore: Francesco Romano UNIVERSITÀ DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELL’UOMO E DEL TERRITORIO LE EMOZIONI SECONDO I FILOSOFI ANTICHI Atti del Convegno Nazionale Siracusa, 10-11 maggio 2007 a cura di Giovanna R. GIARDINA Presentazione di Maria DI PASQUALE BARBANTI CATANIA 2008 CUECM ISBN 978-88-95104-40-9 14,00 (i.i.) SYMBOLON LE EMOZIONI SECONDO I FILOSOFI ANTICHI GIOVANNA R. GIARDINA 34 34

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SYMBOLONSTUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

Direttore: Francesco Romano

UNIVERSITÀ DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELL’UOMO E DEL TERRITORIO

LE EMOZIONI SECONDOI FILOSOFI ANTICHI

Atti del Convegno NazionaleSiracusa, 10-11 maggio 2007

a cura diGiovanna R. GIARDINA

Presentazione diMaria DI PASQUALE BARBANTI

CATANIA 2008 CUECMISBN 978-88-95104-40-9 € 14,00 (i.i.) SY

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SYMBOLONSTUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

Direttore: Francesco Romano

UNIVERSITÀ DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELL’UOMO E DEL TERRITORIO

LE EMOZIONI SECONDOI FILOSOFI ANTICHI

Atti del Convegno NazionaleSiracusa, 10-11 maggio 2007

a cura diGiovanna R. GIARDINA

Presentazione diMaria DI PASQUALE BARBANTI

CATANIA 2008 CUECM

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SYMBOLONSTUDI E TESTI DI FILOSOFIA ANTICA E MEDIEVALE

Direttore: Francesco Romano

UNIVERSITÀ DI CATANIA - DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA CULTURA, DELL’UOMO E DEL TERRITORIO

11. AA.VV., Momenti e Problemi di Storia del Platonismo (1984)12. Luciano Montoneri, I Megarici (1984)13. Francesco Romano, Porfirio e la Fisica Aristotelica (1985)14. R. Loredana Cardullo, Il Linguaggio del Simbolo in Proclo (1985)15. Concetto Martello, Simbolismo e Neoplatonismo in Giovanni Scoto Eriugena (1986)16. Francesco Romano e Antonio Tiné, cur., Questioni Neoplatoniche (1988)17. Francesco Romano, Proclo. Lezioni sul Cratilo di Platone (1989)18. Daniela P. Taormina, Plutarco di Atene. L’Uno, l’Anima, le Forme (1989)19. Thomas Leinkauf, Il Neoplatonismo di Francesco Patrizi (1990)10. Daniela P. Taormina, Il Lessico delle Potenze dell’Anima in Giamblico (1990)11. Concetto Martello, Analogia e Fisica in Giovanni Scoto (1990)12. Eva Di Stefano, Proclo. Elementi di Teologia (1994)13. Maria Di Pasquale Barbanti, Filosofia e Cultura in Sinesio di Cirene (1994)14. R. Loredana Cardullo, Siriano Esegeta di Aristotele, vol. I (1995)15. R. Loredana Cardullo, Siriano Esegeta di Aristotele, vol. II (2000)16. Francesco Romano e R. Loredana Cardullo, cur., Dunamis nel Neoplatonismo (1996)17. Rosario V. Cristaldi, Saggi (Filosofia, Ermeneutica, Iconologia) (1997)18. Concetto Martello, Fisica della creazione. La cosmologia di Clarembaldo di Arras (1998)19. Maria Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma e Phantasia nel Neoplatonismo. Aspetti

psicologici e prospettive religiose (1998)20. Giovanna R. Giardina, Giovanni Filopono matematico. Commentario a Nicomaco (1999)21. Francesco Romano, Domnino di Larissa. La svolta impossibile della filosofia matema-

tica neoplatonica (2000)22. Concetto Martello, Lanfranco contro Berengario nel Liber de corpore et sanguine Domi-

ni (2001)23. Giovanna R. Giardina, I fondamenti della fisica. Analisi critica di Aristotele, Phys. I

(2002)24. Maria Barbanti e Francesco Romano, cur., Il Parmenide di Platone e la sua Tradizione

(2002)25. Maria Di Pasquale Barbanti, Origene di Alessandria tra Platonismo e Sacra Scrittura.

Teologia e Antropologia del De principiis (2003)26. Giovanna R. Giardina, Erone di Alessandria. Le radici filosofico-matematiche della

tecnologia applicata (2003)27. Francesco Romano, L’uno come fondamento. La crisi dell’ontologia classica (2004)28. R. Loredana Cardullo e Giovanna R. Giardina, cur., La Fisica di Aristotele oggi. Pro-

blemi e prospettive (2005)29. Concetto Martello, La dottrina dei teologi. Ragione e dialettica nei secoli XI-XII (2005)30. Giovanna R. Giardina, I fondamenti della causalità naturale. Analisi critica di Aristo-

tele, Phys. II (2006)31. Eva Di Stefano, Antropologia ed etica negli Scritti a se stesso di Marco Aurelio (2006)32. Maria Di Pasquale Barbanti e Concetto Martello, cur., Neoplatonismo pagano vs Neo-

platonismo cristiano. Identità e intersezioni (2006)33. Valerio Napoli, ∆Epevkeina tou' eJnov~. Il principio totalmente ineffabile tra dialettica ed

esegesi in Damascio (2008)34. Giovanna R. Giardina, cur., Le emozioni secondo i filosofi antichi (2008)

In copertina: Gustav Klimt, Il bacio (1908 - Galleria Austriaca, Vienna).

Nel frontespizio: Ecate raffigurata in un amuleto (da C. Bonner, Studies inMagical Amulets, Michigan Univ. 1950).

Department of Sciences of Culture, Man and TerritoryUniversity of Catania

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Tutti i diritti di riproduzione sono riservati. Sono pertanto vietate la conser-vazione in sistemi reperimento dati e la riproduzione o la trasmissione, an-che parziali, in qualsiasi forma e mezzo (elettronico, meccanico, incluse fo-tocopie e registrazioni) senza il previo consenso scritto dell’editore.

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INDICE

Presentazione (Maria Di Pasquale Barbanti) p. 7

Prefazione (Giovanna R. Giardina) » 13

La verità platonica tra logica e pathos (Giovanni Ca-sertano) » 19

Platone, Martha Nussbaum, e le passioni (Franco Tra-battoni) » 39

Platone a teatro. Tra ermeneutica e spettacolo, tra formazione e puro piacere (Maurizio Migliori) » 63

Zêlos in Platone e in Aristotele. Sulle variabili emoti-ve della gelosia (Giovanna R. Giardina) » 97

Aristotele e le passioni del cittadino (Silvia Gastaldi) » 117

Moderatismo etico e controllo delle passioni in Plu-tarco (Franco Ferrari) » 135

Il carattere ossimorico delle emozioni d’amore in Plotino, ENN. I 6 (1) 4, 15-17 (Daniele Iozzia) » 163

ZÊLOS IN PLATONE E IN ARISTOTELE.SULLE VARIABILI EMOTIVE DELLA GELOSIA

Giovanna R. Giardina*

1. Premessa

Prima di indagare su che cosa Platone e Aristotele pensasserodi un’emozione quale la gelosia, ritengo opportuno, se non neces-sario, fare una premessa attinente alle ragioni dell’iniziativa che civede oggi qui riuniti per dar vita a questo Colloquio sulle emozio-ni nel pensiero classico, anche allo scopo di inquadrare la nostraindagine sulla cultura classica non solo in uno dei suoi aspetti piùspecifici, ma anche nel suo ruolo di matrice della cultura occiden-tale. L’analisi degli stati emozionali propri di una civiltà per noilontana come quella greca richiede, infatti, da parte nostra unabuona dose di autocoscienza, non foss’altro perché potremmo in-gannarci pensando di poter valutare gli stati emozionali dei nostrilontani predecessori alla luce di ciò che in questo campo noi con-sideriamo oggi come naturale e perciò universale. E se questo valein generale per qualsiasi tipo di emozione, a maggior ragione sem-brerebbe valere nel caso della gelosia, dal momento che la scienzamoderna ritiene che tale emozione abbia una base istintiva o or-ganica. La moderna psicologia delle emozioni insiste, per esem-pio, su concetti quale quello di gelosia atavica: una delle teoriepiù autorevoli studia oggi la gelosia alla stregua di un istinto atavi-co, cioè di un’emozione nata insieme con l’uomo primitivo e chenoi erediteremmo dai nostri predecessori. La convinzione secon-do cui la gelosia è di natura ereditaria è alla base, del resto, dimolti studi sulla gelosia infantile, perché, se si esclude che la gelo-sia sia ereditaria, si dovrà supporre che milioni di bambini in tut-to il mondo sviluppino ogni giorno in maniera originaria una taleemozione: il che ci indurrebbe comunque a ritenere che si tratti

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* Università di Catania.

di uno stato affettivo proprio della natura umana, a prescinderedalla collocazione geografica e temporale degli individui. La gelo-sia, quindi, secondo una parte della scienza moderna non solo sa-rebbe insita nella natura umana nel senso che rappresenterebbel’emozione più fondamentale e diffusa che pervade tutti i rapportiumani,1 ma avrebbe, nonostante il riconoscimento dei suoi condi-zionamenti socio-culturali, un fondamento biologico legato all’an-cestrale interesse riproduttivo di entrambi i sessi.

Nella società moderna, chi è geloso è ritenuto degno di com-prensione ed entro certi limiti persino degno di approvazione,nella misura in cui la gelosia è ritenuta essere un’affezione propriadi chi nutre affetti legittimi, primo fra tutti l’amore. Chi ama nonpuò non essere geloso secondo l’opinione comune tant’è veroche, ad esempio, un coniuge tradito ma non geloso sarebbe giudi-cato privo di affetto nei confronti del partner. Persino la giuri-sprudenza tende a comprendere e giustificare la gelosia attenuan-do il peso delle punizioni che si attribuiscono ai suoi delitti. Tuttociò rende immediatamente chiaro che la gelosia nella società mo-derna è eminentemente un’emozione legata alla sfera amorosa,tanto che la letteratura psicologica utilizza un’espressione specifi-ca, cioè “gelosia romantica”,2 in riferimento alla gelosia per una

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1 Secondo gli psicologi evoluzionisti, la gelosia si sarebbe sviluppata inAfrica circa un milione di anni fa negli individui maschi a causa del timore di al-levare figli illegittimi e negli individui femmine a causa del timore di rimaneresenza cibo e protezione per sé e per la prole, vd. W. Pasini, Gelosia, Milano2003. Secondo gli etologi le stesse motivazioni provocherebbero comportamentidi gelosia in molte specie animali, cf. J. Alcock, Etologia. Un approccio evolutivo.Bologna 2001 (trad. it. di Animal Behavior. An Evolutionary Approach, Sunder-land 1998); P. van Sommers, La Gelosia, Bari 1993. Darwin in L’espressione del-le emozioni nell’uomo e negli animali individua alla base della gelosia una ragio-ne evoluzionistica: essa sarebbe una difesa della coppia atta ad aumentare le pro-babilità che i componenti della coppia stiano insieme e quindi si riproducano edallevino i figli fino alla maturità, così da conservare i propri geni. Il fatto che lagelosia compaia anche tra gli animali (soprattutto nei gatti) è considerato daDarwin come la prova che la gelosia è un’emozione innata.

2 Vd. ad es. P. Mullen, A phenomenology of jealousy, «Australian and NewZeland Journal of Psychiatry», 24 (1990), pp. 17-28, e A.M. Pines, Romantic Jea-lousy, New York 1998.

persona di cui temiamo di perdere l’affetto o l’amore esclusivo.Tuttavia proprio questo concetto di gelosia a noi così familiare ri-sulta del tutto secondario, come cercherò di mostrare, nella Gre-cia classica, mentre risulta abbastanza determinata la differenzafra la gelosia e l’emozione ad essa più prossima, l’invidia, con cuiinvece la gelosia tende a confondersi in età moderna.

In questa comunicazione mi prefiggo quindi lo scopo di di-scutere tre aspetti del problema attraverso la lettura di alcuni pas-saggi tratti da Platone e Aristotele: 1) chiarire in che modo e per-ché la gelosia appartenga ai pavqh, termine con cui comunementesi indicano le “affezioni” o “emozioni” o “passioni”; 2) mostrarele relazioni di somiglianza e differenza fra gelosia e invidia; 3) mo-strare il ruolo marginale del concetto di “gelosia romantica” nellafilosofia greca classica.

2. La gelosia appartiene ai pavqh

Il termine italiano gelosia – così come i corrispettivi termininelle altre lingue moderne ( jealousy in inglese, jalousie in france-se, celos in spagnolo) – non ha, in ragione di quanto ho detto nel-la premessa a proposito del significato moderno che si attribuiscea questo tipo di emozione, un vero corrispettivo nella lingua gre-ca. “Geloso” deriva dall’uso che si fece nel latino tardo e soprat-tutto cristiano dei termini che appartengono all’area semanticadel verbo zelo (anche nella forma deponente zelor), che significasì “essere geloso” o “invidioso”, ma anche “ardere di zelo”, usatoad esempio nella Vulgata in espressioni quali zelare zelum Dominio zelo zelari pro Domino. Il termine greco che dovrebbe indicarela gelosia è zh`lo~, che indica emulazione, invidia, rivalità. Ovvia-mente questo crea subito una difficoltà, dal momento che noi nonpossiamo tradurre tout court con il nostro termine moderno “ge-losia” il termine greco che ha sì questo significato, ma in un sensoche non corrisponde pienamente a quello che noi gli attribuiamonel nostro lessico moderno, per cui rischieremmo di condurre dasubito l’analisi in modo preconcetto. È tuttavia su questo termine,

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e più in generale sui termini che appartengono all’area semanticadel verbo zhlovw, che è obbligata a svolgersi l’analisi della gelosianella filosofia classica, per cui di volta in volta cercherò di utilizza-re la terminologia più adatta al contesto analizzato. Definito que-sto, il primo problema da affrontare, come avevo già detto, è quel-lo di chiarire in che modo zh`lo~ appartenga ai pavqh e che cosasiano questi ultimi nella filosofia classica. Il modo più semplice diprocedere è quello di ricorrere ad Aristotele, che ha codificato inmodo tecnico questo problema teorico.

In Cat. 8, 8b25 ss. Aristotele si occupa della categoria dellaqualità, poiovth~. Si tratta di un concetto che ha molti significatisecondo Aristotele: il primo significato è quello di possesso (ocondizione o stato: il termine e{xi~ non è facilmente traducibile inlingua moderna e perciò si è soliti fare ricorso al latino habitus) edi disposizione, e{xi~ kai; diavqesi~, cioè di condizione stabile e du-ratura nel primo caso, come quella di essere scienziato o virtuoso,e instabile e non duratura nel secondo caso, come quella di essereinfreddolito; il secondo significato è quello di capacità naturale acompiere una certa azione, duvnami~, come accade nel caso di chisia adatto alla corsa o alla lotta; il terzo significato è quello di qua-lità affettive e di affezioni, paqhtikai; poiovthte~ kai; pavqh,3 chesono fra loro interdipendenti, perché ci sono qualità affettive cheproducono affezioni – ad esempio se mangio del miele, la suaqualità affettiva, che è la dolcezza, produce in me un’affezione se-condo il gusto – e affezioni che producono qualità affettive – adesempio se mi vergogno arrossisco e se provo paura impallidiscoed i colori sono appunto qualità affettive. Aristotele chiarisce poiche occorre distinguere le affezioni (pavqh) temporanee da quellestabili, perché solo queste ultime sono considerate qualità: la qua-lità è infatti ciò in base a cui si qualifica qualcuno o qualcosa enon è possibile, ad esempio, qualificare rubicondo chi è arrossitoperché si è vergognato. Lo stesso vale per le qualità affettive e le

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3 Anche in EN II 4, 1105b21 ss. Aristotele, con un discorso semplificato,distingue le affezioni, pavqh, a cui fanno seguito piacere e dolore, le facoltà per lequali siamo detti capaci di percepire le affezioni, dunavmei~, e le disposizioni sullabase delle quali ci comportiamo bene o male in rapporto alle affezioni, e{xei~.

affezioni relative all’anima (kata; th;n yuch;n paqhtikai; poiovthte~kai; pavqh), perché si dicono qualità solo le affezioni stabili, che sicostituiscono alla nascita: così è iracondo chi ha una stabile ten-denza all’ira e non, ad esempio, chi sia irascibile in un particolaremomento perché è addolorato. L’analisi aristotelica sulla qualitàcontinua poi con il quarto significato, quello cioè di figura o for-ma, e della denominazione paronima di ciò che viene qualificato,ma tralascio questa parte del discorso aristotelico che non è utileai fini della presente indagine. Ciò che invece interessa è che quiAristotele distingue affezioni durature o permanenti dell’animaquali la pazzia o l’iracondia, di cui molto difficilmente il soggettosi libera oppure che sono addirittura assolutamente non modifica-bili (dusapavllaktoi h] kai; o{lw~ ajkivnhtoi – Cat. 8, 10a4), da affe-zioni che invece alterano lo stato psichico solo temporaneamente:occorrerebbe infatti stabilire, al di là del differente significato chequesta emozione ha acquistato in epoca moderna, se zh`lo~ siaun’emozione nel senso di uno stato affettivo momentaneo, ovve-rosia un temporaneo disturbo dell’equilibrio psichico, oppure siauna disposizione stabile, come sembrerebbe dedursi dalle ipotesimoderne di origine organica della gelosia nonché dalla sua formapatologica nota come Sindrome di Otello.4 A questo proposito, pe-rò, nulla possiamo ricavare da Aristotele, che non adopera mai iltermine zh`lo~ fra gli esempi di pavqh che fornisce nelle Categorie.

Ma a proposito del rapporto tra gelosia e affezione, è oppor-tuno richiamarsi al capitolo 21 di Meta. D, che è il libro che noto-

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4 Ciò che qui stiamo tenendo in considerazione è infatti solo la gelosia cheFreud chiama competitiva o normale, cioè quello stato psichico composto dadolore, afflizione, provocato dalla convinzione di aver perduto l’oggetto amato,da sentimenti ostili verso il rivale, da una dose più o meno grande di autocriticache tende ad attribuire al proprio Io la responsabilità della perdita e dalla feritanarcisistica. Freud distingue da questa forma di gelosia altri due tipi: la gelosiaproiettata, che deriva dalla proiezione sul partner delle proprie infedeltà o delleproprie spinte all’infedeltà, e la gelosia delirante, che deriva da tendenze all’infe-deltà di tipo omosessuale che sono state rimosse; vd. S. Freud, Some neuroticmechanisms in jealousy, in J. Strachey & A. Freud curr., The Standard Edition ofthe Complete Psycological Works of Sigmund Freud, London 1955, vol. 18, pp.221-232.

riamente riassume il lessico filosofico aristotelico, dove Aristoteleelenca brevemente i diversi significati che egli attribuisce al termi-ne pavqo~: il primo modo in cui si dice l’affezione – osserva Aristo-tele – è quello della qualità secondo cui è possibile l’alterazione(pavqo~ levgetai e{na me;n trovpon poiovth~ kaq∆ h}n ajlloiou`sqai ejndev-cetai), come ad esempio il bianco e il nero o il dolce e l’amaro;un secondo modo in cui si dice l’affezione è invece l’alterazionegià in atto; si dicono però affezioni – continua Aristotele – soprat-tutto le alterazioni dannose e che producono dolore. Questi signi-ficati di pavqo~, che sono tutti relativi all’alterazione, riconduconoil termine all’interno della dinamica del divenire, e in particolareall’interno della dinamica del mutamento qualitativo di cui Ari-stotele si occupa in più luoghi della Fisica e della Metafisica, alloscopo di mostrare come l’affezione sia una determinazione quali-tativa di un sostrato materiale che si realizza tramite l’affezionestessa che lo altera. Si tratta di una trasposizione in una precisacodificazione aristotelica di una riflessione che aveva fatto già Pla-tone, dal momento che pavqo~ in senso platonico è da un lato unfenomeno o un processo che appartiene al divenire in rapporto auna certa alterazione (vd. Rp. II 381a), ma dall’altro lato ancheuna condizione corporea legata a una sensazione derivante dalcontatto con oggetti esterni (vd. Tht. 186c). Anche in Tim. 61css., dopo avere spiegato come si generino e si alterino i corpi sullabase dell’aggregazione e della disgregazione dei solidi elementariche corrispondono ai quattro elementi, Platone indaga i processipercettivi, cioè appunto le affezioni, che il corpo subisce a contat-to con altri corpi.5 Ma, tornando ad Aristotele, se pavqo~ è un con-tenitore quanto mai ampio e articolato, che si specifica nelle suediverse funzioni a seconda dell’ambito scientifico in cui trova ap-plicazione e che trova un vasto campo di utilizzazione in sede fisi-ca, al contrario le emozioni su cui verte la nostra analisi sono in-dagate da Aristotele prevalentemente in ambito retorico e per unmotivo essenziale, che è quello della dimensione socio-politica

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5 Si vd. L. Brisson, Le même et l’autre dans la structure ontologique du Ti-mée de Platon, Sankt Augustin 1994, pp. 440-448.

che funge significativamente da base alla trattazione aristotelicadelle emozioni. Le quattordici emozioni esaminate da Aristotelein Rh. II 2-11, e cioè, nell’ordine, ira (ojrghv), mitezza (praovth~),amicizia (filiva), odio (mi`so~), paura (fovbo~), ardimento (qav-rso~), vergogna (aijscuvnh), impudenza (ajnaiscuntiva), benevolen-za (cavri~), pietà (e[leo~) indignazione (to; nemesa`n), invidia (fqov-no~), gelosia (zh`lo~) e disprezzo (katafrovnhsi~), appaiono, comescrive eloquentemente S. Gastaldi, «strettamente connesse all’in-terazione sociale, con l’esclusione, pertanto, dei pathe infrasogget-tivi e duali».6 È proprio la dimensione socio-politica, sottesa al-l’interesse aristotelico di fronte alle emozioni, che fa sì che essenon abbiano terreno specifico di indagine nei trattati aristotelicidi scienze naturali, mentre sono fatte oggetto di analisi negli scrit-ti di etica, di retorica e di politica. In particolare, poi, zh`lo~ èun’emozione che Aristotele tratta quasi esclusivamente nella Reto-rica, un trattato che ha lo scopo di mettere in evidenza proprioquelle emozioni la cui conoscenza è utile all’articolazione di undiscorso efficace nelle sedi istituzionali della città, e che quindi hacome meta finale dei destinatari ben determinati, ossia i cittadinidella povli~. Lo stesso discorso vale anche per Platone: zh`lo~ e itermini che appartengono alla medesima area semantica compaio-no più frequentemente nel Gorgia e nella Repubblica, cioè in con-testi in cui la dimensione socio-politica è la materia stessa dei dia-loghi e in cui i discorsi particolari si incuneano in una precisastruttura della povli~ e in precisi meccanismi psichici che riguar-dano la relazione fra soggetti politici.

3. Gelosia e invidia

Dico subito che nella filosofia classica, intendo nella filosofiaplatonica e aristotelica, la gelosia e l’invidia appaiono come emo-zioni distinte, vedremo fino a che punto e in che senso, non tanto

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6 S. Gastaldi, Aristotele e la politica delle passioni. Retorica, psicologia ed eti-ca dei comportamenti emozionali, Torino 1990, p. 16.

per il fatto che sono espresse mediante due termini diversi, rispet-tivamente zh`lo~ e fqovno~, quanto piuttosto perché si riferiscono anozioni diverse, e quindi anche a contesti teorici diversi. Anche sela gelosia può sembrare talora che si confonda con l’invidia, in re-altà ad un attento esame si scopre che sia Platone che Aristoteletengono ben distinte queste due emozioni.7 L’uso del linguaggiocomune fa correre il rischio, talvolta, di appiattire la nozione digelosia su quella di invidia (mentre non accade comunque il con-trario), come se la gelosia fosse una sorta di invidia buona o posi-tiva. Questo rischio di non differenziare le due emozioni nel di-scorso non tecnico sarebbe favorito dal significato principale chezh`lo~ ha all’interno della riflessione filosofica classica, ossia il si-gnificato di “ammirazione” o “emulazione”, che è un significatodi matrice chiaramente socio-politica e non individualistica o, co-me si direbbe oggi, romantica. Tuttavia l’analisi che io farò dellanozione di zh`lo~ renderà piuttosto evidente come l’essenziale dif-ferenziazione fra queste due emozioni dipenda dalla condizionedel geloso di desiderare un possesso, desiderio che gioca un ruolodeterminante nel caso sia della dimensione socio-politica che diquella romantica.

Nel Gorgia platonico, in un contesto nel quale prende in esa-me la retorica come quell’arte che, secondo Socrate, non aiutal’uomo ad avere ciò che egli per natura desidera, ma solo ad avereciò che gli pare, Platone, a partire da 468e, utilizza il concetto di

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7 Che Aristotele distingua le due nozioni è chiaro da quanto egli dice neicapp. 10 e 11 di Rh. II, dedicati rispettivamente all’invidia e alla gelosia. Perquanto concerne Platone, c’è da dire che, ad esempio, in Smp. 213d2 Alcibiade èdetto da Socrate geloso e invidioso («non mi è più consentito – dice Socrate adAgatone – né di guardare né di dialogare con un <giovane> che sia bello, nep-pure con uno solo, se no costui [scil. Alcibiade], preso da gelosia nei miei con-fronti e da invidia [zhlotupw`n me kai; fqonw`n], si mette a fare cose da pazzi»),evidentemente perché da un lato teme di perdere il possesso dell’amato e dall’al-tro lato desidera la rovina del rivale; anche in Mnx. 242a4 si legge che fra gli uo-mini nacque prima la gelosia e poi dalla gelosia l’invidia (prw`ton me;n zh`lo~, ajpo;zhvlou de; fqovno~), come dire che dapprima gli uomini, ammirando lo stato mate-riale o morale degli altri, cercarono di emularsi a vicenda e poi passarono a desi-derare la rovina l’uno dell’altro.

zh`lo~ attraverso il verbo zhlovw. Polo si meraviglia della posizionedi Socrate, che non preferirebbe poter fare nella città ciò che glipare e non prova gelosia (oujde; zhloi`~, 468e8) per chi uccide oconfisca i beni o arresta a suo piacimento. Che agisca giustamenteo ingiustamente, chi fa nella città ciò che gli pare è per Polo og-getto di gelosia (zhlotovn, 469a1), ma Socrate contraddice il giova-ne: non bisogna essere gelosi di coloro che non meritano di essereoggetto di gelosia (tou;~ ajzhlwvtou~ zhlou`n, 469a1) e neppure de-gli sventurati (tou;~ ajqlivou~, 469a5), perché anzi occorre avernepietà (ejleei`n, 469a5). Qui Platone indica il contrario del provaregelosia con il provare pietà, ejleei'n, e indica la condizione di chi èmeritevole di pietà con l’aggettivo a[qlio~, sventurato, infelice. Ildiscorso socratico continua poi negli stessi termini, anche se condelle precisazioni: Polo chiede se chi uccide giustamente sia unosventurato e degno di pietà (a[qlio~ dokei' soi ei\nai kai; ejleinov~,469a10), ma Socrate distingue chi uccide giustamente, che non èuno sventurato e quindi degno di pietà, da chi uccide ingiusta-mente che invece lo è: in entrambi i casi si tratta, però, di un indi-viduo che non è nella condizione di essere oggetto di gelosia (ouj-de; mevntoi zhlwtov~, 469a11; ajzhvloton, 469b2). Un poco più avan-ti, Polo sostiene che chi è oggetto di gelosia è anche consideratofelice dai cittadini e dagli stranieri (zhlwto;~ w]n kai; eujdaimonizovme-no~ uJpo; tw`n politw`n kai; tw`n a[llwn xevnwn, 473c7-8). Alla li. 486c8ss., infine, Callicle, dopo aver consigliato a Socrate di abbandona-re la filosofia per la vita pratica, gli suggerisce di emulare (zhlw`n)gli uomini che possiedono ricchezza, fama e molti altri beni.

In tutti questi passaggi nelle traduzioni correnti si legge “invi-dia” e non “gelosia”, ma l’emozione in gioco qui è chiaramentequella che comporta il desiderio di possedere ciò che un altro hao di fare ciò che un altro fa, che è propriamente la gelosia e nonl’invidia. La differenza è infatti chiarita esplicitamente da Aristot.Rh. II 10 e 11, in cui l’invidia è una forma di dolore che l’animaprova nel vedere la buona fortuna di persone di pari condizionevolta non al desiderio di acquisire i loro stessi beni, bensì al desi-derio che chi li possiede li perda e cada in disgrazia. La gelosia, alcontrario, è quella forma di dolore che l’anima prova nel consta-

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tare che persone simili a noi per natura e capacità hanno beni chevorremmo e potremmo avere anche noi. La gelosia è quindi con-siderata da Aristotele un’emozione onesta,8 al contrario dell’invi-dia, perché mentre il geloso è colui che tenta di ottenere per sestesso ciò che ammira negli altri, l’invidioso è invece colui chevorrebbe che gli altri perdessero i beni che hanno e desideraquindi il loro male. La condizione di Socrate nel Gorgia platonicoè chiaramente quella di un uomo che non prova gelosia non quel-la di un uomo che non prova invidia, perché il problema non èche Socrate dovrebbe desiderare la rovina di un rivale, ma chedovrebbe desiderare di poter fare ciò che gli pare. Si delineanoinoltre, nei passaggi esaminati, delle emozioni opposte, in quantochi merita di essere oggetto di gelosia è anche felice, perché è lasua condizione di felicità a rendere gli altri gelosi, e si contrappo-ne all’opposta condizione di chi merita di essere oggetto di pietà,perché è uno sventurato o infelice.

La pietà come condizione opposta a quella di chi merita gelo-sia ritorna in Phdr. 233b5-6, dove si legge che verso gli innamoraticonviene provare pietà piuttosto che gelosia (w{ste polu; ma'llonejleei'n toi'~ ejrwmevnoi~ h] zhlou`n aujtou;~ proshvkei), nel senso evi-dente che quella degli innamorati non è una condizione felice, checonviene desiderare per se stessi. La pietà non è invece opposta allagelosia in Aristotele: in Rh. II 8, ad esempio, la pietà, e[leo~, è defi-nita come una forma di sofferenza che si prova di fronte a un malerovinoso e doloroso che si abbatte su una persona che non lo meri-ta (vd. 1385b13-14). Alla pietà si oppone, come Aristotele chiariscein Rh. II 9, l’indignazione o sdegno (nemesa`n), che è uno statoemozionale doloroso che si prova di fronte a fortune possedute im-meritatamente. Ciò che spinge Aristotele ad associare come con-trapposte queste due emozioni è il comune denominatore del nonaver meritato, la rovina nel caso della pietà e la fortuna nel caso

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8 Anche Isocrate associa al termine zh`lo~ un significato positivo, conside-randolo alla stessa stregua di nozioni quali ammirare, desiderare, imitare eccete-ra, cf. S. Saïd, Envy and Emulation in Isocrates, in D. Konstan & N.K. Ruttereds., Envy, Spite, and Jealousy: The Rivalrous Emotions in Ancient Greece, Edin-burgh 2003, pp. 217-234.

dell’indignazione, ma subito dopo egli osserva giustamente che l’in-vidia (fqovno~) potrebbe sembrare l’emozione opposta alla pietà inquanto somiglia all’indignazione, perché diretta contro la fortunadi qualcuno, ma non contro la fortuna di una persona indegna,bensì contro quella di una persona di pari condizione. Forse noiavremmo potuto pensare all’invidia come opposta alla pietà nellamisura in cui questa è sofferenza e quella piacere dei mali altrui, main realtà sia in Platone9 che in Aristotele10 l’invidia è consideratasotto il profilo di uno stato emozionale doloroso. In ogni caso è daescludere che in Aristotele la gelosia sia opposta alla pietà. In Rh. II10, inoltre, all’interno del suo ragionamento sull’invidia, Aristoteleprecisa che gli uomini invidiano anche coloro con cui sono in com-petizione: la competizione è in effetti una forma di emulazione, mail termine greco utilizzato da Aristotele è eloquentemente trattodalla coniugazione di filotimevomai, che indica l’ambizione, la bra-mosia del volere raggiungere lo stato detenuto da un altro, e quindisi colloca sempre su un piano di connotazione morale negativa.

L’emozione opposta alla gelosia, dal momento che quest’ulti-ma è chiaramente connotata più in Aristotele che in Platone come

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9 In Phlb. 47e ss., ad esempio, Platone indaga la mescolanza di piacere edolore che appartiene alla sola anima in quanto tale e non all’anima che è in di-scordanza con il corpo. Se si legge a 48b anche che l’invidioso prova gioia deimali del prossimo, tuttavia l’invidia è sostanzialmente considerata un dolore del-l’anima (48c). A 50a si legge che se noi ridiamo dei nostri amici che per ignoran-za siano presuntuosi (ritenendosi più ricchi o più belli e prestanti fisicamente opiù virtuosi di quanto non siano) e che, ritenuti deboli dagli altri e da noi stessirisultino ridicoli, nel ridere godiamo. Ma provare piacere per il male degli amici(il fatto qui che essi si rendano ridicoli) è l’invidia, che è stata definita prima undolore dell’anima, per cui nel ridere degli amici ridicoli si mescolerà piacere edolore in quanto mescoliamo il piacere con l’invidia. Il discorso platonico è amio avviso incoerente, perché Platone considera contemporaneamente l’invidiaun piacere e un dolore, in quanto la definisce dolore dell’anima ma al contempodice che l’invidioso gode dei mali del prossimo. Se è entrambe le cose l’invidia ègià di per sé mescolanza di piacere e dolore?!

10 Nel dare inizio all’analisi delle singole emozioni, in Rh. II 1, 1378a19-20,Aristotele prima precisa che i pavqh sono accompagnati da dolore e da piacere,luvph kai; hJdonhv, e poi specifica di volta in volta quali siano gli stati emozionalidolorosi.

“emulazione” in senso positivo, è invece per Aristotele il disprez-zo, la katafrovnhsi~. Zh`lo~ è, infatti, sì la sofferenza che provachi si accorge che altri hanno dei beni che egli tiene in grandeconsiderazione, ma solo perché il geloso ritiene di avere le carat-teristiche per possedere egli stesso quei beni, quali possono esseread esempio le virtù, e tende a emulare quelli di cui è geloso, al finedi raggiungere il suo scopo, che non è quello di recare danno, co-me nel caso dell’invidioso, bensì quello di raggiungere anch’egliuno stato che ritiene di meritare. A ben guardare però, nel lin-guaggio di noi moderni l’emulazione è qualcosa di pratico, perchéesprime piuttosto l’impegno a imitare per eguagliare o superaregli altri ed è, per così dire, la conseguenza attiva dell’emozione chesi prova, tant’è vero che nel linguaggio comune si parla piuttostodi “spirito d’emulazione” quando si vuole significare l’affezionecome tale, e di “emulazione” tout court quando si vogliono indica-re le attività compiute da chi imita nei confronti di chi viene imita-to. Ciò che funge da bussola nel considerare la gelosia, quindi, sianei testi di Platone che in quelli di Aristotele, al di là delle singolescelte di traduzione, è allora essenzialmente il concetto di doloreche proviamo nel constatare di non possedere dei beni che ritenia-mo di meritare e che invece possiedono quelli di cui siamo gelosi.La gelosia, in altri termini, riguarda il mancato possesso e quindi ildesiderio di possedere qualcosa che altri possiedono: gli esempi inquesto senso sono molti. In Smp. 197d6, ad esempio, Eros è zhlw-to;~ ajmoivroi~, kthto;~ eujmoivroi~, ovverosia oggetto di gelosia percoloro che non hanno fortuna e che quindi desiderano posseder-lo, mentre è posseduto da coloro che hanno fortuna: qui il deside-rio di possesso tipico del geloso spiega un passaggio che nonavrebbe senso se lo si volesse spiegare con il semplice concetto diemulazione. La gelosia implica, in ultima istanza, il desiderio dipossedere ciò per cui si prova gelosia. In Rp. VII 516c-d, al con-trario, colui che è uscito fuori dalla caverna non sarà certamentegeloso della condizione di coloro che sono rimasti all’interno diessa (zhlou`n, 516d3), cioè non vorrà possedere quella condizione.

Che l’emozione opposta alla gelosia sia, secondo Aristotele, ildisprezzo, katafrovnhsi~, appare chiaro dal significato di emula-

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zione, ammirazione, che è presente già massicciamente in Plato-ne. In Smp. 209d si parla, ad esempio, di ammirazione dei poeti;in Prt. 325e i maestri fanno leggere ai fanciulli le opere dei grandipoeti perché ammirino le virtù degli antichi uomini e li imitinoper desiderio di diventare essi stessi virtuosi; e ancora in Prt. 343apersonaggi quali Talete, Pittaco, Solone e altri sono detti ammira-tori, amanti e discepoli dell’educazione spartana (zhlwtai; kai;ejrastai; kai; maqhtaiv, 343a5-6); in Ion 530b5, 530c1 e 6, zh`lo~ èammirazione dei poeti; e ancora in Rp. VIII 553a9 l’ammirazionespinge i figli a imitare i padri. Se si prova spirito di emulazioneverso coloro che ammiriamo, perché hanno una condizione mate-riale o spirituale che è desiderabile, evidentemente disprezzeremocoloro che si trovano in una condizione materiale o spirituale cheè opposta alla prima e si avrà dunque disprezzo per tutte quellepersone e quelle condizioni che presentano i mali opposti ai beniche suscitano ammirazione e spirito di emulazione. Ma ciò chepuò interessare di più è che in tutti questi passaggi zh`lo~, che siatradotto come gelosia o ammirazione o emulazione, è sempre, difatto, un desiderio di possesso. Questo elemento ci rimanda dallasfera socio-politica, che abbiamo vista fin qui, alla sfera individua-le, e cioè, mutuando l’espressione dagli studi moderni, alla gelosiaromantica.

4. La “gelosia romantica” in Platone e Aristotele

Il desiderio di possesso di cui abbiamo fin qui discusso rendedifficile alla psicologia moderna distinguere la gelosia dall’invidiae anzi, poiché la gelosia oggi è concepita prevalentemente in ter-mini romantici, al di fuori del rapporto fra innamorati la gelosia èpercepita quasi sempre come invidia. Le differenze fra gelosia ro-mantica e invidia sono più facilmente percepibili rispetto alla si-tuazione in cui entrambe le emozioni coinvolgono l’ambito pro-fessionale, sociale, politico: non solo, infatti, la gelosia romanticaè una relazione fra tre persone, mentre nell’invidia il rivale è di-rettamente l’invidiato, ma, soprattutto dal punto di vista del pos-

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sesso, la gelosia romantica sarebbe per i moderni l’emozione rela-tiva a qualcosa o a qualcuno che crediamo di possedere e non vo-gliamo perdere, laddove l’invidia sarebbe l’emozione relativa aqualcosa o a qualcuno che vorremmo avere e non abbiamo. Ciònon toglie, tuttavia, che la gelosia romantica sia un equivalentedella gelosia detta materiale: ciò che cambia è solo l’oggetto, che èl’amato nel primo caso e una cosa o un’attività nel secondo.11 Seb-bene, quindi, la distinzione fra gelosia e invidia sia frequente nellaletteratura psicologica, gli studi moderni hanno mostrato comenel linguaggio comune le due emozioni siano percepite come in-tercambiabili, nel senso che ad entrambe viene associato lo stessotipo di sentimenti.12 La confusione fra gelosia ed invidia, del re-sto, sembra avere radici anche nel mondo greco, più precisamentenel linguaggio comune degli antichi greci, soprattutto di epocaposteriore a Platone e ad Aristotele, quando cioè si vanno pro-gressivamente diversificando i termini che ruotano intorno al-l’area semantica di zhlovw. Per fare qualche esempio, gli Stoici di-stinguono zh`lo~ da zhlotupiva,13 dando di quest’ultimo termineuna definizione che è molto vicina a quella che abbiamo visto aproposito di invidia.14 In tale distinzione che contribuisce a con-fondere le due nozioni, sembra che gli Stoici siano seguiti da granparte della letteratura antica: mi riferisco a scrittori quali Eschine,

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11 “Gelosia materiale” riguarda non persone ma cose o attività, verso cui simostrano sentimenti di apprensione accompagnati da ansia e desiderio di esclu-sività. Vd. V. D’Urso, Otello e la mela, Roma 1995, nonché il più recente V.D’Urso e R. Trentin, Introduzione alla psicologia delle emozioni, Bari 2001; P.Salovey e J. Rodin, The Differentiation of Social-Comparison Jealousy and Ro-mantic Jealousy, «Journal of Personality and Social Psychology», 50/6 (1986),pp. 1100-1112. Sulla gelosia professionale si vd. anche D. Farrell, Jealousy, «Phi-losophical Review», 89 (1980), pp. 527-559.

12 Cf. P. Salovey e J. Rodin, Some antecedents and consequences of social-comparison jealousy, «Journal of Personality and Social Psychology», 47 (1984),pp. 780-792.

13 Cf. per tutti Crisippo, Etica, in Stob. II 98 W. e Diog. Laerzio VII 111.Prima degli Stoici solo in Platone, Smp. 213d2, si legge zhlotupw`n riferito da So-crate ad Alcibiade, vd. la discussione di questo passo che farò più avanti.

14 Cf. D. Konstan, The Emotions of the Ancient Greeks. Studies in Aristotleand Classical Literature, Toronto 2006, pp. 223 ss.

Plutarco, Polibio.15 Ma una volta stabiliti questi aspetti della que-stione, la domanda fondamentale che mi ero posta fin dall’inizio eche riguardava da vicino il rapporto fra il mondo greco antico e lesue propaggini nella cultura e nella società contemporanea, è laseguente: possiamo noi escludere del tutto che i Greci provasseroe concepissero una qualche forma di gelosia romantica? Due pas-saggi platonici potrebbero, forse, a questo punto fornirci qualchesuggestione.

In Plat. Smp. 213c-d,16 Socrate si lamenta con Agatone del fat-to che da quando è divenuto amante di Alcibiade non può più néguardare né parlare con una sola persona bella, perché Alcibiadeviene subito preso da gelosia e da invidia (zhlotupw`n me kai;fqonw`n) nei confronti di Socrate. A questo punto Socrate chiedead Agatone che tenti di fare opera di riconciliazione, oppure lodifenda dalle eventuali violenze di Alcibiade che si trova in unostato di follia dovuta all’amore (manivan te kai; filerastivan,213d6). Alcibiade risponde a questa invocazione di conciliazioneda parte di Socrate in modo secco: «No! fra me e te, esclamò Al-cibiade, nessuna conciliazione è possibile. Ma di questo ti puniròun’altra volta […]». Orbene, il fatto che in questo passaggio Pla-tone utilizzi per la prima e unica volta il verbo zhlotupevw al postodi zhlovw (rivelando quindi di distinguere zh`lo~ da zhlotupiva), sipuò spiegare, a mio avviso, con il fatto che l’emozione in gioco siauna forma particolare di gelosia, probabilmente la gelosia di tiporomantico: Alcibiade, infatti, vuole Socrate interamente per sestesso o perché ha timore di perderlo o perché, come accade atutti i gelosi, non tollera nemmeno l’idea di condividerlo con altri.Emerge qui un elemento che la moderna letteratura psicologicaha posto bene in evidenza, e cioè che in una relazione affettiva – eSocrate dice con chiarezza che ciò avviene all’interno di un lega-me amoroso – i partners desiderano e spesso pongono come con-dizione l’esclusività. L’assenza di quest’ultima, peraltro, non si-

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15 Cf. a scopo esemplificativo Eschine, Contro Ctesifonte 211; Plutarco, Vitadi Pericle 10,7. Polibio, dal canto suo, associa la zhlotupiva alla pleonexiva in Sto-rie 4, 87,1-5.

16 Già citato sopra alla nota 7.

gnifica soltanto tradimento, perché qualunque intrusione che pro-vochi una effettiva riduzione del tempo, dell’affettività e del-l’amore, rappresenta per se stessa una limitazione del carattere dispecificità del rapporto e quindi una perdita dell’esclusività. È aquesto punto che si manifestano i sintomi che Socrate attribuiscead Alcibiade, poiché la gelosia è un’emozione che si accompagnaa molte affezioni elementari, quali rabbia, tristezza, vergogna, di-minuzione dell’autostima, o addirittura a reazioni violente. Tuttifenomeni, questi, che la psicologia attribuisce a una variazionenella percezione del Sé.17 A proposito dei sentimenti che il gelosoprova nei confronti del rivale, la psicologia sottolinea che gli indi-vidui maschi sono maggiormente gelosi di rivali che possiedonocaratteristiche che essi stessi vorrebbero avere, e che incarnano,dunque, l’Ideale del Sé.18 Ora, a me sembra che questa imposta-zione teorica spieghi benissimo la condizione di affettività dell’Al-cibiade del Simposio, giacché egli non solo è detto geloso, ma an-che capace di commettere gesti incontrollati e offensivi, di esserecioè violento e, a detta di Socrate, invidioso. Ora, se è vero, comesi è visto, che la gelosia in ambito non amoroso può confondersicon l’invidia, quest’ultima invece, anche in virtù del fatto che nonha mai una connotazione romantica, non può mai essere confusa

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17 Il soggetto subisce modifiche della percezione (che diventa fortemente ac-centrata e minuziosa nei confronti di tutto quanto, direttamente o indirettamen-te, riguardi la persona amata), della memoria (il geloso diviene capace di ricorda-re una grande quantità di elementi riguardanti direttamente o indirettamente lapersona amata, a causa di un aumento abnorme e selettivo dei processi attentivi)e persino del pensiero (nessun comportamento della persona amata risulta casua-le, “neutro”, ché anzi contribuisce ad alimentare la gelosia ed a confermare even-tuali sospetti). Interessanti studi scientifici chiariscono i correlati fisiologici dellagelosia tramite una diminuzione delle proteine trasportatrici della serotonina.Resta comunque la domanda, che peraltro concerne ogni sindrome di natura psi-cosomatica: è la gelosia la causa dell’abbassamento della serotonina o viceversa?Cf. D. Marazziti, P. Rucci, E. Di Nasso et alii, Jealousy and subthreshold psycho-pathology: a serotonergic link, «Neuropsychobiology», 47/1 (2003), pp. 12-16.

18 Le donne sono invece maggiormente gelose di rivali che possiedono ca-ratteristiche gradite al proprio partner, cf. D. DeSteno e P. Salovey, Jealousy andthe characteristics of one’s rival. A self-evaluation maintenance perspective, «Per-sonality and Social Psychology Bulletin», 22/9 (1996), pp. 920-932.

con la gelosia. Avrebbe poco senso, infatti, ritenere che nel conte-sto del Simposio Socrate stia dicendo che Alcibiade è geloso e in-vidioso di lui, mentre ha senso ritenere che Alcibiade sia detto daSocrate geloso di lui e invidioso del presunto rivale, cioè del bel-lo a cui Socrate eventualmente volgesse lo sguardo, o perché, co-me afferma la psicologia moderna, il rivale possiede caratteristi-che che Alcibiade vorrebbe possedere o, come sembra piuttostovoler dire Platone, ma anche come chiarisce meglio Aristotele,perché desidera il male del suo nemico. La caratteristica del rivalea cui Socrate accenna è la bellezza, di cui Alcibiade non è affattosprovvisto, per cui è lecito pensare che, coerentemente con l’im-postazione platonica, Alcibiade sia invidioso nel senso che deside-ra il male del suo rivale. In Phlb. 48b, infatti, dopo aver definitol’invidia un dolore dell’anima, Platone afferma per bocca di So-crate che invidioso è colui che gode dei mali altrui: una definizio-ne, questa, che viene confermata, accanto a quella che indica l’in-vidia come un dolore dell’anima, per tutto il resto del passaggio48b-50c.

Un altro passaggio interessante, ancorché breve, è quello diPhdr. 232a. Si tratta del discorso di Lisia sull’amore, nel quale sidice che gli innamorati ritengono che gli altri siano gelosi di lorocome essi sono gelosi l’uno dell’altro (uJpo; tw`n a[llwn zhlou`sqaiw{sper aujtou;~ uJf∆ auJtw`n, 232a1-2). Le traduzioni correnti dannoal verbo zhlou`sqai il senso dell’invidia, identificando quindi, inmaniera scorretta, due nozioni che Platone tiene sempre ben di-stinte. A me sembra del tutto chiaro che qui Platone, nel far direa Lisia che gli innamorati ritengono gli altri gelosi di loro comeessi stessi sono gelosi l’uno dell’altro, non possa voler significareche gli innamorati desiderino la rovina l’uno dell’altro. Ma non haneppure senso dire che gli innamorati ritengano che gli altri ab-biano di loro una gelosia di tipo romantico, perché questo tipo digelosia può essere solo interna alla coppia degli innamorati. Ilpasso è invece perfettamente comprensibile se lo si legge alla lucedi tutto ciò che abbiamo fin qui letto in Platone e in Aristotele: lagelosia è un dolore dell’anima dovuto al desiderio di possedereciò che ciascuno di noi pensa di meritare e quindi di potere pos-

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sedere. La gelosia romantica che lega i due amanti, quindi, e cheimplica il tipo di possesso che non vorremmo perdere né condivi-dere, si specchia nella gelosia di coloro che provano un doloredell’anima, perché vorrebbero per se stessi la medesima condizio-ne, essere cioè al contempo amati e amanti. Non a caso, subitodopo si dice che è migliore la condizione di coloro che non ama-no, perché avendo perfetto dominio di se stessi scelgono ciò che èmeglio, nel senso che è comprensibilmente migliore la condizionedi non provare dolore dell’anima.

È giunto così il momento di trarre delle conclusioni.

5. Considerazioni conclusive

Un esame della letteratura greca antica anche non filosoficaavrebbe, a questo punto, potuto arricchire l’esame che ho fin quicondotto sulla letteratura filosofica classica, soprattutto di Platonee di Aristotele, ma non è possibile in questa sede svolgere un talecompito. Mi preme invece di riproporre, a conclusione di questamia relazione, alcuni aspetti relativamente a quegli elementi checoncernono i legami teorici tra la nozione classica e quella moder-na della gelosia come emozione. Sarebbe, ad esempio, la motiva-zione legata alla sfera riproduttiva a spiegare in termini moderni icomportamenti ben noti di due figure del mito comunemente ri-conosciute come modelli di gelosia romantica: Era e Medea. Chela prole sia il motivo fondamentale del comportamento persecu-torio di Era nei confronti delle malcapitate compagne occasionalidel suo sposo divino, si intuisce non solo dalle vicende della sfor-tunata Leto descritte nell’omerico Inno ad Apollo, ma anche dalfatto che Era ricambia stizzosamente la nascita di Atena, per laquale Zeus non ha avuto nessuna partner, con la nascita per par-tenogenesi del mostruoso Tifone.19 Anche nel caso di Medea, nonsi trovano mai nell’omonima tragedia euripidea motivazioni ri-

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19 Sulla gelosia di Era, cf. G. Sissa & M. Detienne, The Daily Life of theGreek Gods, Stanford 20002, pp. 105 ss.

conducibili alla gelosia romantica dei moderni, mentre è costantela preoccupazione di Medea per il destino dei figli avuti da Giaso-ne, dopo che questi sposasse Glauce, figlia del re di Corinto Cre-onte, e avesse da lei figli regali. Non è forse questa l’origine dellagelosia individuata dagli psicologi evoluzionisti?20 Del resto, lacondizione della donna nella società greca antica rende difficiledocumentare in modo più certo una condizione psicologica deli-cata e appartenente alla sfera del privato: se la donna greca hasofferto di gelosia nei confronti del suo uomo non può esserci no-to, dal momento che non era destinata a giungerci la sua voce.D’altro canto una moglie era per il marito un oggetto di proprietàprivata. Sarebbe quindi forse più opportuno indagare un’emozio-ne quale la gelosia nella letteratura popolare erotica, più sponta-nea e immediata, piuttosto che nella letteratura alta.

Ma quanto si è detto fin qui descrive, a mio avviso, un quadromolto coerente della nozione di gelosia quale emozione, almenoper quel che riguarda la filosofia classica, di Platone e di Aristote-le. Se infatti, come ho accennato, la relazione fra gelosia e invidiamuta nella filosofia e nella letteratura postaristotelica, mi pare le-gittimo tuttavia affermare che quanto si è detto sulla teoria dellagelosia in Platone e in Aristotele rappresenti, invece, un quadroteorico abbastanza netto e non contraddittorio. I contesti e le ra-gioni teoriche per cui i due filosofi si sono occupati di zh`lo~ sono,come si è detto, di tipo socio-politico. Aristotele, che è sempre ri-goroso nei suoi ragionamenti sia dialettici che tecnici, sceglie dianalizzare quelle emozioni che sono funzionali al contesto di cuisi sta occupando, che è generalmente quello retorico, il che rendecomprensibile il fatto che egli trascuri la gelosia romantica, senzache questo significhi però che i Greci non potessero provare an-che gelosie di tipo romantico. I contesti platonici in cui si trovazh`lo~ sono anch’essi prevalentemente di tipo socio-politico, adesempio nel Gorgia o nella Repubblica. Ma dove si parla dell’amo-re, anche se, come si sa, Platone tratta tale argomento al fine dielevarlo fino al piano altamente filosofico, allora i due brevi ma si-

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20 Cf. sopra nota 1.

gnificativi passaggi rispettivamente del Simposio e del Fedro cheho cercato di discutere ci danno l’opportunità di ricavare anchequalche informazione sulla gelosia romantica dei Greci. Accantoa un prevalente significato socio-politico, infatti, secondo cui lagelosia è una forma di ammirazione onesta delle condizioni mate-riali o immateriali di qualcuno, a cui normalmente consegue tuttauna serie di operazioni atte a eguagliare o superare la persona am-mirata, emerge in Platone anche il significato romantico della ge-losia, mediato dalla categoria del possesso, che si inquadra teori-camente come desiderio di conquistare o conservare il possessodella persona amata. Ciò che forse andrebbe riconsiderato da par-te della psicologia moderna – mi si consenta questa riflessione fi-nale – è l’idea di identificare quale comune denominatore dei duesignificati di gelosia, cioè quello romantico e quello materiale, ilpossesso di un oggetto, sia esso la persona amata oppure una cosao un’attività: nel caso della gelosia amorosa, ché tale è in buonasostanza la gelosia romantica, infatti, occorrerebbe tenere piutto-sto in conto che l’amato o l’amata non è già un oggetto, bensì unsoggetto, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul terrenodella psicologia sia individuale che sociale delle emozioni.

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