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INTERTESTUALITÀ CRITICA CELAN-SCHOLEM La critica al cabalismo scholemiano attraverso la riscrittura poetica: cinque poesie di Fadensonnen Enrico Tatasciore

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INTERTESTUALITÀ CRITICA

CELAN-SCHOLEM

La critica al cabalismo scholemiano attraverso la riscrittura poetica:cinque poesie di Fadensonnen

Enrico Tatasciore

Le poesie che si analizzeranno in questo lavoro1 costituiscono ungruppo di cinque testi (Ihr mit dem, Aus Engelsmaterie, Die freigeblaseneLeuchtsaat, Die Hochwelt, Nah, im Aortenbogen, tutti contenuti nella quartasezione di Fadensonnen, 1968) composti da Celan a stretto contatto conun libro del filosofo e storico dell’ebraismo Gershom Scholem, Von dermystischen Gestalt der Gottheit. Studien zu Grundbegriffen der Kabbala 2 . Ilpoeta sembra aver dialogato, nel comporre tali poesie, con determinatisimboli e figure della tradizione cabbalistica, dei quali trovava una vividae articolata sintesi nel volume di Scholem. Una volta riconosciuta dunquela “fonte” di questi versi, o per meglio dire la costellazione figurativo-simbolica che vi fa da sfondo, rievocata dallo studio scholemiano, laloro lettura ne viene notevolmente schiarita, e le immagini da essi evocateprendono corpo alla luce di un lessico (non solo linguistico, ma anchesimbolico) che ha già una sua completezza iconica e una sua tradizionenell’imagery cabbalistica3 . Senza soffermarmi sull’indagine delle

1 Ringrazio Luciano Zagari per avermi seguito e incoraggiato in questa ricerca, natacome tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Pisa.

Per ragioni di spazio, manca in questo saggio l’analisi della più breve delle poesie del“ciclo”, Die Hochwelt. Chi scrive si augura di poter pubblicare in futuro un paragrafointegrativo su questo testo. Il discorso complessivo non ne viene comunque sfibrato, data lapresentazione appunto per paragrafi, dotati di un’autonomia minima, delle altre quattropoesie. Tutte e cinque si leggono in PAUL CELAN, Gesammelte Werke in fünf Bänden (GW),herausgegeben von Beda Allemann und Stephan Reichert unter Mitwirkung von Rolf Bücher,Suhrkamp, Frankfurt/M. 1983, vol. II, pp. 195-97, 199, 202. La traduzione è mia. Unatraduzione italiana è stata curata, con introduzione, da Giuseppe Bevilacqua, nel volumePAUL CELAN, Poesie, Mondadori, Milano 1998, pp. 850-55, 858-59, 864-65, che contiene le raccolteedite in vita dal poeta e quelle postume. Le poesie del lascito si trovano, in traduzione italiana,nel volume PAUL CELAN, Sotto il tiro di presagi. Poesie inedite 1948-1969, traduzione e cura diMichele Ranchetti e Jutta Leskien, Einaudi, Torino 2001.

2 GERSHOM SCHOLEM, Von der mystischen Gestalt der Gottheit. Studien zu Grundbegriffender Kabbala, Rhein-Verlag, Zürich 1962, poi Suhrkamp-Verlag, Frankfurt/M. 1962.

3 Pur conducendo tale ricerca ex novo, ho tratto le prime indicazioni sul rapporto diqueste poesie con la “fonte” scholemiana da due studi che, seppure non direttamenteindirizzati all’interpretazione di tali testi, forniscono numerose tracce per un confrontointertestuale. Si tratta di due lavori di JOACHIM SCHULZE, “Mystische Motive in Paul CelansGedichten”, in Poetica, 1970, 3, pp. 472-509, ripreso e ampliato in ID., Celan und die Mystiker.Motivtypologische und quellenkundliche Kommentare, Bouvier, Bonn 1976; in questo volume,cfr. pp. 36-42 per Ihr mit dem, 43-48 per Aus Engelsmaterie, 48-49 per Die Hochwelt, 50-53per Nah, im Aortenbogen. Non è stata invece riconosciuta la provenienza di Die freigeblasene

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motivazioni teoriche e poetologiche che possono aver spinto Celan adattuare una simile “operazione” sulla simbologia della Kabbalah (qualchetraccia in tal senso emergerà semmai nel corso dell’analisi dei testi), vorreialmeno fare una precisazione che mi pare necessaria riguardo al modod’interpretare, sul piano letterario e formale, il rapporto tra “testo” e“ipotesto”: il nesso intertestuale è da intendere nel senso non di unatrasposizione di porzioni di ipotesto nelle poesie (citazione, pastiche,“scarto” propriamente testuale fra piani della poesia), ma di un reimpiegodella simbologia e del repertorio figurale cabbalistico (e talvolta del lessico:ma, ancora una volta, non si tratta di citazione). In questo modo le poesie

Leuchtsaat dalla stessa fonte. I due articoli indagano il nesso tra Celan e la mistica ebraicain termini di “motivi” e suggestioni, e, più che soffermarsi sull’analisi del rapporto puntualetra testo e ipotesto (per le nostre poesie) ricercano corrispondenze ad ampio raggio, citandoanche fonti non con certezza conosciute da Celan, e rinunciando ad un’interpretazionedei singoli testi una volta individuati i “motivi mistici”che su di essi possono gettare unaluce.

La ricerca di Schulze, inoltre, non rende conto del rapporto “critico” di Celan con lefonti, ovvero con la simbologia cabbalistica. Ne risulta forse l’immagine di un Celan troppopacificamente sbilanciato su posizioni mistiche, laddove nella presente lettura si cerca diriconoscere la tonalità in senso lato sarcastica e il carattere problematico che si celanodietro l’impiego di immagini e simboli di derivazione cabbalistica.

Il lavoro dello studioso deve comunque essere riconosciuto come quasi pionieristico,se è vero che solo dalla biografia del poeta pubblicata da JOHN FELSTINER nel 1995 (PaulCelan. Poet, Survivor, Jew, Yale University Press, New Haven-London 1995, e, in tedesco,Paul Celan. Eine Biographie, C. H. Beck, München 2000) è possibile apprendere che icontributi di Scholem comparsi sullo “Eranos-Jahrbuch” (sui quali Schulze conduce laricerca delle fonti) erano stati raccolti in volume e letti in questa forma da Celan pochigiorni prima della stesura delle poesie (come si vedrà più avanti).

Un paio di integrazioni ai dati offerti da Schulze si trovano infine in GEORG-MICHAEL

SCHULZ, “‘fort aus Kannitverstan’. Bemerkungen zum Zitat in der Lyrik Paul Celans“, inText+Kritik, 53-54, Januar 1977, pp. 26-41, alla nota 60 di p. 41 (per l’espressioneherumwälzende Restseele) e in JOHN FELSTINER, Paul Celan. Poet, Survivor, Jew, cit. in questanota, e in traduzione tedesca (da cui cito) Paul Celan. Eine Biographie, cit. in questa nota,pp. 307 sgg (per l’espressione Ziw, jenes Licht).

Qui di seguito, i nessi intertestuali di maggiore rilevanza esegetica che non compaiononegli studi citati (Die freigeblasene Leuchtsaat, si è detto, manca del tutto). Per Ihr mit dem:mancano riferimenti precisi al libro di Scholem per le espressioni im Dunkelspiegelgeschauten, Leuchtspiegelfläche zuinnerst, Boten-Selbst, Einer, Wüstentor, Dreivokal. Per AusEngelsmaterie: l’espressione Aus Engelsmaterie, la dottrina delle Schalen, la possibileconsonanza tonale con le parole della Sophia (cfr. infra) attraverso la locuzione von urher.Per Die Hochwelt: le parole Hochwelt ed erfragbar. Per Nah, im Aortenbogen: il motivo dellaSchekinah come Mutter Rahel. In diversi casi Schulze raggiunge spiegazioni comunqueermeneuticamente soddisfacenti citando altri testi scholemiani. In quei medesimi casi ètuttavia rilevante notare come il nesso diretto, a mosaico, con il libro di Scholem, sia presentee operante.

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celaniane, inserendosi in una ben precisa tradizione e sottoponendonele figure al vaglio di una riflessione critica, nulla perdono della loroautonomia, e anzi conquistano l’originalità di una voce ben individuataall’interno di un comune universo simbolico. Il testo di Scholem è inquesto senso il tramite di una ricezione che avviene in primo luogo sulpiano delle immagini e non della testualità, sebbene questo nonimpedisca la ripresa puntuale di certo lessico impiegato dallo studioso,o dagli autori della Kabbalah all’interno del suo libro: ma sempre inriferimento a una resa fedele di determinate figure e simboli, non aun’operazione di prelievo testuale.

Dopo una breve presentazione del libro di Scholem, volta a megliodefinire i motivi dell’interesse di Celan, cercherò di fornire una letturadi quattro delle cinque poesie in parallelo con gli eventuali richiami abrani del volume scholemiano, affiancando di volta in volta, ai dati piùpropriamente filologici, le linee di una possibile interpretazione dei testi.L’intento del lavoro è comunque quello di fornire un ausilio alla letturadi tali poesie, attraverso la messa in luce dei campi figurativi, simbolicie semantici che ne costituiscono la stratigrafia.

La figura mistica della divinità: “consonanze spirituali”

A fine aprile del 1967 Celan aveva ricevuto dal suo nuovo editore,Siegfried Unseld del Suhrkamp-Verlag, una copia del volume di GershomScholem Von der mystischen Gestalt der Gottheit. Studien zu Grundbegriffender Kabbala. La conoscenza di Scholem non era nuova per il poeta, che,oltre ad aver incontrato già tre volte a Parigi lo studioso negli anni ’60,possedeva le sue opere Die Geheimnisse der Schöpfung e Die jüdische Mystikin ihren Hauptströmungen (1957), e quasi sicuramente ne seguiva l’attivitàscientifica sullo “Eranos-Jahrbuch”. Felstiner4 racconta che Celan sisprofondò in questa nuova lettura per dieci giorni. Le prime tre poesieche scaturirono da tale incontro furono scritte, si direbbe a caldo, in duegiorni fra il primo e il 2 maggio (Ihr mit dem, Aus Engelsmaterie, Diefreigeblasene Leuchtsaat). Altre due, direttamente riconducibili a talelettura, nacquero nei giorni successivi. La prima, Die Hochwelt (3.5.1967),

4 JOHN FELSTINER, Paul Celan. Eine Biographie, op. cit. alla nota 3, p. 302.

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intervallata da un testo (Kleide die Worthöhlen aus) che attinge ad altra fonte(il manuale di medicina di Adolf Faller5 ), la seconda (Nah, im Aortenbogen,10.5.1967), non solo preceduta da testi di natura eterogenea, di uno deiquali (…auch keinerlei) è certo il contatto con Freud6 , ma anche luogo diuna commistione tra la fonte scholemiana e quella medica di Faller.

Il libro di Scholem, che raccoglie contributi già apparsi sullo “Eranos-Jahrbuch”, riscopre e descrive un terreno della mistica ebraica che perpiù ragioni poteva suscitare l’interesse di Celan7 . I sei “Grundbegriffe”della Kabbalah che esso illustra con copiose documentazioni e acutezzad’indagine dischiudono al lettore un universo simbolico dai tratti vivi,concreti, talvolta paradossali. La mistica della Kabbalah vede riemergeredentro di sé la plurivalenza e la densità figurativa di quelle immaginimitiche e archetipiche che l’austera mistica ebraica antica aveva rifiutatoe represso, fedele al principio della lontananza e della non raffigurabilitàdi Dio, e che l’astratta logica dei filosofi ebraici del medioevo avevatotalmente dimenticato. Il filone riscoperto dalla mistica della Kabbalahsembra scardinare, se non proprio la fede monoteistica nel Dio dellacreazione, almeno il dogma della sua indivisibilità figurativa nel contestodel mantenimento della vita nella creazione. Le ipostasi della divinità,le dieci sefiroth che costituiscono i momenti del dispiegarsi dell’energiadivina dall’en-sof, dal nulla della propria contrazione in se stessa, sonoconcepite dai cabbalisti come altrettante figure, separatesi dall’unicitàdel divino, come personificazioni assurte a dignità simbolica e per questo

5 ADOLF FALLER, Der Körper des Menchen. Einführung in Bau und Funktion, Thieme,Stuttgart 1966.

6 SIGMUND FREUD, Jenseits des Lustprinzips, in Gesammelte Werke, XIII, S. Fischer, Frankfurt/M. 1967.

7 Espongo qui una serie di considerazioni relative alla ricezione celaniana dellasimbologia cabbalistica attraverso il libro di Scholem. Si cerca cioè di capire quali, tra lecaratteristiche del mondo della Kabbalah, possano aver attirato l’attenzione di Celandurante questa lettura. Tali considerazioni sono perciò finalizzate ad introdurre l’analisidelle poesie attraverso un primo approccio di lettura al libro di Scholem. Per un più generalepanorama sulla ricezione della Kabbalah in Celan si veda l’articolo di JOACHIM SCHULZE

“Rauchspur und Sefira.Über die Grundlagen von Paul Celans Kabbala-Rezeption”, in Celan-Jahrbuch, 5 (1993), pp. 193-246. Delle poesie da noi esaminate, è fatto accenno a Nah, imAortenbogen (p. 204, in relazione all’amicizia “ebraica” con Nelly Sachs, e p. 243, a confrontocon Die Hochwelt), e sono in parte analizzate Aus Engelsmaterie (pp. 210 sgg.) e Die Hochwelt(pp. 242-243), attraverso considerazioni che riassumono quelle sviluppate nei dueprecedenti studi sull’argomento. In questo lavoro però tali poesie sono inserite in unacampionario di testi che si estende dal Frühwerk allo Spätwerk, con particolare attenzionealle poesie di Die Niemandsrose.

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latrici di un potenziale esplicativo e interpretativo che i cabbalistidispiegano nella loro rappresentazione di un mondo abitato e vivificatodalla divinità.

Scholem rintraccia la fase genetica fondamentale di tali simboli nelmomento in cui essi manifestano la loro piena alterità – dal punto divista figurale, anche se non da quello sostanziale – rispetto a Dio.L’esempio più evidente è quello della Shekinah, figura centrale dellarappresentazione cabbalistica del creato. Il suo nome designa, almenonella più antica accezione, Dio nel suo abitare nel mondo (dunque nonil concetto dell’abitare di Dio nel mondo):

Das ‚Wohnen‘ Gottes, seine Schechina im wörtlichen Verstand, bedeutetvielmehr seine sichtbare oder auch verborgene Anwesenheit an einemPlatz, seine Gegenwart (p. 143)8 .

In quanto Dio è la sua Shekinah, essa può rivolgersi alla creatura,all’uomo, ma mai a Dio stesso (“nicht etwa nach oben zu Gott, sondern,wie an allen anderen solchen Stellen, nur zu der Kreatur”, p.148).

Quando dunque la Shekinah assume l’aspetto di una persona, di una“deutlich von Gott unterscheidbare Hypostase”? Nel momento in cui, inpassi come quello del Midrash a Proverbi 22:29, essa si pone di fronte nonall’uomo soltanto, ma a Dio stesso (“tritt zum erstenmal die Schechina nichtnur den Menschen gegenüber, sondern Gott selbst!”, p. 148).

È solo in questa Gegenüberstellung rispetto a Dio che la Shekinah, e ingenerale il simbolo cabbalistico, conseguono indipendenza e figurabilità.In quanto Gestalt il simbolo si pone al centro di una rete di mutevoli rapportiche, proprio per la loro consistenza sensibile, riescono ad interpretare ilmondo (non la divinità) anche nei suoi aspetti più contraddittori.

All’interno di una simile rappresentazione del mondo in figure che,non si dimentichi, vivono della luce divina in quanto sue emanazioni,trovano posto, anche con una certa spregiudicatezza, tanto il bene quantoil male, tanto il lato “destro” quanto quello “sinistro” della realtà, tantol’amore di un Dio vivificatore quanto la violenza del suo retto giudizio.

8 Cito da GERSHOM SCHOLEM, Von der mystischen Gestalt der Gottheit. Studien zuGrundbegriffen der Kabbala, Suhrkamp, Suhrkamp Taschenbuch Wissenschaft 209, Frankfurt/M. 1977. Il numero di pagina tra parentesi, qui e in seguito, si riferisce a questa edizione.

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Tali aspetti, conseguenza del riemergere, all’interno delle dottrineebraiche di interpretazione delle Scritture, di strati mitici e archetipicidella cultura premonoteistica9 , possono aver esercitato un certo fascinoin Celan, per l’aura “primitiva” e originaria che li connota. Lo stessoScholem considera l’immaginazione dei cabbalisti, rivolta allaproduzione di simboli, come espressione di uno spirito genuino e noninvischiato nelle reti del ragionamento astratto. Nella simbologiacabbalistica è possibile dunque cogliere elementi “poetici” nel senso piùtradizionale del termine: da un lato la presenza di vere e proprie figure,dotate di una loro visibilità estetica, dall’altro il senso di una vicinanzadi queste figure alle scaturigini della fantasia ebraica. Tali caratteristichehanno, inoltre, una precisa rilevanza ideologica che è in stretto rapportocon la valenza estetica del simbolo cabbalistico.

La lingua dei cabbalisti è infatti, per la sua vicinanza alla culturapremonoteistica, una lingua non conformistica, eterodossa; e sensibile.Questi due aspetti non potevano non destare una consonanza spiritualein Celan, il quale, come vedremo, non direttamente con Scholem siconfronta, ma proprio con quei simboli e quelle immagini che ilWissenschaftler, in questo preservatore di una tradizione, trasmette conpassione ed entusiasmo al lettore moderno. Tali immagini possiedono„die größere Bildkraft“ (p.177), e, come accade anche nella poeticacelaniana della Gestalt e della Figur, spingono talvolta la peculiarità dellaloro personificazione – proprio per il loro carattere a-logico, concreto –“fast bis ins Absurde“ (p.177).

Nel capitolo sulla Shekinah, uno di quelli letti con più attenzione daCelan (come è chiaro se si ha presente l’importanza che questa figuraassumerà, come vedremo, nei testi presi in analisi), alcune affermazioniriferite alla lingua e alla tradizione cabbalistica non possono non avvertireil lettore di una sostanziale coincidenza tra il punto di vista del poeta equello dei suoi antichi interlocutori: l’unica lingua che si offriva ai cabbalistiin alternativa all’apparato concettuale dell’aristotelismo filosofico,

war eine, die alles, was sie [die Kabbalisten] eigentlich sagen wollten, insGesicht schlug. So verfangen sie sich denn oft genug hilflos in dem Netz

9 Per un approfondimento del tema si veda il capitolo “Kabbalah e mito” in GERSHOM

SCHOLEM, La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino 1980 e 2001, pp. 111-150 (ZurKabbala und ihrer Symbolik, Rhein Verlag, Zürich 1960).

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der Widersprüche zwischen jenen starren, undialektischen Begriffen, diesie als Kinder ihrer Zeit selber benutzen mußten, und den Bildern undSymbolen, in denen sie lebten und webten, die aber so schlecht in ihrervon ihren Gegnern oktroyerten Begriffswelt unterzubringen waren (p. 154).

Tanto meno sfuggiranno a una comparazione tra Celan e i cabbalistile ragioni profonde di una comunanza spirituale, ragioni che nel caso diCelan permettono di parlare di un anticonformistico Engagement absoluterPoesie10 , dalle venature se si vuole anche politiche: “die Kristallisierungalles Nichtkonformistischen in der Rede von Gott, ist es, was das eigentlichProvokatorische an den kabbalistischen Äußerungen ausmacht“ (p. 154).

È forse proprio in quanto dottrina non ufficiale, versione popolare evitale della tradizione “ortodossa”, che la Kabbalah consente all’esiliatodalla religione un accostamento, mediato perché consapevole di gravitarein un territorio eterodosso, alla religione stessa.

L’ambigua vitalità teologica del simbolo cabbalistico, sorta diingiustificata e irrazionale alternativa al carattere di definitivitàdell’immobile pensiero ortodosso, potrebbe occupare uno spazio moltovicino a quello che la riflessione celaniana individuava già nel Meridiantra i confini di uno Schon-nicht-mehr e di un Immer-noch11 . Si tratta appuntodi uno spazio creato da uno slittamento di piani rispetto a un’unica,inderogabile realtà – per i cabbalisti quella dell’en-sof divino, per Celanquella del “dato” storico – piuttosto che dell’individuazione di uno spaziototalmente nuovo. Attraverso un movimento eccentrico attorno ad un

10 Come suona il titolo del volume di MARLIES JANZ, Vom Engagement absoluter Poesie.Zur Lyrik und Ästhetik Paul Celans, Syndikat, Frankfurt/M. 1976.

11 La formulazione di questi due concetti chiave della poetica celaniana si trova in DerMeridian. Rede anläßlich der Verleihung des Georg-Büchner-Preises, Darmstadt, am 22. Oktober1960, in GW, op. cit. alla nota 1, vol. III, p. 197: “Es [das Gedicht] behauptet sich – erlaubensie mir, nach so vielen extremen Formulierungen, nun auch diese –, das Gedicht behauptetsich am Rande seiner selbst; es ruft und holt sich, um bestehen zu können, unausgeseztaus seinem Schon-nicht-mehr in sein Immer-noch zurück“. Le implicazioni di questo passosono molto complesse, e non possono essere discusse in questa sede. Il lettore italiano puòavvalersi della perspicua Introduzione di Bevilacqua alla traduzione italiana delle opere inprosa, in PAUL CELAN, La verità della poesia. Il meridiano e altre prose, Einaudi, Torino 1993.Tra i numerosissimi studi dedicati al Meridian, si vedano almeno i seguenti: MARLIES JANZ,Vom Engagement absoluter Poesie, op. cit. alla nota 10, pp. 99-128; DOROTHEE KOHLER-LUGINBÜL,Poetik im Lichte der Utopie. Paul Celans poetologische Texte, P. Lang, Bern 1986, pp. 127-223;GERHARD BUHR, „Von den radikalen In-Frage-Stellung der Kunst in Celans Rede ‚DerMeridian’“, in Celan-Jahrbuch, 2 (1988), pp. 169-208.

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centro, tanto ai cabbalisti quanto a Celan riesce d’individuareun’alternativa al mutore, un margine irrazionale di libertà, mantenendotuttavia la propria fede nell’oggetto attorno al quale gravitano. Se perCelan tale oggetto è essenzialmente la ferita di un dato storico, la Shoah,irriducibile ad ogni interpretazione, non scardinabile – paradossalmente,proprio come Dio nella “indifferente Einheit” del suo en-sof –, per icabbalisti si tratta invece di una divinità al colmo della suairraggiungibilità, ma anche della sua potenza e del suo amore12 . Vale lapena di leggere un passo di Scholem che può aver attirato l’attenzionedi Celan in questo senso:

so griffen denn die Kabbalisten zu dem Auskunftmittel, zwischen einerSchicht der Gottheit, ihrem verborgenem An-Sich, ihrem Ur- undUngrund, und einer anderen Schicht, nämlich ihrer schöpferisch zurÄußerung drängenden Natur, zu unterscheiden. Die eine ist wirklich ohneBewegung und in Begriffen der orthodoxen Theologen mindestensnegativ zu beschreiben oder, besser, zu umschreiben; die andere ist derdynamische Aspekt des unendlichen Lebens, der Kräfte und Potenzen,in denen dieser Prozeß des schöpferischen und welterhaltenden WirkensGottes sich realisiert (p. 154).

La carica utopica che si esprime nel movimento incessante del Gedichtdal suo Schon-nicht-mehr al suo Immer-noch, un movimento mai già scrittoe sempre di nuovo da riscoprire e rischiare, è forse più vicina di quantosi creda all’entusiasmo e allo stupore dei cabbalisti di fronte alla loroscoperta di un secondo piano, a-teologico, dell’essere divino. Taleentusiasmo ci è trasmesso da Scholem, ancora una volta con unafreschezza che deve aver colpito Celan:

12 Il carattere di “rottura di civiltà” che la Shoah riveste per ogni attuale discorso sullastoria è stato di recente messo in luce da ENZO TRAVERSO nel libro Auschwitz e gli intellettuali.La Shoah nella cultura del dopoguerra, Il Mulino, Bologna 2004. Nel capitolo dedicato a Celan(“Scrivere poesie dopo Auschwitz: Paul Celan”) si legge un’osservazione che può illuminareulteriormente il nostro discorso: ovvero che l’obiettivo del progetto poetico di Celan(diversamente dal progetto intellettuale di pensatori come Arendt, Anders e Adorno) “nonera quello di ‘capire’ filosoficamente o storicamente – il verbo verstehen praticamente nonappartiene al suo vocabolario – ma piuttosto di cogliere e restituire attraverso le parole ilsenso di una rottura della storia partendo dalla sofferenza che ne ha segnato le vittime” (p.138).

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die eine [Schicht] ist in der Sprache der Kabbalisten En-Sof, die indifferenteEinheit und ewig in sich ruhende Wurzel und Koinzidenz allerWidersprüche; die andere ist die Welt der zehn Sefiroth, welche dieheiligen Namen, das heißt Aspekte Gottes, und die zehn Schöpfungsworte(logoi) Gottes sind. Von dieser Welt freilich dürfte man in der Tat, imWiderspruch zu dem dogmatischen Ukas der Theologen, sagen: ‚Undsie bewegt sich doch!‘ (p. 154).

Nell’”eppur si muove” galileiano si esprime forse quel “salto”, figuradell’esercizio nel pensiero utopico perché u-topico, di cui Celan avrebbescritto: “Solcher Sprung ist Glück und Gelingen”13 .

Tanto ai cabbalisti quanto a Celan il salto al di fuori della staticità cuiessi sono incatenati (in senso positivo per gli uni, negativo per l’altro)apre lo spazio al dire in quanto figurare o raffigurare. Permette loro dicompiere uno scarto dal circolo dell’evidenza e della necessità.

Evidente e necessaria è per i primi l’unità divina nel suo In-Sénascosto, come lo è per Celan l’insondabile insensatezza del dato storico,di quel “20. Jänner” – giorno in cui, nel 1943, fu decisa, durante laWannsee-Konferenz, la Endlösung14 – di per sé inspiegabile eincomprensibile, dal quale prende però avvio il movimento della“nuova” poesia, della poesia dopo Auschwitz, proprio come ricerca diuna spiegazione, di un orientamento nel reale. In entrambi i casi lo spaziodella figurazione si schiude, con tensione ermeneutica, a partire dal suoessere ingiustificato sul piano del pensiero (in questo senso si è usatopiù sopra l’aggettivo “irrazionale”).

Lo sforzo ermeneutico dei cabbalisti nasce però da una certezza. Seessi descrivono le sefiroth come Kräfte – mentre della divinità si dice che

13 In riferimento alla Übung nel tradurre, cfr. Der Meridian, in PAUL CELAN, Werke.Tübinger Ausgabe (TCA), herausgegeben von Jürgen Wertheimer, Suhrkamp, Frankfurt/M. (TCA) 1999, p. 125.

14 Celan considera questa data come la data d’inizio e insieme l’evento motivante(nella sua enormità e incomprensibilità etica) della propria poesia, del proprio scrivere,ma anche di ogni poesia che, nell’epoca in cui viviamo, voglia essere cosciente del propriotempo e del proprio passato (Celan direbbe “delle proprie date”). In questo senso si potrebbeattribuire, nell’opera di Celan, una valenza fortemente simbolica e “riassuntiva”all’espressione “20. Jänner”: in questa forma linguisticamente desueta (Jänner per Januar),essa è tratta, con sottile corrispondenza letteraria (e, per la persona dell’uomo Celan, sidirebbe quasi biografica) nell’ambito della Rede celaniana, dal Lenz di Büchner, e si leggenel discorso Der Meridian, cit. alla nota 11, in GW III alle pp. 194 e 201.

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“nur selten ist etwa En-sof als Energie oder Kraft gedacht” – è anchevero che il loro salto “irrazionale” è reso possibile dalla fede nel fattoche

sie [die Kräfte] sind durchaus nicht der Möglichkeit nach da, sondern derWirklichkeit nach. Sie sind verselbständigte Momente, die kraftgeladenund Kraft ausströmend den Prozeß, in dem Gott sich selber mitteilt, indem er seinen Großen Namen kundgibt, vorwärtstreiben (p. 155).

Può nascere la poesia di Celan da una simile certezza? L’accostamentotra i due “oggetti” attorno ai quali i cabbalisti e il poeta gravitano, traDio e il “fatto” storico, è da leggere forse in maniera più problematicache come una semplice comparazione, quale l’abbiamo presentata piùsopra. Allo spazio della divinità è subentrato, per Celan, quello dellacatastrofe storica. Oppure, più precisamente: lo spazio di una qualsiasiistanza di pensiero, religiosa, spirituale, filosofica o culturale che sia –forse anche estetica – è stato svuotato dalla catastrofe storica – da quellache si è rivelata l’acme di una storia non più remissibile – e riempitodell’evidenza e inappellabilità di un essere-accaduto che, per la suagravità, non può più inserirsi in alcuna rielaborazione di senso. La poesiadi Celan è il paradossale tentativo di far brillare della luce di una speranzaquesta pietra dura e refrattaria, immergendola nelle acque della memoriaserbata dai sopravvissuti.

Dio è soltanto la più antica, la più significativa delle figure di unpensiero umano detronizzato, impotente a un rimedio, prima, durantee dopo la catastrofe, o è forse il vero colpevole, il vero assente dalla scenadella storia? Una risposta a questa domanda implicherebbe decidere dellaautentica sostanza della lirica celaniana: se essa concepisca la divinitàpiù come una figura o come un’entità reale, e se per essa l’assenza di unsenso coincida o meno con l’assenza di un Dio. È un discorso che nonpossiamo pretendere di esaurire in questa sede. Riteniamo però lo stessopensiero di Celan oscillante tra la fede (anche in un Dio assente, o chenon si comprende) e l’auspicio in qualcosa che sembra situarsi al di làdello stesso Dio della religione, in qualcosa forse di più grande, rispettoal quale allora si potrebbe parlare di Dio nei termini di una figura, diuno degli elementi necessari a un’elaborazione di pensiero. Dello stessotardo “ciclo ebraico” ripubblicato recentemente nel libro di Ilana

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Shmueli15 sarebbe difficile dire se, a illuminarlo della luce di una speranza,sia la fede in un ritrovato Dio di Gerusalemme, o di nuovo la rinnovata fiduciain qualcosa di diverso, che non sapremmo determinare, ma che si aggrappaall’ultimo simbolo della poesia celaniana, a Gerusalemme, al fatto che essa è,al desiderio di dichiarare, al di là di ogni certezza in Dio, daß Jerusalem i s t. Ilrapporto di Celan con l’ebraismo si gioca anche su questo piano.

La presentazione del libro di Scholem, senza alcuna pretesa di esaustivitàdocumentaria, mirava ad individuare le ragioni emotive che possono averindotto Celan a scrivere dialogando proprio con questo testo. Una piùdettagliata descrizione dei contenuti del libro perterrebbe a una ricerca suirapporti tra Celan e Scholem e in generale sull’ebraismo di Celan, argomentiche qui non sarà possibile affrontare, ma al cui sviluppo le osservazioni soprasvolte potrebbero fornire qualche contributo. Altri aspetti, più puntuali, delcontenuto del libro, emergeranno, del resto, proprio all’interno della letturadelle poesie che ad esso fanno riferimento.

.

15 Cfr. ILANA SHMUELI, Sag, daß Jerusalem ist. Über Paul Celan: Oktober 1969-April 1970,Suhrkamp, Frankfurt/M. 2000 (trad. it. a cura di Jutta Leskien e Michele Ranchetti, Di’ cheGerusalemme è. Su Paul celan: ottobre 1969-aprile 1970, Quodlibet, Macerata 2002). Le poesieriportate in questo libro sono comunque comprese nell’ultima raccolta postuma, Zeitgehöft(GW, III).

VOI CON LAvisione nello specchio oscuro,

tu Unicocon la riconosciutaimmateriale superficie di specchio di lucenell’intimo:

attraverso la dieci-turrita porta del deserto giungeil vostro Sé-Messaggero davanti a voi, sta,quanto dura un trevocali,nell’altorosso,

come fosse il popolo nelle lontananzeancora una volta attorno a voi schierato

IHR MIT DEMim Dunkelspiegel Geschauten,

du Einermit der erblicktenstofflosen Leuchtspiegelflächezuinnerst:

durchs zehn-türmige Wüstentor tritteuer Boten-Selbst vor euch, steht,einen Dreivokal lang,in der hohenRöte,

als wär das Volk in den Fernenabermals um euch geschart.

Ihr mit dem: la visione dei profeti

196 Enrico Tatasciore

1. La poesia apparirebbe, a un lettore ignaro del campo simbolico chedà vita alle sue figure, del tutto criptica e allusiva. La sensazione rimanetuttavia, diversamente che per le altre poesie, anche una volta “decifrato”il testo: agisce in questo senso il doppio vocativo iniziale, che staglia ledue principali figure evocate (Ihr, Du) nel quadro delle prime due strofe,al contempo creando un’atmosfera di “simpatia” tra quelle e la voce delpoeta (e il lettore), e mantenendo una sorta di ieratico distanziamento. Ilpoeta si rivolge a soggetti (“voi” e “tu”) la cui caratteristica principale èquella di recare con sé un attributo che li individua. In entrambe le strofeè uno “specchio” l’immagine in cui tale attributo si sintetizza secondomodalità differenti: l’”Unico” sembra infatti detenere con lo “specchio”un rapporto ancora più stretto, più “intimo”. Vedremo più avanti che inqueste figure sono da riconoscere i profeti e Mosè (l’”Unico”). Secondoun procedimento tipico di Celan, e di forte risalto strutturale in questecinque poesie, l’immagine iniziale prelude ad uno “sviluppo” nel testoattraverso un arresto sintattico, i due punti del v. 5 che introducono laseconda parte della poesia. In questo caso lo sviluppo è dinamico, si direbbequasi narrativo: una terza figura “giunge” di fronte alle prime due, unenigmatico “Sé-Messaggero”. Questi passa attraverso la “dieciturrita portadel deserto” e si arresta di fronte ai profeti e a Mosè “quanto dura untrevocali”, “nell’alto rosso”: determinazioni di tempo e di luogo moltopuntuali che, anche se non ancora decifrate, possiamo riconoscere comedeterminanti per la solennità, la tensione e la rattenuta istantaneità dellascena. Il Boten-Selbst è, come vedremo, il Sé dei profeti giunto apersonificazione, la prosopopea della loro autocoscienza (più o menopurificata: di qui la differenza tra i profeti e Mosè) in forma di angelo-messaggero. Questo incontro permette la comunicazione col divino.Tuttavia non su tale risultato si arresta la poesia, che nel distico finaleesprime, quasi in sordina, il suo messaggio: le parole più incisive sonopronunciate dalla voce “fuori campo” in due versi che ritmicamentesembrano voler scivolare via, se non fosse per il forte rilievo dell’ictusfinale nel participio geschart (il cui senso di chiusura è accentuatodall’opposizione, in quanto parola accentata sull’ultima sillaba, con laprecedente parola accentata sulla penultima, Fernen, entrambe in fine diverso, vv. 12-13). Nel testo viene così introdotta, e in questo modo,attraverso la comparativa dell’irrealtà, negata alla presenza nel “quadro”,una quarta figura, “il popolo nelle lontananze”. Si tratta, molto

La critica al cabalismo scholemiano... 197

probabilmente, del popolo d’Israele ormai disperso dopo la Shoah, edevocabile soltanto come memoria all’interno della visione “estatica” diun quadro biblico (altre possibili implicazioni dell’espressione das Volk inden Fernen saranno discusse nell’interpretazione).

2. Ihr mit dem evoca immagini che sono, come già prima accennato, diascendenza biblica. Di primo acchito si potrebbe cogliere nel disticod’apertura l’eco delle parole paoline (cfr. Schulze, Mistische Motive, p.496): “noi ora vediamo, infatti, come per mezzo di uno specchio, in modonon chiaro, allora invece vedremo direttamente in Dio; ora conosco soloin modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente nello stesso modoin cui io sono conosciuto” (I Cor., 13:12). Il riferimerimento mi sembraperò fuorviante, perché rinvia a una tradizione di pensiero, quella cristiana,del tutto avulsa, e contrastante, rispetto al contesto in cui queste poesie siinseriscono. Come vedremo, l’immagine sottesa alla prima strofapresuppone una simbologia di origine prettamente cabbalistica.

Espressioni come Du Einer, durchs zehn- / türmige Wüstentor, in der hohenRöte, e l’intero distico finale conferiscono poi al ductus testuale una tonalitàarcana e veterotestamentaria, solo apparentemente vaga: una serie dideterminazioni precise permette infatti di leggere le singole parole deltesto come altrettanti termini tecnici o, se si vuole, cifre di un sapere chead esso sembra sotteso.

In concorrenza con i due vocativi iniziali, riferiti a figure che a primalettura risultano a noi sconosciute, e che sono evocate solo indirettamentetramite i loro attributi, la poesia introduce tutti i suoi “oggetti” o elementicon articoli determinativi (mit dem, im, mit der, durchs, in der, das, in der) oattributi e costrutti avverbiali che hanno la funzione di arricchire il contestodi particolari molto dettagliati (erblickten, stofflosen, zuinnerst, einen Dreivokallang).

La chiave per interpretare immagini di così estrema precisione, e allostesso tempo così ermetiche per la loro allusività, può trovarsi in una paginadel capitolo, l’ultimo del libro di Scholem, intitolato Zelem; die Vorstellungvom Astralleib. L’accessibilità stessa di questa fonte – per chi la conoscesse– mette in dubbio quantomeno la plausibilità di una definizione cosìsbrigativa come quella di “ermetismo”. Si potrà parlare a ragione di unermetismo “di superficie”. Ma, una volta messo da parte un accostamentocosì semplicistico, l’interpretazione si troverà alle prese più con la

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comprensione di un significato profondo che con l’attribuzione diun’etichetta discutibile.

IHR MIT DEMim Dunkelspiegel Geschauten,

du Einermit der erblicktenstofflosen Leuchtspiegelfläche zuinnerst:

Veniamo dunque al testo scholemiano, che leggiamo in un capitoloche indaga il significato del Sé individuale, in apparente contraddizionecol concetto di Seelenwanderung studiato nel capitolo precedente. Dietrola poesia non sta però l’intero contenuto del capitolo. Essa sembra nascerepiuttosto dall’incontro con determinate immagini: figure che spiccano,prima che nella trattazione di Scholem, nelle parole dei mistici da luicitate, o nei riferimenti indiretti a particolari dottrine.

Scholem sviluppa il discorso sulla “Prophetie als Schau des eigenenSelbst” riferendo, tra le sue varie versioni, il pensiero del talmudista efilosofo del XVI secolo Moses Isserles di Cracovia:

Seine Anregung scheint er paradoxerweise gerade bei den Mystikern geholtzu haben, wie er sich denn auch ausdrücklich auf Juda Chajjat (um 1500)beruft, der die Menschengestalt, die der Prophet (etwa in Ezechiel 1:26) inder Vision sieht, mit einem Spiegelbild vergleicht, in dem der Mensch sichselber sieht. Isserles geht von einem talmudischen Wort aus, wonach allePropheten Gott in einem dunklen Spiegel geschaut hätten, Moses allein aber ineinem polierten oder leuchtenden Spiegel (p. 257, corsivo mio).

Isserles trasforma poi l’immagine dello specchio oscuro (dunklerSpiegel) in quella di un normale specchio quotidiano, che, per la materiagrezza collocata dietro la superficie lucidata, non lascia passare la luce,ma appunto la riflette. Secondo questa versione, l’anima umana – inquanto composta anche di materia – sarebbe come uno specchio, nelquale il profeta osserva la propria figura:

Die grobmaterielle Natur des Menschen ist es, die nach Isserles hinterdem polierten Lichtspiegel steht, als welcher die Seele des Menschen ist.So verwandelt sich die Seele in einen Spiegel, und in der inneren Visionschaut er daher seine eigene Gestalt (p. 257).

La critica al cabalismo scholemiano... 199

Scholem spiega:

also gerade weil der Prophet auch eine stoffliche Natur hat, wird für ihndie prophetische Vision zu einer Schau seiner selbst, und nur Moses, derseine stoffliche Natur bis aufs äußerste gereinigt hatte, so daß sie nicht mehrden Durchgang des Lichtes verhinderte, erlangte daher eine Vision, inder keine Gestalt mehr vorhanden gewesen sei. In der so aufs äußerstegereinigten Seele erscheint nichts mehr als die reine Lichtfläche schlechthin,die nun das Göttliche repräsentiert (pp. 257-258, corsivi miei).

Questi passi lasciano intuire con sufficiente chiarezza quali figure sicelino – o si manifestino – nei due vocativi iniziali: si tratta dei profeti edi Mosè, “con quanto essi osservano”, in maniera diversa, nell’estasiprofetica: il proprio Sé. Sembra appunto questo il “personaggio”emergente dalla terza strofa. I profeti non possono averne che una visioneoscura, per la quantità di materia che grava la loro anima. Soltanto Mosè,l’unico ad aver purificato lo specchio della propria anima fino allo statodi puro medium – e più tardi ci accorgeremo dell’importanza di questadesignazione – è capace di accogliere la visione come una luce cheattraversa la sua “reine Lichtfläche”. In questa si dispiega intera larappresentazione del divino.

L’invocazione iniziale, solenne e insieme accorata, nettamentebipartita nella separazione strofica a dare risalto alle singole figure, sichiude con i due punti. Questi introducono una terza strofa, in cui sicondensa l’”evento” della poesia.

durchs zehn-türmige Wüstentor tritteuer Boten-Selbst vor euch, steht,einen Dreivokal lang,in der hohenRöte,

Il composto appositivo Boten-Selbst sembra essere formulatipicamente celaniana. E lo è, ma nella misura in cui racchiude in sél’allegoria che nelle medesime pagine di Scholem descrive il processodella visione profetica: l’apparire del Sé nelle vesti di un Messaggerodivino. La variante d’autore che il poeta introduce, sul piano linguistico,nel campo lessicale di questa allegoria, testimonia non solo del grado di

200 Enrico Tatasciore

appropriazione dell’immagine da lui raggiunto, ma anche, attraverso ladiscesa antiaulica del composto neologico, della distanza conseguita dallavoce nominante rispetto alle figure evocate. Si tratta, ancor più che deldistanziamento coatto che separa l’immagine biblica da una modernitàscettica, di una presa di distanze ricercata e conseguita dalla voce delpoeta, che non implica la messa in discussione scettica del simbolo – delBoten-Selbst –, ma una riserva sulla sua effettiva Wirkungskraft.Approfondiremo in seguito questo aspetto. Basti dire qui che ladesignazione del Boten-Selbst sembra conferire, per la sua qualitàlinguistica, quella sfumatura di distanziamento allo stesso processo dinominazione puntuale delle immagini in cui pure si inserisce.

Sul piano figurativo l’azione del Boten-Selbst avviene interamentenella scena aperta dai due vocativi, e pertiene in maniera diretta allasola esperienza dei profeti: tritt / euer Boten-Selbst vor euch. Il fatto che,proprio in questo punto saliente della “narrazione”, all’articolodeterminativo si sostituisca l’aggettivo possessivo, offre poi una ragionegrammaticale di base all’impressione di distanziamento: l’aggettivopossessivo intensifica sì la serie determinativa delle designazioni, maallo stesso tempo applica, a quello che avrebbe dovuto essere ilpersonaggio principale dell’evocazione e l’immagine epifanica del messodivino, una riduzione alla sola scena figurativa.

Questa immagine di un Sé personificato risponde alla tardacaratterizzazione cabbalistica dell’esperienza della profezia(originariamente occulta) in senso estremisticamente razionalistico. Lafigura del Sé deve essere razionalmente spiegabile, e per renderla tale icabbalisti ricorrono all’allegoria e alla prosopopea. Di più: essi giungonoa dichiarare la metamorfosi dell’uomo in angelo. Con le parole diScholem: “bei ihnen haben wir etwa die Bestimmung der Prophetie alseine Metamorphose des Menschen in seinen eigenen Engel, der ihmerscheint“ (p. 258).

Si legga ad esempio il passo riportato da Scholem (di Isaak Kohen diSoria, ca. 1270):

beim Propheten und Seher werden alle Arten seiner [physischen undseelischen] Kräfte schwach und verwandeln sich von Form zu Form, biser sich in die Kraft der Form einkleidet, die ihm erscheint, und dannwird seine Kraft in die Form eines Engels verwandelt, und diese Formdie in ihm substituiert wird, gibt ihm die Kraft, die prophetische Kraft

La critica al cabalismo scholemiano... 201

[welche ein Influxus von oben ist] aufzunehmen, und sie [diese angelischeForm] wird in seinem Herzen auf eine pneumatische, rein formhafte Weiseeingegraben. Und wenn der [angelische] Sendbote seine Sendung beendethat, so legt jener Prophet die Kraft der Form, die ihm erschienen ist, abund kleidet sich wieder in die Kraft seiner ersten Form ein und legt soFormen ab und an (p. 258, corsivo mio)

assieme alla spiegazione dello studioso: “erst in dieser Verwandlungvermag der Prophet die Botschaft des Engels, der er nun irgendwie selbergeworden ist, aufzunehmen und ihr standzuhalten“ (p. 258). Il Sé-Messaggero non è dunque altro che la personificazione, in forma diangelo, dell’interiorità del profeta, del suo Sé; è quella figura che,conseguita grazie al procedimento tipicamente cabbalistico dellosdoppiamento (che abbiamo visto applicato anche alla Shekinah),permette al profeta la comunione-comunicazione col divino nel momentoin cui dialoga misticamente con se stesso.

A questo punto ci si potrebbe chiedere se anche le altre immagini,che accompagnano in questa strofa quella del Boten-Selbst, siano trattedallo stesso libro e più precisamente dallo stesso capitolo. In questoincontriamo un passo che potrebbe far pensare alla hohe Röte, e loleggeremo più avanti. Le espressioni durchs zehn- / türmige Wüstentor eeinen Dreivokal lang danno maggiormente da pensare, giacché parrebberoscaturire da un processo di contaminatio tra l’immagine dei profeti e quelladi un’altra figura, questa volta propria della Kabbalah: il giusto (derGerechte). Zaddik, der Gerechte, è, assieme alla Shekinah, una delle piùimportanti figure del mondo delle sefiroth. Qui possiamo limitarci aschizzarne i tratti, rimandando al lungo capitolo ad essa dedicato daScholem (intitolato appunto Zaddik; der Gerechte).

Il Gerechter è l’ipostasi della forza vivificatrice di Dio nel suo fluiredall’alto verso il basso, dal mondo superiore a quello inferiore. Allo stessotempo, in quanto giusto e in perenne lotta con il male, egli è colui cheordina, colui che mantiene ogni res del creato al proprio posto, in armonia.Funzione che converge con quella della conservazione della vita nelmondo in immagini spesso scambievoli: la colonna, il Weltengrund,l’albero della vita, il fallo. Riporto solo una delle perspicue frasi diScholem: “das Wesen des Gerechten besteht im Sinne dieser Symbolikdes Lebendigen und Leben Erhaltenden also in der Herstellung derHarmonie oder der Friedens“ (p. 105).

202 Enrico Tatasciore

Come avviene anche per la Shekinah, la figura del Gerechter èconcepita nella dicotomia di una sua manifestazione superiore, che ne èil concetto propriamente mistico, e di una inferiore, immagine terrestre,dal carattere sociale, di quell’unico giusto celeste. Il Gerechter superioreopera anzi proprio attraverso l’azione, nel mondo inferiore, dell’irdischerGerechte (secondo un principio di corrispondenza degli “influssi” tra l’altoe il basso).

Come può il giusto farsi Weltengrund? La descrizione di questoprocesso di purificazione mistica, di svuotamento di sé, ricorda da vicinoquella dell’esperienza di Mosè. Ecco il passo che ci interessa:

der Gerechte steht im Nichts [...] Das Nichts ist das Nichts Gottes. Es istdie Sphäre des Göttlichen, aus der alle wahre Schöpfung entspringt; esist aber zugleich das Ende des Weges, den der Kabbalist bei derVersenkung in die Sefiroth durchschreitet. Auf diesem Wege muß er alleEigenschaften, alles Bestimmte von sich abwerfen, er muß sich selbstverschwindend klein, ja zu einem Nichts machen, um jenes „Tor desNichts“ durchschreiten zu können, von dem der Rabbi von Meseritz mitVorliebe spricht. Dies Nichts ist aber auch das ‚Abwerfen allerKörperlichkeit‘ im Gebet, der Stand im reinen Geistigen. Hierhin gründennun die paradoxen Aussagen über den Rang des Gerechten. Weil er selbstim Nichts steht und nichts für sich will und nichts von sich hat, wird erdas reine Medium, durch das der Schefa’, der göttliche Influx der Vitalität,in ihn fließt und durch ihn zu allen Wesen. Weil er sich selbst auf dieunterste Stufe stellt, sich für ein Nichts erachtet, gelangt er ins Zentrum.Weil er sich selbst entäußert hat und ein reines Medium geworden ist,wird er Spiegel genannt, denn jeder, der auf ihn schaut, sieht sich selbst‘(p. 128-129, corsivo mio).

Non è improbabile che l’espressione zehntürmiges Wüstentor alludaproprio a quel “Tor des Nichts” posto alla fine del cammino mistico, cheripercorre a ritroso le dieci sefiroth, “das Ende des Weges, den derKabbalist bei der Versenkung in die Sefiroth durchschreitet“ (p.128).

In quanto ridottosi al gradino più basso della creazione, il Gerechterdiventa dunque specchio (“Spiegel”), “reines Medium”, raggiunge ilcentro. Perciò egli è, nella simbologia cabbalistica, una colonna:

denn darin besteht das wahre Wesen des vollkommenen Gottesdienstes,daß die unteren Stufen nach oben erhoben werden. Und das bedeutet dasWort des Talmud: es gibt eine Säule in der Welt, und welche ist es? Der

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Gerechte. Denn der Gerechte wird Einer genannt, der Einheit wegen mitder er sich mit allen Stufen von der Erde bis zum Himmel vereint. [...] Unddeswegen heißt der Gerechte das All, weil er Himmel und Erde zugehört.Und deswegen heißt er auch der Weltengrund... (p. 130, corsivo mio).

Se è giusta la tesi di una contaminazione tra la figura di Mosè e quelladel Gerechter attraverso la comune fenomenologia dell’esperienza mistica,non è detto che l’espressione du Einer con cui Celan si rivolge a Mosè siaspiegabile col solo fatto che egli sia stato l’unico tra i profeti a conseguireuna pura visione. È anzi molto probabile che, con grande precisione,Celan designi con l’attributo del Gerechter, Einer, proprio colui che è statoun irdischer Gerechte (data la corrispondenza speculare tra figura terrestree figura celeste).

Il campo d’immagini evocato da Celan sembra rispondere più allalogica interna della poesia che a una reale, singola figura della tradizione.Questo mostra anche come il dialogo istituito dalla poesia non siapropriamente dialogo fra testo e testo, non si svolga tra la voce del poetae quelle singole della tradizione cabbalistica, né tantomeno quella diScholem, ma si risolva piuttosto in una evocazione d’immagini che sisono emancipate dal medium della fonte che le ha trasmesse e che, sipotrebbe dire, il poeta percepisce e interroga come una realtà. In questosenso intendiamo si possa ampliare il concetto di realtà nella liricacelaniana, a scapito di quello di letteratura come mera testualità.

Seguendo questa logica, potremmo chiederci quale significato si celidietro la curiosa espressione einen Dreivokal lang. Prima di leggere la“fonte”, possiamo riconoscervi il senso di una sospensione e di unaelevazione, il segno di una presenza. Allo Stehen (verbo chiave della liricacelaniana) del Boten-Selbst viene attribuita una durata, paragonabile allanota di un canto, che lo eleva e lo sospende in una sfera sacra e divina. Sitratta della sfera della “Kraft der drei Vokalpunkte”. Vale la pena dileggere il passo di Scholem (sempre nel capitolo sul Gerechter) per coglierei nessi, più figurativi che concettuali, con quello precedente: senzadimenticare che è la stessa natura del pensiero cabbalistico a privilegiareil nesso simbolico-figurativo su quello astratto-concettuale.

La liaison tra passi distanti è infatti istituita da un’immagine, quelladella colonna, in cui non solo, come abbiamo visto, è dato riconoscere ilGerechter, ma anche si allegorizza il processo stesso della creazione nellaspiegazione del Zohar a Genesi 1:5. Dalla luce compiuta del fuoriuscire

204 Enrico Tatasciore

di Dio da sé, luce che è la “mittlere Säule”, si dispiegano a destra il giorno,a sinistra la notte. Il lato del giorno ospita l’amore divino, quello dellanotte il giudizio divino:

die Rechte [die Potenz der Liebe Gottes] trat in jene vollkommene Säuleein, die in der Mitte steht und das Geheimnis der Linken [der Potenz desGerichtes Gottes] mit einschließt. Dann stieg sie wieder nach oben bis zujenem Urpunkt [der göttlichen Sophia] und ergriff dort die Kraft der dreiVokalpunkte Cholem, Schuruk und Chirek [o, u und i, die im Hebräischendurch Punkte über, im und unter dem Konsonanten ausgedrückt werden],die der heilige Samen sind, denn es gibt keinen Samen, der nicht durch diegeheime Kraft dieser Punkte ausgesät ist. Und alles verband sich[wiederum] in der mittleren Säule und brachte [aus diesem neuenSchöpfungsantrieb] den Weltengrund hervor, und darum wird dieser auchdas All genannt, denn er ist mit allem durch das Licht des Begehrens [derZeugungskraft, die sein Wesen ist] verbunden (p. 102).

Raggiungere la sommità dei “drei Vokalpunkte” vuol dire, in unadinamica della creazione che Celan finisce per estendere – almeno inpotentia – allo stesso Boten-Selbst, conseguire quella “Zeugungskraft”originaria che sola può permettere la comparsa di un mondo dalla luce.

Il Weltengrund scaturisce da un “Überschuß an Freude” della colonna,che diffonde armonia da ogni lato. Così termina il passo che abbiamocitato:

aus diesem Überschuß an Freude entsprang der Weltengrund, der daherauch Überschuß genannt wird. Aus diesem Ort steigen alle Scharen,Geister und heiligen Seelen nach unten, und das ist das Geheimnis der[dieser Sefira zugeordneten] Gottesnamen JHWH Zeba’oth, Gott derScharen, und Elohe ha-ruchoth, Gott der Geister (p. 103).

Non c’è dubbio che alla costellazione simbolica in cui s’intrecciano lefigure della Säule, del Gerechter e del Weltengrund, per quanto i passi chela delineano siano distanti, dal punto di vista argomentativo, da quellosul Boten-Selbst, sia da accostare proprio l’elemento umano dei profeti edi Mosè come la versione terrestre di un processo di generazione-evocazione del divino. In pieno spirito cabbalistico, Celan aveva intesotali personaggi come figura, ovvero possibile centro propulsore, di unanuova creazione, seppure dispiegantesi nella dimensione umana soltantocome visione. Ciò che l’immagine di Mosè e dei profeti reca con sé è, per

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il principio di corrispondenza tra il mondo inferiore e quello superiore,l’auspicio di una presenza del divino attorno all’umano – e di fatto lavisione profetica è proprio un comunicarsi del divino all’umano.

Il pensiero di Celan si inserisce però, in maniera “intrusiva”, proprionella rappresentazione di questo evento, scardinandone e mettendonein dubbio l’efficacia simbolica, ovvero la sua effettiva capacità di direl’evento come verità.

Ci avviciniamo così all’interpretazione del distico finale. Prima peròoccorrerà individuare un passo accostabile ai versi in der hohe / Röte, seve n’è uno. L’immagine s’impone, in verità, per la sua evidenzafigurativa, e non sembra necessitare di una “spiegazione” come eraavvenuto per l’espressione einen Dreivokal lang. Un passo del capitolosull’Astralleib l’ha però forse ispirata.

Si tratta ancora della descrizione dell’esperienza profetica, nelle paroledi un discepolo del mistico Abraham Abulafia (XIII-XIV secolo):

[...] daß ich eines Tages saß und ein kabbalistisches Geheimnisniederschieb, und plözlich sah ich die Gestalt meines Selbst mirgegenüberstehn und mein Selbst von mir entrückt und war genötigt undgezwungen, mit Schreiben aufzuhören; und auch als wir dieses Buchverfaßten und den unverstellten Gottesnamen nach seinen Vokalenvokalisierten, da erschienen vor unseren Augen störende Dinge, etwaswie rotes Feuer beim Sonnenuntergang, bis wir dadurch verwirrt wurdenund abließen (p. 252, corsivo mio).

Oltre al “rotes Feuer beim Sonnenuntergang” incontriamo in questopasso di nuovo una “vocalizzazione”, questa volta del nome di Dio,articolato in quattro vocali. Non occorre far quadrare i conti tra le vocali,come pure sarebbe possibile seguendo la tradizione mistica16 . Importanteè che qui, attraverso il medium delle vocali e della Vokalisierung –elemento fondamentale per la stessa poetica celaniana – sia istituito unaltro nesso, seppur debole, tra l’esperienza profetica raffigurata e il suocorrispondente doppio celeste, quello della Schöpfung di “alle Scharen,Geister und heiligen Seelen nach unten” “aus diesem Ort”, ovvero dal

16 Così Schulze, che si sofferma su alcuni passi di cabbalisti spagnoli, non con certezzanoti a Celan. Cfr. SCHULZE, Mystische Motive, pp. 497-498, e Celan und die Mystiker, pp. 40-41, opere citate alla nota 3.

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Weltengrund. Il mistero di questa creazione è racchiuso in uno dei nomidi Dio, “Dio delle schiere”. Stabilire un legame tra il passo sull’esperienzaprofetica e quello sul “Gott der Scharen” può aiutare ad intendere ilsignificato del distico finale. Ma, credo, può anche condurre a unfraintendimento per eccesso di acribia filologica. In effetti il punto dicontatto tra la citazione dal Zohar e la poesia si riduce, in questo caso, alparticipio passato geschart. Che, di rimando al soggetto della frase, inducea chiedersi: è possibile identificare il Volk in den Fernen con le “Scharen,Geister und heiligen Seelen”? La domanda presuppone un interrogativocui ancor più difficilmente si potrebbe rispondere, ovvero che nessoconcettuale esista fra i profeti e queste “schiere”.

Abbiamo però la sensazione che, discostandoci dal piano figurale,che è poi il piano del Gedicht, ci allontaneremmo dallo stesso senso dellapoesia, e che forse la soluzione più semplice, senza trascurarel’importanza delle suggestioni recate al poeta dai passi letti, risiedanell’intendere i versi non come il risultato di una serie di montaggicriptici, ma come l’ennesima immagine, in sé compiuta, proposta dallapoesia – questa volta in absentia. Il Volk in den Fernen potrebbe così essere,molto probabilmente, il popolo d’Israele, riunitosi allora, ma non piùadesso, attorno ai profeti.

als wär das Volk in den Fernenabermals um euch geschart.

Allora quando? Ai versi è possibile accostare Numeri 1 e 2, passi incui si narra del censimento svoltosi presso il monte Sinai prima che letribù, guidate da Mosè, si incamminassero nel deserto alla volta dellaTerra Promessa.

I figli d’Israele sono censiti, come ordina il Signore a Mosè nelTabernacolo di convegno, “secondo le loro famiglie e le loro casate” (Nm.1:2), “secondo le schiere” (Nm. 1:3). Le dodici tribù vengono attendatein un vasto accampamento di forma quadrangolare, tre per ciascuno deilati, attorno al Santuario o Tabernacolo, posto al centro del quadrilatero,secondo l’ordine del Signore: “si accampino i figli d’Israele ciascunopresso il suo vessillo principale, sotto le insegne delle loro casate paternee si dispongano intorno al Tabernacolo di convegno ad una certadistanza” (Nm. 2:2).

Memore forse anche di quest’immagine, il distico celaniano che

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nomina das Volk in den Fernen / abermals um euch geschart pare evocare unnuovo inizio, una nuova speranza, nel momento in cui la figura deiprofeti in contatto col divino si fa centro di uno spazio finalmentedefinibile da un senso, da una presenza che ne riempia il vuoto.

Il quadro delineato dalle figure dei profeti, dell’Einer e del Boten-Selbst, considerate nella loro realtà di simboli, reca con sé la potenzialitàdi dichiarare, proprio per il suo potere evocativo, la presenza diun’umanità reale. Questa è identificata col popolo d’Israele, ma nullaesclude che si tratti a sua volta di una figura – o di una metonimia – diun’umanità ripristinata. I versi sembrano disposti più a un’apertura chea una riduzione del senso. Ma torniamo all’interpretazione del disticofinale.

Si è parlato di simboli e di immagini. Proprio in quanto esperiti egenerati dalla poesia come reali essi sono tuttavia messi in discussione.La tradizione, assieme al pensiero scientifico che la preserva e latrasmette, spiegandola, alla modernità, è garanzia della loro realtà, lisostanzia nel loro permanere. Ma è allo stesso tempo teatro del loroconfronto con l’accadere storico, della continua verifica della loro validitàdi fronte a fatti che richiedono un’interpretazione. In questo senso lascienza storica scholemiana riporta alla luce per il pensiero moderno unsistema d’interpretazione del mondo, quello cabbalistico, senzanaturalmente affermarne la validità attuale, ma certo riscoprendone lavitalità e la potenzialità simbolica.

È questa che la poesia di Celan recepisce, per metterla a confrontocon la storia. E tale confronto si gioca tutto in quella proposizionecomparativa irreale (als wär) che, come amara chiusa epigrammatica,scardina l’intero edificio simbolico dei versi precedenti. Alla realtà delsimbolo non corrisponde più la realtà dell’oggetto evocato. I versicompletano sì il quadro con l’immagine di un popolo schierato attornoai profeti, anzi proprio nel quadro tracciato dalla poesia è possibile ancorauna volta (abermals) dire la presenza di un popolo – ma la stessa poesiaha la facoltà di smascherare l’illusione dell’immagine.

Si tratta forse di un processo di “svuotamento del simbolo”?L’uso della clausola modale segna uno scarto nella maniera allocutiva

della poesia, nel senso che se prima la voce dell’io lirico – nascosto edistante – si rivolgeva al “voi” come a persone (nel contesto fittivo dellapoesia), adesso interroga quelle figure anche come simboli. E in quanto

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tali riconosce loro la facoltà di ri-evocare un popolo, ma non (o non più)la pretesa di rispondenza alla realtà. Il simbolo non è propriamentesvuotato, è ancora operante – ne fa fede la “simpatia” con l’io lirico – mase ne riconosce l’inadeguatezza sostanziale alla realtà. L’illusione checomunque riesce a comunicare, proprio nel suo stridore rispetto al “fatto”che nessun popolo può più davvero schierarsi attorno a Mosè, apre peròlo spazio a quella potenzialità utopica che si esprime come un “cosìdovrebbe essere” trascendente la poesia e la realtà medesima, tanto delsimbolo quanto del “fatto”. In questo senso si potrebbe affermare checiò cui davvero la poesia si indirizza non è propriamente la denuncia diuna realtà (l’assenza di un popolo), bensì l’alternativa utopica che motivail suo aggirarsi dentro una contraddizione, quella tra la realtà e la suaincollocabilità ultima in qualsiasi costruzione di senso.

AUS ENGELSMATERIE, am Tagder Beseelung, phallischvereint im Einen– Er, der Belebend-Gerechte, schlief

dich mir zu,

Schwester –, aufwärtsströmend durch die Kanäle, hinaufin die Wurzelkrone:gescheiteltstemmt sie uns hoch, gleich-ewig,stehenden Hirns, ein Blitznäht uns die Schädel zurecht, die Schalenund allenoch zu zersamenden Knochen:

vom Osten gestreut, einzubringen imWesten, gleichewig –,

wo diese Schrift brennt, nach demDreivierteltod, vorder herumwälzenden Rest-seele, die sichvor Kronenangst krümmt,von urher.

DI MATERIA ANGELICA, nel giornodella rianimazione, fallicamenteriuniti nell’Unico– Egli, il Giusto-Vivificante, ti fecedormire addosso a me,

sorella –, verso l’altoscorrendo attraverso i canali, in sunella corona-radice:spartiti come capellici solleva in alto, ugual-eterni,a cervello ritto, un lampoci ricuce i crani, i guscie tuttele ossa ancora da fecondare a pezzi:

sparsi dall’Ovest, da raccogliere nell’Est,ugual-eterni –,

dove arde questa Scrittura, dopo lamorte a tre quarti, davantial rivoltolantesi restod’anima, cheper paura della corona si contorce,dal tempo dei tempi.

“Aus Engelsmaterie”: l’albero della vita, l’albero della morte

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1. A una prima lettura, questa poesia può apparire un coacervo diimmagini e simboli i cui veri significati sembrano irraggiungibili. Primadi cercare, attraverso il confronto con Scholem, di identificare, per quantopossibile, le “figure” di questo testo, sarà opportuno però ripercorrerloda lettori (quasi) ignari. Secondo un procedimento tipico di Celan, e diforte risalto strutturale in tutti i cinque testi “scholemiani” (ma si vedasoprattutto il primo della serie, Ihr mit dem), l’immagine iniziale, delineatain questo caso dalla prima strofa, prelude ad uno “sviluppo” nel testoattraverso un arresto sintattico, i due punti del v. 13, che introducono laseconda parte della poesia: sembra di poter dire che la “seconda parte”,qui costituita dalla seconda strofa (un unico verso) e dalla terza, aggiungaal contenuto della prima una sorta di riflessione attualizzante, fungendoda pointe epigrammatica in senso lato, concettuale e non formale.L’impressione più immediata alla lettura di Aus Engelsmaterie è quelladi una crudezza e violenza verbale applicate alla descrizione del destinodi un soggetto, la cui identità verrà rivelata soltanto al verso 9 (per l’”io”presente nell’inciso dei vv. 4-5 si farà un discorso a parte poco sotto): sitratta di un “noi”, in cui è dato riconoscere un popolo, quello d’Israele,o l’umanità, a seconda del livello di circostanzialità che si vuole attribuireall’”immagine latente” nel testo: quella dello sterminio, dei fumi deicrematori, delle costrizioni e delle violenze sui prigionieri17 .L’interpretazione che propongo mira a riconoscere l’oggetto implicitodi un sarcasmo che, di primo acchito, si manifesta al lettore come violenzaverbale dai contenuti non ben chiari. Innanzitutto l’espressione ausEngelsmaterie avrà bisogno di una spiegazione. Per ora si può dire che ilsoggetto della poesia (il “noi”) è fatto “di materia angelica”. Esso si trova,“nel giorno della rianimazione”, vale a dire nel Sabbath, giorno del riposodi Dio dalla creazione, “fallicamente riunito nell’Unico”. Le immaginidella Beseelung, “animazione fisica e spirituale” “conferimentodell’anima” (probabilmente associata al Sabbath in quanto suggello delcreato) e del fallo, e quella stessa dell’unione nel Gerechter (figura ches’incontra anche in Ihr mit dem, e in cui si identifica l’”Unico”), sononella simbologia cabbalistica immagini di vita, ma vengono qui impiegate

17 Il riferimento ai forni crematori, non del tutto evidente a prima lettura, sarà megliochiarito ed esplicitato nel corso dell’interpretazione.

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sarcasticamente a denunciare la morte causata dallo sterminio. Il Gerechter,“Giusto-Vivificante” costringe l’io all’unione (sessuale) con la “sorella”,figura in cui è da ravvisare, molto probabilmente, la comunità d’Israele.L’unione erotica è di per sé metafora positiva, nella simbologia dellaKabbalah, dell’unione mistica: qui l’identificazione del singolo con lacomunità (intesa come unica figura spirituale) è motivo del delitto, se ègiusta l’impressione che i versi nell’inciso (“– Egli, il Giusto-Vivificante, tifece dormire addosso a me, / sorella –”) siano “spiegazione” dell’unione“fallica” di cui si dice ai versi precedenti. All’immagine del fallo è correlatanella poesia (sempre in consonanza con la tradizione cabbalistica) quelladell’albero della vita. A partire dal v. 5, infatti, e fino alla fine della primastrofa, all’immagine della salita (aufwärts, “verso l’alto”, è la prima parolache segue l’inciso) si associa quella dello scorrere attraverso i “canali” diun albero capovolto, fino a raggiungere, in quel cielo che per Celan ospitasoltanto i fumi dei crematori, la “corona-radice”, immagine polisemica incui si condensa la gravità delittuosa della conversione della vita e dellasua “regalità” (anche in quanto “destino” di un popolo) in morte eannullamento del soggetto collettivo. Una animazione e fecondazionecapovolte, distorte, sembrano infatti descrivere gli ultimi versi della strofa(nel corso dell’interpretazione si cercherà di chiarirne le singoleespressioni), che attestano il compimento messianico in negativo dellaparola biblica, “sparsi nell’Ovest, da raccogliere nell’Est” (cfr. Isaia, 43:5).La seconda strofa è formata da quest’unico verso, il 14, sorta di confermasarcastica al destino di uguaglianza ed eternità che accomuna il “noi”, lasemente sparsa da Dio, nell’annullamento e non più nella Beseelung. Laterza strofa, che incomincia con le parole “dove arde questa Scrittura”,sembra riferirsi proprio alle parole di Isaia, e attraverso di esse alla Scrittura,per descrivere ancora una volta l’esistenza dell’anima, o meglio di ciò chene resta dopo la morte “a tre quarti” infertale dal nazismo (anchequest’espressione verrà chiarita più avanti), di fronte all’irrevocabilità delproprio destino. Questo “resto di anima”, che vaga ancora nel mondosenza aver raggiunto la compiutezza della morte, si contorce per la “pauradella corona”, forse di quel Dio-Gerechter trasformatosi in Dio di morte. El’ultimo verso, probabilmente un ulteriore appunto sarcastico, proietta alpassato, in una sorta di retrospettiva accusa alla remissività dell’anima,alla sua Kronenangst, tale destino: von urher, “dal tempo dei tempi”.

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2. Aus Engelsmaterie appare per certi versi meno problematica dellapoesia che la precede nella sezione, Ihr mit dem (tutta volta all’attesapositiva, ma frustrata nel finale, di un “evento”, il ripristino dellacomunione con Dio), in quanto più facilmente riconducibile a quellalinea del sarcasmo che percorre l’intera raccolta e che, nella modalità diuno stridente accostamento – o fusione – tra lessico religioso e realtàfisica della morte si potrebbe già vedere esemplificata in ÜppigeDurchsage, sempre nella quarta sezione18 . Sebbene tutta costruita suimmagini tratte dal libro di Scholem, Aus Engelsmaterie rivela infatti, nelcomplesso, la “mano dell’artefice” più di quanto non facesse la poesiaimmediatamente precedente, in cui l’io lirico, come voce “fuori campo”,si limitava a interrogare un’immagine determinata e pressoché fedele(quella del Boten-Selbst), frutto di una contaminazione giustificata –almeno in parte – dallo sfondo simbolico da cui si distaccava. In Ihr mitdem compariva per la prima volta, inoltre, una figura della Kabbalahche troverà particolari declinazioni nella poesia qui analizzata e nellasuccessiva, Die freigeblasene Leuchtsaat. Si tratta del Gerechter, Zaddik,ovvero il “giusto”, assieme alla Shekinah una delle più importanti figuredel mondo delle sefiroth, e che abbiamo già incontrato nella lettura dellapoesia precedente.

Ihr mit dem evocava, attraverso la figura del giusto “terrestre” Mosè(Du Einer, v. 1), il ritorno dell’antico fondamento, di quel giusto “celeste”che instaurasse la perduta armonia tra Dio e le sue creature (e inparticolare il suo “popolo”, v. 12): la simbologia cabbalistica era impiegatain questo caso nella e per la sua valenza positiva e vitale, come linguaggioatto a dire una speranza di salvezza non altrimenti rappresentabile. Nellapoesia che qui si legge, invece, il poeta sembra dare una sua personaleversione, in chiave sarcastica, di un evento e di una promessa di cui siparla nel libro di Scholem (e dunque nel Vecchio Testamento e neicommenti cabbalistici), il Tag der Beseelung. La simbologia cabbalistica è

18 GW II, p. 192. Utili indicazioni per un’interpretazione di questo testo (in cui laterminologia religiosa allude abbastanza scopertamente al campo d’immagini relativoallo sterminio nei Lager) si trovano nello studio di HANS-PETER BAYERDÖRFER, “PoetischerSarkasmus. ‚Fadensonnen’ und die Wende zum Spätwerk“, in Text+Kritik, 53-54, 1977,pp. 55-63. A tale lavoro devo diversi spunti, concernenti la nozione di sarcasmo (anchenelle sue implicazioni strutturali, non solo retoriche), per l’interpretazione delle poesiequi analizzate.

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impiegata in questo caso per essere capovolta, e le immagini che il suolinguaggio serve a tracciare costituiscono il verso, sfigurato dalla storia,della luminosa tela del mondo tessuta dai cabbalisti.

Solo parzialmente Aus Engelsmaterie può essere ricondotta a singolipassi del libro di Scholem, e credo che in questo caso una riduzionepuntuale dei singoli termini al significato loro attribuito nel libro (cosache si è potuto fare per Ihr mit dem) possa essere più fuorviante chefeconda.

Certo, la poesia impiega veri e propri “termini tecnici” del lessicoscholemiano. Questi tuttavia, proprio per il conseguito distacco dallospirito originario con cui erano usati, non servono più a delineare unsimbolo con la massima precisione, ma a costruire un controtesto, unaversione personale fornita dalla soggettività costruente il testo: unGegenzeugnis19.

Mi sono servito di espressioni come “termine tecnico” e “spiritooriginario”. Non si era parlato, prima, piuttosto di simboli, e non sarebbemeglio usare la parola “contesto”? Il fatto è che il “dialogo tra testo etesto” nasconde in realtà un più profondo confronto tra contenuti, traidee. Nel nostro caso, ciò che, in quanto mera parola, può apparire comeun termine tecnico, ovvero un termine dal significato preciso e impiegatoin un dato settore di discorso, assurge a parola designante un simbolonello specifico di un discorso che proprio di “Bilder und Symbole” tratta.

Lo spirito originario cui il significato di una parola appartiene inun testo è qualcosa di più che il suo contesto. Viceversa, nel momento incui tale parola viene non estrapolata dal contesto, ma spogliata dellospirito originario per essere espressa, nel nuovo testo, con un altro “tono”,essa consegue uno stato quantomeno ambiguo, pur rimanendo immutatoil suo significato letterale e specifico, “tecnico”.

Tale aggettivo, dunque, si presta bene a dar conto dell’operazionedi reimpiego fedele nel lessico, ma infedele nello spirito, cui Celansottopone parole che comunque restano a designare simboli. È infattiproprio la conservazione della funzione simbolica delle immagini cheinteressa a un’operazione come questa. Ancora una volta, l’operazionesulle parole non è fine a se stessa – perciò resta difficile parlare di citazione

19 Si veda sempre HANS-PETER BAYERDÖRFER, op. cit. alla nota 18, passim.

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o montaggio –, ma soggiace a una più profonda operazione sui simboli,a un mutato modo di intenderli.

Immagini della vita vengono reimpiegate a denunciare qualcosa chenon è più vita. Nessuno dei termini fondamentali della figurazionesimbolica del Gerechter come detentore dell’armonia della vita eprefigurazione messianica del ritorno alla Heimat originaria è modificatodal punto di vista linguistico (nemmeno sul piano del significato). Né leimmagini in sé sono propriamente infedeli alla tradizione tramandata.Eccetto alcuni casi, l’effetto del sarcasmo sembra esercitarsi sul pianodella dispositio delle immagini e di una scelta ad hoc, per cui dietrociascuna di esse nel testo trapela abbastanza chiaramente la funzionepositiva che svolgeva nell’ipotesto, qualora questo sia noto.

L’operazione che in questo spirito dà l’avvio al ductus sarcastico dellapoesia con le parole aus Engelsmaterie è piuttosto sottile: è l’unico caso incui per comprendere appieno il sarcasmo occorre essere a conoscenza diun dato “tecnico” – ma è anche l’incipit della poesia, e forse la chiaveper afferrarne il procedimento allusivo. In verità non dovrebbe sfuggireal lettore di Celan, di primo acchito, il potenziale sarcastico di unaconcrezione verbale tipica per la sua crudezza, come se ne ritrovanoparecchie in Fadensonnen e in genere nell’opera tarda. Analogamente alcaso della parola Boten-Selbst, composto linguistico celaniano ma di sicuramatrice cabbalistica (Ihr mit dem, v. 8) anche in Engelsmaterie sembrapalesarsi più che altrove la “voce del poeta”, l’istanza di una soggettivitàcostruttrice, padrona della materia linguistica, più che di un soggettointerno al testo.

AUS ENGELSMATERIE, am Tagder Beseelung, phallischvereint im Einen– Er, der Belebend-Gerechte, schlief dich mir zu,

5 Schwester –, aufwärtsströmend durch die Kanäle, hinaufin die Wurzelkrone:gescheiteltstemmt sie uns hoch, gleich-ewig,

10 stehenden Hirns, ein Blitznäht uns die Schädel zurecht, die Schalenund allenoch zu zersamenden Knochen:

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Il passo di Scholem che soccorre a questo discorso è il seguente(tratto dal capitolo Zaddik; der Gerechte):

die Seele alles Lebendigen nach seiner jeweiligen Artung – so wurdeGenesis 1:24 aufgefaßt – stammt hierher [ovvero dalla „letzte, passivempfangende Sefira“, fecondata „durch die Einwirkung der positivenKraft des Lebens“, rappresentata dalla sefira del Gerechter], selbst dieSeele des Messias und die Seele der Engel; denn auch die Engel haben,wie Gikatilla den Philosophen gegenüber (die sie als reine Formenauffassen) versichert, eine Seele, da sie auch eine freilich subtile Materiebesitzen (p. 98, corsivo mio).

Engelsmaterie è allora quella particolare materia, quella “subtileMaterie” che costituisce l’anima degli angeli. In nessun luogo si dice cheanche l’anima degli uomini possa essere formata aus Engelsmaterie: laloro è una materia più densa e pesante di quella angelica.

Pare evidente che Celan, con questo improprium teologico, vogliaalludere all’orrore dei forni crematori. Col fumo dei forni i corpi salgonoal cielo, ridotti ormai a una materia più rarefatta e sottile, a unaEngelsmaterie. Una delle immagini archetipiche della poesia celanianalavora dunque dietro questo testo come quel costante Gegenzeugnis cheinveste della sua luce fosca lo Zeugnis dei simboli della tradizione.Costruisce la storia di una controparola dietro quella della parola. “Wortedes Zeugnisses haben eine besondere Sprach-Geschichte, in der sie,Sprache und kulturgeschichtliche Räume wechselnd, in prophetischeroder in dichterischer Überlieferungskette tradiert werden” (ma perchénon anche in contesto scientifico?) – “Wie es diese Sprach-Geschichtegibt – und Celans Dichtung tut alles, um sie in Bewußtsein zu heben –,so auch eine Geschichte der Gegenworte”20 . E in questo caso si può direche quell’immagine archetipica, interna alla storia della poesia celaniana,sia ormai entrata a far parte della storia dei Gegenzeugnisse.

L’immagine di un ritorno al cielo contra naturam si oppone, nellapoesia, a quella del flusso della vita simboleggiato dal Gerechter proprioin quanto Belebender. Tale stato di ordine e di armonia nel mondo –

20 Cfr. HANS-PETER BAYERDÖRFER, op. cit. alla nota 18, pp. 48-49.

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tralasciamo per ora il problema della frattura di questa armonia –risponde, come abbiamo già visto, alla sua figura di “Lebender und LebenErhaltender”. Egli è la sefira in cui l’influxus divino del mondo superioresi irreggimenta – in questo senso ricorre spesso l’immagine dei “Kanäle”– e scorre come forza fecondatrice nell’ultima sefira (la Shekinah), nelmondo inferiore.

La simbologia del Lebensbaum, nelle cui vene scorre la linfa dell’amoredivino, e quella del fallo, sono spesso connesse a questa idea:

diese Sefira, als der Ausgleich aller anderen Kräfte, ist auch der „Kanal“,durch den alle Bäche und Ströme der oberen Sefiroth ins Meer derSchechina strömen. Hier fehlt wohl noch das später mit diesem Motivverbundene phallussymbolische Moment (p. 92);

in kühner Symbolik wird im Sohar der Phallus selbst zum Lebensbaum(p. 101).

Se il libro Bahir dice però che “der Baum ist in Gottes Erde [ovvero“die Sefiroth des Zaddik und der Shekinah”] eingepflanzt undverwurzelt”, l’immagine celaniana si riconferma ancora una volta comeconversione sarcastica della simbologia tradizionale. A questa si opponela controtradizione della poesia: come non ricordare i versi iniziali di Inder Luft (in Die Niemandsrose, GW I, p. 290), leggendo di questa ennesimaascensione?

Manca però ancora un elemento per completare il campo simbolicoin cui la poesia si muove. È il più importante, giacché motiva, almenosul piano figurativo, proprio la conversione del processo discensionaledell’amore divino in processo ascensionale di un’umanità dispersa.

La motivazione è intrinseca alla tradizione stessa, il sarcasmo affondain essa le sue radici e si riconferma come procedimento “dotto”,controcanto che scaturisce da un confronto serrato con l’immaginepositiva. Si tratta della simbologia del Sabbath, di quel Tag der Beseelungche condensa allo stesso tempo il motivo della quiete e dell’equilibrioseguenti alla creazione, e quello – messianico – del ritorno delle animealla loro origine. Ancora una volta il Gerechter si offre come figuramediatrice di dinamiche multidirezionali. Egli occupa – secondo larappresentazione del libro Bahir – la settima sefira (p. 89), il settimo logos,di cui si dice:

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der siebente Logos wird hier als der mystische Osten definiert, dem imWesten die Schechina gegenübersteht. Aus dem Osten stammt der Same,der in der Sphäre der Schechina in die Welt tritt und aus ihr, ‘wo sichaller Samen vermischt‘, bei der Erlösung wieder heimgebracht wird. [...]Auf diese beiden Sefiroth wird der Vers Jesaja 43:5 bezogen: ,Von Ostenbringe ich deinen Samen, und von Westen sammle ich dich ein‘ (p. 89).

In quanto occupante la settima sefira, il Gerechter è dunque identificatocon l’Est mistico, origine del seme umano e della vita. Ma in quantoappartenente anche all’ottava sefira, egli è – sempre secondo il Bahir –“das Fundament aller Seelen und der achte [logos]”. Come si spiegaquesta apparente discrepanza? La citazione prosegue così:

es heißt doch aber [Exodus 31:17]: „und am siebenten Tag war Sabbathund Beseelung“? Ja, er ist [in der Tat] der siebente [Logos], denn er gleichtzwischen ihnen aus. Jene Sechs nämlich [teilen sich in] drei unten und dreioben, und er gleicht zwischen ihnen aus. Und warum heißt er der siebente?War er denn erst am siebenten [Tag]? Nein, vielmehr [wird er so gezählt],weil Gott am Sabbath ruhte. Von jenem Attribut heißt es: „Denn sechs Tagehat Gott gemacht, den Himmel und die Erde, und am siebenten Tag ruhteer und feierte [war Sabbath und Beseelung] (pp. 89-90).

L’identificazione del Gerechter con il “Fundament der Welt, dasFundament der Seelen und der Sabbath” (p. 90) sfocia nella simbologiadella colonna, di quella “Kosmische Potenz, die die Welt oben und untenerhält”( „eine Säule geht von der Erde bis zum Himmel, und ‚Gerechter’ist ihr Name“ [p. 90]). E, come già detto, “Die Symbolik der Säule […]entspricht der des Lebensbaums, der von der Erde bis zum Himmel wächstund der den Autoren des Bahir nach zum kosmischen Weltenbaumgeworden ist, […], und vielleicht auch schon der Symbolik des Phallus”(p. 90) – tenendo presente il passaggio che dal Lebensbaum conduce alWeltenbaum, implicita premessa per un’identificazione del motivo terrestrecon quello messianico. Si legge infatti nel paragrafo seguente:

als das Fundament der Welt (Jessod ’Olam) bildet der Gerechte denharmonischen Ausgleich aller über ihm sich entfaltenden Potenzen. DieSymbolik des Sabbaths bildet die Verbindung zwischen dem Motiv desAusgleichs und der Ruhe, in der sich, wie es (§ 105) dann weiter heißt,„alle Wirkungen erfüllen“, und dem Motiv vom Ursprung oder derHeimat der Seele. Aus dem mystischen Sabbath, der aber nichts ist als

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jene Säule, die den Bestand der Welt verbürgt, „fliegen alle Seelen aus“(§ 39), ein Bild, das uns wieder auf das Motiv des kosmischen Baumeszurückführt, von dem die Seelen als Vögel ausfliegen (pp. 90-91).

Il Gerechter è, dunque, origine e mezzo della propagazione della vitanel mondo e, allo stesso tempo, fondamento delle anime, Seelengrund.Ancora: “als Leben der Welten tritt hier die Symbolik des Lebens, die mitder des Gerechten nun stets verbunden bleibt, zuerst auf, und dasLebendige hängt hier mit dem Beseelten zusammen“ (p. 91).

Il Gerechter è, sempre secondo il Bahir, Weltenleben, Chej ‘Olamin (cheScholem spiega come “der Ewig-Lebende”), e “Prinzip des Sabbaths”.

Da questo denso sostrato simbolico – che abbiamo potuto ricostruiresolo parzialmente, ma nelle linee fondamentali – si distacca la poesia diCelan come il tentativo di descrivere la realizzazione della promessa divina(espressa in Isaia 43:5, “Von Osten bringe ich deinen Samen, und vonWesten sammle ich dich ein”) dopo la catastrofe storica, quando cioè il semeè divenuto sterile e le immagini di vita sono diventate simboli di morte. Ilsimbolo della vita e della Beseelung resta ancora la figura accentratrice diun processo di ritorno all’origine, all’unità (vereint im Einen) e all’eterno(gleich-ewig), di una resurrezione dei corpi – ma sotto il macabro segnodella morte.

Al terzo verso si può dunque accostare il passo già citato: “Denn derGerechte wird Einer genannt, der Einheit wegen mit der er sich mit allenStufen von der Erde bis zum Himmel vereint“, che aiuta anche ad intenderel’aggettivo sostantivato come un maschile piuttosto che un neutro.

L’incidentale dei vv. 4-5 è, di conseguenza, direttamente riferita aquell’Einer come un’analessi, il rapido flash back di un momento – l’unico,peraltro, in cui si esprime la voce di un io rivolto a un tu. Si potrebbeinfatti alludere qui, con un’aggressività solo in parte giustificabile tramitela simbologia fallica, all’ingresso dell’io singolo nel mondo,dell’”Einzelseele” proveniente da quel “Seelenschatz” che è il Gerechter(cfr. p. 91), nella sefira della Shekinah, spesso appellata come “Sorella”(cfr. p. 89). Difficile dire se poi con Schwester si alluda alla “GemeindeIsrael”, come permetterebbe di supporre la simbologia della Shekinah21 .

21 Il rapporto tra la Shekinah e la “Gemeinde Israel” sarà meglio approfonditonell’analisi di Nah, im Aortenbogen.

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L’analessi potrebbe però anche riferirsi allo stesso processo di“Vereinigung” (cfr. v. 3, vereint im Einem) che ha condotto allo stato attualedel soggetto nella poesia, a quell’unione coatta in cui l’io sarebbe costrettoall’incesto.

Comunque s’intendano i versi, la figura del Belebend-Gerechter acquistatratti di arrogante violenza, tanto che egli appare qui quasi come un Meisteraus Deutschland22 . Il cammino, inverso a quello della vita, che una similefigura bifronte esige dagli uomini, percorre le stesse vie che una simbologianon ancora pervertita dalla storia attribuiva allo “Strom des Lebens”.Grazie al Gerechter, infatti, secondo la tradizione cabbalistica, tale fiumedella vita “unterliegt hier der Beschränkung in vorgegebenen Grenzen,nach der Maßgabe der Aufnahmefähigkeit und Aufnahmewürdigkeit derkreatürlichen Welt“ (p. 98).

È forse proprio un simile aspetto della funzione del Gerechter acostituire una premessa per la conversione in senso autoritario della suafigura. Si tratta appunto della sua forza di mantenitore e tutelatoredell’ordine. A un lettore quale Celan, tanto pronto a coglierecorrispondenze in senso libertario – o addirittura anarchico – quantosensibile ad ogni possibile retrosignificato di tipo autoritario, nondovevano restare indifferenti enunciati riferiti a questo aspetto delGerechter, soprattutto nelle sue vesti di irdischer Gerechte. Si leggano iseguenti passi:

‘denn darum werden die Gerechten so genannt, weil sie alle inneren Dingean ihren Ort im Inneren und alles Äußere an seinen Ort im Äußerenstellen, und nichts tritt aus den ihm gesetzten Grenzen, und darum heißensie Gerechte‘ (Scha’are Zadek, Bl. 16a). [...] Der Gerechte stellt alles in derWelt an die ihm zukommende Stelle (p. 99).

Zweifellos ist die Gewalt des Zaddik als eines Gesandten der geistigenWelt und eines Helfers der Menschheit außerordentlich (p. 122).

Der Baalschem spricht gern vom Rosch ha-Dor, dem Führer derGeneration, in diesem geistigen Sinn. Er ist der Mann, der in Gemeinschaftmit Gott lebt, aber seine Macht benutzt, um seine Mitmenschen mit sichnach oben zu ziehn (p. 122).

22 Ovvero il demoniaco personaggio che, nella famosissima Todesfuge (GW I, p. 41),impersona la morte stessa (der Tod ist ein Meister aus Deutschland).

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La possibilità di una “risalita” del fiume della vita è comunquecontemplata dalla mistica cabbalistica, secondo la quale

wenn der Mensch am Ufer dieses Flusses [des Lebensstromes] nachaufwärts geht und sich nie von seinen Ufern trennt, so gelangt er zudem Ort, aus dem er fließt, und dem Quell, aus dem das Leben stammt,und das ist das Geheimnis der Stationen der Wanderung Israels in derWüste (p. 99).

Quest’ultimo riferimento a Israele ci riconduce all’interpretazione diquella Schwester cui l’io è unito dal Belebend-Gerechter. Sebbene, come siè detto, appare rischiosa una piena identificazione della Schwester conIsraele (ma meno con la Shekinah in quanto sefira che accoglie il flussodella vita), non è detto che sia impossibile istituire un nesso tra laShekinah stessa e il destino di quel popolo d’Israele che abbiamo vistoadombrato nei versi finali di Ihr mit dem. In effetti, benché Israele sia lameno identificabile delle immagini sul piano testuale, è probabile cheesso sia presente – proprio in absentia – in quanto destinatario originariodell’universo simbolico di cui il poeta si serve. Se diventi poi figura,nella poesia di Celan, del destino di una più vasta umanità, resta unpunto difficilmente determinabile, ma per la cui plausibilitàpropendiamo. Più che attraverso la rilettura del poeta, potremmo direche Israele appartenga a queste immagini come il referente umano cheda sempre ha conferito loro senso e sostanza23 . Deve esservi perciòsempre alluso, tanto più se ciò che la poesia di Celan canta, la Shoah,costituisce proprio l’ultimo evento del destino storico di questo soggetto,

23 Nell’Introduzione a La Kabbalah e il suo simbolismo, op. cit. alla nota 9, pp. 3-4, Scholemscrive a proposito del rapporto tra Kabbalah e storia ebraica: “Quando – verso la fine delsecolo XVIII – gli ebrei dell’Europa occidentale imboccarono con tanta decisione la viadella cultura europea, la Kabbalah fu una della prime e più importanti vittime cadute suquesta strada. Il mondo del misticismo ebraico, col suo simbolismo intricato e interamenteintroverso, era ora sentito come estraneo e perturbatore, e veniva rapidamente dimenticato.I cabbalisti avevano cercato di sondare o di descrivere il mistero del mondo nel senso diun rispecchiamento dei misteri della stessa vita divina, e le immagini in cui si eranocondensate le loro esperienze erano troppo profondamente connesse con le esperienzestoriche del popolo ebraico, dunque con esperienze che nel secolo XIX sembravano averperduto la loro attualità. Per secoli questo mondo aveva avuto un valore vitale per laconcezione che gli ebrei avevano di se stessi. Ora scompariva, travolto in certo modo nelvortice dell’età moderna…”

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di questo popolo. È chiaro che al soggiacere delle immagini dellosterminio dietro il procedimento sarcastico corrisponda l’identificazionedi Israele con il referente diretto della simbologia impiegata dalla poesia.Attorno a un soggetto che è sempre lo stesso vengono intessuti riferimentistorici e simbolici, alla ricerca di un “perché” espresso e negativo dalprocedimento sarcastico.

Riportiamo dunque due passi dal capitolo Seelenwanderung undSympathie der Seelen che rendono più chiaro il nesso con Israele:

Ist Israel gut vor Gott, so bringe ich deinen Samen von diesem Ort, undneuer Same ersteht dir; ist Israel aber schlecht, so nehme ich von demSamen, der schon in der Welt war und von dem es heißt: ‘Ein Geschlechtgeht, und ein Geschlecht kommt’, das heißt, daß es schon einmal gekommenist. Was aber bedeutet: ‘Von Westen sammle ich dich ein’? Aus jener Sphäre,die stets nach Westen neigt. Warum heißt der Westen ma’arabh [das heißtVermischung]? Weil dort sich aller Same vermischt. Ein Gleichnis von einemPrinzen: der hatte in seinen Gemächern eine schöne und züchtige Braut,und er pflegte aus dem Hause seines Vaters Reichtümer zu nehmen undstets zu ihr zu bringen, und sie nahm alles, legte es beiseite und mischtealles durcheinander. Nach Ablauf der Tage wollte er sehen, was er vereinigtund gesammelt hatte, und davon heißt es: aus der Vermischung sammleich dich ein. Das Haus des Vaters aber bedeutet den Osten, aus dem er denSamen bringt und im Westen aussät; und am Ende sammelt er wieder ein,was er ausgesät hat (Bahir, §104) (p. 200).

Im Osten ist das Schatzhaus der Seelen, die in die Sphäre der Schechina,die der mystische Westen oder die Vermischung ist, ausgesät werden.Die Schechina ist hier zugleich die Braut des Königssohnes und dieEkklesia Israel. Was in ihren Bereich eintritt, sind die Seelen Israels, dieerst ‘nach Ablauf der Tage’, das heißt am Ende der Zeit, in der Erlösungaus dieser ihrer Vermischung wieder eingesammelt werden (p. 201)

Una “Erlösung aus der Vermischung” sembrano offrire i versi dellapoesia al popolo d’Israele. La storia ha confermato ironicamente le paroledel profeta (v.14):

vom Osten gestreut, einzubringen im Westen, gleich-ewig –,

che proprio come un’assicurazione dell’avvenuta Erlösung, delmantenimento del patto, suggellano (dopo i due punti, in un’unica strofa)i versi di quel macabro ritorno alla Lebensquell. La ribadita Gleich-Ewigkeit,

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in cui gli uomini sono stati riuniti nel segno dell’Einer, è nient’altro chel’indifferenziato destino di morte che li ha accomunati: la perditadell’identità.

L’aggettivo composto gleich-ewig introduce, e conclude in anafora, ilprocesso di “ricucitura” e “riparazione” cui sono sottoposti i corpi degliuomini, gescheitelt (spaccati, o forse messi in riga; il verbo si riferiscepropriamente alla scriminatura dei capelli), nella Erlösung finale.L’immagine sarcastica dei vv. 8-13, oltre che condensare come macabroadempimento l’operato del Gerechter come Ausgleicher e Ewig-Lebender,si rivolge a un’altra figura della tradizione mistica, quella del “Bruchder Gefäße”. La versione celaniana si serve ancora una volta abbastanzainfedelmente della “fonte”, che agisce più che altro come impulso allafigurazione.

La teoria della rottura dei vasi spiegava ad un tempo la nascita delmondo come esteriorizzazione, rivoluzione dall’interiore all’esteriore, ela presenza di faville del Bene persino all’interno del Male. Non tutti gliaspetti di questa teoria sono forse implicati nei versi di Celan, ma saràcomunque utile leggere alcuni passi di Scholem in proposito perintendere meglio l’amara allusione nascosta nella parola Schalen (v. 11).Si tratta di una parola dell’uso comune, ma in questo caso impiegatacome termine tecnico par excellence, spia di un significato latente.

“Auch im Bösen leuchtet ein Funke des göttlichen Lichtes” (p. 70):Bene e Male sono, secondo il Zohar e l’intera tarda Kabbalah, intrecciatil’uno nell’altro. Nelle scorie del Male brilla ancora una favilla del Beneoriginario, anche indipendentemente dall’agire umano (troveremoaffermazioni simili quando ci occuperemo della Lichtsaat divina nellalettura di Die freigeblasene Leuchtsaat). Tale permanere della Urlicht nelMale è anzi premessa di un ritorno del mondo al Bene originario.

Secondo la teoria del “Bruch der Gefäße”, elementi del mondosefirotico sono stati trascinati nella caduta verso il basso:

Denn als die Gefäße des innerlichen, göttlichen Lichtes, die sich in diesenhöchsten Strukturen bildeten, infolge ihrer eigenen Gesetzlichkeitauseinanderbrachen, weil eine Revolution des Inneren ins Äußere, eineExteriorisation der göttlichen Schaffenskraft, in dieser Gesetzlichkeitangelegt war, da brachen mit den Scherben der zerbrochenen Gefäße,aus denen sich die Schlachen der ‘Schalen’ oder Klippoth bildeten, aucheinige Funken des inneren Lichtes aus der Welt des Adam Kadmon nach

222 Enrico Tatasciore

unten. Sie sind es, die nun auch in allen Sphären, über die das Böse Gewalterlangt, noch leuchten und in merkwürdiger Zweideutigkeit es einerseitsbeleben, ihm seine Existenz und Wirkungsmacht garantieren, anderseitsaber eben aus ihm herausgeholt werden sollen. Ob solches Herausholendann die Sphäre des Bösen vernichtet, indem sie es ihres lebendigenElements beraubt, oder es erlöst, indem sie es verwandelt und mit sichin die restituierte Harmonie der Dinge wieder einführt, darüber sind dieKabbalisten niemals einig geworden, und beide Meinungen sind immerwieder nebeneinander vertreten worden (pp.71-72).

Ho riportato la citazione per esteso affinché nessun elemento mancasseal campo simbolico celato dietro il termine “Schalen”. In particolare,bisogna riconoscere che, sebbene i versi di Celan non offrano punti dicontatto diretti nel testo, la loro vicinanza a questo passo è abbastanzaevidente: tra le due versioni della Herausholung finale essi sembrano volerconfermare la prima. Nessuna reale “Harmonie der Dinge” è restituita aquesti uomini, e la ricomposizione dei vasi rotti non è altro che lariconferma del male – nemmeno annientato, come vorrebbe la teoriacabbalistica – e la spoliazione finale di ogni elemento vivente.

La parola “Schalen” non è altro che la spia di queste possibiliimplicazioni. Ma il tratto “dotto” della sua allusività in quanto terminus èmascherato dalla sicurezza, tipicamente celaniana, con cui la parola siinserisce nel ductus testuale, come variazione – quasi per paronomasia –della precedente Schädel: il significato d’uso della parola “Schalen” concorredunque allusivamente con quello “tecnico”, collegando l’originalefigurazione della poesia a quella della tradizione cabbalistica. Il filo rossodel paradossale adempimento della Erlösung passa anche attraverso lasimbologia implicita in questi versi.

Al verso isolato che riprende le parole di Isaia segue l’ultima strofa:

15 wo diese Schrift brennt, nach demDreivierteltod, vorder herumwälzenden Rest-seele, die sichvor Kronenangst krümmt,

20 von urher.

Questa strofa costituisce una sorta di epigrafe, che imprime il marchiodella irrimediabilità alle parole precedenti. È difficile decidere se

La critica al cabalismo scholemiano... 223

attribuire la solennità con cui si esprimono questi versi ancora alprocedimento sarcastico. Con la seconda strofa – la conferma della profezia– il sarcasmo ha conseguito sfumature quasi da ironia tragica, segnandoun ulteriore distacco dalla “fonte”. Agisce ormai internamente al testo,nei rimandi del suo movimento sintattico-narrativo. La terza strofa sembracostituirsi come ultimo gradino di questo movimento: metatestualmernte,si riferisce alle parole di Isaia (diese Schrift, ma l’allusione può essere estesaall’intera Scrittura, che custodisce quelle parole); in essa, però, vieneindicato ancora una volta quello spazio “aereo” di una Heimat negativa(wo diese Schrift brennt) aperto dai versi precedenti.

Lo spazio in cui la promessa divina arde della sua conferma è quelloin cui le anime, ridotte a herumwälzende Restseele, attendono di entrare percompletare la loro morte.

Di nuovo una teoria cabbalistica è piegata alla rappresentazione di undestino che ne capovolge il significato. Il passo in questione è il seguente,tratto da una nota al capitolo sulla Seelenwanderung:

Genau entsprechend dem hebräischen hithgalgel (wörtlich: sich [von Ortzu Ort] wälzen oder drehen) gebraucht, aber schon lange vor denarabischen und hebräischen Quellen [hat] Augustin in seinem Berichtüber den Seelenwanderungsglauben der Manichäer das lateinische revolvi[gebraucht; il verbo manca nell’originale]; […] die Seelen der frommenauditores kommen nach ihrem Tod nicht direkt in den Himmel, sondernwandern ihrem Glauben nach in electi (in electos revolvi arbitrantur) (p.299, n. 23, primo corsivo mio).

L’espressione Dreivierteltod potrebbe alludere a questa morte ancoraincompleta e, assieme a Restseele 24 , di nuovo a quella subtile Materie cuisono stati ridotti i corpi degli ebrei. Non sarebbe poi eccessivamentecapzioso leggere in Dreivierteltod un’allusione al Drittes Reich, tanto piùche lo stesso Celan, nella risposta a un’inchiesta dello “Spiegel”, avevaconcluso con l’amara battuta: “ein Viertes bleibe uns erspart”25 .

La stessa Restseele pare essere travolta dal processo sarcastico: ilKronenangst che la fa contorcere von urher, secondo la solenne espressione

24 Il cui attributo herumwälzende è da accostare all’espressione scholemiana sich [vonOrt zu Ort] wälzen. Dal latino revolvi ho coniato la traduzione “rivoltolantesi”.

25 GW, III, p. 179.

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della poesia, è forse l’inutile metus Dei con cui l’innocente si reca allamorte, la docilità con cui la creatura soggiace alla violenza ordinatricedel Gerechter.

Una seconda lettura è però possibile, se si tiene conto del fatto che ilsintagma avverbiale von urher trova una corrispondenza nel testoscholemiano, e precisamente nella traduzione di Proverbi 8:22 (nelleprime pagine del capitolo sulla Shekinah, Schechina; das passiv-weiblicheMoment der Gottheit). La Sapienza, Sophia, così si esprime in primapersona (p. 137):

Gott hat mich als Anfang seines Weges gestiftet,als ältestes seiner Werke von je.Von urher bin ich belehnt, von der Frühe,von den Vorzeiten der Erde.

Più che costituire un riferimento criptico a questa figura, l’espressionevon urher pare siglare la strofa rimandando circolarmente al suo versoiniziale: wo diese Schrift brennt… von urher, ovvero da quando la paroladivina stabilì, in questa Scrittura, il destino del popolo ebraico.

Lo spazio del ritorno delle anime all’unità non è altro che lo spaziodell’origine, in cui è conservato il decreto divino della loro fine. Lacorrispondenza col passo di Proverbi è solo in apparenza meramentestrutturale (qualcosa dice di sé o è detta esistere von urher): tanto a dieseSchrift quanto alla Sophia pertiene lo spazio di quella Urzeit che èimmagine implicita nella figurazione. Ma tale tempo originario non èaltro, per la poesia, che la morte e l’indistinto, la scomparsa finale di ciòche resta di un’anima. L’idea genuinamente mistica di un vero ritornoall’origine è vanificata e contraddetta dalla rappresentazione di questodestino.

Un simile risultato è riconducibile alla particolare maniera in cui la poesiadi Celan tratta la materia figurativa e simbolica con cui entra in contatto.

Il procedimento sarcastico agisce nel profondo sulla parola di salvezzaimplicita nelle simbologie della tradizione, non solo mostrandonel’irrealizzabilità, ma creandone un doppione che ne esprima il fallimento difronte alla storia.

L’accusa che tale sarcasmo muove si rivolge però – attraverso ilmedium della tradizione – a quel Dio che della parola di salvezza è stato

La critica al cabalismo scholemiano... 225

referente e custode. La sua colpa è il termine ultimo che il sarcasmoraggiunge e scopre. Tuttavia, sarebbe difficile dire se in questa accusa ilmovimento della poesia si arresti, o se non sia essa stessa piuttosto partedi quella costruzione figurativa che la poesia allestisce attorno al “fatto”della storia. Qual è il significato profondo cui tale costruzione s’indirizza?La colpa risiede, in ultima analisi, in Dio o nell’uomo? I testi celanianiparrebbero ammettere entrambe le interpretazioni. La colpa divina equella umana sembrano riflettersi a vicenda, sembrano implicarsi l’unacon l’altra ogni volta che la poesia ne disveli, rappresentandolo, ilrisultato, ciò che “è stato”. Attorno al fatto incomprensibile esse gravitanodi volta in volta come possibili costruzioni di senso – riconosciute nellaloro inadeguatezza a comprenderlo.

Ciascuna interpretazione del figurato – che esprime la colpa di Dio odell’uomo – si scontra con la chiusura di un presupposto della figurazioneche si ritrae da ogni determinazione di senso, e che noi soloindistintamente possiamo riconoscere come il “fatto” storico. È questopresupposto, forse, l’origine e la meta della poesia di Celan, e in essos’innesta l’utopia, la spinta al movimento poetico, l’auspicio di unrecupero dell’umanità che nonostante tutto trapela dal testo. Alla ricercadi un futuro, la poesia si volge al passato. Il futuro, l’umanità, è dietro ilmuro di quel fatto: intuibile, ma mai realmente raggiungibile.

Die freigeblasene Leuchtsaat: al di là del giardino del Giusto

DIE FREIGEBLASENELEUCHTSAAT,in den unter Weltblutstehenden Furchen.

Eine Hand mit dem Schimmer desUrlichtswildert jenseitsder farnigen Dämme:

als hungerte nochirgendein Magen,als flügelte nochirgendein zubefruchtendes Aug.

LA SEMENTE DI LUCE SCOPERTADA UN SOFFIOnei solchi che stannosotto sangue di mondo.

Una mano col bagliore della luceoriginariacaccia di frodo al di làdelle barriere di felci:

come avesse ancora fameun qualche stomaco,come svolazzasse ancoraun qualche occhioda fecondare.

226 Enrico Tatasciore

1. Die freigeblasene Leuchtsaat ha una struttura per certi versiriconducibile a quella di Ihr mit dem (oltre che di Aus Engelsmaterie, anchese in maniera meno evidente): una prima parte che descrive un “quadro”o una situazione (attraverso immagini tratte dal mondo dalla Kabbalah),seguita da una seconda parte “riflessiva” (introdotta dai due punti), incui la voce del poeta connota in senso critico e attualizzante la scenaprecedentemente evocata. La prima strofa rivela al lettore sin dall’inizioil simbolo fondamentale su cui s’impernia la “narrazione”: la “sementedi luce”, traccia divina rimasta sepolta dal “sangue di mondo” nei“solchi” di un orto o di un giardino. Il ruolo di un tale simbolo sembraperò non avere alcun seguito effettivo nel corso della seconda strofa,dove alla Leuchtsaat si sostituisce “una mano col bagliore della luceoriginaria”, che “caccia di frodo” in un luogo che non sembra identificarsicol precedente. In realtà una serie di nessi impliciti soggiace a questefigurazioni sparse (c’è, soprattutto, un nesso causale tra la prima e laseconda strofa che sul piano sintattico non è esplicitato): la nostrainterpretazione, sulla scorta del testo di Scholem, cercherà di individuarel’immagine archetipica che ne è al fondo, e che permette al poeta le sue“variazioni”. Non altrettanto oscuro appare il nesso tra la seconda el’ultima strofa: la mano caccia per stomaci che non hanno più fame (vv.7-8), e per occhi non più da fecondare (vv. 9-11). I soggetti di vita che lamano dovrebbe “alimentare” non esistono più, sono annullati, o meglio,seguendo il tono attualizzante del testo (noch), sono stati annullati: èintervenuto qualcosa che ha reso inutile il perpetuarsi della vita. Comein Ihr mit dem, i versi di questo rassegnato “commento” finale sonofortemente cadenzati (colpiscono in particolare l’identità metrica tra ivv. 7 e 9, il ritmo dattilico, soprattutto nei vv. 10-11, e l’opposizione, infine di verso, di parola accentata sulla penultima sillaba vs parolaaccentata sull’ultima: Magen/Aug, con la parola accentata sull’ultimasillaba in chiusa, come avveniva in Ihr mit dem).

2. Nel capitolo intitolato Schechina; das passiv-weibliche Moment derGottheit si legge il seguente passo:

Am Anfang der Schöpfung der Welt war die Schechina in der Hauptsachebei den Unteren, denn die Ordnung aller Kreaturen war nach derHierarchie der Sefiroth eingerichtet, die Oberen bei den Oberen und dieUnteren bei den Unteren. Daher weilte die Schechina als unterste Sefira

La critica al cabalismo scholemiano... 227

bei den Unteren [in der irdischen Welt]. Solange aber die Schechina untenwar, waren Himmel und Erde eins, und das bedeutet das Wort der Schrift:Da ward vollendet Himmel und Erde und all ihr Heer. Denn sievollendeten, entfalteten und erfüllten sich eines aus dem anderen, unddie Quellen und Kanäle [durch welche die kosmischen Wirkungen derSefiroth nach unten strömen] wirkten in ihrer Unversehrtheit undemanierten von oben nach unten, so daß Gott alles von oben nach untenerfüllte, worauf der Vers Jesaja 66:1 hindeutet: Der Himmel ist mein Thron,und die Erde der Schemel meiner Füße. So weilte denn Gott ingleichmäßiger Vermittlung bei den Oberen und Unteren. Da kam Adamund sündigte; die Ordnungen wurden verdorben, die Kanäle zerbrochenund die Dämme, in denen sich die Ströme des Segens stauten, eingerissen.Da entfernte sich und entschwand die Schechina, und das einheitlicheBand zwischen allen Dingen löste sich auf (Gikatilla Scha’are ‘Ora, Kap.9, Bl. 9a) (p.172, corsivo mio).

Il mondo attuale non ospita più la Shekinah. Il peccato di Adamo hadistrutto l’armonia tra mondo superiore e mondo inferiore. A questadottrina s’intreccia la realtà dell’esilio di Israele, in una quantità difigurazioni il cui denominatore comune è lo stato di disarmonia e miseriache affligge il mondo inferiore (o la Shekinah inferiore, in opposizione aquella superiore).

In quanto recettiva, la decima sefira, quella della Shekinah inferiore,viene accostata a immagini come quella del giardino, del pozzo, del mare:

als Garten, in dem alle Pflanzungen wachsen; als Brunnen, der sich vomQuellwasser füllt, und als Meer, in das die Flüsse strömen; als Schrein undTresor, in dem die Schätze des Lebens und alle Mysterien der Toraaufbewahrt sind, ist sie, wie in hundert ähnlichen Allegorien, als dasRezeptakel aller Potenzen dargestellt, die sich in ihr nun zu ihrer positivenGestalt verbinden – freilich nur, wenn sie in die Schechina eintreten (p.171).

Le potenze superiori trovano in essa una forma e una determinazione,e proprio a questo compito sovrintende la figura mediatrice del Gerechter.

Cosa accade quando l’armonia di questo processo s’interrompe,quando è il Male a prevalere? La Shekinah nella sua proiezione inferioreè insieme figura della distruzione dell’unità istituita dalla creazione eprefigurazione di quell’armonia che gli sforzi dei Patriarchi e d’Israelecercano di ripristinare (cfr. p. 171). Ecco perché la “untere Schechina” èspesso rappresentata tramite una simbologia della mancanza e della

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povertà: “Nacht, Mond, Erde, Trockenes, Brachjahr, Tor – das sind nureinige der beliebtesten Bezeichnungen, unter denen von ihr gesprochenwird” (p. 171).

Con l’immagine di un mondo distrutto, abbandonato, si confrontano lepoesie Die freigeblasene Leuchtsaat e Die Hochwelt26 , alla ricerca di un significatoattuale per questa antica simbologia. Termine imprescindibile del confrontoè ancora la storia, col suo carattere di disastrosa irrimediabilità.

La simbologia della Bedürftigkeit ha perduto ormai, per Celan,quell’istanza messianica che la sdoppiava in una prefigurazione delritorno del mondo all’armonia. La poesia Die freigeblasene Leuchtsaat puòessere intesa proprio come una testimonianza di questo nuovo, disillusomodo di intendere la traccia del divino nel mondo. Eccone la prima strofa:

DIE FREIGEBLASENE LEUCHTSAAT,in den unter Weltblutstehenden Furchen.

Il campo figurativo della poesia si lascia ricondurre abbastanzafacilmente a una pagina del capitolo sul Gerechter, il cui accostamentocoi passi sulla Shekinah appena citati non è inopportuno. “Als Garten,in dem alle Pflanzungen wachsen”, la Shekinah è proprio quello spaziodi cui il Gerechter, nelle vesti di giardiniere divino, si prende cura. Il nessotra questi passi non è esplicito nel testo di Scholem, ma abbastanzaevidente dal punto di vista concettuale: si tratta infatti di simbologieche, tanto in riferimento alla figura del Gerechter quanto a quella dellaShekinah, hanno come oggetto lo stato e la condizione del mondoinferiore, del nostro mondo. Dal punto di vista figurativo, poi,l’accostamento tra tali passi attraverso il simbolo del giardino è tantopiù significativo, e in qualche modo consentito dalla modalità quasiosmotica con cui le immagini della Kabbalah possono entrare in contattotra loro. Ma ecco il passo di Scholem, che si riferisce alla semente sparsadal Gerechter, ennesima immagine della sua unione con la decima sefira:

26 In questa poesia, che qui non si analizza, compare proprio il simbolo del Brachjahr,assieme a quello della Rose e a due spie lessicali che si leggono nello stesso capitolo sullaShekinah, Hochwelt ed erfragbar.

La critica al cabalismo scholemiano... 229

Von der ‘Lichtsaat’ des Gerechten spricht auch der Sohar in einer Erklärungvon Psalm 97:11: ‘Licht ist ausgesät für den Gerechten’. Hier ist der Gerechteder Gärtner im mystischen Paradies. ‘Dieses Licht hat Gott in den Gartenseiner Wonnen ausgesät und hat dort durch jenen Gerechten, der derGärtner des Gartens ist, Furchen gezogen, und jenes Licht genommen undes als Samen der Wahrheit ausgesät. Und indem er im Garten Furchenzog, zeugte er und ließ wachsen und trug Früchte, und von ihnen ernährtsich die Welt, und so ist der Vers zu verstehen: Licht ist ausgesät vomGerechten. Und so heißt es [Jesaja 61:11]: Wie ein Garten seine Saatenwachsen läßt, so wird Gott, der Herr, Gerechtigkeit wachsen lassen. Wassind diese Saaten? Es sind die Aussaten des Urlichtes, das beständig augesätwird. Jetzt trägt es Früchte, und jetzt ist es ausgesät. Am Anfang, bevornoch die Welt von dieser Frucht aß, brachte er diese Saat hervor und trugFrucht ohne Unterlaß. Und darum werden alle Welten aus der Speisungjenes Gärtners unterhalten, welcher Gerechter heißt, der nie rastet und nieaufhört außer in der Zeit, da Israel im Exil ist. Denn seit dieser Zeit ist derStrom [der Emanation] versiegt. Wie also kann er Frucht hervorbringen?Es heißt aber von diesem Samen, daß er immer ausgesät ist, und selbstwenn, seitdem jener Strom seinen Fluß in den Garten unterbrochen hat,der Gärtner nicht mehr dort eingetreten ist, so trägt jenes Licht, das dortausgesät ist, doch noch immer seine Früchte, denn von sich selbst ist eswie einstmals dort ausgesät, und der Samen, der in den Garten an seinenOrt fällt, trägt noch immer von sich selbst aus Früchte wie am Anfang.Aber sie sind nicht wie die Früchte zur Zeit, als der Gärtner dort schaltete[II, 166b-167a]’ (pp.108-109, corsivi miei).

Ho citato il passo in extenso affinché con la sua evidenza figurativa illustrila “situazione” cui gli scarni versi di Celan si riferiscono quasi come unaglossa.

La poesia integra l’antica immagine del giardino inselvatichito con i trattidi una moderna distruzione. I punti di contatto testuali (oltre alla parolaDämme che avevamo letto nel passo sopra citato), sono sufficientementeespliciti.

La Leuchtsaat è, con variatio, la “Lichtsaat” di cui il Gerechter si prendecura nel giardino di Dio, il seme di quella luce che permane anche quandoil giardino inselvatichisce, o i suoi solchi, secondo le parole di Celan, sonosommersi dal Weltblut. Furchen è altra parola di contatto tra i due testi,assieme a Urlicht (che però ricorre in più luoghi nel libro). Lo “Urlicht” èquella luce originaria, che è in Dio, dalla quale viene seminata la “Lichtsaat”.

Un alone di assenza circonda questi simboli nella poesia. Ancora unavolta essi sono detti proprio in quanto simboli (oltre che immagini), e ne fa

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fede la precisione con cui sono introdotti attraverso l’articolodeterminativo (die Leuchtsaat, den Furchen, des Urlichts, der Dämme). Amancare dal “quadro” sono però proprio quei soggetti che conferirebberoun senso a tali simboli.

Sappiamo che il Gerechter si è allontanato dal giardino. Ma chi è asoffiare sul Weltblut, scoprendo la semente ancora luminosa nei solchi?A prescindere da ogni soggetto potenzialmente rintracciabile – anchecon l’aiuto dell’ipotesto, in cui tuttavia in questo caso non troviamo unaggancio – la prima strofa colloca il paesaggio descritto nel segno diun’assenza radicale, o meglio dell’indecifrabilità cui soggiace il destinodella Leuchtsaat divina. Nel giardino soffia un vento che non è più simbolodi qualcosa, ma mero elemento del quadro, avvio della dinamica visiva.

Un movimento nella poesia è così incominciato, e non bisognasottovalutarne le sfumature positive: la Leuchtsaat è in qualche modoliberata dal sangue che ricopre i solchi, torna a brillare come una presenza.La poesia recepisce in questo il nucleo messianico del “mito” del giardino,secondo il quale, anche quando il flusso dell’emanazione si è esaurito, ilseminato continua a serbare “jenes Licht, das dort ausgesät ist”, econtinua a produrre frutti, sebbene non più sotto la cura e la custodiadel Gerechter.

La luce che permane nella poesia di Celan, tuttavia, non conosce piùla possibilità di una conversione messianica della sua condizione. Si èforse anche isterilita sotto il sangue del mondo. Il composto Weltblutsembra accomunare nell’irrimediabilità del fatto compiuto tanto la colpadi chi ha sparso sangue quanto il dolore delle vittime: colpa e innocenzaumane – e forse anche divine – sono un’unica cosa di fronte all’evidenzadel risultato, il sangue versato nel mondo, ma anche dal mondo. Questacatastrofe, che per Celan non può essere che quella della storia, ha icaratteri di un evento definitivo e sostanzialmente estraneo allo stessoquadro simbolico con cui la poesia dialoga. Anche per l’assenzadell’articolo, l’espressione unter Weltblut resta indeterminata, e si inseriscecon violenza nel campo figurativo appartenente alla tradizionecabbalistica. Al tradimento della simbologia corrisponde dunque unarappresentazione nuova, attuale, del mondo così com’è nella storia, dellasua impossibilità di redenzione.

Non si rinuncia tuttavia alla presenza del simbolo, per quantointerdetto e isolato esso possa rimanere. La poesia dice ancora la certezza

La critica al cabalismo scholemiano... 231

che esso è, che sta in qualche luogo. Si tratta forse di quello spazio jenseitsder Menschen che si travede dalla rappresentazione poetica di un realeattuale. Una sua traccia è ravvisabile nel permanere della Leuchtsaat, enella assicurazione di questo permanere costituita dalla poesia. E tuttavianessun futuro è riservato alla realizzazione del potenziale utopico serbatonel simbolo della Leuchtsaat.

Eine Hand mit dem Schimmer des Urlichts5 wildert jenseits

der farnigen Dämme:

als hungerte nochirgendein Magen,als flügelte noch

10 irgendein zubefruchtendes Aug.

Il seguito della poesia, che si concentra sul presente della storiaproiettandolo in avanti nella sua definitiva chiusura ad ogni mutamento,riprende, come si è detto, lo schema sintattico di Ihr mit dem, ponendo aconfronto una pretesa azione salvifica con l’insollevabilità del reale.Tuttavia, rispetto a quella poesia, la cui chiusa, pur nella sua strutturaipotetica, dava forma all’immagine di un intero popolo scomparso (alswäre das Volk in den Fernen / noch einmal um euch geschart), la strofa finale diDie freigeblasene Leuchtsaat non offre più alcuna possibilità al simbolo dimanifestarsi nella sua potenza evocativa, sia pure per rivelarla illusoria.

L’als di Ihr mit dem era elegiaco, nasceva forse dal contenuto pathos cheaccomunava il poeta ai profeti, figure entrambe dedite alla missione diuna ricerca di senso e di centro per l’umanità, missione di cui il poetafinisce per cantare l’impossibilità. In questa poesia, invece, il tono dellasubordinata comparativa è fortemente deprecativo, è l’acre risposta delsoggetto all’azione dalla Hand mit dem Schimmer des Urlichts.

La seconda strofa è aperta proprio dall’immagine di questa mano, eineHand, quella di Dio o forse quella del Gerechter, che ancora serba l’originarioSchimmer des Urlichts. Benché la designazione per metonimia o sineddochesia tutt’altro che infrequente in Celan, è possibile leggere l’immagine dellamano alla lettera, come reale espressione di uno smarrimento proprio dellastessa divinità, di una sua invisibilità forse coatta, attraverso la riduzione

232 Enrico Tatasciore

a mano brancolante in uno spazio selvatico (eine Hand, “una mano”,con distacco persino dalla catena determinativa).

La poesia di Celan trova una nuova simbologia, alternativa a quellatradizionale, per descrivere la sorte del Dio-Gerechter esiliato dal giardino.E tuttavia, in concorrenza con l’antica simbologia, apre domande chescaturiscono proprio dal confronto con quella.

Anche qui il dilemma della colpa oscura la figura divina. Il Dio-Gerechter è divenuto un cacciatore di frodo, ma caccia per gli uomini.Sono questi i veri colpevoli dell’entrata in uno stato di illegalità? O èDio colpevole dell’assenza di irgendein Magen, di irgendein zu befruchtendesAug? Sono domande che la poesia lascia aperte dietro le immagini, dietroquell’unica immagine in cui le altre si riassumono: quella di uno stato diclandestinità, jenseits der farnigen Dämme, in cui tanto Dio che gli uominisono coinvolti. Il verbo wildern deve essere interpretato nel suo sensoforte di “cacciare di frodo”, se si vuol comprendere lo stato in cui Celanvede ridotto il mondo attuale. Una conferma a tale interpretazionesembra fornircela, del resto, la stessa frase di Isaia letta a proposito delgiardino: “Wie ein Garten seine Saaten wachsen läßt, so wird Gott, derHerr, Gerechtigkeit wachsen lassen”. Inondato di sangue il giardino, eal di là delle farnige Dämme, nessuna giustizia agisce più nel mondo, e lostesso Dio opera “nell’illegalità”. Con l’immagine del Wildern siamo difronte all’ennesima concretizzazione e determinazione di una realtà,dello stesso spazio della realtà che la poesia percorre, rimandando,indirettamente, ad un’utopia.

Ma torniamo al testo. Della mano si dice: [sie] wildert jenseits / derfarnigen Dämme. Si tratta, come si è detto, di uno spazio esterno a quellodel giardino, esterno a quegli argini che contenevano il flusso della vita.Argini ricoperti di felci, oppure disposti al suolo secondo la forma diuna foglia di felce. Al di fuori di questo spazio la mano compie un’azione,oltre che “illegale”, straordinaria per la funzione che anticamente lecompeteva, quella della semina e della cura del seminato. Sembra che,nello spazio collocato jenseits der Dämme, ovvero nel mondo attuale,l’azione in apparenza riparatrice del divino altro non sia che il perpetrarsidi quella violenza che ha precipitato il mondo in uno stato di brutalità.La voce che si solleva a lamentare l’inutilità dell’azione della manodenuncia indirettamente anche questa spirale di violenza, per cui sarebbenecessario uccidere per sfamare irgendein Magen.

La critica al cabalismo scholemiano... 233

Ma c’è ancora qualche stomaco da sfamare? Con l’immagine diun’assenza si chiude, circolarmente, la poesia: l’assenza dell’umano siconfronta con quella del divino. Come avveniva per i versi iniziali, e perquelli centrali, si tratta tuttavia non di un’assenza totale, ma di unapresenza residuale, che, se prima si manifestava nell’interdizione delsimbolo, nella perdita della sua potenzialità salvifica, adesso si esprimein immagini di morte e sterilità che non cancellano del tutto la traccia diun’umanità, proprio per la decisione con cui il soggetto, voce fuoricampo, le oppone al Wildern divino.

Il dire stesso dunque, assieme al permanere del simbolo, si fa portatoredi una memoria di umanità. Questa, però, è solo debolmente riconoscibiledietro il complessivo quadro di sterilità disegnato dal testo. La perentoriaamarezza degli ultimi versi non ci permette di andare oltre.

1. Ultima delle poesie analizzate, Nah im Aortenbogen è quella che piùsi discosta dalla struttura comune da noi individuata. Alla bipartizionesubentra qui una struttura “a ponte”, per cui l’ultima strofa si raccordaalla prima, riproponendone il numero di versi, la cadenza e la sintassi(secondo lo schema: attributo/complemento di luogo/ulterioredeterminazione/due punti/soggetto), mentre al centro è posta una strofadi quattro versi, fortemente ritmata a mo’ di filastrocca (anche se inmaniera rigida, sincopata). Stesse corrispondenze sul piano semantico,con una metaforica medica che dalla prima strofa si estende alla terza,“saltando” la seconda che invece varia un’immagine biblica. Come

Nah, im Aortenbogen: il residuo di luce nel cuore e lo spazio dell’individuo

NAH, IM AORTENBOGEN,im Hellblut:das Hellwort.

Mutter Rahelweint nicht mehr.Rübergetragenalles Geweinte.

Still, in den Kranzarterien,unumschnürt:Ziw, jenes Licht.

VICINA, NELL’ARCO AORTICO,nel sangue chiaro:la parola chiara.

Madre Rachelenon piange più.In qua trascinatoquanto fu pianto.

Quieta, nelle arterie coronarie,non ristretta:Ziw, quella luce.

234 Enrico Tatasciore

vedremo, il nesso semantico tra le tre strofe è più forte di quanto possaapparire a una prima lettura. Prima però occorre svolgerne le immagini.La prima strofa attesta (diversamente da molti altri passi delle poesiefin qui lette) una presenza, anzi una prossimità: “nell’arco aortico” dovescorre il sangue arterioso, “chiaro” perché portatore di ossigeno e dunquedi alimento alla vita, si trova la parola che attesta proprio quella vita, dasHellwort, “la parola chiara”. Può trattarsi di una parola di consolazionegiunta dall’esterno come l’ossigeno, e che rimane nel cuore. L’immaginedi Rachele che non piange più i suoi figli in esilio può essere corrispettivosimbolico di questa consolazione, ma la stessa variazione (di fatto “nonortodossa”) dell’immagine biblica, assieme ad altri dettagli linguisticidi cui si dirà, conferisce una nota di amarezza all’intera strofa. Si potrebbedire che, stavolta al centro della poesia e non più al fondo, si inseriscaquella considerazione critica che attualizza il simbolo, riconosciuta giànegli altri testi. L’ultima parola è però di speranza, se nella strofa finaleallo Hellwort viene trovato un corrispettivo simbolico (ma, si direbbe,esperito come reale nella sua effettiva presenza “nelle arterie coronarie”)in quella luce particolare che si chiama Ziw. Tale luce, che fluttua“quieta”, non rattenuta (“non ristretta”) è quella particolare luce che,secondo la tradizione biblica e cabbalistica, manifesta la presenza deldivino. Ma per comprenderne appieno il significato, occorre stavoltadavvero conoscere l’ipotesto. La parola (e il concetto che essa esprime)sarebbe tuttavia comprensibile anche a chi la conoscesse da altre fontiche non quella scholemiana, o a chi fosse ebreo o di religione ebraica. Ilcaso di questa poesia è quello che, tra tutte, offrirebbe maggiormentespunto per rimeditare il rapporto tra testo e ipotesto. L’ipotesto sembraqui in maniera evidente più un mezzo, personalmente impiegato daCelan, per apprendere il linguaggio di una tradizione, che non il realereferente della carica allusiva contenuta nelle immagini e nelle parole diqueste poesie. Tale referente pare piuttosto essere, come si è detto,l’universo simbolico della tradizione cabbalistica.

NAH, IM AORTENBOGEN,im Hellblut:das Hellwort.

2. Proprio un Tu è ipotizzabile come polo di assenza – ma anche diautenticità – cui l’ultima poesia del ciclo “scholemiano” si rapporta. Nah,

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im Aortenbogen riscopre nello spazio del corpo e nella metaforica delcuore e del sangue la parola della salvezza. Questa, das Hellwort, è serbata“nell’arco aortico”27 , se ne avverte la presenza (nah; d’obbligo il rimandoall’incipit dell’inno di Hölderlin Patmos e alla celaniana Tenebrae28 ):seppure circoscritta allo spazio del soggetto, nascosta negli stretti recessidella sua corporeità, e forse non ancora (o non più) medium di una realecomunicazione, essa è e permane nel vivere stesso dell’io. Condotta nelsangue arterioso, è forse proprio quella parola di consolazione,proveniente dall’altro, o da una fonte interiore che comunque manifestala presenza di un “altro”, che permette al soggetto di respirare ancora.

Da questa raggiunta certezza sembra scaturire l’immagine di una“Mutter Rahel” che, finalmente consolata, non piange più i propri figliin esilio: “Mutter Rahel, die über ihre Kinder, die ins Exil ziehn, weint”(p.140), secondo le parole di Scholem in una pagina dedicata allepersonificazioni della Shekinah (e in cui compariva pure un nesso conla poesia Die Hochwelt29 ):

Aber auch andere Personifikationen, die später ebenfalls in das Bild derSchechina eingegangen sind oder doch, gleich wie die Sophia, auf siebezogen wurden, verdienen hier Erwähnung. Vor allem das seit demberühmten Kapitel 31 in Jeremia auftauchende Bild der Mutter Rahel, dieüber ihre Kinder, die ins Exil ziehen, weint, sowie die Personifizierung Zionsals einer mütterlichen Gestalt im Unterschied zu der in der Bibel alleinauftretenden Rede von der „Tochter Zion“ (p. 140, corsivo mio).

Mutter Rahelweint nicht mehr.Rübergetragenalles Geweinte.

27 La fonte della terminologia medica è Faller, op. cit. alla nota 5, pag. 130. Il manoscrittodella poesia si trova sulla parte anteriore interna della copertina di questo libro.

28 Patmos (Erste Fassung): Nah ist / und schwer zu fassen der Gott. Tenebrae: Nah sind wirHerr, / nahe und greifbar (GW I, p 163).

29 „Aber nirgends ist Zion etwa ein Ausdruck einer Kraft oder Qualität in Gott selbst.Es ist, im Sinne der altorientalischen Vorstellungen von der Entsprechung der unterenund oberen Welt, eine Gestalt, die vielleicht in der Hochwelt ihre Stelle hat“ (p.140, corsivomio).

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La sottile ironia che sembra improntare questa strofa – attraversol’abbassamento dell’immagine conseguito dall’espressione rübergetragen/ alles Geweinte, artificiosamente cruda – complica tuttavia l’istanzapositiva espressa dai versi precedenti. Siamo davvero di fronte a unaconsolazione? O l’inedita immagine di questa Mutter Rahel non alludepiuttosto al fatto che la vera consolazione è nel non trovare unaconsolazione, che lo Hellwort agisce nell’intimità del cuore e nonnell’inautentica esteriorità di un’ipocrita salvazione spacciata come reale?L’ambiguità di questa strofa è avvicinabile a poesie come ÜppigeDurchsage, Ausgerollt (sempre in FS IV), oltre che Aus Engelsmaterie: casipiù evidenti di quel sarcasmo che si appunta contro l’inautenticarealizzazione di un destino positivo per l’uomo, contro la frettolosarisoluzione di quel nodo esistenziale che il poeta vuole conservareinsoluto, per cercare una salvezza nel preservare e non nel dimenticare.

Come nell’arco di poche poesie il momento sarcastico si alterna aquello “positivo”, così in Nah, im Aortenbogen le due voci sembranoesprimere interpretazioni diverse di uno stesso oggetto, lo Hellwort: lavoce ironica svolge una funzione contrastiva dalla quale risalta il tonoautentico della parola di salvezza. E ribadisce, ancora una volta,l’impossibilità di un ritorno dall’esilio.

Still, in den Kranzarterien,unumschnürt:Ziw, jenes Licht.

Che l’ultima strofa vada interpretata in senso pienamente positivo loattesta il riferimento a Ziw, jenes Licht30 , contenuto in una lettera di Celana Nelly Sachs, in cui, nello spirito di un’autentica amicizia “ebraica”(oltre che poetica), viene detto: “Mia cara Nelly, / grazie per quelle righe,

30 Che, nella poesia, la parola Ziw non sia in corsivo (come altre parole ebraiche, cfr.Die Schleuse, GW I, p. 222) potrebbe testimoniare, oltre che di un più alto grado diappropriazione (è sostanzialmente questa l’opinione anche di JOHN FELSTINER, Paul Celan.Eine Biographie, op. cit. alla nota 3, p. 308), del fatto che Ziw non sia designata come parola,ma come cosa, come nome proprio di cosa (tanto è vero che, come osserva anche Felstiner,p. 309, Celan non scrive das Licht, ma jenes Licht). L’uso del carattere normale è però estesoanche ad un’altra poesia di Fadensonnen, Wenn ich nicht weiss, nicht weiss, in cui la parolaAscherej (Ascherej, / ein Wort ohne Sinn) non sembra investita della medesima rilevanzaaffettiva.

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per il ricordo di quella luce. / Sì, quella luce. La troverai citata nel mioprossimo volume di poesie, che uscirà in autunno, chiamata –denominata con un nome ebraico”31 .

Ziw è il termine che designa quella particolare luce in cui puòmanifestarsi la presenza di Dio. Nelle parole di Scholem:

das ‘Wohnen’ Gottes, seine Schechina im wörtlichen Verstand, bedeutetvielmehr seine sichtbare oder auch verborgene Anwesenheit an einemPlatz, seine Gegenwart. Diese kann sich in einem überirdischen Lichtglanzmanifestieren – von einem solchen Licht (Ziw) der Schechina ist oft dieRede. Sie kann unter Bildern beschrieben werden…[…]. Sie kann aberauch ohne jede ausdrückliche Manifestation einfach nichts weiter seinals eben die pure Anwesenheit Gottes und das Bewußtsein von seinerPräsenz (p. 143).

Coerentemente col riconoscimento di un paesaggio del corpo comeespressione del linguaggio del soggetto, “aderente” all’esistenza, e diun paesaggio del cuore in cui il sentimento ritrovi – in una personalerivitalizzazione della metafora tradizionale – la propria dicibilità, lapoesia di Celan situa il libero effondersi di questa luce in den Kranzarterien,nei vasi coronari che alimentano la muscolatura del cuore32 .

La presenza di Dio si manifesta dunque nel centro della vita, e, ciò checonta, della vita individuale e corporea della creatura. Materiale e spiritualesi mescolano inseparabilmente in questa rappresentazione e il pensieroabbraccia la realtà fisica, che in nessun modo deve essere intesa comemetafora. O, per lo meno, come semplice metafora, giacché il carattere

31 Lettera n. 108, del 22 marzo 1968, in Paul Celan / Nelly Sachs. Corrispondenza(Briefwechsel), a cura di Barbara Wiedemann , Suhrkamp, Frankfurt/M. 1993, ed it. a curadi Anna Ruchat, Il Melangolo, Genova 1996, p. 77.

32 L’idea di libertà, di libero fluttuare, è data anche dall’inconsueto participiounumschnürt (umschnüren significa, nel linguaggio comune, “legare con lacci”). La paroladovrebbe appartenere al lessico della medicina, ma, diversamente che per gli altri termini(Aortenbogen, Hellblut, Kranzarterien), TCA non rende conto di una derivazione da Faller, enon si è trovato un significato tecnico nei vocabolari (DUDEN, WAHRIG, GRIMM). In Schulze silegge però (Mystische Motive, p. 504), a proposito di “unumschnürten Kranzarterien”:„Aufhebung der Angina, der physiologischen und metaphorischen ‚Herzbeklemmung’“.Ho perciò accettato la traduzione di Bevilacqua, “non ristretta”, in quanto rende l’idea diquella “stretta al cuore” di cui parla Schulze, in opposizione al momento di fluttuantelibertà che anche noi riteniamo descritto nell’ultima strofa (la prima stesura avevad’altronde, al posto di unumschnürt, wandelte).

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concreto, se si vuole “antimetaforico” di questa rappresentazione si fondecon un’istanza letteraria cui la poesia di Celan non vuole del tutto sottrarsi.

Si può dire pertanto che, la poesia riconduce alla creatura la metaforadel cuore, senza per questo rinunciare alla “letterarietà”, premessa diquel dialogo tra testi – tra poesie, soprattutto – intrattenuto dall’operacelaniana con la tradizione: che la poesia di Celan, in questo senso, nonha mai rigettato. Essa anzi, eccettuato il giovanile periodo bucarestino,non è mai stata propriamente avanguardistica, nonostante il suo caratterelinguisticamente e formalmente “straordinario”. Ha cercato modi nuoviperché, anche dopo Auschwitz, una letteratura fosse possibile: non unanuova letteratura, ma una letteratura rinnovata secondo le trasformazioni– che sono spesso deformazioni – apportate dalla storia.

Letteratura è per Celan, in quanto consapevole lavoro sulla lingua,quel medium che può permettere di parlare di Ziw come jenes Lichtalludendo non ad una mera corrispondenza testuale, ma a quella “Rede”che accomuna coloro che hanno a che fare con la lingua e con una ricercadi senso: i cabbalisti, Scholem, Celan stesso, Nelly Sachs. Una similedimensione “estesa” della letteratura (e del rapporto tra testi) va tenutapresente, credo, nella lettura dell’opera di Celan, ma in particolare inogni discorso attinente al reimpiego e alla citazione nello Spätwerk, dovegrande è il rischio di soffermarsi sul solo aspetto formale, ingannati daun materiale non stricto sensu letterario.

Certo una simile idea della letteratura non deve essere assolutizzata,e si esprime con diverse sfumature anche in considerazione dei varimomenti della scrittura celaniana. Essa s’interseca poi con un’altra idea,che sembra emerge dalla lettura di queste poesie, di materiale testualecome materiale della realtà, pur non interamente riducibile ad essa. Lepoesie della fase che s’incomincia con Atemwende approfondiscono ilnesso tra tali dimensioni, quella della letteratura e quella della realtà,sviluppando tensioni implicite nelle fasi precedenti dell’opera: lanecessità stessa di ripensare tali concetti al momento dell’interpretazionetestimonia del carattere problematico e innovativo della tarda poesia diCelan.

Nah, im Aortenbogen costituisce un esempio del caratterepluristratificato proprio di questa fase, se consideriamo come trattamentidiversi delle “fonti” coesistano in un unico risultato poetico. A quellasorta di sympatheia in senso lato letteraria che accomuna Celan a Scholem

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e ai cabbalisti (come in Ihr mit dem ai profeti e a Mosè) si accosta infattil’impiego ironico e sarcastico della stessa fonte. Oppure, sempre perrimanere a questa poesia, ad effetti inediti approda il reimpiego di unlessico tecnico di origine medica (come tecnico era, per certi versi, illessico simbolico della Kabbalah), svolgendo una funzione che sipotrebbe dire ipersignificativa: i termini tratti dal volume di Faller nonsono infatti trattati come tessere, non sono “montati” nel testo, macostituiscono l’ossatura figurativa ed eminentemente semantica dellapoesia. Per servirci della famosa dicotomia leopardiana, potremmo direche essi diventano, da “termini”, “parole”.

La “simpatia” che ci pare di scorgere nell’ultimo verso di Nah, imAortenbogen ha però un’altra sfumatura, che prescinde da eventualiletture parallele: non solo l’apposizione jenes Licht, ma tutta l’ultimastrofa, danno l’idea di una complicità del soggetto con se stesso, di unaconseguita sicurezza interiore, espressione della fiducia nella realepresenza di quel segno divino nel proprio corpo – o nel corpo di ogniuomo.

I segni senza Dio

Alle poesie che abbiamo analizzato sembra fare da sfondo l’idea diun mondo attuale, di una realtà, in cui non è più possibile trovare oevocare una vita umana autentica. È questa una tematica che investel’intera lirica di Celan, sotto forma di una ricerca di tracce, segni diumanità in una realtà devastata. L’effettiva consistenza di questi segnivacilla sempre più col progredire della poesia celaniana, almeno finoalla raccolta Fadensonnen. Nei cicli successivi (Lichtzwang, Schneepart,Zeitgehöft, contenenti poesie composte tra il 1969 e il 1970), oltre che inFadensonnen il rinnovato interesse per il mondo ebraico dell’attualità,alimentato dalla pressante novità dei fatti d’Israele (a partire dalla“guerra dei sei giorni”, 1967), e non più filtrato dalle sole letture, segneràuna sorta di svolta all’interno di questa ricerca, dando vita ad uno tra ipiù importanti filoni tematici che percorrono la complessa e variegatamateria dello Spätwerk: nuovi simboli, di carattere potenzialmentecollettivo e unificatore, si presenteranno all’attenzione del poeta. Si pensiall’ultima poesia di Fadensonnen, Denk dir, composta proprio in occasionedella vittoria israeliana nella “guerra dei sei giorni” (GW II, p. 227), o a

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quello che si potrebbe definire il ciclo di Gerusalemme, i cui testicompaiono come frammenti in Lichtzwang, Schneepart, Zeigehöft.

Le poesie “scholemiane”, in tal senso precorritrici di questa nuovaesplorazione del mondo e della cultura ebraici (che sono pur semprematrici della personalità del poeta, e attorno ai quali è ancora possibilerievocare un “popolo”, o un’umanità dispersa, ciò che nella storia delnuovo stato d’Israele accade, anche se in maniera incompleta, realmente),si inseriscono, proprio in forza della loro peculiare, inconsueta struttura,in quella ricerca di un simbolo salvifico propriamente ebraico, secondotradizione si direbbe, e non semplicemente personale-affettivo. In questosenso esse rappresentano il primo caso di confronto “maturo” con latradizione ebraica e la sua simbologia, sebbene questo si collochi ancoraun piano filologico-testuale che potrebbe dare un’impressione diartificiosità, se non fosse che la forza emotiva delle immagini evocatetestimonia del genuino accento del poeta. Tale confronto avviene per laprima volta, dunque, al di là di quelle esperienze di mondi simbolicipersonali che il poeta aveva evocato a partire dal suo vissuto: la visionedella propria infanzia, con la ricorrente figura della madre, e del“paesaggio” rumeno, fisico e culturale33 , accompagnata dall’esperienzadella sopravvivenza allo sterminio, dal senso di inappartenenza e diesclusione rispetto alle matrici ebraiche di quel mondo; la ricerca di unapropria ricostruzione individuale nell’eros e nella memoria.

Le poesie da noi analizzate, inserendosi nella tendenza critica ecorrosiva di Fadensonnen (in certi casi, si è visto, con toni ambiguamentedimessi rispetto alle vicine punte sarcastiche), si confrontano col mondoe col linguaggio della Kabbalah come con uno, ma non l’unico, deipossibili filoni di indagine del reale. È bene infatti tener presente che, in

33 Mi riferisco da un lato all’immagine del paesaggio innevato dominante, ad esempio,in Heimkehr, poesia di Sprachgitter (GW I, 156), dall’altro ai numerosi inserti favolistici diorigine popolare (di provenienza buberiana per lo più, come ricorda lo stesso poeta neldiscorso di Brema, GW III, p. 185) in poesie come quella sul Golem, Einem, dem vor demTür stand (GW I, 242), e a quelli linguistici in yddisch (Benedicta, GW I, p. 249) e russo ( lacitazione di Marina Cvetaeva, “tutti i poeti sono ebrei”, in Und mit dem Buch aus Tarussa,GW I, p.287), per non parlare di quelli in ebraico, per lo più legati all’esperienza personalecome in Die Schleuse (GW I, p. 222), poesie queste tutte contenute in Die Niemandsrose. Sitratta, in questi ultimi casi, di contesti di realtà esperienziale elevati a realtà poetica, manon di realtà testuale (come è il caso delle nostre cinque poesie), né tantomeno sociale-collettiva come avviene per le poesie dedicate a Gerusalemme.

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Fadensonnen e nelle raccolte successive, sono presenti altri ambiti deltutto avulsi da un contesto mistico-religioso, e semmai ad esso accostabili,come abbiamo visto, soltanto attraverso la cornice scientifica in cui quelloè recepito dal poeta. Le scienze naturali, la medicina, la psichiatria e lapsicologia (freudiana soprattutto) sono forme del sapere nel cuilinguaggio la poesia, pur mantenendo una propria forte identità, tendea mimetizzarsi, forme di cui indossa l’habitus non per criticarle nellaloro specificità, ma per dare nuova, più attuale espressione alla presenzadi un assurdo, di un black hole nel reale, di quella falla vertiginosa di cuiil mondo moderno, anche a distanza di pochi anni dalla guerra, sembraessersi dimenticato (e sono, in questi anni, gli eventi della guerra freddae del Vietnam a sconvolgere ancora il poeta). La poesia cerca di scopriresegni ancora “operanti”, che siano ancora testimonianza di un’umanità,proprio mettendoli alla prova del proprio linguaggio, che è pur semprequello di un fare artistico, per quanto lontano – anche se non in manieradichiaratamente eversiva – dalle convenzionali “abitudini” estetiche.

Per tornare all’apporto recato dai nostri testi a questa inchiesta sullecondizioni di umanità del mondo attuale, bisogna comunqe riconoscereche, nonostante il loro carattere amaramente negativo, tali poesie nonescludono la presenza di una possibilità di salvezza, traccia segnica diun divino irraggiungibile o irrimediabilmente coinvolto nella rovina dellastoria: tale traccia è dato riconoscere nella individualità stessa del soggetto,nella sua esistenza come resistenza, nel suo permanere nel mondo allaricerca del segno “giusto”, salvifico.

In questa ricerca ne va più della scoperta e della preservazione delsimbolo che del riconoscimento, in una realtà attuale, della presenzadella sua matrice divina, e della effettiva azione della sua Wirkungskraft:l’accostamento di due testi quali Die freigeblasene Leuchtsaat e Nah, imAortenbogen, per i quali il simbolo della luce serba immutato il suo valorepositivo, lascia intendere questa contraddizione. Il simbolo restainspiegabilmente presente, “interrogabile” (erfragbar, come si legge inDie Hochwelt), anche quando viene meno la forza o il senso che necostituisce il potenziale salvifico, quel Dio che lo ha “seminato” nelmondo. In quanto traccia residuale, esso conserva così una vitalità latenteche solo nel pulsare della vita di un io può essere riattivata. In contrastodialettico con l’immagine di questa vitalità, la forzata rivitalizzazioneche si esprime in Aus Engelsmaterie, la Neuschöpfung nel Lebensbaum del

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Gerechter, è sarcastico controcanto della auspicata, vera vita, e insiemeimmagine abnorme di una morte reale presente a tutti i livellidell’esperienza umana: a partire dal suo concreto, dal dato della suaconcretezza, essa invalida e corrode ogni possibile costruzione di senso,capovolge il positivo nell’evidenza del negativo. Questo testo tuttavianon nega necessariamente gli altri due, anzi, precedendoli costituisceforse la tappa pessimistica di una ricerca volta al ripristino di uno spaziodi dicibilità positiva. Lo spazio residuale che Celan ritrova per il segnosalvifico non sembra comunque, in ultima analisi, concepibileseparatamente da quelle immagini di un mondo “capovolto” che la suapoesia pure esplora, e che tende a rievocare anche accanto ai suoimessaggi più positivi, come abbiamo visto avvenire in Nah, imAortenbogen.